Scarica il pdf - Il profumo della libertà
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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
interessasse così a fondo ad altre indagini non di sua stretta competenza, ma evidentemente<br />
collegate alle sue, mi poneva in risalto la necessità che la polizia giudiziaria dovesse<br />
essere diretta da un organo autorevole e di forte impatto qual era appunto a quell’epoca<br />
<strong>il</strong> giudice istruttore, <strong>il</strong> solo in grado di svolgere compiti di analisi, valutazione ed acquisizione<br />
<strong>della</strong> prova a trecentosessanta gradi. All’epoca, tutti noi del pubblico ministero<br />
eravamo abituati, all’inverso, ad una f<strong>il</strong>osofia di tipo diverso: era la polizia giudiziaria a<br />
trainare le nostre valutazioni e le istruttorie, non c’era spazio per alcuna autonomia da<br />
parte del magistrato inquirente, del tutto appiattito sulle scelte <strong>della</strong> polizia giudiziaria,<br />
l’unico vero motore delle indagini. Chi non ricorda la polemica secondo la quale <strong>il</strong> giudice<br />
istruttore era visto come un super pubblico ministero? Fu poi l’entrata in vigore del codice<br />
Vassalli che capovolse questo rapporto, conferendo più poteri direttivi al p.m., anche se<br />
a scapito del valore di prova dei suoi atti, almeno nella versione originaria.<br />
In un’altra occasione, Giovanni Falcone venne a Catania per partecipare ad un Convegno<br />
organizzato dall’Università, non potevo mancare e andai ad ascoltarlo, perché la<br />
mia ammirazione era enorme ed inoltre volevo capire riannodando quel sott<strong>il</strong>e f<strong>il</strong>o che<br />
si era formato nell’incontro di studi a Trevi. Una delle affermazioni di Giovanni Falcone<br />
che più mi colpirono in quest’ultima occasione fu quella che <strong>il</strong> magistrato, sia inquirente<br />
sia giudicante, deve essere responsab<strong>il</strong>izzato e, se sbaglia, deve pagare in qualche modo<br />
per l’errore compiuto, affermazione per l’epoca assolutamente inusuale e vorrei dire oltreché<br />
un tantino scomoda, anche controcorrente, ma certamente col tempo entrata a<br />
far parte del patrimonio comune e del bagaglio culturale e deontologico dei magistrati.<br />
La sua relazione al Convegno riguardava <strong>il</strong> lavoro in pool, di cui proprio l’Ufficio istruzione<br />
di Palermo rappresentava un importante antesignano, assieme ai precursori che<br />
erano stati i pool antiterrorismo degli uffici giudiziari del Nord e del Centro Italia. Naturalmente<br />
a Catania echeggiavano come f<strong>il</strong>trati e quasi smorzati tutti i c.d. “veleni” del<br />
palazzo di giustizia di Palermo, le polemiche e i conflitti all’interno <strong>della</strong> magistratura<br />
palermitana e all’esterno tra <strong>il</strong> Coordinamento antimafia, e alcune forze politiche, su cui<br />
si innestò la questione dei “professionisti dell’antimafia” che vide Leonardo Sciascia tra<br />
i protagonisti dello scontro, per avere espresso alcune critiche molto pungenti sul Corriere<br />
<strong>della</strong> Sera contro <strong>il</strong> Consiglio superiore <strong>della</strong> magistratura, a proposito del “superamento”<br />
(così lo definì Sciascia) di Paolo Borsellino su altro candidato più anziano ma meno titolato<br />
in materia antimafia alla carica di procuratore <strong>della</strong> Repubblica di Marsala. Sciascia<br />
non ebbe mai né <strong>il</strong> tempo né l’occasione di ricredersi, ma sono sicuro che l’avrebbe fatto<br />
se avesse avuto notizie più precise e soprattutto se avesse conosciuto Paolo Borsellino, <strong>il</strong><br />
cui impegno antimafia era tutt’altro che carrieristico, in quanto profondamente maturato<br />
e basato su convinzioni estreme ed anche su un amore per la terra sic<strong>il</strong>iana.<br />
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