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Bilancio 2006:<br />

pace, famiglia, dialogo<br />

Riflessioni su:<br />

Patriarca di Occidente<br />

Riunificazione della<br />

Chiesa Russa<br />

La visita di<br />

Benedetto XVI<br />

al Patriarca<br />

Ecumenico<br />

Bartolomeo I<br />

Rivista trimestrale del Centro Ecumenico “P. Salvatore Manna” - Bari<br />

Anno XXV - Ottobre/Dicembre 2006 4/06


ANNO XXV - OTTOBRE-DICEMBRE 2006 N. 4/06<br />

S<br />

Rivista del Centro Ecumenico P. Salvatore Manna<br />

Frati Domenicani - Largo Abate Elia, 13<br />

70122 Bari (Italia)<br />

tel. 080.5737111 fax 080.5737261<br />

www.basilicasannicola.org<br />

info@basilicasannicola.org<br />

Associazione Editoriale <strong>Basilica</strong> <strong>San</strong> <strong>Nicola</strong> di Bari<br />

Autorizzazione Tribunale di Bari n. 674 del 20.3.1982<br />

Direttore: p. Damiano Bova o.p.<br />

ommario<br />

Biagio Costa OP<br />

Editoriale...........................................................p.3<br />

Bilancio 2006<br />

pace, famiglia, dialogo.....................................p. 4<br />

Dichiarazione Cattolico-Anglicana..................p. 5<br />

Dichiarazione Cattolico-Ortodossa..................p. 7<br />

Lorenzo Lorusso OP<br />

Il valore giuri<strong>dic</strong>o delle Dichiarazioni Comuni<br />

tra la Chiesa cattolica e le altre Confessioni cristiane.... p. 10<br />

Vittorio Parlato<br />

Il Vescovo di Roma, Patriarca di Occidente<br />

Alcune riflessioni.................................................p. 14<br />

Gerardo Cioffari OP<br />

Il ritorno dalla diaspora?....................................p. 22<br />

Crisostomos Sabbatos<br />

Dialogo teologico cattolico-ortodosso:<br />

Assemblea Plenaria di Belgrado ...........................p. 25<br />

Gianpaolo Pagano OP<br />

Sola Scriptura:<br />

un tentativo di ‘deellenizzazione’? ......................p. 27<br />

Rosario Scognamiglio OP<br />

“La santità va oltre gli angusti<br />

confini degli scismi”.............................................p. 30<br />

Fanar, 30 Novembre 2006. Stretta di mano fra Benedetto XVI e Bartolomeo I.<br />

Direttore Responsabile: Vito Maurogiovanni<br />

Redattore: p. Lorenzo Lorusso o.p. - lorlorus@libero.it<br />

Progetto Grafico: p. <strong>San</strong>to Pagn<strong>ott</strong>a o.p. - santo@domenicani.net<br />

Stampa: Levante Editori, Bari<br />

C/C Postale 13972708 intestato a<br />

<strong>San</strong>tuario di <strong>San</strong> <strong>Nicola</strong> 70122 Bari<br />

contributo per O ODIGOS - LA GUIDA


Giunti alle soglie del nuovo anno il nostro gruppo di redazione è inevitabilmente<br />

spinto dalla necessità di de<strong>dic</strong>are il presente numero di O<br />

Odigos-La Guida ad un primo sommario bilancio di quegli eventi che<br />

hanno segnato il cammino del dialogo ecumenico durante il 2006.<br />

Tralasciando ogni nota decorativa o celebrativa, seppure legittima, dei<br />

più significativi avvenimenti ecumenici, ci proponiamo di scandagliare i loro<br />

risvolti concreti sul piano di un reale progresso nel dialogo ecumenico.<br />

Vittorio Parlato e Gerardo Cioffari nei loro articoli approfondiscono, il<br />

primo, la mancata in<strong>dic</strong>azione nell'Annuario Pontificio del 2006 del titolo di<br />

Patriarca d'Occidente spettante al Sommo Pontefice e, il secondo, l'Atto di<br />

unità canonica (California 2006) tra la Chiesa ortodossa patriarcale di Mosca<br />

e quella ortodossa russa cosiddetta Oltre-Frontiera, separatasi a seguito della<br />

Rivoluzione bolscevica.<br />

Entrambi i nostri autori mettono in rilievo l'opportunità per le Chiese<br />

di ogni confessione di valutare l'incidenza che possono avere in ambito ecumenico<br />

certi atti ufficiali, sebbene riguardino esclusivamente fatti interni a ciascuna<br />

di loro, e la necessità di acquisire una maggiore sensibilità verso le tradizioni<br />

teologico-culturali proprie delle altre confessioni cristiane, in un tempo<br />

in cui i fedeli hanno recepito l'esigenza di una testimonianza comune dinanzi<br />

alle sfide poste dai cambiamenti dell'attuale società.<br />

Dal momento che risulta di vitale importanza tenere in debita considerazione<br />

anche il punto di vista di chi è "altro", perché il dialogo ecumenico<br />

divenga realmente incisivo, proponiamo ai nostri lettori la relazione del grecoortodosso<br />

P. Crisostomos Sabbatos circa il lavoro svolto dalla Commissione<br />

mista per il dialogo teologico tra Chiesa cattolica e Chiese ortodosse, durante<br />

l'assemblea plenaria di Balgrado (18-24 settembre).<br />

Con gratitudine, inoltre, pubblichiamo il ricordo di Rosario<br />

Scognamiglio sulla figura del Metropolita di Efeso, Sua Eminenza<br />

Chrysostomos Konstantinidis, che ha "sciolto le vele" il 13 <strong>ott</strong>obre scorso.<br />

Quella di Scognamiglio è sì un accorato ricordo di una personalità<br />

unica, antesignana nella sua concreta azione pastorale dell'ecumenismo della<br />

santità, ma è anche una viva testimonianza di un ecumenismo incentrato non<br />

tanto su un accademismo teologico, quanto sull'amore fraterno che lega tutti<br />

i cristiani innestati nell'unica vite, il Signore nostro Gesù Cristo.<br />

Lorenzo Lorusso, infine, affrontando il tema delle Dichiarazioni comuni<br />

tra la Chiesa cattolica e le altre confessioni cristiane, pone l'importante questione<br />

del loro valore giuri<strong>dic</strong>o, che potrebbe segnare un ulteriore passo in<br />

avanti non soltanto nella ricezione dei contenuti di quelle Dichiarazioni, ma<br />

anche nella crescita di consapevolezza entro le diverse confessioni cristiane di<br />

una comunione di intenti su problematiche etiche e sociali.<br />

Editoriale<br />

di P. Biagio Costa O.P.<br />

3


4<br />

Bilancio 2006:<br />

pace, famiglia, dialogo<br />

L'anno del Signore 2006 è terminato ed i<br />

grandi temi che hanno caratterizzato il<br />

ministero del Vescovo di Roma sono stati la<br />

promozione della pace, la tutela della famiglia e<br />

l'incentivazione del dialogo ecumenico ed interreligioso.<br />

Benedetto XVI ha presentato il suo<br />

bilancio incontrando il 22 <strong>dic</strong>embre i Cardinali e<br />

i membri della Famiglia Pontificia e della Curia<br />

Romana per porgere loro gli auguri di Natale. Il<br />

Papa si è soffermato sulla correlazione del tema<br />

"Dio" con il tema "pace", ed ha ripercorso i quattro<br />

viaggi apostolici internazionali che ha compiuto<br />

nel 2006: in Polonia (dal 25 al 28 maggio),<br />

a Valencia (l'8 e il 9 luglio), in Baviera (dal 9 al<br />

14 settembre) e in Turchia (dal 28 novembre al 1°<br />

<strong>dic</strong>embre).<br />

Polonia<br />

La visita in Polonia è stata per il Papa, nel<br />

senso più profondo, "una festa della cattolicità".<br />

"Cristo è la nostra pace che riunisce i separati:<br />

Egli, al di là di tutte le diversità delle epoche storiche<br />

e delle culture, è la riconciliazione.<br />

Mediante il ministero petrino sperimentiamo<br />

questa forza unificatrice della fede che, sempre di<br />

nuovo, partendo dai molti popoli edifica l'unico<br />

popolo di Dio. Con gioia abbiamo fatto realmente<br />

questa esperienza che, provenendo da molti<br />

popoli, noi formiamo l'unico popolo di Dio, la<br />

sua santa Chiesa". Il Vescovo di Roma ha concluso<br />

affermando: "Per questo il ministero petrino<br />

può essere il segno visibile che garantisce questa<br />

unità e forma un'unità concreta".<br />

Spagna<br />

Il viaggio a Valencia ha avuto come<br />

obiettivo principale l'Incontro Mondiale delle<br />

Famiglie con il Papa. In questo contesto, ha<br />

manifestato la sua "preoccupazione per le leggi<br />

sulle coppie di fatto". "Quando vengono create<br />

nuove forme giuri<strong>dic</strong>he che relativizzano il<br />

matrimonio, la rinuncia al legame definitivo<br />

<strong>ott</strong>iene, per così dire, anche un sigillo giuri<strong>dic</strong>o.<br />

In tal caso il decidersi per chi già fa fatica diventa<br />

ancora più difficile".<br />

Germania<br />

Ricordando la sua visita a Monaco,<br />

Altötting, Ratisbona e Frisinga, ha spiegato che<br />

uno dei suoi temi centrali è stato quello del dia-<br />

logo. "Diventa sempre più evidente quanto<br />

urgentemente il mondo abbia bisogno del dialogo<br />

tra fede e ragione", soprattutto quando "la<br />

capacità cognitiva dell'uomo, il suo dominio<br />

sulla materia mediante la forza del pensiero, ha<br />

fatto nel frattempo progressi allora inimmaginabili.<br />

Ma il potere dell'uomo, che gli è cresciuto<br />

nelle mani grazie alla scienza, diventa sempre<br />

più un pericolo che minaccia l'uomo stesso e il<br />

mondo". "La fede in quel Dio che è in persona la<br />

Ragione creatrice dell'universo deve essere accolta<br />

dalla scienza in modo nuovo come sfida e<br />

chance", ha s<strong>ott</strong>olineato il <strong>San</strong>to Padre spiegando<br />

il suo famoso discorso del 12 settembre a<br />

Ratisbona.<br />

Il 13 settembre 2006, durante la sua visita<br />

in Baviera, Benedetto XVI ha affermato che i<br />

tre elementi per far progredire il cammino verso<br />

l'unità piena e visibile fra i cristiani sono la "confessione"<br />

di Cristo, la "testimonianza" e l'"amore".<br />

All'incontro, al quale hanno partecipato i rappresentanti<br />

di varie Chiese e Comunità ecclesiali<br />

della Baviera, della Chiesa Luterana e della<br />

Chiesa Ortodossa bavarese, il Papa ha ricordato i<br />

due grandi obiettivi ecumenici raggiunti negli<br />

ultimi tempi: la firma della Dichiarazione congiunta<br />

di cattolici e luterani sulla D<strong>ott</strong>rina della<br />

giustificazione e la ripresa del dialogo teologico<br />

fra cattolici e ortodossi. Nel guardare al futuro<br />

del cammino ecumenico, il Papa ha riflettuto sul<br />

capitolo quarto della prima lettera di <strong>San</strong><br />

Giovanni. In primo luogo, l'apostolo presenta ciò<br />

che distingue i cristiani: la professione di fede,<br />

vale a dire, la confessione: "la fede, cioè, nel fatto<br />

che Gesù è il Figlio di Dio venuto nella carne".<br />

"Nell'epoca degli incontri multireligiosi siamo<br />

facilmente tentati di attenuare un po' questa<br />

confessione centrale o addirittura di nasconderla.<br />

Ma con ciò non rendiamo un servizio all'incontro,<br />

né al dialogo", ha osservato il <strong>San</strong>to<br />

Padre. "Con ciò rendiamo soltanto Dio meno<br />

accessibile, per gli altri e per noi stessi. È importante<br />

che noi poniamo in discussione in modo<br />

completo e non soltanto frammentario la nostra<br />

immagine di Dio", ha detto. "In questa nostra<br />

comune confessione e in questo nostro comune<br />

compito non esiste alcuna divisione tra noi", ha<br />

detto il Papa nel rivolgersi ai seguaci della<br />

Riforma protestante e agli ortodossi, invitandoli<br />

poi a pregare "affinché questo fondamento


comune si rafforzi sempre di più". In secondo<br />

luogo, ha spiegato che questa confessione della<br />

fede in Cristo unico salvatore dell'essere umano<br />

"deve diventare testimonianza". La testimonianza<br />

dei cristiani delle diverse comunità, ha spiegato<br />

il Papa, deve portare i suoi contemporanei a<br />

percepire nuovamente "Gesù, il Figlio mandato<br />

da Dio, nel quale vediamo il Padre". "Essere testimone<br />

di Gesù Cristo significa soprattutto: essere<br />

testimone di un determinato modo di vivere". "In<br />

un mondo pieno di confusione, noi dobbiamo<br />

dare nuovamente testimonianza degli orientamenti<br />

che rendono una vita veramente vita - ha<br />

continuato - . Questo importante compito<br />

comune a tutti i credenti lo dobbiamo affrontare<br />

con grande decisione: è responsabilità dei cristiani,<br />

in questa ora, di rendere visibili quegli orientamenti<br />

di un giusto vivere, che a noi si sono<br />

Rowan Williams, Williams,<br />

Arcivescovo di Canterbury<br />

Il 23 novembre 2006 Benedetto XVI ha ricevuto in<br />

udienza il Primate della Comunione Anglicana,<br />

l'Arcivescovo Rowan Williams di Canterbury, in<br />

occasione dei quarant'anni dello storico incontro tra<br />

l'allora Arcivescovo di Canterbury, Michael Ramsey, e<br />

Papa Paolo VI, che ha dato origine a una nuova era di<br />

rapporti dopo la r<strong>ott</strong>ura verificatasi al tempo di<br />

Enrico VIII nel XVI secolo. Il Vescovo di Roma ha riconosciuto<br />

che negli ultimi tre anni lo stesso Arcivescovo<br />

Williams "ha parlato apertamente delle tensioni e<br />

delle difficoltà che assediano la Comunione Anglicana<br />

e quindi dell'incertezza del futuro della Comunione<br />

stessa". "Recenti sviluppi, soprattutto relativi al ministero<br />

ordinato e a certi insegnamenti morali, hanno<br />

interessato non solo i rapporti interni alla Comunione<br />

Anglicana, ma anche i rapporti tra la Comunione<br />

Dichiarazione comune<br />

Cattolico-Anglicana<br />

chiariti in Gesù Cristo". Infine, il Papa ha presentato<br />

come terza chiave di volta per progredire nel<br />

cammino verso l'unità fra i credenti in Cristo<br />

l'"agape - amore". Il Papa ha quindi ricordato la<br />

frase da lui analizzata e contenuta nel Nuovo<br />

Testamento: "Noi abbiamo riconosciuto e creduto<br />

all'amore che Dio ha per noi" (1 Gv 4, 16). "Sì,<br />

all'amore l'uomo può credere. Testimoniamo la<br />

nostra fede così che appaia come forza dell'amore,<br />

perché il mondo creda", ha infine concluso.<br />

Il 2006 si è concluso con tre avvenimenti<br />

importanti s<strong>ott</strong>o il profilo ecumenico: le<br />

Dichiarazioni Comuni siglate con il Primate<br />

d'Inghilterra, il Patriarca Ecumenico e il Primate<br />

di Grecia. Presentiamo brevemente le prime due,<br />

rinviando al nuovo anno il commento alla terza,<br />

avvenuta a Roma il 16 <strong>dic</strong>embre.<br />

Anglicana e la Chiesa cattolica". La decisione della<br />

Chiesa d'Inghilterra di approvare l'ordinazione di<br />

donne sacerdote, nel 1992, è diventata uno dei problemi<br />

nella via verso la piena unità tra le due Chiese. Nel<br />

2003, Vescovi anglicani di Africa, Asia e America<br />

Latina hanno criticato duramente la decisione della<br />

Chiesa Episcopale degli Stati Uniti (appartenente alla<br />

Comunione Anglicana) di designare Vescovo un omosessuale<br />

nel New Hampshire. La Chiesa Episcopale<br />

degli Stati Uniti ha anche nominato Presidente per la<br />

prima volta una donna, Katharine Jefferts Schori,<br />

fino a poco tempo fa "Vescovo" del Nevada. Il Papa ha<br />

auspicato che la Comunione Anglicana rimanga ra<strong>dic</strong>ata<br />

nei Vangeli e nella Tradizione Apostolica, "che<br />

formano il nostro patrimonio comune e sono le basi<br />

della nostra comune aspirazione a lavorare per la<br />

piena unità visibile". Dopo aver firmato una<br />

"Dichiarazione Comune" in presenza dei membri della<br />

delegazione anglicana e dei rappresentanti cattolici,<br />

questi ultimi guidati dal Cardinale Cormac Murphy-<br />

O'Connor, Arcivescovo di Westminster, il <strong>San</strong>to Padre<br />

ha presieduto, nella Cappella "Redemptoris Mater", la<br />

Celebrazione dell'Ora Media alla quale ha partecipato<br />

Sua Grazia il Dr. Rowan Williams, con la delegazione<br />

al seguito. Williams ha detto di essere stato rincuorato<br />

dal modo in cui dall'inizio del suo ministero<br />

l'attuale Pontefice abbia s<strong>ott</strong>olineato l'importanza<br />

dell'ecumenismo. Il Primate della Comunione<br />

Anglicana ha riconosciuto che "la via verso l'unità non<br />

è facile e che le dispute su come applichiamo il Vangelo<br />

alle sfide presentate dalla società moderna possono<br />

spesso oscurare o perfino minacciare i successi del dialogo,<br />

della testimonianza comune e del servizio".<br />

L'Arcivescovo ha quindi detto al Papa di essere giunto<br />

in Vaticano "per celebrare la partnership tra anglicani<br />

e cattolici romani, ma anche pronto a capire le<br />

preoccupazioni che vorrà condividere con me".<br />

5


6<br />

DICHIARAZIONE COMUNE<br />

DEL PAPA BENEDETTO XVI<br />

E DELL'ARCIVESCOVO DI CANTERBURY<br />

SUA GRAZIA ROWAN WILLIAMS<br />

[fonte www.vatican.va]<br />

Dal Vaticano, 23 novembre 2006<br />

Quarant'anni fa, i nostri predecessori, il Papa<br />

Paolo VI e l'Arcivescovo Michael Ramsey, si<br />

incontrarono in questa città santificata dal<br />

ministero e dal sangue degli Apostoli Pietro e Paolo.<br />

Essi diedero inizio ad un nuovo cammino di<br />

riconciliazione basato sui Vangeli e sulle antiche<br />

tradizioni comuni. Secoli di estraniamento fra<br />

Anglicani e Cattolici furono sostituiti da un nuovo<br />

desiderio di collaborazione e cooperazione, dato che<br />

la comunione reale, anche se incompleta fra noi, fu<br />

riscoperta e affermata. Il Papa Paolo VI e<br />

l'Arcivescovo Ramsey si impegnarono allora ad<br />

instaurare un dialogo nel quale questioni che erano<br />

state motivo di divisione nel passato potessero essere<br />

affrontate da una nuova prospettiva con verità e<br />

carità.<br />

Da quell'incontro, la Chiesa Cattolica<br />

Romana e la Comunione Anglicana sono entrate in<br />

un processo di dialogo fecondo contraddistinto<br />

dalla scoperta di elementi significativi di fede condivisa<br />

e da un desiderio di dare espressione, attraverso<br />

la preghiera comune, alla testimonianza e al<br />

servizio, a ciò che abbiamo in comune. Nell'arco dei<br />

trascorsi trentacinque anni, la Commissione<br />

Internazionale Anglicana - Cattolica romana<br />

(ARCIC) ha prod<strong>ott</strong>o un certo numero di documenti<br />

importanti tesi ad articolare la fede che condividiamo.<br />

Nei dieci anni trascorsi dalla firma della più<br />

recente Dichiarazione Comune da parte del Papa e<br />

dell'Arcivescovo di Canterbury, la seconda fase<br />

dell'ARCIC ha completato il suo mandato con la<br />

pubblicazione dei documenti The Gift of Authority<br />

(1999) e Mary: Grace and Hope in Christ (2005).<br />

Siamo grati ai teologi che hanno pregato e lavorato<br />

assieme nella redazione di questi testi che attendono<br />

ulteriore studio e riflessione.<br />

L'ecumenismo autentico va oltre il dialogo<br />

teologico; esso tocca la nostra vita spirituale e la<br />

nostra comune testimonianza. Mentre il dialogo si<br />

sviluppava, molti Cattolici e Anglicani hanno trovato<br />

gli uni negli altri un amore per Cristo che ci<br />

invita a una cooperazione e a un servizio concreti.<br />

Questa comunanza nel servizio di Cristo, sperimentata<br />

da molte delle nostre comunità in tutto il<br />

mondo, aggiunge ulteriore impulso ai nostri rapporti.<br />

La Commissione Internazionale Anglicana -<br />

Cattolica Romana per l'Unità e la Missione (IARC-<br />

CUM) si è impegnata nell'esplorazione di modi<br />

appropriati per promuovere ed alimentare la<br />

nostra comune missione di annunciare al mondo la<br />

nuova vita in Cristo. Il resoconto della Commissione,<br />

che comprende un sommario delle conclusioni<br />

principali dell'ARCIC e avanza proposte per pro-<br />

gredire insieme nella missione e nella testimonianza,<br />

è stato completato di recente e s<strong>ott</strong>oposto per la<br />

revisione all'Ufficio della Comunione Anglicana e al<br />

Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità<br />

dei Cristiani. Esprimiamo la nostra gratitudine per<br />

la loro opera.<br />

In questa visita fraterna, celebriamo il bene<br />

scaturito da questi quattro decenni di dialogo. Siamo<br />

grati a Dio per i doni di grazia che li hanno accompagnati.<br />

Allo stesso tempo, il nostro lungo cammino<br />

comune rende necessario riconoscere pubblicamente la<br />

sfida rappresentata da nuovi sviluppi che, oltre a essere<br />

fonte di divisione per gli Anglicani, presentano seri<br />

ostacoli al nostro progresso ecumenico. È dunque<br />

urgente che, nel rinnovare il nostro impegno a proseguire<br />

il cammino verso la piena e visibile comunione<br />

nella verità e nell'amore di Cristo, ci impegniamo anche<br />

a continuare il dialogo per affrontare le importanti questioni<br />

implicate negli emergenti fattori ecclesiologici ed<br />

etici, che rendono tale cammino più difficile e arduo.<br />

Come capi cristiani che affrontano le sfide<br />

del nuovo millennio, riaffermiamo il nostro pubblico<br />

impegno alla rivelazione della vita divina, manifestata<br />

in modo unico da Dio nella divinità e nell'umanità<br />

del Signore Gesù Cristo. Crediamo che è<br />

attraverso Cristo e i mezzi di salvezza fondati su di<br />

Lui che sono offerte, sia a noi sia al mondo, guarigione<br />

e riconciliazione.<br />

Ci sono molti ambiti di testimonianza e di<br />

servizio nei quali possiamo essere uniti e che, di<br />

fatto, richiedono una più stretta cooperazione fra<br />

noi: il perseguimento della pace in Terra <strong>San</strong>ta e in<br />

altre parti del mondo colpite da conflitti e dalla<br />

minaccia del terrorismo; la promozione del rispetto<br />

per la vita dal concepimento fino alla morte<br />

naturale; la tutela della santità del matrimonio e<br />

del benessere dei figli nel contesto di una sana vita<br />

familiare; l'aiuto ai poveri, agli oppressi e ai più<br />

vulnerabili, in particolare a coloro che sono perseguitati<br />

a motivo della propria fede; l'affrontare gli<br />

effetti negativi del materialismo; la tutela del creato<br />

e del nostro ambiente. Ci impegniamo anche nel<br />

dialogo interreligioso, attraverso il quale possiamo<br />

insieme avvicinarci ai fratelli e alle sorelle non cristiani.<br />

Memori dei nostri quaranta anni di dialogo<br />

e della testimonianza degli uomini e delle donne<br />

santi comuni alle nostre tradizioni, inclusi Maria la<br />

Theotókos, i santi Pietro e Paolo, Benedetto,<br />

Gregorio Magno, Agostino di Canterbury, ci impegniamo<br />

a una più fervente preghiera e a uno sforzo<br />

più intenso nell'accogliere quella verità alla<br />

quale lo Spirito del Signore desidera condurre i suoi<br />

discepoli (cfr Gv 16, 13) e nel vivere secondo essa.<br />

Fiduciosi nella speranza apostolica "che colui che ha<br />

iniziato in voi quest'opera buona la porterà a compimento"<br />

(cfr Fil 1, 6), crediamo che se insieme possiamo<br />

essere strumenti di Dio per chiamare tutti i<br />

cristiani a un'obbedienza più profonda a nostro<br />

Signore, ci avvicineremo ulteriormente gli uni agli<br />

altri, trovando nella Sua volontà la pienezza di<br />

unità e di vita comune alla quale Egli ci invita.


Dal 28 novembre al<br />

1° <strong>dic</strong>embre 2006,<br />

Benedetto XVI si è<br />

recato in Turchia, dove<br />

ha incontrato anche il<br />

Patriarca Ecumenico Bartolomeo<br />

I e il Patriarca<br />

Mesrob II Mutafyan della<br />

Chiesa armena apostolica.<br />

Nella Sala del<br />

Trono del Fanar, la residenza<br />

del Patriarcato<br />

Ecumenico a Istanbul,<br />

Bartolomeo I ha incontrato<br />

il 28 settembre un<br />

gruppo di vaticanisti di<br />

tutto il mondo, rispondendo<br />

alle loro domande,<br />

proprio al termine del<br />

Sinodo mensile, de<strong>dic</strong>ato<br />

all'incontro a Belgrado<br />

della Commissione teologica<br />

cattolica-ortodossa.<br />

"Abbiamo avuto la grazia di poter riprendere questo<br />

cammino - ha detto in apertura dell'incontro<br />

proprio a proposito di Belgrado - e con l'aiuto di<br />

Dio speriamo di proseguire in maniera costruttiva.<br />

Non posso dire che cosa succederà nei prossimi<br />

anni, quali risultati concreti si potranno raggiungere.<br />

Ma dobbiamo dialogare con buona volontà,<br />

con la preghiera, con la sincerità e con il coraggio<br />

dei cristiani". Gli anni di Giovanni Paolo II, ha ancora<br />

aggiunto, "hanno segnato molte cose buone fatte<br />

insieme. Benedetto XVI ha dimostrato fin dall'elezione<br />

il suo rispetto e il suo amore per l'Oriente cristiano,<br />

e ha voluto sostenere il dialogo, e in questa<br />

stessa sala il prossimo 30 novembre firmeremo<br />

insieme una Dichiarazione congiunta". Vi è stato<br />

anche un riferimento alle polemiche seguite nei<br />

Paesi islamici al discorso pronunciato da Benedetto<br />

XVI all'università di Ratisbona. "Lo Stato prenderà<br />

tutte le misure necessarie per proteggere un ospite<br />

di tale rango"; "Tutti quanti noi - ha osservato il<br />

Patriarca - dobbiamo rispettare l'uno le credenze<br />

religiose dell'altro, dobbiamo collaborare, dobbiamo<br />

ricordare che su questo pianeta c'è posto per<br />

tutti, non c'è bisogno di coltivare nessuna inimicizia.<br />

Noi - ha aggiunto - abbiamo un'esperienza<br />

positiva della convivenza tra le religioni monoteiste,<br />

di vivere fianco a fianco cristiani, musulmani<br />

ed ebrei, e speriamo che con la buona volontà e il<br />

dialogo di possa superare questo momento che<br />

viene definito "di crisi"". "Sono certo che Sua <strong>San</strong>tità<br />

non aveva alcuna intenzione, in quel discorso, di<br />

offendere i nostri fratelli e sorelle musulmani,<br />

Dichiarazione comune<br />

Cattolico-Ortodossa<br />

Benedetto XVI e Bartolomeo I, firmano la Dichiarazione Comune<br />

come d'altronde lui stesso ha affermato lunedì<br />

scorso". Rilevanti anche le parole de<strong>dic</strong>ate alla<br />

Turchia, "la cui richiesta di entrare in Europa noi<br />

abbiamo sempre sostenuto fin dall'inizio", e il problema<br />

delle minoranze religiose. A una domanda al<br />

riguardo, il Patriarca ha risposto rilevando che "il<br />

Papa s<strong>ott</strong>olinea sempre in ogni viaggio la necessità<br />

del rispetto della libertà religiosa, se anche in<br />

Turchia vorrà farlo non sarà certo solo per i cattolici<br />

perché si tratta di una preoccupazione valida<br />

per tutti i popoli che vivano in un sistema democratico".<br />

Principi "che devono valere per tutti i<br />

popoli che appartengono alla famiglia europea". Per<br />

questo, ha insistito Bartolomeo I, va accolta positivamente<br />

la risoluzione con la quale mercoledì scorso<br />

a Strasburgo l'Unione europea ha ribadito la<br />

necessità che la Turchia rispetti i diritti delle minoranze.<br />

"Nel contesto del cammino della Turchia<br />

verso l'UE - ha aggiunto - i problemi di discriminazione<br />

purtroppo ancora esistenti saranno, speriamo,<br />

risolti uno dopo l'altro". Bartolomeo I in proposito<br />

ha ricordato il fatto che al Patriarcato non è<br />

riconosciuta la personalità giuri<strong>dic</strong>a e, tra le altre<br />

cose, che il governo abbia chiuso dal 1971 la scuola<br />

teologica sull'isola di Halki (Heyliada), in violazione<br />

del Trattato di Losanna del 1923. "Si tratta di<br />

un fatto inaccettabile, e di una ingiustizia - ha<br />

scandito il Patriarca - perché noi siamo la prima<br />

sede patriarcale del mondo ortodosso ma anche l'unica<br />

autocefala che non abbia una scuola teologica<br />

per preparare i suoi teologi e i suoi chierici.<br />

Chiediamo solo il rispetto di un nostro diritto. Nel<br />

7


8<br />

1923, all'inizio dello Stato turco, c'erano 180mila<br />

greci ortodossi. Oggi siamo 4-5mila. Perché?".<br />

Il 30 novembre, festa dell'apostolo Andrea,<br />

il Papa ha rilanciato il dialogo sull'esercizio del<br />

ministero papale. Egli ha spiegato nel discorso che<br />

ha pronunciato alla fine della Divina Liturgia che la<br />

sua presenza intendeva "rinnovare il comune impegno<br />

per proseguire sulla strada verso il ristabilimento<br />

- con la grazia di Dio - della piena comunione<br />

fra la Chiesa di Roma e la Chiesa di<br />

Costantinopoli". Il Pontefice ha affermato "che la<br />

Chiesa Cattolica è pronta a fare tutto il possibile per<br />

superare gli ostacoli e per ricercare, insieme con i<br />

nostri fratelli e sorelle ortodossi, mezzi sempre più<br />

efficaci di collaborazione pastorale a tale scopo".<br />

Benedetto XVI ha riconosciuto che "il tema del servizio<br />

universale di Pietro e dei suoi Successori ha<br />

sfortunatamente dato origine alle nostre differenze<br />

di opinione, che speriamo di superare, grazie anche<br />

al dialogo teologico, ripreso di recente". Da parte<br />

sua, il Patriarca Bartolomeo I ha concluso la sua<br />

omelia ringraziando Dio per la presenza di<br />

Benedetto XVI alla Divina Liturgia. "Salutiamo<br />

ancora una volta con riconoscenza questa<br />

Presenza, come una benedizione di Dio, come<br />

manifestazione di amore fraterno e di onore verso<br />

la nostra Chiesa, come segno della nostra comune<br />

volontà di continuare, senza tentennamenti, il<br />

nostro cammino, nello spirito di amore e fedeltà,<br />

verso la verità del vangelo e della comune tradizione<br />

dei santi Padri, per restaurare la piena comunione<br />

delle nostre Chiese: questo è volontà e comando<br />

di Cristo", ha detto il Patriarca Ecumenico. Dopo la<br />

Divina Liturgia, Benedetto XVI e Bartolomeo I<br />

hanno firmato una Dichiarazione comune in cui<br />

lanciano un invito alla pace ed esprimono la gioia<br />

di sentirsi fratelli, rinnovando l'impegno a raggiungere<br />

la piena comunione.<br />

DICHIARAZIONE COMUNE<br />

TRA IL SANTO PADRE BENEDETTO XVI<br />

E IL PATRIARCA BARTOLOMEO I<br />

[fonte www.vatican.va]<br />

Fanar, 30 novembre 2006<br />

"Questo è il giorno fatto dal Signore, rallegriamoci<br />

ed esultiamo in esso" (Sal 117,24).<br />

Il fraterno incontro che abbiamo avuto,<br />

noi, Benedetto XVI, Papa di Roma e Bartolomeo I,<br />

Patriarca ecumenico, è opera di Dio e per di più un<br />

dono che proviene da Lui. Rendiamo grazie<br />

all'Autore di ogni bene, che ci permette ancora una<br />

volta, nella preghiera e nello scambio, d'esprimere<br />

la nostra gioia di sentirci fratelli e di rinnovare il<br />

nostro impegno in vista della piena comunione.<br />

Tale impegno ci proviene dalla volontà di nostro<br />

Signore e dalla nostra responsabilità di Pastori nella<br />

Chiesa di Cristo. Possa il nostro incontro essere un<br />

segno e un incoraggiamento per noi a condividere<br />

gli stessi sentimenti e gli stessi atteggiamenti di fraternità,<br />

di collaborazione e di comunione nella cari-<br />

tà e nella verità. Lo Spirito <strong>San</strong>to ci aiuterà a preparare<br />

il grande giorno del ristabilimento della<br />

piena unità, quando e come Dio lo vorrà. Allora<br />

potremo rallegrarci ed esultare veramente.<br />

1. Abbiamo evocato con gratitudine gli<br />

incontri dei nostri venerati predecessori, benedetti<br />

dal Signore: hanno mostrato al mondo l'urgenza<br />

dell'unità e hanno tracciato sentieri sicuri per giungere<br />

ad essa, nel dialogo, nella preghiera e nella vita<br />

ecclesiale quotidiana. Il Papa Paolo VI e il Patriarca<br />

Atenagora I, pellegrini a Gerusalemme sul luogo<br />

stesso in cui Gesù è morto e risorto per la salvezza<br />

del mondo, si sono incontrati in seguito di nuovo,<br />

qui al Fanar ed a Roma. Essi ci hanno lasciato una<br />

<strong>dic</strong>hiarazione comune che mantiene tutto il suo<br />

valore, s<strong>ott</strong>olineando che il vero dialogo della carità<br />

deve sostenere ed ispirare tutti i rapporti tra le<br />

persone e tra le stesse Chiese, "deve essere ra<strong>dic</strong>ato<br />

in una totale fedeltà all'unico Signore Gesù Cristo e<br />

nel mutuo rispetto delle tradizioni proprie" (Tomos<br />

Agapis, 195). Non abbiamo dimenticato lo scambio<br />

di visite tra Sua <strong>San</strong>tità il Papa Giovanni Paolo II e<br />

Sua <strong>San</strong>tità Dimitrios I. Fu proprio durante la visita<br />

di Papa Giovanni Paolo II, la sua prima visita<br />

ecumenica, che fu annunciata la creazione della<br />

Commissione mista per il dialogo teologico tra la<br />

Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa. Essa<br />

ha riunito le nostre Chiese con lo scopo <strong>dic</strong>hiarato<br />

di ristabilire la piena comunione.<br />

Per quanto riguarda le relazioni tra la<br />

Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli, non<br />

possiamo dimenticare il solenne atto ecclesiale che<br />

ha relegato nell'oblio le antiche scomuniche, le<br />

quali, lungo i secoli, hanno influito negativamente<br />

sulle relazioni tra le nostre Chiese. Non abbiamo<br />

ancora tratto da questo atto tutte le conseguenze<br />

positive che ne possono derivare per il nostro cammino<br />

verso la piena unità, al quale la Commissione<br />

mista è chiamata a dare un importante contributo.<br />

Esortiamo i nostri fratelli a prendere parte attivamente<br />

a questo processo, con la preghiera e con<br />

gesti significativi.<br />

2. In occasione della sessione plenaria della<br />

Commissione mista per il dialogo teologico tenutasi<br />

recentemente a Belgrado e generosamente ospitata<br />

dalla Chiesa ortodossa serba, abbiamo espresso<br />

la nostra gioia profonda per la ripresa del dialogo<br />

teologico. Dopo un'interruzione di qualche anno,<br />

dovuta a varie difficoltà, la Commissione ha potuto<br />

lavorare di nuovo in uno spirito di amicizia e di<br />

collaborazione. Trattando il tema: "Conciliarità e<br />

autorità nella Chiesa" a livello locale, regionale e<br />

universale, essa ha intrapreso una fase di studio<br />

sulle conseguenze ecclesiologiche e canoniche della<br />

natura sacramentale della Chiesa. Ciò permetterà<br />

di affrontare alcune delle principali questioni ancora<br />

controverse. Come nel passato, siamo decisi a<br />

sostenere incessantemente il lavoro affidato a questa<br />

Commissione, mentre ne accompagniamo i<br />

membri con le nostre preghiere.<br />

3. Come Pastori, abbiamo innanzitutto<br />

riflettuto sulla missione di annunciare il Vangelo


nel mondo di oggi. Questa missione: "Andate dunque,<br />

e ammaestrate tutte le nazioni" (Mt 28,19),<br />

oggi è più che mai attuale e necessaria, anche in<br />

paesi tradizionalmente cristiani. Inoltre, non possiamo<br />

ignorare la crescita della secolarizzazione,<br />

del relativismo e perfino del nichilismo, soprattutto<br />

nel mondo occidentale. Tutto ciò esige un rinnovato<br />

e potente annuncio del Vangelo, adatto alle<br />

culture del nostro tempo. Le nostre tradizioni rappresentano<br />

per noi un patrimonio che deve essere<br />

continuamente condiviso, proposto e attualizzato.<br />

Per questo motivo, dobbiamo rafforzare le collaborazioni<br />

e la nostra testimonianza comune davanti<br />

a tutte le nazioni.<br />

4. Abbiamo valutato positivamente il cammino<br />

verso la formazione dell'Unione Europea. Gli<br />

attori di questa grande iniziativa non mancheranno<br />

di prendere in considerazione tutti gli aspetti<br />

che riguardano la persona umana ed i suoi inalienabili<br />

diritti, soprattutto la libertà religiosa, testimone<br />

e garante del rispetto di ogni altra libertà. In<br />

ogni iniziativa di unificazione, le minoranze debbono<br />

essere protette, con le loro tradizioni culturali e<br />

le loro specificità religiose. In Europa, pur rimanendo<br />

aperti alle altre religioni e al loro contributo<br />

alla cultura, noi dobbiamo unire i nostri sforzi per<br />

preservare le ra<strong>dic</strong>i, le tradizioni ed i valori cristiani,<br />

per assicurare il rispetto della storia, come pure<br />

per contribuire alla cultura dell'Europa futura, alla<br />

qualità delle relazioni umane a tutti i livelli. In questo<br />

contesto, come non evocare gli antichissimi<br />

testimoni e l'illustre patrimonio cristiano della<br />

terra dove ha luogo il nostro incontro, a cominciare<br />

da quanto ci <strong>dic</strong>e il libro degli Atti degli Apostoli<br />

evocando la figura di <strong>San</strong> Paolo, Apostolo delle<br />

nazioni. Su questa terra, il messaggio del Vangelo e<br />

l'antica tradizione culturale si sono saldati. Questo<br />

vincolo, che così tanto ha contribuito all'eredità cristiana<br />

che ci è comune, resta attuale e recherà<br />

ancora frutti in avvenire per l'evangelizzazione e<br />

per la nostra unità.<br />

5. Abbiamo rivolto il nostro sguardo ai luoghi<br />

del mondo di oggi dove vivono i cristiani e alle<br />

difficoltà che debbono affrontare, in particolare la<br />

povertà, le guerre e il terrorismo, ma anche le<br />

diverse forme di sfruttamento dei poveri, degli emi-<br />

grati, delle donne e dei bambini. Noi siano chiamati<br />

ad intraprendere insieme azioni a favore del<br />

rispetto dei diritti dell'uomo, di ogni essere umano,<br />

creato ad immagine e somiglianza di Dio, come<br />

pure per lo sviluppo economico, sociale e culturale.<br />

Le nostre tradizioni teologiche ed etiche possono<br />

offrire una solida base alla pre<strong>dic</strong>azione e all'azione<br />

comuni. Innanzitutto, vogliamo affermare che<br />

l'uccisione di innocenti nel nome di Dio è un'offesa<br />

a Lui e alla dignità umana. Tutti dobbiamo impegnarci<br />

per un rinnovato servizio all'uomo e per la<br />

difesa della vita umana, di ogni vita umana.<br />

Abbiamo profondamente a cuore la pace in<br />

Medio Oriente, dove nostro Signore ha vissuto, ha<br />

sofferto, è morto ed è risorto, e dove vive, da tanti<br />

secoli, una moltitudine di fratelli cristiani.<br />

Desideriamo ardentemente che la pace sia ristabilita<br />

su quella terra, che si rafforzi la coesistenza cordiale<br />

tra le sue diverse popolazioni, tra le Chiese e<br />

le diverse religioni che vi si trovano. A questo fine,<br />

incoraggiamo a stabilire rapporti più stretti tra i<br />

cristiani e un dialogo interreligioso autentico e<br />

leale, per combattere ogni forma di violenza e di<br />

discriminazione.<br />

6. Nell'epoca attuale, davanti ai grandi<br />

pericoli per l'ambiente naturale, vogliamo esprimere<br />

la nostra preoccupazione per le conseguenze<br />

negative che possono derivare per l'umanità e per<br />

tutta la creazione da un progresso economico e tecnologico<br />

che non riconosce i propri limiti. Come<br />

capi religiosi, consideriamo come uno dei nostri<br />

doveri incoraggiare e sostenere gli sforzi compiuti<br />

per proteggere la creazione di Dio e per lasciare alle<br />

generazioni future una terra sulla quale potranno<br />

vivere.<br />

7. Infine, il nostro pensiero si rivolge a tutti<br />

voi, i fedeli delle nostre Chiese presenti ovunque nel<br />

mondo, vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose,<br />

uomini e donne laici impegnati in un servizio<br />

ecclesiale, ed a tutti i battezzati. Salutiamo in<br />

Cristo gli altri cristiani, assicurando loro la nostra<br />

preghiera e della nostra disponibilità al dialogo e<br />

alla collaborazione. Vi salutiamo tutti con le parole<br />

dell'Apostolo dei Gentili: "Grazia a voi e pace da<br />

Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo" (2 Cor<br />

1,2).<br />

9


10<br />

Il valore giuri<strong>dic</strong>o<br />

delle Dichiarazioni Comuni<br />

tra la Chiesa cattolica<br />

e le altre Confessioni cristiane<br />

Frutto dei dialoghi tra la<br />

Chiesa cattolica e le Chiese<br />

o Comunità ecclesiali sono<br />

le Dichiarazioni Comuni.<br />

Analizzeremo gli aspetti formali<br />

(soggetti e destinatari)<br />

nonché la natura giuri<strong>dic</strong>a di<br />

questi documenti di cui il<br />

Vescovo di Roma è uno dei s<strong>ott</strong>oscrittori.<br />

Dal punto di vista<br />

cattolico, le Dichiarazioni<br />

Comuni hanno un indubbio<br />

valore giuri<strong>dic</strong>o, essendone<br />

autore lo stesso Papa. Finora il<br />

Papa ha s<strong>ott</strong>oscritto Dichiarazioni<br />

Comuni solo con Primati<br />

anglicani, Patriarchi ortodossi e<br />

Responsabili delle Chiese ortodosse<br />

precalcedonesi.<br />

Ci siamo serviti di un<br />

<strong>ott</strong>imo testo da noi recensito<br />

nella rivista <strong>Nicola</strong>us, fasc.<br />

II/2006, a cui rinviamo: D.<br />

SAROGLIA, Il Papa di fronte alla<br />

responsabilità di promuovere l’unità<br />

dei cristiani, Lateran<br />

University Press, Roma 2003.<br />

Dichiarazioni Comuni con<br />

Primati anglicani<br />

La prima Dichiarazione<br />

Comune tra il Capo della Chiesa<br />

cattolica e il Primate<br />

d’Inghilterra è quella s<strong>ott</strong>oscritta<br />

da Paolo VI e Michael<br />

Ramsey, a Roma, a <strong>San</strong> Paolo<br />

fuori le mura, il 24 marzo<br />

1966. In essa si stabilisce l’avvio<br />

del dialogo anglicano-cattolico<br />

a livello internazionale,<br />

avendo per base il Vangelo e le<br />

antiche tradizioni comuni.<br />

La seconda Dichiarazione<br />

è tra Paolo VI e Frederic<br />

Donald Coggan, firmata sempre<br />

a Roma il 29 aprile 1977. Si<br />

ribadisce la fede sostanzialmen-<br />

te comune e i progressi nel dialogo,<br />

tanto a proposito dell’eucaristia,<br />

del ministero e dell’autorità<br />

nella Chiesa, quanto a<br />

proposito della teologia del<br />

matrimonio e dei matrimoni<br />

misti.<br />

Due Dichiarazioni Comuni<br />

sono s<strong>ott</strong>oscritte da Giovanni<br />

Paolo II e Robert Runcie.<br />

La prima è firmata a Canterbury,<br />

il 29 maggio 1982. In<br />

essa si annuncia la costituzione<br />

di una nuova Commissione con<br />

lo scopo di esaminare specialmente<br />

le principali differenze<br />

d<strong>ott</strong>rinali tra le due Chiese, in<br />

vista della loro soluzione definitiva,<br />

e di studiare tutto ciò<br />

che ostacola il riconoscimento<br />

dei ministeri. La seconda<br />

Dichiarazione è firmata a<br />

Roma, il 2 <strong>ott</strong>obre 1989, per<br />

dare impulso nuovo al dialogo.<br />

L’ultima Dichiarazione<br />

Comune in ordine di tempo è<br />

quella siglata il 23 novembre<br />

2006 a Roma da Papa Benedetto<br />

XVI e l’Arcivescovo di<br />

Canterbury Rowan Williams.<br />

In essa si s<strong>ott</strong>olinea il lavoro<br />

svolto dalla Commissione<br />

mista, mettendo in evidenza<br />

che il vero ecumenismo va oltre<br />

il dialogo teologico; tocca la<br />

vita spirituale e la testimonianza<br />

comune. Grazie allo sviluppo<br />

del dialogo, molti cattolici e<br />

anglicani hanno trovato gli uni<br />

negli altri un amore per Cristo<br />

che invita alla cooperazione e al<br />

servizio pratici. Allo stesso<br />

tempo, si rende necessario riconoscere<br />

pubblicamente la sfida<br />

rappresentata da nuovi sviluppi<br />

che, oltre a essere fonti di<br />

divisione per gli anglicani, pre-<br />

di Lorenzo Lorusso O.P.<br />

sentano seri ostacoli al progresso<br />

ecumenico. È urgente, quindi,<br />

impegnarsi anche nel continuo<br />

dialogo per affrontare le<br />

importanti questioni coinvolte<br />

negli emergenti fattori ecclesiologici<br />

ed etici che rendono la<br />

comunione più difficile e ardua.<br />

Dichiarazioni Comuni con<br />

Patriarchi ortodossi<br />

La prima Dichiarazione<br />

Comune che ha un grande<br />

valore storico e simbolico è<br />

quella firmata da Papa Paolo VI<br />

e Atenagora I, Patriarca di<br />

Costantinopoli, il 7 <strong>dic</strong>embre<br />

1965, mediante la quale avviene<br />

la cancellazione degli anatemi<br />

che sancirono la divisione<br />

nel 1054.<br />

In occasione della visita<br />

del Papa a Istanbul e del Patriarca<br />

a Roma, sono state s<strong>ott</strong>oscritte<br />

Dichiarazioni Comuni<br />

per mettere in evidenza il forte<br />

desiderio di ristabilire la comunione<br />

fra le due Chiese e la loro<br />

celebrazione comune dell’eucaristia.<br />

La prima è datata 25<br />

luglio 1967 e la seconda 28<br />

<strong>ott</strong>obre dello stesso anno.<br />

I loro successori, Giovanni<br />

Paolo II e Dimitrio I, firmano<br />

nella chiesa del Fanar, il<br />

30 novembre 1979, una Dichiarazione<br />

Comune per avviare<br />

ufficialmente il dialogo teologico,<br />

a partire da un’analisi<br />

congiunta sui sacramenti. Il 7<br />

<strong>dic</strong>embre 1987, gli stessi firmano<br />

a Roma una Dichiarazione<br />

per riprendere i contatti e proseguire<br />

i lavori che avevano<br />

subito un rallentamento da<br />

parte di alcune Chiese ortodosse<br />

non contente di alcune posi-


zioni assunte da Roma.<br />

Nel giugno 1995 spetta<br />

a Giovanni Paolo II e a<br />

Bartolomeo I firmare una Dichiarazione<br />

Comune in cui<br />

esortano le rispettive Chiese a<br />

non demordere nel cammino<br />

verso l’unità. La Dichiarazione<br />

del 10 giugno 2002 è sulla salvaguardia<br />

del creato. L’ultima<br />

firmata da Giovanni Paolo II e<br />

Bartolomeo I risale al 29 giugno<br />

2004, a Roma. Nonostante<br />

la ferma volontà di proseguire<br />

nel cammino verso la piena<br />

comunione, ci si rende conto<br />

degli ostacoli di varia natura:<br />

d<strong>ott</strong>rinali anzitutto, ma anche<br />

derivanti da condizionamenti<br />

di una storia difficile. Inoltre<br />

nuovi problemi sorti da profondi<br />

mutamenti avvenuti<br />

nella compagine politico-sociale<br />

europea non sono rimasti<br />

senza conseguenze nei rapporti<br />

tra le Chiese cristiane. Con il<br />

ritorno alla libertà dei cristiani<br />

in Europa centrale e orientale si<br />

sono risvegliati anche antichi<br />

timori, rendendo difficile il dialogo.<br />

Si mette in evidenza che la<br />

“Commissione Mista Internazionale<br />

per il Dialogo Teologico<br />

tra la Chiesa cattolica e la<br />

Chiesa ortodossa nel suo insieme”,<br />

avviata con tanta speranza,<br />

ha segnato, negli ultimi<br />

anni, il passo. Tuttavia essa<br />

resta strumento idoneo per<br />

studiare i problemi ecclesiologici<br />

e storici, che sono alla base<br />

delle difficoltà, ed individuare<br />

ipotesi di soluzione. È dovere<br />

del Papa e del Patriarca continuare<br />

nel deciso impegno di<br />

riattivarne i lavori al più presto.<br />

L’ultima Dichiarazione<br />

Comune in ordine di tempo è<br />

quella siglata ad Istanbul da<br />

Papa Benedetto XVI e il<br />

Patriarca Ecumenico Bartolomeo<br />

I il 30 novembre 2006.<br />

Dopo un’introduzione sulle<br />

Dichiarazioni precedenti e i<br />

lavori della Commissione<br />

mista, si s<strong>ott</strong>olinea la comune<br />

missione di annunciare il<br />

Vangelo nel mondo di oggi. I<br />

Prelati non ignorano la crescita<br />

della secolarizzazione, del relativismo<br />

e perfino del nichilismo,<br />

soprattutto nel mondo<br />

occidentale. Tutto ciò esige un<br />

rinnovato e potente annuncio<br />

del Vangelo, adatto alle culture<br />

del nostro tempo, attraverso la<br />

collaborazione e la comune<br />

testimonianza davanti a tutte<br />

le nazioni. C’è un riferimento<br />

all’Unione europea, ma salvaguardando<br />

le minoranze, con le<br />

loro tradizioni culturali e le<br />

loro specificità religiose. In<br />

Europa, pur rimanendo aperti<br />

alle altre religioni e al loro contributo<br />

alla cultura, cattolici ed<br />

ortodossi debbono unire gli<br />

sforzi per preservare le ra<strong>dic</strong>i,<br />

le tradizioni ed i valori cristiani,<br />

per assicurare il rispetto della<br />

storia, come pure per contribuire<br />

alla cultura dell’Europa<br />

futura, alla qualità delle relazioni<br />

umane a tutti i livelli. Le<br />

due Chiese sorelle sono chiamate<br />

ad intraprendere insieme<br />

azioni a favore del rispetto dei<br />

diritti dell’uomo, di ogni essere<br />

umano, creato ad immagine e<br />

somiglianza di Dio, come pure<br />

per lo sviluppo economico,<br />

sociale e culturale. Le nostre<br />

tradizioni teologiche ed etiche<br />

possono offrire una solida base<br />

alla pre<strong>dic</strong>azione e all’azione<br />

comuni. Si conclude con un<br />

accenno alla pace in Medio<br />

Oriente e alla salvaguardia del<br />

creato.<br />

Giovanni Paolo II e<br />

Christodoulos, Arcivescovo di<br />

Atene e di tutta la Grecia,<br />

hanno firmato una Dichiarazione<br />

Comune ad Atene il 4<br />

maggio 2001. In essa condannano<br />

ogni ricorso alla violenza,<br />

al proselitismo, al fanatismo in<br />

nome della religione; si accenna<br />

al problema della globalizzazione<br />

e dell’Unione europea.<br />

Il 14 <strong>dic</strong>embre 2006,<br />

Benedetto XVI e Christodoulos<br />

firmano a Roma una Dichiarazione<br />

Comune, per superare le<br />

difficoltà e le esperienze dolorose<br />

del passato. In essa si riafferma<br />

la volontà comune di perse-<br />

verare nel cammino di un dialogo<br />

teologico costruttivo.<br />

Infine, si s<strong>ott</strong>olinea l’impegno<br />

delle due Chiese per proteggere<br />

più efficacemente i diritti fondamentali<br />

dell’uomo, fondati<br />

sulla dignità della persona<br />

creata ad immagine di Dio.<br />

A Roma, il 12 <strong>ott</strong>obre<br />

2002, la Dichiarazione è firmata<br />

da Giovanni Paolo II e dal<br />

Patriarca della Chiesa ortodossa<br />

di Romania, Teoctist. In essa si<br />

ribadisce l’impegno delle due<br />

Chiese nella promozione dell’unità<br />

dei cristiani e nella restituzione<br />

all’Europa del suo ethos<br />

più profondo e del suo volto<br />

veramente umano.<br />

Dichiarazioni Comuni con i<br />

Responsabili delle Chiese precalcedonesi<br />

Nel maggio 1970, Paolo<br />

VI e il Catholicos supremo di<br />

tutti gli armeni, Vasken I, firmano<br />

una Dichiarazione Comune<br />

a Roma per incoraggiare<br />

l’approfondimento delle concezioni<br />

cristologiche ed ecclesiologiche<br />

esistenti nelle due<br />

Chiese. Giovanni Paolo II e<br />

Karekin II proseguono sulla<br />

stessa scia con una Dichiarazione<br />

firmata nel settembre<br />

2001, per celebrare i 1700 anni<br />

della conversione dell’Armenia<br />

al cristianesimo.<br />

Il 25 <strong>ott</strong>obre 1971,<br />

durante la visita a Roma del<br />

Patriarca siro-ortodosso di<br />

Antiochia e di tutto l’Oriente,<br />

Mar Ignatio Yacoub III, è firmata<br />

una Dichiarazione Comune<br />

con Paolo VI, nella quale<br />

si evidenzia l’importanza del<br />

dialogo teologico alla ricerca<br />

della tradizione comune. Giovanni<br />

Paolo II e Mar Ignatius<br />

Zakka I Iwas, sempre a Roma,<br />

il 23 giugno 1984, s<strong>ott</strong>oscrivono<br />

una Dichiarazione in cui si<br />

s<strong>ott</strong>olinea innanzitutto la<br />

comune professione di fede<br />

come espressa nel Credo niceno.<br />

Segue un’analisi della teologia<br />

sacramentale e si ammette<br />

l’ospitalità sacramentale che<br />

i fedeli possono richiedere<br />

11


12<br />

all’altra Chiesa qualora siano<br />

materialmente o moralmente<br />

impossibilitati ad avvicinare un<br />

ministro della loro stessa<br />

Chiesa.<br />

In occasione della visita<br />

a Paolo VI del Papa copto-ortodosso<br />

di Alessandria e Patriarca<br />

delle terre evangelizzate da <strong>San</strong><br />

Marco, Amba Shenuda III, il 10<br />

maggio 1973, viene firmata<br />

una Dichiarazione Comune<br />

nella quale si esprime una<br />

solenne professione di fede cristologica,<br />

si condanna il proselitismo<br />

ed ogni forma di strumentalizzazione<br />

della religione.<br />

Nel novembre 1994,<br />

Giovanni Paolo II e il Patriarca<br />

assiro, Mar Dinkha IV, firmano<br />

a Roma una Dichiarazione<br />

Comune in cui si s<strong>ott</strong>olinea la<br />

profonda comunione già esistente<br />

fra le due Chiese e si<br />

auspicano forme di collaborazione<br />

pastorale e nell’ambito<br />

della formazione teologica del<br />

clero.<br />

I soggetti<br />

Circa i soggetti, è un<br />

dato di fatto che le Dichiarazioni<br />

comuni finora s<strong>ott</strong>oscritte<br />

dalla Chiesa cattolica sono<br />

state firmate congiuntamente<br />

da Papa Paolo VI, da Papa<br />

Giovanni Paolo II e da Papa<br />

Benedetto XVI, o con l’Arcivescovo<br />

di Canterbury o con il<br />

massimo rappresentante di una<br />

Chiesa ortodossa, ma non con i<br />

massimi esponenti delle<br />

Comunioni o Chiese derivanti<br />

dalla Riforma protestante o<br />

delle Comunità pentecostali ed<br />

evangelicali. La ragione è la<br />

vicinanza teologica ed ecclesiologica<br />

con gli anglicani e gli<br />

ortodossi tale da consentire<br />

una relazione “paritetica”. In<br />

tutti i casi, lo schema della<br />

<strong>dic</strong>hiarazione è abbastanza<br />

simile: parte introduttiva, che<br />

s<strong>ott</strong>olinea la profonda comunione<br />

spirituale e la marcata<br />

convergenza teologica esistenti<br />

fra le due confessioni cristiane<br />

in questione; nucleo centrale,<br />

che può concernere il bilancio<br />

di un periodo di dialogo o lo<br />

stato di fatto esistente nei rapporti<br />

ecumenici o l’istituzione<br />

di una commissione mista di<br />

studio; parte conclusiva, contenente<br />

un’esortazione a continuare<br />

il cammino nella certezza<br />

che questa è la volontà del<br />

Signore.<br />

I destinatari<br />

Circa i destinatari, le<br />

Dichiarazioni sono indirizzate<br />

ai fedeli delle rispettive Chiese,<br />

ma ciascun responsabile si<br />

rivolge ai propri fedeli congiuntamente<br />

al capo dell’altra<br />

Chiesa. Implicitamente, quindi,<br />

riconosce all’altro responsabile<br />

l’autorevolezza per insegnare<br />

anche ai propri fedeli e si assume<br />

personalmente l’onere della<br />

preoccupazione per la salus<br />

animarum dei fedeli dell’altra<br />

Chiesa. Nei confronti del<br />

mondo intero, le Dichiarazioni<br />

costituiscono un esempio di<br />

testimonianza della ricerca<br />

della comunione fraterna.<br />

Natura giuri<strong>dic</strong>a<br />

Circa la natura giuri<strong>dic</strong>a,<br />

le Dichiarazioni Comuni<br />

non sono previste dall’ordinamento<br />

canonico della Chiesa<br />

cattolica. Potremmo azzardare<br />

un paragone tra le relazioni<br />

interstatuali e quelle ecumeniche,<br />

mettendo in evidenza<br />

qualche analogia tra l’origine<br />

dei rapporti internazionali e il<br />

movimento ecumenico. Le<br />

<strong>dic</strong>hiarazioni di volontà proprie<br />

degli atti bilaterali internazionali<br />

costituiscono il contenuto<br />

dei trattati, non ne sono il<br />

modello formale, mentre nel<br />

nostro caso forma e contenuto<br />

si definiscono come “<strong>dic</strong>hiarazioni”.<br />

In ambito ecumenico, i<br />

motivi e gli interessi che spingono<br />

i responsabili di due<br />

diverse Chiese a pronunciare la<br />

Dichiarazione devono essere i<br />

medesimi, poiché solo la comune<br />

ricerca dell’unità e la ritrovata<br />

fraternità giustificano<br />

ogni sforzo interconfessionale.<br />

Ma ciò che invece accomuna i<br />

due tipi di <strong>dic</strong>hiarazione è che<br />

non si qualificano mai come<br />

atti unilaterali, ma “reciproche”<br />

e “di identico contenuto”.<br />

Rimane però irrisolto il<br />

problema della definizione giuri<strong>dic</strong>o-formale<br />

del termine<br />

“<strong>dic</strong>hiarazione”. È ancora il<br />

diritto internazionale ad offrirne<br />

una possibile lettura. Infatti,<br />

la famosa Dichiarazione universale<br />

dei diritti umani, proprio in<br />

quanto semplice <strong>dic</strong>hiarazione,<br />

era ritenuta inizialmente solo<br />

come produttrice di obblighi di<br />

natura morale, in quanto atto<br />

privo di una specifica obbligatorietà<br />

giuri<strong>dic</strong>a e rientrante<br />

nel potere cosiddetto “raccomandatario”<br />

dell’Assemblea<br />

Generale dell’ONU. Posizione<br />

che verrà superata proprio<br />

sulla base della presa di<br />

coscienza degli obblighi giuri<strong>dic</strong>i<br />

che gravano in capo agli Stati<br />

membri quanto agli atti emanati<br />

dall’Organizzazione stessa.<br />

Quindi, l’obbligatorietà giuri<strong>dic</strong>a<br />

di quest’ultimo genere di<br />

“<strong>dic</strong>hiarazione” viene derivata<br />

dalla natura del rapporto esistente<br />

tra i soggetti che l’hanno<br />

s<strong>ott</strong>oscritta. Ciò che indubbiamente<br />

individua un’ulteriore<br />

analogia con le Dichiarazioni<br />

comuni. Con esse, infatti, chiaramente,<br />

i responsabili delle<br />

Chiese che le s<strong>ott</strong>oscrivono<br />

assumono un impegno pubblico<br />

e quindi vincolante a far sì<br />

che quanto in esse affermato<br />

sia effettivamente recepito nell’esperienza<br />

concreta dei propri<br />

fedeli. Le Dichiarazioni Comuni<br />

appartengono alle Chiese i cui<br />

responsabili le hanno firmate,<br />

in quanto atti che provengono<br />

direttamente da loro. Diverso è<br />

il discorso per gli atti delle<br />

Commissioni miste, perché è<br />

richiesto un atto di ratifica.<br />

Nelle Dichiarazioni i due<br />

momenti della stesura dell’atto<br />

e della sua accettazione si identificano.<br />

Allora, possiamo così<br />

definire le Dichiarazioni: quegli<br />

atti con cui i capi supremi di<br />

due Chiese cristiane – che si<br />

riconoscono reciprocamente


depositarie di una tradizione<br />

avanzata di dialogo e con una<br />

vicinanza teologica ed ecclesiologica<br />

tale da consentire una<br />

relazione ‘paritetica’ – pronunciano<br />

<strong>dic</strong>hiarazioni di volontà<br />

reciproche e identiche nei contenuti,<br />

orientate a sancire come<br />

definitivamente acquisiti i<br />

risultati del dialogo teologico<br />

plurilaterale o bilaterale cond<strong>ott</strong>o<br />

da esperti ufficialmente<br />

designati, e volte a indirizzare e<br />

stimolare la continuazione del<br />

cammino ecumenico tra le stesse<br />

e con altre Comunità.<br />

Documenti della Commissione<br />

mista internazionale<br />

per il Dialogo teologico tra la<br />

Chiesa cattolica e la Chiesa<br />

ortodossa (nel suo insieme):<br />

- Il Mistero della Chiesa e<br />

dell’Eucaristia alla luce del<br />

Mistero della <strong>San</strong>tissima Trinità<br />

(Monaco di Baviera, 6 luglio<br />

1982).<br />

- Fede, Sacramenti e Unità della<br />

Chiesa (Bari, 16 giugno 1987).<br />

- Il Sacramento dell’Ordine nella<br />

struttura sacramentale della<br />

Chiesa, in particolare l’importanza<br />

della successione apostoli-<br />

ca per la santificazione e l’unità<br />

del popolo di Dio (Valamo,<br />

Finlandia, 26 giugno 1988).<br />

- L’Uniatismo, Metodo d’unione<br />

del passato e ricerca attuale<br />

della piena comunione<br />

(Balamand, Libano, 23 giugno<br />

1993).<br />

- Sessione plenaria della<br />

Commissione (Baltimora, Stati<br />

Uniti, 9-19 luglio 2000) –<br />

Comunicato.<br />

- Sessione plenaria della<br />

Commissione (Belgrado, Serbia,<br />

18-25 settembre 2006) –<br />

Comunicato.<br />

13


14<br />

Attualità del tema<br />

Una recente polemica è nata dalla mancata<br />

in<strong>dic</strong>azione, nell’Annuario Pontificio del<br />

2006, tra i titoli spettanti al Romano<br />

Pontefice di quello di Patriarca d’Occidente, cui<br />

hanno fatto seguito le spiegazioni del 22 marzo<br />

2006 da parte del Pontificio Consiglio per la<br />

Promozione dell’Unità dei Cristiani apparse<br />

nell’Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose<br />

(1).<br />

Ci sono state delle osservazioni negative<br />

di parte ortodossa, sia della Chiesa Greca del 17<br />

marzo 2006 e poi dallo stesso <strong>San</strong>to Sinodo del<br />

Patriarcato Ecumenico dell’8 giugno 2006 (2); la<br />

non menzione del titolo di Patriarca d’Occidente<br />

e quindi di un limite territoriale, viene temuta a<br />

IL VESCOVO<br />

DI ROMA,<br />

PATRIARCA<br />

D’OCCIDENTE:<br />

ALCUNE RIFLESSIONI<br />

di Vittorio Parlato<br />

Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”<br />

[PER GLI STUDI IN ONORE DI GIOVANNI BARBERINI]<br />

Costantinopoli come possibile giustificazione di<br />

una giurisdizione, anche sull’Oriente, come si<br />

verificò dopo la IV Crociata.<br />

La tesi sostenuta dal succitato P.<br />

Consiglio è che: Il titolo di “Patriarca d’Occidente”<br />

fu adoperato nell’anno 642 da Papa Teodoro I. In<br />

seguito esso ricorse soltanto raramente e non ebbe<br />

un significato chiaro. La sua fioritura avvenne nel<br />

XVI e XVII secolo nel quadro del moltiplicarsi dei<br />

titoli del Papa; nell’annuario esso apparve per la<br />

prima volta nel 1863.<br />

A questa precisazione, che potremmo<br />

chiamare cronologica, si aggiungono altre considerazioni<br />

che toccano la concezione ecclesiale del<br />

primo millennio allorquando vigeva la piena<br />

comunione, sia pure con ripetuti momenti di<br />

r<strong>ott</strong>ura, tra la Chiesa latina e le Chiese orientali<br />

(3). Continua il documento citato: Senza la pretesa<br />

di considerare la complessa questione storica del<br />

titolo di Patriarca in tutti i suoi aspetti, si può<br />

affermare dal punto di vista storico che gli antichi<br />

Patriarcati d’Oriente, fissati dai Concili di<br />

Costantinopoli (381) e di Calcedonia (451), erano<br />

relativi ad un territorio abbastanza chiaramente<br />

circoscritto, allorché il territorio della Sede del<br />

vescovo di Roma rimaneva vago. In Oriente nell’ambito<br />

del sistema ecclesiastico imperiale di<br />

Giustiniano (527-565), accanto ai quattro<br />

Patriarcati orientali (Costantinopoli, Alessandria,<br />

Antiochia e Gerusalemme), il Papa era compreso<br />

come Patriarca d’Occidente. Inversamente, Roma<br />

privilegiò l’idea delle tre sedi episcopali petrine:<br />

Roma, Alessandria ed Antiochia. Senza usare il<br />

titolo di “Patriarca d’Occidente”, il IV Concilio di<br />

Costantinopoli (869-870), il IV Concilio del<br />

Laterano (1215) ed il Concilio di Firenze (1439),<br />

elencarono il Papa come primo degli allora cinque<br />

Patriarchi.


Queste note nel ricordare alcuni dati storici<br />

sembrano voler continuare a legare il rango<br />

primaziale di certe sedi all’essere sedi petrine,<br />

così Alessandria, sede vescovile fondata da Marco<br />

inviato da Pietro, avrebbe dovuto precedere<br />

Antiochia, prima sede episcopale di Pietro.<br />

Discutibile è poi l’affermazione secondo<br />

cui: Attualmente il significato del termine<br />

“Occidente” richiama un contesto culturale che non<br />

si riferisce soltanto all’Europa Occidentale, ma si<br />

estende agli Stati Uniti d’America fino<br />

all’Australia e alla Nuova Zelanda, differenziandosi<br />

così da altri contesti culturali. Ovviamente<br />

tale significato del termine “Occidente” non intende<br />

descrivere un territorio ecclesiastico né esso può<br />

essere adoperato come definizione di un territorio<br />

patriarcale. Se si vuole dare al termine “Occidente”<br />

un significato applicabile al linguaggio giuri<strong>dic</strong>o<br />

ecclesiale, potrebbe essere compreso soltanto in riferimento<br />

alla Chiesa latina. Pertanto il titolo di<br />

“Patriarca d’Occidente” descriverebbe la speciale<br />

relazione del Vescovo di Roma a quest’ultima, e<br />

potrebbe esprimere la giurisdizione particolare del<br />

Vescovo di Roma per la Chiesa latina.<br />

Ancor più criticabile è l’ulteriore precisazione:<br />

Di conseguenza il titolo “Patriarca<br />

d’Occidente”, sin dall’inizio poco chiaro, nell’evolversi<br />

della storia diventava obsoleto e praticamente<br />

non più utilizzabile. Appare dunque privo di<br />

senso insistere a trascinarlo dietro. Ciò tanto più<br />

che la Chiesa cattolica con il Concilio Vaticano II ha<br />

trovato per la Chiesa latina nella forma delle<br />

Conferenze Episcopali e delle loro riunioni internazionali<br />

di Conferenze episcopali, l’ordinamento<br />

canonico adeguato alle necessità di oggi.<br />

Tralasciare il titolo di “Patriarca d’Occidente” non<br />

cambia chiaramente nulla al riconoscimento, tanto<br />

solennemente <strong>dic</strong>hiarato dal Concilio Vaticano II,<br />

delle antiche Chiese patriarcali (Lumen Gentium,<br />

23). Ancor meno tale soppressione può voler dire che<br />

essa s<strong>ott</strong>intende nuove riven<strong>dic</strong>azioni. La rinuncia<br />

a detto titolo vuole esprimere un realismo storico e<br />

teologico e, allo stesso tempo, essere la rinuncia ad<br />

una pretesa, rinuncia che potrebbe essere di giovamento<br />

al dialogo ecumenico.<br />

In tutto il documento si confondono dati<br />

teologici, situazioni giuri<strong>dic</strong>he storiche e istituti<br />

giuri<strong>dic</strong>i attuali, così si equiparano le Conferenze<br />

Episcopali e le loro riunioni internazionali di<br />

Conferenze episcopali, che certamente rispondono<br />

alle necessità pastorali odierne, ai patriarcati<br />

orientali, e si presenta l’omissione del titolo di<br />

Patriarca d’Occidente come un fatto non solo<br />

non influente nel dialogo ecumenico, ma addirittura<br />

utile.<br />

Senza voler esaminare i punti qualificanti<br />

del documento succitato ed esprimere un mio<br />

giudizio, ritengo opportuno fare alcune precisazioni<br />

storiche che permettano di comprendere le<br />

riserve manifestate da parte di autorità ortodosse,<br />

riserve che certamente nuocciono al dialogo<br />

ecumenico.<br />

Le osservazioni di parte ortodossa<br />

Le osservazioni da parte ortodossa partono<br />

dalla diversa ecclesiologia loro propria, perciò<br />

si soffermano sul principio di collegialità e di<br />

comunione tra Chiese e si rifanno alla concezione<br />

pentarchica della Chiesa universale, ed alla<br />

necessaria esistenza di un patriarcato<br />

d’Occidente, come patriarcato del vescovo di<br />

Roma; è come patriarca d’Occidente che il Papa è<br />

membro del collegio patriarcale.<br />

Il <strong>San</strong>to Sinodo del patriarcato di<br />

Costantinopoli prende atto, come innegabile<br />

realtà, che il termine Occidente abbia oggi acquistato<br />

un contesto culturale che travalica gli antichi<br />

confini dell’Impero romano d’Occidente comprendendo<br />

le Americhe e l’Oceania, ma ricorda<br />

anche che, secondo la concezione ortodossa, il<br />

principio culturale non può essere sostituito al<br />

principio geografico per delineare la struttura<br />

organizzativa della Chiesa (4).<br />

Il patriarcato ecumenico ritiene anche che<br />

il fatto che il vescovo di Roma mantenga il titolo<br />

di Patriarca d’Occidente, cioè si consideri uno dei<br />

patriarchi, esprima bene il concetto di “Chiese<br />

sorelle” che deve essere alla base dell’ecclesiologia<br />

su cui ripristinare la piena comunione tra le<br />

Chiese (5).<br />

Aggiungo a quanto detto il pensiero<br />

dell’Arcivescovo di Grecia: Il titolo di Patriarca<br />

d’Occidente attribuito al Vescovo di Roma deve<br />

essere mantenuto; esso implica il riconoscimento<br />

di una duplice potestà nel Papa: quella di Protos<br />

con una speciale giurisdizione sulla Chiesa latina,<br />

identificabile con il Patriarcato d’Occidente, e<br />

quella di Sommo Pontefice, con un primato sulla<br />

comunione delle Chiese, cioè una sollecitudine<br />

nei confronti della Chiesa universale: For us<br />

Orthodox, the Pope of Elder Rome has always been<br />

the Patriarch of the West, the successor of the<br />

Apostles Peter and Paul who funded the Church of<br />

Rome, the first in honour, primus inter pares, and<br />

he who presides in Charity, and it is only logical<br />

that upon this title, within the framework of the<br />

ancient pentarchy […] of the first millennium that<br />

we can build the reunification of One Undivided<br />

Church (6).<br />

Credo che queste parole, così autorevoli<br />

per la fonte e per il destinatario, esprimano<br />

meglio di ogni altra considerazione una delle<br />

linee su cui muovere il dialogo fruttuoso con<br />

l’Ortodossia (7).<br />

Assenza di un disegno unitario nell’organizzazione<br />

ultra metropolitana della Chiesa<br />

Le norme costituzionali che regolavano la<br />

15


16<br />

vita della Chiesa, ed in specie l’organizzazione<br />

ecclesiastica del primo millennio, anche riconosciute<br />

definitivamente dal Concilio di Nicea II, del<br />

787, non sono il frutto di una elaborazione di un<br />

legislatore sovrano o di un’assemblea costituente<br />

e promulgate in un determinato momento<br />

storico, esse sono invece frutto di una prassi che<br />

si stava consolidando, prassi accettata e sancita<br />

nel prosieguo del tempo da canoni dei concili<br />

ecumenici, o anche particolari e da leggi imperiali.<br />

Queste norme, spesso, costituiscono la<br />

soluzione di specifiche fattispecie date da sinodi<br />

particolari o sono risposte di alcuni Padri della<br />

Chiesa, recepite poi in altre Chiese locali con atti<br />

di comunione ecclesiastica.<br />

Esempio tipico dell’accettazione di una<br />

prassi instaurata è il can. 6 del Concilio di Nicea<br />

I, del 325, in cui si <strong>dic</strong>e: Antiqua consuetudo servetur<br />

per Aegyptum, Lybiam et Pentapolim ita ut<br />

Alexandrinus episcopus horum omnium habeat<br />

potestatem, quia et urbis Romae episcopo parilis<br />

mos est. Similiter autem et apud Antiochiam ceterasque<br />

provincias sua privilegia serventur ecclesiis.<br />

I Padri a Nicea prendono atto, quindi, che<br />

alcune Chiese avevano goduto sin dall’età subapostolica<br />

di un prestigio particolare, sia a causa<br />

della loro origine apostolica, sia a causa della<br />

fama e santità di uno dei loro vescovi, sia per<br />

importanza civile della città (8).<br />

Il vescovo di Alessandria si vede riconfermato<br />

un potere eccezionale (εξουσια) non su una<br />

provincia come ogni metropolita, bensì su più<br />

province e su più metropoliti (9); egli è paragonato<br />

al vescovo di Roma, è a lui parilis, in quanto<br />

dalle fonti si rileva che ha una giurisdizione,<br />

in quel periodo sub-apostolico sulle dieci province<br />

civili della diocesi dell’Italia suburbicaria (10);<br />

non è invece precisato il potere sopra-episcopale<br />

riconosciuto al vescovo di Antiochia (11) ed<br />

anche questo è a riprova del prendere atto e sanzionare<br />

di situazioni giuri<strong>dic</strong>he preesistenti il cui<br />

contenuto è noto e perciò non precisato.<br />

Queste sedi con Roma, come poi quelle di<br />

Costantinopoli e di Gerusalemme, prenderanno il<br />

titolo di sedi patriarcali.<br />

L’esistenza di una differenza di poteri tra<br />

i vescovi di Alessandria e quello di Antiochia con<br />

conseguente presa d’atto, senza in<strong>dic</strong>azione di<br />

causa, risulta dai deliberati del Concilio di<br />

Costantinopoli I, del 381, dove, anche qui, il can.<br />

2 stabilisce: Qui sunt super diocesim episcopi,<br />

nequaquam ad ecclesias quae sunt extra terminos<br />

sibi praefixos, accedant nec eas hac praesumptione<br />

confundant. Sed iuxta canones Alexandrinus antistes<br />

quae sunt in Aegypto regat solummodo. Et<br />

Orientis episcopi Orientem tantum gubernent servatis<br />

privilegiis, quae nicaenis canonibus ecclesiae<br />

Antiochenae tributa sunt. Mentre il vescovo di<br />

Alessandria si vede riconfermato il suo potere su<br />

tutta la diocesi civile d’Egitto, nella diocesi civile<br />

d’Oriente è il sinodo dei vescovi che ha la supremazia,<br />

salvi quei poteri, ancora una volta non<br />

menzionati, che il concilio di Nicea aveva riconosciuto<br />

al vescovo di Antiochia (12).<br />

La mancanza di un disegno giuri<strong>dic</strong>o unitario<br />

è del tutto evidente. Lo stesso accordo tra il<br />

vescovo di Antiochia e quello di Gerusalemme,<br />

ratificato dal Concilio di Calcedonia del 451, con<br />

il quale si riconosce una giurisdizione ultrametropolitana<br />

anche a Gerusalemme sulle tre<br />

Palestine, istituisce una quinta giurisdizione<br />

patriarcale per soddisfare un desiderio di una<br />

persona, Giovenale di Gerusalemme (13), o di<br />

una Chiesa locale, quella gerosolimitana, non è<br />

fatto per razionalizzare con una ripartizione<br />

equilibrata l’organizzazione ecclesiastica regionale.<br />

Il fondamento delle speciali prerogative primaziali<br />

ed estensione territoriale<br />

Quanto all’affermazione contenuta nel<br />

Documento del Pontificio Consiglio per la<br />

Promozione dell’Unità dei Cristiani secondo cui<br />

gli antichi Patriarcati d’Oriente, fissati dai Concili<br />

di Costantinopoli (381) e di Calcedonia (451),<br />

erano relativi ad un territorio abbastanza chiaramente<br />

circoscritto, allorché il territorio della Sede<br />

del vescovo di Roma rimaneva vago, mi pare che le<br />

fonti parlino espressamente sì di giurisdizione in<br />

determinati territori, ma prevedono interventi<br />

primaziali al di là di quei territori specifici.<br />

La giustificazione e legittimità delle speciali<br />

prerogative esercitate dal patriarca di<br />

Costantinopoli (14) traggono fondamento nel<br />

can. 28 del concilio di Calcedonia, del 451, e nel<br />

can. 36 del concilio in Trullo, del 691, dove anche<br />

si ribadisce il primato di onore a quella sede,<br />

seconda solo all’antica Roma; lì si affermava che<br />

spettava al vescovo primate di ogni diocesi civile<br />

dell’Impero consacrare (e quindi controllarne la<br />

nomina) i vescovi di quella diocesi e che al vescovo<br />

di Costantinopoli spettava ordinare i vescovi<br />

del Ponto, Asia e Tracia e quelli dei paesi fuori i<br />

confini dell’Impero (Paesi barbari) vicini (15).<br />

Stando alla situazione politico-geografica<br />

del V secolo si può ritenere che i Paesi barbari<br />

fossero quelli limitrofi all’Impero Romano<br />

d’Oriente, cioè i territori orientali balcanici e<br />

quelli della odierna pianura russa e delle sponde<br />

del mar Nero fino al Caucaso; territori non<br />

“chiaramente circoscritti” (16).<br />

Analogamente i vescovi della<br />

Mesopotamia e della Persia venivano ordinati<br />

all’inizio (17) dal patriarca viciniore, quello di<br />

Antiochia, e sempre fin dai primi tempi il metropolita<br />

di Etiopia veniva ordinato dal patriarca di<br />

Alessandria (18).


Quanto al fondamento ecclesiologico<br />

delle speciali prerogative riconosciute ad alcuni<br />

vescovi va detto che per gli orientali esse derivavano<br />

da decisioni conciliari che prendevano atto<br />

di situazioni esistenti determinate da fattori politici<br />

e sociali. Per la Chiesa di Roma il Decretum<br />

Gelasianum (19) oltre a riven<strong>dic</strong>are il collegamento<br />

speciale tra il vescovo di Roma e Pietro<br />

precisa che anche gli speciali privilegi di<br />

Alessandria ed Antiochia hanno fondamento nell’essere<br />

tutte e tre sedi petrine, nella prima ha<br />

pre<strong>dic</strong>ato Marco, inviato di Pietro, nella seconda<br />

ha pre<strong>dic</strong>ato lo stesso Pietro prima di venire a<br />

Roma dove ha subito il martirio; Gerusalemme<br />

dove ha pre<strong>dic</strong>ato ed è stato crocifisso il Cristo<br />

non sembra riscuotere speciale valore, secondo<br />

questa tesi romana.<br />

L’esercizio delle prerogative primaziali del<br />

vescovo di Roma in Occidente: limiti di<br />

modalità e di tempi<br />

Credo che una cosa sia da chiarire subito,<br />

quando noi oggi parliamo di speciali prerogative<br />

primaziali di alcuni vescovi rispetto ad altri<br />

vescovi e ad altre Chiese, non dobbiamo aver<br />

presente i caratteri tipici della giurisdizione<br />

ultrametropolitana o metropolitana classica del<br />

diritto canonico occidentale.<br />

Una antica e tradizionale prerogativa,<br />

ribadita da concili ecumenici e particolari, è quella<br />

di consacrare i vescovi metropoliti soggetti,<br />

controllandone così la nomina, ma poteva anche<br />

essere quella di conferire loro la communio ecclesiastica<br />

tramite lettere di comunione. Il vescovo<br />

di Roma consacrava di norma i vescovi dell’Italia<br />

centro meridionale (20), si limitava a riconoscere<br />

i vescovi di Arles in Gallia e di Tessalonica in<br />

Macedonia (21) e con lettere di comunione li<br />

nominava anche suoi vicari per quei territori.<br />

Limitatissima era poi l’influenza che la<br />

sede di Roma attuava in Africa dove un vero primato<br />

era esercitato dalla sede di Cartagine fino<br />

all’invasione dei Vandali del 455 (22).<br />

L’affermazione del potere primaziale,<br />

ultrametropolitano, in Occidente sarà realizzato<br />

per tappe; nel 445 l’Imperatore d’Occidente<br />

“emana un editto con il quale riconosce pienamente<br />

il primato giurisdizionale del papa in<br />

Occidente con la seguente formula: “nulla deve<br />

essere fatto contro o senza l’autorità della Chiesa<br />

romana” (23). Sarà solo dopo il 742 che papa<br />

Bonifacio imporrà a tutti i vescovi dell’Occidente<br />

di ricevere il pallium da Roma, quale segno di<br />

soggezione alla sede romana (24).<br />

Roma esercita anche il suo ruolo ultrametropolitano<br />

sempre in Occidente patrocinando<br />

e favorendo l’attività missionaria nei popoli del<br />

Nord-Europa: Irlandesi e Anglosassoni (25) e in<br />

seguito a cavallo tra il I e II millennio presso<br />

Magiari, Polacchi e alcuni Slavi. Nello stesso<br />

periodo si assiste ad una frantumazione normativa<br />

e di governo nei nuovi regni che si vengono<br />

formando in Europa (26).<br />

Tutto questo territorio viene considerato<br />

l’Occidente, il patriarcato del vescovo di Roma,<br />

caratterizzato da un riferimento alla tradizione<br />

rituale, giuri<strong>dic</strong>a, culturale e linguistica latina.<br />

Ulteriore espansione territoriale della giurisdizione<br />

patriarcale bizantina<br />

Il processo di accentramento, operato da<br />

Costantinopoli già dal IX secolo e della progressiva<br />

estensione delle sue prerogative anche sugli<br />

altri patriarcati (27), dilaniati da scismi ed eresie<br />

e soggetti a dominazione araba, ha determinato<br />

l’interpretazione estensiva dei poteri del patriarcato<br />

costantinopolitano in tutti i territori posti<br />

fuori dei confini dell’Impero bizantino per tutelare<br />

e provvedere alla cura pastorale anche di<br />

quanti, seguaci dell’ortodossia, abitanti nel<br />

patriarcato d’Occidente – il patriarcato del Papa -<br />

che ormai si era irrimediabilmente staccato dagli<br />

altri quattro patriarcati orientali. Di qui la<br />

dipendenza attuale da Costantinopoli di circoscrizioni<br />

episcopali negli Stati dell’Europa occidentale.<br />

Diverso è il problema della dipendenza da<br />

Costantinopoli delle Chiese e dei vescovi di diocesi<br />

situate nelle Americhe ed in Australia; si può<br />

ritenere che esse dipendano dal Patriarca bizantino<br />

perché i fedeli appartengono alla diaspora<br />

ortodossa in Occidente (analogamente a quello<br />

che succede per i cristiani ortodossi dell’Europa<br />

occidentale), e quindi si tratterebbe di una giurisdizione<br />

personale giustificata dalla cura pastorale<br />

di fedeli della diaspora (28), oppure potrebbe<br />

essere ricond<strong>ott</strong>a alla prevista giurisdizione<br />

sui Paesi Barbari, di cui ai canoni 28 di<br />

Calcedonia e 36 del Trullano, qualificando le<br />

Americhe e l’Australia come tali; in questo caso<br />

non sarebbe una giurisdizione personale, bensì<br />

una vera e propria giurisdizione territoriale.<br />

Certo è difficile dire in base ai citati canoni<br />

chi sia il patriarca competente in ragione della<br />

vicinanza, ed è difficile dire che siamo in presenza<br />

di una concorrenza di giurisdizioni patriarcali<br />

in un medesimo territorio, sia pure vastissimo,<br />

contrad<strong>dic</strong>endo un principio classico dell’ortodossia<br />

che vuole una unica Chiesa in un unico<br />

territorio (29).<br />

Forse si potrebbe ritenere che, in base alla<br />

situazione che si è creata in virtù del potere di<br />

accentramento del patriarcato bizantino, ricordato<br />

sopra, saremmo in presenza di una giurisdizione<br />

esclusiva di Costantinopoli sui fedeli<br />

ortodossi e di Roma sui fedeli cattolici.<br />

Quanto ai limiti dei singoli patriarcati, si<br />

potrebbe sostenere che corrispondano ai limiti<br />

17


18<br />

territoriali esistenti nell’Impero Romano e che i<br />

territori al di fuori di esso non fanno parte di<br />

nessun patriarcato storico, ma seguono le tradizioni<br />

proposte (e accettate) dell’azione missionaria.<br />

Basti ricordare l’azione di Cirillo e Metodio<br />

nei confronti dei Boemi e degli altri slavi mitteleuropei,<br />

della Chiesa bizantina nei confronti dei<br />

Bulgari (30) e dei Russi, per non parlare della<br />

successiva evangelizzazione delle Americhe e<br />

dell’Australia; non credo che si possa parlare di<br />

Patriarcato d’Occidente per questi territori, ma<br />

solo di zone in cui si è sviluppata, in modo del<br />

tutto prevalente, la Chiesa cattolica latina, tramite<br />

l’azione missionaria occidentale e per il<br />

numero dei fedeli e per la volontà dei governi,<br />

specie latinoamericani di convertire i nativi alla<br />

Chiesa cattolica; le tradizioni orientali, bizantine,<br />

melkite, russe sono rimaste così solo proprie di<br />

popolazioni emigrate appartenenti a quelle tradizioni,<br />

riti e culture.<br />

La pentarchia: limiti temporali e territoriali<br />

Il termine patriarca e patriarcato sono<br />

successivi, non lo sono, invece, come ho detto<br />

sopra, le speciali prerogative attribuite ai cinque<br />

vescovi di Roma, Costantinopoli, Alessandria,<br />

Antiochia e Gerusalemme in determinati territori.<br />

Nel concilio di Calcedonia, del 451, la<br />

Chiesa viene divisa in cinque grandi circoscrizioni<br />

ultra-metropolitane, i cinque patriarcati (31):<br />

Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e<br />

Gerusalemme, cui si aggiunge la Chiesa di Cipro<br />

(32). Tutto il territorio dell’Impero romano era<br />

compreso in quelle cinque grandi circoscrizioni;<br />

la parte occidentale, su cui esercita il potere primaziale<br />

il vescovo di Roma, in quel periodo non<br />

corrisponde ormai più ai confini dell’Impero<br />

d’Occidente s<strong>ott</strong>o Diocleziano; Spagna, Gallia,<br />

Germania, Britannia e parte dell’Africa sono soggetti<br />

a domini barbarici, non per questo si ritiene<br />

che le speciali prerogative del vescovo di Roma<br />

siano venute meno in tutti quei territori che una<br />

volta facevano parte dell’Impero. Una riprova di<br />

ciò sta nel fatto che quando, nel 379, le diocesi<br />

civili di Macedonia e di Dacia che facevano parte<br />

della Prefettura dell’Illirico e quindi dell’Impero<br />

d’Occidente, furono unite all’Impero d’Oriente, i<br />

papi per salvaguardare le loro speciali prerogative<br />

su vescovi di quelle regioni, conferiscono al<br />

vescovo di Tessalonica, una potestà vicaria (33).<br />

Ho detto che il titolo di patriarca viene<br />

assunto dai cinque vescovi in quegli anni, senza<br />

una deliberazione ad hoc, ma come titolo corrispondente<br />

allo speciale ruolo ricoperto.<br />

Quello che merita rilevare è che agli inizi<br />

quando si parla di Chiesa di Roma, di Chiesa di<br />

Costantinopoli, di Chiesa di Alessandria, di<br />

Chiesa di Gerusalemme non si intende riferirsi<br />

alle circoscrizioni territoriali s<strong>ott</strong>oposte alle succitate<br />

Chiese, ma alla Chiesa particolare dove<br />

risiede il vescovo-patriarca, considerata Chiesa<br />

madre. Nel IV e V secolo il patriarcato può essere<br />

considerato come “unione” di Chiese locali o<br />

regionali raggruppate intorno ad una Chiesamadre<br />

ed unite da un vinculum communionis tra<br />

loro e soggette alle speciali prerogative del<br />

patriarca.<br />

Attraverso lo sviluppo della teoria della<br />

pentarchia si giungerà ad un grado di astrazione<br />

che permetterà di individuare nella Chiesa<br />

patriarcale non più la Chiesa madre dove risiede<br />

il vescovo-patriarca, bensì una unità organica<br />

composta di più Chiese locali s<strong>ott</strong>o l’autorità<br />

gerarchica di un prelato: il Patriarca; la conseguenza<br />

sarà che il fulcro della vita ecclesiale si<br />

sposterà dalle Chiese locali e dalle Chiese metropolitane<br />

al patriarcato (34).<br />

Il concilio di Costantinopoli, dell’869-<br />

870, VIII ecumenico per la Chiesa di Roma, segna<br />

l’apice della concezione confederale, pentarchica,<br />

della Chiesa; da tutto il contesto si deduce che il<br />

vescovo di Roma ha una giurisdizione<br />

sull’Occidente; nelle sue sessioni si proclama che<br />

Dio ha fondato la sua Chiesa sui cinque patriarchi<br />

e che se anche quattro di loro dovessero errare,<br />

uno di essi rimarrà sempre a custodire il<br />

gregge di Cristo (35).<br />

Questo concilio è, però, disconosciuto<br />

dagli ortodossi. Si sostiene che fu annullato da<br />

papa Giovanni VIII (36); i canoni di questo concilio<br />

non si trovano in nessuna collezione canonica<br />

orientale e non può essere portato come<br />

documento a suffragio della pentarchia da parte<br />

ortodossa.<br />

A sostegno della pentarchia gli ortodossi<br />

pongono invece il concilio dell’879-880 tenuto<br />

anche questo a Costantinopoli, un concilio che<br />

riabilita Fozio e disconosce il precedente sinodo;<br />

dai canoni si ricava il principio della pentarchia e<br />

l’affermazione della reciproca parità tra Roma e<br />

Costantinopoli in relazione alla potestà coercitiva.<br />

In realtà il canone I è un punto di partenza<br />

per superare la concezione pentarchica. I contraenti<br />

sono solo Roma e Costantinopoli; il rappresentante<br />

di Gerusalemme plaude all’intesa<br />

raggiunta; quello di Alessandria compare solo<br />

alla firma degli atti conciliari; il rappresentante<br />

di Antiochia esprime il suo parere favorevole a<br />

che contro chiunque chierico o laico trovato<br />

intento a separare se stesso dalla Chiesa di Dio<br />

sia punito da Fozio, detentore del pieno potere di<br />

legare e sciogliere (37).<br />

Un concilio che si proclama ecumenico<br />

(38) avrebbe legiferato in modo diverso se la<br />

potestà dei cinque patriarchi fosse stata considerata<br />

eguale e, visto, che il canone si chiude con la


salvaguardia degli speciali privilegi della sede<br />

romana avrebbe potuto accennare, a maggior<br />

ragione, ai diritti delle altre Chiese patriarcali.<br />

Se il concilio di Costantinopoli dell’869-<br />

870, antifoziano, ma, come ho detto, non riconosciuto<br />

dagli ortodossi, dette un’indubbia<br />

prova dell’esercizio del primato pontificio in<br />

Oriente con l’<strong>ott</strong>enere la piena sconfessione dell’operato<br />

di Fozio e con la ratifica di molte disposizioni<br />

relative alla nomina di patriarchi e<br />

vescovi, fino ad allora non osservate nella Chiesa<br />

bizantina (39), il concilio dell’879-880 segna,<br />

invece, il trionfo di Fozio, non solo per la sua<br />

piena reintegrazione, ma anche per la completa<br />

invalidazione del concilio precedente e la cassazione<br />

dei canoni disciplinari di quello.<br />

Questo concilio fu approvato dagli inviati<br />

di Papa Giovanni VIII e benché non ecumenico,<br />

riscuote grande autorevolezza presso gli ortodossi<br />

che in esso vedono una conferma della sede<br />

romana alla pentarchia (40).<br />

Approfittando del momento favorevole<br />

(41) l’abile patriarca costantinopolitano si equipara,<br />

quasi, al vescovo di Roma, le sue decisioni<br />

disciplinari sono valide come quelle del romano<br />

pontefice e l’uno e l’altro si impegnano a recepirle.<br />

Se consideriamo la situazione politica di<br />

quegli anni il primato di Costantinopoli appare<br />

ben giustificato. Gli arabi hanno conquistato i<br />

territori degli altri patriarcati, quelle antiche sedi<br />

sono in piena decadenza e per gli scismi che le<br />

hanno dilaniate, e, ora, per la dominazione intollerante<br />

ed ostile dei conquistatori mussulmani.<br />

Solo Costantinopoli vive, legata alle fortune<br />

dell’Impero d’Oriente; essa si identifica sempre<br />

più con quello e vuole estendere la sua giurisdizione<br />

fino là dove si estende la sovranità imperiale,<br />

anche nei territori d’Occidente; in Oriente,<br />

poi, come l’imperatore, si considera rappresentante<br />

e portatore di interessi di tutte le popolazioni<br />

cristiane e territori caduti in mano agli<br />

infedeli.<br />

La pentarchia così delineata alla metà del<br />

I millennio si presenta ben presto come una<br />

costruzione debole, essenzialmente per tre motivi<br />

che la minano dalle fondamenta. Alla fine del<br />

I millennio resterà solo un fatto storico, un dato<br />

ecclesiale che esprimerà una realizzazione ormai<br />

al tramonto. Il primo motivo negativo risiede del<br />

programma del vescovo di Roma di voler esercitare<br />

un primato su tutti i vescovi, compresi i<br />

patriarcati orientali, ratione primatus Petri (42); il<br />

secondo motivo di debolezza è dato dalla costituzione<br />

di gerarchie ecclesiastiche eretiche monofisite<br />

contrapposte a quelle melkite (ortodosse e<br />

filo imperiali) nei patriarcati di Alessandria e di<br />

Antiochia, gerarchie che tuttavia riscuotevano il<br />

consenso di gran parte dei fedeli cristiani (43),<br />

terzo fattore che ne ha sanzionato la fine va<br />

visto nella occupazione, secoli VIII e IX, dei territori<br />

dei patriarcati di Alessandria e di Antiochia<br />

da parte dell’islam e la contemporanea politica di<br />

accentramento di Costantinopoli su tutte le<br />

Chiese orientali (44).<br />

Realtà storica e normativa attuale, come<br />

punti di riferimento per il ristabilimento<br />

della piena comunione con le Chiese ortodosse.<br />

Un punto fermo del dialogo ecumenico è<br />

che il vescovo di Roma come Patriarca<br />

d’Occidente ha speciali funzioni, diritti, prerogative<br />

nell’ambito della Chiesa latina, ha una giurisdizione<br />

ultrametropolitana assimilabile negli<br />

aspetti fondamentali per origine e contenuto a<br />

quella degli altri patriarchi nel primo millennio;<br />

diversamente come successore di Pietro, come<br />

colui che presiede nella carità, ha un primato<br />

universale (45) che può essere meglio specificato,<br />

quanto all’esercizio, in successive precisazioni<br />

che tengano conto dell’ecclesiologia del primo<br />

millennio nonché delle tesi di teologi cattolici<br />

(46) ed ortodossi (47).<br />

A tal proposito cito quanto scrive<br />

Joannou (48): Nous y voyons persister, au IX e siècle,<br />

la tradition antique de l’église qui voyait dans<br />

l’évêque de Rome la garantie d’infaillibilité des<br />

conciles œcuméniques, le juge suprême de la foi à<br />

cause du pouvoir des clefs confié par le Christ à<br />

Pierre, et le lien d’unité entre les églises chrétiennes.<br />

La duplice codificazione canonica una per<br />

la Chiesa latina ed una per le Chiese orientali e la<br />

stessa costituzione Pastor Bonus regolatrice delle<br />

competenze di Congregazioni ed Uffici della<br />

Curia Romana in cui si in<strong>dic</strong>ano le competenze<br />

della Congregazione per le Chiese Orientali (49)<br />

che assorbono anche quelle di altri <strong>dic</strong>asteri competenti<br />

su questioni della Chiesa latina, mostrano<br />

la volontà di regolare al vertice in modo differente<br />

quanto attiene alla Chiesa latina, patriarcato<br />

d’Occidente, da quanto attiene alle Chiese<br />

d’Oriente.<br />

Ho detto, mostrano la volontà di regolare<br />

in modo differente, giacché la normativa<br />

avrebbe potuto essere molto più incisiva.<br />

Il Decreto del Concilio Vaticano II<br />

Orientaliun Ecclesiarum stabilisce che sono riconosciuti<br />

e confermati i diritti e i privilegi dei<br />

patriarchi affermando che “i patriarchi e i loro<br />

sinodi costituiscono le supreme istanze di quelle<br />

Chiese” ed esprime la volontà di ripristinarli<br />

secondo le antiche tradizioni di ogni Chiesa e<br />

secondo i decreti dei concili ecumenici, questi<br />

diritti e privilegi debbono essere quelli vigenti al<br />

tempo dell’unione tra Oriente ed Occidente, adattati<br />

alle odierne esigenze (50).<br />

19


20<br />

Stando alla lettera la nuova codificazione<br />

orientale con la distinzione tra Chiese patriarcali,<br />

Chiese arcivescovili maggiori, Chiese metropolitane<br />

e altre Chiese sui iuris è stato riconosciuto<br />

un largo autogoverno alle Chiese patriarcali,<br />

mentre si è previsto un intervento progressivamente<br />

più accentuato sulle altre tre tipologie di<br />

Chiese, specie per la nomina dei vescovi. Forse lo<br />

spirito della norma conciliare dava la possibilità<br />

di una maggiore autonomia per le Chiese<br />

d’Oriente e l’introduzione della nuova figura<br />

giuri<strong>dic</strong>a di Chiesa arcivescovile maggiore non ha<br />

ampliato molto l’autonomia riconosciuta alle<br />

Chiese metropolitane (51). La competenza della<br />

Congregazione per le Chiese Orientali incontra<br />

dei limiti al §2 dello stesso art. 58 per la riconfermata<br />

esclusività della competenza di altri<br />

<strong>dic</strong>asteri ed uffici della Curia Romana, in alcuni<br />

casi (ad es. dispensa dal matrimonio rato e non<br />

consumato) a mio sommesso giudizio non<br />

necessaria.<br />

Altro punto su cui occorre riflettere è l’aver<br />

deciso di mantenere per i patriarchi orientali<br />

in comunione con la <strong>San</strong>ta Sede (52) una potestà<br />

più limitata sui fedeli residenti in eparchie al di<br />

fuori dei patriarcati (53), volendo ribadire che la<br />

loro giurisdizione è al tempo stesso personale sui<br />

fedeli della propria Chiesa rituale, ma piena solo<br />

su quelli residenti nel tradizionale territorio<br />

patriarcale.<br />

Credo che la valutazione corretta della<br />

realtà storico-giuri<strong>dic</strong>o del primo millennio, di<br />

cui ho evidenziato alcuni aspetti salienti ed alcune<br />

considerazioni cattoliche ed ortodosse, in<strong>dic</strong>hino<br />

le linee su cui muovere il dialogo fruttuoso<br />

con l’Ortodossia (54).<br />

Note<br />

1. Comunicato del P. Consiglio per la Promozione dell’Unità dei<br />

Cristiani, del 22 marzo 2006, www.olir.it.<br />

2. In cui tra l’altro si esprimono riserve sul il mantenimento per<br />

il Papa dei titoli di Vicario di Cristo e di Sommo Pontefice della<br />

Chiesa universale. Letter of Greek Orthodox Archbishop,<br />

www.ecclesia.gr e Announcement Holy and Sacred Synod<br />

Ecumenical Patriarchate, www.ec-patr.gr ; sull’argomento si<br />

segnala LORUSSO, L., Reazioni ortodosse circa la rinuncia del Papa<br />

di Roma Benedetto XVI al titolo di “Patriarca di Occidente”, in O<br />

Odigos, n. 2 del 2006, p. 11 s.<br />

3. Basti vedere ad es. il volume PARLATO,V., L’ ufficio patriarcale<br />

nelle chiese orientali dal IV al X secolo. Contributo allo studio della<br />

‘communio’, Padova, 1969, in cui si ricordano i periodi più o<br />

meno lunghi di mancanza di comunione tra Roma e<br />

Costantinopoli.<br />

4. “The unity of Church cannot be conceived as a sum of culturally<br />

distinct Churches, but as a unity local, namely geographically<br />

determined, Churches. The removal of the title ‘Patriarch of the<br />

West’ must not lead to the absorption of the clearly distinct geographical<br />

ecclesiastical ‘juris<strong>dic</strong>tions’ by a ‘universal’ Church, consisting<br />

of Churches which are distinguished on the basis of either<br />

‘culture’ or ‘confession’ or ‘rite’”.<br />

5. I titoli di Vicario di Cristo e di Sommo Pontefice della Chiesa<br />

universale creano invece serie difficoltà per il dialogo ecumenico<br />

in quanto sono percepiti “as implyng a uniniversal juris<strong>dic</strong>tion of<br />

the bishop of Rome over the entire Church, which is something the<br />

Orthodox have never accepted”.<br />

6. Lettera dell’Arcivescovo di Atene, Christodoulos, del 17 marzo<br />

2006, inviata a Papa Benedetto XVI.<br />

7. Sui problemi attuali dell’ecumenismo con le Chiese Ortodosse<br />

rinvio al volume V. PARLATO, Le Chiese d’Oriente tra storia e diritto,<br />

Saggi, Torino, 2003, in special modo al capitolo IV, titolo I,<br />

Principi dell’ecumenismo cattolico e titolo II, Le Chiese orientali<br />

cattoliche e la problematica ecumenica con le Chiese ortodosse.<br />

8. PARLATO,V., L’ufficio cit., p. 11-12 e bibl. ivi cit.<br />

9. Oltre ad ordinare tutti i vescovi e metropoliti il vescovo di<br />

Alessandria interviene a difesa dell’ortodossia convocando sinodi,<br />

inviando lettere, deponendo anche vescovi, risolvendo controversie,<br />

promulgando norme per tutti quei territori,<br />

PARLATO,V., L’ufficio cit., p. 13, nota 12. La comparazione con i<br />

poteri del vescovo di Roma va intesa naturalmente per quel che<br />

concerne i poteri sopra-episcopali, cfr. sul punto PARLATO,V.,<br />

L’ufficio cit., p. 13, nota 11.<br />

10. Tuscia-Umbria, Campania, Lucania-Bruttium, Apulia-<br />

Calabria, <strong>San</strong>nio, Piceno, Valeria, Sicilia, Sardegna e Corsica, cfr.<br />

VOGEL, C., Unité de l’Eglise et pluralité des formes historiques d’organisation<br />

ecclésiastique du III au V siècle, in L’Episcopat et l’Eglise<br />

universelle, Paris, 1962, p. 629.<br />

11. Antiochia era considerata la principale metropoli ecclesiastica<br />

dell’Oriente. Il vescovo antiocheno già nel 252 presiede i concili<br />

regionali; cfr. PARLATO,V., L’ufficio cit., p. 13, nota 13.<br />

12. PARLATO,V., L’ufficio cit., p. 14-15 e bibl. ivi citata.<br />

13. PARLATO,V., L’ufficio cit., p. 17 ; si legge in MANSI, VIII, 177 s.,<br />

”Maximus reverendissimus episcopus Antiochiae Syriae dixit.<br />

Placuit mihi reverend. Episcopo Juvenali, propter multam contentionem<br />

per consensum ut sedes quidem Antiochensiun maxime civitatis<br />

beati Petri habeat duas Phoenicias et Arabiam, sedes autem<br />

Hierosolimorum habeat tres Palestinas. Et rogamus ex decreto vestrae<br />

magnificentiae et sancti concilii, haec scripto firmari”.<br />

14. Sulle prerogative di Costantinopoli cfr. VOGEL, C., Unité de<br />

l’Eglise et pluralité des formes historiques d’organisation cit., p.<br />

620 s. e JOANNOU, P.P., Pape et patriarches dans la législation canonique,<br />

in Les canons des synodes Particuliers (Pontificia commissione<br />

per la redazione del co<strong>dic</strong>e di diritto canonico orienentale,<br />

Fonti, Discipline générale antique, IV-X s., t. I,2) Gr<strong>ott</strong>aferrata,<br />

1962, p. 541 s.<br />

15. A tal proposito il canone recita: “et ut Ponticam et Asiam et<br />

Thraciam gubernationem habeant etiam qui in barbaricis sunt episcopi<br />

a sede suprascripta [Costantinopoli] paroecias eis ordinentur”.<br />

Su questo cfr. JOANNOU, P.P., op. cit., p. 546 dove si <strong>dic</strong>e:<br />

«Quant aux mission en territoires sis hors des limites de l’empire, le<br />

droit consétudinaire établi attribuait au chef de claque diocèse<br />

[civile] la juri<strong>dic</strong>tion sur les peuples habitant les terres limitrophes<br />

à son territoire: c’est ainsi que p. ex. la Mésopotamie, la Perse<br />

dépendaient d’Antioche; suivant cette pratique le siège de CP se voit<br />

attribuer la juris<strong>dic</strong>tion de métropolitain sur les évêchés ‘des barbares’<br />

,limitrophes de Trace et du Pont».<br />

16. Si tenga presente che dal 374 il Catholicos di Armenia negò<br />

la propria soggezione all’esarca di Cesarea, uno dei tre esarcati<br />

su cui si sovrapponeva la giurisdizione patriarcale di<br />

Costantinopoli. COUSSA, G. A., Epitome praelectionum de iure ecclesiastico<br />

orientali, I, Gr<strong>ott</strong>aferrata, 1948, p. 198.<br />

17. COUSSA, G. A., Epitome cit., p. 189.<br />

18. COUSSA, G. A., Epitome cit., p. 173-174. La consacrazione del<br />

metropolita per l’Etiopia (chiesa monofisita) da parte del<br />

patriarca copto di Alessandria si è protratta fino al XX secolo. Il<br />

primo vescovo di Auxum, Frumenzio, fu consacrato vescovo<br />

pochi anni prima del Concilio di Nicea, del 325, da Atanasio di<br />

Alessandria (Cfr. La Chiesa d’Etiopia, a cura del Centro Studi e<br />

Documentazione del Centro Volontari Marchigiani, Ancona<br />

1984, p. 20) e dopo Frumenzio i vescovi etiopi erano sempre di<br />

nazionalità egiziana e consacrati dal vescovo di Alessandria, con<br />

riferimento a normative particolari anche ricompresse nel Feta<br />

Negist (p. 26); solo nel 1948 dopo lunghe trattative il Patriarca<br />

copto di Alessandria accettò che l’indipendenza della Chiesa etiope<br />

con successiva nomina di un proprio patriarca (p. 52).<br />

19. Documento composito di oscure origini rispecchiava la<br />

visione della curia papale secondo cui non dai concili, ma dallo<br />

stesso Cristo Pietro e i suoi successori avevano ricevuto il primato<br />

con la frase evangelica “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò<br />

la mia Chiesa”, Cfr. anche MEYENDORFF, J., Lo scisma tra<br />

Roma e Costantinopoli, a cura di A. RIGO, Comunità di Bose,<br />

Magnano, 2005, p. 17.<br />

20. VOGEL, C., Unité de l’Eglise et pluralité des formes historiques<br />

d’organisation cit., p. 629.


21. Cfr. PARLATO, V., Il vicariato di Tessalonica (IV-VII sec.), in Studi<br />

in memoria di Pietro Gismondi, vol. II, 2, Milano, 1991, p. 98-<br />

112, in cui il pontefice investe di poteri vicariali vescovi di<br />

Tessalonica e di Arles già nominati (p. 100-101), cfr. anche<br />

VOGEL, C., Unité de l’Eglise et pluralité des formes historiques d’organisation<br />

cit., p. 630 e 632.<br />

22. Cfr. anche VOGEL, C., Unité de l’Eglise et pluralité des formes<br />

historiques d’organisation cit., p. 630-631.<br />

23. ULLMANN,W., Il papato nel Medioevo, Roma-Bari, 1987, p. 26,<br />

citato da FANTAPPIÈ, C., Introduzione storica al diritto<br />

canonico,Bologna, 1999, p. 64.<br />

24. MEYENDORFF, J., Lo scisma tra Roma e Costantinopoli cit., p.<br />

28-29.<br />

25. FANTAPPIÈ, C., Introduzione storica al diritto canonico cit., p. 71 s.<br />

26. IBIDEM, p. 67 s.<br />

27. Sul potere di accentramento del patriarcato di<br />

Costantinopoli cfr. PARLATO,V., Le Chiese d’Oriente tra storia e<br />

diritto cit., p. 13-20; DARROUZÈS, J., Documents inédits<br />

d’Ecclesiologie byzantine, Paris, 1966, p. 78.<br />

28. A suffragio della qualificazione di giurisdizione eccezionale<br />

e personale, che si può portare quanto affermato da un canonista<br />

ortodosso (THEDOROU, E. T., Gli uniati ostacolo per l’unità,<br />

trad. italiana, in Oriente Cristiano, n. 2-3, 1992, pp. 37-38)<br />

secondo il quale “si richiede un’attenzione ed un tatto particolare<br />

nel regolare i rapporti tra Chiese di confessioni diverse, che<br />

non sono dal punto di vista numerico ugualmente rappresentate<br />

nello stesso ambito geografico. La Chiesa ufficiale o dominante<br />

deve evidentemente rispettare la libertà di coscienza dei<br />

membri delle minoranze, ma queste, in quanto credono sul serio<br />

che la Chiesa ufficiale o dominante ha le caratteristiche di vera<br />

Chiesa e può assicurare le condizioni della salvezza e la possibilità<br />

di appropriarsi dell’opera redentrice del Signore dovrebbero<br />

manifestare la sincerità del loro spirito ecumenico non solo evitando<br />

qualsiasi attività di proselitismo, diretta o indiretta, ma<br />

anche auto limitarsi al minimo indispensabile per la soddisfazione<br />

delle esigenze dei propri membri nella loro situazione particolare<br />

e lasciando via libera alla Chiesa ufficiale o dominante”.<br />

In altre parole si chiede che nei territori in cui la religione ortodossa<br />

è la religione di stato o della maggioranza della popolazione<br />

e come tale abbia una situazione particolare anche nell’ambito<br />

civile, quale è la Chiesa in Grecia considerata dallo stato<br />

greco come religione dominante, i fedeli delle altre confessioni,<br />

cioè i fedeli della Chiesa cattolica o quelli delle antiche Chiese<br />

orientali, Chiese tutte che riconoscono la Chiesa ortodossa come<br />

Chiesa sorella e strumento di grazia divina, godano di una libertà<br />

religiosa minima, vicina ad un regime di tolleranza, al fine di<br />

non ostacolare le attività della Chiesa dominante. Uguale situazione<br />

dovrebbe valere in occidente per gli ortodossi, che sono<br />

un’esigua minoranza tra i cattolici e i protestanti. Bisogna riconoscere<br />

che, per più ragioni, gli ortodossi in occidente non fanno<br />

opera di proselitismo e si limitano alla cura spirituale dei propri<br />

fedeli.<br />

29. Cfr. anche quanto affermato in CARPIFAVE, A., Conversazioni<br />

con Alessio II, patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Milano,2003,<br />

p. 213.<br />

30. Sulla volontà della Chiesa di Roma di <strong>ott</strong>enere la giurisdizione<br />

ultrametropolitana sulla Bulgaria, cfr. DVORNIK, F., Byzance<br />

et la primauté romaine, Paris, 1964, p. 137 s. e 147 s.<br />

31. Per una diversa valutazione della pentarchia cfr. anche<br />

ZANCHINI DI CASTIGLIONCHIO, F., Riflessioni sulla collegialità episcopale<br />

nel sistema della pentarchia, in Studi in onore di P. A. D’Avack,<br />

vol. III Milano, 1977, p. 1043 s.<br />

32. La cui autocefalia venne giustificata dal fatto che quella<br />

Chiesa fosse stata fondata dall’apostolo Barnaba nel IV secolo<br />

Cfr. PALMIERI, A., Chypre (Eglise de) in Dictionnaire de Théologie<br />

catholique, II,2, Paris, 1923, 2424-2472.<br />

33. Cfr. PARLATO, V., Il vicariato di Tessalonica (IV - VII sec.) cit., p.<br />

98-112 e bibliografia ivi citata; DVORNIK, C., Byzance et la primauté<br />

romaine cit., p. 31.<br />

34. In Oriente si sostenne che il potere supremo nella Chiesa<br />

spettasse ai cinque patriarchi. “Cette idée – scriveva DUSCESNE, L.,<br />

Autonomies ecclésiastiques, Eglises séparées, vol. I, Paris, 1906, p.<br />

167 – s’est perpétuée dans le droit byzantin; à Rome on l’acceptait<br />

dans le langage officiel, mais sens enthousiasme”.<br />

35. MANSI, op. cit., XVI, coll. 140-141; DVORNIK, F., Bizance cit.,<br />

p. 91; PARLATO, V., L’ufficio patriarcale cit., p. 176.<br />

36. Lo stesso Papa in una lettera inviata all’imperatore afferma:<br />

“sanctam Constantinopoli synodum contra eundem sanctissimum<br />

Photium definimus omnino damnatam et abrogatam esse” MANSI,J.<br />

D.,Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, Florentiae-<br />

Venetiis-Parisiis-Lipsiae,1759 s., XVII, col. 490 e Conciliorum<br />

Oecumenicorum Decreta, Bologna-Friburgi, 1962, p. 133.<br />

37. “ut qui ex Dei jussu praesit tamquam pontifex maximus”, cfr.<br />

MANSI, XVII, A, col, 499.<br />

38. Can. I: “sancta et universalis synodus” nell’edizione citata da<br />

JOANNOU, P. P., nella versione latina; in quella greca αγια και<br />

οικουμενικ συνοδοσ sancta et oecumenica Synodus, in MANSI,<br />

XVII A, col. 498.<br />

39. In particolare il divieto di elevare alla cattedra patriarcale un<br />

laico, can. IV del Concilio di Costantinopoli dell’869-870; cfr.<br />

PARLATO, V., L’ufficio patriarcale cit., p. 172 s. e bibl. ivi citata e in<br />

parte nota 164 a p. 176.<br />

40. “Agreed upon at the Council of Constantinople of 879 and<br />

signed by the Legates of Pope John VIII”, così si legge nella lettera<br />

di Christoudolos, Arcivescovo di Atene del 17 marzo 2006, inviata<br />

a Papa Benedetto XVI.<br />

41. Siamo in un periodo di splendore e potenza dell’Impero<br />

d’Oriente s<strong>ott</strong>o Basilio I, i bizantini si presentano come gli unici<br />

in grado di contrastare gli Arabi che continuavano a dominare<br />

il Mediterraneo ed a minacciare perfino Roma, la quale, vista la<br />

gravissima crisi che travagliava quello d’Occidente, dovette chiedere<br />

aiuto all’Impero d’Oriente. Questo spiega l’atteggiamento<br />

conciliante che il papato assunse allora verso Bisanzio nelle<br />

questioni ecclesiastiche. Cfr. OSTROGORSKY, G., Storia dell’Impero<br />

bizantino, Torino 1968, p. 215.<br />

42. Su questo cfr. VOGEL, C., Unité de l’Eglise et pluralité des formes<br />

historiques d’organisation ecclésiastique du III au V siècle, in<br />

L’Episcopat et l’Eglise universelle, Paris, 1962, p.632 s.<br />

43. Cfr. PARLATO,V., L’ ufficio patriarcale nelle chiese orientali dal IV<br />

al X secolo, Contributo allo studio della ‘communio’, Padova,<br />

1969, p. 26-27.<br />

44. Cfr. PARLATO,V., Le Chiese d’Oriente tra storia e diritto, Saggi<br />

cit., p. 13-20; DARROUZÈS, J., Documents inédits d’Ecclesiologie<br />

byzantine cit., p. 78. Segnalo un recente studio del metropolita<br />

di Vienna ALFEYEV, H., La nozione di ‘territorio canonico’ nella tradizione<br />

ortodossa, in O Odigos, n. 3 del 2006, p. 10-20.<br />

45. Che, per i cattolici, trova il punto più alto nel contenuto del<br />

dogma stabilito dal Concilio Vaticano I nella Costituzione Pastor<br />

aeternus.<br />

46. Cito, ad esempio, gli studi di DEJAIFVE, G. , Primauté et collegialità<br />

au premier concile di Vatican, in L’Episcopat et l’Eglise universelle<br />

cit., p. 639 s., DEWAS, W. F., “Potestas vere episcopalis” au<br />

premier concile di Vatican, in L’Episcopat et l’Eglise universelle cit.,<br />

p. 661 s. e di THILS, G., “Potestas ordinaria”, in L’Episcopat et<br />

l’Eglise universelle cit., p. 690 s. dove si esaminano i lavori conciliari<br />

e le possibili interpretazioni e da ultimo FANTAPPIÈ, C.,<br />

Introduzione storica al diritto canonico cit., p. 245-249 con fonti<br />

e bibl. ivi citata.<br />

47. Lo stesso documento del <strong>San</strong>to Sinodo, al punto 3, <strong>dic</strong>e<br />

espressamente che: “Among the ‘ancient’ Patriarchates the first<br />

place belongs to the Patriarchate of West, under the bishop of Rome,<br />

even though its communion with the Orthodox Churches has been<br />

interrupted after the Schism of 1054 AD.”<br />

48. JOANNOU, P.P., op. cit., p.550.<br />

49. Peraltro già precisate nella Costituzione Apostolica Regimini<br />

Ecclesiae Universae di Paolo VI del 1967, ai cap. 44 e 45, §1.<br />

50. Orientalium Ecclesiarum, n. 9.<br />

51. La Chiesa Ucraina fu eretta in arcivescovato maggiore di<br />

Leopoli il 23 <strong>dic</strong>embre 1963; cfr. LORUSSO, L., La chiesa Greco-<br />

Cattolica Ucraina, in O Odigos, n. 4 del 2005.<br />

52. Alessandria dei Copti, Antiochia dei Melkiti, Antiochia dei<br />

Siri, Antiochia dei Maroniti, Cilicia degli Armeni, Babilonia dei<br />

Caldei.<br />

53. In materia legislativa le leggi liturgiche entrano in vigore<br />

immediatamente in tutte le Chiese locali del rito, quelle disciplinari<br />

nelle eparchie ‘esterne’ vengono regolate in modo particolare<br />

ai sensi del canone 150 C.C.E.O.<br />

54. Sui problemi attuali dell’ecumenismo con le Chiese<br />

Ortodosse rinvio al volume V. PARLATO, Le Chiese d’Oriente tra storia<br />

e diritto, Saggi, cit., in special modo al capitolo IV, titolo I,<br />

Principi dell’ecumenismo cattolico e titolo II, Le Chiese orientali<br />

cattoliche e la problematica ecumenica con le Chiese ortodosse.<br />

21


22<br />

IL RITORNO DALLA DIASPORA?<br />

Il difficile dialogo all’interno della Chiesa Russa<br />

per cicatrizzare una dolorosa ferita.<br />

Quali risvolti per il dialogo ecumenico?<br />

Ormai il dialogo è veramente<br />

ad ampio raggio.<br />

Anche i più reticenti,<br />

coloro che sono arciconvinti di<br />

essere nella verità e di non aver<br />

bisogno del dialogo, poco a<br />

poco prendono coscienza che<br />

non si può rimanere inerti di<br />

fronte alle micidiali sfide del<br />

mondo secolarizzato, spesso<br />

portatore di valori in netto contrasto<br />

col messaggio cristiano.<br />

Dato però che sul dialogo tra i<br />

cristiani pesa un’enorme ipoteca,<br />

la difficoltà di individuare<br />

l’interlocutore rappresentativo<br />

dell’intera comunità, molti tentativi<br />

vengono frustrati.<br />

Uno degli ultimi e più<br />

interessanti contatti fra comunità<br />

cristiane è quello che da<br />

qualche anno si sta facendo<br />

strada fra la Chiesa russa del<br />

Patriarcato di Mosca e una sua<br />

“costola” separatasi a causa<br />

della Rivoluzione bolscevica<br />

(1917) e del nuovo governo<br />

sovietico ateo. Trattasi di un<br />

dialogo importante in quanto,<br />

se ha successo, verrebbe a<br />

sanare un doloroso scisma<br />

nella Chiesa russa, la cui stessa<br />

esistenza è un’accusa verso la<br />

gerarchia ortodossa di questa<br />

nazione. Il successo di questo<br />

dialogo darebbe cioè la sensazione<br />

della definitiva normalizzazione<br />

della Chiesa russa che<br />

così cancellerebbe 70 anni di<br />

“collaborazionismo” con lo<br />

Stato.<br />

Tale riconciliazione<br />

avrebbe non pochi risvolti<br />

anche sul piano pratico delle<br />

comunità parrocchiali della<br />

diaspora. La stessa chiesa russa<br />

di Bari, dopo tanti anni di dissi-<br />

di fra la Chiesa Oltre-Frontiera<br />

(che la gestiva) e il Patriarcato<br />

di Mosca (che la richiedeva), ne<br />

sarebbe beneficamente coinvolta.<br />

Le due Chiese russe, che dal<br />

2000 si spartiscono rispettivamente<br />

la parte inferiore e quella<br />

superiore dell’edificio barese,<br />

potrebbero tornare ad essere<br />

una sola Chiesa.<br />

Che cos’è la “Chiesa russa<br />

oltre-frontiera”?<br />

Con l’ultimo zar <strong>Nicola</strong><br />

II, nei primi anni del<br />

Novecento, la Russia aveva<br />

proceduto ad importanti riforme<br />

sociali, anche dal punto di<br />

vista religioso. Le aperture,<br />

però, invece di accontentare la<br />

popolazione, le diedero gli strumenti<br />

per pretendere di più. Fu<br />

così che nel 1917, mentre la<br />

Chiesa russa era riunita con<br />

vescovi e laici in un grande<br />

di Gerardo Cioffari O.P<br />

concilio che avrebbe ricostituito<br />

il Patriarcato di Mosca, per le<br />

strade i comunisti scatenavano<br />

l’inferno. Era scoppiata la<br />

cosiddetta Rivoluzione<br />

d’Ottobre, anche se (per i 13<br />

giorni di ritardo rispetto al<br />

nostro calendario) si era già al<br />

7 novembre.<br />

I Rivoluzionari, sia per<br />

la necessità di denaro che per la<br />

loro ideologia atea (che con<br />

Vladimir Lenin si ispirava a<br />

Karl Marx e a Friedrich Engels),<br />

procedettero al saccheggio delle<br />

chiese e all’uccisione di un gran<br />

numero di vescovi e sacerdoti.<br />

A differenza delle “purghe” staliniane,<br />

queste prime persecuzioni,<br />

saccheggi e distruzioni,<br />

furono filmate e di essi si conserva<br />

la documentazione anche<br />

visiva.<br />

Dopo qualche anno di<br />

proteste, poco a poco il neoeletto<br />

patriarca Tichon dovette<br />

adeguarsi alla situazione per<br />

salvare il salvabile. E mentre il<br />

clero che parteggiava per la<br />

sinistra fondava la “Chiesa<br />

vivente” ( ivaja Cerkov’), le diocesi<br />

meridionali e siberiane si<br />

staccavano dal Patriarcato per<br />

meglio l<strong>ott</strong>are contro i comunisti.<br />

Il trionfo delle forze rivoluzionarie<br />

costrinse ad emigrare<br />

parte della gerarchia ortodossa<br />

russa prima a Costantinopoli<br />

poi a Karlovcy (Serbia). Capo<br />

spirituale di questa Chiesa dell’emigrazione<br />

(Zarube naja<br />

Cerkov’, Chiesa Oltre-frontiera)<br />

divenne Antonij Chrapovickij,<br />

noto teologo di grande personalità.<br />

Nel 1921 Chrapovickij<br />

nominava l’arcivescovo di


Volynia, Evloghij, capo delle<br />

chiese russe all’estero (ad eccezione<br />

dei Balcani e dell’Asia).<br />

Ma, se Chrapovickij era convinto<br />

di potere agire liberamente,<br />

essendo capo dell’unica Chiesa<br />

russa libera (Supremo governo<br />

della Chiesa russa all’estero),<br />

non così la pensava Evloghij,<br />

che volle l’avallo di altri gerarchi.<br />

Il Patriarca Tichon gli riconobbe<br />

tale incarico fino al<br />

momento in cui saranno ristabiliti<br />

i legami regolari e senza<br />

impedimenti delle suddette chiese<br />

con Pietrogrado. Nell’autunno si<br />

accentuava la differenza fra<br />

Evloghij e Chrapovickij, non<br />

firmando il primo l’appello<br />

voluto dal secondo per un<br />

ritorno dei Romanov sul trono<br />

della Russia.<br />

Nel giugno 1922 il<br />

Patriarcato aboliva il Supremo<br />

governo ecclesiastico del<br />

Chrapovickij, mettendo tutte le<br />

chiese russe all’estero s<strong>ott</strong>o la<br />

giurisdizione di Evloghij.<br />

Questi, però, sapendo che la<br />

sua nomina era dettata da<br />

ragioni politiche, non ruppe col<br />

Chrapovickij e, nel 1927, si<br />

rifiutò di s<strong>ott</strong>oscrivere la<br />

<strong>dic</strong>hiarazione di fedeltà al<br />

governo sovietico fatta dal luogotenente<br />

patriarcale Sergij<br />

Stragorodskij. Lontano da ogni<br />

fedeltà agli zar, come pure da<br />

ogni adesione al governo sovietico,<br />

Evloghij nel 1931 decise di<br />

mettersi s<strong>ott</strong>o la giurisdizione<br />

del Patriarca di Costantinopoli.<br />

A questa giurisdizione appartiene<br />

ancora oggi il prestigioso<br />

Istituto Teologico di S. Sergio a<br />

Parigi.<br />

Intanto, la Dichiarazione<br />

di fedeltà al governo sovietico<br />

da parte della Chiesa<br />

patriarcale tolse il terreno s<strong>ott</strong>o<br />

i piedi alla Chiesa Vivente (socialista),<br />

che entrò in crisi. Ormai,<br />

era la Chiesa ufficiale a collaborare<br />

col governo.<br />

Fu proprio contro questa<br />

politica ecclesiastica che si<br />

mosse all’estero la Chiesa russa<br />

Oltre-Frontiera, che già dal<br />

1922 in Serbia si era dato un<br />

suo statuto come Chiesa sinodale<br />

all’estero. Spesso veniva<br />

in<strong>dic</strong>ata come Karlovciane, perché<br />

è dal sinodo in questa città<br />

serba che essa ebbe inizio. Nel<br />

novembre del 1922 un sinodo<br />

americano eleggeva come suo<br />

metropolita Platon, il quale per<br />

diversi anni (come Eulogio in<br />

Europa) mantenne buoni rapporti<br />

con la Chiesa Oltre-<br />

Frontiera.<br />

Nel corso degli anni<br />

ovviamente quest’ultima ebbe<br />

l’appoggio ideologico e finanziario<br />

da parte di tutte le istituzioni<br />

che avevano nei loro scopi<br />

la l<strong>ott</strong>a al comunismo. Per cui,<br />

anche dopo la morte del<br />

Chrapovickij (1936) e dopo la<br />

Seconda Guerra Mondiale la<br />

Chiesa Oltre Frontiera mantenne<br />

la sua intransigenza, al<br />

punto di sospendere la comunione<br />

con tutte le Chiese ortodosse<br />

che intrattenevano rapporti<br />

col Patriarcato di Mosca,<br />

ritenuto canonicamente illegittimo<br />

e fondamentalmente traditore<br />

della fede (in quanto collaboratore<br />

dei Senza-Dio). Le<br />

uniche Chiese con le quali<br />

intratteneva rapporti quasi<br />

normali erano quelle di Serbia,<br />

Gerusalemme e Sinai.<br />

Negli anni Sessanta la<br />

Chiesa Oltre-Frontiera instaurava<br />

una stretta collaborazione<br />

col monastero ultraconservatore<br />

della Trasfigurazione<br />

(Brookline, Massachusetts), che<br />

aveva r<strong>ott</strong>o con l’Arcidiocesi<br />

greco-ortodossa d’America, ma<br />

poi ci ripensava e se ne staccava<br />

negli anni Ottanta. Il suo<br />

centro spirituale era intanto<br />

divenuto il monastero della SS.<br />

Trinità a Jordanville (New<br />

York), ove si pubblicava (e<br />

ancora si pubblica) l’agile e<br />

interessante rivista Orthodox<br />

Life. In Europa invece il centro<br />

era Ginevra, dal cui vescovo<br />

dipendeva tra le altre la chiesa<br />

ortodossa russa di Bari.<br />

La caduta del comunismo<br />

(1985) ed il ritorno della<br />

Russia alla libertà (1989) non<br />

cambiava i rapporti di questa<br />

Chiesa col Patriarcato di Mosca,<br />

in quanto tutta la gerarchia<br />

russa era accusata di essere<br />

stata connivente col KGB (polizia<br />

segreta), e quindi qualsiasi<br />

ordinazione episcopale era considerata<br />

canonicamente invalida.<br />

Contatti fra il Patriarcato di<br />

Mosca e la Chiesa Oltre-<br />

Frontiera.<br />

Alle varie iniziative del<br />

Patriarcato di Mosca, i vescovi<br />

Oltre-Frontiera hanno risposto<br />

che prima di qualsiasi contatto<br />

la Chiesa patriarcale doveva<br />

soddisfare a quattro condizioni:<br />

1) Rigettare ufficialmente la<br />

Dichiarazione del 1927.<br />

2) Canonizzare i martiri del<br />

periodo sovietico.<br />

3) Rigettare qualsiasi partecipazione<br />

al movimento ecumenico.<br />

4) Ogni vescovo e sacerdote<br />

deve fare una pubblica penitenza<br />

per la sua appartenenza al<br />

Patriarcato.<br />

Ovviamente, pur desideroso<br />

di riconciliazione, il<br />

Patriarca Alessio II ha rigettato<br />

queste quattro condizioni (cfr.<br />

E. Komarov, Patriarch, Moskva<br />

1993, pp. 70-71). La situazione<br />

è andata così peggiorando di<br />

anno in anno, soprattutto a<br />

causa del fatto che la Chiesa<br />

Oltre-Frontiera ha intrapreso<br />

molteplici iniziative sul territorio<br />

canonico della Russia.<br />

Approfittando della libertà<br />

politica, rientrava in patria e,<br />

senza curarsi del Patriarcato,<br />

fondava tutta una serie di parrocchie<br />

negli stessi luoghi ove<br />

già c’erano parrocchie del<br />

Patriarcato.<br />

Ma, proprio quando<br />

tutto sembrava peggiorare,<br />

avendo imboccato una via di<br />

non ritorno, ecco verificarsi il<br />

fatto nuovo che avrebbe invertito<br />

la tendenza, a dimostrazione<br />

che spesso molto dipende dal<br />

temperamento degli uomini.<br />

23


24<br />

Il cambiamento è iniziato<br />

nel 2001, con l’elezione del<br />

metropolita Lauro a capo della<br />

Chiesa russa Oltre-Frontiera,<br />

che contava una quin<strong>dic</strong>ina di<br />

vescovi e circa 150.000 fedeli.<br />

Egli stabiliva così i primi contatti<br />

col Patriarcato, tanto che<br />

nell’<strong>ott</strong>obre il <strong>San</strong>to Sinodo di<br />

Mosca gli indirizzava un appello<br />

alla riconciliazione. Dopo<br />

vari contatti e visite di altri<br />

vescovi, nel 2004 Lauro in persona<br />

incontrava a Mosca il<br />

Patriarca Alessio II; un incontro<br />

che ebbe come conseguenza la<br />

costituzione di una commissione<br />

per lo studio dei rapporti<br />

bilaterali.<br />

Il riavvicinamento non<br />

è piaciuto a molti della Chiesa<br />

Oltre-Frontiera, i quali insieme<br />

a Vitalij (predecessore ritirato<br />

di Lauro) si sono staccati per<br />

formare la Chiesa Ortodossa<br />

Russa in Esilio. Ma Lauro è<br />

andato avanti, ed un concilio<br />

riunito a S. Francisco (California)<br />

nel maggio del 2006 ha<br />

auspicato la piena comunione<br />

con Mosca. Il 6 settembre è<br />

stato approvato l’Atto di unità<br />

canonica, che però deve essere<br />

s<strong>ott</strong>oposto ad un concilio che<br />

deve approvarlo definitivamente.<br />

I problemi sul tappeto<br />

sono soprattutto due, uno<br />

molto pratico e l’altro d<strong>ott</strong>rinale.<br />

Il primo riguarda le proprietà<br />

ecclesiastiche che, ovviamente,<br />

non possono passare così<br />

semplicemente al Patriarcato.<br />

Quindi la Chiesa Oltre-Frontiera<br />

dovrà trovare un meccanismo<br />

di diritto internazionale che le<br />

permetta di non perdere queste<br />

proprietà (almeno per qualche<br />

tempo). Il secondo è legato allo<br />

spirito stesso dell’Ortodossia<br />

russa, che per la Chiesa Oltre-<br />

Frontiera non contempla compromessi<br />

di alcun tipo:<br />

Ortodossia o nulla. Mentre la<br />

Chiesa russa ha un forte senso<br />

delle differenze fra cristiani<br />

(partendo dagli antichi rituali<br />

liturgici di accoglienza di non<br />

ortodossi nell’Ortodossia), la<br />

Chiesa Oltre-Frontiera vede solo<br />

rapporti fra Ortodossi ed eterodossi.<br />

La preferenza che, ad<br />

esempio, Ilariòn Alfeev riserva<br />

a Cattolici e Pre-Calcedonesi, è<br />

del tutto incomprensibile alla<br />

Chiesa Oltre-Frontiera. O si è<br />

ortodossi, o non lo si è. L’ecumenismo<br />

è un compromesso<br />

sulla fede, quindi un’eresia.<br />

Dall’anti-comunismo all’anti-ecumenismo.<br />

La riconciliazione fra il<br />

Patriarcato di Mosca e la Chiesa<br />

Oltre-Frontiera potrebbe avere<br />

nefaste conseguenze sul movimento<br />

ecumenico. Non è detto<br />

che le avrà, ma il rischio è grosso.<br />

Come si è visto, infatti, la<br />

terza delle quattro condizioni<br />

era proprio l’abbandono del<br />

tavolo ecumenico. E che questo<br />

sia un punto importante per la<br />

Chiesa Oltre-Frontiera è dimostrato<br />

dal fatto che esso ha uno<br />

spazio non indifferente anche<br />

nell’Atto di unità canonica, nel<br />

senso che se tutte le altre condizioni<br />

sono cadute nel dimenticatoio,<br />

questa resta in piedi.<br />

Che cosa succederà? È<br />

difficile prevederlo, anche perché<br />

non stiamo parlando di<br />

cose avvenute anni fa, ma di<br />

avvenimenti di questi giorni<br />

che non si sono ancora conclusi.<br />

Sia la Chiesa russa Oltre-<br />

Frontiera che il Patriarcato di<br />

Mosca, prima di passare alla<br />

riconciliazione definitiva,<br />

dovranno parlarsi all’interno<br />

ciascuno della propria istituzione,<br />

perché la suddetta riconciliazione<br />

è certamente una<br />

bella cosa, ma tutt’altro che<br />

indolore. Al momento chi ha<br />

ceduto di più è il Patriarcato,<br />

che sembra aver ingoiato le critiche<br />

alle sue attività ecumeniche<br />

senza batter ciglio, forse<br />

per facilitare il “ritorno” dei<br />

suoi figli ribelli. Se anche in<br />

seguito sacrificherà sull’altare<br />

di questa riconciliazione il suo<br />

spirito ecumenico è difficile<br />

dirlo.<br />

La partita dell’ecumenismo<br />

è tuttora in corso ed è a<br />

tutto campo, come ha dimostrato<br />

anche l’ultimo incontro<br />

della Commissione mista teologica<br />

cattolico-ortodossa. Certo<br />

è che la fine della diaspora e il<br />

ritorno nella Madre Chiesa<br />

creerà uno squilibrio anti-ecumenico<br />

nella Chiesa russa. Il<br />

motivo è semplice: l’attuale<br />

gerarchia russa, guidata da<br />

gerarchi illuminati, è fortemente<br />

impegnata nel dialogo<br />

ecumenico (sia teologico che<br />

sociale), ma deve stare attenta<br />

a fortificarsi le spalle, perché<br />

all’interno della Chiesa russa<br />

c’è un forte filone anti-ecumenico<br />

che concepisce l’ecumenismo<br />

come un’eresia.<br />

Già ora la bilancia degli<br />

ortodossi praticanti sembra<br />

pendere in senso antiecumenico.<br />

Figuriamoci dopo. Nel<br />

momento in cui la Chiesa Oltre-<br />

Frontiera ritornerà alla comunione<br />

eucaristica col Patriarcato<br />

di Mosca, la bilancia penderà<br />

ancora di più in senso<br />

anti-ecumenico. Fino a che<br />

punto scenderà è difficile dirlo.<br />

Ma una cosa è certa. La Chiesa,<br />

e non soltanto quella russa,<br />

nell’impegnarsi nel movimento<br />

ecumenico non deve trascurare<br />

il popolo di Dio. Dopo averlo<br />

imb<strong>ott</strong>ito per secoli di sentimenti<br />

antilatini, ora non può<br />

permettersi di dialogare con le<br />

altre Chiese senza prepararlo<br />

alla legittimità e bontà di tali<br />

incontri. Deve fargli capire che<br />

è proprio grazie all’ecumenismo<br />

che migliaia e migliaia di<br />

pellegrini ortodossi russi possono<br />

venire alla <strong>Basilica</strong> di S.<br />

<strong>Nicola</strong> a Bari e pregare sulla<br />

tomba di S. <strong>Nicola</strong> come se<br />

fosse un altare ortodosso. Deve<br />

fargli capire che l’ecumenismo<br />

non è rinunciare alla propria<br />

spiritualità ma soltanto capire<br />

quella dell’altro, perché solo<br />

così potrà avverarsi l’auspicio<br />

di Gesù per i suoi seguaci: che<br />

siano una cosa sola.<br />

Nell’ecumenismo non si<br />

perde nulla di ciò che si è. Ci si<br />

arricchisce soltanto di ciò che è<br />

l’altro.


Dialogo teologico cattolico-ortodosso:<br />

Assemblea Plenaria di Belgrado (18-24 settembre)<br />

Testimonianza di un membro ortodosso<br />

rappresentante della Chiesa di Grecia<br />

Lo svolgimento dei lavori<br />

Si è riunita in assemblea plenaria a Belgrado<br />

(Serbia) dal 18 al 24 settembre 2006, dopo<br />

sei anni di interruzione, la commissione<br />

mista per il dialogo teologico tra Chiesa cattolica<br />

e Chiesa ortodossa. Presenti ventisette ortodossi,<br />

rappresentanti di tre<strong>dic</strong>i Chiese ortodosse (assenti<br />

solo la Chiesa di Bulgaria e di Estonia) e altrettanti<br />

membri cattolici, tra vescovi e teologi. La<br />

Chiesa ortodossa di Grecia veniva rappresentata<br />

da Sua Ecc. Athanasios vescovo di Acaia e dal<br />

s<strong>ott</strong>oscritto.<br />

In base a quanto deciso dal Comitato di<br />

coordinamento, riunito a Roma nel settembre del<br />

2005, in questa nuova fase il Dialogo Ortodosso<br />

ha lavorato sul documento-base, elaborato a<br />

Mosca nel 1990, dal titolo: Conseguenze ecclesiologiche<br />

e canoniche della natura sacramentale della<br />

Chiesa. Conciliarità e autorità nella Chiesa, considerato<br />

come coerente proseguimento e sviluppo<br />

dei documenti ecclesiologici precedenti (Monaco<br />

1982, Bari 1987 e Balamand 1988).<br />

Il clima ospitale, l’articolazione dei lavori<br />

e l’insieme degli incontri si sono svolti secondo<br />

un programma ben organizzato. Nella prima<br />

giornata le due commissioni (cattolica e ortodossa)<br />

si sono riunite in sessioni separate, s<strong>ott</strong>o la<br />

guida dei loro rispettivi presidenti. Nei giorni<br />

seguenti le due compagini si sono riunite in<br />

assemblea plenaria, s<strong>ott</strong>o la presidenza alternata<br />

dei due co-presidenti, cioè di sua Eminenza il<br />

Metropolita di Pergamo Ioannis Ziziulas e di sua<br />

Eminenza il Cardinale Walter Kasper. In piena<br />

libertà quasi tutti i rappresentanti hanno espresso<br />

i loro punti di vista e le loro idee sia sul testo<br />

che sugli argomenti trattati. Questo ampio spazio<br />

concesso alle discussioni è stato oltremodo<br />

funzionale: da una parte ognuno dei rappresentanti<br />

aveva l’opportunità di prendere posizione,<br />

dall’altra c’era un clima sereno e costruttivo per<br />

discussioni teologiche di alto profilo, nel quale si<br />

avanzavano osservazioni e modifiche su ogni<br />

paragrafo del testo. Con questo procedimento si<br />

è discusso su ben quarantaquattro dei 52 paragrafi<br />

del testo, affidando ad un comitato misto di<br />

redazione il compito di inserire nel testo mende e<br />

modifiche emerse in plenaria. La discussione<br />

circa i rimanenti paragrafi ed il lavoro compiuto<br />

di P. Crisostomos Sabbatos<br />

Docente incaricato di teologia dogmatica ortodossa all’Università di Atene<br />

dal comitato di coordinamento, nonché l’accettazione<br />

e l’approvazione finale in plenaria della<br />

commissione mista, sono state programmate per<br />

la seconda settimana di <strong>ott</strong>obre 2007.<br />

Tematiche e problematiche<br />

Di estrema, positiva importanza è già<br />

questa ripresa e prosieguo del dialogo teologico.<br />

Ciò esprime la volontà delle due Chiese di discutere<br />

e approdare ormai a convergenze su argomenti<br />

ecclesiologici, sui quali si erano determinati,<br />

in passato, dissensi dipendenti da interpretazioni<br />

e concezioni ideologiche diverse, nonché<br />

da eventi storici che avevano avuto risvolti spiacevoli<br />

di non poca gravità. Collocare adesso il<br />

ruolo del protos in seno ad ciascuna Chiesa locale<br />

e considerare l’esercizio della sua autorità<br />

ecclesiastica nel contesto della sinodalità e della<br />

“comunione” ecclesiale, significa partire col piede<br />

giusto, ritrovando gli elementi della comune tradizione<br />

teologica della Chiesa indivisa, e fondando<br />

solidamente su di essi qualunque pronunciamento<br />

e interpretazione di indole ecclesiologica,<br />

e ciò in rapporto non solo al ruolo del protos in<br />

seno alla Chiesa locale, ma altresì all’esercizio del<br />

primato nella vita della Chiesa del primo millennio,<br />

quando era indivisa.<br />

Nel corso della plenaria sono emerse altre<br />

problematiche, cui accenniamo.<br />

Il titolo “patriarca di occidente” attribuito<br />

al vescovo di Roma ha particolare importanza<br />

per noi ortodossi, in quanto richiama la<br />

Pentarchia (Patriarchi di Roma, Costantinopoli,<br />

Alessandria, Antiochia e Gerusalemme) come<br />

espressione di comunione e di esercizio dell’<br />

autorità ecclesiale in seno alla Chiesa indivisa del<br />

primo millennio. La sua abolizione dall’Annuario<br />

Pontificio crea pertanto perplessità. La discussione<br />

su questo punto tuttavia non viene<br />

approfondita nella plenaria, visto che – come si<br />

sa - la questione riemergerà quando si affronterà<br />

il primato del vescovo di Roma.<br />

Come intendere il termine “concilio ecumenico”?<br />

Tanto per noi ortodossi quanto per i<br />

cattolici, un concilio ecumenico rappresenta il<br />

vertice sommo nella vita della Chiesa. Tuttavia,<br />

mentre da noi se ne considera irrealizzabile la<br />

convocazione dopo il periodo iconoclasta (787) e<br />

25


26<br />

specialmente dopo lo scisma (1054), per<br />

l’Occidente invece si verifica normalmente, a<br />

condizione che i vescovi partecipanti al concilio<br />

siano in comunione col vescovo di Roma. Gli<br />

ortodossi propongono di definire non “ecumenici”<br />

ma “generali” (espressione del resto usata<br />

anche da Y. Congar). Ma tale proposta non viene<br />

accettata da parte cattolica. Anche se il termine<br />

“generale” è più corretto per i concili celebrati in<br />

Occidente, esprimendone la essenziale funzione,<br />

mentre definirli ecumenici crea di fatto una confusione.<br />

Si s<strong>ott</strong>olinea intanto l’opportunità di non<br />

far riferimento, nella plenaria di Belgrado, alla<br />

questione dell’uniatismo. Richiamare tale problema<br />

come oggetto di discussione a sé stante<br />

determinerebbe un regresso, oltre che ritardo e<br />

interruzione al percorso attuale del dialogo teologico<br />

bilaterale, impostato e avviato sulla base<br />

di una precisa tematica ecclesiologica, relativa al<br />

primato nella Chiesa in genere, e a quello del<br />

vescovo di Roma in particolare. Come stanno a<br />

dimostrare chiaramente le discussioni avvenute<br />

fino ad oggi circa il problema dell’uniatismo, soltanto<br />

una corretta impostazione generale dell’ecclesiologia<br />

e delle modalità con cui va esercitato<br />

il primato da parte del vescovo di Roma, potrà<br />

costituire un’utile e chiara chiave di soluzione<br />

del problema. Il comitato misto di coordinamento<br />

(Roma <strong>dic</strong>embre 2005) si è orientato in questo<br />

senso optando per il testo di Mosca (1990), senza<br />

che ciò implichi una resa o un voler accantona-<br />

re, nel Dialogo, il problema dell’uniatismo.<br />

Questo stesso orientamento è stato espresso<br />

nella decisione della Commissione interortodossa<br />

per il dialogo, riunita a Costantinopoli nel settembre<br />

2005, dove si è ritenuto che l’esame del<br />

problema dell’uniatismo venga affrontato non<br />

come problema avulso o autonomo, ma in connessione<br />

con l’ecclesiologia, “con particolare riferimento<br />

al problema del Primato nella Chiesa”.<br />

Ecco perché l’uniatismo sarà uno degli argomenti<br />

affrontati dalla Commissione teologica mista<br />

nel futuro immediato, come argomento ecclesiologico,<br />

in rapporto sia all’esercizio dell’autorità<br />

del vescovo di Roma sia alla estensione universale<br />

della sua giurisdizione, così come è stata intesa<br />

in Occidente nel secondo millennio.<br />

In conclusione<br />

La ripresa del Dialogo teologico cattolicoortodosso<br />

costituisce certamente un fatto positivo,<br />

ma è prematuro farne un bilancio al momento,<br />

sulla sola base di risultati immediati o indiretti.<br />

Positivo è il fatto stesso che le due Chiese<br />

abbiano ripreso il cammino del Dialogo della<br />

carità e della verità e l’abbiano fatto in atmosfera<br />

serena, fatta di reciproca fiducia e comprensione,<br />

scevra di eccessivi entusiasmi, con <strong>ott</strong>imismo<br />

responsabile e moderato (evitando esagerazioni,<br />

cedimenti, o interventi personali e arbitrari),<br />

guidate dalla convinzione che “giungere a<br />

buon fine non è privo di utilità, e il prevaricare<br />

non è privo di pericoli”.


SOLA SCRIPTURA:<br />

un tentativo di ‘deellenizzazione’?<br />

Il recente discorso di Benedetto XVI tenuto<br />

all’Università di Regensburg lo scorso 12 settembre<br />

è passato alla storia per le violente<br />

reazioni che ha suscitato nel mondo musulmano<br />

ma sembra che il suo vero e autentico messaggio<br />

sia passato in sordina e che ai più sia perfino sconosciuto.<br />

Nell’Aula Magna dell’Università che lo vide<br />

docente cattedratico di dogmatica e storia del<br />

dogma dal 1969 al 1977, il Pontefice ha s<strong>ott</strong>olineato<br />

la stretta connessione esistente tra cristianesimo<br />

ed ellenismo nel principio filosoficomorale<br />

per il quale ‘non agire secondo ragione è<br />

contrario alla natura di Dio’; questo principio si<br />

fonda su un concetto metafisico, ovvero sul rapporto<br />

di corrispondenza esistente tra la ragione<br />

umana e la Ragione di Dio, il Lògos. In un passaggio<br />

chiave del discorso Papa Ratzinger <strong>dic</strong>e:<br />

Alla tesi che il patrimonio greco, criticamente purificato,<br />

sia una parte integrante della fede cristiana,<br />

si oppone la richiesta della deellenizzazione del cristianesimo<br />

– una richiesta che dall’inizio dell’età<br />

moderna domina in modo crescente la ricerca teologica.<br />

Nel presentare le tre tappe principali di<br />

questa progressiva deellenizzazione in seno al<br />

cristianesimo, il <strong>San</strong>to Padre afferma: La deellenizzazione<br />

emerge dapprima in connessione con i<br />

postulati della Riforma del XVI secolo.<br />

Considerando la tradizione delle scuole teologiche, i<br />

riformatori si vedevano di fronte ad una sistematizzazione<br />

della fede condizionata totalmente<br />

dalla filosofia, di fronte cioè ad una determinazione<br />

della fede dall’esterno in forza di un modo di<br />

pensare che non derivava da essa. Così la fede non<br />

appariva più come vivente parola storica, ma come<br />

elemento inserito nella struttura di un sistema filosofico.<br />

Il sola Scriptura invece cerca la pura forma<br />

primordiale della fede, come essa è presente originariamente<br />

nella Parola biblica. La metafisica<br />

appare come un presupposto derivante da altra<br />

fonte, da cui occorre liberare la fede per farla tornare<br />

ad essere totalmente se stessa.<br />

Queste considerazioni ci aiutano a focalizzare<br />

il vero problema della controversia sul rapporto<br />

tra Scrittura e Tradizione che è alla base<br />

dello scisma che investì la cristianità all’inizio<br />

dell’età moderna. Il Papa-teologo incoraggia<br />

infatti ad accostarsi al problema in termini<br />

di Gianpaolo Pagano O.P.<br />

nuovi, ovvero attraverso la proposizione dell’inscindibile<br />

binomio fede-ragione.<br />

Generalmente nel cristianesimo quando si<br />

parla di Tradizione si è soliti metterla in relazione<br />

alla Scrittura. Questa relazione, senza una<br />

approfondita e corretta analisi dei concetti di<br />

‘Sacra Tradizione’ e di ‘Scrittura ispirata’ e, in<br />

definitiva, della natura della rivelazione cristiana,<br />

è più facilmente interpretabile in termini di<br />

distinzione che di complementarietà; infatti la<br />

tradizione, in relazione alla scrittura, ci rimanda<br />

all’oralità o comunque ad un ‘modo di comunicazione’<br />

diverso dalla scrittura. Lo scritto infatti<br />

ha una sua esistenza oggettiva, immutabile,<br />

legata alla materialità di un testo che, sebbene<br />

anch’esso fatto oggetto di trasmissione, viene ad<br />

avere un grado di autorevolezza di gran lunga<br />

superiore rispetto a ciò che viene trasmesso oralmente.<br />

Ebbene, questo rapporto conflittuale tra<br />

Tradizione e Scrittura non è mai appartenuto<br />

alla Chiesa delle origini nella quale ha avuto<br />

sempre un grande valore la trasmissione orale<br />

del messaggio evangelico. Gli stessi Vangeli, per<br />

altro, sono costituiti alla loro base da una molteplicità<br />

di fonti orali che sono state fatte confluire<br />

in esso al termine di una complesso lavoro<br />

redazionale. La consapevolezza di trasmettere un<br />

esperienza di vita e non un testo sacro è alla base<br />

della pre<strong>dic</strong>azione degli apostoli e dei loro successori.<br />

Per diffondere il messaggio di Cristo in<br />

tutte le nazioni (Mt 28,19; Mc 16,15) ci si servì<br />

ovviamente anche della scrittura, né più e né<br />

meno di come oggi noi ci serviamo di Internet<br />

per annunciare e diffondere quello stesso messaggio<br />

di salvezza.<br />

Successivamente, forse verso la fine del II<br />

secolo, la Chiesa primitiva avvertì l’esigenza di<br />

stabilire alcuni scritti di provata natura apostolica<br />

come proprio riferimento normativo; ma<br />

questo avvenne solo per proteggersi da quei libri<br />

spurii che vantavano un’autorità apostolica ma<br />

che erano di fatto opera di eretici. Solo da questo<br />

momento si stabilì il Canone, ovvero l’insieme<br />

dei libri ritenuti ‘ispirati’ dallo Spirito <strong>San</strong>to,<br />

portatori dell’autentico messaggio del Cristo; ma<br />

in nessun modo questi testi sacri, divenuti il<br />

Nuovo Testamento, furono concepiti in opposizione<br />

a quell’altro modo di trasmissione (scritta<br />

27


28<br />

o orale) del medesimo contenuto oggettivo – la<br />

salvezza operata dal Cristo – che chiamiamo<br />

‘Sacra Tradizione’.<br />

Comprendiamo subito come, in seno alla<br />

Chiesa sub-apostolica, la distinzione che ci si<br />

preoccupò di operare non fu quella tra Scrittura<br />

e Tradizione bensì tra ‘vera’ e ‘falsa’ trasmissione<br />

dell’autentico messaggio cristiano.<br />

Ad ogni modo sembra essere proprio la<br />

determinazione del Canone delle Scritture nella<br />

Chiesa del II secolo che ha favorito<br />

l’interpretazione erronea<br />

in seno al protestantesimo, di<br />

una netta contrapposizione tra<br />

Scrittura Sacra, che apre le<br />

porte alla fede, e Tradizione<br />

non scritta (o comunque scritta<br />

ma non ispirata), intesa<br />

come insieme di insegnamenti<br />

di uomini esposti alla mutevolezza<br />

dei tempi e delle circostanze<br />

storiche e quindi incapaci<br />

di condurre alle verità che<br />

salvano.<br />

Scrittura come ‘garanzia<br />

di verità’, Tradizione come<br />

‘aggiunta fuorviante’ sembra<br />

essere il senso del Sola Scriptura<br />

di Lutero, fatto proprio dalla<br />

Riforma protestante nel XVI<br />

secolo e poi rinverdito dai teologi<br />

liberali del secolo scorso.<br />

La deellenizzazione, in<br />

questo caso, sarebbe proprio la<br />

necessità di distinguere il cristianesimo<br />

biblico dal cristianesimo<br />

storico; questo processo<br />

risponde all’esigenza di purificare<br />

l’autentico messaggio cristiano<br />

contenuto nella<br />

Scrittura (e ‘solo’ nella Scrittura) da tutto ciò che<br />

di esso è solo una interpretazione e in ultima<br />

analisi ‘tradizione’.<br />

A questo punto è necessario approfondire<br />

il concetto di ‘tradizione’ e attenerci piuttosto al<br />

suo significato teologico circa l’apporto che essa<br />

fornisce alla fede per poter poi tentare di dare<br />

una spiegazione al travisamento di questo concetto<br />

operato dagli esponenti della Riforma nel<br />

complesso momento storico in cui essa ha origine.<br />

Proverò a chiarire questo concetto innanzitutto<br />

attraverso il significato della parola<br />

‘Tradizione’.<br />

La parola latina traditio rende il termine<br />

greco paràdosis. Se diamo un rapido sguardo al<br />

NT vediamo che il verbo paradìdomi può avere<br />

diversi significati:<br />

(1) trasmettere, in relazione a paràdosis<br />

come ‘tradizione degli antichi’ (cf Mc<br />

7,9.13: ‘Siete veramente abili nell’eludere il<br />

comandamento di Dio, per osservare la<br />

vostra tradizione…annullando così la parola<br />

di Dio con la tradizione che avete tramandato<br />

voi’);<br />

(2) consegnare; il termine paràdosis, così<br />

inteso, è molto più carico di significato<br />

perché la tradizione o trasmissione è in un<br />

certo senso il principio stesso di tutta l’eco-<br />

nomia della salvezza: Dio, il Padre, il<br />

Principio, la Sorgente primordiale di tutto<br />

ciò che esiste, dona, consegna, trasmette il<br />

Figlio suo al mondo: Dio non ha risparmiato<br />

il Figlio, ma lo ha dato per tutti noi (Rm<br />

8,32).<br />

Questa consegna del Padre viene assunta<br />

coscientemente dal Figlio: Questa vita nella<br />

carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi<br />

ha amato e ha dato se stesso per me (Gal 2,20).<br />

Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi,<br />

e camminate nella carità, nel modo che anche<br />

Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi,<br />

offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore (Ef 5,2).<br />

È possibile riscontrare chiaramente il significato<br />

redentivo della ‘consegna del Figlio’ al<br />

mondo nei vangeli, e in particolare in Marco<br />

dove ‘tradizione’ - ‘consegna di Gesù’ - è messo<br />

in relazione al tradimento (cf 9,31 seconda pre-


dizione:‘Il Figlio dell’uomo sta per esser consegnato<br />

nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una<br />

volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà’).<br />

Marco utilizza questo termine tecnico per<br />

designare la sorte di Gesù, ma anche la sorte di<br />

Giovanni, il precursore di Gesù (1,14 ‘dopo che<br />

Giovanni fu consegnato’) e quella dei discepoli che<br />

sono i seguaci di Gesù (13,9.11.12: ‘Ma voi badate<br />

a voi stessi! Vi consegneranno ai sinedri…e quando<br />

vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi<br />

di ciò che dovrete dire…il fratello consegnerà<br />

a morte il fratello, il padre il figlio…’) quasi<br />

a volere esprimere la comunione del Battista e<br />

dei discepoli con la sorte di Gesù.<br />

La consegna di Dio all’umanità non finisce<br />

qui; l’effusione dello Spirito <strong>San</strong>to è in un certo<br />

senso ‘consegna’. Il vangelo di Gv esprime con<br />

questo stesso termine la morte di Gesù che consegna<br />

il suo spirito alla presenza di Maria e di<br />

Giovanni i quali ai piedi della croce rappresentavano<br />

la Chiesa (‘pentecoste giovannea’ in relazione<br />

a 20,22): E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù<br />

disse: «Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, consegnò<br />

lo spirito (19,30).<br />

L’economia della salvezza quindi comincia<br />

con un ‘dare’, con una tradizione divina, una<br />

consegna che continua fino ad oggi perché l’invio<br />

del Cristo e dello Spirito <strong>San</strong>to fondano la<br />

Chiesa e la proiettano come un prolungamento<br />

di loro medesimi: Come il Padre ha mandato me,<br />

anch’io mando voi (Gv 20, 21).<br />

Da questa esplicitazione del significato di<br />

paràdosis appare chiaro che non c’è messaggio<br />

cristiano senza ‘tradizione’: infatti non c’è la<br />

Parola di Dio fatta carne senza la ‘tradizione’ del<br />

Padre, non c’è la redenzione del genere umano<br />

senza la ‘tradizione’ del Figlio, non c’è la Chiesa<br />

credente senza la ‘tradizione’ dello Spirito, non ci<br />

sono i credenti nel susseguirsi delle generazioni<br />

senza la ‘tradizione’ degli apostoli.<br />

Tradizione degli apostoli: eccoci giunti al<br />

punto fondamentale della nostra questione. Non<br />

si tratta solo di ‘tradizione’ nel senso culturale<br />

del termine ma piuttosto della trasmissione della<br />

fede, ovvero di qualcosa che ha Dio per autore,<br />

oggetto e fine.<br />

È possibile rintracciare esclusivamente<br />

nella Scrittura la fonte pura e originaria della<br />

fede by-passando la Tradizione viva della<br />

Chiesa? Se la Tradizione appartiene esclusivamente<br />

alla sfera umana risulta evidente che la<br />

Sacra Scrittura è l’unico accesso alla realtà di<br />

Dio, in quanto appunto ‘sacra’ e in grado di<br />

mettere in contatto con Lui. Ma se la Tradizione<br />

viene considerata il mezzo ordinario attraverso<br />

cui Dio si comunica agli uomini è altrettanto<br />

chiaro che propriamente non ci può essere fede<br />

in Dio senza la Tradizione. La Sacra Scrittura,<br />

come insegna la costituzione dogmatica ‘Dei<br />

Verbum’, e la Sacra Tradizione costituiscono un<br />

solo sacro deposito della parola di Dio affidato<br />

alla Chiesa (10). Dunque nessuna contrapposizione<br />

o parallelismo, ma due inscindibili modalità<br />

di trasmissione del medesimo messaggio, la<br />

parola di Dio che non può essere contenuta<br />

nella lettera ma si comunica, si trasmette, si<br />

consegna agli uomini che credono in essa attraverso<br />

la mediazione e l’interpretazione della<br />

Chiesa.<br />

Per questo motivo le Chiese Ortodosse<br />

parlano di Sola Traditio piuttosto che di Sola<br />

Scriptura, quasi a voler s<strong>ott</strong>olineare l’imprescindibile<br />

apporto fornito dal sensus Ecclesiae per<br />

giungere all’interpretazione autentica delle<br />

Scritture, senza il quale è impossibile s<strong>ott</strong>rarre<br />

la parola di Dio alla mutevolezza e arbitrarietà<br />

delle interpretazioni private.<br />

Il principio ermeneutico tanto caro ai<br />

Padri della Chiesa secondo il quale solo la<br />

Ecclesia può autenticamente possedere l’autentico<br />

senso della Parola di Dio si basa sulla fondamentale<br />

concezione – mutuata dalla cultura<br />

greca ed esplicitata già da Filone in seno al giudaismo<br />

– secondo cui per capire un testo sacro<br />

deve esistere una perfetta corrispondenza (che<br />

Platone chiamava synghèneia) tra lo Spirito di<br />

Dio presente nelle Scritture e lo Spirito di colui<br />

che le legge. Questo Spirito discende nella<br />

Chiesa radunata nel cenacolo e permane in essa<br />

nei secoli in quanto comunicato di generazione<br />

in generazione. Non è dunque la Scrittura in sé<br />

stessa a condurci alla fede ma piuttosto lo<br />

Spirito di Dio, ‘consegnato’, ‘trasmesso’ alla<br />

Chiesa; essa dunque è perfettamente in grado di<br />

rivelarci il vero senso delle Scritture.<br />

Dio non si rivela all’uomo in modo da trascendere<br />

la nostra natura umana; come ci ricordava<br />

il <strong>San</strong>to Padre a Regensburg, è da sempre<br />

convinzione della Chiesa che: tra Dio e noi, tra il<br />

suo eterno Spirito creatore e la nostra ragione<br />

creata esista una vera analogia, in cui – come <strong>dic</strong>e<br />

il Concilio Lateranense IV nel 1215 –certo le dissomiglianze<br />

sono infinitamente più grandi delle<br />

somiglianze, non tuttavia fino al punto da abolire<br />

l’analogia e il suo linguaggio.<br />

È a partire da questa analogia tra il Lògos<br />

divino e la nostra ragione che possiamo meglio<br />

comprendere come sia del tutto fuori dall’essenza<br />

del cristianesimo il Sola Scriptura di Lutero. La<br />

fede non nasce dall’opinione individuale o dal<br />

lavoro intellettuale, come è portata a ritenere la<br />

nostra mentalità ‘moderna’, né tanto meno è da<br />

uno slancio mistico che trascende la ragione<br />

umana, ma dalla rivelazione di Dio, creatore dell’uomo,<br />

attraverso il Suo Figlio ‘consegnato’ agli<br />

uomini e per mezzo dello Spirito vivente nella<br />

Chiesa, custode della Sacra Scrittura e della Sacra<br />

Tradizione.<br />

29


30<br />

Ricordando il Metropolita di Efeso, Sua Eminenza Chrysostomos Konstantinidis<br />

“La santità va oltre gli angusti<br />

confini degli scismi”<br />

“La santità non è frutto di scelta umana. Non la<br />

si può valutare con criteri umani, né stabilire con<br />

procedure umane”.<br />

Queste parole il visitatore le può tuttora leggere in<br />

greco sul libro degli ospiti che custodiamo presso la<br />

comunità domenicana “S. Giovanni Prodromos”,<br />

ad Atene. Esse hanno una data: Natale 2006, ed<br />

hanno una firma, in inconfondibile grafia patriarcale:<br />

+ Chrisostomos, Metrolita di Efeso.<br />

Una decina di giorni prima, presso il Centro<br />

Culturale dei Padri Gesuiti, Sua Eminenza, alla presenza<br />

del compianto P. Salvatore Manna (allora<br />

Priore Provinciale dei Domenicani dell’Italia meridionale),<br />

di P. Giovanni Distante (Priore della comunità<br />

madre di <strong>San</strong> <strong>Nicola</strong>) nonché di numerose<br />

autorità ecclesiastiche e di un folto pubblico di<br />

amici ortodossi e cattolici, mi aveva onorato nel<br />

presentare il libro: Il volto luminoso di <strong>San</strong> Domenico<br />

(Ed. Pisti kai Zoì, Atene 1996, in greco). Egli stesso<br />

ne aveva scritto la prefazione, e aveva accettato di<br />

presentarlo in pubblico. Ricordo lo stupore che<br />

suscitò in sala. Tutti seguivano la dettagliata<br />

descrizione della figura di <strong>San</strong> Domenico. Abituata<br />

a ben altri apprezzamenti nei confronti delle realtà<br />

della Chiesa Cattolica, la gente stentava a credere<br />

che sulla bocca di quell’eminente prelato della<br />

Chiesa ortodossa fiorissero elogi così cordiali e partecipi<br />

sulle virtù e la personalità geniale di <strong>San</strong><br />

Domenico, santo appena conosciuto, di certo meno<br />

popolare di quelli venerati dagli ortodossi.<br />

Implicitamente si poneva il problema, non<br />

del tutto ingiustificato per gli ortodossi presenti, in<br />

che senso egli potesse parlare di santità in ordine ad<br />

un uomo virtuoso sì, ma fuori della Chiesa di<br />

Cristo senza essere stata in nessun modo riconosciuta<br />

(da parte ortodossa) la validità dei sacramenti<br />

amministrati altrove (fuori di essa) e quindi<br />

il valore della grazia da essi comunicata. Sua<br />

Eminenza era ben consapevole di quella perplessità,<br />

anche perché la questione era stata dibattuta, in<br />

termini teologici e canonici, in diversi colloqui cattolico-ortodossi.<br />

Ebbene, egli non celava la sua<br />

convinzione. La espresse e volle metterla per iscritto<br />

in due pagine del nostro libro. Eccola:<br />

“La santità appartiene a Dio. I santi non<br />

sono che uomini di Dio. Con un loro modo particolare,<br />

definiscono il quadro delle relazioni tra Dio e<br />

umanità, con criteri che solo Dio stabilisce. La santità<br />

trascende gli angusti confini delle nostre divisioni,<br />

dei nostri scismi. L’unità della Chiesa la si<br />

raggiunge e realizza grazie alla loro dignità, che<br />

diventa comprensibile solo in questo modo. I <strong>San</strong>ti<br />

di Rosario Scognamiglio O.P.<br />

fanno così da ponte nelle relazioni interecclesiali,<br />

non solo perché intercedono per la Chiesa, ma perché<br />

attingono la loro bontà da quella fonte unica,<br />

che è il solo Signore; sono il fondamento alla sua<br />

Chiesa “Una e <strong>San</strong>ta”.<br />

Queste stupende parole le abbiamo ricordate<br />

e meditate con particolare rimpianto quando<br />

abbiamo appreso la notizia della sua dipartita,<br />

avvenuta nell’isola di Syros, in Grecia, il giorno 13<br />

<strong>ott</strong>obre 2006 all’età di 83 anni.<br />

Aveva una cultura teologica di ampio respiro.<br />

Si era formato alla celebre scuola di Halchi,<br />

presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma e<br />

all’Università di Strasburgo. Nel 1961 fu ordinato<br />

vescovo di Myra (sede episcopale di <strong>San</strong> <strong>Nicola</strong>), e<br />

da quel momento tutto ciò che si riferiva a <strong>San</strong><br />

<strong>Nicola</strong> diventò oggetto del suo amore e del suo interesse,<br />

a Myra come a Bari.<br />

Da noi a Bari, per la diocesi, l’Istituto e<br />

<strong>Basilica</strong> di <strong>San</strong> <strong>Nicola</strong>, Sua Eminenza è stato sempre<br />

di casa come persona di famiglia. A renderlo<br />

tale non era soltanto il fatto di essere successore di<br />

<strong>San</strong> <strong>Nicola</strong> nella sede episcopale di Myra, ma un<br />

insieme di interessi soprattutto sul piano ecumenico.<br />

Presso il Patriarcato Ecumenico egli godeva di<br />

grande considerazione, e per molti decenni era il<br />

Prelato a cui ci si riferiva per le relazioni interecclesiali<br />

e interreligiose. A parte i frequenti inviti e presenze<br />

presso i <strong>dic</strong>asteri della <strong>San</strong>ta Sede, come<br />

esperto del mondo ortodosso, fu anche chiamato a<br />

far parte del comitato centrale del Consiglio<br />

Ecumenico delle Chiese prima come membro, dopo<br />

come Co-presidente. Invitato come Professore di<br />

teologia ortodossa presso il nostro Istituto, ha<br />

lasciato tracce di bontà e di sapienza teologica sia<br />

tra gli studenti che tra i colleghi. Ha partecipato<br />

sempre, finché ha potuto, ai nostri Colloqui cattolico-ortodossi,<br />

e spesso la Presidenza e la Segreteria<br />

si avvalevano dei suoi consigli per articolare i lavori<br />

e scegliere relatori che dessero contributi validi ai<br />

nostri incontri. Gioiva con noi per i successi, si<br />

rammaricava se qualcosa non andava nel senso<br />

sperato.<br />

Nel febbraio 1984 fu lui ad accogliere papa<br />

Giovanni Paolo II pellegrino alla tomba di <strong>San</strong><br />

<strong>Nicola</strong> a Bari, ed in nome della Chiesa ortodossa si<br />

immortalò nel gesto comune delle due Chiese nell’accendere<br />

la lampada uniflamma alimentata con<br />

olio proveniente dall’oriente (Costantinopoli) e dall’occidente<br />

(terra di Bari).<br />

“So bene- disse il Metropolita il giorno 8<br />

Maggio 1986- salutando la grande folla che atten-


deva lo sbarco dell’icona di <strong>San</strong> <strong>Nicola</strong>- che san<br />

<strong>Nicola</strong> è al centro della vostra spiritualità. È il santo<br />

delle vostre preghiere, speranze, attese […]. Siete<br />

particolarmente fortunati di avere la presenza viva<br />

del santo qui nella nostra vita. Ma sappiate che <strong>San</strong><br />

<strong>Nicola</strong> per noi ortodossi ha la stessa importanza<br />

che ha per voi. Ed è stupendo che, in ogni modo, le<br />

sue sante reliquie e la sua tomba qui a Bari alimentano<br />

la spiritualità dei nostri due mondi, che si<br />

sentono uniti nella persona del <strong>San</strong>to comune,<br />

sulla stessa lunghezza d’onda della devozione, della<br />

preghiera e della vita interiore. Tra Bari e Myra c’è<br />

indubbiamente una corrente ininterr<strong>ott</strong>a. Da qui e<br />

da lì il <strong>San</strong>to lancia il suo messaggio a tutto il<br />

mondo cristiano ed anche a quelli di altre religioni.<br />

Messaggio di pace, di amicizia, amore, fraternità,<br />

serenità e devozione”.<br />

Un mondo più umano<br />

Portavoce del Patriarcato Ecumenico nel<br />

mondo, Sua Eminenza parlando all’accademia di<br />

Atene nel novembre del 1992 anticipava con notevole<br />

intuito e apertura i compiti da assolvere, da<br />

parte delle Chiese cristiane nei paesi che si andavano<br />

organizzando in comunità europea. In una casa<br />

europea che aspira ad una coabitazione civile e<br />

costruttiva (“Luogo di convivenza, senza discriminazioni<br />

politiche, religiose, ideologiche sociali o di<br />

classi. Casa in cui nessuno tema di dire la verità e<br />

tutti possano condividere il pane quotidiano con<br />

equità e giustizia”, era stato <strong>dic</strong>hiarato a Basilea ,<br />

in Svizzera 1989) “alle Chiese tocca il compito di<br />

esprimere e avanzare concrete proposte, idee, gesti,<br />

critiche (ove occorrano), valori spirituali positivi,<br />

principi teologici, etici e sociali; il compito di trarre<br />

dai loro tesori di fede e di morale esperienze, tradizioni,<br />

elementi di spiritualità” (cf. O ODIGOS,<br />

1993/1).<br />

Il compianto Metropolita di Efeso, parlando<br />

da quella autorevole tribuna, non si esimeva dall’in<strong>dic</strong>are<br />

in particolare, quello che la Chiesa ortodossa<br />

può e deve offrire alla costruzione della<br />

comunità europea. Facendo eco alle provocazioni<br />

dell’allora presidente della comunità Europea,<br />

Jacques Delors : “Se entro dieci anni non riusciremo<br />

a dare un’anima, una spiritualità ed un senso<br />

più profondo all’Europa, avremo perduto la partita”,<br />

egli s<strong>ott</strong>olineava alcune responsabilità urgenti<br />

della Chiesa ortodossa: non solo levare energica<br />

protesta contro il consumismo vorace e la tecnologia<br />

impazzita che determinano catastrofi ecologiche<br />

inestimabili, e indurre gli uomini che sono al<br />

potere “a rispettare i principi della deontologia di<br />

fronte all’intero creato”, ma anche intervenire in<br />

senso positivo “con una sua visione della vita e dell’uomo<br />

dotato di senso morale”. Soprattutto, come<br />

Chiesa ed istituzione credibile, è da arginare il relativismo<br />

morale e l’indifferenza, per affermare con<br />

voce autorevole “quanto di più santo e buono esiste<br />

nella vita, trasmettendo all’uomo moderno<br />

messaggi positivi e ispirati […] in grado di chiamarlo<br />

allo zelo e ad un impegno militante per ren-<br />

dere il mondo migliore e più umano” (ibid. p. 4).<br />

Volendo sintetizzare il testamento spirituale<br />

che lascia a tutti noi, cattolici e ortodossi che<br />

l’abbiamo conosciuto, citiamo le parole di Paolo,<br />

con le quali il compianto Metropolita concluse il<br />

suo discorso, suscitando un vivo applauso nella<br />

sala dell’Accademia di Atene, letteralmente gremita<br />

di ammiratori e amici: “Il regno di Dio non è questione<br />

di cibo e di bevanda, ma è giustizia, pace e<br />

gioia nello Spirito <strong>San</strong>to. Chi serve il Cristo in queste<br />

cose è ben accetto a Dio, e stimato dagli uomini.<br />

Diamoci dunque alle opere della pace e all’edificazione<br />

vicendevole” (Rom 14,17-19).<br />

L’applauso di quella sera, da parte di noi<br />

suoi amici, non si è affievolito. Anche dopo la sua<br />

dipartita, sentiamo il bisogno e la gioia di farlo<br />

durare ancora, forte e convinto.<br />

Ai reverendissimi Damiano Bova<br />

e Rosario Scognamiglio<br />

la grazia e la pace di Dio Padre<br />

e del Signore nostro Gesù Cristo.<br />

La recente dipartita verso il Signore del compianto<br />

Metropolita di Efeso, Monsignore<br />

Crisostomo, primo prelato del trono, persona<br />

dinamica, docente saggio e membro assai<br />

prezioso del nostro Patriarcato Ecumenico,<br />

egli che ha offerto in generale molti e inestimabili<br />

servizi alla Madre Chiesa svolgendo<br />

diversi ruoli, con dispendio di energie fisiche<br />

e spirituali, ha prod<strong>ott</strong>o comprensibile tristezza<br />

nei nostri cuori ed ha lasciato tra noi<br />

un vuoto non facile da colmare.<br />

Sono giunte pertanto alla Chiesa e a noi le<br />

nobili espressioni del vostro cordoglio, ed<br />

oltre a recarci grande conforto, ci hanno<br />

incoraggiato a continuare a servire e difendere<br />

i valori sacrosanti dell’Ortodossia e della<br />

nostra stirpe (Genos), compiti affidati sia alla<br />

nostra Paternità che ai fratelli che in questo<br />

ambito ci attorniano.<br />

Per questo vi ringraziamo di tutto cuore per<br />

la vostra preziosa solidarietà e con voi eleviamo<br />

fervida preghiera al Signore della vita<br />

perché al defunto Mons. Crisostomo nostro<br />

eletto confratello nell’episcopato e nella celebrazione<br />

eucaristica conceda di riposare nelle<br />

dimore dei giusti, ed a voi di continuare il<br />

corso della vita, vita longeva, benedetta,florida<br />

e ricca sia di salute che di beni largiti dal<br />

cielo.<br />

E che la grazia e la misericordia del nostro<br />

Signore Gesù Cristo, Signore della vita e della<br />

morte siano con voi. Da lui imploriamo<br />

anche il dono di anni numerosi, pieni di salute<br />

e gioia.<br />

Con fervide preghiere,<br />

+Bartolomeo di Costantinopoli<br />

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Giovanni Polo II e Sua Eminenza Chrysostomos Konstantinidis,<br />

Metropolita di Efeso, accendono la lampada uniflamma<br />

nella <strong>Basilica</strong> di <strong>San</strong> <strong>Nicola</strong>

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