ott-dic 4-2006.qxd - Basilica San Nicola
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Bilancio 2006:<br />
pace, famiglia, dialogo<br />
Riflessioni su:<br />
Patriarca di Occidente<br />
Riunificazione della<br />
Chiesa Russa<br />
La visita di<br />
Benedetto XVI<br />
al Patriarca<br />
Ecumenico<br />
Bartolomeo I<br />
Rivista trimestrale del Centro Ecumenico “P. Salvatore Manna” - Bari<br />
Anno XXV - Ottobre/Dicembre 2006 4/06
ANNO XXV - OTTOBRE-DICEMBRE 2006 N. 4/06<br />
S<br />
Rivista del Centro Ecumenico P. Salvatore Manna<br />
Frati Domenicani - Largo Abate Elia, 13<br />
70122 Bari (Italia)<br />
tel. 080.5737111 fax 080.5737261<br />
www.basilicasannicola.org<br />
info@basilicasannicola.org<br />
Associazione Editoriale <strong>Basilica</strong> <strong>San</strong> <strong>Nicola</strong> di Bari<br />
Autorizzazione Tribunale di Bari n. 674 del 20.3.1982<br />
Direttore: p. Damiano Bova o.p.<br />
ommario<br />
Biagio Costa OP<br />
Editoriale...........................................................p.3<br />
Bilancio 2006<br />
pace, famiglia, dialogo.....................................p. 4<br />
Dichiarazione Cattolico-Anglicana..................p. 5<br />
Dichiarazione Cattolico-Ortodossa..................p. 7<br />
Lorenzo Lorusso OP<br />
Il valore giuri<strong>dic</strong>o delle Dichiarazioni Comuni<br />
tra la Chiesa cattolica e le altre Confessioni cristiane.... p. 10<br />
Vittorio Parlato<br />
Il Vescovo di Roma, Patriarca di Occidente<br />
Alcune riflessioni.................................................p. 14<br />
Gerardo Cioffari OP<br />
Il ritorno dalla diaspora?....................................p. 22<br />
Crisostomos Sabbatos<br />
Dialogo teologico cattolico-ortodosso:<br />
Assemblea Plenaria di Belgrado ...........................p. 25<br />
Gianpaolo Pagano OP<br />
Sola Scriptura:<br />
un tentativo di ‘deellenizzazione’? ......................p. 27<br />
Rosario Scognamiglio OP<br />
“La santità va oltre gli angusti<br />
confini degli scismi”.............................................p. 30<br />
Fanar, 30 Novembre 2006. Stretta di mano fra Benedetto XVI e Bartolomeo I.<br />
Direttore Responsabile: Vito Maurogiovanni<br />
Redattore: p. Lorenzo Lorusso o.p. - lorlorus@libero.it<br />
Progetto Grafico: p. <strong>San</strong>to Pagn<strong>ott</strong>a o.p. - santo@domenicani.net<br />
Stampa: Levante Editori, Bari<br />
C/C Postale 13972708 intestato a<br />
<strong>San</strong>tuario di <strong>San</strong> <strong>Nicola</strong> 70122 Bari<br />
contributo per O ODIGOS - LA GUIDA
Giunti alle soglie del nuovo anno il nostro gruppo di redazione è inevitabilmente<br />
spinto dalla necessità di de<strong>dic</strong>are il presente numero di O<br />
Odigos-La Guida ad un primo sommario bilancio di quegli eventi che<br />
hanno segnato il cammino del dialogo ecumenico durante il 2006.<br />
Tralasciando ogni nota decorativa o celebrativa, seppure legittima, dei<br />
più significativi avvenimenti ecumenici, ci proponiamo di scandagliare i loro<br />
risvolti concreti sul piano di un reale progresso nel dialogo ecumenico.<br />
Vittorio Parlato e Gerardo Cioffari nei loro articoli approfondiscono, il<br />
primo, la mancata in<strong>dic</strong>azione nell'Annuario Pontificio del 2006 del titolo di<br />
Patriarca d'Occidente spettante al Sommo Pontefice e, il secondo, l'Atto di<br />
unità canonica (California 2006) tra la Chiesa ortodossa patriarcale di Mosca<br />
e quella ortodossa russa cosiddetta Oltre-Frontiera, separatasi a seguito della<br />
Rivoluzione bolscevica.<br />
Entrambi i nostri autori mettono in rilievo l'opportunità per le Chiese<br />
di ogni confessione di valutare l'incidenza che possono avere in ambito ecumenico<br />
certi atti ufficiali, sebbene riguardino esclusivamente fatti interni a ciascuna<br />
di loro, e la necessità di acquisire una maggiore sensibilità verso le tradizioni<br />
teologico-culturali proprie delle altre confessioni cristiane, in un tempo<br />
in cui i fedeli hanno recepito l'esigenza di una testimonianza comune dinanzi<br />
alle sfide poste dai cambiamenti dell'attuale società.<br />
Dal momento che risulta di vitale importanza tenere in debita considerazione<br />
anche il punto di vista di chi è "altro", perché il dialogo ecumenico<br />
divenga realmente incisivo, proponiamo ai nostri lettori la relazione del grecoortodosso<br />
P. Crisostomos Sabbatos circa il lavoro svolto dalla Commissione<br />
mista per il dialogo teologico tra Chiesa cattolica e Chiese ortodosse, durante<br />
l'assemblea plenaria di Balgrado (18-24 settembre).<br />
Con gratitudine, inoltre, pubblichiamo il ricordo di Rosario<br />
Scognamiglio sulla figura del Metropolita di Efeso, Sua Eminenza<br />
Chrysostomos Konstantinidis, che ha "sciolto le vele" il 13 <strong>ott</strong>obre scorso.<br />
Quella di Scognamiglio è sì un accorato ricordo di una personalità<br />
unica, antesignana nella sua concreta azione pastorale dell'ecumenismo della<br />
santità, ma è anche una viva testimonianza di un ecumenismo incentrato non<br />
tanto su un accademismo teologico, quanto sull'amore fraterno che lega tutti<br />
i cristiani innestati nell'unica vite, il Signore nostro Gesù Cristo.<br />
Lorenzo Lorusso, infine, affrontando il tema delle Dichiarazioni comuni<br />
tra la Chiesa cattolica e le altre confessioni cristiane, pone l'importante questione<br />
del loro valore giuri<strong>dic</strong>o, che potrebbe segnare un ulteriore passo in<br />
avanti non soltanto nella ricezione dei contenuti di quelle Dichiarazioni, ma<br />
anche nella crescita di consapevolezza entro le diverse confessioni cristiane di<br />
una comunione di intenti su problematiche etiche e sociali.<br />
Editoriale<br />
di P. Biagio Costa O.P.<br />
3
4<br />
Bilancio 2006:<br />
pace, famiglia, dialogo<br />
L'anno del Signore 2006 è terminato ed i<br />
grandi temi che hanno caratterizzato il<br />
ministero del Vescovo di Roma sono stati la<br />
promozione della pace, la tutela della famiglia e<br />
l'incentivazione del dialogo ecumenico ed interreligioso.<br />
Benedetto XVI ha presentato il suo<br />
bilancio incontrando il 22 <strong>dic</strong>embre i Cardinali e<br />
i membri della Famiglia Pontificia e della Curia<br />
Romana per porgere loro gli auguri di Natale. Il<br />
Papa si è soffermato sulla correlazione del tema<br />
"Dio" con il tema "pace", ed ha ripercorso i quattro<br />
viaggi apostolici internazionali che ha compiuto<br />
nel 2006: in Polonia (dal 25 al 28 maggio),<br />
a Valencia (l'8 e il 9 luglio), in Baviera (dal 9 al<br />
14 settembre) e in Turchia (dal 28 novembre al 1°<br />
<strong>dic</strong>embre).<br />
Polonia<br />
La visita in Polonia è stata per il Papa, nel<br />
senso più profondo, "una festa della cattolicità".<br />
"Cristo è la nostra pace che riunisce i separati:<br />
Egli, al di là di tutte le diversità delle epoche storiche<br />
e delle culture, è la riconciliazione.<br />
Mediante il ministero petrino sperimentiamo<br />
questa forza unificatrice della fede che, sempre di<br />
nuovo, partendo dai molti popoli edifica l'unico<br />
popolo di Dio. Con gioia abbiamo fatto realmente<br />
questa esperienza che, provenendo da molti<br />
popoli, noi formiamo l'unico popolo di Dio, la<br />
sua santa Chiesa". Il Vescovo di Roma ha concluso<br />
affermando: "Per questo il ministero petrino<br />
può essere il segno visibile che garantisce questa<br />
unità e forma un'unità concreta".<br />
Spagna<br />
Il viaggio a Valencia ha avuto come<br />
obiettivo principale l'Incontro Mondiale delle<br />
Famiglie con il Papa. In questo contesto, ha<br />
manifestato la sua "preoccupazione per le leggi<br />
sulle coppie di fatto". "Quando vengono create<br />
nuove forme giuri<strong>dic</strong>he che relativizzano il<br />
matrimonio, la rinuncia al legame definitivo<br />
<strong>ott</strong>iene, per così dire, anche un sigillo giuri<strong>dic</strong>o.<br />
In tal caso il decidersi per chi già fa fatica diventa<br />
ancora più difficile".<br />
Germania<br />
Ricordando la sua visita a Monaco,<br />
Altötting, Ratisbona e Frisinga, ha spiegato che<br />
uno dei suoi temi centrali è stato quello del dia-<br />
logo. "Diventa sempre più evidente quanto<br />
urgentemente il mondo abbia bisogno del dialogo<br />
tra fede e ragione", soprattutto quando "la<br />
capacità cognitiva dell'uomo, il suo dominio<br />
sulla materia mediante la forza del pensiero, ha<br />
fatto nel frattempo progressi allora inimmaginabili.<br />
Ma il potere dell'uomo, che gli è cresciuto<br />
nelle mani grazie alla scienza, diventa sempre<br />
più un pericolo che minaccia l'uomo stesso e il<br />
mondo". "La fede in quel Dio che è in persona la<br />
Ragione creatrice dell'universo deve essere accolta<br />
dalla scienza in modo nuovo come sfida e<br />
chance", ha s<strong>ott</strong>olineato il <strong>San</strong>to Padre spiegando<br />
il suo famoso discorso del 12 settembre a<br />
Ratisbona.<br />
Il 13 settembre 2006, durante la sua visita<br />
in Baviera, Benedetto XVI ha affermato che i<br />
tre elementi per far progredire il cammino verso<br />
l'unità piena e visibile fra i cristiani sono la "confessione"<br />
di Cristo, la "testimonianza" e l'"amore".<br />
All'incontro, al quale hanno partecipato i rappresentanti<br />
di varie Chiese e Comunità ecclesiali<br />
della Baviera, della Chiesa Luterana e della<br />
Chiesa Ortodossa bavarese, il Papa ha ricordato i<br />
due grandi obiettivi ecumenici raggiunti negli<br />
ultimi tempi: la firma della Dichiarazione congiunta<br />
di cattolici e luterani sulla D<strong>ott</strong>rina della<br />
giustificazione e la ripresa del dialogo teologico<br />
fra cattolici e ortodossi. Nel guardare al futuro<br />
del cammino ecumenico, il Papa ha riflettuto sul<br />
capitolo quarto della prima lettera di <strong>San</strong><br />
Giovanni. In primo luogo, l'apostolo presenta ciò<br />
che distingue i cristiani: la professione di fede,<br />
vale a dire, la confessione: "la fede, cioè, nel fatto<br />
che Gesù è il Figlio di Dio venuto nella carne".<br />
"Nell'epoca degli incontri multireligiosi siamo<br />
facilmente tentati di attenuare un po' questa<br />
confessione centrale o addirittura di nasconderla.<br />
Ma con ciò non rendiamo un servizio all'incontro,<br />
né al dialogo", ha osservato il <strong>San</strong>to<br />
Padre. "Con ciò rendiamo soltanto Dio meno<br />
accessibile, per gli altri e per noi stessi. È importante<br />
che noi poniamo in discussione in modo<br />
completo e non soltanto frammentario la nostra<br />
immagine di Dio", ha detto. "In questa nostra<br />
comune confessione e in questo nostro comune<br />
compito non esiste alcuna divisione tra noi", ha<br />
detto il Papa nel rivolgersi ai seguaci della<br />
Riforma protestante e agli ortodossi, invitandoli<br />
poi a pregare "affinché questo fondamento
comune si rafforzi sempre di più". In secondo<br />
luogo, ha spiegato che questa confessione della<br />
fede in Cristo unico salvatore dell'essere umano<br />
"deve diventare testimonianza". La testimonianza<br />
dei cristiani delle diverse comunità, ha spiegato<br />
il Papa, deve portare i suoi contemporanei a<br />
percepire nuovamente "Gesù, il Figlio mandato<br />
da Dio, nel quale vediamo il Padre". "Essere testimone<br />
di Gesù Cristo significa soprattutto: essere<br />
testimone di un determinato modo di vivere". "In<br />
un mondo pieno di confusione, noi dobbiamo<br />
dare nuovamente testimonianza degli orientamenti<br />
che rendono una vita veramente vita - ha<br />
continuato - . Questo importante compito<br />
comune a tutti i credenti lo dobbiamo affrontare<br />
con grande decisione: è responsabilità dei cristiani,<br />
in questa ora, di rendere visibili quegli orientamenti<br />
di un giusto vivere, che a noi si sono<br />
Rowan Williams, Williams,<br />
Arcivescovo di Canterbury<br />
Il 23 novembre 2006 Benedetto XVI ha ricevuto in<br />
udienza il Primate della Comunione Anglicana,<br />
l'Arcivescovo Rowan Williams di Canterbury, in<br />
occasione dei quarant'anni dello storico incontro tra<br />
l'allora Arcivescovo di Canterbury, Michael Ramsey, e<br />
Papa Paolo VI, che ha dato origine a una nuova era di<br />
rapporti dopo la r<strong>ott</strong>ura verificatasi al tempo di<br />
Enrico VIII nel XVI secolo. Il Vescovo di Roma ha riconosciuto<br />
che negli ultimi tre anni lo stesso Arcivescovo<br />
Williams "ha parlato apertamente delle tensioni e<br />
delle difficoltà che assediano la Comunione Anglicana<br />
e quindi dell'incertezza del futuro della Comunione<br />
stessa". "Recenti sviluppi, soprattutto relativi al ministero<br />
ordinato e a certi insegnamenti morali, hanno<br />
interessato non solo i rapporti interni alla Comunione<br />
Anglicana, ma anche i rapporti tra la Comunione<br />
Dichiarazione comune<br />
Cattolico-Anglicana<br />
chiariti in Gesù Cristo". Infine, il Papa ha presentato<br />
come terza chiave di volta per progredire nel<br />
cammino verso l'unità fra i credenti in Cristo<br />
l'"agape - amore". Il Papa ha quindi ricordato la<br />
frase da lui analizzata e contenuta nel Nuovo<br />
Testamento: "Noi abbiamo riconosciuto e creduto<br />
all'amore che Dio ha per noi" (1 Gv 4, 16). "Sì,<br />
all'amore l'uomo può credere. Testimoniamo la<br />
nostra fede così che appaia come forza dell'amore,<br />
perché il mondo creda", ha infine concluso.<br />
Il 2006 si è concluso con tre avvenimenti<br />
importanti s<strong>ott</strong>o il profilo ecumenico: le<br />
Dichiarazioni Comuni siglate con il Primate<br />
d'Inghilterra, il Patriarca Ecumenico e il Primate<br />
di Grecia. Presentiamo brevemente le prime due,<br />
rinviando al nuovo anno il commento alla terza,<br />
avvenuta a Roma il 16 <strong>dic</strong>embre.<br />
Anglicana e la Chiesa cattolica". La decisione della<br />
Chiesa d'Inghilterra di approvare l'ordinazione di<br />
donne sacerdote, nel 1992, è diventata uno dei problemi<br />
nella via verso la piena unità tra le due Chiese. Nel<br />
2003, Vescovi anglicani di Africa, Asia e America<br />
Latina hanno criticato duramente la decisione della<br />
Chiesa Episcopale degli Stati Uniti (appartenente alla<br />
Comunione Anglicana) di designare Vescovo un omosessuale<br />
nel New Hampshire. La Chiesa Episcopale<br />
degli Stati Uniti ha anche nominato Presidente per la<br />
prima volta una donna, Katharine Jefferts Schori,<br />
fino a poco tempo fa "Vescovo" del Nevada. Il Papa ha<br />
auspicato che la Comunione Anglicana rimanga ra<strong>dic</strong>ata<br />
nei Vangeli e nella Tradizione Apostolica, "che<br />
formano il nostro patrimonio comune e sono le basi<br />
della nostra comune aspirazione a lavorare per la<br />
piena unità visibile". Dopo aver firmato una<br />
"Dichiarazione Comune" in presenza dei membri della<br />
delegazione anglicana e dei rappresentanti cattolici,<br />
questi ultimi guidati dal Cardinale Cormac Murphy-<br />
O'Connor, Arcivescovo di Westminster, il <strong>San</strong>to Padre<br />
ha presieduto, nella Cappella "Redemptoris Mater", la<br />
Celebrazione dell'Ora Media alla quale ha partecipato<br />
Sua Grazia il Dr. Rowan Williams, con la delegazione<br />
al seguito. Williams ha detto di essere stato rincuorato<br />
dal modo in cui dall'inizio del suo ministero<br />
l'attuale Pontefice abbia s<strong>ott</strong>olineato l'importanza<br />
dell'ecumenismo. Il Primate della Comunione<br />
Anglicana ha riconosciuto che "la via verso l'unità non<br />
è facile e che le dispute su come applichiamo il Vangelo<br />
alle sfide presentate dalla società moderna possono<br />
spesso oscurare o perfino minacciare i successi del dialogo,<br />
della testimonianza comune e del servizio".<br />
L'Arcivescovo ha quindi detto al Papa di essere giunto<br />
in Vaticano "per celebrare la partnership tra anglicani<br />
e cattolici romani, ma anche pronto a capire le<br />
preoccupazioni che vorrà condividere con me".<br />
5
6<br />
DICHIARAZIONE COMUNE<br />
DEL PAPA BENEDETTO XVI<br />
E DELL'ARCIVESCOVO DI CANTERBURY<br />
SUA GRAZIA ROWAN WILLIAMS<br />
[fonte www.vatican.va]<br />
Dal Vaticano, 23 novembre 2006<br />
Quarant'anni fa, i nostri predecessori, il Papa<br />
Paolo VI e l'Arcivescovo Michael Ramsey, si<br />
incontrarono in questa città santificata dal<br />
ministero e dal sangue degli Apostoli Pietro e Paolo.<br />
Essi diedero inizio ad un nuovo cammino di<br />
riconciliazione basato sui Vangeli e sulle antiche<br />
tradizioni comuni. Secoli di estraniamento fra<br />
Anglicani e Cattolici furono sostituiti da un nuovo<br />
desiderio di collaborazione e cooperazione, dato che<br />
la comunione reale, anche se incompleta fra noi, fu<br />
riscoperta e affermata. Il Papa Paolo VI e<br />
l'Arcivescovo Ramsey si impegnarono allora ad<br />
instaurare un dialogo nel quale questioni che erano<br />
state motivo di divisione nel passato potessero essere<br />
affrontate da una nuova prospettiva con verità e<br />
carità.<br />
Da quell'incontro, la Chiesa Cattolica<br />
Romana e la Comunione Anglicana sono entrate in<br />
un processo di dialogo fecondo contraddistinto<br />
dalla scoperta di elementi significativi di fede condivisa<br />
e da un desiderio di dare espressione, attraverso<br />
la preghiera comune, alla testimonianza e al<br />
servizio, a ciò che abbiamo in comune. Nell'arco dei<br />
trascorsi trentacinque anni, la Commissione<br />
Internazionale Anglicana - Cattolica romana<br />
(ARCIC) ha prod<strong>ott</strong>o un certo numero di documenti<br />
importanti tesi ad articolare la fede che condividiamo.<br />
Nei dieci anni trascorsi dalla firma della più<br />
recente Dichiarazione Comune da parte del Papa e<br />
dell'Arcivescovo di Canterbury, la seconda fase<br />
dell'ARCIC ha completato il suo mandato con la<br />
pubblicazione dei documenti The Gift of Authority<br />
(1999) e Mary: Grace and Hope in Christ (2005).<br />
Siamo grati ai teologi che hanno pregato e lavorato<br />
assieme nella redazione di questi testi che attendono<br />
ulteriore studio e riflessione.<br />
L'ecumenismo autentico va oltre il dialogo<br />
teologico; esso tocca la nostra vita spirituale e la<br />
nostra comune testimonianza. Mentre il dialogo si<br />
sviluppava, molti Cattolici e Anglicani hanno trovato<br />
gli uni negli altri un amore per Cristo che ci<br />
invita a una cooperazione e a un servizio concreti.<br />
Questa comunanza nel servizio di Cristo, sperimentata<br />
da molte delle nostre comunità in tutto il<br />
mondo, aggiunge ulteriore impulso ai nostri rapporti.<br />
La Commissione Internazionale Anglicana -<br />
Cattolica Romana per l'Unità e la Missione (IARC-<br />
CUM) si è impegnata nell'esplorazione di modi<br />
appropriati per promuovere ed alimentare la<br />
nostra comune missione di annunciare al mondo la<br />
nuova vita in Cristo. Il resoconto della Commissione,<br />
che comprende un sommario delle conclusioni<br />
principali dell'ARCIC e avanza proposte per pro-<br />
gredire insieme nella missione e nella testimonianza,<br />
è stato completato di recente e s<strong>ott</strong>oposto per la<br />
revisione all'Ufficio della Comunione Anglicana e al<br />
Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità<br />
dei Cristiani. Esprimiamo la nostra gratitudine per<br />
la loro opera.<br />
In questa visita fraterna, celebriamo il bene<br />
scaturito da questi quattro decenni di dialogo. Siamo<br />
grati a Dio per i doni di grazia che li hanno accompagnati.<br />
Allo stesso tempo, il nostro lungo cammino<br />
comune rende necessario riconoscere pubblicamente la<br />
sfida rappresentata da nuovi sviluppi che, oltre a essere<br />
fonte di divisione per gli Anglicani, presentano seri<br />
ostacoli al nostro progresso ecumenico. È dunque<br />
urgente che, nel rinnovare il nostro impegno a proseguire<br />
il cammino verso la piena e visibile comunione<br />
nella verità e nell'amore di Cristo, ci impegniamo anche<br />
a continuare il dialogo per affrontare le importanti questioni<br />
implicate negli emergenti fattori ecclesiologici ed<br />
etici, che rendono tale cammino più difficile e arduo.<br />
Come capi cristiani che affrontano le sfide<br />
del nuovo millennio, riaffermiamo il nostro pubblico<br />
impegno alla rivelazione della vita divina, manifestata<br />
in modo unico da Dio nella divinità e nell'umanità<br />
del Signore Gesù Cristo. Crediamo che è<br />
attraverso Cristo e i mezzi di salvezza fondati su di<br />
Lui che sono offerte, sia a noi sia al mondo, guarigione<br />
e riconciliazione.<br />
Ci sono molti ambiti di testimonianza e di<br />
servizio nei quali possiamo essere uniti e che, di<br />
fatto, richiedono una più stretta cooperazione fra<br />
noi: il perseguimento della pace in Terra <strong>San</strong>ta e in<br />
altre parti del mondo colpite da conflitti e dalla<br />
minaccia del terrorismo; la promozione del rispetto<br />
per la vita dal concepimento fino alla morte<br />
naturale; la tutela della santità del matrimonio e<br />
del benessere dei figli nel contesto di una sana vita<br />
familiare; l'aiuto ai poveri, agli oppressi e ai più<br />
vulnerabili, in particolare a coloro che sono perseguitati<br />
a motivo della propria fede; l'affrontare gli<br />
effetti negativi del materialismo; la tutela del creato<br />
e del nostro ambiente. Ci impegniamo anche nel<br />
dialogo interreligioso, attraverso il quale possiamo<br />
insieme avvicinarci ai fratelli e alle sorelle non cristiani.<br />
Memori dei nostri quaranta anni di dialogo<br />
e della testimonianza degli uomini e delle donne<br />
santi comuni alle nostre tradizioni, inclusi Maria la<br />
Theotókos, i santi Pietro e Paolo, Benedetto,<br />
Gregorio Magno, Agostino di Canterbury, ci impegniamo<br />
a una più fervente preghiera e a uno sforzo<br />
più intenso nell'accogliere quella verità alla<br />
quale lo Spirito del Signore desidera condurre i suoi<br />
discepoli (cfr Gv 16, 13) e nel vivere secondo essa.<br />
Fiduciosi nella speranza apostolica "che colui che ha<br />
iniziato in voi quest'opera buona la porterà a compimento"<br />
(cfr Fil 1, 6), crediamo che se insieme possiamo<br />
essere strumenti di Dio per chiamare tutti i<br />
cristiani a un'obbedienza più profonda a nostro<br />
Signore, ci avvicineremo ulteriormente gli uni agli<br />
altri, trovando nella Sua volontà la pienezza di<br />
unità e di vita comune alla quale Egli ci invita.
Dal 28 novembre al<br />
1° <strong>dic</strong>embre 2006,<br />
Benedetto XVI si è<br />
recato in Turchia, dove<br />
ha incontrato anche il<br />
Patriarca Ecumenico Bartolomeo<br />
I e il Patriarca<br />
Mesrob II Mutafyan della<br />
Chiesa armena apostolica.<br />
Nella Sala del<br />
Trono del Fanar, la residenza<br />
del Patriarcato<br />
Ecumenico a Istanbul,<br />
Bartolomeo I ha incontrato<br />
il 28 settembre un<br />
gruppo di vaticanisti di<br />
tutto il mondo, rispondendo<br />
alle loro domande,<br />
proprio al termine del<br />
Sinodo mensile, de<strong>dic</strong>ato<br />
all'incontro a Belgrado<br />
della Commissione teologica<br />
cattolica-ortodossa.<br />
"Abbiamo avuto la grazia di poter riprendere questo<br />
cammino - ha detto in apertura dell'incontro<br />
proprio a proposito di Belgrado - e con l'aiuto di<br />
Dio speriamo di proseguire in maniera costruttiva.<br />
Non posso dire che cosa succederà nei prossimi<br />
anni, quali risultati concreti si potranno raggiungere.<br />
Ma dobbiamo dialogare con buona volontà,<br />
con la preghiera, con la sincerità e con il coraggio<br />
dei cristiani". Gli anni di Giovanni Paolo II, ha ancora<br />
aggiunto, "hanno segnato molte cose buone fatte<br />
insieme. Benedetto XVI ha dimostrato fin dall'elezione<br />
il suo rispetto e il suo amore per l'Oriente cristiano,<br />
e ha voluto sostenere il dialogo, e in questa<br />
stessa sala il prossimo 30 novembre firmeremo<br />
insieme una Dichiarazione congiunta". Vi è stato<br />
anche un riferimento alle polemiche seguite nei<br />
Paesi islamici al discorso pronunciato da Benedetto<br />
XVI all'università di Ratisbona. "Lo Stato prenderà<br />
tutte le misure necessarie per proteggere un ospite<br />
di tale rango"; "Tutti quanti noi - ha osservato il<br />
Patriarca - dobbiamo rispettare l'uno le credenze<br />
religiose dell'altro, dobbiamo collaborare, dobbiamo<br />
ricordare che su questo pianeta c'è posto per<br />
tutti, non c'è bisogno di coltivare nessuna inimicizia.<br />
Noi - ha aggiunto - abbiamo un'esperienza<br />
positiva della convivenza tra le religioni monoteiste,<br />
di vivere fianco a fianco cristiani, musulmani<br />
ed ebrei, e speriamo che con la buona volontà e il<br />
dialogo di possa superare questo momento che<br />
viene definito "di crisi"". "Sono certo che Sua <strong>San</strong>tità<br />
non aveva alcuna intenzione, in quel discorso, di<br />
offendere i nostri fratelli e sorelle musulmani,<br />
Dichiarazione comune<br />
Cattolico-Ortodossa<br />
Benedetto XVI e Bartolomeo I, firmano la Dichiarazione Comune<br />
come d'altronde lui stesso ha affermato lunedì<br />
scorso". Rilevanti anche le parole de<strong>dic</strong>ate alla<br />
Turchia, "la cui richiesta di entrare in Europa noi<br />
abbiamo sempre sostenuto fin dall'inizio", e il problema<br />
delle minoranze religiose. A una domanda al<br />
riguardo, il Patriarca ha risposto rilevando che "il<br />
Papa s<strong>ott</strong>olinea sempre in ogni viaggio la necessità<br />
del rispetto della libertà religiosa, se anche in<br />
Turchia vorrà farlo non sarà certo solo per i cattolici<br />
perché si tratta di una preoccupazione valida<br />
per tutti i popoli che vivano in un sistema democratico".<br />
Principi "che devono valere per tutti i<br />
popoli che appartengono alla famiglia europea". Per<br />
questo, ha insistito Bartolomeo I, va accolta positivamente<br />
la risoluzione con la quale mercoledì scorso<br />
a Strasburgo l'Unione europea ha ribadito la<br />
necessità che la Turchia rispetti i diritti delle minoranze.<br />
"Nel contesto del cammino della Turchia<br />
verso l'UE - ha aggiunto - i problemi di discriminazione<br />
purtroppo ancora esistenti saranno, speriamo,<br />
risolti uno dopo l'altro". Bartolomeo I in proposito<br />
ha ricordato il fatto che al Patriarcato non è<br />
riconosciuta la personalità giuri<strong>dic</strong>a e, tra le altre<br />
cose, che il governo abbia chiuso dal 1971 la scuola<br />
teologica sull'isola di Halki (Heyliada), in violazione<br />
del Trattato di Losanna del 1923. "Si tratta di<br />
un fatto inaccettabile, e di una ingiustizia - ha<br />
scandito il Patriarca - perché noi siamo la prima<br />
sede patriarcale del mondo ortodosso ma anche l'unica<br />
autocefala che non abbia una scuola teologica<br />
per preparare i suoi teologi e i suoi chierici.<br />
Chiediamo solo il rispetto di un nostro diritto. Nel<br />
7
8<br />
1923, all'inizio dello Stato turco, c'erano 180mila<br />
greci ortodossi. Oggi siamo 4-5mila. Perché?".<br />
Il 30 novembre, festa dell'apostolo Andrea,<br />
il Papa ha rilanciato il dialogo sull'esercizio del<br />
ministero papale. Egli ha spiegato nel discorso che<br />
ha pronunciato alla fine della Divina Liturgia che la<br />
sua presenza intendeva "rinnovare il comune impegno<br />
per proseguire sulla strada verso il ristabilimento<br />
- con la grazia di Dio - della piena comunione<br />
fra la Chiesa di Roma e la Chiesa di<br />
Costantinopoli". Il Pontefice ha affermato "che la<br />
Chiesa Cattolica è pronta a fare tutto il possibile per<br />
superare gli ostacoli e per ricercare, insieme con i<br />
nostri fratelli e sorelle ortodossi, mezzi sempre più<br />
efficaci di collaborazione pastorale a tale scopo".<br />
Benedetto XVI ha riconosciuto che "il tema del servizio<br />
universale di Pietro e dei suoi Successori ha<br />
sfortunatamente dato origine alle nostre differenze<br />
di opinione, che speriamo di superare, grazie anche<br />
al dialogo teologico, ripreso di recente". Da parte<br />
sua, il Patriarca Bartolomeo I ha concluso la sua<br />
omelia ringraziando Dio per la presenza di<br />
Benedetto XVI alla Divina Liturgia. "Salutiamo<br />
ancora una volta con riconoscenza questa<br />
Presenza, come una benedizione di Dio, come<br />
manifestazione di amore fraterno e di onore verso<br />
la nostra Chiesa, come segno della nostra comune<br />
volontà di continuare, senza tentennamenti, il<br />
nostro cammino, nello spirito di amore e fedeltà,<br />
verso la verità del vangelo e della comune tradizione<br />
dei santi Padri, per restaurare la piena comunione<br />
delle nostre Chiese: questo è volontà e comando<br />
di Cristo", ha detto il Patriarca Ecumenico. Dopo la<br />
Divina Liturgia, Benedetto XVI e Bartolomeo I<br />
hanno firmato una Dichiarazione comune in cui<br />
lanciano un invito alla pace ed esprimono la gioia<br />
di sentirsi fratelli, rinnovando l'impegno a raggiungere<br />
la piena comunione.<br />
DICHIARAZIONE COMUNE<br />
TRA IL SANTO PADRE BENEDETTO XVI<br />
E IL PATRIARCA BARTOLOMEO I<br />
[fonte www.vatican.va]<br />
Fanar, 30 novembre 2006<br />
"Questo è il giorno fatto dal Signore, rallegriamoci<br />
ed esultiamo in esso" (Sal 117,24).<br />
Il fraterno incontro che abbiamo avuto,<br />
noi, Benedetto XVI, Papa di Roma e Bartolomeo I,<br />
Patriarca ecumenico, è opera di Dio e per di più un<br />
dono che proviene da Lui. Rendiamo grazie<br />
all'Autore di ogni bene, che ci permette ancora una<br />
volta, nella preghiera e nello scambio, d'esprimere<br />
la nostra gioia di sentirci fratelli e di rinnovare il<br />
nostro impegno in vista della piena comunione.<br />
Tale impegno ci proviene dalla volontà di nostro<br />
Signore e dalla nostra responsabilità di Pastori nella<br />
Chiesa di Cristo. Possa il nostro incontro essere un<br />
segno e un incoraggiamento per noi a condividere<br />
gli stessi sentimenti e gli stessi atteggiamenti di fraternità,<br />
di collaborazione e di comunione nella cari-<br />
tà e nella verità. Lo Spirito <strong>San</strong>to ci aiuterà a preparare<br />
il grande giorno del ristabilimento della<br />
piena unità, quando e come Dio lo vorrà. Allora<br />
potremo rallegrarci ed esultare veramente.<br />
1. Abbiamo evocato con gratitudine gli<br />
incontri dei nostri venerati predecessori, benedetti<br />
dal Signore: hanno mostrato al mondo l'urgenza<br />
dell'unità e hanno tracciato sentieri sicuri per giungere<br />
ad essa, nel dialogo, nella preghiera e nella vita<br />
ecclesiale quotidiana. Il Papa Paolo VI e il Patriarca<br />
Atenagora I, pellegrini a Gerusalemme sul luogo<br />
stesso in cui Gesù è morto e risorto per la salvezza<br />
del mondo, si sono incontrati in seguito di nuovo,<br />
qui al Fanar ed a Roma. Essi ci hanno lasciato una<br />
<strong>dic</strong>hiarazione comune che mantiene tutto il suo<br />
valore, s<strong>ott</strong>olineando che il vero dialogo della carità<br />
deve sostenere ed ispirare tutti i rapporti tra le<br />
persone e tra le stesse Chiese, "deve essere ra<strong>dic</strong>ato<br />
in una totale fedeltà all'unico Signore Gesù Cristo e<br />
nel mutuo rispetto delle tradizioni proprie" (Tomos<br />
Agapis, 195). Non abbiamo dimenticato lo scambio<br />
di visite tra Sua <strong>San</strong>tità il Papa Giovanni Paolo II e<br />
Sua <strong>San</strong>tità Dimitrios I. Fu proprio durante la visita<br />
di Papa Giovanni Paolo II, la sua prima visita<br />
ecumenica, che fu annunciata la creazione della<br />
Commissione mista per il dialogo teologico tra la<br />
Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa. Essa<br />
ha riunito le nostre Chiese con lo scopo <strong>dic</strong>hiarato<br />
di ristabilire la piena comunione.<br />
Per quanto riguarda le relazioni tra la<br />
Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli, non<br />
possiamo dimenticare il solenne atto ecclesiale che<br />
ha relegato nell'oblio le antiche scomuniche, le<br />
quali, lungo i secoli, hanno influito negativamente<br />
sulle relazioni tra le nostre Chiese. Non abbiamo<br />
ancora tratto da questo atto tutte le conseguenze<br />
positive che ne possono derivare per il nostro cammino<br />
verso la piena unità, al quale la Commissione<br />
mista è chiamata a dare un importante contributo.<br />
Esortiamo i nostri fratelli a prendere parte attivamente<br />
a questo processo, con la preghiera e con<br />
gesti significativi.<br />
2. In occasione della sessione plenaria della<br />
Commissione mista per il dialogo teologico tenutasi<br />
recentemente a Belgrado e generosamente ospitata<br />
dalla Chiesa ortodossa serba, abbiamo espresso<br />
la nostra gioia profonda per la ripresa del dialogo<br />
teologico. Dopo un'interruzione di qualche anno,<br />
dovuta a varie difficoltà, la Commissione ha potuto<br />
lavorare di nuovo in uno spirito di amicizia e di<br />
collaborazione. Trattando il tema: "Conciliarità e<br />
autorità nella Chiesa" a livello locale, regionale e<br />
universale, essa ha intrapreso una fase di studio<br />
sulle conseguenze ecclesiologiche e canoniche della<br />
natura sacramentale della Chiesa. Ciò permetterà<br />
di affrontare alcune delle principali questioni ancora<br />
controverse. Come nel passato, siamo decisi a<br />
sostenere incessantemente il lavoro affidato a questa<br />
Commissione, mentre ne accompagniamo i<br />
membri con le nostre preghiere.<br />
3. Come Pastori, abbiamo innanzitutto<br />
riflettuto sulla missione di annunciare il Vangelo
nel mondo di oggi. Questa missione: "Andate dunque,<br />
e ammaestrate tutte le nazioni" (Mt 28,19),<br />
oggi è più che mai attuale e necessaria, anche in<br />
paesi tradizionalmente cristiani. Inoltre, non possiamo<br />
ignorare la crescita della secolarizzazione,<br />
del relativismo e perfino del nichilismo, soprattutto<br />
nel mondo occidentale. Tutto ciò esige un rinnovato<br />
e potente annuncio del Vangelo, adatto alle<br />
culture del nostro tempo. Le nostre tradizioni rappresentano<br />
per noi un patrimonio che deve essere<br />
continuamente condiviso, proposto e attualizzato.<br />
Per questo motivo, dobbiamo rafforzare le collaborazioni<br />
e la nostra testimonianza comune davanti<br />
a tutte le nazioni.<br />
4. Abbiamo valutato positivamente il cammino<br />
verso la formazione dell'Unione Europea. Gli<br />
attori di questa grande iniziativa non mancheranno<br />
di prendere in considerazione tutti gli aspetti<br />
che riguardano la persona umana ed i suoi inalienabili<br />
diritti, soprattutto la libertà religiosa, testimone<br />
e garante del rispetto di ogni altra libertà. In<br />
ogni iniziativa di unificazione, le minoranze debbono<br />
essere protette, con le loro tradizioni culturali e<br />
le loro specificità religiose. In Europa, pur rimanendo<br />
aperti alle altre religioni e al loro contributo<br />
alla cultura, noi dobbiamo unire i nostri sforzi per<br />
preservare le ra<strong>dic</strong>i, le tradizioni ed i valori cristiani,<br />
per assicurare il rispetto della storia, come pure<br />
per contribuire alla cultura dell'Europa futura, alla<br />
qualità delle relazioni umane a tutti i livelli. In questo<br />
contesto, come non evocare gli antichissimi<br />
testimoni e l'illustre patrimonio cristiano della<br />
terra dove ha luogo il nostro incontro, a cominciare<br />
da quanto ci <strong>dic</strong>e il libro degli Atti degli Apostoli<br />
evocando la figura di <strong>San</strong> Paolo, Apostolo delle<br />
nazioni. Su questa terra, il messaggio del Vangelo e<br />
l'antica tradizione culturale si sono saldati. Questo<br />
vincolo, che così tanto ha contribuito all'eredità cristiana<br />
che ci è comune, resta attuale e recherà<br />
ancora frutti in avvenire per l'evangelizzazione e<br />
per la nostra unità.<br />
5. Abbiamo rivolto il nostro sguardo ai luoghi<br />
del mondo di oggi dove vivono i cristiani e alle<br />
difficoltà che debbono affrontare, in particolare la<br />
povertà, le guerre e il terrorismo, ma anche le<br />
diverse forme di sfruttamento dei poveri, degli emi-<br />
grati, delle donne e dei bambini. Noi siano chiamati<br />
ad intraprendere insieme azioni a favore del<br />
rispetto dei diritti dell'uomo, di ogni essere umano,<br />
creato ad immagine e somiglianza di Dio, come<br />
pure per lo sviluppo economico, sociale e culturale.<br />
Le nostre tradizioni teologiche ed etiche possono<br />
offrire una solida base alla pre<strong>dic</strong>azione e all'azione<br />
comuni. Innanzitutto, vogliamo affermare che<br />
l'uccisione di innocenti nel nome di Dio è un'offesa<br />
a Lui e alla dignità umana. Tutti dobbiamo impegnarci<br />
per un rinnovato servizio all'uomo e per la<br />
difesa della vita umana, di ogni vita umana.<br />
Abbiamo profondamente a cuore la pace in<br />
Medio Oriente, dove nostro Signore ha vissuto, ha<br />
sofferto, è morto ed è risorto, e dove vive, da tanti<br />
secoli, una moltitudine di fratelli cristiani.<br />
Desideriamo ardentemente che la pace sia ristabilita<br />
su quella terra, che si rafforzi la coesistenza cordiale<br />
tra le sue diverse popolazioni, tra le Chiese e<br />
le diverse religioni che vi si trovano. A questo fine,<br />
incoraggiamo a stabilire rapporti più stretti tra i<br />
cristiani e un dialogo interreligioso autentico e<br />
leale, per combattere ogni forma di violenza e di<br />
discriminazione.<br />
6. Nell'epoca attuale, davanti ai grandi<br />
pericoli per l'ambiente naturale, vogliamo esprimere<br />
la nostra preoccupazione per le conseguenze<br />
negative che possono derivare per l'umanità e per<br />
tutta la creazione da un progresso economico e tecnologico<br />
che non riconosce i propri limiti. Come<br />
capi religiosi, consideriamo come uno dei nostri<br />
doveri incoraggiare e sostenere gli sforzi compiuti<br />
per proteggere la creazione di Dio e per lasciare alle<br />
generazioni future una terra sulla quale potranno<br />
vivere.<br />
7. Infine, il nostro pensiero si rivolge a tutti<br />
voi, i fedeli delle nostre Chiese presenti ovunque nel<br />
mondo, vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose,<br />
uomini e donne laici impegnati in un servizio<br />
ecclesiale, ed a tutti i battezzati. Salutiamo in<br />
Cristo gli altri cristiani, assicurando loro la nostra<br />
preghiera e della nostra disponibilità al dialogo e<br />
alla collaborazione. Vi salutiamo tutti con le parole<br />
dell'Apostolo dei Gentili: "Grazia a voi e pace da<br />
Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo" (2 Cor<br />
1,2).<br />
9
10<br />
Il valore giuri<strong>dic</strong>o<br />
delle Dichiarazioni Comuni<br />
tra la Chiesa cattolica<br />
e le altre Confessioni cristiane<br />
Frutto dei dialoghi tra la<br />
Chiesa cattolica e le Chiese<br />
o Comunità ecclesiali sono<br />
le Dichiarazioni Comuni.<br />
Analizzeremo gli aspetti formali<br />
(soggetti e destinatari)<br />
nonché la natura giuri<strong>dic</strong>a di<br />
questi documenti di cui il<br />
Vescovo di Roma è uno dei s<strong>ott</strong>oscrittori.<br />
Dal punto di vista<br />
cattolico, le Dichiarazioni<br />
Comuni hanno un indubbio<br />
valore giuri<strong>dic</strong>o, essendone<br />
autore lo stesso Papa. Finora il<br />
Papa ha s<strong>ott</strong>oscritto Dichiarazioni<br />
Comuni solo con Primati<br />
anglicani, Patriarchi ortodossi e<br />
Responsabili delle Chiese ortodosse<br />
precalcedonesi.<br />
Ci siamo serviti di un<br />
<strong>ott</strong>imo testo da noi recensito<br />
nella rivista <strong>Nicola</strong>us, fasc.<br />
II/2006, a cui rinviamo: D.<br />
SAROGLIA, Il Papa di fronte alla<br />
responsabilità di promuovere l’unità<br />
dei cristiani, Lateran<br />
University Press, Roma 2003.<br />
Dichiarazioni Comuni con<br />
Primati anglicani<br />
La prima Dichiarazione<br />
Comune tra il Capo della Chiesa<br />
cattolica e il Primate<br />
d’Inghilterra è quella s<strong>ott</strong>oscritta<br />
da Paolo VI e Michael<br />
Ramsey, a Roma, a <strong>San</strong> Paolo<br />
fuori le mura, il 24 marzo<br />
1966. In essa si stabilisce l’avvio<br />
del dialogo anglicano-cattolico<br />
a livello internazionale,<br />
avendo per base il Vangelo e le<br />
antiche tradizioni comuni.<br />
La seconda Dichiarazione<br />
è tra Paolo VI e Frederic<br />
Donald Coggan, firmata sempre<br />
a Roma il 29 aprile 1977. Si<br />
ribadisce la fede sostanzialmen-<br />
te comune e i progressi nel dialogo,<br />
tanto a proposito dell’eucaristia,<br />
del ministero e dell’autorità<br />
nella Chiesa, quanto a<br />
proposito della teologia del<br />
matrimonio e dei matrimoni<br />
misti.<br />
Due Dichiarazioni Comuni<br />
sono s<strong>ott</strong>oscritte da Giovanni<br />
Paolo II e Robert Runcie.<br />
La prima è firmata a Canterbury,<br />
il 29 maggio 1982. In<br />
essa si annuncia la costituzione<br />
di una nuova Commissione con<br />
lo scopo di esaminare specialmente<br />
le principali differenze<br />
d<strong>ott</strong>rinali tra le due Chiese, in<br />
vista della loro soluzione definitiva,<br />
e di studiare tutto ciò<br />
che ostacola il riconoscimento<br />
dei ministeri. La seconda<br />
Dichiarazione è firmata a<br />
Roma, il 2 <strong>ott</strong>obre 1989, per<br />
dare impulso nuovo al dialogo.<br />
L’ultima Dichiarazione<br />
Comune in ordine di tempo è<br />
quella siglata il 23 novembre<br />
2006 a Roma da Papa Benedetto<br />
XVI e l’Arcivescovo di<br />
Canterbury Rowan Williams.<br />
In essa si s<strong>ott</strong>olinea il lavoro<br />
svolto dalla Commissione<br />
mista, mettendo in evidenza<br />
che il vero ecumenismo va oltre<br />
il dialogo teologico; tocca la<br />
vita spirituale e la testimonianza<br />
comune. Grazie allo sviluppo<br />
del dialogo, molti cattolici e<br />
anglicani hanno trovato gli uni<br />
negli altri un amore per Cristo<br />
che invita alla cooperazione e al<br />
servizio pratici. Allo stesso<br />
tempo, si rende necessario riconoscere<br />
pubblicamente la sfida<br />
rappresentata da nuovi sviluppi<br />
che, oltre a essere fonti di<br />
divisione per gli anglicani, pre-<br />
di Lorenzo Lorusso O.P.<br />
sentano seri ostacoli al progresso<br />
ecumenico. È urgente, quindi,<br />
impegnarsi anche nel continuo<br />
dialogo per affrontare le<br />
importanti questioni coinvolte<br />
negli emergenti fattori ecclesiologici<br />
ed etici che rendono la<br />
comunione più difficile e ardua.<br />
Dichiarazioni Comuni con<br />
Patriarchi ortodossi<br />
La prima Dichiarazione<br />
Comune che ha un grande<br />
valore storico e simbolico è<br />
quella firmata da Papa Paolo VI<br />
e Atenagora I, Patriarca di<br />
Costantinopoli, il 7 <strong>dic</strong>embre<br />
1965, mediante la quale avviene<br />
la cancellazione degli anatemi<br />
che sancirono la divisione<br />
nel 1054.<br />
In occasione della visita<br />
del Papa a Istanbul e del Patriarca<br />
a Roma, sono state s<strong>ott</strong>oscritte<br />
Dichiarazioni Comuni<br />
per mettere in evidenza il forte<br />
desiderio di ristabilire la comunione<br />
fra le due Chiese e la loro<br />
celebrazione comune dell’eucaristia.<br />
La prima è datata 25<br />
luglio 1967 e la seconda 28<br />
<strong>ott</strong>obre dello stesso anno.<br />
I loro successori, Giovanni<br />
Paolo II e Dimitrio I, firmano<br />
nella chiesa del Fanar, il<br />
30 novembre 1979, una Dichiarazione<br />
Comune per avviare<br />
ufficialmente il dialogo teologico,<br />
a partire da un’analisi<br />
congiunta sui sacramenti. Il 7<br />
<strong>dic</strong>embre 1987, gli stessi firmano<br />
a Roma una Dichiarazione<br />
per riprendere i contatti e proseguire<br />
i lavori che avevano<br />
subito un rallentamento da<br />
parte di alcune Chiese ortodosse<br />
non contente di alcune posi-
zioni assunte da Roma.<br />
Nel giugno 1995 spetta<br />
a Giovanni Paolo II e a<br />
Bartolomeo I firmare una Dichiarazione<br />
Comune in cui<br />
esortano le rispettive Chiese a<br />
non demordere nel cammino<br />
verso l’unità. La Dichiarazione<br />
del 10 giugno 2002 è sulla salvaguardia<br />
del creato. L’ultima<br />
firmata da Giovanni Paolo II e<br />
Bartolomeo I risale al 29 giugno<br />
2004, a Roma. Nonostante<br />
la ferma volontà di proseguire<br />
nel cammino verso la piena<br />
comunione, ci si rende conto<br />
degli ostacoli di varia natura:<br />
d<strong>ott</strong>rinali anzitutto, ma anche<br />
derivanti da condizionamenti<br />
di una storia difficile. Inoltre<br />
nuovi problemi sorti da profondi<br />
mutamenti avvenuti<br />
nella compagine politico-sociale<br />
europea non sono rimasti<br />
senza conseguenze nei rapporti<br />
tra le Chiese cristiane. Con il<br />
ritorno alla libertà dei cristiani<br />
in Europa centrale e orientale si<br />
sono risvegliati anche antichi<br />
timori, rendendo difficile il dialogo.<br />
Si mette in evidenza che la<br />
“Commissione Mista Internazionale<br />
per il Dialogo Teologico<br />
tra la Chiesa cattolica e la<br />
Chiesa ortodossa nel suo insieme”,<br />
avviata con tanta speranza,<br />
ha segnato, negli ultimi<br />
anni, il passo. Tuttavia essa<br />
resta strumento idoneo per<br />
studiare i problemi ecclesiologici<br />
e storici, che sono alla base<br />
delle difficoltà, ed individuare<br />
ipotesi di soluzione. È dovere<br />
del Papa e del Patriarca continuare<br />
nel deciso impegno di<br />
riattivarne i lavori al più presto.<br />
L’ultima Dichiarazione<br />
Comune in ordine di tempo è<br />
quella siglata ad Istanbul da<br />
Papa Benedetto XVI e il<br />
Patriarca Ecumenico Bartolomeo<br />
I il 30 novembre 2006.<br />
Dopo un’introduzione sulle<br />
Dichiarazioni precedenti e i<br />
lavori della Commissione<br />
mista, si s<strong>ott</strong>olinea la comune<br />
missione di annunciare il<br />
Vangelo nel mondo di oggi. I<br />
Prelati non ignorano la crescita<br />
della secolarizzazione, del relativismo<br />
e perfino del nichilismo,<br />
soprattutto nel mondo<br />
occidentale. Tutto ciò esige un<br />
rinnovato e potente annuncio<br />
del Vangelo, adatto alle culture<br />
del nostro tempo, attraverso la<br />
collaborazione e la comune<br />
testimonianza davanti a tutte<br />
le nazioni. C’è un riferimento<br />
all’Unione europea, ma salvaguardando<br />
le minoranze, con le<br />
loro tradizioni culturali e le<br />
loro specificità religiose. In<br />
Europa, pur rimanendo aperti<br />
alle altre religioni e al loro contributo<br />
alla cultura, cattolici ed<br />
ortodossi debbono unire gli<br />
sforzi per preservare le ra<strong>dic</strong>i,<br />
le tradizioni ed i valori cristiani,<br />
per assicurare il rispetto della<br />
storia, come pure per contribuire<br />
alla cultura dell’Europa<br />
futura, alla qualità delle relazioni<br />
umane a tutti i livelli. Le<br />
due Chiese sorelle sono chiamate<br />
ad intraprendere insieme<br />
azioni a favore del rispetto dei<br />
diritti dell’uomo, di ogni essere<br />
umano, creato ad immagine e<br />
somiglianza di Dio, come pure<br />
per lo sviluppo economico,<br />
sociale e culturale. Le nostre<br />
tradizioni teologiche ed etiche<br />
possono offrire una solida base<br />
alla pre<strong>dic</strong>azione e all’azione<br />
comuni. Si conclude con un<br />
accenno alla pace in Medio<br />
Oriente e alla salvaguardia del<br />
creato.<br />
Giovanni Paolo II e<br />
Christodoulos, Arcivescovo di<br />
Atene e di tutta la Grecia,<br />
hanno firmato una Dichiarazione<br />
Comune ad Atene il 4<br />
maggio 2001. In essa condannano<br />
ogni ricorso alla violenza,<br />
al proselitismo, al fanatismo in<br />
nome della religione; si accenna<br />
al problema della globalizzazione<br />
e dell’Unione europea.<br />
Il 14 <strong>dic</strong>embre 2006,<br />
Benedetto XVI e Christodoulos<br />
firmano a Roma una Dichiarazione<br />
Comune, per superare le<br />
difficoltà e le esperienze dolorose<br />
del passato. In essa si riafferma<br />
la volontà comune di perse-<br />
verare nel cammino di un dialogo<br />
teologico costruttivo.<br />
Infine, si s<strong>ott</strong>olinea l’impegno<br />
delle due Chiese per proteggere<br />
più efficacemente i diritti fondamentali<br />
dell’uomo, fondati<br />
sulla dignità della persona<br />
creata ad immagine di Dio.<br />
A Roma, il 12 <strong>ott</strong>obre<br />
2002, la Dichiarazione è firmata<br />
da Giovanni Paolo II e dal<br />
Patriarca della Chiesa ortodossa<br />
di Romania, Teoctist. In essa si<br />
ribadisce l’impegno delle due<br />
Chiese nella promozione dell’unità<br />
dei cristiani e nella restituzione<br />
all’Europa del suo ethos<br />
più profondo e del suo volto<br />
veramente umano.<br />
Dichiarazioni Comuni con i<br />
Responsabili delle Chiese precalcedonesi<br />
Nel maggio 1970, Paolo<br />
VI e il Catholicos supremo di<br />
tutti gli armeni, Vasken I, firmano<br />
una Dichiarazione Comune<br />
a Roma per incoraggiare<br />
l’approfondimento delle concezioni<br />
cristologiche ed ecclesiologiche<br />
esistenti nelle due<br />
Chiese. Giovanni Paolo II e<br />
Karekin II proseguono sulla<br />
stessa scia con una Dichiarazione<br />
firmata nel settembre<br />
2001, per celebrare i 1700 anni<br />
della conversione dell’Armenia<br />
al cristianesimo.<br />
Il 25 <strong>ott</strong>obre 1971,<br />
durante la visita a Roma del<br />
Patriarca siro-ortodosso di<br />
Antiochia e di tutto l’Oriente,<br />
Mar Ignatio Yacoub III, è firmata<br />
una Dichiarazione Comune<br />
con Paolo VI, nella quale<br />
si evidenzia l’importanza del<br />
dialogo teologico alla ricerca<br />
della tradizione comune. Giovanni<br />
Paolo II e Mar Ignatius<br />
Zakka I Iwas, sempre a Roma,<br />
il 23 giugno 1984, s<strong>ott</strong>oscrivono<br />
una Dichiarazione in cui si<br />
s<strong>ott</strong>olinea innanzitutto la<br />
comune professione di fede<br />
come espressa nel Credo niceno.<br />
Segue un’analisi della teologia<br />
sacramentale e si ammette<br />
l’ospitalità sacramentale che<br />
i fedeli possono richiedere<br />
11
12<br />
all’altra Chiesa qualora siano<br />
materialmente o moralmente<br />
impossibilitati ad avvicinare un<br />
ministro della loro stessa<br />
Chiesa.<br />
In occasione della visita<br />
a Paolo VI del Papa copto-ortodosso<br />
di Alessandria e Patriarca<br />
delle terre evangelizzate da <strong>San</strong><br />
Marco, Amba Shenuda III, il 10<br />
maggio 1973, viene firmata<br />
una Dichiarazione Comune<br />
nella quale si esprime una<br />
solenne professione di fede cristologica,<br />
si condanna il proselitismo<br />
ed ogni forma di strumentalizzazione<br />
della religione.<br />
Nel novembre 1994,<br />
Giovanni Paolo II e il Patriarca<br />
assiro, Mar Dinkha IV, firmano<br />
a Roma una Dichiarazione<br />
Comune in cui si s<strong>ott</strong>olinea la<br />
profonda comunione già esistente<br />
fra le due Chiese e si<br />
auspicano forme di collaborazione<br />
pastorale e nell’ambito<br />
della formazione teologica del<br />
clero.<br />
I soggetti<br />
Circa i soggetti, è un<br />
dato di fatto che le Dichiarazioni<br />
comuni finora s<strong>ott</strong>oscritte<br />
dalla Chiesa cattolica sono<br />
state firmate congiuntamente<br />
da Papa Paolo VI, da Papa<br />
Giovanni Paolo II e da Papa<br />
Benedetto XVI, o con l’Arcivescovo<br />
di Canterbury o con il<br />
massimo rappresentante di una<br />
Chiesa ortodossa, ma non con i<br />
massimi esponenti delle<br />
Comunioni o Chiese derivanti<br />
dalla Riforma protestante o<br />
delle Comunità pentecostali ed<br />
evangelicali. La ragione è la<br />
vicinanza teologica ed ecclesiologica<br />
con gli anglicani e gli<br />
ortodossi tale da consentire<br />
una relazione “paritetica”. In<br />
tutti i casi, lo schema della<br />
<strong>dic</strong>hiarazione è abbastanza<br />
simile: parte introduttiva, che<br />
s<strong>ott</strong>olinea la profonda comunione<br />
spirituale e la marcata<br />
convergenza teologica esistenti<br />
fra le due confessioni cristiane<br />
in questione; nucleo centrale,<br />
che può concernere il bilancio<br />
di un periodo di dialogo o lo<br />
stato di fatto esistente nei rapporti<br />
ecumenici o l’istituzione<br />
di una commissione mista di<br />
studio; parte conclusiva, contenente<br />
un’esortazione a continuare<br />
il cammino nella certezza<br />
che questa è la volontà del<br />
Signore.<br />
I destinatari<br />
Circa i destinatari, le<br />
Dichiarazioni sono indirizzate<br />
ai fedeli delle rispettive Chiese,<br />
ma ciascun responsabile si<br />
rivolge ai propri fedeli congiuntamente<br />
al capo dell’altra<br />
Chiesa. Implicitamente, quindi,<br />
riconosce all’altro responsabile<br />
l’autorevolezza per insegnare<br />
anche ai propri fedeli e si assume<br />
personalmente l’onere della<br />
preoccupazione per la salus<br />
animarum dei fedeli dell’altra<br />
Chiesa. Nei confronti del<br />
mondo intero, le Dichiarazioni<br />
costituiscono un esempio di<br />
testimonianza della ricerca<br />
della comunione fraterna.<br />
Natura giuri<strong>dic</strong>a<br />
Circa la natura giuri<strong>dic</strong>a,<br />
le Dichiarazioni Comuni<br />
non sono previste dall’ordinamento<br />
canonico della Chiesa<br />
cattolica. Potremmo azzardare<br />
un paragone tra le relazioni<br />
interstatuali e quelle ecumeniche,<br />
mettendo in evidenza<br />
qualche analogia tra l’origine<br />
dei rapporti internazionali e il<br />
movimento ecumenico. Le<br />
<strong>dic</strong>hiarazioni di volontà proprie<br />
degli atti bilaterali internazionali<br />
costituiscono il contenuto<br />
dei trattati, non ne sono il<br />
modello formale, mentre nel<br />
nostro caso forma e contenuto<br />
si definiscono come “<strong>dic</strong>hiarazioni”.<br />
In ambito ecumenico, i<br />
motivi e gli interessi che spingono<br />
i responsabili di due<br />
diverse Chiese a pronunciare la<br />
Dichiarazione devono essere i<br />
medesimi, poiché solo la comune<br />
ricerca dell’unità e la ritrovata<br />
fraternità giustificano<br />
ogni sforzo interconfessionale.<br />
Ma ciò che invece accomuna i<br />
due tipi di <strong>dic</strong>hiarazione è che<br />
non si qualificano mai come<br />
atti unilaterali, ma “reciproche”<br />
e “di identico contenuto”.<br />
Rimane però irrisolto il<br />
problema della definizione giuri<strong>dic</strong>o-formale<br />
del termine<br />
“<strong>dic</strong>hiarazione”. È ancora il<br />
diritto internazionale ad offrirne<br />
una possibile lettura. Infatti,<br />
la famosa Dichiarazione universale<br />
dei diritti umani, proprio in<br />
quanto semplice <strong>dic</strong>hiarazione,<br />
era ritenuta inizialmente solo<br />
come produttrice di obblighi di<br />
natura morale, in quanto atto<br />
privo di una specifica obbligatorietà<br />
giuri<strong>dic</strong>a e rientrante<br />
nel potere cosiddetto “raccomandatario”<br />
dell’Assemblea<br />
Generale dell’ONU. Posizione<br />
che verrà superata proprio<br />
sulla base della presa di<br />
coscienza degli obblighi giuri<strong>dic</strong>i<br />
che gravano in capo agli Stati<br />
membri quanto agli atti emanati<br />
dall’Organizzazione stessa.<br />
Quindi, l’obbligatorietà giuri<strong>dic</strong>a<br />
di quest’ultimo genere di<br />
“<strong>dic</strong>hiarazione” viene derivata<br />
dalla natura del rapporto esistente<br />
tra i soggetti che l’hanno<br />
s<strong>ott</strong>oscritta. Ciò che indubbiamente<br />
individua un’ulteriore<br />
analogia con le Dichiarazioni<br />
comuni. Con esse, infatti, chiaramente,<br />
i responsabili delle<br />
Chiese che le s<strong>ott</strong>oscrivono<br />
assumono un impegno pubblico<br />
e quindi vincolante a far sì<br />
che quanto in esse affermato<br />
sia effettivamente recepito nell’esperienza<br />
concreta dei propri<br />
fedeli. Le Dichiarazioni Comuni<br />
appartengono alle Chiese i cui<br />
responsabili le hanno firmate,<br />
in quanto atti che provengono<br />
direttamente da loro. Diverso è<br />
il discorso per gli atti delle<br />
Commissioni miste, perché è<br />
richiesto un atto di ratifica.<br />
Nelle Dichiarazioni i due<br />
momenti della stesura dell’atto<br />
e della sua accettazione si identificano.<br />
Allora, possiamo così<br />
definire le Dichiarazioni: quegli<br />
atti con cui i capi supremi di<br />
due Chiese cristiane – che si<br />
riconoscono reciprocamente
depositarie di una tradizione<br />
avanzata di dialogo e con una<br />
vicinanza teologica ed ecclesiologica<br />
tale da consentire una<br />
relazione ‘paritetica’ – pronunciano<br />
<strong>dic</strong>hiarazioni di volontà<br />
reciproche e identiche nei contenuti,<br />
orientate a sancire come<br />
definitivamente acquisiti i<br />
risultati del dialogo teologico<br />
plurilaterale o bilaterale cond<strong>ott</strong>o<br />
da esperti ufficialmente<br />
designati, e volte a indirizzare e<br />
stimolare la continuazione del<br />
cammino ecumenico tra le stesse<br />
e con altre Comunità.<br />
Documenti della Commissione<br />
mista internazionale<br />
per il Dialogo teologico tra la<br />
Chiesa cattolica e la Chiesa<br />
ortodossa (nel suo insieme):<br />
- Il Mistero della Chiesa e<br />
dell’Eucaristia alla luce del<br />
Mistero della <strong>San</strong>tissima Trinità<br />
(Monaco di Baviera, 6 luglio<br />
1982).<br />
- Fede, Sacramenti e Unità della<br />
Chiesa (Bari, 16 giugno 1987).<br />
- Il Sacramento dell’Ordine nella<br />
struttura sacramentale della<br />
Chiesa, in particolare l’importanza<br />
della successione apostoli-<br />
ca per la santificazione e l’unità<br />
del popolo di Dio (Valamo,<br />
Finlandia, 26 giugno 1988).<br />
- L’Uniatismo, Metodo d’unione<br />
del passato e ricerca attuale<br />
della piena comunione<br />
(Balamand, Libano, 23 giugno<br />
1993).<br />
- Sessione plenaria della<br />
Commissione (Baltimora, Stati<br />
Uniti, 9-19 luglio 2000) –<br />
Comunicato.<br />
- Sessione plenaria della<br />
Commissione (Belgrado, Serbia,<br />
18-25 settembre 2006) –<br />
Comunicato.<br />
13
14<br />
Attualità del tema<br />
Una recente polemica è nata dalla mancata<br />
in<strong>dic</strong>azione, nell’Annuario Pontificio del<br />
2006, tra i titoli spettanti al Romano<br />
Pontefice di quello di Patriarca d’Occidente, cui<br />
hanno fatto seguito le spiegazioni del 22 marzo<br />
2006 da parte del Pontificio Consiglio per la<br />
Promozione dell’Unità dei Cristiani apparse<br />
nell’Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose<br />
(1).<br />
Ci sono state delle osservazioni negative<br />
di parte ortodossa, sia della Chiesa Greca del 17<br />
marzo 2006 e poi dallo stesso <strong>San</strong>to Sinodo del<br />
Patriarcato Ecumenico dell’8 giugno 2006 (2); la<br />
non menzione del titolo di Patriarca d’Occidente<br />
e quindi di un limite territoriale, viene temuta a<br />
IL VESCOVO<br />
DI ROMA,<br />
PATRIARCA<br />
D’OCCIDENTE:<br />
ALCUNE RIFLESSIONI<br />
di Vittorio Parlato<br />
Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”<br />
[PER GLI STUDI IN ONORE DI GIOVANNI BARBERINI]<br />
Costantinopoli come possibile giustificazione di<br />
una giurisdizione, anche sull’Oriente, come si<br />
verificò dopo la IV Crociata.<br />
La tesi sostenuta dal succitato P.<br />
Consiglio è che: Il titolo di “Patriarca d’Occidente”<br />
fu adoperato nell’anno 642 da Papa Teodoro I. In<br />
seguito esso ricorse soltanto raramente e non ebbe<br />
un significato chiaro. La sua fioritura avvenne nel<br />
XVI e XVII secolo nel quadro del moltiplicarsi dei<br />
titoli del Papa; nell’annuario esso apparve per la<br />
prima volta nel 1863.<br />
A questa precisazione, che potremmo<br />
chiamare cronologica, si aggiungono altre considerazioni<br />
che toccano la concezione ecclesiale del<br />
primo millennio allorquando vigeva la piena<br />
comunione, sia pure con ripetuti momenti di<br />
r<strong>ott</strong>ura, tra la Chiesa latina e le Chiese orientali<br />
(3). Continua il documento citato: Senza la pretesa<br />
di considerare la complessa questione storica del<br />
titolo di Patriarca in tutti i suoi aspetti, si può<br />
affermare dal punto di vista storico che gli antichi<br />
Patriarcati d’Oriente, fissati dai Concili di<br />
Costantinopoli (381) e di Calcedonia (451), erano<br />
relativi ad un territorio abbastanza chiaramente<br />
circoscritto, allorché il territorio della Sede del<br />
vescovo di Roma rimaneva vago. In Oriente nell’ambito<br />
del sistema ecclesiastico imperiale di<br />
Giustiniano (527-565), accanto ai quattro<br />
Patriarcati orientali (Costantinopoli, Alessandria,<br />
Antiochia e Gerusalemme), il Papa era compreso<br />
come Patriarca d’Occidente. Inversamente, Roma<br />
privilegiò l’idea delle tre sedi episcopali petrine:<br />
Roma, Alessandria ed Antiochia. Senza usare il<br />
titolo di “Patriarca d’Occidente”, il IV Concilio di<br />
Costantinopoli (869-870), il IV Concilio del<br />
Laterano (1215) ed il Concilio di Firenze (1439),<br />
elencarono il Papa come primo degli allora cinque<br />
Patriarchi.
Queste note nel ricordare alcuni dati storici<br />
sembrano voler continuare a legare il rango<br />
primaziale di certe sedi all’essere sedi petrine,<br />
così Alessandria, sede vescovile fondata da Marco<br />
inviato da Pietro, avrebbe dovuto precedere<br />
Antiochia, prima sede episcopale di Pietro.<br />
Discutibile è poi l’affermazione secondo<br />
cui: Attualmente il significato del termine<br />
“Occidente” richiama un contesto culturale che non<br />
si riferisce soltanto all’Europa Occidentale, ma si<br />
estende agli Stati Uniti d’America fino<br />
all’Australia e alla Nuova Zelanda, differenziandosi<br />
così da altri contesti culturali. Ovviamente<br />
tale significato del termine “Occidente” non intende<br />
descrivere un territorio ecclesiastico né esso può<br />
essere adoperato come definizione di un territorio<br />
patriarcale. Se si vuole dare al termine “Occidente”<br />
un significato applicabile al linguaggio giuri<strong>dic</strong>o<br />
ecclesiale, potrebbe essere compreso soltanto in riferimento<br />
alla Chiesa latina. Pertanto il titolo di<br />
“Patriarca d’Occidente” descriverebbe la speciale<br />
relazione del Vescovo di Roma a quest’ultima, e<br />
potrebbe esprimere la giurisdizione particolare del<br />
Vescovo di Roma per la Chiesa latina.<br />
Ancor più criticabile è l’ulteriore precisazione:<br />
Di conseguenza il titolo “Patriarca<br />
d’Occidente”, sin dall’inizio poco chiaro, nell’evolversi<br />
della storia diventava obsoleto e praticamente<br />
non più utilizzabile. Appare dunque privo di<br />
senso insistere a trascinarlo dietro. Ciò tanto più<br />
che la Chiesa cattolica con il Concilio Vaticano II ha<br />
trovato per la Chiesa latina nella forma delle<br />
Conferenze Episcopali e delle loro riunioni internazionali<br />
di Conferenze episcopali, l’ordinamento<br />
canonico adeguato alle necessità di oggi.<br />
Tralasciare il titolo di “Patriarca d’Occidente” non<br />
cambia chiaramente nulla al riconoscimento, tanto<br />
solennemente <strong>dic</strong>hiarato dal Concilio Vaticano II,<br />
delle antiche Chiese patriarcali (Lumen Gentium,<br />
23). Ancor meno tale soppressione può voler dire che<br />
essa s<strong>ott</strong>intende nuove riven<strong>dic</strong>azioni. La rinuncia<br />
a detto titolo vuole esprimere un realismo storico e<br />
teologico e, allo stesso tempo, essere la rinuncia ad<br />
una pretesa, rinuncia che potrebbe essere di giovamento<br />
al dialogo ecumenico.<br />
In tutto il documento si confondono dati<br />
teologici, situazioni giuri<strong>dic</strong>he storiche e istituti<br />
giuri<strong>dic</strong>i attuali, così si equiparano le Conferenze<br />
Episcopali e le loro riunioni internazionali di<br />
Conferenze episcopali, che certamente rispondono<br />
alle necessità pastorali odierne, ai patriarcati<br />
orientali, e si presenta l’omissione del titolo di<br />
Patriarca d’Occidente come un fatto non solo<br />
non influente nel dialogo ecumenico, ma addirittura<br />
utile.<br />
Senza voler esaminare i punti qualificanti<br />
del documento succitato ed esprimere un mio<br />
giudizio, ritengo opportuno fare alcune precisazioni<br />
storiche che permettano di comprendere le<br />
riserve manifestate da parte di autorità ortodosse,<br />
riserve che certamente nuocciono al dialogo<br />
ecumenico.<br />
Le osservazioni di parte ortodossa<br />
Le osservazioni da parte ortodossa partono<br />
dalla diversa ecclesiologia loro propria, perciò<br />
si soffermano sul principio di collegialità e di<br />
comunione tra Chiese e si rifanno alla concezione<br />
pentarchica della Chiesa universale, ed alla<br />
necessaria esistenza di un patriarcato<br />
d’Occidente, come patriarcato del vescovo di<br />
Roma; è come patriarca d’Occidente che il Papa è<br />
membro del collegio patriarcale.<br />
Il <strong>San</strong>to Sinodo del patriarcato di<br />
Costantinopoli prende atto, come innegabile<br />
realtà, che il termine Occidente abbia oggi acquistato<br />
un contesto culturale che travalica gli antichi<br />
confini dell’Impero romano d’Occidente comprendendo<br />
le Americhe e l’Oceania, ma ricorda<br />
anche che, secondo la concezione ortodossa, il<br />
principio culturale non può essere sostituito al<br />
principio geografico per delineare la struttura<br />
organizzativa della Chiesa (4).<br />
Il patriarcato ecumenico ritiene anche che<br />
il fatto che il vescovo di Roma mantenga il titolo<br />
di Patriarca d’Occidente, cioè si consideri uno dei<br />
patriarchi, esprima bene il concetto di “Chiese<br />
sorelle” che deve essere alla base dell’ecclesiologia<br />
su cui ripristinare la piena comunione tra le<br />
Chiese (5).<br />
Aggiungo a quanto detto il pensiero<br />
dell’Arcivescovo di Grecia: Il titolo di Patriarca<br />
d’Occidente attribuito al Vescovo di Roma deve<br />
essere mantenuto; esso implica il riconoscimento<br />
di una duplice potestà nel Papa: quella di Protos<br />
con una speciale giurisdizione sulla Chiesa latina,<br />
identificabile con il Patriarcato d’Occidente, e<br />
quella di Sommo Pontefice, con un primato sulla<br />
comunione delle Chiese, cioè una sollecitudine<br />
nei confronti della Chiesa universale: For us<br />
Orthodox, the Pope of Elder Rome has always been<br />
the Patriarch of the West, the successor of the<br />
Apostles Peter and Paul who funded the Church of<br />
Rome, the first in honour, primus inter pares, and<br />
he who presides in Charity, and it is only logical<br />
that upon this title, within the framework of the<br />
ancient pentarchy […] of the first millennium that<br />
we can build the reunification of One Undivided<br />
Church (6).<br />
Credo che queste parole, così autorevoli<br />
per la fonte e per il destinatario, esprimano<br />
meglio di ogni altra considerazione una delle<br />
linee su cui muovere il dialogo fruttuoso con<br />
l’Ortodossia (7).<br />
Assenza di un disegno unitario nell’organizzazione<br />
ultra metropolitana della Chiesa<br />
Le norme costituzionali che regolavano la<br />
15
16<br />
vita della Chiesa, ed in specie l’organizzazione<br />
ecclesiastica del primo millennio, anche riconosciute<br />
definitivamente dal Concilio di Nicea II, del<br />
787, non sono il frutto di una elaborazione di un<br />
legislatore sovrano o di un’assemblea costituente<br />
e promulgate in un determinato momento<br />
storico, esse sono invece frutto di una prassi che<br />
si stava consolidando, prassi accettata e sancita<br />
nel prosieguo del tempo da canoni dei concili<br />
ecumenici, o anche particolari e da leggi imperiali.<br />
Queste norme, spesso, costituiscono la<br />
soluzione di specifiche fattispecie date da sinodi<br />
particolari o sono risposte di alcuni Padri della<br />
Chiesa, recepite poi in altre Chiese locali con atti<br />
di comunione ecclesiastica.<br />
Esempio tipico dell’accettazione di una<br />
prassi instaurata è il can. 6 del Concilio di Nicea<br />
I, del 325, in cui si <strong>dic</strong>e: Antiqua consuetudo servetur<br />
per Aegyptum, Lybiam et Pentapolim ita ut<br />
Alexandrinus episcopus horum omnium habeat<br />
potestatem, quia et urbis Romae episcopo parilis<br />
mos est. Similiter autem et apud Antiochiam ceterasque<br />
provincias sua privilegia serventur ecclesiis.<br />
I Padri a Nicea prendono atto, quindi, che<br />
alcune Chiese avevano goduto sin dall’età subapostolica<br />
di un prestigio particolare, sia a causa<br />
della loro origine apostolica, sia a causa della<br />
fama e santità di uno dei loro vescovi, sia per<br />
importanza civile della città (8).<br />
Il vescovo di Alessandria si vede riconfermato<br />
un potere eccezionale (εξουσια) non su una<br />
provincia come ogni metropolita, bensì su più<br />
province e su più metropoliti (9); egli è paragonato<br />
al vescovo di Roma, è a lui parilis, in quanto<br />
dalle fonti si rileva che ha una giurisdizione,<br />
in quel periodo sub-apostolico sulle dieci province<br />
civili della diocesi dell’Italia suburbicaria (10);<br />
non è invece precisato il potere sopra-episcopale<br />
riconosciuto al vescovo di Antiochia (11) ed<br />
anche questo è a riprova del prendere atto e sanzionare<br />
di situazioni giuri<strong>dic</strong>he preesistenti il cui<br />
contenuto è noto e perciò non precisato.<br />
Queste sedi con Roma, come poi quelle di<br />
Costantinopoli e di Gerusalemme, prenderanno il<br />
titolo di sedi patriarcali.<br />
L’esistenza di una differenza di poteri tra<br />
i vescovi di Alessandria e quello di Antiochia con<br />
conseguente presa d’atto, senza in<strong>dic</strong>azione di<br />
causa, risulta dai deliberati del Concilio di<br />
Costantinopoli I, del 381, dove, anche qui, il can.<br />
2 stabilisce: Qui sunt super diocesim episcopi,<br />
nequaquam ad ecclesias quae sunt extra terminos<br />
sibi praefixos, accedant nec eas hac praesumptione<br />
confundant. Sed iuxta canones Alexandrinus antistes<br />
quae sunt in Aegypto regat solummodo. Et<br />
Orientis episcopi Orientem tantum gubernent servatis<br />
privilegiis, quae nicaenis canonibus ecclesiae<br />
Antiochenae tributa sunt. Mentre il vescovo di<br />
Alessandria si vede riconfermato il suo potere su<br />
tutta la diocesi civile d’Egitto, nella diocesi civile<br />
d’Oriente è il sinodo dei vescovi che ha la supremazia,<br />
salvi quei poteri, ancora una volta non<br />
menzionati, che il concilio di Nicea aveva riconosciuto<br />
al vescovo di Antiochia (12).<br />
La mancanza di un disegno giuri<strong>dic</strong>o unitario<br />
è del tutto evidente. Lo stesso accordo tra il<br />
vescovo di Antiochia e quello di Gerusalemme,<br />
ratificato dal Concilio di Calcedonia del 451, con<br />
il quale si riconosce una giurisdizione ultrametropolitana<br />
anche a Gerusalemme sulle tre<br />
Palestine, istituisce una quinta giurisdizione<br />
patriarcale per soddisfare un desiderio di una<br />
persona, Giovenale di Gerusalemme (13), o di<br />
una Chiesa locale, quella gerosolimitana, non è<br />
fatto per razionalizzare con una ripartizione<br />
equilibrata l’organizzazione ecclesiastica regionale.<br />
Il fondamento delle speciali prerogative primaziali<br />
ed estensione territoriale<br />
Quanto all’affermazione contenuta nel<br />
Documento del Pontificio Consiglio per la<br />
Promozione dell’Unità dei Cristiani secondo cui<br />
gli antichi Patriarcati d’Oriente, fissati dai Concili<br />
di Costantinopoli (381) e di Calcedonia (451),<br />
erano relativi ad un territorio abbastanza chiaramente<br />
circoscritto, allorché il territorio della Sede<br />
del vescovo di Roma rimaneva vago, mi pare che le<br />
fonti parlino espressamente sì di giurisdizione in<br />
determinati territori, ma prevedono interventi<br />
primaziali al di là di quei territori specifici.<br />
La giustificazione e legittimità delle speciali<br />
prerogative esercitate dal patriarca di<br />
Costantinopoli (14) traggono fondamento nel<br />
can. 28 del concilio di Calcedonia, del 451, e nel<br />
can. 36 del concilio in Trullo, del 691, dove anche<br />
si ribadisce il primato di onore a quella sede,<br />
seconda solo all’antica Roma; lì si affermava che<br />
spettava al vescovo primate di ogni diocesi civile<br />
dell’Impero consacrare (e quindi controllarne la<br />
nomina) i vescovi di quella diocesi e che al vescovo<br />
di Costantinopoli spettava ordinare i vescovi<br />
del Ponto, Asia e Tracia e quelli dei paesi fuori i<br />
confini dell’Impero (Paesi barbari) vicini (15).<br />
Stando alla situazione politico-geografica<br />
del V secolo si può ritenere che i Paesi barbari<br />
fossero quelli limitrofi all’Impero Romano<br />
d’Oriente, cioè i territori orientali balcanici e<br />
quelli della odierna pianura russa e delle sponde<br />
del mar Nero fino al Caucaso; territori non<br />
“chiaramente circoscritti” (16).<br />
Analogamente i vescovi della<br />
Mesopotamia e della Persia venivano ordinati<br />
all’inizio (17) dal patriarca viciniore, quello di<br />
Antiochia, e sempre fin dai primi tempi il metropolita<br />
di Etiopia veniva ordinato dal patriarca di<br />
Alessandria (18).
Quanto al fondamento ecclesiologico<br />
delle speciali prerogative riconosciute ad alcuni<br />
vescovi va detto che per gli orientali esse derivavano<br />
da decisioni conciliari che prendevano atto<br />
di situazioni esistenti determinate da fattori politici<br />
e sociali. Per la Chiesa di Roma il Decretum<br />
Gelasianum (19) oltre a riven<strong>dic</strong>are il collegamento<br />
speciale tra il vescovo di Roma e Pietro<br />
precisa che anche gli speciali privilegi di<br />
Alessandria ed Antiochia hanno fondamento nell’essere<br />
tutte e tre sedi petrine, nella prima ha<br />
pre<strong>dic</strong>ato Marco, inviato di Pietro, nella seconda<br />
ha pre<strong>dic</strong>ato lo stesso Pietro prima di venire a<br />
Roma dove ha subito il martirio; Gerusalemme<br />
dove ha pre<strong>dic</strong>ato ed è stato crocifisso il Cristo<br />
non sembra riscuotere speciale valore, secondo<br />
questa tesi romana.<br />
L’esercizio delle prerogative primaziali del<br />
vescovo di Roma in Occidente: limiti di<br />
modalità e di tempi<br />
Credo che una cosa sia da chiarire subito,<br />
quando noi oggi parliamo di speciali prerogative<br />
primaziali di alcuni vescovi rispetto ad altri<br />
vescovi e ad altre Chiese, non dobbiamo aver<br />
presente i caratteri tipici della giurisdizione<br />
ultrametropolitana o metropolitana classica del<br />
diritto canonico occidentale.<br />
Una antica e tradizionale prerogativa,<br />
ribadita da concili ecumenici e particolari, è quella<br />
di consacrare i vescovi metropoliti soggetti,<br />
controllandone così la nomina, ma poteva anche<br />
essere quella di conferire loro la communio ecclesiastica<br />
tramite lettere di comunione. Il vescovo<br />
di Roma consacrava di norma i vescovi dell’Italia<br />
centro meridionale (20), si limitava a riconoscere<br />
i vescovi di Arles in Gallia e di Tessalonica in<br />
Macedonia (21) e con lettere di comunione li<br />
nominava anche suoi vicari per quei territori.<br />
Limitatissima era poi l’influenza che la<br />
sede di Roma attuava in Africa dove un vero primato<br />
era esercitato dalla sede di Cartagine fino<br />
all’invasione dei Vandali del 455 (22).<br />
L’affermazione del potere primaziale,<br />
ultrametropolitano, in Occidente sarà realizzato<br />
per tappe; nel 445 l’Imperatore d’Occidente<br />
“emana un editto con il quale riconosce pienamente<br />
il primato giurisdizionale del papa in<br />
Occidente con la seguente formula: “nulla deve<br />
essere fatto contro o senza l’autorità della Chiesa<br />
romana” (23). Sarà solo dopo il 742 che papa<br />
Bonifacio imporrà a tutti i vescovi dell’Occidente<br />
di ricevere il pallium da Roma, quale segno di<br />
soggezione alla sede romana (24).<br />
Roma esercita anche il suo ruolo ultrametropolitano<br />
sempre in Occidente patrocinando<br />
e favorendo l’attività missionaria nei popoli del<br />
Nord-Europa: Irlandesi e Anglosassoni (25) e in<br />
seguito a cavallo tra il I e II millennio presso<br />
Magiari, Polacchi e alcuni Slavi. Nello stesso<br />
periodo si assiste ad una frantumazione normativa<br />
e di governo nei nuovi regni che si vengono<br />
formando in Europa (26).<br />
Tutto questo territorio viene considerato<br />
l’Occidente, il patriarcato del vescovo di Roma,<br />
caratterizzato da un riferimento alla tradizione<br />
rituale, giuri<strong>dic</strong>a, culturale e linguistica latina.<br />
Ulteriore espansione territoriale della giurisdizione<br />
patriarcale bizantina<br />
Il processo di accentramento, operato da<br />
Costantinopoli già dal IX secolo e della progressiva<br />
estensione delle sue prerogative anche sugli<br />
altri patriarcati (27), dilaniati da scismi ed eresie<br />
e soggetti a dominazione araba, ha determinato<br />
l’interpretazione estensiva dei poteri del patriarcato<br />
costantinopolitano in tutti i territori posti<br />
fuori dei confini dell’Impero bizantino per tutelare<br />
e provvedere alla cura pastorale anche di<br />
quanti, seguaci dell’ortodossia, abitanti nel<br />
patriarcato d’Occidente – il patriarcato del Papa -<br />
che ormai si era irrimediabilmente staccato dagli<br />
altri quattro patriarcati orientali. Di qui la<br />
dipendenza attuale da Costantinopoli di circoscrizioni<br />
episcopali negli Stati dell’Europa occidentale.<br />
Diverso è il problema della dipendenza da<br />
Costantinopoli delle Chiese e dei vescovi di diocesi<br />
situate nelle Americhe ed in Australia; si può<br />
ritenere che esse dipendano dal Patriarca bizantino<br />
perché i fedeli appartengono alla diaspora<br />
ortodossa in Occidente (analogamente a quello<br />
che succede per i cristiani ortodossi dell’Europa<br />
occidentale), e quindi si tratterebbe di una giurisdizione<br />
personale giustificata dalla cura pastorale<br />
di fedeli della diaspora (28), oppure potrebbe<br />
essere ricond<strong>ott</strong>a alla prevista giurisdizione<br />
sui Paesi Barbari, di cui ai canoni 28 di<br />
Calcedonia e 36 del Trullano, qualificando le<br />
Americhe e l’Australia come tali; in questo caso<br />
non sarebbe una giurisdizione personale, bensì<br />
una vera e propria giurisdizione territoriale.<br />
Certo è difficile dire in base ai citati canoni<br />
chi sia il patriarca competente in ragione della<br />
vicinanza, ed è difficile dire che siamo in presenza<br />
di una concorrenza di giurisdizioni patriarcali<br />
in un medesimo territorio, sia pure vastissimo,<br />
contrad<strong>dic</strong>endo un principio classico dell’ortodossia<br />
che vuole una unica Chiesa in un unico<br />
territorio (29).<br />
Forse si potrebbe ritenere che, in base alla<br />
situazione che si è creata in virtù del potere di<br />
accentramento del patriarcato bizantino, ricordato<br />
sopra, saremmo in presenza di una giurisdizione<br />
esclusiva di Costantinopoli sui fedeli<br />
ortodossi e di Roma sui fedeli cattolici.<br />
Quanto ai limiti dei singoli patriarcati, si<br />
potrebbe sostenere che corrispondano ai limiti<br />
17
18<br />
territoriali esistenti nell’Impero Romano e che i<br />
territori al di fuori di esso non fanno parte di<br />
nessun patriarcato storico, ma seguono le tradizioni<br />
proposte (e accettate) dell’azione missionaria.<br />
Basti ricordare l’azione di Cirillo e Metodio<br />
nei confronti dei Boemi e degli altri slavi mitteleuropei,<br />
della Chiesa bizantina nei confronti dei<br />
Bulgari (30) e dei Russi, per non parlare della<br />
successiva evangelizzazione delle Americhe e<br />
dell’Australia; non credo che si possa parlare di<br />
Patriarcato d’Occidente per questi territori, ma<br />
solo di zone in cui si è sviluppata, in modo del<br />
tutto prevalente, la Chiesa cattolica latina, tramite<br />
l’azione missionaria occidentale e per il<br />
numero dei fedeli e per la volontà dei governi,<br />
specie latinoamericani di convertire i nativi alla<br />
Chiesa cattolica; le tradizioni orientali, bizantine,<br />
melkite, russe sono rimaste così solo proprie di<br />
popolazioni emigrate appartenenti a quelle tradizioni,<br />
riti e culture.<br />
La pentarchia: limiti temporali e territoriali<br />
Il termine patriarca e patriarcato sono<br />
successivi, non lo sono, invece, come ho detto<br />
sopra, le speciali prerogative attribuite ai cinque<br />
vescovi di Roma, Costantinopoli, Alessandria,<br />
Antiochia e Gerusalemme in determinati territori.<br />
Nel concilio di Calcedonia, del 451, la<br />
Chiesa viene divisa in cinque grandi circoscrizioni<br />
ultra-metropolitane, i cinque patriarcati (31):<br />
Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e<br />
Gerusalemme, cui si aggiunge la Chiesa di Cipro<br />
(32). Tutto il territorio dell’Impero romano era<br />
compreso in quelle cinque grandi circoscrizioni;<br />
la parte occidentale, su cui esercita il potere primaziale<br />
il vescovo di Roma, in quel periodo non<br />
corrisponde ormai più ai confini dell’Impero<br />
d’Occidente s<strong>ott</strong>o Diocleziano; Spagna, Gallia,<br />
Germania, Britannia e parte dell’Africa sono soggetti<br />
a domini barbarici, non per questo si ritiene<br />
che le speciali prerogative del vescovo di Roma<br />
siano venute meno in tutti quei territori che una<br />
volta facevano parte dell’Impero. Una riprova di<br />
ciò sta nel fatto che quando, nel 379, le diocesi<br />
civili di Macedonia e di Dacia che facevano parte<br />
della Prefettura dell’Illirico e quindi dell’Impero<br />
d’Occidente, furono unite all’Impero d’Oriente, i<br />
papi per salvaguardare le loro speciali prerogative<br />
su vescovi di quelle regioni, conferiscono al<br />
vescovo di Tessalonica, una potestà vicaria (33).<br />
Ho detto che il titolo di patriarca viene<br />
assunto dai cinque vescovi in quegli anni, senza<br />
una deliberazione ad hoc, ma come titolo corrispondente<br />
allo speciale ruolo ricoperto.<br />
Quello che merita rilevare è che agli inizi<br />
quando si parla di Chiesa di Roma, di Chiesa di<br />
Costantinopoli, di Chiesa di Alessandria, di<br />
Chiesa di Gerusalemme non si intende riferirsi<br />
alle circoscrizioni territoriali s<strong>ott</strong>oposte alle succitate<br />
Chiese, ma alla Chiesa particolare dove<br />
risiede il vescovo-patriarca, considerata Chiesa<br />
madre. Nel IV e V secolo il patriarcato può essere<br />
considerato come “unione” di Chiese locali o<br />
regionali raggruppate intorno ad una Chiesamadre<br />
ed unite da un vinculum communionis tra<br />
loro e soggette alle speciali prerogative del<br />
patriarca.<br />
Attraverso lo sviluppo della teoria della<br />
pentarchia si giungerà ad un grado di astrazione<br />
che permetterà di individuare nella Chiesa<br />
patriarcale non più la Chiesa madre dove risiede<br />
il vescovo-patriarca, bensì una unità organica<br />
composta di più Chiese locali s<strong>ott</strong>o l’autorità<br />
gerarchica di un prelato: il Patriarca; la conseguenza<br />
sarà che il fulcro della vita ecclesiale si<br />
sposterà dalle Chiese locali e dalle Chiese metropolitane<br />
al patriarcato (34).<br />
Il concilio di Costantinopoli, dell’869-<br />
870, VIII ecumenico per la Chiesa di Roma, segna<br />
l’apice della concezione confederale, pentarchica,<br />
della Chiesa; da tutto il contesto si deduce che il<br />
vescovo di Roma ha una giurisdizione<br />
sull’Occidente; nelle sue sessioni si proclama che<br />
Dio ha fondato la sua Chiesa sui cinque patriarchi<br />
e che se anche quattro di loro dovessero errare,<br />
uno di essi rimarrà sempre a custodire il<br />
gregge di Cristo (35).<br />
Questo concilio è, però, disconosciuto<br />
dagli ortodossi. Si sostiene che fu annullato da<br />
papa Giovanni VIII (36); i canoni di questo concilio<br />
non si trovano in nessuna collezione canonica<br />
orientale e non può essere portato come<br />
documento a suffragio della pentarchia da parte<br />
ortodossa.<br />
A sostegno della pentarchia gli ortodossi<br />
pongono invece il concilio dell’879-880 tenuto<br />
anche questo a Costantinopoli, un concilio che<br />
riabilita Fozio e disconosce il precedente sinodo;<br />
dai canoni si ricava il principio della pentarchia e<br />
l’affermazione della reciproca parità tra Roma e<br />
Costantinopoli in relazione alla potestà coercitiva.<br />
In realtà il canone I è un punto di partenza<br />
per superare la concezione pentarchica. I contraenti<br />
sono solo Roma e Costantinopoli; il rappresentante<br />
di Gerusalemme plaude all’intesa<br />
raggiunta; quello di Alessandria compare solo<br />
alla firma degli atti conciliari; il rappresentante<br />
di Antiochia esprime il suo parere favorevole a<br />
che contro chiunque chierico o laico trovato<br />
intento a separare se stesso dalla Chiesa di Dio<br />
sia punito da Fozio, detentore del pieno potere di<br />
legare e sciogliere (37).<br />
Un concilio che si proclama ecumenico<br />
(38) avrebbe legiferato in modo diverso se la<br />
potestà dei cinque patriarchi fosse stata considerata<br />
eguale e, visto, che il canone si chiude con la
salvaguardia degli speciali privilegi della sede<br />
romana avrebbe potuto accennare, a maggior<br />
ragione, ai diritti delle altre Chiese patriarcali.<br />
Se il concilio di Costantinopoli dell’869-<br />
870, antifoziano, ma, come ho detto, non riconosciuto<br />
dagli ortodossi, dette un’indubbia<br />
prova dell’esercizio del primato pontificio in<br />
Oriente con l’<strong>ott</strong>enere la piena sconfessione dell’operato<br />
di Fozio e con la ratifica di molte disposizioni<br />
relative alla nomina di patriarchi e<br />
vescovi, fino ad allora non osservate nella Chiesa<br />
bizantina (39), il concilio dell’879-880 segna,<br />
invece, il trionfo di Fozio, non solo per la sua<br />
piena reintegrazione, ma anche per la completa<br />
invalidazione del concilio precedente e la cassazione<br />
dei canoni disciplinari di quello.<br />
Questo concilio fu approvato dagli inviati<br />
di Papa Giovanni VIII e benché non ecumenico,<br />
riscuote grande autorevolezza presso gli ortodossi<br />
che in esso vedono una conferma della sede<br />
romana alla pentarchia (40).<br />
Approfittando del momento favorevole<br />
(41) l’abile patriarca costantinopolitano si equipara,<br />
quasi, al vescovo di Roma, le sue decisioni<br />
disciplinari sono valide come quelle del romano<br />
pontefice e l’uno e l’altro si impegnano a recepirle.<br />
Se consideriamo la situazione politica di<br />
quegli anni il primato di Costantinopoli appare<br />
ben giustificato. Gli arabi hanno conquistato i<br />
territori degli altri patriarcati, quelle antiche sedi<br />
sono in piena decadenza e per gli scismi che le<br />
hanno dilaniate, e, ora, per la dominazione intollerante<br />
ed ostile dei conquistatori mussulmani.<br />
Solo Costantinopoli vive, legata alle fortune<br />
dell’Impero d’Oriente; essa si identifica sempre<br />
più con quello e vuole estendere la sua giurisdizione<br />
fino là dove si estende la sovranità imperiale,<br />
anche nei territori d’Occidente; in Oriente,<br />
poi, come l’imperatore, si considera rappresentante<br />
e portatore di interessi di tutte le popolazioni<br />
cristiane e territori caduti in mano agli<br />
infedeli.<br />
La pentarchia così delineata alla metà del<br />
I millennio si presenta ben presto come una<br />
costruzione debole, essenzialmente per tre motivi<br />
che la minano dalle fondamenta. Alla fine del<br />
I millennio resterà solo un fatto storico, un dato<br />
ecclesiale che esprimerà una realizzazione ormai<br />
al tramonto. Il primo motivo negativo risiede del<br />
programma del vescovo di Roma di voler esercitare<br />
un primato su tutti i vescovi, compresi i<br />
patriarcati orientali, ratione primatus Petri (42); il<br />
secondo motivo di debolezza è dato dalla costituzione<br />
di gerarchie ecclesiastiche eretiche monofisite<br />
contrapposte a quelle melkite (ortodosse e<br />
filo imperiali) nei patriarcati di Alessandria e di<br />
Antiochia, gerarchie che tuttavia riscuotevano il<br />
consenso di gran parte dei fedeli cristiani (43),<br />
terzo fattore che ne ha sanzionato la fine va<br />
visto nella occupazione, secoli VIII e IX, dei territori<br />
dei patriarcati di Alessandria e di Antiochia<br />
da parte dell’islam e la contemporanea politica di<br />
accentramento di Costantinopoli su tutte le<br />
Chiese orientali (44).<br />
Realtà storica e normativa attuale, come<br />
punti di riferimento per il ristabilimento<br />
della piena comunione con le Chiese ortodosse.<br />
Un punto fermo del dialogo ecumenico è<br />
che il vescovo di Roma come Patriarca<br />
d’Occidente ha speciali funzioni, diritti, prerogative<br />
nell’ambito della Chiesa latina, ha una giurisdizione<br />
ultrametropolitana assimilabile negli<br />
aspetti fondamentali per origine e contenuto a<br />
quella degli altri patriarchi nel primo millennio;<br />
diversamente come successore di Pietro, come<br />
colui che presiede nella carità, ha un primato<br />
universale (45) che può essere meglio specificato,<br />
quanto all’esercizio, in successive precisazioni<br />
che tengano conto dell’ecclesiologia del primo<br />
millennio nonché delle tesi di teologi cattolici<br />
(46) ed ortodossi (47).<br />
A tal proposito cito quanto scrive<br />
Joannou (48): Nous y voyons persister, au IX e siècle,<br />
la tradition antique de l’église qui voyait dans<br />
l’évêque de Rome la garantie d’infaillibilité des<br />
conciles œcuméniques, le juge suprême de la foi à<br />
cause du pouvoir des clefs confié par le Christ à<br />
Pierre, et le lien d’unité entre les églises chrétiennes.<br />
La duplice codificazione canonica una per<br />
la Chiesa latina ed una per le Chiese orientali e la<br />
stessa costituzione Pastor Bonus regolatrice delle<br />
competenze di Congregazioni ed Uffici della<br />
Curia Romana in cui si in<strong>dic</strong>ano le competenze<br />
della Congregazione per le Chiese Orientali (49)<br />
che assorbono anche quelle di altri <strong>dic</strong>asteri competenti<br />
su questioni della Chiesa latina, mostrano<br />
la volontà di regolare al vertice in modo differente<br />
quanto attiene alla Chiesa latina, patriarcato<br />
d’Occidente, da quanto attiene alle Chiese<br />
d’Oriente.<br />
Ho detto, mostrano la volontà di regolare<br />
in modo differente, giacché la normativa<br />
avrebbe potuto essere molto più incisiva.<br />
Il Decreto del Concilio Vaticano II<br />
Orientaliun Ecclesiarum stabilisce che sono riconosciuti<br />
e confermati i diritti e i privilegi dei<br />
patriarchi affermando che “i patriarchi e i loro<br />
sinodi costituiscono le supreme istanze di quelle<br />
Chiese” ed esprime la volontà di ripristinarli<br />
secondo le antiche tradizioni di ogni Chiesa e<br />
secondo i decreti dei concili ecumenici, questi<br />
diritti e privilegi debbono essere quelli vigenti al<br />
tempo dell’unione tra Oriente ed Occidente, adattati<br />
alle odierne esigenze (50).<br />
19
20<br />
Stando alla lettera la nuova codificazione<br />
orientale con la distinzione tra Chiese patriarcali,<br />
Chiese arcivescovili maggiori, Chiese metropolitane<br />
e altre Chiese sui iuris è stato riconosciuto<br />
un largo autogoverno alle Chiese patriarcali,<br />
mentre si è previsto un intervento progressivamente<br />
più accentuato sulle altre tre tipologie di<br />
Chiese, specie per la nomina dei vescovi. Forse lo<br />
spirito della norma conciliare dava la possibilità<br />
di una maggiore autonomia per le Chiese<br />
d’Oriente e l’introduzione della nuova figura<br />
giuri<strong>dic</strong>a di Chiesa arcivescovile maggiore non ha<br />
ampliato molto l’autonomia riconosciuta alle<br />
Chiese metropolitane (51). La competenza della<br />
Congregazione per le Chiese Orientali incontra<br />
dei limiti al §2 dello stesso art. 58 per la riconfermata<br />
esclusività della competenza di altri<br />
<strong>dic</strong>asteri ed uffici della Curia Romana, in alcuni<br />
casi (ad es. dispensa dal matrimonio rato e non<br />
consumato) a mio sommesso giudizio non<br />
necessaria.<br />
Altro punto su cui occorre riflettere è l’aver<br />
deciso di mantenere per i patriarchi orientali<br />
in comunione con la <strong>San</strong>ta Sede (52) una potestà<br />
più limitata sui fedeli residenti in eparchie al di<br />
fuori dei patriarcati (53), volendo ribadire che la<br />
loro giurisdizione è al tempo stesso personale sui<br />
fedeli della propria Chiesa rituale, ma piena solo<br />
su quelli residenti nel tradizionale territorio<br />
patriarcale.<br />
Credo che la valutazione corretta della<br />
realtà storico-giuri<strong>dic</strong>o del primo millennio, di<br />
cui ho evidenziato alcuni aspetti salienti ed alcune<br />
considerazioni cattoliche ed ortodosse, in<strong>dic</strong>hino<br />
le linee su cui muovere il dialogo fruttuoso<br />
con l’Ortodossia (54).<br />
Note<br />
1. Comunicato del P. Consiglio per la Promozione dell’Unità dei<br />
Cristiani, del 22 marzo 2006, www.olir.it.<br />
2. In cui tra l’altro si esprimono riserve sul il mantenimento per<br />
il Papa dei titoli di Vicario di Cristo e di Sommo Pontefice della<br />
Chiesa universale. Letter of Greek Orthodox Archbishop,<br />
www.ecclesia.gr e Announcement Holy and Sacred Synod<br />
Ecumenical Patriarchate, www.ec-patr.gr ; sull’argomento si<br />
segnala LORUSSO, L., Reazioni ortodosse circa la rinuncia del Papa<br />
di Roma Benedetto XVI al titolo di “Patriarca di Occidente”, in O<br />
Odigos, n. 2 del 2006, p. 11 s.<br />
3. Basti vedere ad es. il volume PARLATO,V., L’ ufficio patriarcale<br />
nelle chiese orientali dal IV al X secolo. Contributo allo studio della<br />
‘communio’, Padova, 1969, in cui si ricordano i periodi più o<br />
meno lunghi di mancanza di comunione tra Roma e<br />
Costantinopoli.<br />
4. “The unity of Church cannot be conceived as a sum of culturally<br />
distinct Churches, but as a unity local, namely geographically<br />
determined, Churches. The removal of the title ‘Patriarch of the<br />
West’ must not lead to the absorption of the clearly distinct geographical<br />
ecclesiastical ‘juris<strong>dic</strong>tions’ by a ‘universal’ Church, consisting<br />
of Churches which are distinguished on the basis of either<br />
‘culture’ or ‘confession’ or ‘rite’”.<br />
5. I titoli di Vicario di Cristo e di Sommo Pontefice della Chiesa<br />
universale creano invece serie difficoltà per il dialogo ecumenico<br />
in quanto sono percepiti “as implyng a uniniversal juris<strong>dic</strong>tion of<br />
the bishop of Rome over the entire Church, which is something the<br />
Orthodox have never accepted”.<br />
6. Lettera dell’Arcivescovo di Atene, Christodoulos, del 17 marzo<br />
2006, inviata a Papa Benedetto XVI.<br />
7. Sui problemi attuali dell’ecumenismo con le Chiese Ortodosse<br />
rinvio al volume V. PARLATO, Le Chiese d’Oriente tra storia e diritto,<br />
Saggi, Torino, 2003, in special modo al capitolo IV, titolo I,<br />
Principi dell’ecumenismo cattolico e titolo II, Le Chiese orientali<br />
cattoliche e la problematica ecumenica con le Chiese ortodosse.<br />
8. PARLATO,V., L’ufficio cit., p. 11-12 e bibl. ivi cit.<br />
9. Oltre ad ordinare tutti i vescovi e metropoliti il vescovo di<br />
Alessandria interviene a difesa dell’ortodossia convocando sinodi,<br />
inviando lettere, deponendo anche vescovi, risolvendo controversie,<br />
promulgando norme per tutti quei territori,<br />
PARLATO,V., L’ufficio cit., p. 13, nota 12. La comparazione con i<br />
poteri del vescovo di Roma va intesa naturalmente per quel che<br />
concerne i poteri sopra-episcopali, cfr. sul punto PARLATO,V.,<br />
L’ufficio cit., p. 13, nota 11.<br />
10. Tuscia-Umbria, Campania, Lucania-Bruttium, Apulia-<br />
Calabria, <strong>San</strong>nio, Piceno, Valeria, Sicilia, Sardegna e Corsica, cfr.<br />
VOGEL, C., Unité de l’Eglise et pluralité des formes historiques d’organisation<br />
ecclésiastique du III au V siècle, in L’Episcopat et l’Eglise<br />
universelle, Paris, 1962, p. 629.<br />
11. Antiochia era considerata la principale metropoli ecclesiastica<br />
dell’Oriente. Il vescovo antiocheno già nel 252 presiede i concili<br />
regionali; cfr. PARLATO,V., L’ufficio cit., p. 13, nota 13.<br />
12. PARLATO,V., L’ufficio cit., p. 14-15 e bibl. ivi citata.<br />
13. PARLATO,V., L’ufficio cit., p. 17 ; si legge in MANSI, VIII, 177 s.,<br />
”Maximus reverendissimus episcopus Antiochiae Syriae dixit.<br />
Placuit mihi reverend. Episcopo Juvenali, propter multam contentionem<br />
per consensum ut sedes quidem Antiochensiun maxime civitatis<br />
beati Petri habeat duas Phoenicias et Arabiam, sedes autem<br />
Hierosolimorum habeat tres Palestinas. Et rogamus ex decreto vestrae<br />
magnificentiae et sancti concilii, haec scripto firmari”.<br />
14. Sulle prerogative di Costantinopoli cfr. VOGEL, C., Unité de<br />
l’Eglise et pluralité des formes historiques d’organisation cit., p.<br />
620 s. e JOANNOU, P.P., Pape et patriarches dans la législation canonique,<br />
in Les canons des synodes Particuliers (Pontificia commissione<br />
per la redazione del co<strong>dic</strong>e di diritto canonico orienentale,<br />
Fonti, Discipline générale antique, IV-X s., t. I,2) Gr<strong>ott</strong>aferrata,<br />
1962, p. 541 s.<br />
15. A tal proposito il canone recita: “et ut Ponticam et Asiam et<br />
Thraciam gubernationem habeant etiam qui in barbaricis sunt episcopi<br />
a sede suprascripta [Costantinopoli] paroecias eis ordinentur”.<br />
Su questo cfr. JOANNOU, P.P., op. cit., p. 546 dove si <strong>dic</strong>e:<br />
«Quant aux mission en territoires sis hors des limites de l’empire, le<br />
droit consétudinaire établi attribuait au chef de claque diocèse<br />
[civile] la juri<strong>dic</strong>tion sur les peuples habitant les terres limitrophes<br />
à son territoire: c’est ainsi que p. ex. la Mésopotamie, la Perse<br />
dépendaient d’Antioche; suivant cette pratique le siège de CP se voit<br />
attribuer la juris<strong>dic</strong>tion de métropolitain sur les évêchés ‘des barbares’<br />
,limitrophes de Trace et du Pont».<br />
16. Si tenga presente che dal 374 il Catholicos di Armenia negò<br />
la propria soggezione all’esarca di Cesarea, uno dei tre esarcati<br />
su cui si sovrapponeva la giurisdizione patriarcale di<br />
Costantinopoli. COUSSA, G. A., Epitome praelectionum de iure ecclesiastico<br />
orientali, I, Gr<strong>ott</strong>aferrata, 1948, p. 198.<br />
17. COUSSA, G. A., Epitome cit., p. 189.<br />
18. COUSSA, G. A., Epitome cit., p. 173-174. La consacrazione del<br />
metropolita per l’Etiopia (chiesa monofisita) da parte del<br />
patriarca copto di Alessandria si è protratta fino al XX secolo. Il<br />
primo vescovo di Auxum, Frumenzio, fu consacrato vescovo<br />
pochi anni prima del Concilio di Nicea, del 325, da Atanasio di<br />
Alessandria (Cfr. La Chiesa d’Etiopia, a cura del Centro Studi e<br />
Documentazione del Centro Volontari Marchigiani, Ancona<br />
1984, p. 20) e dopo Frumenzio i vescovi etiopi erano sempre di<br />
nazionalità egiziana e consacrati dal vescovo di Alessandria, con<br />
riferimento a normative particolari anche ricompresse nel Feta<br />
Negist (p. 26); solo nel 1948 dopo lunghe trattative il Patriarca<br />
copto di Alessandria accettò che l’indipendenza della Chiesa etiope<br />
con successiva nomina di un proprio patriarca (p. 52).<br />
19. Documento composito di oscure origini rispecchiava la<br />
visione della curia papale secondo cui non dai concili, ma dallo<br />
stesso Cristo Pietro e i suoi successori avevano ricevuto il primato<br />
con la frase evangelica “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò<br />
la mia Chiesa”, Cfr. anche MEYENDORFF, J., Lo scisma tra<br />
Roma e Costantinopoli, a cura di A. RIGO, Comunità di Bose,<br />
Magnano, 2005, p. 17.<br />
20. VOGEL, C., Unité de l’Eglise et pluralité des formes historiques<br />
d’organisation cit., p. 629.
21. Cfr. PARLATO, V., Il vicariato di Tessalonica (IV-VII sec.), in Studi<br />
in memoria di Pietro Gismondi, vol. II, 2, Milano, 1991, p. 98-<br />
112, in cui il pontefice investe di poteri vicariali vescovi di<br />
Tessalonica e di Arles già nominati (p. 100-101), cfr. anche<br />
VOGEL, C., Unité de l’Eglise et pluralité des formes historiques d’organisation<br />
cit., p. 630 e 632.<br />
22. Cfr. anche VOGEL, C., Unité de l’Eglise et pluralité des formes<br />
historiques d’organisation cit., p. 630-631.<br />
23. ULLMANN,W., Il papato nel Medioevo, Roma-Bari, 1987, p. 26,<br />
citato da FANTAPPIÈ, C., Introduzione storica al diritto<br />
canonico,Bologna, 1999, p. 64.<br />
24. MEYENDORFF, J., Lo scisma tra Roma e Costantinopoli cit., p.<br />
28-29.<br />
25. FANTAPPIÈ, C., Introduzione storica al diritto canonico cit., p. 71 s.<br />
26. IBIDEM, p. 67 s.<br />
27. Sul potere di accentramento del patriarcato di<br />
Costantinopoli cfr. PARLATO,V., Le Chiese d’Oriente tra storia e<br />
diritto cit., p. 13-20; DARROUZÈS, J., Documents inédits<br />
d’Ecclesiologie byzantine, Paris, 1966, p. 78.<br />
28. A suffragio della qualificazione di giurisdizione eccezionale<br />
e personale, che si può portare quanto affermato da un canonista<br />
ortodosso (THEDOROU, E. T., Gli uniati ostacolo per l’unità,<br />
trad. italiana, in Oriente Cristiano, n. 2-3, 1992, pp. 37-38)<br />
secondo il quale “si richiede un’attenzione ed un tatto particolare<br />
nel regolare i rapporti tra Chiese di confessioni diverse, che<br />
non sono dal punto di vista numerico ugualmente rappresentate<br />
nello stesso ambito geografico. La Chiesa ufficiale o dominante<br />
deve evidentemente rispettare la libertà di coscienza dei<br />
membri delle minoranze, ma queste, in quanto credono sul serio<br />
che la Chiesa ufficiale o dominante ha le caratteristiche di vera<br />
Chiesa e può assicurare le condizioni della salvezza e la possibilità<br />
di appropriarsi dell’opera redentrice del Signore dovrebbero<br />
manifestare la sincerità del loro spirito ecumenico non solo evitando<br />
qualsiasi attività di proselitismo, diretta o indiretta, ma<br />
anche auto limitarsi al minimo indispensabile per la soddisfazione<br />
delle esigenze dei propri membri nella loro situazione particolare<br />
e lasciando via libera alla Chiesa ufficiale o dominante”.<br />
In altre parole si chiede che nei territori in cui la religione ortodossa<br />
è la religione di stato o della maggioranza della popolazione<br />
e come tale abbia una situazione particolare anche nell’ambito<br />
civile, quale è la Chiesa in Grecia considerata dallo stato<br />
greco come religione dominante, i fedeli delle altre confessioni,<br />
cioè i fedeli della Chiesa cattolica o quelli delle antiche Chiese<br />
orientali, Chiese tutte che riconoscono la Chiesa ortodossa come<br />
Chiesa sorella e strumento di grazia divina, godano di una libertà<br />
religiosa minima, vicina ad un regime di tolleranza, al fine di<br />
non ostacolare le attività della Chiesa dominante. Uguale situazione<br />
dovrebbe valere in occidente per gli ortodossi, che sono<br />
un’esigua minoranza tra i cattolici e i protestanti. Bisogna riconoscere<br />
che, per più ragioni, gli ortodossi in occidente non fanno<br />
opera di proselitismo e si limitano alla cura spirituale dei propri<br />
fedeli.<br />
29. Cfr. anche quanto affermato in CARPIFAVE, A., Conversazioni<br />
con Alessio II, patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Milano,2003,<br />
p. 213.<br />
30. Sulla volontà della Chiesa di Roma di <strong>ott</strong>enere la giurisdizione<br />
ultrametropolitana sulla Bulgaria, cfr. DVORNIK, F., Byzance<br />
et la primauté romaine, Paris, 1964, p. 137 s. e 147 s.<br />
31. Per una diversa valutazione della pentarchia cfr. anche<br />
ZANCHINI DI CASTIGLIONCHIO, F., Riflessioni sulla collegialità episcopale<br />
nel sistema della pentarchia, in Studi in onore di P. A. D’Avack,<br />
vol. III Milano, 1977, p. 1043 s.<br />
32. La cui autocefalia venne giustificata dal fatto che quella<br />
Chiesa fosse stata fondata dall’apostolo Barnaba nel IV secolo<br />
Cfr. PALMIERI, A., Chypre (Eglise de) in Dictionnaire de Théologie<br />
catholique, II,2, Paris, 1923, 2424-2472.<br />
33. Cfr. PARLATO, V., Il vicariato di Tessalonica (IV - VII sec.) cit., p.<br />
98-112 e bibliografia ivi citata; DVORNIK, C., Byzance et la primauté<br />
romaine cit., p. 31.<br />
34. In Oriente si sostenne che il potere supremo nella Chiesa<br />
spettasse ai cinque patriarchi. “Cette idée – scriveva DUSCESNE, L.,<br />
Autonomies ecclésiastiques, Eglises séparées, vol. I, Paris, 1906, p.<br />
167 – s’est perpétuée dans le droit byzantin; à Rome on l’acceptait<br />
dans le langage officiel, mais sens enthousiasme”.<br />
35. MANSI, op. cit., XVI, coll. 140-141; DVORNIK, F., Bizance cit.,<br />
p. 91; PARLATO, V., L’ufficio patriarcale cit., p. 176.<br />
36. Lo stesso Papa in una lettera inviata all’imperatore afferma:<br />
“sanctam Constantinopoli synodum contra eundem sanctissimum<br />
Photium definimus omnino damnatam et abrogatam esse” MANSI,J.<br />
D.,Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, Florentiae-<br />
Venetiis-Parisiis-Lipsiae,1759 s., XVII, col. 490 e Conciliorum<br />
Oecumenicorum Decreta, Bologna-Friburgi, 1962, p. 133.<br />
37. “ut qui ex Dei jussu praesit tamquam pontifex maximus”, cfr.<br />
MANSI, XVII, A, col, 499.<br />
38. Can. I: “sancta et universalis synodus” nell’edizione citata da<br />
JOANNOU, P. P., nella versione latina; in quella greca αγια και<br />
οικουμενικ συνοδοσ sancta et oecumenica Synodus, in MANSI,<br />
XVII A, col. 498.<br />
39. In particolare il divieto di elevare alla cattedra patriarcale un<br />
laico, can. IV del Concilio di Costantinopoli dell’869-870; cfr.<br />
PARLATO, V., L’ufficio patriarcale cit., p. 172 s. e bibl. ivi citata e in<br />
parte nota 164 a p. 176.<br />
40. “Agreed upon at the Council of Constantinople of 879 and<br />
signed by the Legates of Pope John VIII”, così si legge nella lettera<br />
di Christoudolos, Arcivescovo di Atene del 17 marzo 2006, inviata<br />
a Papa Benedetto XVI.<br />
41. Siamo in un periodo di splendore e potenza dell’Impero<br />
d’Oriente s<strong>ott</strong>o Basilio I, i bizantini si presentano come gli unici<br />
in grado di contrastare gli Arabi che continuavano a dominare<br />
il Mediterraneo ed a minacciare perfino Roma, la quale, vista la<br />
gravissima crisi che travagliava quello d’Occidente, dovette chiedere<br />
aiuto all’Impero d’Oriente. Questo spiega l’atteggiamento<br />
conciliante che il papato assunse allora verso Bisanzio nelle<br />
questioni ecclesiastiche. Cfr. OSTROGORSKY, G., Storia dell’Impero<br />
bizantino, Torino 1968, p. 215.<br />
42. Su questo cfr. VOGEL, C., Unité de l’Eglise et pluralité des formes<br />
historiques d’organisation ecclésiastique du III au V siècle, in<br />
L’Episcopat et l’Eglise universelle, Paris, 1962, p.632 s.<br />
43. Cfr. PARLATO,V., L’ ufficio patriarcale nelle chiese orientali dal IV<br />
al X secolo, Contributo allo studio della ‘communio’, Padova,<br />
1969, p. 26-27.<br />
44. Cfr. PARLATO,V., Le Chiese d’Oriente tra storia e diritto, Saggi<br />
cit., p. 13-20; DARROUZÈS, J., Documents inédits d’Ecclesiologie<br />
byzantine cit., p. 78. Segnalo un recente studio del metropolita<br />
di Vienna ALFEYEV, H., La nozione di ‘territorio canonico’ nella tradizione<br />
ortodossa, in O Odigos, n. 3 del 2006, p. 10-20.<br />
45. Che, per i cattolici, trova il punto più alto nel contenuto del<br />
dogma stabilito dal Concilio Vaticano I nella Costituzione Pastor<br />
aeternus.<br />
46. Cito, ad esempio, gli studi di DEJAIFVE, G. , Primauté et collegialità<br />
au premier concile di Vatican, in L’Episcopat et l’Eglise universelle<br />
cit., p. 639 s., DEWAS, W. F., “Potestas vere episcopalis” au<br />
premier concile di Vatican, in L’Episcopat et l’Eglise universelle cit.,<br />
p. 661 s. e di THILS, G., “Potestas ordinaria”, in L’Episcopat et<br />
l’Eglise universelle cit., p. 690 s. dove si esaminano i lavori conciliari<br />
e le possibili interpretazioni e da ultimo FANTAPPIÈ, C.,<br />
Introduzione storica al diritto canonico cit., p. 245-249 con fonti<br />
e bibl. ivi citata.<br />
47. Lo stesso documento del <strong>San</strong>to Sinodo, al punto 3, <strong>dic</strong>e<br />
espressamente che: “Among the ‘ancient’ Patriarchates the first<br />
place belongs to the Patriarchate of West, under the bishop of Rome,<br />
even though its communion with the Orthodox Churches has been<br />
interrupted after the Schism of 1054 AD.”<br />
48. JOANNOU, P.P., op. cit., p.550.<br />
49. Peraltro già precisate nella Costituzione Apostolica Regimini<br />
Ecclesiae Universae di Paolo VI del 1967, ai cap. 44 e 45, §1.<br />
50. Orientalium Ecclesiarum, n. 9.<br />
51. La Chiesa Ucraina fu eretta in arcivescovato maggiore di<br />
Leopoli il 23 <strong>dic</strong>embre 1963; cfr. LORUSSO, L., La chiesa Greco-<br />
Cattolica Ucraina, in O Odigos, n. 4 del 2005.<br />
52. Alessandria dei Copti, Antiochia dei Melkiti, Antiochia dei<br />
Siri, Antiochia dei Maroniti, Cilicia degli Armeni, Babilonia dei<br />
Caldei.<br />
53. In materia legislativa le leggi liturgiche entrano in vigore<br />
immediatamente in tutte le Chiese locali del rito, quelle disciplinari<br />
nelle eparchie ‘esterne’ vengono regolate in modo particolare<br />
ai sensi del canone 150 C.C.E.O.<br />
54. Sui problemi attuali dell’ecumenismo con le Chiese<br />
Ortodosse rinvio al volume V. PARLATO, Le Chiese d’Oriente tra storia<br />
e diritto, Saggi, cit., in special modo al capitolo IV, titolo I,<br />
Principi dell’ecumenismo cattolico e titolo II, Le Chiese orientali<br />
cattoliche e la problematica ecumenica con le Chiese ortodosse.<br />
21
22<br />
IL RITORNO DALLA DIASPORA?<br />
Il difficile dialogo all’interno della Chiesa Russa<br />
per cicatrizzare una dolorosa ferita.<br />
Quali risvolti per il dialogo ecumenico?<br />
Ormai il dialogo è veramente<br />
ad ampio raggio.<br />
Anche i più reticenti,<br />
coloro che sono arciconvinti di<br />
essere nella verità e di non aver<br />
bisogno del dialogo, poco a<br />
poco prendono coscienza che<br />
non si può rimanere inerti di<br />
fronte alle micidiali sfide del<br />
mondo secolarizzato, spesso<br />
portatore di valori in netto contrasto<br />
col messaggio cristiano.<br />
Dato però che sul dialogo tra i<br />
cristiani pesa un’enorme ipoteca,<br />
la difficoltà di individuare<br />
l’interlocutore rappresentativo<br />
dell’intera comunità, molti tentativi<br />
vengono frustrati.<br />
Uno degli ultimi e più<br />
interessanti contatti fra comunità<br />
cristiane è quello che da<br />
qualche anno si sta facendo<br />
strada fra la Chiesa russa del<br />
Patriarcato di Mosca e una sua<br />
“costola” separatasi a causa<br />
della Rivoluzione bolscevica<br />
(1917) e del nuovo governo<br />
sovietico ateo. Trattasi di un<br />
dialogo importante in quanto,<br />
se ha successo, verrebbe a<br />
sanare un doloroso scisma<br />
nella Chiesa russa, la cui stessa<br />
esistenza è un’accusa verso la<br />
gerarchia ortodossa di questa<br />
nazione. Il successo di questo<br />
dialogo darebbe cioè la sensazione<br />
della definitiva normalizzazione<br />
della Chiesa russa che<br />
così cancellerebbe 70 anni di<br />
“collaborazionismo” con lo<br />
Stato.<br />
Tale riconciliazione<br />
avrebbe non pochi risvolti<br />
anche sul piano pratico delle<br />
comunità parrocchiali della<br />
diaspora. La stessa chiesa russa<br />
di Bari, dopo tanti anni di dissi-<br />
di fra la Chiesa Oltre-Frontiera<br />
(che la gestiva) e il Patriarcato<br />
di Mosca (che la richiedeva), ne<br />
sarebbe beneficamente coinvolta.<br />
Le due Chiese russe, che dal<br />
2000 si spartiscono rispettivamente<br />
la parte inferiore e quella<br />
superiore dell’edificio barese,<br />
potrebbero tornare ad essere<br />
una sola Chiesa.<br />
Che cos’è la “Chiesa russa<br />
oltre-frontiera”?<br />
Con l’ultimo zar <strong>Nicola</strong><br />
II, nei primi anni del<br />
Novecento, la Russia aveva<br />
proceduto ad importanti riforme<br />
sociali, anche dal punto di<br />
vista religioso. Le aperture,<br />
però, invece di accontentare la<br />
popolazione, le diedero gli strumenti<br />
per pretendere di più. Fu<br />
così che nel 1917, mentre la<br />
Chiesa russa era riunita con<br />
vescovi e laici in un grande<br />
di Gerardo Cioffari O.P<br />
concilio che avrebbe ricostituito<br />
il Patriarcato di Mosca, per le<br />
strade i comunisti scatenavano<br />
l’inferno. Era scoppiata la<br />
cosiddetta Rivoluzione<br />
d’Ottobre, anche se (per i 13<br />
giorni di ritardo rispetto al<br />
nostro calendario) si era già al<br />
7 novembre.<br />
I Rivoluzionari, sia per<br />
la necessità di denaro che per la<br />
loro ideologia atea (che con<br />
Vladimir Lenin si ispirava a<br />
Karl Marx e a Friedrich Engels),<br />
procedettero al saccheggio delle<br />
chiese e all’uccisione di un gran<br />
numero di vescovi e sacerdoti.<br />
A differenza delle “purghe” staliniane,<br />
queste prime persecuzioni,<br />
saccheggi e distruzioni,<br />
furono filmate e di essi si conserva<br />
la documentazione anche<br />
visiva.<br />
Dopo qualche anno di<br />
proteste, poco a poco il neoeletto<br />
patriarca Tichon dovette<br />
adeguarsi alla situazione per<br />
salvare il salvabile. E mentre il<br />
clero che parteggiava per la<br />
sinistra fondava la “Chiesa<br />
vivente” ( ivaja Cerkov’), le diocesi<br />
meridionali e siberiane si<br />
staccavano dal Patriarcato per<br />
meglio l<strong>ott</strong>are contro i comunisti.<br />
Il trionfo delle forze rivoluzionarie<br />
costrinse ad emigrare<br />
parte della gerarchia ortodossa<br />
russa prima a Costantinopoli<br />
poi a Karlovcy (Serbia). Capo<br />
spirituale di questa Chiesa dell’emigrazione<br />
(Zarube naja<br />
Cerkov’, Chiesa Oltre-frontiera)<br />
divenne Antonij Chrapovickij,<br />
noto teologo di grande personalità.<br />
Nel 1921 Chrapovickij<br />
nominava l’arcivescovo di
Volynia, Evloghij, capo delle<br />
chiese russe all’estero (ad eccezione<br />
dei Balcani e dell’Asia).<br />
Ma, se Chrapovickij era convinto<br />
di potere agire liberamente,<br />
essendo capo dell’unica Chiesa<br />
russa libera (Supremo governo<br />
della Chiesa russa all’estero),<br />
non così la pensava Evloghij,<br />
che volle l’avallo di altri gerarchi.<br />
Il Patriarca Tichon gli riconobbe<br />
tale incarico fino al<br />
momento in cui saranno ristabiliti<br />
i legami regolari e senza<br />
impedimenti delle suddette chiese<br />
con Pietrogrado. Nell’autunno si<br />
accentuava la differenza fra<br />
Evloghij e Chrapovickij, non<br />
firmando il primo l’appello<br />
voluto dal secondo per un<br />
ritorno dei Romanov sul trono<br />
della Russia.<br />
Nel giugno 1922 il<br />
Patriarcato aboliva il Supremo<br />
governo ecclesiastico del<br />
Chrapovickij, mettendo tutte le<br />
chiese russe all’estero s<strong>ott</strong>o la<br />
giurisdizione di Evloghij.<br />
Questi, però, sapendo che la<br />
sua nomina era dettata da<br />
ragioni politiche, non ruppe col<br />
Chrapovickij e, nel 1927, si<br />
rifiutò di s<strong>ott</strong>oscrivere la<br />
<strong>dic</strong>hiarazione di fedeltà al<br />
governo sovietico fatta dal luogotenente<br />
patriarcale Sergij<br />
Stragorodskij. Lontano da ogni<br />
fedeltà agli zar, come pure da<br />
ogni adesione al governo sovietico,<br />
Evloghij nel 1931 decise di<br />
mettersi s<strong>ott</strong>o la giurisdizione<br />
del Patriarca di Costantinopoli.<br />
A questa giurisdizione appartiene<br />
ancora oggi il prestigioso<br />
Istituto Teologico di S. Sergio a<br />
Parigi.<br />
Intanto, la Dichiarazione<br />
di fedeltà al governo sovietico<br />
da parte della Chiesa<br />
patriarcale tolse il terreno s<strong>ott</strong>o<br />
i piedi alla Chiesa Vivente (socialista),<br />
che entrò in crisi. Ormai,<br />
era la Chiesa ufficiale a collaborare<br />
col governo.<br />
Fu proprio contro questa<br />
politica ecclesiastica che si<br />
mosse all’estero la Chiesa russa<br />
Oltre-Frontiera, che già dal<br />
1922 in Serbia si era dato un<br />
suo statuto come Chiesa sinodale<br />
all’estero. Spesso veniva<br />
in<strong>dic</strong>ata come Karlovciane, perché<br />
è dal sinodo in questa città<br />
serba che essa ebbe inizio. Nel<br />
novembre del 1922 un sinodo<br />
americano eleggeva come suo<br />
metropolita Platon, il quale per<br />
diversi anni (come Eulogio in<br />
Europa) mantenne buoni rapporti<br />
con la Chiesa Oltre-<br />
Frontiera.<br />
Nel corso degli anni<br />
ovviamente quest’ultima ebbe<br />
l’appoggio ideologico e finanziario<br />
da parte di tutte le istituzioni<br />
che avevano nei loro scopi<br />
la l<strong>ott</strong>a al comunismo. Per cui,<br />
anche dopo la morte del<br />
Chrapovickij (1936) e dopo la<br />
Seconda Guerra Mondiale la<br />
Chiesa Oltre Frontiera mantenne<br />
la sua intransigenza, al<br />
punto di sospendere la comunione<br />
con tutte le Chiese ortodosse<br />
che intrattenevano rapporti<br />
col Patriarcato di Mosca,<br />
ritenuto canonicamente illegittimo<br />
e fondamentalmente traditore<br />
della fede (in quanto collaboratore<br />
dei Senza-Dio). Le<br />
uniche Chiese con le quali<br />
intratteneva rapporti quasi<br />
normali erano quelle di Serbia,<br />
Gerusalemme e Sinai.<br />
Negli anni Sessanta la<br />
Chiesa Oltre-Frontiera instaurava<br />
una stretta collaborazione<br />
col monastero ultraconservatore<br />
della Trasfigurazione<br />
(Brookline, Massachusetts), che<br />
aveva r<strong>ott</strong>o con l’Arcidiocesi<br />
greco-ortodossa d’America, ma<br />
poi ci ripensava e se ne staccava<br />
negli anni Ottanta. Il suo<br />
centro spirituale era intanto<br />
divenuto il monastero della SS.<br />
Trinità a Jordanville (New<br />
York), ove si pubblicava (e<br />
ancora si pubblica) l’agile e<br />
interessante rivista Orthodox<br />
Life. In Europa invece il centro<br />
era Ginevra, dal cui vescovo<br />
dipendeva tra le altre la chiesa<br />
ortodossa russa di Bari.<br />
La caduta del comunismo<br />
(1985) ed il ritorno della<br />
Russia alla libertà (1989) non<br />
cambiava i rapporti di questa<br />
Chiesa col Patriarcato di Mosca,<br />
in quanto tutta la gerarchia<br />
russa era accusata di essere<br />
stata connivente col KGB (polizia<br />
segreta), e quindi qualsiasi<br />
ordinazione episcopale era considerata<br />
canonicamente invalida.<br />
Contatti fra il Patriarcato di<br />
Mosca e la Chiesa Oltre-<br />
Frontiera.<br />
Alle varie iniziative del<br />
Patriarcato di Mosca, i vescovi<br />
Oltre-Frontiera hanno risposto<br />
che prima di qualsiasi contatto<br />
la Chiesa patriarcale doveva<br />
soddisfare a quattro condizioni:<br />
1) Rigettare ufficialmente la<br />
Dichiarazione del 1927.<br />
2) Canonizzare i martiri del<br />
periodo sovietico.<br />
3) Rigettare qualsiasi partecipazione<br />
al movimento ecumenico.<br />
4) Ogni vescovo e sacerdote<br />
deve fare una pubblica penitenza<br />
per la sua appartenenza al<br />
Patriarcato.<br />
Ovviamente, pur desideroso<br />
di riconciliazione, il<br />
Patriarca Alessio II ha rigettato<br />
queste quattro condizioni (cfr.<br />
E. Komarov, Patriarch, Moskva<br />
1993, pp. 70-71). La situazione<br />
è andata così peggiorando di<br />
anno in anno, soprattutto a<br />
causa del fatto che la Chiesa<br />
Oltre-Frontiera ha intrapreso<br />
molteplici iniziative sul territorio<br />
canonico della Russia.<br />
Approfittando della libertà<br />
politica, rientrava in patria e,<br />
senza curarsi del Patriarcato,<br />
fondava tutta una serie di parrocchie<br />
negli stessi luoghi ove<br />
già c’erano parrocchie del<br />
Patriarcato.<br />
Ma, proprio quando<br />
tutto sembrava peggiorare,<br />
avendo imboccato una via di<br />
non ritorno, ecco verificarsi il<br />
fatto nuovo che avrebbe invertito<br />
la tendenza, a dimostrazione<br />
che spesso molto dipende dal<br />
temperamento degli uomini.<br />
23
24<br />
Il cambiamento è iniziato<br />
nel 2001, con l’elezione del<br />
metropolita Lauro a capo della<br />
Chiesa russa Oltre-Frontiera,<br />
che contava una quin<strong>dic</strong>ina di<br />
vescovi e circa 150.000 fedeli.<br />
Egli stabiliva così i primi contatti<br />
col Patriarcato, tanto che<br />
nell’<strong>ott</strong>obre il <strong>San</strong>to Sinodo di<br />
Mosca gli indirizzava un appello<br />
alla riconciliazione. Dopo<br />
vari contatti e visite di altri<br />
vescovi, nel 2004 Lauro in persona<br />
incontrava a Mosca il<br />
Patriarca Alessio II; un incontro<br />
che ebbe come conseguenza la<br />
costituzione di una commissione<br />
per lo studio dei rapporti<br />
bilaterali.<br />
Il riavvicinamento non<br />
è piaciuto a molti della Chiesa<br />
Oltre-Frontiera, i quali insieme<br />
a Vitalij (predecessore ritirato<br />
di Lauro) si sono staccati per<br />
formare la Chiesa Ortodossa<br />
Russa in Esilio. Ma Lauro è<br />
andato avanti, ed un concilio<br />
riunito a S. Francisco (California)<br />
nel maggio del 2006 ha<br />
auspicato la piena comunione<br />
con Mosca. Il 6 settembre è<br />
stato approvato l’Atto di unità<br />
canonica, che però deve essere<br />
s<strong>ott</strong>oposto ad un concilio che<br />
deve approvarlo definitivamente.<br />
I problemi sul tappeto<br />
sono soprattutto due, uno<br />
molto pratico e l’altro d<strong>ott</strong>rinale.<br />
Il primo riguarda le proprietà<br />
ecclesiastiche che, ovviamente,<br />
non possono passare così<br />
semplicemente al Patriarcato.<br />
Quindi la Chiesa Oltre-Frontiera<br />
dovrà trovare un meccanismo<br />
di diritto internazionale che le<br />
permetta di non perdere queste<br />
proprietà (almeno per qualche<br />
tempo). Il secondo è legato allo<br />
spirito stesso dell’Ortodossia<br />
russa, che per la Chiesa Oltre-<br />
Frontiera non contempla compromessi<br />
di alcun tipo:<br />
Ortodossia o nulla. Mentre la<br />
Chiesa russa ha un forte senso<br />
delle differenze fra cristiani<br />
(partendo dagli antichi rituali<br />
liturgici di accoglienza di non<br />
ortodossi nell’Ortodossia), la<br />
Chiesa Oltre-Frontiera vede solo<br />
rapporti fra Ortodossi ed eterodossi.<br />
La preferenza che, ad<br />
esempio, Ilariòn Alfeev riserva<br />
a Cattolici e Pre-Calcedonesi, è<br />
del tutto incomprensibile alla<br />
Chiesa Oltre-Frontiera. O si è<br />
ortodossi, o non lo si è. L’ecumenismo<br />
è un compromesso<br />
sulla fede, quindi un’eresia.<br />
Dall’anti-comunismo all’anti-ecumenismo.<br />
La riconciliazione fra il<br />
Patriarcato di Mosca e la Chiesa<br />
Oltre-Frontiera potrebbe avere<br />
nefaste conseguenze sul movimento<br />
ecumenico. Non è detto<br />
che le avrà, ma il rischio è grosso.<br />
Come si è visto, infatti, la<br />
terza delle quattro condizioni<br />
era proprio l’abbandono del<br />
tavolo ecumenico. E che questo<br />
sia un punto importante per la<br />
Chiesa Oltre-Frontiera è dimostrato<br />
dal fatto che esso ha uno<br />
spazio non indifferente anche<br />
nell’Atto di unità canonica, nel<br />
senso che se tutte le altre condizioni<br />
sono cadute nel dimenticatoio,<br />
questa resta in piedi.<br />
Che cosa succederà? È<br />
difficile prevederlo, anche perché<br />
non stiamo parlando di<br />
cose avvenute anni fa, ma di<br />
avvenimenti di questi giorni<br />
che non si sono ancora conclusi.<br />
Sia la Chiesa russa Oltre-<br />
Frontiera che il Patriarcato di<br />
Mosca, prima di passare alla<br />
riconciliazione definitiva,<br />
dovranno parlarsi all’interno<br />
ciascuno della propria istituzione,<br />
perché la suddetta riconciliazione<br />
è certamente una<br />
bella cosa, ma tutt’altro che<br />
indolore. Al momento chi ha<br />
ceduto di più è il Patriarcato,<br />
che sembra aver ingoiato le critiche<br />
alle sue attività ecumeniche<br />
senza batter ciglio, forse<br />
per facilitare il “ritorno” dei<br />
suoi figli ribelli. Se anche in<br />
seguito sacrificherà sull’altare<br />
di questa riconciliazione il suo<br />
spirito ecumenico è difficile<br />
dirlo.<br />
La partita dell’ecumenismo<br />
è tuttora in corso ed è a<br />
tutto campo, come ha dimostrato<br />
anche l’ultimo incontro<br />
della Commissione mista teologica<br />
cattolico-ortodossa. Certo<br />
è che la fine della diaspora e il<br />
ritorno nella Madre Chiesa<br />
creerà uno squilibrio anti-ecumenico<br />
nella Chiesa russa. Il<br />
motivo è semplice: l’attuale<br />
gerarchia russa, guidata da<br />
gerarchi illuminati, è fortemente<br />
impegnata nel dialogo<br />
ecumenico (sia teologico che<br />
sociale), ma deve stare attenta<br />
a fortificarsi le spalle, perché<br />
all’interno della Chiesa russa<br />
c’è un forte filone anti-ecumenico<br />
che concepisce l’ecumenismo<br />
come un’eresia.<br />
Già ora la bilancia degli<br />
ortodossi praticanti sembra<br />
pendere in senso antiecumenico.<br />
Figuriamoci dopo. Nel<br />
momento in cui la Chiesa Oltre-<br />
Frontiera ritornerà alla comunione<br />
eucaristica col Patriarcato<br />
di Mosca, la bilancia penderà<br />
ancora di più in senso<br />
anti-ecumenico. Fino a che<br />
punto scenderà è difficile dirlo.<br />
Ma una cosa è certa. La Chiesa,<br />
e non soltanto quella russa,<br />
nell’impegnarsi nel movimento<br />
ecumenico non deve trascurare<br />
il popolo di Dio. Dopo averlo<br />
imb<strong>ott</strong>ito per secoli di sentimenti<br />
antilatini, ora non può<br />
permettersi di dialogare con le<br />
altre Chiese senza prepararlo<br />
alla legittimità e bontà di tali<br />
incontri. Deve fargli capire che<br />
è proprio grazie all’ecumenismo<br />
che migliaia e migliaia di<br />
pellegrini ortodossi russi possono<br />
venire alla <strong>Basilica</strong> di S.<br />
<strong>Nicola</strong> a Bari e pregare sulla<br />
tomba di S. <strong>Nicola</strong> come se<br />
fosse un altare ortodosso. Deve<br />
fargli capire che l’ecumenismo<br />
non è rinunciare alla propria<br />
spiritualità ma soltanto capire<br />
quella dell’altro, perché solo<br />
così potrà avverarsi l’auspicio<br />
di Gesù per i suoi seguaci: che<br />
siano una cosa sola.<br />
Nell’ecumenismo non si<br />
perde nulla di ciò che si è. Ci si<br />
arricchisce soltanto di ciò che è<br />
l’altro.
Dialogo teologico cattolico-ortodosso:<br />
Assemblea Plenaria di Belgrado (18-24 settembre)<br />
Testimonianza di un membro ortodosso<br />
rappresentante della Chiesa di Grecia<br />
Lo svolgimento dei lavori<br />
Si è riunita in assemblea plenaria a Belgrado<br />
(Serbia) dal 18 al 24 settembre 2006, dopo<br />
sei anni di interruzione, la commissione<br />
mista per il dialogo teologico tra Chiesa cattolica<br />
e Chiesa ortodossa. Presenti ventisette ortodossi,<br />
rappresentanti di tre<strong>dic</strong>i Chiese ortodosse (assenti<br />
solo la Chiesa di Bulgaria e di Estonia) e altrettanti<br />
membri cattolici, tra vescovi e teologi. La<br />
Chiesa ortodossa di Grecia veniva rappresentata<br />
da Sua Ecc. Athanasios vescovo di Acaia e dal<br />
s<strong>ott</strong>oscritto.<br />
In base a quanto deciso dal Comitato di<br />
coordinamento, riunito a Roma nel settembre del<br />
2005, in questa nuova fase il Dialogo Ortodosso<br />
ha lavorato sul documento-base, elaborato a<br />
Mosca nel 1990, dal titolo: Conseguenze ecclesiologiche<br />
e canoniche della natura sacramentale della<br />
Chiesa. Conciliarità e autorità nella Chiesa, considerato<br />
come coerente proseguimento e sviluppo<br />
dei documenti ecclesiologici precedenti (Monaco<br />
1982, Bari 1987 e Balamand 1988).<br />
Il clima ospitale, l’articolazione dei lavori<br />
e l’insieme degli incontri si sono svolti secondo<br />
un programma ben organizzato. Nella prima<br />
giornata le due commissioni (cattolica e ortodossa)<br />
si sono riunite in sessioni separate, s<strong>ott</strong>o la<br />
guida dei loro rispettivi presidenti. Nei giorni<br />
seguenti le due compagini si sono riunite in<br />
assemblea plenaria, s<strong>ott</strong>o la presidenza alternata<br />
dei due co-presidenti, cioè di sua Eminenza il<br />
Metropolita di Pergamo Ioannis Ziziulas e di sua<br />
Eminenza il Cardinale Walter Kasper. In piena<br />
libertà quasi tutti i rappresentanti hanno espresso<br />
i loro punti di vista e le loro idee sia sul testo<br />
che sugli argomenti trattati. Questo ampio spazio<br />
concesso alle discussioni è stato oltremodo<br />
funzionale: da una parte ognuno dei rappresentanti<br />
aveva l’opportunità di prendere posizione,<br />
dall’altra c’era un clima sereno e costruttivo per<br />
discussioni teologiche di alto profilo, nel quale si<br />
avanzavano osservazioni e modifiche su ogni<br />
paragrafo del testo. Con questo procedimento si<br />
è discusso su ben quarantaquattro dei 52 paragrafi<br />
del testo, affidando ad un comitato misto di<br />
redazione il compito di inserire nel testo mende e<br />
modifiche emerse in plenaria. La discussione<br />
circa i rimanenti paragrafi ed il lavoro compiuto<br />
di P. Crisostomos Sabbatos<br />
Docente incaricato di teologia dogmatica ortodossa all’Università di Atene<br />
dal comitato di coordinamento, nonché l’accettazione<br />
e l’approvazione finale in plenaria della<br />
commissione mista, sono state programmate per<br />
la seconda settimana di <strong>ott</strong>obre 2007.<br />
Tematiche e problematiche<br />
Di estrema, positiva importanza è già<br />
questa ripresa e prosieguo del dialogo teologico.<br />
Ciò esprime la volontà delle due Chiese di discutere<br />
e approdare ormai a convergenze su argomenti<br />
ecclesiologici, sui quali si erano determinati,<br />
in passato, dissensi dipendenti da interpretazioni<br />
e concezioni ideologiche diverse, nonché<br />
da eventi storici che avevano avuto risvolti spiacevoli<br />
di non poca gravità. Collocare adesso il<br />
ruolo del protos in seno ad ciascuna Chiesa locale<br />
e considerare l’esercizio della sua autorità<br />
ecclesiastica nel contesto della sinodalità e della<br />
“comunione” ecclesiale, significa partire col piede<br />
giusto, ritrovando gli elementi della comune tradizione<br />
teologica della Chiesa indivisa, e fondando<br />
solidamente su di essi qualunque pronunciamento<br />
e interpretazione di indole ecclesiologica,<br />
e ciò in rapporto non solo al ruolo del protos in<br />
seno alla Chiesa locale, ma altresì all’esercizio del<br />
primato nella vita della Chiesa del primo millennio,<br />
quando era indivisa.<br />
Nel corso della plenaria sono emerse altre<br />
problematiche, cui accenniamo.<br />
Il titolo “patriarca di occidente” attribuito<br />
al vescovo di Roma ha particolare importanza<br />
per noi ortodossi, in quanto richiama la<br />
Pentarchia (Patriarchi di Roma, Costantinopoli,<br />
Alessandria, Antiochia e Gerusalemme) come<br />
espressione di comunione e di esercizio dell’<br />
autorità ecclesiale in seno alla Chiesa indivisa del<br />
primo millennio. La sua abolizione dall’Annuario<br />
Pontificio crea pertanto perplessità. La discussione<br />
su questo punto tuttavia non viene<br />
approfondita nella plenaria, visto che – come si<br />
sa - la questione riemergerà quando si affronterà<br />
il primato del vescovo di Roma.<br />
Come intendere il termine “concilio ecumenico”?<br />
Tanto per noi ortodossi quanto per i<br />
cattolici, un concilio ecumenico rappresenta il<br />
vertice sommo nella vita della Chiesa. Tuttavia,<br />
mentre da noi se ne considera irrealizzabile la<br />
convocazione dopo il periodo iconoclasta (787) e<br />
25
26<br />
specialmente dopo lo scisma (1054), per<br />
l’Occidente invece si verifica normalmente, a<br />
condizione che i vescovi partecipanti al concilio<br />
siano in comunione col vescovo di Roma. Gli<br />
ortodossi propongono di definire non “ecumenici”<br />
ma “generali” (espressione del resto usata<br />
anche da Y. Congar). Ma tale proposta non viene<br />
accettata da parte cattolica. Anche se il termine<br />
“generale” è più corretto per i concili celebrati in<br />
Occidente, esprimendone la essenziale funzione,<br />
mentre definirli ecumenici crea di fatto una confusione.<br />
Si s<strong>ott</strong>olinea intanto l’opportunità di non<br />
far riferimento, nella plenaria di Belgrado, alla<br />
questione dell’uniatismo. Richiamare tale problema<br />
come oggetto di discussione a sé stante<br />
determinerebbe un regresso, oltre che ritardo e<br />
interruzione al percorso attuale del dialogo teologico<br />
bilaterale, impostato e avviato sulla base<br />
di una precisa tematica ecclesiologica, relativa al<br />
primato nella Chiesa in genere, e a quello del<br />
vescovo di Roma in particolare. Come stanno a<br />
dimostrare chiaramente le discussioni avvenute<br />
fino ad oggi circa il problema dell’uniatismo, soltanto<br />
una corretta impostazione generale dell’ecclesiologia<br />
e delle modalità con cui va esercitato<br />
il primato da parte del vescovo di Roma, potrà<br />
costituire un’utile e chiara chiave di soluzione<br />
del problema. Il comitato misto di coordinamento<br />
(Roma <strong>dic</strong>embre 2005) si è orientato in questo<br />
senso optando per il testo di Mosca (1990), senza<br />
che ciò implichi una resa o un voler accantona-<br />
re, nel Dialogo, il problema dell’uniatismo.<br />
Questo stesso orientamento è stato espresso<br />
nella decisione della Commissione interortodossa<br />
per il dialogo, riunita a Costantinopoli nel settembre<br />
2005, dove si è ritenuto che l’esame del<br />
problema dell’uniatismo venga affrontato non<br />
come problema avulso o autonomo, ma in connessione<br />
con l’ecclesiologia, “con particolare riferimento<br />
al problema del Primato nella Chiesa”.<br />
Ecco perché l’uniatismo sarà uno degli argomenti<br />
affrontati dalla Commissione teologica mista<br />
nel futuro immediato, come argomento ecclesiologico,<br />
in rapporto sia all’esercizio dell’autorità<br />
del vescovo di Roma sia alla estensione universale<br />
della sua giurisdizione, così come è stata intesa<br />
in Occidente nel secondo millennio.<br />
In conclusione<br />
La ripresa del Dialogo teologico cattolicoortodosso<br />
costituisce certamente un fatto positivo,<br />
ma è prematuro farne un bilancio al momento,<br />
sulla sola base di risultati immediati o indiretti.<br />
Positivo è il fatto stesso che le due Chiese<br />
abbiano ripreso il cammino del Dialogo della<br />
carità e della verità e l’abbiano fatto in atmosfera<br />
serena, fatta di reciproca fiducia e comprensione,<br />
scevra di eccessivi entusiasmi, con <strong>ott</strong>imismo<br />
responsabile e moderato (evitando esagerazioni,<br />
cedimenti, o interventi personali e arbitrari),<br />
guidate dalla convinzione che “giungere a<br />
buon fine non è privo di utilità, e il prevaricare<br />
non è privo di pericoli”.
SOLA SCRIPTURA:<br />
un tentativo di ‘deellenizzazione’?<br />
Il recente discorso di Benedetto XVI tenuto<br />
all’Università di Regensburg lo scorso 12 settembre<br />
è passato alla storia per le violente<br />
reazioni che ha suscitato nel mondo musulmano<br />
ma sembra che il suo vero e autentico messaggio<br />
sia passato in sordina e che ai più sia perfino sconosciuto.<br />
Nell’Aula Magna dell’Università che lo vide<br />
docente cattedratico di dogmatica e storia del<br />
dogma dal 1969 al 1977, il Pontefice ha s<strong>ott</strong>olineato<br />
la stretta connessione esistente tra cristianesimo<br />
ed ellenismo nel principio filosoficomorale<br />
per il quale ‘non agire secondo ragione è<br />
contrario alla natura di Dio’; questo principio si<br />
fonda su un concetto metafisico, ovvero sul rapporto<br />
di corrispondenza esistente tra la ragione<br />
umana e la Ragione di Dio, il Lògos. In un passaggio<br />
chiave del discorso Papa Ratzinger <strong>dic</strong>e:<br />
Alla tesi che il patrimonio greco, criticamente purificato,<br />
sia una parte integrante della fede cristiana,<br />
si oppone la richiesta della deellenizzazione del cristianesimo<br />
– una richiesta che dall’inizio dell’età<br />
moderna domina in modo crescente la ricerca teologica.<br />
Nel presentare le tre tappe principali di<br />
questa progressiva deellenizzazione in seno al<br />
cristianesimo, il <strong>San</strong>to Padre afferma: La deellenizzazione<br />
emerge dapprima in connessione con i<br />
postulati della Riforma del XVI secolo.<br />
Considerando la tradizione delle scuole teologiche, i<br />
riformatori si vedevano di fronte ad una sistematizzazione<br />
della fede condizionata totalmente<br />
dalla filosofia, di fronte cioè ad una determinazione<br />
della fede dall’esterno in forza di un modo di<br />
pensare che non derivava da essa. Così la fede non<br />
appariva più come vivente parola storica, ma come<br />
elemento inserito nella struttura di un sistema filosofico.<br />
Il sola Scriptura invece cerca la pura forma<br />
primordiale della fede, come essa è presente originariamente<br />
nella Parola biblica. La metafisica<br />
appare come un presupposto derivante da altra<br />
fonte, da cui occorre liberare la fede per farla tornare<br />
ad essere totalmente se stessa.<br />
Queste considerazioni ci aiutano a focalizzare<br />
il vero problema della controversia sul rapporto<br />
tra Scrittura e Tradizione che è alla base<br />
dello scisma che investì la cristianità all’inizio<br />
dell’età moderna. Il Papa-teologo incoraggia<br />
infatti ad accostarsi al problema in termini<br />
di Gianpaolo Pagano O.P.<br />
nuovi, ovvero attraverso la proposizione dell’inscindibile<br />
binomio fede-ragione.<br />
Generalmente nel cristianesimo quando si<br />
parla di Tradizione si è soliti metterla in relazione<br />
alla Scrittura. Questa relazione, senza una<br />
approfondita e corretta analisi dei concetti di<br />
‘Sacra Tradizione’ e di ‘Scrittura ispirata’ e, in<br />
definitiva, della natura della rivelazione cristiana,<br />
è più facilmente interpretabile in termini di<br />
distinzione che di complementarietà; infatti la<br />
tradizione, in relazione alla scrittura, ci rimanda<br />
all’oralità o comunque ad un ‘modo di comunicazione’<br />
diverso dalla scrittura. Lo scritto infatti<br />
ha una sua esistenza oggettiva, immutabile,<br />
legata alla materialità di un testo che, sebbene<br />
anch’esso fatto oggetto di trasmissione, viene ad<br />
avere un grado di autorevolezza di gran lunga<br />
superiore rispetto a ciò che viene trasmesso oralmente.<br />
Ebbene, questo rapporto conflittuale tra<br />
Tradizione e Scrittura non è mai appartenuto<br />
alla Chiesa delle origini nella quale ha avuto<br />
sempre un grande valore la trasmissione orale<br />
del messaggio evangelico. Gli stessi Vangeli, per<br />
altro, sono costituiti alla loro base da una molteplicità<br />
di fonti orali che sono state fatte confluire<br />
in esso al termine di una complesso lavoro<br />
redazionale. La consapevolezza di trasmettere un<br />
esperienza di vita e non un testo sacro è alla base<br />
della pre<strong>dic</strong>azione degli apostoli e dei loro successori.<br />
Per diffondere il messaggio di Cristo in<br />
tutte le nazioni (Mt 28,19; Mc 16,15) ci si servì<br />
ovviamente anche della scrittura, né più e né<br />
meno di come oggi noi ci serviamo di Internet<br />
per annunciare e diffondere quello stesso messaggio<br />
di salvezza.<br />
Successivamente, forse verso la fine del II<br />
secolo, la Chiesa primitiva avvertì l’esigenza di<br />
stabilire alcuni scritti di provata natura apostolica<br />
come proprio riferimento normativo; ma<br />
questo avvenne solo per proteggersi da quei libri<br />
spurii che vantavano un’autorità apostolica ma<br />
che erano di fatto opera di eretici. Solo da questo<br />
momento si stabilì il Canone, ovvero l’insieme<br />
dei libri ritenuti ‘ispirati’ dallo Spirito <strong>San</strong>to,<br />
portatori dell’autentico messaggio del Cristo; ma<br />
in nessun modo questi testi sacri, divenuti il<br />
Nuovo Testamento, furono concepiti in opposizione<br />
a quell’altro modo di trasmissione (scritta<br />
27
28<br />
o orale) del medesimo contenuto oggettivo – la<br />
salvezza operata dal Cristo – che chiamiamo<br />
‘Sacra Tradizione’.<br />
Comprendiamo subito come, in seno alla<br />
Chiesa sub-apostolica, la distinzione che ci si<br />
preoccupò di operare non fu quella tra Scrittura<br />
e Tradizione bensì tra ‘vera’ e ‘falsa’ trasmissione<br />
dell’autentico messaggio cristiano.<br />
Ad ogni modo sembra essere proprio la<br />
determinazione del Canone delle Scritture nella<br />
Chiesa del II secolo che ha favorito<br />
l’interpretazione erronea<br />
in seno al protestantesimo, di<br />
una netta contrapposizione tra<br />
Scrittura Sacra, che apre le<br />
porte alla fede, e Tradizione<br />
non scritta (o comunque scritta<br />
ma non ispirata), intesa<br />
come insieme di insegnamenti<br />
di uomini esposti alla mutevolezza<br />
dei tempi e delle circostanze<br />
storiche e quindi incapaci<br />
di condurre alle verità che<br />
salvano.<br />
Scrittura come ‘garanzia<br />
di verità’, Tradizione come<br />
‘aggiunta fuorviante’ sembra<br />
essere il senso del Sola Scriptura<br />
di Lutero, fatto proprio dalla<br />
Riforma protestante nel XVI<br />
secolo e poi rinverdito dai teologi<br />
liberali del secolo scorso.<br />
La deellenizzazione, in<br />
questo caso, sarebbe proprio la<br />
necessità di distinguere il cristianesimo<br />
biblico dal cristianesimo<br />
storico; questo processo<br />
risponde all’esigenza di purificare<br />
l’autentico messaggio cristiano<br />
contenuto nella<br />
Scrittura (e ‘solo’ nella Scrittura) da tutto ciò che<br />
di esso è solo una interpretazione e in ultima<br />
analisi ‘tradizione’.<br />
A questo punto è necessario approfondire<br />
il concetto di ‘tradizione’ e attenerci piuttosto al<br />
suo significato teologico circa l’apporto che essa<br />
fornisce alla fede per poter poi tentare di dare<br />
una spiegazione al travisamento di questo concetto<br />
operato dagli esponenti della Riforma nel<br />
complesso momento storico in cui essa ha origine.<br />
Proverò a chiarire questo concetto innanzitutto<br />
attraverso il significato della parola<br />
‘Tradizione’.<br />
La parola latina traditio rende il termine<br />
greco paràdosis. Se diamo un rapido sguardo al<br />
NT vediamo che il verbo paradìdomi può avere<br />
diversi significati:<br />
(1) trasmettere, in relazione a paràdosis<br />
come ‘tradizione degli antichi’ (cf Mc<br />
7,9.13: ‘Siete veramente abili nell’eludere il<br />
comandamento di Dio, per osservare la<br />
vostra tradizione…annullando così la parola<br />
di Dio con la tradizione che avete tramandato<br />
voi’);<br />
(2) consegnare; il termine paràdosis, così<br />
inteso, è molto più carico di significato<br />
perché la tradizione o trasmissione è in un<br />
certo senso il principio stesso di tutta l’eco-<br />
nomia della salvezza: Dio, il Padre, il<br />
Principio, la Sorgente primordiale di tutto<br />
ciò che esiste, dona, consegna, trasmette il<br />
Figlio suo al mondo: Dio non ha risparmiato<br />
il Figlio, ma lo ha dato per tutti noi (Rm<br />
8,32).<br />
Questa consegna del Padre viene assunta<br />
coscientemente dal Figlio: Questa vita nella<br />
carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi<br />
ha amato e ha dato se stesso per me (Gal 2,20).<br />
Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi,<br />
e camminate nella carità, nel modo che anche<br />
Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi,<br />
offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore (Ef 5,2).<br />
È possibile riscontrare chiaramente il significato<br />
redentivo della ‘consegna del Figlio’ al<br />
mondo nei vangeli, e in particolare in Marco<br />
dove ‘tradizione’ - ‘consegna di Gesù’ - è messo<br />
in relazione al tradimento (cf 9,31 seconda pre-
dizione:‘Il Figlio dell’uomo sta per esser consegnato<br />
nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una<br />
volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà’).<br />
Marco utilizza questo termine tecnico per<br />
designare la sorte di Gesù, ma anche la sorte di<br />
Giovanni, il precursore di Gesù (1,14 ‘dopo che<br />
Giovanni fu consegnato’) e quella dei discepoli che<br />
sono i seguaci di Gesù (13,9.11.12: ‘Ma voi badate<br />
a voi stessi! Vi consegneranno ai sinedri…e quando<br />
vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi<br />
di ciò che dovrete dire…il fratello consegnerà<br />
a morte il fratello, il padre il figlio…’) quasi<br />
a volere esprimere la comunione del Battista e<br />
dei discepoli con la sorte di Gesù.<br />
La consegna di Dio all’umanità non finisce<br />
qui; l’effusione dello Spirito <strong>San</strong>to è in un certo<br />
senso ‘consegna’. Il vangelo di Gv esprime con<br />
questo stesso termine la morte di Gesù che consegna<br />
il suo spirito alla presenza di Maria e di<br />
Giovanni i quali ai piedi della croce rappresentavano<br />
la Chiesa (‘pentecoste giovannea’ in relazione<br />
a 20,22): E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù<br />
disse: «Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, consegnò<br />
lo spirito (19,30).<br />
L’economia della salvezza quindi comincia<br />
con un ‘dare’, con una tradizione divina, una<br />
consegna che continua fino ad oggi perché l’invio<br />
del Cristo e dello Spirito <strong>San</strong>to fondano la<br />
Chiesa e la proiettano come un prolungamento<br />
di loro medesimi: Come il Padre ha mandato me,<br />
anch’io mando voi (Gv 20, 21).<br />
Da questa esplicitazione del significato di<br />
paràdosis appare chiaro che non c’è messaggio<br />
cristiano senza ‘tradizione’: infatti non c’è la<br />
Parola di Dio fatta carne senza la ‘tradizione’ del<br />
Padre, non c’è la redenzione del genere umano<br />
senza la ‘tradizione’ del Figlio, non c’è la Chiesa<br />
credente senza la ‘tradizione’ dello Spirito, non ci<br />
sono i credenti nel susseguirsi delle generazioni<br />
senza la ‘tradizione’ degli apostoli.<br />
Tradizione degli apostoli: eccoci giunti al<br />
punto fondamentale della nostra questione. Non<br />
si tratta solo di ‘tradizione’ nel senso culturale<br />
del termine ma piuttosto della trasmissione della<br />
fede, ovvero di qualcosa che ha Dio per autore,<br />
oggetto e fine.<br />
È possibile rintracciare esclusivamente<br />
nella Scrittura la fonte pura e originaria della<br />
fede by-passando la Tradizione viva della<br />
Chiesa? Se la Tradizione appartiene esclusivamente<br />
alla sfera umana risulta evidente che la<br />
Sacra Scrittura è l’unico accesso alla realtà di<br />
Dio, in quanto appunto ‘sacra’ e in grado di<br />
mettere in contatto con Lui. Ma se la Tradizione<br />
viene considerata il mezzo ordinario attraverso<br />
cui Dio si comunica agli uomini è altrettanto<br />
chiaro che propriamente non ci può essere fede<br />
in Dio senza la Tradizione. La Sacra Scrittura,<br />
come insegna la costituzione dogmatica ‘Dei<br />
Verbum’, e la Sacra Tradizione costituiscono un<br />
solo sacro deposito della parola di Dio affidato<br />
alla Chiesa (10). Dunque nessuna contrapposizione<br />
o parallelismo, ma due inscindibili modalità<br />
di trasmissione del medesimo messaggio, la<br />
parola di Dio che non può essere contenuta<br />
nella lettera ma si comunica, si trasmette, si<br />
consegna agli uomini che credono in essa attraverso<br />
la mediazione e l’interpretazione della<br />
Chiesa.<br />
Per questo motivo le Chiese Ortodosse<br />
parlano di Sola Traditio piuttosto che di Sola<br />
Scriptura, quasi a voler s<strong>ott</strong>olineare l’imprescindibile<br />
apporto fornito dal sensus Ecclesiae per<br />
giungere all’interpretazione autentica delle<br />
Scritture, senza il quale è impossibile s<strong>ott</strong>rarre<br />
la parola di Dio alla mutevolezza e arbitrarietà<br />
delle interpretazioni private.<br />
Il principio ermeneutico tanto caro ai<br />
Padri della Chiesa secondo il quale solo la<br />
Ecclesia può autenticamente possedere l’autentico<br />
senso della Parola di Dio si basa sulla fondamentale<br />
concezione – mutuata dalla cultura<br />
greca ed esplicitata già da Filone in seno al giudaismo<br />
– secondo cui per capire un testo sacro<br />
deve esistere una perfetta corrispondenza (che<br />
Platone chiamava synghèneia) tra lo Spirito di<br />
Dio presente nelle Scritture e lo Spirito di colui<br />
che le legge. Questo Spirito discende nella<br />
Chiesa radunata nel cenacolo e permane in essa<br />
nei secoli in quanto comunicato di generazione<br />
in generazione. Non è dunque la Scrittura in sé<br />
stessa a condurci alla fede ma piuttosto lo<br />
Spirito di Dio, ‘consegnato’, ‘trasmesso’ alla<br />
Chiesa; essa dunque è perfettamente in grado di<br />
rivelarci il vero senso delle Scritture.<br />
Dio non si rivela all’uomo in modo da trascendere<br />
la nostra natura umana; come ci ricordava<br />
il <strong>San</strong>to Padre a Regensburg, è da sempre<br />
convinzione della Chiesa che: tra Dio e noi, tra il<br />
suo eterno Spirito creatore e la nostra ragione<br />
creata esista una vera analogia, in cui – come <strong>dic</strong>e<br />
il Concilio Lateranense IV nel 1215 –certo le dissomiglianze<br />
sono infinitamente più grandi delle<br />
somiglianze, non tuttavia fino al punto da abolire<br />
l’analogia e il suo linguaggio.<br />
È a partire da questa analogia tra il Lògos<br />
divino e la nostra ragione che possiamo meglio<br />
comprendere come sia del tutto fuori dall’essenza<br />
del cristianesimo il Sola Scriptura di Lutero. La<br />
fede non nasce dall’opinione individuale o dal<br />
lavoro intellettuale, come è portata a ritenere la<br />
nostra mentalità ‘moderna’, né tanto meno è da<br />
uno slancio mistico che trascende la ragione<br />
umana, ma dalla rivelazione di Dio, creatore dell’uomo,<br />
attraverso il Suo Figlio ‘consegnato’ agli<br />
uomini e per mezzo dello Spirito vivente nella<br />
Chiesa, custode della Sacra Scrittura e della Sacra<br />
Tradizione.<br />
29
30<br />
Ricordando il Metropolita di Efeso, Sua Eminenza Chrysostomos Konstantinidis<br />
“La santità va oltre gli angusti<br />
confini degli scismi”<br />
“La santità non è frutto di scelta umana. Non la<br />
si può valutare con criteri umani, né stabilire con<br />
procedure umane”.<br />
Queste parole il visitatore le può tuttora leggere in<br />
greco sul libro degli ospiti che custodiamo presso la<br />
comunità domenicana “S. Giovanni Prodromos”,<br />
ad Atene. Esse hanno una data: Natale 2006, ed<br />
hanno una firma, in inconfondibile grafia patriarcale:<br />
+ Chrisostomos, Metrolita di Efeso.<br />
Una decina di giorni prima, presso il Centro<br />
Culturale dei Padri Gesuiti, Sua Eminenza, alla presenza<br />
del compianto P. Salvatore Manna (allora<br />
Priore Provinciale dei Domenicani dell’Italia meridionale),<br />
di P. Giovanni Distante (Priore della comunità<br />
madre di <strong>San</strong> <strong>Nicola</strong>) nonché di numerose<br />
autorità ecclesiastiche e di un folto pubblico di<br />
amici ortodossi e cattolici, mi aveva onorato nel<br />
presentare il libro: Il volto luminoso di <strong>San</strong> Domenico<br />
(Ed. Pisti kai Zoì, Atene 1996, in greco). Egli stesso<br />
ne aveva scritto la prefazione, e aveva accettato di<br />
presentarlo in pubblico. Ricordo lo stupore che<br />
suscitò in sala. Tutti seguivano la dettagliata<br />
descrizione della figura di <strong>San</strong> Domenico. Abituata<br />
a ben altri apprezzamenti nei confronti delle realtà<br />
della Chiesa Cattolica, la gente stentava a credere<br />
che sulla bocca di quell’eminente prelato della<br />
Chiesa ortodossa fiorissero elogi così cordiali e partecipi<br />
sulle virtù e la personalità geniale di <strong>San</strong><br />
Domenico, santo appena conosciuto, di certo meno<br />
popolare di quelli venerati dagli ortodossi.<br />
Implicitamente si poneva il problema, non<br />
del tutto ingiustificato per gli ortodossi presenti, in<br />
che senso egli potesse parlare di santità in ordine ad<br />
un uomo virtuoso sì, ma fuori della Chiesa di<br />
Cristo senza essere stata in nessun modo riconosciuta<br />
(da parte ortodossa) la validità dei sacramenti<br />
amministrati altrove (fuori di essa) e quindi<br />
il valore della grazia da essi comunicata. Sua<br />
Eminenza era ben consapevole di quella perplessità,<br />
anche perché la questione era stata dibattuta, in<br />
termini teologici e canonici, in diversi colloqui cattolico-ortodossi.<br />
Ebbene, egli non celava la sua<br />
convinzione. La espresse e volle metterla per iscritto<br />
in due pagine del nostro libro. Eccola:<br />
“La santità appartiene a Dio. I santi non<br />
sono che uomini di Dio. Con un loro modo particolare,<br />
definiscono il quadro delle relazioni tra Dio e<br />
umanità, con criteri che solo Dio stabilisce. La santità<br />
trascende gli angusti confini delle nostre divisioni,<br />
dei nostri scismi. L’unità della Chiesa la si<br />
raggiunge e realizza grazie alla loro dignità, che<br />
diventa comprensibile solo in questo modo. I <strong>San</strong>ti<br />
di Rosario Scognamiglio O.P.<br />
fanno così da ponte nelle relazioni interecclesiali,<br />
non solo perché intercedono per la Chiesa, ma perché<br />
attingono la loro bontà da quella fonte unica,<br />
che è il solo Signore; sono il fondamento alla sua<br />
Chiesa “Una e <strong>San</strong>ta”.<br />
Queste stupende parole le abbiamo ricordate<br />
e meditate con particolare rimpianto quando<br />
abbiamo appreso la notizia della sua dipartita,<br />
avvenuta nell’isola di Syros, in Grecia, il giorno 13<br />
<strong>ott</strong>obre 2006 all’età di 83 anni.<br />
Aveva una cultura teologica di ampio respiro.<br />
Si era formato alla celebre scuola di Halchi,<br />
presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma e<br />
all’Università di Strasburgo. Nel 1961 fu ordinato<br />
vescovo di Myra (sede episcopale di <strong>San</strong> <strong>Nicola</strong>), e<br />
da quel momento tutto ciò che si riferiva a <strong>San</strong><br />
<strong>Nicola</strong> diventò oggetto del suo amore e del suo interesse,<br />
a Myra come a Bari.<br />
Da noi a Bari, per la diocesi, l’Istituto e<br />
<strong>Basilica</strong> di <strong>San</strong> <strong>Nicola</strong>, Sua Eminenza è stato sempre<br />
di casa come persona di famiglia. A renderlo<br />
tale non era soltanto il fatto di essere successore di<br />
<strong>San</strong> <strong>Nicola</strong> nella sede episcopale di Myra, ma un<br />
insieme di interessi soprattutto sul piano ecumenico.<br />
Presso il Patriarcato Ecumenico egli godeva di<br />
grande considerazione, e per molti decenni era il<br />
Prelato a cui ci si riferiva per le relazioni interecclesiali<br />
e interreligiose. A parte i frequenti inviti e presenze<br />
presso i <strong>dic</strong>asteri della <strong>San</strong>ta Sede, come<br />
esperto del mondo ortodosso, fu anche chiamato a<br />
far parte del comitato centrale del Consiglio<br />
Ecumenico delle Chiese prima come membro, dopo<br />
come Co-presidente. Invitato come Professore di<br />
teologia ortodossa presso il nostro Istituto, ha<br />
lasciato tracce di bontà e di sapienza teologica sia<br />
tra gli studenti che tra i colleghi. Ha partecipato<br />
sempre, finché ha potuto, ai nostri Colloqui cattolico-ortodossi,<br />
e spesso la Presidenza e la Segreteria<br />
si avvalevano dei suoi consigli per articolare i lavori<br />
e scegliere relatori che dessero contributi validi ai<br />
nostri incontri. Gioiva con noi per i successi, si<br />
rammaricava se qualcosa non andava nel senso<br />
sperato.<br />
Nel febbraio 1984 fu lui ad accogliere papa<br />
Giovanni Paolo II pellegrino alla tomba di <strong>San</strong><br />
<strong>Nicola</strong> a Bari, ed in nome della Chiesa ortodossa si<br />
immortalò nel gesto comune delle due Chiese nell’accendere<br />
la lampada uniflamma alimentata con<br />
olio proveniente dall’oriente (Costantinopoli) e dall’occidente<br />
(terra di Bari).<br />
“So bene- disse il Metropolita il giorno 8<br />
Maggio 1986- salutando la grande folla che atten-
deva lo sbarco dell’icona di <strong>San</strong> <strong>Nicola</strong>- che san<br />
<strong>Nicola</strong> è al centro della vostra spiritualità. È il santo<br />
delle vostre preghiere, speranze, attese […]. Siete<br />
particolarmente fortunati di avere la presenza viva<br />
del santo qui nella nostra vita. Ma sappiate che <strong>San</strong><br />
<strong>Nicola</strong> per noi ortodossi ha la stessa importanza<br />
che ha per voi. Ed è stupendo che, in ogni modo, le<br />
sue sante reliquie e la sua tomba qui a Bari alimentano<br />
la spiritualità dei nostri due mondi, che si<br />
sentono uniti nella persona del <strong>San</strong>to comune,<br />
sulla stessa lunghezza d’onda della devozione, della<br />
preghiera e della vita interiore. Tra Bari e Myra c’è<br />
indubbiamente una corrente ininterr<strong>ott</strong>a. Da qui e<br />
da lì il <strong>San</strong>to lancia il suo messaggio a tutto il<br />
mondo cristiano ed anche a quelli di altre religioni.<br />
Messaggio di pace, di amicizia, amore, fraternità,<br />
serenità e devozione”.<br />
Un mondo più umano<br />
Portavoce del Patriarcato Ecumenico nel<br />
mondo, Sua Eminenza parlando all’accademia di<br />
Atene nel novembre del 1992 anticipava con notevole<br />
intuito e apertura i compiti da assolvere, da<br />
parte delle Chiese cristiane nei paesi che si andavano<br />
organizzando in comunità europea. In una casa<br />
europea che aspira ad una coabitazione civile e<br />
costruttiva (“Luogo di convivenza, senza discriminazioni<br />
politiche, religiose, ideologiche sociali o di<br />
classi. Casa in cui nessuno tema di dire la verità e<br />
tutti possano condividere il pane quotidiano con<br />
equità e giustizia”, era stato <strong>dic</strong>hiarato a Basilea ,<br />
in Svizzera 1989) “alle Chiese tocca il compito di<br />
esprimere e avanzare concrete proposte, idee, gesti,<br />
critiche (ove occorrano), valori spirituali positivi,<br />
principi teologici, etici e sociali; il compito di trarre<br />
dai loro tesori di fede e di morale esperienze, tradizioni,<br />
elementi di spiritualità” (cf. O ODIGOS,<br />
1993/1).<br />
Il compianto Metropolita di Efeso, parlando<br />
da quella autorevole tribuna, non si esimeva dall’in<strong>dic</strong>are<br />
in particolare, quello che la Chiesa ortodossa<br />
può e deve offrire alla costruzione della<br />
comunità europea. Facendo eco alle provocazioni<br />
dell’allora presidente della comunità Europea,<br />
Jacques Delors : “Se entro dieci anni non riusciremo<br />
a dare un’anima, una spiritualità ed un senso<br />
più profondo all’Europa, avremo perduto la partita”,<br />
egli s<strong>ott</strong>olineava alcune responsabilità urgenti<br />
della Chiesa ortodossa: non solo levare energica<br />
protesta contro il consumismo vorace e la tecnologia<br />
impazzita che determinano catastrofi ecologiche<br />
inestimabili, e indurre gli uomini che sono al<br />
potere “a rispettare i principi della deontologia di<br />
fronte all’intero creato”, ma anche intervenire in<br />
senso positivo “con una sua visione della vita e dell’uomo<br />
dotato di senso morale”. Soprattutto, come<br />
Chiesa ed istituzione credibile, è da arginare il relativismo<br />
morale e l’indifferenza, per affermare con<br />
voce autorevole “quanto di più santo e buono esiste<br />
nella vita, trasmettendo all’uomo moderno<br />
messaggi positivi e ispirati […] in grado di chiamarlo<br />
allo zelo e ad un impegno militante per ren-<br />
dere il mondo migliore e più umano” (ibid. p. 4).<br />
Volendo sintetizzare il testamento spirituale<br />
che lascia a tutti noi, cattolici e ortodossi che<br />
l’abbiamo conosciuto, citiamo le parole di Paolo,<br />
con le quali il compianto Metropolita concluse il<br />
suo discorso, suscitando un vivo applauso nella<br />
sala dell’Accademia di Atene, letteralmente gremita<br />
di ammiratori e amici: “Il regno di Dio non è questione<br />
di cibo e di bevanda, ma è giustizia, pace e<br />
gioia nello Spirito <strong>San</strong>to. Chi serve il Cristo in queste<br />
cose è ben accetto a Dio, e stimato dagli uomini.<br />
Diamoci dunque alle opere della pace e all’edificazione<br />
vicendevole” (Rom 14,17-19).<br />
L’applauso di quella sera, da parte di noi<br />
suoi amici, non si è affievolito. Anche dopo la sua<br />
dipartita, sentiamo il bisogno e la gioia di farlo<br />
durare ancora, forte e convinto.<br />
Ai reverendissimi Damiano Bova<br />
e Rosario Scognamiglio<br />
la grazia e la pace di Dio Padre<br />
e del Signore nostro Gesù Cristo.<br />
La recente dipartita verso il Signore del compianto<br />
Metropolita di Efeso, Monsignore<br />
Crisostomo, primo prelato del trono, persona<br />
dinamica, docente saggio e membro assai<br />
prezioso del nostro Patriarcato Ecumenico,<br />
egli che ha offerto in generale molti e inestimabili<br />
servizi alla Madre Chiesa svolgendo<br />
diversi ruoli, con dispendio di energie fisiche<br />
e spirituali, ha prod<strong>ott</strong>o comprensibile tristezza<br />
nei nostri cuori ed ha lasciato tra noi<br />
un vuoto non facile da colmare.<br />
Sono giunte pertanto alla Chiesa e a noi le<br />
nobili espressioni del vostro cordoglio, ed<br />
oltre a recarci grande conforto, ci hanno<br />
incoraggiato a continuare a servire e difendere<br />
i valori sacrosanti dell’Ortodossia e della<br />
nostra stirpe (Genos), compiti affidati sia alla<br />
nostra Paternità che ai fratelli che in questo<br />
ambito ci attorniano.<br />
Per questo vi ringraziamo di tutto cuore per<br />
la vostra preziosa solidarietà e con voi eleviamo<br />
fervida preghiera al Signore della vita<br />
perché al defunto Mons. Crisostomo nostro<br />
eletto confratello nell’episcopato e nella celebrazione<br />
eucaristica conceda di riposare nelle<br />
dimore dei giusti, ed a voi di continuare il<br />
corso della vita, vita longeva, benedetta,florida<br />
e ricca sia di salute che di beni largiti dal<br />
cielo.<br />
E che la grazia e la misericordia del nostro<br />
Signore Gesù Cristo, Signore della vita e della<br />
morte siano con voi. Da lui imploriamo<br />
anche il dono di anni numerosi, pieni di salute<br />
e gioia.<br />
Con fervide preghiere,<br />
+Bartolomeo di Costantinopoli<br />
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Giovanni Polo II e Sua Eminenza Chrysostomos Konstantinidis,<br />
Metropolita di Efeso, accendono la lampada uniflamma<br />
nella <strong>Basilica</strong> di <strong>San</strong> <strong>Nicola</strong>