L'Anima e il suo Destino di Vito Mancuso - panasur
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1 – Teologia <strong>di</strong> fronte alla coscienza laica<br />
L’anima e <strong>il</strong> <strong>suo</strong> destino<br />
<strong>Vito</strong> <strong>Mancuso</strong><br />
Teologia morale cattolica: “L’essere umano deve sempre obbe<strong>di</strong>re al giu<strong>di</strong>zio certo della propria coscienza”.<br />
Le affermazioni specifiche della teologia non devono essere incompatib<strong>il</strong>i con la scienza, perché <strong>il</strong> mondo è<br />
uno solo com’è fatto lo sappiamo grazie alla scienza.<br />
Credente o non credente, se ciascuno è onesto con se stesso, deve riconoscere che <strong>di</strong> fronte alla domanda<br />
sulla vita dopo la morte gli compare solo un grande punto interrogativo. Ho detto mente, cioè pensiero<br />
guidato dalla ragione, non immaginazione, cioè pensiero in balìa degli appetiti, la quale invece è<br />
estremamente rapida nel produrre sentimenti rassicuranti per garantire che tutto, grosso modo,<br />
continuerà come prima, come una corsa che, una volta cambiati i cavalli prosegue con la stessa carrozza,<br />
sulla stressa strada, con gli stessi compagni. La realtà è un’altra, e se come sarà la vita futura è molto<br />
<strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e <strong>di</strong>rlo, una cosa è sicura: ammesso che ci sarà, sarà <strong>di</strong>versa, decisamente <strong>di</strong>versa: Per gli uomini che<br />
sono morti sono pronte cose che essi non sperano né immaginano”, <strong>di</strong>ce un frammento <strong>di</strong> Eraclito. A<br />
motivo <strong>di</strong> tale inevitab<strong>il</strong>e <strong>di</strong>versità, quando la mente pensa con rigore la morte e <strong>il</strong> <strong>suo</strong> oltre, si ritrova<br />
davanti quasi solo domande.<br />
Non c’è alcun dubbio che gli essere umani, per cercare <strong>di</strong> sopravvivere, si siano immaginati, e continuano a<br />
immaginarsi, mon<strong>di</strong> e para<strong>di</strong>si nell’ald<strong>il</strong>à.<br />
Se all’origine della religione e della f<strong>il</strong>osofia c’è <strong>il</strong> desiderio (o la necessità) <strong>di</strong> vincere la morte, <strong>il</strong> fatto <strong>di</strong> non<br />
sapere nulla al riguardo attesta <strong>il</strong> fallimento della nostra religione e della nostra f<strong>il</strong>osofia. Il pensiero<br />
occidentale si ritrova come allo sbando, perché è evidente che, se non si conosce <strong>il</strong> destino che ci attende,<br />
nulla si sa con sicurezza e tutto appare incerto, soggettivo, tutto sembra risolversi in una questione <strong>di</strong> gusti.<br />
L’assenza della risposta sulla vita oltre la morte è <strong>il</strong> segno più evidente della crisi <strong>di</strong> occidente, perché<br />
quando non si conosce <strong>il</strong> mistero della morte non si sa neppure perché vivere e che <strong>di</strong>rezione dare alla vita.<br />
La nostra civ<strong>il</strong>tà cammina a tastoni. Chi non sa perché muore, non sa perché vive. Chi non sa che cosa è la<br />
morte, non sa che cosa è la vita. Chi ha paura della morte, ha paura della vita.<br />
Qualcuna tra i credenti ritiene che questa con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> ignoranza sia un bene piuttosto che un male,<br />
perché mette a nudo la con<strong>di</strong>zione umana in quanto tale, definita dal non sapere e quin<strong>di</strong> chiamata a<br />
risolversi nella fede e nell’ascolto della rivelazione <strong>di</strong>vina depositata nella Bibbia.<br />
Io invece ritengo che l’ignoranza sia sempre e solo un male, che la luminosità del sapere sia sempre molto<br />
meglio dell’oscurità della fede, che la sicurezza e la fiducia nella vita siano l’atteggiamento sanno, maturo;<br />
mentre <strong>il</strong> senso permanente <strong>di</strong> timore, <strong>di</strong>sperazione, angoscia e cose del genere siano solo segno <strong>di</strong> una<br />
coscienza acerba o malata. Per questo penso altresì che in teologia non vi possa essere nulla <strong>di</strong> stab<strong>il</strong>e<br />
senza un fondamento metafisico, e che la f<strong>il</strong>osofia con la sua luce sia quanto mai necessaria alla vita<br />
spirituale.<br />
Ogni in<strong>di</strong>viduo ospita in se stesso la voce che gli parla della razionalità del cosmo e della sensatezza della<br />
vita, e quella opposta che gli parla del nulla e dell’assurdo verso cui, più o meno stupidamente, tutti<br />
camminiamo.<br />
Per natura intendo <strong>il</strong> fondo primor<strong>di</strong>ale dell’essere, ciò che fa nascere e apparire le cose, sia quelle inanime<br />
come le pietre, sia quelle animate come la gattina dei miei figli o gli stessi miei figli, perché anch’essi sono<br />
natura.<br />
La natura è <strong>il</strong> luogo <strong>di</strong> nascita dell’essere, come in<strong>di</strong>ca già lo stesso termine latino natura, che viene dal<br />
verbo nascere e che contiene un potente rimando a un’azione inesausta, mai completata.<br />
E a questo mistero della nascita continua dell’essere che io intento rimandare me<strong>di</strong>ante <strong>il</strong> concetto <strong>di</strong><br />
natura, del quale, per <strong>di</strong>stinguerlo dall’estrinseca accezione comune che pensa la natura come qualcosa al<br />
<strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> noi, come ambiente, io parlerò come natura-physis.<br />
Il termine natura designa l’energia in modo tale da portarci a concepirla come mai compiuta, e per questo<br />
sempre al lavoro. Energia, infatti è un termine greco che significa precisamente “al lavoro”, in “azione”, “in<br />
atto”. L’universo è sempre al lavoro. Il lavoro è <strong>il</strong> respiro del cosmo, e <strong>di</strong> noi in quanto coscienza <strong>di</strong> esso.