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Scarica il pdf - Il profumo della libertà

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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

crescere professionalmente, lì si conoscevano magistrati più anziani e più esperti, lì si<br />

stava piacevolmente e si diventava amici. <strong>Il</strong> legame in quelle occasioni si trasformava,<br />

non era più soltanto correntizio ma diventava di amicizia, di amicizia vera, che ci teneva<br />

legati e che ci consentiva di esprimere nel dibattito acceso le nostre diverse opinioni, rimanendo<br />

amici.<br />

Ricordo che, a metà degli anni ’80, quando ai Convegni arrivava Paolo, noi più giovani<br />

lo aspettavamo per ascoltare i suoi racconti: ci descriveva le difficoltà che si incontravano<br />

nell’interrogare <strong>il</strong> pentito di mafia, la complessità delle vicende narrate dai<br />

mafiosi, i comportamenti dei difensori e le loro strategie processuali, e soprattutto, gli<br />

scenari palermitani squarciati dai pentiti con le loro dichiarazioni. Ciò che ci intrigava e<br />

ci avvinceva era <strong>il</strong> modo di raccontare di Paolo, quel suo sorriso appena accennato che si<br />

notava più dal baffo che dal labbro, la sua cadenza palermitana, la sua straordinaria ironia,<br />

la sua interpretazione dei fatti, la complicità con Giovanni. Così, anche così, é nata in<br />

alcuni di noi la passione per la professione e per l’impegno contro la mafia. Paolo ci ha<br />

insegnato che questo impegno non era l’impegno eroico, straordinario ed eccezionale di<br />

un momento <strong>della</strong> vita o <strong>della</strong> carriera, ma una scelta di vita, basata sulla cultura, sul sentimento<br />

e l’idea dello Stato, sulla profonda spiritualità che egli attribuiva al suo operato;<br />

era la scelta <strong>della</strong> legalità; era la consapevolezza di stare dalla parte <strong>della</strong> legge, delle Istituzioni,<br />

del cittadino; era una scelta di democrazia, di quella vera però, di quella che consente<br />

al cittadino di determinarsi davvero liberamente, senza <strong>il</strong> condizionamento<br />

dell’intimidazione, del bisogno e <strong>della</strong> minaccia; era una scelta di civ<strong>il</strong>tà <strong>il</strong> cui obbiettivo<br />

ultimo era una società migliore, era <strong>il</strong> riscatto dei palermitani e delle altre genti sic<strong>il</strong>iane;<br />

era la consapevolezza di dovere applicare la legge anche contrastando e lottando con le<br />

organizzazioni criminali, senza <strong>il</strong> sott<strong>il</strong>e distinguo secondo cui <strong>il</strong> giudice “non lotta” contro<br />

nessuno ma applica soltanto la legge, restando p<strong>il</strong>atescamente “arbitro”.<br />

Questo era <strong>il</strong> modello di magistrato a cui ci ispiravamo all’inizio degli anni ’80, e che<br />

doveva ispirare, dopo di noi, i cosiddetti “giudici ragazzini”, uno dei quali, Rosario Livatino,<br />

pagò con la vita <strong>il</strong> suo impegno per la legalità.<br />

Con Paolo, alla fine degli anni ’80, ci vedevamo a Roma, quasi ogni mese, per le riunioni<br />

del comitato esecutivo di Magistratura Indipendente, del quale entrambi facevamo<br />

parte. Le riunioni duravano poco, un’ora, a volte due. <strong>Il</strong> bello veniva dopo, quando ci si<br />

intratteneva a parlare, appena fuori dalla sede del gruppo, in via M<strong>il</strong>azzo. Era fuori dall’ufficialità<br />

che si coglieva la vera essenza di Paolo, la sua ironia, con la quale, quasi scherzando,<br />

diceva cose vere e importanti. Bastava soltanto saperle cogliere in mezzo al suo<br />

raccontare divertente e divertito.<br />

Poteva capitare che all’ordine del giorno di quelle riunioni non vi fossero argomenti<br />

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