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<strong>Da</strong> leggere - LUGLIO <strong>2010</strong><br />
L<br />
CULTURA E SOCIETÀ<br />
Speciale reportage Atri festival <strong>2010</strong><br />
<strong>Da</strong>niele Mastrogiacomo al Reportage Atri Festival: “I giorni della paura”, testimonianza di un reportage ancora vivo.<br />
Il romanzo racconta l’inferno della prigionia, ma è pietra angolare della lotta per la Vita e per la Libertà.<br />
a seconda edizione del Festival del<br />
Reportage, che si è tenuta ad Atri dal<br />
17 al 20 giugno, non solo ha rappre-<br />
sentato un’occasione di prestigio sia a livello<br />
culturale che turistico per il bellissimo<br />
borgo abruzzese, ma è stato anche teatro di<br />
spunti rifl essivi molto interessanti. Il perno<br />
attorno cui questi ruotavano era il Tempo,<br />
analizzato nelle sue più intime sfaccettature,<br />
attraverso incontri, conferenze, mostre fotografi<br />
che di forte impatto emotivo. Questi<br />
eventi, insieme all’intervento di ospiti di<br />
grande calibro, alla presenza assidua del Direttore<br />
Artistico, Toni Capuozzo, e all’instancabile<br />
collaborazione delle autorità locali,<br />
hanno confl uito verso un unico fi ne:<br />
testimoniare che il Tempo del Reportage<br />
non è fi nito. Forse ridotto, infl azionato, conteso<br />
ma non concluso. L’esperienza che, a<br />
mio parere, ha lasciato una traccia indelebile<br />
in questo senso nell’opinione pubblica, sia<br />
italiana che internazionale, è stata quella di<br />
<strong>Da</strong>niele Mastrogiacomo. Giornalista di Repubblica,<br />
è intervenuto in merito alla guerra<br />
in Afghanistan il 18 giugno, presso il Teatro<br />
Comunale di Atri. Come reporter, ha potuto<br />
osservare da vicino i meccanismi che regolano<br />
lo stile di vita dei Talebani; come uomo,<br />
ha vissuto un drammatico inferno: non poter<br />
decidere della propria vita, divenuta oggetto<br />
di un sequestro terroristico ingiustifi cato. Le<br />
varie polemiche, le promesse non mantenute<br />
da parte del capo talebano che conduceva<br />
l’operazione, l’attesa, le manifestazioni di<br />
solidarietà e di affetto nei suoi confronti<br />
sono nella memoria di tutti. Ma la chiave di<br />
volta che completa questa tragica architettura<br />
ce l’ha offerta lui: nel libro “I giorni della<br />
paura”, scritto due anni dopo la sua liberazione<br />
e riproposto con successo al Festival.<br />
Forse è superfl uo evidenziare il coraggio<br />
dell’autore nel rivivere quei momenti, nel<br />
rivisitare nella scrittura i luoghi della prigionia;<br />
ma è anche una testimonianza preziosa.<br />
Della perdita di libertà; di una società che<br />
strumentalizza la violenza; della morte; della<br />
speranza; del tempo che scorre e che si<br />
teme di non avere più. La prosa di Mastrogiacomo<br />
è estremamente malleabile. Infatti<br />
si adatta alla descrizione puntigliosa dei<br />
paesaggi, delle usanze e dei riti afgani. L’immensa<br />
distesa desertica, incorniciata dalle<br />
cime innevate, i campi di papaveri da oppio,<br />
prima risorsa economica talebana, le preghiere<br />
e le abluzioni continue dei sequestratori,<br />
sempre aggrappati ai kalashnikov, di<br />
cui, a volte, nella lettura, si può quasi sentire<br />
il rumore metallico contro il telaio della<br />
Toyota Corolla su cui effettuavano i loro<br />
continui spostamenti. Le cadenze sono sempre<br />
le stesse, il ritmo è scandito dal ricorrere<br />
dei medesimi dettagli, come avviene anche<br />
nell’indicare i pasti tutti uguali accompagnati<br />
dal solito tè, gli abiti, i turbanti, la precisione,<br />
a volte ansiosa, di tenere sotto controllo<br />
il tempo. Questa, l’autore, non la per-<br />
derà mai. Durante tutti e quindici i giorni del<br />
sequestro, cominciato il 5 e conclusosi il 19<br />
marzo 2007, saprà in ogni istante consapevole<br />
della data. Sì, perché, le bende sugli<br />
occhi o i cappucci sul volto che avrà, oltre a<br />
negargli la visione di particolari eventi o il<br />
riconoscimento di certi luoghi, saranno anche<br />
strumenti impliciti di negazione tempo-<br />
rale. <strong>Da</strong>vanti alla quale, nonostante tutto,<br />
non si arrende. D’altra parte, tutto ciò contribuisce<br />
ad esaltare gli attimi di grande pathos,<br />
angoscia, rassegnazione. Quando viene<br />
sequestrato, Mastrogiacomo è diretto a<br />
Lashkargah, a sessanta chilometri da Kabul,<br />
nel cuore del territorio talebano. Parte insieme<br />
ad un giovane free-lance afgano, Ajmal<br />
Naqshbandi; vengono scortati entrambi da<br />
un autista, Sayed Agha.. Gli era stata promessa<br />
un’intervista al mullah <strong>Da</strong>dullah, supervisore<br />
di quella zona. E artefi ce del sequestro<br />
e delle conseguenti trattative. Cosa<br />
che Mastrogiacomo scoprirà solo in seguito.<br />
L’arresto avviene in pochi minuti, le proteste<br />
servono a poco, se non a procurare una<br />
ferita profonda sul capo del giornalista.<br />
L’accusa è di spionaggio, debole maschera<br />
di un sequestro in piena regola. La speranza<br />
nella liberazione è alimentata dalle continue<br />
menzogne dei Talebani e si dilaterà o sgonfi<br />
erà come un palloncino a seconda dei loro<br />
umori, che si ripercuotono sulle condizioni<br />
fi siche dei prigionieri: percosse, mani e piedi<br />
legati da catene, frustrate. Straordinaria in<br />
Mastrogiacomo è la tenacia nel voler sempre<br />
cercare un contatto, uno scambio anche<br />
di poche parole con i giovanissimi studenti<br />
coranici che lo sorvegliano: questo da un<br />
lato porterà ad un confronto tra la cultura<br />
occidentale e talebana, dall’altro ad una vera<br />
e propria opera di conversione da parte del<br />
coordinatore del gruppo dei sequestratori, il<br />
quale farà leva sull’origine pakistana del<br />
giornalista, arrivando persino a chiedergli se<br />
sia disposto alla circoncisione. Il confronto<br />
interculturale, però, per i Talebani, è solo<br />
pura curiosità, un mezzo per riaffermare le<br />
proprie convinzioni: chiedono come vengono<br />
gestiti i rapporti intimi con le partner dagli<br />
occidentali, come vengono puniti gli as-<br />
sassini e in che misura interviene l’istituzione<br />
religiosa. Mastrogiacomo spiega come la<br />
legge divina sia separata da quella degli uomini.<br />
Per loro è inconcepibile: la religione è<br />
Stato. Il tempo continua a scorrere e il sequestro<br />
impegna forze fresche, da parte dei<br />
Talebani, necessarie alla guerra. I prigionieri<br />
avvertono che c’è l’urgenza di chiudere le<br />
trattative con i governi e le associazioni<br />
coinvolti, pertanto costringono insistentemente<br />
Mastrogiacomo a girare video contenenti<br />
appelli che possano far accelerare la<br />
situazione. I sequestratori cambiano di continuo<br />
e fa per la prima volta la sua comparsa<br />
un cameraman. Insieme a quest’ultimo, il 16<br />
marzo vengono portati sulle rive del fi ume<br />
Helmand. Scesi dalla jeep, i prigionieri vengono<br />
fatti inginocchiare e bendare, mentre la<br />
telecamera riprende. Mastrogiacomo non<br />
capisce. Cerca spiegazioni, fi no a poche ore<br />
prima erano insieme a condividere il pasto<br />
comune, ora sono circondati da armi. I suoi<br />
compagni si disperano. Pochi secondi e l’autista<br />
venticinquenne, Sayed Agha, viene ucciso,<br />
sgozzato, e la sua testa recisa dal tronco.<br />
Il giornalista riesce a vedere tutto e il<br />
terrore l’assale: l’ultimatum sta per scadere.<br />
La narrazione ora rallenta; si sente la pausa<br />
di dolore, di morte che aleggia nella prigione.<br />
La disperazione è muta, ma parla attraverso<br />
lo shock dei superstiti. La scrittura<br />
pregnante riesce a mostrare il peso enorme<br />
della paura. Altri video, alcuni dei quali mai<br />
13<br />
arrivati alle autorità, e una chiamata con un<br />
telefono satellitare alla redazione di Repubblica<br />
sembrano sbloccare la situazione.<br />
Dopo tre giorni dall’assassinio di Sayed,<br />
Mastrogiacomo e Ajmal apprendono dai Talebani<br />
di essere liberi. Non ci credono: la<br />
rabbia, la paura, l’impotenza sono troppe.<br />
Ma le catene vengono spezzate davanti ai<br />
loro occhi. I sequestratori festeggiano: hanno<br />
ottenuto lo scambio pattuito, la liberazione<br />
di cinque prigionieri talebani. Le strade<br />
dei due prigionieri si dividono: Ajmal viene<br />
portato a Kabul, Mastrogiacomo alla sede di<br />
Emergency a Lashkargah, trasferito fi sicamente<br />
del mediatore del sequestro, Rahmatullah<br />
Hanefi . Questi verrà arrestato cinque<br />
ore dopo la liberazione del giornalista dalla<br />
polizia afgana e rilasciato solo dopo quasi<br />
novanta giorni di carcere. Prima di partire i<br />
due compagni si guardano. Ajmal sorride,<br />
potrà tornare a lavorare e rivedere fi nalmente<br />
la sua famiglia. Mastrogiacomo, accolto,<br />
al suo arrivo alla sede dell’associazione<br />
umanitaria, da Gino Strada, provato, stanco,<br />
riesce a contattare la redazione, per cui scrive<br />
subito un pezzo, e la moglie. Aspri tumulti<br />
montano fuori dalla sede di Emergency,<br />
per il suo rilascio. Si organizza il più in fretta<br />
possibile il suo rientro a Roma, e, fi nalmente,<br />
<strong>Da</strong>niele Mastrogiacomo riesce a lasciare<br />
l’Afghanistan, per sempre. La vicenda,<br />
però, non si conclude in fretta per il<br />
giornalista. Infatti, pochi giorni dopo, apprende<br />
che Ajmal è stato di nuovo preso<br />
dopo la sua liberazione, sorte che sarebbe<br />
dovuta toccare anche a lui. Tuttavia, non si<br />
arrende: lavora giorno e notte per il suo rilascio,<br />
mobilitando i giornali locali di Kabul,<br />
trattando con l’ambasciatore afgano in Italia.<br />
Ma l’8 aprile 2007 giunge la terribile<br />
notizia: Ajmal è stato giustiziato. Mastrogiacomo<br />
chiude il suo romanzo affermando la<br />
sua responsabilità per la perdita dei suoi<br />
compagni di lavoro, due amici che dipendevano<br />
da lui. Questa è una scheggia di vita<br />
piccola, ma densa, che ha una carica dentro<br />
di sé impressionante. Non è solo un romanzo.<br />
Perché leggendo semplicemente un libro,<br />
la fantasia è libera di immaginare luoghi,<br />
persone, fatti. Qui la fantasia non c’è,<br />
non perché bandita, ma perché sostituita dalla<br />
realtà: le foto, i video, gli articoli sono<br />
tutti veri. E lasciano un senso di stordimento<br />
diffi cile da spiegare. Come gli storici non<br />
inseriscono nei libri di storia fatti non metabolizzati<br />
e analizzati nella giusta misura perché<br />
accaduti troppo di recente, così lo sgomento<br />
di vivere “I giorni della paura” nelle<br />
parole di Mastrogiacomo e scoprire che su<br />
Internet sono reperibili a tutti video e foto di<br />
quella vicenda, lascia uno strappo dentro e<br />
un’angoscia che nemmeno le lacrime riescono<br />
a colmare.<br />
Cristina Santonastaso