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| economiaetica |<br />
parte “chiuse” nelle Teche Rai. Programmi<br />
andati in onda una o poche volte (o mai<br />
andati in onda), magari ad orari improbabili,<br />
che possono tornare di dominio pubblico.<br />
Una parte importante di questi contenuti<br />
può già essere messa a disposizione<br />
degli individui perché la Rai ne detiene<br />
pieni diritti di diffusione attraverso le reti<br />
digitali (o perché sono ormai nel pubblico<br />
dominio, o perché ha precedentemente<br />
acquisito dagli aventi diritto la facoltà di<br />
diffonderli e/o consentirne la modifica).<br />
L’OCSE, sulla scorta di quanto già disposto<br />
dalla direttiva Ue in tema di Informazione<br />
del Servizio Pubblico, ha recentemente riconosciuto<br />
l’importanza di mettere a disposizione<br />
di tutti gli individui contenuti<br />
pubblici. In Gran Bretagna, la BBC ha già<br />
percorso con successo la strada di mettere<br />
a disposizione dei cittadini britannici gratuitamente<br />
una parte dei propri archivi<br />
(attraverso licenze Creative Archives).<br />
Non è un caso che il “padre” delle licenze<br />
Creative Commons <strong>La</strong>wrence Lessig<br />
abbia deciso di appoggiare interamente l’iniziativa<br />
con una lettera aperta pubblicata<br />
sul Sole 24Ore dell’11 gennaio. “<strong>La</strong> proposta,”<br />
scrive Lessig, “da una parte riempie di<br />
soddisfazione noi tutti che abbiamo lavorato<br />
per realizzare e mettere a disposizione<br />
del pubblico le licenze Creative Commons<br />
e, dall’altra, realizza gli obiettivi di una moderna<br />
istituzione pubblica d’informazione,<br />
offrendo un’occasione di crescitaa creativa,<br />
culturale ed economica per l’Italia.”<br />
Un vantaggio per tutti<br />
Il denaro pubblico speso negli anni per<br />
realizzare la preziosa collezione di contenuti<br />
della Rai, patrimonio culturale e memoria<br />
collettiva di tutti gli Italiani, trova<br />
insomma la sua più nobile capitalizzazione<br />
nel mettere a disposizione di tutti gli individui<br />
quei contenuti. Al tempo stesso, il servizio<br />
pubblico potrebbe avere un maggiore ritorno economico<br />
sfruttando la comunicazione pubblicitaria dei<br />
suoi oltre 350 siti internet, prima di tutto quelli delle<br />
teche (Rewind, Raiclick, Techerai) e offrendo servizi<br />
per esigenze commerciali specifiche.<br />
Il passaggio successivo è tutto fuorché scontato e<br />
le resistenze interne alla Rai non mancano: che si investa<br />
realmente nella multimedialità (e nelle diverse<br />
piattaforme: internet, Iptv, mobile) e si applichino<br />
concretamente e in tempi brevi gli strumenti attuati-<br />
| 40 | valori | ANNO 7 N.46 | FEBBRAIO 2007 |<br />
IL TESTO DELL’ARTICOLO 6 [SEGUE]<br />
C] negoziare l’acquisizione dei diritti per la diffusione<br />
sul web di tutti i contenuti trasmessi nell’ambito<br />
dell’offerta radiotelevisiva. A tal fine, la RAI<br />
si impegna a destinare all’acquisizione di tali diritti<br />
non meno del 7% di tutte le risorse finanziarie<br />
da essa impiegate per la produzione o acquisizione<br />
di contenuti trasmessi nell’ambito dell’offerta<br />
radio-televisiva;<br />
D] offrire una produzione di contenuti specifica<br />
per il portale RAI.IT;<br />
E] offrire all’utenza, nell’ambito della licenza nota<br />
come Creative Commons, la possibilità di scaricare<br />
via Internet tutti i contenuti radio-televisivi<br />
prodotti dalla RAI mediante proventi dei canoni<br />
di abbonamento;<br />
G] offrire a tutti i siti web, che si impegnino<br />
a rispettare l’integrità dei contenuti e la restrizione<br />
dell’accesso a tali contenuti nell’ambito<br />
del territorio nazionale, la possibilità di distribuire<br />
tutti i contenuti presenti sul portale RAI.IT, nei limiti<br />
della propria disponibilità dei diritti su tali contenuti;<br />
H] offrire agli utenti spazi di comunicazione<br />
e discussione all’interno del portale RAI.IT,<br />
con adeguata visibilità, inclusa la possibilità<br />
di commentare l’intera programmazione<br />
radio-televisiva RAI, e la possibilità di pubblicare<br />
contenuti auto-prodotti dagli utenti stessi;<br />
I] promuovere il portale RAI.IT attraverso tutti<br />
i programmi radio-televisivi che offrano contenuti<br />
su detto portale in modo da incrementare il numero<br />
di utenti unici che visitano detto portale;<br />
L] sviluppare interfacce tecnologiche per la diffusione<br />
dei contenuti del portale RAI.IT su tutti i principali<br />
nuovi dispositivi di fruizione audiovisiva disponibili<br />
sul mercato, incluso cellulari, pda, lettori audio<br />
portatili, lettori video portatili, set-top-box IPTV<br />
e console da videogiochi collegati ad Internet;<br />
M] sviluppare un’offerta specifica internazionale<br />
per le comunità di Italiani residenti all’estero<br />
e per la promozione economico, culturale<br />
e turistica del paese all’estero.<br />
4. <strong>La</strong> RAI è tenuta a trasmettere al Ministero<br />
e all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni,<br />
per ciascun semestre, entro i successivi tre mesi,<br />
una dettagliata informativa circa il numero<br />
dei contenuti pubblicati e del traffico giornaliero<br />
generato dall’utenza per ciascun sito del portale<br />
RAI, con riferimento particolare agli utenti unici,<br />
ai tempi medi di fruizione, alle tecnologie impiegate<br />
per accedere e alla provenienza degli utenti".<br />
vi (e quelli per vigilare sulla implementazione).<br />
Un esempio è quello di reimpostare<br />
per il futuro le politiche di procurement<br />
dei diritti d’autore, per far sì che non<br />
vi siano ostacoli legali alla diffusione con<br />
licenze libere dei contenuti prodotti dalla<br />
Rai stessa.<br />
Limiti e aspetti<br />
controversi<br />
Ci sono inoltre una serie di limiti nel nuovo<br />
contratto, che andrebbero superati, come<br />
quello della diffusione dei contenuti ristretta<br />
“agli utenti che si collegano ad<br />
Internet dal territorio nazionale”: un controsenso<br />
al servizio pubblico universale e<br />
un provvedimento che esclude una parte<br />
importante di fruitori, quali i cittadini italiani<br />
residenti all’estero. Ma soprattutto,<br />
non molto rispettoso della privacy, dal momento<br />
che prevede l’identificazione della<br />
provenienza del collegamento dell’utente.<br />
Oppure il fatto che la Rai insista che il<br />
canone venga esteso de facto come imposta<br />
di proprietà a computer e telefonini<br />
connessi a internet e non solo per i televisori,<br />
come paventa l’associazione Altroconsumo.<br />
Si basa su una legge non proprio<br />
al passo con i tempi: il Regio decreto<br />
246 del 1938 sulla “Disciplina degli abbonamenti<br />
alle radioaudizioni”, che nel<br />
1975 è stato aggiornato alla “diffusione radiofonica<br />
e televisiva”, mantenendo però<br />
invariato il carattere di tassa di possesso<br />
più che di abbonamento al servizio.<br />
<strong>La</strong> sostanza, comunque, è quella di una<br />
grande svolta nel modo di concepire il rapporto<br />
tra servizio pubblico e cittadinocontribuente-utente,<br />
dove la televisione di<br />
Stato non è più un feudo dei potentati di<br />
turno e si distingue veramente – per qualità<br />
e tipologia dell’offerta – dall’emittenza<br />
commerciale. Grazie all’apertura e alla “liberazione”<br />
dei contenuti, infatti, potranno<br />
essere i cittadini a scegliere e vigilare sulla qualità<br />
della programmazione, costringendo la Rai a migliorare<br />
il servizio.<br />
Le licenze Creative Commons sono nate per cogliere<br />
le opportunità offerte dalle nuove tecnologie,<br />
mettendo a disposizione un ventaglio di licenze che<br />
rendono facile la circolazione delle opere nelle reti digitali.<br />
Sono oggi disponibili online oltre 150 milioni<br />
di opere con licenze CC. In Italia, è il Politecnico di<br />
Torino ad occuparsi dell’adattamento alla legislazione<br />
italiana (www.creativecommons.it)..<br />
Il marchio<br />
che riconosce<br />
l’impresa<br />
che vuole<br />
essere sociale<br />
| trasparenza | economiaetica |<br />
L’Ong toscana Ucodep ha vinto l’Oscar di Bilancio, l’unico premio nazionale riconosciuto dalla comunità<br />
economico-finanziaria che identifica le imprese, organizzazioni pubbbliche, assicurazioni, banche e associazioni non profit<br />
che siano riuscite ad realizzare la migliore comunicazione economica, sociale e ambientale.<br />
NON CAPITA TUTTI I GIORNI DI VINCERE UN OSCAR, soprattutto<br />
se è l’Oscar di Bilancio, che premia quelle che la FERPI<br />
(Federazione Relazioni Pubbliche Italiana) considera le<br />
migliori imprese per gestione e trasparenza<br />
di Jason Nardi<br />
amministrativa. A vincerlo per il settore<br />
non profit è stata l’Ong toscana Ucodep.<br />
Sul podio, accanto all’associazione aretina, le imprese private premiate<br />
sono state la SAI assicurazioni, la banca Monte dei Paschi di Siena,<br />
la FIAT SpA e l’azienda Indesit Company (per la governance societaria),<br />
mentre è andato al Comune di Brescia il premio per le amministrazioni<br />
pubbliche. “Questi bilanci,” afferma la FERPI, “eccellono per la capacità<br />
di comunicare identità e scopi dell’organizzazione, e illustrano<br />
anche le ragioni delle scelte sul campo effettuate da ciascun ente.”<br />
L’Oscar di Bilancio è, ad oggi, l’unico Premio Nazionale di questo<br />
genere riconosciuto dalla comunità economico-finanziaria del nostro<br />
Paese. Dal 1954 l’Oscar di Bilancio premia infatti le imprese, le organizzazioni<br />
pubbliche, le assicurazioni, le banche e le associazioni non<br />
profit che siano riuscite ad attuare la migliore comunicazione economica,<br />
sociale ed ambientale verso tutti i pubblici di riferimento.<br />
<strong>La</strong> motivazione del premio di Ucodep è lusinghiera: il bilancio sociale<br />
è “sorretto da un impianto metodologico che non ha pari nel non<br />
profit per chiarezza e rigore e che riesce ad offrire un eccellente esempio<br />
di rendicontazione e sostenibilità. Rendicontazione sociale ed economica<br />
raggiungono un ottimo livello di integrazione; inoltre, l’accurata<br />
riclassificazione di entrate e uscite offre un quadro di massima<br />
trasparenza su fonti di entrate e destinazione dei ricavi.”<br />
E questo nonostante la Ong di Arezzo sia un’organizzazione di medio-piccole<br />
dimensioni (con un bilancio intorno ai 5 milioni di euro),<br />
ma con una capacità gestionale che le ha permesso di conseguire la certificazione<br />
ISO 9001, di redigere un rapporto sociale e accreditarlo presso<br />
l’Istituto italiano della Donazione (che attesta la correttezza e la qualità<br />
operativa delle organizzazioni che fanno raccolta fondi) sino alla<br />
valutazione positiva dell’agenzia indipendente UN-GURU.<br />
Se qualità, efficienza e professionalità sono termini che si usano so-<br />
prattutto nel mondo aziendale, Ucodep vi fa riferimento come impresa<br />
sociale, sia nelle attività di cooperazione internazionale all’estero, sia<br />
in quelle sul territorio toscano: dalle attività con le scuole, al servizio di<br />
mediazione culturale negli ospedali, dal commercio equo e solidale al<br />
centro di documentazione sull’immigrazione. Negli ultimi anni è aumentata<br />
la raccolta fondi da privati (aziende e cittadini), seppure le entrate<br />
principali derivino ancora per buona parte (71%) da enti pubblici.<br />
<strong>La</strong> tendenza è quella di «mantenere un equilibrio per non avere una<br />
dipendenza da un singolo finanziatore», spiega il direttore Pietro Nibbi.<br />
Nel sistema di qualità di Ucodep, ci sono parametri di rigore che l’organizzazione<br />
si è data, come l’utilizzo dei fondi per il funzionamento<br />
dell’organizzazione (le spese generali sono sotto il 12%) e il fatto che<br />
un donatore non deve superare il 20% del totale di bilancio (Mae e Ue<br />
sono entrambe intorno al 20%). «<strong>La</strong> cooperazione decentrata è uno dei<br />
tratti caratteristici della nostra azione, per cui lavoriamo a stretto contatto<br />
con gli enti locali».<br />
Quali sono gli aspetti critici? Secondo Daniela Tavanti, direttrice<br />
amministrativa, la crescita sostenuta di Ucodep è stata molto impegnativa<br />
e non sempre omogenea: «abbiamo sempre maggiori progetti,<br />
ma le sedi estere si stanno ancora strutturando e devono ancora consolidarsi<br />
negli uffici amministrativi e gestionali. <strong>La</strong> sfida più importante<br />
e difficile è quella di fidelizzare il personale all’estero, perché rimanga<br />
a lavorare con noi a lungo termine. Il meccanismo di comunicazione<br />
con l’estero è ancora da rafforzare, per far capire meglio cosa fa Ucodep<br />
nel complesso e far partecipare maggiormente tutti, dando forza al senso<br />
di appartenenza all’associazione».<br />
Per Ucodep, la trasparenza amministrativa e il bilancio sociale “rappresentano<br />
un investimento importante in termini di risorse per una<br />
migliore qualità e innovazione del nostro lavoro, delle idee e della sperimentazione.<br />
Non è solo la grande impresa che deve fare innovazione<br />
e avere responsabilità sociale», conclude Petrelli, «ma anche l’impresa<br />
sociale. Un pezzo rilevante dell’economia di questo paese viene<br />
dal terzo settore e dobbiamo essere convincenti sul nostro progetto di<br />
innovazione, reggendo il confronto con l’impresa privata». .<br />
| ANNO 7 N.46 | FEBBRAIO 2007 | valori | 41 |