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N° 01 2009 Gen-Feb-Marz - Prader Willi

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guaggio amorevole deve ora descrivere le pratiche<br />

invasive, le iniezioni, il cambio del pannolino, l’introduzione<br />

della PEG. La comunicazione si fa urgente, ci si<br />

preoccupa di avere le scorte dei farmaci, che vi sia ossigeno.<br />

E poi, lo stesso linguaggio amorevole deve spiegare<br />

con parole impronunciabili la richiesta dei “perché”;<br />

“Perché non cammino più ?”, “Perché le mie mani non<br />

le comando?” “Perché ho un buco in pancia per mangiare?”<br />

“Perché ho l’ossigeno per respirare?”<br />

Il linguaggio familiare diventa un dialogo fatto di segnali,<br />

nel quale è la patologia che comanda. La famiglia<br />

è in ascolto, osserva gli impercettibili segni, i cambiamenti<br />

più sottili ed interpreta, corre incontro al bisogno,<br />

previene, cura. La comunicazione si fa immediata, non<br />

c’è bisogno di molte parole. L’attenzione al corpo, agli<br />

sguardi, alle smorfie di dolore, ai sorrisi, l’attenzione alle<br />

emozioni che riverberano le preoccupazioni di non aver<br />

fatto bene o meglio, sono gli ingredienti di un nuovo<br />

linguaggio di cura che si instaura in famiglia.<br />

SI IMPARA DALL’ESPERIENZA<br />

Qualcosa cambia, per sempre. Il figlio sognato diventa<br />

il figlio accudito, colui che chiede bisogni primari, che<br />

non chiede la moto, l’automobile, di uscire la sera. Ma<br />

tutto ciò può diventare un tranello, poiché dall’insorgenza<br />

dei sintomi in poi, sembra davvero che la risposta ai<br />

bisogni primari sia l’unica via per assicurare dignità. Molto<br />

spesso quindi la rete amicale semplicemente scompare,<br />

interessi di gioco e culturali vengono ora sostituiti<br />

con altre competenze. Si hanno nuovi amici, amici “forzati”;<br />

medici, riabilitatori, specialisti che grazie al cielo,<br />

si rivelano spesso profondamente ed empaticamente<br />

vicini, tanto da superare le loro barriere professionali.<br />

Taluni si lasciano prendere dalla novità, dalla moda:<br />

sembra infatti oramai di moda parlare di malattie rare.<br />

Accade che alcuni specialisti si sentano dei grandi esperti<br />

ma, di fatto, non fanno altro che alimentare confusione<br />

che destabilizza le famiglie.<br />

Taluni si accostano con umiltà e osservano.<br />

Osservano i genitori; genitori che hanno imparato, che<br />

prima hanno subìto ma che lentamente poi hanno fatto<br />

tesoro degli insegnamenti e dei consigli o che semplicemente<br />

hanno mostrato a se stessi e al mondo, competenze<br />

inaspettate.<br />

Oltre al linguaggio nuovo si affacciano capacità degne<br />

di professionisti esperti: la necessità si fa virtù ma<br />

una virtù assolutamente competente, che unisce amore<br />

alla cura.<br />

Si impara a non far troppo male quando è necessario<br />

praticare l’aspirazione, si prevengono piaghe, si sta accanto<br />

a conversare, consapevoli che l’umanità, l’emozione<br />

non soccombono mai alla patologia. Si è pronti<br />

alla battaglia con una nuova consapevolezza.<br />

Occorrono molta umiltà ed empatia per comprendere<br />

che queste famiglie hanno un coraggio ed una speranza<br />

che esse rinnovano quotidianamente. Occorre mettersi<br />

in ascolto, andare oltre le parole, poiché dietro alla<br />

durezza, alle richieste pressanti di risposte, all’incomprensione<br />

momentanea di ciò che viene detto loro, vi è<br />

un atteggiamento di “ricerca” costante e di vigilanza che<br />

li rende spesso competenti, nella gestione del quotidiano,<br />

come il più bravo dei ricercatori.<br />

Ma ci sono anche famiglie che non ce la fanno, che<br />

Impegno per una vita migliore<br />

14<br />

resistono nel silenzio della loro sofferenza.<br />

Famiglie che non hanno la forza di alzare la testa, di<br />

riconoscere e di difendere il loro sapere fatto di gesti<br />

quotidiani e di conoscenza profonda di ciò che occorre<br />

loro e al loro parente. Famiglie che necessitano di un<br />

aiuto prima di tutto basato sull’ascolto e sull’appoggio<br />

umano, per sostenersi, per non disgregarsi, per dar voce<br />

a quei diritti mai del tutto conquistati.<br />

RICERCA DI CHE COSA?<br />

Allora il parente, il genitore diventa ricercatore, si attiva,<br />

fa breccia nella propria sofferenza e attinge al sapere.<br />

Un saper fare, chiedere, insistere. Diventa depositario<br />

di una conoscenza quotidiana che può e deve essere<br />

un valido sostegno ai protocolli, alle procedure standardizzate.<br />

Un sapere che è anche confronto con altri saperi,<br />

con altre specializzazioni. Questo linguaggio del corpo,<br />

questo amore familiare, questa dedizione a tempo pieno<br />

vanno visti, a nostro avviso, come propulsori alla ricerca;<br />

non già di una guarigione miracolosa ma di risposte<br />

umanizzanti e non giudicanti.<br />

Dal diritto all’istruzione al diritto al lavoro, dal diritto al<br />

riposo al diritto di una sacrosanta giornata al mese per<br />

tirare il fiato; tutto è campo di ricerca. Le norme alle quali<br />

attenersi non sono mai definite per tutti.<br />

Molto spesso pensiamo che se offriamo a tutti lo stesso<br />

metro di giudizio o gli stessi strumenti avremmo fatto<br />

il nostro dovere, li avremmo accolti e resi “uguali” agli<br />

altri. Di fatto non sarà così. Una cosa è l’integrazione,<br />

che rispetta i bisogni e le difficoltà delle persone e che<br />

accoglie le differenze senza negarle, una cosa è<br />

l’omologazione, ovvero la standardizzazione delle offerte<br />

e delle richieste che disumanizza le relazioni e che<br />

inaridisce i rapporti di buon senso. Quando ognuno fa<br />

meccanicamente il proprio dovere, non si pone più domande<br />

perché non gli compete. Ciò che esce dalla “norma”<br />

viene vissuto come un contrattempo fastidioso,<br />

come un di più non previsto, come un’anomalia seccante.<br />

Le famiglie di persone disabili vengono spesso<br />

vissute come aggressive, pretenziose, ma di fatto esse<br />

vivono in un mondo fragile, di diritti continuamente messi<br />

in discussione, vivono sottomesse ai giudizi e le diagnosi<br />

dei medici, dei vicini, degli insegnanti, dei parenti.<br />

Siamo certi che non vi sia ora, giorno mese e anno in<br />

cui le famiglie di malati rari non sognino per i loro cari<br />

una vita diversa, che permetta loro un futuro senza l’ingombro<br />

della disabilità, che permetta loro di essere riconosciuti<br />

per la loro peculiare personalità e non per il<br />

loro deficit. Ogni famiglia di persone disabili non vive gli<br />

ausili o gli aiuti economici come “privilegi”piuttosto come<br />

condanne che stigmatizzano la diversità. Eppure ne fanno<br />

ricerca.<br />

Se da una parte la ricerca scientifica è sinonimo di<br />

progresso e miglioramento della salute, dall’altra esiste<br />

una ricerca di vita sostenibile, di legami parentali e<br />

amicali, di risorse e strategie quotidiane per vedere soprattutto<br />

l’umano e non il deficit, per continuare ad inseguire<br />

il senso dello stare al mondo.<br />

Questa ricerca ci coinvolge tutti, professionisti, parenti,<br />

amici, soci. La meta, l’obiettivo agognato è la costituzione<br />

di un’alleanza tra le competenze in una scala non<br />

gerarchica ma circolare, dove ognuno investe le proprie<br />

risorse e ne cerca altre. Questo è un compito arduo

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