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IL PROFUMO DELLA LIBERTA’<br />

Se la gioventù le negherà<br />

<strong>il</strong> consenso<br />

anche l’onnipotente<br />

e misteriosa mafia<br />

svanirà come un incubo


Se la gioventù le negherà<br />

<strong>il</strong> consenso<br />

anche l’onnipotente<br />

e misteriosa mafia<br />

svanirà come un incubo


Indice<br />

Prefazione<br />

GIORGIA MELONI, Ministro <strong>della</strong> Gioventù 7<br />

ANGELINO ALFANO, Ministro <strong>della</strong> Giustizia 10<br />

Un patrimonio per i giovani<br />

MANFREDI BORSELLINO 13<br />

Introduzione<br />

PIERO GRASSO, Procuratore Nazionale Antimafia 14<br />

You increase your luck with cooperation<br />

Intervista a RUDOLPH W. GIULIANI 20<br />

Una domenica particolare<br />

ROBERTO ALFONSO, Procuratore di Bologna 29<br />

L’etica <strong>della</strong> convinzione<br />

STEFANO AMORE, Magistrato, Consigliere del Ministro <strong>della</strong> Gioventù 38<br />

L’onore di Borsellino<br />

MARIO CICALA, Consigliere <strong>della</strong> Suprema Corte di Cassazione 41<br />

<strong>Il</strong> fresco <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

FRANCESCO PAOLO GIORDANO, Procuratore di Caltagirone 51<br />

Un esempio per le generazioni del futuro<br />

ANTONIO LAUDATI, Procuratore di Bari 63<br />

Falcone, Borsellino e i loro imitatori<br />

MARCELLO MADDALENA, Procuratore Generale di Torino 67


Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: una speranza per i giovani<br />

LAURA MORSELLI, Vincitrice del concorso in Magistratura 71<br />

Falcone e Borsellino: <strong>il</strong> coraggio di un’idea<br />

SANDRA MOSELLI, Vincitrice del concorso in Magistratura 74<br />

Paolo Borsellino: un uomo buono.<br />

TOMMASO VIRGA, Presidente di Sezione del Tribunale di Palermo 77


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

Prima di qualunque considerazione, desidero ringraziare tutti coloro che hanno contribuito<br />

a riempire di ricordi, riflessioni, speranze questo libro. Poi voglio ringraziare coloro<br />

che lo stanno leggendo, specialmente se ancora giovani, per la loro curiosità, per<br />

l’atto di impegno civ<strong>il</strong>e che stanno compiendo in questo momento. 18 anni, sono trascorsi,<br />

e tornare indietro non si può. Non si potrà chiedergli di non recarsi da sua madre,<br />

almeno quel giorno. Non si potrà ascoltarlo, un’ultima volta ancora, mentre spiega agli<br />

studenti italiani le ragioni di una lotta che è di tutti e non di uno solo o di pochi. Non<br />

si potrà fermare quella strage, ma si potrà fare qualcos’altro che renda onore alla sua vita<br />

e alla sua morte: schierarsi dalla sua parte, anche se lui non c’è più, da diversi anni.<br />

Dalla parte di Paolo Borsellino si ama la <strong>libertà</strong>, si ama la bellezza di una esistenza<br />

libera dalla violenza criminale che diventa prassi quotidiana, libera dallo sfruttamento<br />

vigliacco di molti da parte di pochi, libera dalla droga, dall’estorsione, dalla corruzione,<br />

dall’ingiustizia. Dalla parte di Paolo Borsellino si combatte oggi, come tutti i giorni,<br />

su ogni pezzettino <strong>della</strong> nostra nazione per veder trionfare la giustizia in ogni ambito<br />

sociale. Non serve fare <strong>il</strong> magistrato antimafia per servire la causa di Paolo Borsellino.<br />

Tutti noi qualunque età abbiamo, qualunque lavoro facciamo, in qualunque città viviamo,<br />

siamo chiamati ad una scelta di parte: o di qua, dalla parte di Paolo, o di là,<br />

dalla parte di quei v<strong>il</strong>i senza onore che opprimono <strong>il</strong> nostro popolo. <strong>Il</strong> nemico è lo<br />

stesso, che si chiami mafia o camorra, <strong>il</strong> nemico è rappresentato da coloro che antepongono<br />

<strong>il</strong> proprio interesse a quello <strong>della</strong> propria gente e per questo sono pronti a<br />

schiacciare regole, diritti, uomini, donne, vite. Dalla parte di Paolo Borsellino, di Giovanni<br />

Falcone, dei loro agenti di scorta e di tutti i martiri nella lotta alla mafia si ama<br />

l’Italia. Ogni giorno <strong>della</strong> nostra vita siamo chiamati a scegliere a quale parte del campo<br />

di battaglia appartenere, a quale visione del mondo aderire. Anche chi fa politica deve<br />

fare la sua parte, anzi più di qualunque altro. Diceva Borsellino: “A fine mese, quando<br />

ricevo lo stipendio, faccio l'esame di coscienza e mi chiedo se me lo sono guadagnato”.<br />

La politica deve usare le sue stesse parole, perché si tratta di un giuramento verso coloro<br />

che rappresenta, verso coloro che hanno donato tutto di sé stessi per <strong>il</strong> nostro destino<br />

in comune.<br />

7


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

Sono molte le ragioni per cui mi è caro Paolo Borsellino, non ultimo <strong>il</strong> suo impegno<br />

politico giovan<strong>il</strong>e presso l’università di Palermo. Molte volte, soprattutto negli ultimi<br />

mesi mi è stato chiesto <strong>il</strong> motivo del mio impegno politico, quale fosse stata la scint<strong>il</strong>la<br />

che a 15 anni ha acceso una passione civ<strong>il</strong>e nel mio cuore. Fu quel sacrificio, fu la<br />

morte di Paolo Borsellino, pochi mesi dopo quella di Giovanni Falcone. Ricordo ancora<br />

la rabbia provata nel vedere quelle immagini in tv, ma ricordo bene anche l’amore verso<br />

quel popolo in lacrime che piangeva i suoi eroi caduti in quel v<strong>il</strong>e attentato. Inermi<br />

non si poteva più stare, non si poteva più restare ignavi di fronte alla criminale arroganza<br />

di quegli uomini senza onore neppure capaci di affrontare Paolo e la sua scorta<br />

a viso aperto, ma nascosti, al sicuro, a centinaia di metri dall’esplosione. Non potremo<br />

far nulla per impedire quella strage infame di 18 anni fa, ma possiamo far crescere dentro<br />

di noi la stessa ut<strong>il</strong>e rabbia di allora ed annunciare a tutti che restiamo schierati<br />

dalla stessa parte di allora, al fianco di Paolo Borsellino.<br />

Quando un fenomeno criminale come la mafia o la camorra o la criminalità organizzata<br />

si radica nell’immaginario collettivo, in ogni ambito del quotidiano e del territorio,<br />

serve una campagna di contrasto dal punto di vista culturale. Se la lotta alla<br />

criminalità organizzata resta confinata al piano m<strong>il</strong>itare, sarà come togliere l’acqua dal<br />

mare con un cucchiaino perché ci sarà sempre qualcun altro pronto a prendere <strong>il</strong> posto<br />

del criminale appena arrestato. Per spezzare <strong>il</strong> circolo vizioso che alimenta la mafia bisogna<br />

conquistare <strong>il</strong> cuore di coloro che vivono all’interno dell’area infestata. Ma questo<br />

vale dappertutto, non solo in Campania o in Calabria o in Sic<strong>il</strong>ia. Bisogna rappresentare<br />

i nostri nemici per quello che sono: pochi criminali senza alcuna dignità che schiacciano<br />

con la violenza <strong>il</strong> diritto di una popolazione a vivere nella <strong>libertà</strong> <strong>il</strong> proprio<br />

presente.<br />

Certe volte si confonde la legalità con la difesa dello stato, di un sistema che ti obbliga<br />

a pagare le tasse, ad andare a scuola, a pagare <strong>il</strong> biglietto sull’autobus, a fare la<br />

raccolta differenziata dei rifiuti, che ti fa la multa se vai sul motorino senza casco, oppure<br />

ti costringe alla disoccupazione, relegandoti ai confini di una vita che si vorrebbe<br />

piena di fama e ricchezza. Ma in realtà la legalità è l’unico strumento che difende la<br />

gente comune, la sua <strong>libertà</strong> di vivere senza paura. Di più, è l’unico strumento che favorisce<br />

<strong>il</strong> progresso e garantisce <strong>il</strong> benessere. All’ombra <strong>della</strong> legalità migliora sensib<strong>il</strong>mente<br />

la qualità <strong>della</strong> vita e cresce la fiducia nel futuro. La corruzione non ha mai<br />

portato sv<strong>il</strong>uppo, né la criminalità organizzata ha mai garantito la giustizia, se non<br />

qualche volta un suo indigerib<strong>il</strong>e surrogato che puzza di morte e terrore.<br />

C’è un pensiero straordinario usato da Paolo Borsellino, mentre parlava con gli studenti<br />

di una scuola, pochi giorni prima di essere ucciso: “La lotta alla mafia dev’essere<br />

8


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco<br />

<strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong> che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza,<br />

<strong>della</strong> contiguità e quindi <strong>della</strong> complicità”.<br />

Buona lettura, giovane italiano.<br />

Giorgia Meloni<br />

Ministro <strong>della</strong> Gioventù<br />

9


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

Idee che nessuno riuscirà mai ad uccidere<br />

Le terrib<strong>il</strong>i stragi del 1992 hanno segnato un punto di svolta nella storia dell’Italia<br />

intera in un momento politico di grandi difficoltà ed incertezze.<br />

In meno di due mesi, dal 23 maggio al 19 luglio, di quell’annus orrib<strong>il</strong>is l’Italia tutta<br />

e <strong>il</strong> mondo intero assistevano attoniti a due veri e propri atti di guerra contro lo Stato da<br />

parte <strong>della</strong> più potente organizzazione criminale sic<strong>il</strong>iana (Cosa Nostra) all’evidenza intenzionata,<br />

con <strong>il</strong> massimo del clamore possib<strong>il</strong>e, a chiudere i conti contro due simboli<br />

<strong>della</strong> lotta antimafia, protagonisti di un nuovo modo, finalmente vincente ed efficace, di<br />

condurre e portare a termine le indagini.<br />

Ed <strong>il</strong> fatto che si trattasse di due giudici sic<strong>il</strong>iani rendeva ancor più clamorosa e significativa<br />

l’uccisione di Giovanni Falcone - insieme alla moglie Francesca Morv<strong>il</strong>lo (valente<br />

magistrato anch’essa) – e di Paolo Borsellino, unitamente agli uomini delle loro scorte.<br />

In quell’epoca la Sic<strong>il</strong>ia ha saputo trovare al suo interno una motivata pattuglia di<br />

giudici e di valenti investigatori che, meglio di chiunque altro - e proprio grazie alla<br />

diretta esperienza e comprensione delle “cose” sic<strong>il</strong>iane - ha fatto per la prima volta<br />

crollare i miti dell’omertà e dell’impunità dei mafiosi, proponendo nuove forme di organizzazione<br />

dell’azione di contrasto alla criminalità organizzata che, ancora oggi, costituiscono<br />

l’asse portante di modelli operativi tuttora in vigore.<br />

Da qui la risposta furente e rabbiosa, con lo sterminio sistematico di troppi protagonisti<br />

di quell’epoca concluso, dopo la definitiva conferma in Cassazione delle condanne<br />

inflitte nel primo maxi processo di Palermo, con le stragi di Capaci e Via D’Amelio.<br />

Oggi, fuori da ogni retorica, è cosa certa che quel fiume di sangue ove altissimo è<br />

stato <strong>il</strong> contributo pagato dai sic<strong>il</strong>iani migliori non è bastato a mutare <strong>il</strong> corso delle cose;<br />

non è valso ad impedire che le buone idee di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino continuassero<br />

a camminare sulle gambe di altri uomini che con passione, coraggio e sempre<br />

maggiore efficacia, ne continuano l’opera.<br />

In questo senso e sotto questo prof<strong>il</strong>o ben possiamo dire che la mafia ha totalmente<br />

mancato i suoi obiettivi ed oggi è, di certo, meno baldanzosa e tracotante di allora.<br />

Alcuni di questi uomini delle istituzioni hanno voluto ricordare quei terrib<strong>il</strong>i eventi<br />

offrendo <strong>il</strong> loro contributo a questo importante volume celebrativo, per coltivare la me-<br />

10


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

moria ed <strong>il</strong> ricordo di quei giorni, trasmettendo alle generazioni future anche piccoli particolari<br />

di vita quotidiana e ricordi personali che sono assai ut<strong>il</strong>i a sottolineare la normalità<br />

e la straordinaria serenità con la quale sia Falcone che Borsellino, con piena consapevolezza,<br />

hanno affrontato <strong>il</strong> loro destino.<br />

Molti altri hanno offerto e continuano ad offrire <strong>il</strong> loro contributo – non meno importante<br />

– attraverso <strong>il</strong> lavoro s<strong>il</strong>enzioso ed <strong>il</strong> costante impegno per far si che l’analisi<br />

profetica di Giovanni Falcone sulla naturale evoluzione e la fine di Cosa Nostra possa<br />

trovare definitiva conferma in tempi quanto più possib<strong>il</strong>e brevi.<br />

Questi uomini confermano tutti i giorni che lo spirito di servizio ed <strong>il</strong> senso dello<br />

Stato, che animava Giovanni Falcone e Paolo Borsellino è rimasto inalterato ed è diventato<br />

esperienza e patrimonio comune nella consapevolezza che nell’azione di contrasto<br />

alla criminalità organizzata – come lo stesso Falcone ha spesso ripetuto – non serve esigere<br />

da inermi cittadini gesti di inut<strong>il</strong>e eroismo ma è necessario che lo Stato impieghi in questa<br />

battaglia gli uomini migliori delle istituzioni.<br />

Certo, oggi, anche grazie al metodo di lavoro in pool, inventato dal nulla presso l’allora<br />

Ufficio Istruzione di Palermo, la mafia sic<strong>il</strong>iana è meno onnipotente ed ancor meno misteriosa<br />

di quanto non fosse sino alla seconda metà degli anni ’80.<br />

Certo, oggi, anche grazie alla creazione <strong>della</strong> Procura nazionale Antimafia, delle Direzioni<br />

Distrettuali Antimafia e <strong>della</strong> Direzione Investigativa Antimafia, tutte strutture<br />

figlie di quell’antesignana e rivoluzionaria esperienza, la risposta dello Stato all’aggressione<br />

<strong>della</strong> criminalità organizzata è più strutturata ed efficiente.<br />

Certo, oggi, le recenti riforme in materia di rafforzamento del carcere duro per i mafiosi<br />

e in materia di aggressione ai grandi patrimoni accumulati dalla criminalità organizzata<br />

consentono di ottenere risultati di gran lunga più efficienti rispetto anche al più<br />

recente passato.<br />

Ed è per questo che <strong>il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong> che si coglie in queste pagine è ancor più<br />

intenso che nel passato e renderà ai nostri giovani più semplice rifiutare quello che Paolo<br />

Borsellino efficacemente definì <strong>il</strong> puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, <strong>della</strong><br />

contiguità e quindi <strong>della</strong> complicità.<br />

Ma questo <strong>profumo</strong> di <strong>libertà</strong> serve anche a ricordare ai più giovani che tutto questo<br />

si è reso possib<strong>il</strong>e anche grazie al sacrificio ed al patrimonio di idee e di cultura giuridica<br />

e sociale elaborato da quegli uomini:<br />

idee che hanno cambiato le tecniche investigative;<br />

idee che hanno cambiato le procedure e l’organizzazione <strong>della</strong> Stato;<br />

idee che hanno cambiato la storia dei processi di mafia, trasformando le consuete assoluzioni<br />

per insufficienza di prove in severe ed irrevocab<strong>il</strong>i sentenze di condanna;<br />

11


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

idee che hanno cambiato, definitivamente, lo scetticismo e la sensib<strong>il</strong>ità del popolo<br />

sic<strong>il</strong>iano;<br />

idee che, in una parola, hanno cambiato in meglio <strong>il</strong> volto <strong>della</strong> Sic<strong>il</strong>ia e la Storia del<br />

nostro Paese;<br />

idee che nessuno riuscirà mai ad uccidere.<br />

12<br />

Angelino Alfano<br />

Ministro <strong>della</strong> Giustizia


Un patrimonio per i giovani<br />

Caro Ministro,<br />

<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

sono veramente lieto dell’iniziativa da Lei assunta di raccogliere in questo volume una<br />

serie di testimonianze e ricordi di mio padre e di Giovanni Falcone.<br />

Non mi sento ancora pronto, sebbene siano trascorsi più di diciassette anni dalla<br />

morte di mio padre, a tracciarne un ricordo per i tanti giovani a cui Lei ha voluto dedicare<br />

questo volume, giovani cui peraltro mi sento particolarmente legato, sia sotto <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o<br />

umano che sotto l'aspetto <strong>della</strong> "comunanza" di valori, cresciuti come me nella fede, nell'amore<br />

per la Patria (termine questo sempre più in disuso), per la famiglia e "permeati"<br />

da quegli ideali di giustizia per i quali mio padre, uomo dello Stato, si è sacrificato. Vorrei<br />

idealmente abbracciarli tutti, consapevole che moltissimi di loro, benché avessero pochi<br />

anni di vita in quel lontano ed infausto luglio del 1992, hanno "idealizzato" Paolo Borsellino,<br />

rendendo ogni giorno vivo <strong>il</strong> suo ricordo.<br />

E' un momento storico particolare, sembra che lo scenario in cui è maturata la decisione<br />

di assassinare mio padre possa schiarirsi da un momento all'altro grazie a nuove<br />

collaborazioni ed a particolari forse trascurati dagli investigatori in passato, ma ciò che<br />

oggi per me conta più di ogni altra cosa è l'omaggio alla memoria di mio padre che anche<br />

con questo libro gli avete voluto tributare "per non dimenticare" - come Lei ha scritto -<br />

"<strong>il</strong> significato prezioso del suo messaggio ai giovani sic<strong>il</strong>iani ed italiani".<br />

A questi giovani io voglio dire: non guardatevi indietro, fissate un obiettivo e fatelo<br />

vostro, non c'è di meglio nella vita che realizzarsi nel proprio lavoro e crescere i propri<br />

figli lasciando loro i patrimoni "morali" ereditati dai nostri padri. Mio padre mi diceva:<br />

non ti lascerò patrimoni o ricchezze, sono e voglio rimanere un um<strong>il</strong>e "servitore dello<br />

Stato", ma una grande "eredità morale" unita ad un archivio attraverso <strong>il</strong> quale potrai<br />

raccontare e far conoscere <strong>il</strong> "nonno" ai tuoi figli, <strong>il</strong> bene più prezioso che <strong>il</strong> Signore ci<br />

può donare.<br />

Manfredi Borsellino<br />

13


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

Introduzione<br />

Già nell’estate del 1991, con l’omicidio in Calabria di Antonino Scopelliti, uno dei<br />

tre magistrati che doveva sostenere l’accusa nel giudizio in Cassazione del maxiprocesso<br />

contro la mafia e con l’assassinio dell’ex sindaco di Palermo, l’europarlamentare Salvo<br />

Lima <strong>il</strong> 12 marzo, poco tempo prima delle elezioni politiche del 1992, si era creato un<br />

clima di particolare allarme e tensione.<br />

Dell’eliminazione di Lima, al quale, peraltro, i capi di Cosa Nostra attribuivano la<br />

colpa di non aver mantenuto la promessa di «aggiustare», come in passato, a loro favore<br />

le sentenze, che avevano resi definitivi gli ergastoli, lo stesso Falcone coglieva la portata<br />

eversiva, nel senso di una sostanziale rivoluzione dei rapporti tra mafia e politica, tant’è<br />

che commentando <strong>il</strong> delitto mi disse: «Adesso può succedere di tutto».<br />

I rapporti tra me e Giovanni Falcone, che mi aveva chiamato come collaboratore al<br />

ministero <strong>della</strong> Giustizia, erano diventati molto stretti, sotto <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o sia personale, che<br />

professionale e quindi capitava spesso che, nei fine settimana in cui rientrava a Palermo<br />

da Roma, mi offrisse un passaggio sull’aereo messo a sua disposizione per motivi di sicurezza.<br />

Così sarebbe dovuto avvenire anche <strong>il</strong> 23 maggio, se <strong>il</strong> destino non avesse deciso altrimenti.<br />

In origine, infatti, <strong>il</strong> programma prevedeva che partissimo venerdì 22, ma, intorno<br />

alle 14 di quel giorno, Giovanni mi chiamò per avvertirmi che la partenza era stata spostata<br />

al giorno dopo per aspettare sua moglie Francesca, la quale nella mattinata di sabato<br />

doveva partecipare a una riunione, convocata all’ultimo momento dal presidente <strong>della</strong><br />

commissione d’esame per uditori giudiziari, di cui faceva parte. Risposi a Falcone che lo<br />

ringraziavo, ma che se fossi riuscito a trovare un posto su un aereo di linea sarei partito<br />

prima: <strong>il</strong> caso volle che riuscissi a conquistare l’ultimo posto disponib<strong>il</strong>e, incerto fino al<br />

momento dell’imbarco, in quanto riservato ai parlamentari. Conservo ancora oggi <strong>il</strong> tagliando<br />

di quel check-in: imbarco alle ore 19.40 del 22 maggio, posto 1 L.<br />

Non ci sono parole per descrivere l’immenso dolore che provai quando, <strong>il</strong> giorno<br />

dopo, a casa, appresi dell’odioso e feroce attentato alla vita del mio caro amico e collega.<br />

14


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

Fui pervaso da un senso di incredulità, di nausea, di vuoto, di rabbia. Gridai più volte:<br />

vigliacchi, vigliacchi, assassini, assassini, maledetti, accompagnando queste parole con<br />

pugni sul muro. La TV aveva detto che ancora non era morto e nel recarmi all’ospedale<br />

civico farfugliavo: Giovanni hai resistito a tante avversità, a tante delegittimazioni, a tante<br />

prove, rimanendo ben saldo al timone <strong>della</strong> tua vita, <strong>della</strong> tua missione, non ci abbandonare,<br />

dai.., dai..che ce la fai. Purtroppo, quando arrivai, dopo minuti di attesa che<br />

sembravano un’eternità, la notizia che non c’era più niente da fare, che ogni speranza<br />

era svanita.<br />

Dinanzi alle cinque bare rivestite del tricolore, delle toghe e dei berretti degli agenti,<br />

giurai che la loro morte non sarebbe stata vana.<br />

Paolo Borsellino, che aveva condiviso con lui tanti momenti di lavoro e di vita privata<br />

e che, sebbene moralmente distrutto, si assunse <strong>il</strong> pesante fardello di proseguirne l’opera<br />

con la chiara consapevolezza che ne avrebbe condiviso <strong>il</strong> destino. Borsellino, infatti, era<br />

solito scherzare con Falcone dicendogli: «Giovanni, finché sei vivo tu io sto tranqu<strong>il</strong>lo».<br />

Si era buttato a capofitto nelle indagini, con ritmi massacranti e l’ansia di chi sa di condurre<br />

una vera lotta contro <strong>il</strong> tempo e non curandosi del pericolo che correva. Agli amici<br />

che gli consigliavano di andarsene da Palermo, di lasciare tutto, di far combattere ad altri<br />

la guerra contro la mafia, rispondeva con amarezza: «Non è un amico chi mi dà questi<br />

consigli. Gli amici sinceri sono quelli che condividono le mie scelte, i miei stessi ideali, i<br />

valori in cui credo. Come potrei fuggire, deludere le speranze dei cittadini onesti…?»<br />

Quando, a meno di due mesi, <strong>il</strong> 19 luglio, l’autobomba lasciata in via d’Amelio, sotto<br />

la casa di sua madre, d<strong>il</strong>aniò le membra di Borsellino, mi trovavo a Roma e mi recai immediatamente<br />

a Palermo insieme al ministro Martelli. Dopo la notte passata in Prefettura con<br />

i più alti vertici dello Stato, conclusasi con l’immediato trasferimento a Pianosa e all’Asinara<br />

dei detenuti dell’Ucciardone, ebbi <strong>il</strong> compito di aspettare a Roma Fiammetta, la figlia di<br />

Borsellino, che doveva rientrare dalla Tha<strong>il</strong>andia, ove si trovava in vacanza con amici di famiglia,<br />

per accompagnarla al più presto, in tempo per i funerali, a Palermo. Quando alle<br />

prime luci di un’alba tinta di rosa sorvolammo la città, <strong>il</strong> suo mare, i suoi dintorni, mi colse<br />

una struggente emozione ed in insieme una rabbia infinita, nel pensare come tanta bellezza<br />

potesse sprigionare tanta violenza, tanto male, tanti lutti, tanto sangue.<br />

Ancora ho negli occhi e nella mente, in chiesa, durante i funerali, la rivolta, <strong>il</strong> tentativo<br />

di aggressione fisica dei rappresentanti delle istituzioni da parte di cittadini esasperati,<br />

assetati di giustizia.<br />

Perché <strong>il</strong> sangue di Falcone e Borsellino non sia stato versato invano si impone all’attenzione<br />

di tutti la costante presenza, la pericolosità e l’attualità del fenomeno mafioso.<br />

<strong>Il</strong> loro sacrificio rimane un monito alle coscienze di tutti gli italiani.<br />

15


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

Perché sono morti? Erano dei sognatori, degli idealisti, degli utopisti? Forse!<br />

Certamente sono la testimonianza di chi ha pagato con la vita <strong>il</strong> sogno di un Paese<br />

migliore, liberato dalle troppe ingiustizie e <strong>il</strong>legalità.<br />

Mi ritrovo spesso, quando <strong>il</strong> lavoro me lo consente, nelle scuole, nelle università a<br />

parlare con i giovani, a cercare di trasmettere loro quei valori che possano aiutarli a costruire<br />

<strong>il</strong> loro futuro, <strong>il</strong> futuro del mondo.<br />

I giovani sono, da sempre, i più sensib<strong>il</strong>i nel recepire tutto ciò che promana da scelte<br />

esistenziali forti, da esempi di vita. Ascoltano più volentieri i testimoni che i maestri. <strong>Il</strong><br />

maestro sale in cattedra addita una via, un ideale da seguire, <strong>il</strong> testimone vive questo<br />

ideale sulla propria pelle, lo fa suo senza paura di mettersi sempre in gioco, di rischiare <strong>il</strong><br />

tutto per tutto. Ad una opinione, ad una teoria se ne può contrapporre un’altra, ma chi<br />

potrà mai confutare una vita, fatti e comportamenti concreti? Ecco perché i migliori maestri,<br />

coloro che riescono ad infondere la “cultura”, sono anche dei testimoni che con <strong>il</strong><br />

loro esempio mostrano di condividere e praticare le idee, gli ideali, i valori che propugnano.<br />

Cerchiamo, dunque, noi adulti di essere <strong>il</strong> più possib<strong>il</strong>e credib<strong>il</strong>i e coerenti per<br />

avvicinarci ad essere dei veri testimoni.<br />

Perché, vedete, cari ragazzi, cultura <strong>della</strong> legalità è qualcosa di più <strong>della</strong> semplice osservanza<br />

delle leggi, delle regole; è un sistema di principi, di idee, di comportamenti, che<br />

deve tendere alla realizzazione dei valori <strong>della</strong> persona, <strong>della</strong> dignità dell’uomo, dei diritti<br />

umani, dei principi di <strong>libertà</strong>, eguaglianza, democrazia, verità, giustizia come metodo di<br />

convivenza civ<strong>il</strong>e.<br />

La cultura, la conoscenza aprono la nostra mente alla riflessione ed al coraggio, al rispetto<br />

degli altri e alla tolleranza; ci rendono migliori, ci rendono più liberi.<br />

Nessun regime autoritario potrà mai fermare <strong>il</strong> nostro pensiero.<br />

La legalità è la forza dei deboli, delle vittime dei soprusi e delle violenze dei ricatti del<br />

potere.<br />

Perché la mafia attenta a tutti questi valori, perché è violenza, sopraffazione, intimidazione,<br />

prevaricazione, collusione, corruzione, compromesso, contiguità complicità.<br />

La mafia è eclissi di legalità.<br />

Forte e diffuso è <strong>il</strong> rischio di un assordante s<strong>il</strong>enzio, <strong>della</strong> disattenzione, dello sconforto,<br />

<strong>della</strong> rassegnazione, <strong>della</strong> rimozione, del rifugio nel mito di martiri ed eroi in una<br />

oleografia staccata dalla realtà di oggi.<br />

Finché la mafia esiste bisogna ricordarlo, parlarne, discuterne, reagire.<br />

<strong>Il</strong> s<strong>il</strong>enzio è l’ossigeno grazie al quale i sistemi criminali, la pericolosissima simbiosi<br />

di mafia economia e potere, si rafforzano, si riorganizzano.<br />

I s<strong>il</strong>enzi di oggi saremo destinati a pagarli più duramente domani, con una mafia sem-<br />

16


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

pre più forte, con cittadini sempre meno liberi.<br />

Come Procuratore Nazionale Antimafia non posso che pensare alla repressione, con<br />

tutte le mie forze, con tutto <strong>il</strong> mio impegno, di tutti i traffici <strong>il</strong>leciti, di tutte le mafie nazionali<br />

e straniere, dovunque si trovino, ma oggi ho bisogno anche <strong>della</strong> collaborazione<br />

<strong>della</strong> società tutta e dei giovani in particolare.<br />

Io sto dalla parte dell’antimafia concreta, dell’antimafia <strong>della</strong> repressione e dell’antimafia<br />

che chiede consenso e aiuto a tutte le altre componenti <strong>della</strong> società, dell’antimafia<br />

<strong>della</strong> speranza.<br />

Oggi abbiamo la piena conoscenza <strong>della</strong> realtà sociale in cui viviamo e del suo condizionamento<br />

da parte di tanti fattori come la mafia e nessuno può più accampare alibi.<br />

Oggi si può, si deve, scegliere da che parte stare.<br />

Ho tanti altri meravigliosi esempi positivi, che ci infondono speranza.<br />

Una donna era stata arrestata perché, approfittando dei colloqui in carcere, portava<br />

alla cosca mafiosa, di cui <strong>il</strong> marito faceva parte, i suoi messaggi, le sue direttive. Questa<br />

donna aveva due figlie di undici e tredici anni che andavano a scuola in un paesino <strong>della</strong><br />

Sic<strong>il</strong>ia, le quali furono chiamate a svolgere a scuola un percorso sulla legalità proprio nel<br />

momento in cui avevano entrambi i genitori detenuti per mafia. Le ragazzine si sentivano<br />

in imbarazzo, estranee, fuori dal contesto, etichettate come se anche loro fossero mafiose,<br />

sol perché avevano i genitori in carcere. Quando la madre ottenne gli arresti domic<strong>il</strong>iari<br />

e tornò a casa, le due bambine le imposero di collaborare con la giustizia anche a costo<br />

di accusare <strong>il</strong> loro padre dei gravi delitti di cui la donna era a conoscenza. La madre si<br />

convinse, naturalmente entrarono in un programma di protezione perché non potevano<br />

più restare in Sic<strong>il</strong>ia. Sono andate al Nord, hanno studiato e ancora oggi continuano a<br />

costruirsi un futuro migliore. Grazie all’impegno di professori e maestri, l’educazione<br />

alla legalità ha prodotto e riesce a produrre questi risultati, che testimoniano una rivoluzione<br />

culturale senza precedenti. Altro esempio: alcune associazioni giovan<strong>il</strong>i di sinistra<br />

toscane, avendo saputo che la mafia aveva danneggiato colture e distrutto attrezzature<br />

delle cooperative di Libera che coltivano i terreni confiscati alla mafia in quel di Corleone,<br />

hanno organizzato una serie di cene di beneficenza, col cui ricavato hanno loro donato<br />

un trattore, simbolo di un’antimafia fatta non solo di marce, di fiaccolate, ma di azioni<br />

concrete.<br />

Ci sono poi tante altre iniziative, tanti cambiamenti che lasciano ben sperare: ci sono<br />

associazioni di imprenditori che denunciano <strong>il</strong> racket, Confindustria sic<strong>il</strong>iana e nazionale<br />

pronta ad espellere chi sottosta all’estorsione, Libera, che raccoglie tutte le associazioni<br />

antimafia e le vittime <strong>della</strong> mafia, gli altri movimenti antimafia, come la fondazione Falcone,<br />

la fondazione Caponnetto, la fondazione Borsellino, Riferimenti in Calabria, ed<br />

17


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

altre iniziative del genere promosse nel Paese. I giovani di Addio Pizzo a Palermo, ingegnosi<br />

inventori del consumo critico: “non pago chi paga” (<strong>il</strong> pizzo alla mafia), i giovani<br />

contro <strong>il</strong> racket e la camorra a Napoli, studenti di scuole e università del centro-nord che<br />

hanno creato una rete telematica virtuosa e virtuale che attraversa tutta Italia, per dare<br />

solidarietà ai ragazzi del Sud, che vivono in contesti molto più diffic<strong>il</strong>i.<br />

Questi meravigliosi esempi sono la nostra speranza.<br />

Io, a mia volta, ho i miei punti di riferimento, e ben saldi, nel ricordo di due miti,<br />

due eroi, due colleghi che sento sempre accanto a me, non soltanto nei giorni <strong>della</strong> ricorrenza<br />

del loro estremo sacrificio: sono Falcone e Borsellino, sono coloro che mi aiutano,<br />

col loro esempio, a resistere nei momenti in cui sembra che tutto sia perduto, che<br />

bisogna ricominciare tutto daccapo, dopo che hai dato tutto te stesso per raggiungere un<br />

risultato.<br />

Al Presidente <strong>della</strong> Corte di Assise che lo interrogava nel corso del processo per la<br />

strage di Capaci, Buscetta riferì che Falcone, a lui che prevedeva che sarebbe stato preso<br />

per pazzo e che non sarebbero sopravvissuti a quell’avventura, ripeteva sempre: “non importa<br />

dopo di me ci saranno altri magistrati che continueranno”.<br />

<strong>Il</strong> valore del sacrificio <strong>della</strong> vita di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino non si dovrà<br />

mai disperdere, ci lasciano un testamento spirituale, una pesante eredità, un patrimonio<br />

morale di equ<strong>il</strong>ibrio, di coraggio, di serietà, di rigore, di umanità e di professionalità, che<br />

oggi ci impegna tutti a continuare con tutte le proprie forze, professionali, intellettuali e<br />

morali per tentare di rendere migliore <strong>il</strong> nostro Paese.<br />

18<br />

Piero Grasso<br />

Procuratore Nazionale Antimafia


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

You increase your luck with cooperation<br />

Rudolph W. Giuliani ricorda Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.<br />

Intervista di Stefano Amore<br />

“La giustizia americana ha un grosso debito con lui: ci ha molto aiutato nella lotta<br />

contro Cosa Nostra. E’ grazie a uomini come lui che siamo riusciti a infliggere delle<br />

sconfitte all’asse Palermo-New York”. Così Lei ricordava Giovanni Falcone in un intervista,<br />

pubblicata sul quotidiano “La Repubblica” del 24 maggio 1992, in cui è descritta<br />

tutta la sua emozione e <strong>il</strong> suo dolore nell’apprendere la notizia <strong>della</strong> strage. <strong>Il</strong><br />

suo rapporto con Giovanni Falcone era, evidentemente, molto profondo. Ci può raccontare<br />

come vi eravate conosciuti?<br />

<strong>Il</strong> primo incontro tra me e Falcone credo che risalga al 1985 o al 1986 ed è avvenuto<br />

nell’ufficio dello United States Attorney. Giovanni era negli Stati Uniti con altri magistrati<br />

italiani per avviare la collaborazione nel caso “Pizza Connection” e condividere le<br />

informazioni che avevamo raccolto sulla mafia. La situazione era tale che quando abbiamo<br />

iniziato le indagini per <strong>il</strong> caso “Pizza Connection” avevamo <strong>il</strong> problema di dover trascrivere<br />

alcune conversazioni telefoniche in dialetto sic<strong>il</strong>iano. Ma non avevamo interpreti<br />

che lo sapessero fare, così siamo stati costretti a organizzare un corso per farglielo imparare.<br />

Proprio questo rapporto così stretto tra mafia americana e mafia sic<strong>il</strong>iana ci ha fatto<br />

comprendere che per ottenere dei risultati bisognava creare una stab<strong>il</strong>e collaborazione<br />

con l’autorità giudiziaria italiana.<br />

Le famiglie mafiose di New York e di Chicago lavoravano solitamente ognuna per<br />

conto proprio e solo raramente organizzavano qualche affare insieme. Ma in questo caso<br />

era diverso. I rapporti tra mafia sic<strong>il</strong>iana e mafia americana erano talmente forti che non<br />

si riusciva neppure a capire chi comandava veramente. Per questa ragione è iniziata la<br />

collaborazione con i magistrati italiani e così ho incontrato per la prima volta Giovanni<br />

Falcone.<br />

Che tipo di rapporti esistevano all’epoca tra l’autorità giudiziaria statunitense e<br />

quella italiana? Vi erano già stati episodi significativi di cooperazione per combattere<br />

la mafia o, anche sotto questo prof<strong>il</strong>o, Falcone fu un precursore?<br />

A presentarmi Falcone fu Louis Freeh, un collega, poi divenuto Capo dell’F.B.I., che<br />

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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

già lavorava con i magistrati italiani. Falcone divenne presto nostro ospite abituale.<br />

C’erano sempre 5, 6 italiani nei nostri uffici, non solo magistrati, ma anche poliziotti.<br />

La polizia italiana ci aiutava ad analizzare le informazioni che avevamo acquisito, ci spiegava<br />

<strong>il</strong> senso di certi riferimenti e noi facevamo lo stesso con loro per la parte americana.<br />

In questo modo abbiamo sv<strong>il</strong>uppato, molto rapidamente, un rapporto molto stretto.<br />

Questa collaborazione si è poi ulteriormente rafforzata quando Gaetano Badalamenti<br />

venne arrestato in Spagna. C’erano richieste di estradizione da parte sia dell’Italia che<br />

degli Stati Uniti, così io e Louis Freeh, su consiglio di Giovanni Falcone, andammo in<br />

Italia, per fare un accordo che consentisse di superare i conflitti che c’erano stati in passato.<br />

Riuscimmo a concludere una convenzione con <strong>il</strong> Ministero <strong>della</strong> Giustizia e con <strong>il</strong><br />

Ministero dell’Interno italiani che consentiva di far entrare Badalamenti nel programma<br />

americano di protezione testimoni (American Witness Protection Program). Per concludere<br />

questo accordo fu determinante l’aiuto dell’Ambasciatore Raab, che all’epoca godeva<br />

di un grande prestigio presso <strong>il</strong> governo italiano.<br />

E’ diffic<strong>il</strong>e descrivere l’intensità del rapporto che si era creato. I magistrati italiani<br />

erano sempre negli Stati Uniti, <strong>il</strong> mio collega Dick Martin, uno dei pubblici ministeri di<br />

Pizza Connection, faceva continuamente la spola con l’Italia. Non ho più visto una collaborazione<br />

così forte nel settore giudiziario.<br />

La cooperazione giudiziaria internazionale rappresenta oggi <strong>il</strong> presupposto fondamentale<br />

per combattere una criminalità sempre meglio organizzata e coordinata. Alle<br />

organizzazioni criminali tradizionali si sono aggiunte oggi quelle terroristiche. Cosa si<br />

può fare, secondo Lei, per migliorare ancora di più la cooperazione giudiziaria e di polizia<br />

tra Stati Uniti e Europa?<br />

Dopo l’11 Settembre la cooperazione tra l‘Europa e gli USA è molto migliorata. I<br />

servizi di intelligence oggi collaborano e condividono le informazioni anche quando le<br />

posizioni politiche dei governi non sono le stesse. In particolare, <strong>il</strong> rapporto tra Italia e<br />

Usa continua ad essere molto stretto. Naturalmente, se per contrastare <strong>il</strong> terrorismo si<br />

facesse quello che abbiamo fatto, insieme a Falcone e a Borsellino, per combattere la<br />

mafia, sarebbe tutto più fac<strong>il</strong>e. Bisognerebbe, cioè, lavorare fianco a fianco, nello stesso<br />

ufficio, creare un pool di persone, di tutte le nazioni, in grado non solo di veicolare le<br />

informazioni, ma di farne comprendere la portata e <strong>il</strong> senso. Spesso le informazioni ricevute<br />

vengono fraintese o sottovalutate nella loro importanza, cosa che non accadrebbe se<br />

fosse possib<strong>il</strong>e parlare e confrontarsi.<br />

Nonostante <strong>il</strong> grande sforzo di collaborazione tra i servizi americani e quelli europei<br />

e gli ottimi risultati conseguiti, si potrebbe forse fare ancora di più creando apposite strutture<br />

che consentano di lavorare insieme. Negli Stati Uniti la creazione <strong>della</strong> Joint Terro-<br />

21


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

rism Task Force (JTTF), che coordina tutte le agenzie e forze di polizia (- ne fanno parte<br />

oltre l’F.B.I. : U.S. Coast Guard Investigative Service, U.S. Immigration and Customs<br />

Enforcement, U.S. Customs and Border Protection, la Transportation Security Administration,<br />

U.S. Secret Service, <strong>il</strong> Department of State’s Diplomatic Security Service (DSS)),<br />

le forze di polizia statali e locali e la polizia stradale - ) ha dato eccellenti risultati, perché<br />

consente una valutazione incrociata delle informazioni e impone a tutti di lavorare nello<br />

stesso ufficio. Riuscire a sventare un attentato, come quello di Times Square <strong>della</strong> scorsa<br />

settimana, è anche questione di fortuna, ma la fortuna aumenta con la cooperazione.<br />

Torniamo al suo rapporto e alla sua amicizia con Falcone. Ci può raccontare qualche<br />

particolare inedito relativo al vostro rapporto?<br />

Certo. Mi ricordo di una volta che l’ho visto dalla finestra del mio ufficio, mentre<br />

camminava in Piazza San Andrea con un berretto dei New York Yankees in testa, circondato<br />

da alcuni colleghi. Allora sono sceso dall’ottavo piano per andargli incontro. L’ho<br />

raggiunto che era ancora in piazza, con questo cappellino, e mi è venuto spontaneo chiedergli:<br />

“ma cosa fai con <strong>il</strong> berretto degli Yankees?” Falcone allora mi guarda e mi risponde<br />

che sta cercando di imparare le regole del baseball, aiutato da uno dei miei assistenti. Mi<br />

è venuto naturale dirgli che i miei assistenti erano dei bravissimi giuristi, che sapevano<br />

tutto <strong>della</strong> legge, ma che <strong>il</strong> baseball lo conoscevo meglio io.<br />

Così, da allora, nelle pause di lavoro lui veniva nel mio ufficio per parlare di baseball!<br />

Ricordo che una volta gli ho disegnato uno schema del gioco, con <strong>il</strong> diamante, le quattro<br />

basi e <strong>il</strong> monte di lancio, cercando di spiegargli come funzionava. Falcone faceva fatica a<br />

comprendere <strong>il</strong> concetto di “foul ball”, e cioe’ che la palla doveva entrare tra le righe del<br />

diamante e quelle del fuori campo per essere considerata a “fair ball”, cioè per rimanere<br />

una palla in gioco. Ma quella che a Giovanni proprio non piaceva era la regola per cui <strong>il</strong><br />

foul viene conteggiato come strike solo fino al secondo. Dopodichè, <strong>il</strong> battitore può continuare<br />

a battere foul all’infinito, senza che questo porti alla sua eliminazione. Questa<br />

regola a Falcone proprio non piaceva, soprattutto perché, a suo parere, allungava troppo<br />

i tempi <strong>della</strong> partita. Al di là degli scherzi, ricordo un uomo che amava molto <strong>il</strong> suo paese,<br />

l’Italia, e la sua terra, la Sic<strong>il</strong>ia. Quando parlava <strong>della</strong> Sic<strong>il</strong>ia si emozionava e insisteva<br />

sempre su un concetto: che la Sic<strong>il</strong>ia si doveva modernizzare e che alla base del suo mancato<br />

sv<strong>il</strong>uppo c’era la mafia. Secondo Falcone la mafia aveva impedito non solo lo sv<strong>il</strong>uppo<br />

e la modernizzazione <strong>della</strong> Sic<strong>il</strong>ia, ma anche la crescita dell’Italia come nazione<br />

moderna. A suo parere solo sconfiggendo la mafia l‘Italia sarebbe tornata ad essere una<br />

nazione all’avanguardia nel mondo.<br />

Falcone è ricordato anche come un magistrato estremamente corretto. Qualche<br />

tempo fa un collega mi rammentava lo scrupolo che poneva nel formulare le domande<br />

22


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

ai collaboratori di giustizia e nel trascriverne (lo faceva personalmente) le risposte. Le<br />

sue domande evitavano, sempre, suggestioni ed erano per lo più tese ad approfondire<br />

fatti o responsab<strong>il</strong>ità di persone di cui <strong>il</strong> dichiarante aveva già parlato. Le dichiarazioni<br />

rese dai pentiti, Falcone ne era consapevole, debbono essere valutate con grande prudenza<br />

in quanto uno degli scopi <strong>della</strong> criminalità organizzata può essere proprio quello<br />

di fuorviare le indagini, anche per indebolire le istituzioni, minandone la credib<strong>il</strong>ità.<br />

Qual è la sua opinione sui pentiti e sulla loro ut<strong>il</strong>ità nei processi di mafia?<br />

La mia opinione e’ che i pentiti rappresentano un elemento da cui non si può prescindere<br />

per combattere efficacemente la mafia e, anche, <strong>il</strong> terrorismo. Negli Stati Uniti<br />

li chiamiamo “Topi di fogna”, ma ald<strong>il</strong>à del nomignolo, certamente meno gent<strong>il</strong>e di<br />

quello italiano, la sostanza non cambia. Chiamare “pentiti” queste persone forse è meglio,<br />

perché può stimolare un processo di reale cambiamento, facendo percepire loro che la<br />

scelta di cambiare vita, di non uccidere più, può riconc<strong>il</strong>iarli realmente con la società. A<br />

questo proposito mi viene in mente un episodio,<strong>il</strong> caso di una persona che all’inizio non<br />

voleva collaborare, soprattutto perché non se la sentiva di tradire i suoi amici e colleghi.<br />

La discussione che ebbi con lui fu animatissima e sembrava che non ci fosse modo per<br />

fargli cambiare idea. Poi, a un certo punto, gli chiesi se voleva veramente che i suoi figli<br />

facessero la stessa fine, crescendo in un mondo dove si uccideva gente innocente. Mi rispose<br />

di no e si convinse, finalmente, che per respingere quel tipo di vita, per dare una<br />

speranza ai suoi figli, doveva avere <strong>il</strong> coraggio di tradire chi lo aveva spinto ad uccidere.<br />

Sotto <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o psicologico, <strong>il</strong> termine “pentiti” che usate in Italia per indicare questi<br />

collaboratori è, veramente, <strong>il</strong> migliore. Perché tiene conto del fatto che gli esseri umani<br />

possono fare cose terrib<strong>il</strong>i, ma che tutti hanno in sé la forza di redimersi, se lo vogliono<br />

veramente. Sotto un prof<strong>il</strong>o pratico, l’importanza dei pentiti è poi evidente se si riflette<br />

sul fatto che è quasi impossib<strong>il</strong>e condurre con successo delle indagini su una organizzazione<br />

segreta, come è la mafia, senza l’aiuto di qualcuno che ne faccia o ne abbia fatto<br />

parte. Per <strong>il</strong> terrorismo vale lo stesso ragionamento.<br />

Tutto <strong>il</strong> lavoro di Falcone e di Borsellino, tutto <strong>il</strong> nostro lavoro, sarebbe stato, almeno<br />

in parte, inut<strong>il</strong>e, se non avessimo avuto la collaborazione di alcuni “pentiti”, che con le<br />

loro dichiarazioni ci hanno permesso di ricostruire le dinamiche dei crimini commessi<br />

dalla mafia. Riuscire a convincere queste persone a collaborare è stata la vera chiave del<br />

successo di molte delle indagini condotte in quegli anni.<br />

Durante l’operazione chiamata “Pizza connection” si scoprì che l’eroina prodotta<br />

a Palermo veniva venduta nelle pizzerie di molte città degli Stati Uniti e che gran parte<br />

dei profitti veniva non solo reinvestito nel settore <strong>della</strong> droga, ma anche ut<strong>il</strong>izzato per<br />

finanziare importanti operazioni immob<strong>il</strong>iari. Falcone attribuiva grande importanza<br />

23


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

alle indagini bancarie e patrimoniali. Lei che è stato anche Sindaco di una grande città<br />

come New York ed è noto in tutto <strong>il</strong> mondo per avere, con la Sua “tolleranza zero”,<br />

sconfitto la violenza in questa grande metropoli, potrebbe suggerire una formula efficace<br />

di “tolleranza zero” anche nei confronti dei grandi investimenti patrimoniali <strong>della</strong><br />

mafia? Come si può impedire, una volta per tutte, che la mafia possa investire i proventi<br />

delle sue attività criminali in banche, ospedali, programmi ed<strong>il</strong>izi? Come si può impedire<br />

che metta le sue mani sulle città? Negli Stati Uniti cosa si fa per combattere questo<br />

fenomeno?<br />

Prima di tutto va fatta una precisazione. “Tolleranza zero” e’ <strong>il</strong> modo europeo per definire<br />

quello che facevo: non tollerare nessun tipo di crimine, anche quelli meno gravi, a<br />

cominciare dai piccoli atti di vandalismo e di danneggiamento. Poi va chiarito che non<br />

ho sconfitto la criminalità di New York, l’ho solo ridotta, in modo significativo, del 50/60<br />

per cento. Sconfiggere la criminalità per sempre credo sia impossib<strong>il</strong>e, perché <strong>il</strong> male fa<br />

parte <strong>della</strong> natura dell’uomo. Ma certamente è possib<strong>il</strong>e contenerla in modo significativo<br />

ed è questo quello che ho fatto a New York.<br />

Sono poi completamente d’accordo sul fatto che le misure che incidono sugli investimenti<br />

e sui patrimoni <strong>della</strong> mafia sono molto più efficaci del carcere.<br />

Lo statuto Rico (Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act) ha permesso<br />

negli Stati Uniti non solo di condannare i mafiosi, ma anche di confiscare le società in<br />

cui avevano investito i proventi dei loro crimini. Senza queste misure i procedimenti giudiziari<br />

avrebbero prodotto solo un avvicendamento tra i vecchi capi, quelli arrestati e<br />

condannati, ed i nuovi. Si sarebbero arrestate e condannate persone, ma non sarebbe<br />

cambiato nulla. Confiscando i soldi, le società e le proprietà immob<strong>il</strong>iari <strong>della</strong> mafia abbiamo,<br />

invece, messo in ginocchio queste organizzazioni criminali. Negli Stati Uniti la<br />

mafia si era impadronita del mercato del pesce, di aziende di abbigliamento, dell’intera<br />

industria del trasporto dei rifiuti di New York. Ebbene, tutte le società e imprese su cui<br />

la mafia aveva messo le mani, le abbiamo confiscate e poi vendute. E colpendo la mafia<br />

nelle sue attività economiche ne abbiamo ridotto, in modo sensib<strong>il</strong>e, l’influenza nella società.<br />

Questo modo di procedere andrebbe applicato anche nei confronti delle organizzazioni<br />

terroristiche. Se privi delle risorse economiche i terroristi, per loro sarà molto più<br />

diffic<strong>il</strong>e organizzare un attentato. La persona che è stata arrestata per l’attentato di Times<br />

Square non aveva i soldi per pagarsi una casa, ma ha portato negli USA 80.000 dollari.<br />

Chi glieli ha dati? Scoprire chi lo ha finanziato è <strong>il</strong> primo passo per impedire che si possano<br />

organizzare altri attentati.<br />

So che Le sto per fare una domanda dolorosa. Cosa ha provato quando ha saputo<br />

24


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

delle stragi di Capaci e di Via d’Amelio? Che impatto hanno avuto quelle stragi sull’opinione<br />

pubblica e sul mondo politico statunitense?<br />

Ne sono rimasto sconvolto. E’ veramente diffic<strong>il</strong>e parlare del dolore che ho provato…<br />

... Avevo incontrato Falcone, per l’ultima volta, alcuni mesi prima, nel 1991 credo. Sarei<br />

dovuto andare a ritirare un premio in Sic<strong>il</strong>ia e ne ero felicissimo, perché desideravo molto<br />

poter visitare la Sic<strong>il</strong>ia. Ma non fu possib<strong>il</strong>e.<br />

Prima venne <strong>il</strong> Console Generale d’Italia a New York a consigliarmi di ricevere <strong>il</strong> premio<br />

nella sede del Consolato, poi l’F.B.I. mi fece sapere che <strong>il</strong> governo italiano non voleva<br />

che io andassi in Sic<strong>il</strong>ia perché lo reputava troppo pericoloso. Così, alla fine, si decise che<br />

mi avrebbero premiato a Roma.<br />

Mi ricordo distintamente che, non appena in Italia, parlai di questa vicenda con Falcone,<br />

facendogli notare che se era pericoloso andare in Sic<strong>il</strong>ia per me, per lui lo era dieci<br />

volte di più. “ Si, ma e’ lì che vivo, lo sai” mi rispose, aggiungendo poi una frase del tipo:<br />

“Ma se succede, lo capisco”. Forse era una sorta di fatalismo o forse era la fiducia che<br />

aveva nella sua volontà e <strong>il</strong> desiderio fortissimo di riuscire, anche a prezzo <strong>della</strong> vita, a<br />

sconfiggere per sempre <strong>il</strong> cancro <strong>della</strong> mafia. Cosi’ quando ho saputo <strong>della</strong> sua morte, di<br />

quella di Borsellino, di quelle terrib<strong>il</strong>i stragi, ero sconvolto, ma non posso dire che fossi<br />

veramente sorpreso.<br />

So di dire una cosa terrib<strong>il</strong>e, ma credo che solo lasciando l’Italia Falcone avrebbe avuto<br />

la possib<strong>il</strong>ità di salvarsi. Lui aveva inferto colpi gravissimi alla mafia, ma erano rimasti in<br />

piedi i mafiosi più violenti, quelli più disperati. Negli Stati Uniti noi non abbiamo mai<br />

corso gli stessi rischi. I miei assistenti venivano minacciati, io stesso sono stato minacciato<br />

molte volte ed abbiamo sempre preso molto sul serio la possib<strong>il</strong>ità di essere oggetto di<br />

attentati. Ma debbo dire, molto onestamente, che ritenevo estremamente improbab<strong>il</strong>e<br />

che la mafia americana potesse decidere di uccidere uno United States Attorney, o un assistente<br />

di uno United States Attorney o un agente dell’FBI. La mafia americana aveva<br />

ed ha delle regole. Non uccidono né giudici, né pubblici ministeri, né poliziotti, perché<br />

sanno che le conseguenze per loro sarebbero gravissime. Nel 1986, quando ero US Attorney,<br />

venne ucciso a New York <strong>il</strong> Detective Venditti, ma fu la stessa mafia a consegnarci<br />

gli assassini.<br />

La mafia sic<strong>il</strong>iana aveva un approccio totalmente diverso: uccidevano giudici, uccidevano<br />

poliziotti. Potevano fare quello che volevano e lo sapevano. Ammiravo enormemente<br />

<strong>il</strong> coraggio di Falcone e di Borsellino, perché affrontavano, ogni giorno, pericoli<br />

enormi. Tutto questo per dire che non ero sorpreso quando ho saputo delle stragi. Ero<br />

sconvolto, ma non ero sorpreso.<br />

Da quelle stragi sono trascorsi quasi vent’anni. Paolo Borsellino immaginava che<br />

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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

la mafia sarebbe svanita come un incubo se i giovani le avessero negato <strong>il</strong> loro consenso.<br />

<strong>Il</strong> qualunquismo culturale, la crisi di valori caratteristica <strong>della</strong> nostra epoca non aiutano<br />

i giovani e sono, probab<strong>il</strong>mente, i migliori alleati <strong>della</strong> mafia e delle grandi organizzazioni<br />

criminali. Cosa si può fare, secondo Lei, per aiutare i giovani a rifiutare la mafia,<br />

<strong>il</strong> denaro fac<strong>il</strong>e, la violenza?<br />

Basterebbe avere una buona famiglia, dei buoni genitori. Purtroppo <strong>il</strong> governo puo’<br />

contribuire all’educazione dei giovani, ma non puo’ assicurare una madre e un padre che<br />

diano ai figli dei sani principi ! Così in Sic<strong>il</strong>ia la mafia si è trasmessa di generazione in<br />

generazione, anche se oggi scopriamo che in Calabria e in Campania le cose vanno anche<br />

peggio... Questo perché in Sic<strong>il</strong>ia si sono investite risorse, perché ci sono stati uomini<br />

come Falcone e Borsellino che hanno dato la loro vita per consentire a quella terra di<br />

fare un passo in avanti. Per sconfiggere la criminalità organizzata, per sconfiggere le mafie,<br />

è necessaria però una strategia complessiva, fatta di molti interventi. Devi fare le indagini,<br />

devi mettere in prigione i mafiosi e confiscare i loro beni, ma devi anche diffondere la fiducia<br />

nello Stato e incoraggiare le famiglie a dare ai figli un’educazione ricca di valori.<br />

A me hanno insegnato, quando ero molto giovane, che la mafia e’ una cosa molto<br />

brutta per gli italiani, ma allo stesso tempo, mi hanno insegnato a non essere vittima di<br />

questa situazione. Prima che divenissi U.S. Attorney, nel dipartimento di Giustizia non<br />

si poteva neppure pronunciare la parola mafia ! Lo aveva proibito <strong>il</strong> Procuratore Generale<br />

Mitchell, perche’ gruppi di italoamericani si erano lamentati di essere “additati” dalla<br />

gente come mafiosi. La verità non era questa però. La verità era che gli italoamericani<br />

consentivano alla mafia di continuare a comandare, di compiere crimini. Gli italiani non<br />

godevano di buona fama non tanto perché la gente fosse prevenuta nei loro confronti,<br />

quanto perché non facevamo abbastanza per prendere le distanze dalla mafia. Invece di<br />

difendere quella piccola percentuale di italiani effettivamente legati alle organizzazioni<br />

criminali, li avremmo dovuti combattere senza dar loro tregua, in modo da dimostrare<br />

che gli italiani sono i primi e più implacab<strong>il</strong>i nemici <strong>della</strong> mafia. Questa idea, che ho sv<strong>il</strong>uppato<br />

e ho cercato di attuare durante tutto <strong>il</strong> corso <strong>della</strong> mia vita, non l’ho appresa da<br />

solo. Me l’hanno insegnata i miei genitori ed è penetrata profondamente in me. Solo una<br />

famiglia sana e una buona educazione possono condurre a certi risultati.<br />

Un’ultima domanda. In Italia <strong>il</strong> sacrificio di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino<br />

ha spinto moltissimi giovani ad entrare in magistratura e nelle forze di polizia. Cosa<br />

consiglierebbe, oggi, a un ragazzo che vuole diventare magistrato?<br />

Penso che sia una grande professione e penso che i giovani possano dare un enorme<br />

contributo. I magistrati con cui ho lavorato in Italia erano estremamente coraggiosi e<br />

molto capaci. Erano persone di grande intelligenza, avevano un’eccellente preparazione<br />

26


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

e un enorme talento. Mi hanno insegnato molto e mi hanno fatto conoscere un sistema<br />

molto diverso da quello statunitense. Un sistema ricco di regole già nella fase investigativa<br />

che consente, proprio per questo, di affrontare <strong>il</strong> dibattimento nel migliore dei modi.<br />

27


Una domenica particolare<br />

<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

Quella domenica, come quasi tutte le domeniche, mi ero recato da Siracusa a Noto<br />

per andare a trovare mia madre che viveva da sola. Nel pomeriggio, salito su una sedia,<br />

stavo attaccando un quadro alla parete del piccolo soggiorno volgendo le spalle alla televisione<br />

accesa. Sentivo bene la voce che giungeva dalla televisione, ma ne vedevo le immagini<br />

con la coda dell’occhio. Misi a fuoco in un attimo ciò che stavo ascoltando e che<br />

stavo per vedere. Rimasi per qualche infinito istante incredulo e impietrito. Non poteva<br />

essere, dopo meno di due mesi: prima Giovanni ora Paolo. Scesi dalla sedia e su di essa<br />

mi sedetti per guardare le immagini che scorrevano sul video; la mia mente offuscata iniziò<br />

a frullare <strong>il</strong> dolore, <strong>il</strong> pianto, la collera e i ricordi. Tutto è rimasto impresso per sempre.<br />

La scena descritta è banale, lo so, e i sentimenti di quel momento furono gli stessi per<br />

chissà quante persone, colleghi e amici. Ma quella scena e quell’istante non li ho mai più<br />

dimenticati e per sempre resteranno impressi, indeleb<strong>il</strong>i, nella mia mente. Per questo li<br />

racconto.<br />

Quando Stefano Amore mi ha chiesto di scrivere <strong>il</strong> “mio ricordo” di Paolo, mi sono<br />

sentito davvero onorato perché Stefano si era ricordato che anch’io ero stato amico di<br />

Paolo; che assieme a Paolo avevo svolto attività associativa in Magistratura Indipendente<br />

a Roma e in Sic<strong>il</strong>ia; che anch’io potevo avere qualche ricordo o qualche aneddoto da raccontare;<br />

che anch’io potevo testimoniare <strong>della</strong> grandezza di Paolo. Dunque ho immediatamente<br />

accettato.<br />

Quando sono entrato in magistratura mi sono subito iscritto a Magistratura Indipendente<br />

instradato dalla mia formazione culturale e calamitato dalla figura di Enrico Ferri.<br />

I primi tempi, giudice a Novara, partecipavo alle riunioni del gruppo a Torino poi, tornato<br />

in Sic<strong>il</strong>ia, Pretore a Pachino, iniziai a svolgere attività associativa organizzando numerosi<br />

convegni e partecipando a incontri e riunioni a Catania, a Roma, a Pontremoli e<br />

altrove. In una di quelle occasioni, forse proprio a Pontremoli, conobbi Paolo Borsellino;<br />

non so bene indicare la data ma allora non avevo alcun motivo per ricordarla. Per gli<br />

iscritti a Magistratura Indipendente, all’inizio degli anni ’80, i Convegni di Pontremoli<br />

erano quasi una tappa obbligata: per i più giovani erano occasioni per apprendere e per<br />

29


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

crescere professionalmente, lì si conoscevano magistrati più anziani e più esperti, lì si<br />

stava piacevolmente e si diventava amici. <strong>Il</strong> legame in quelle occasioni si trasformava,<br />

non era più soltanto correntizio ma diventava di amicizia, di amicizia vera, che ci teneva<br />

legati e che ci consentiva di esprimere nel dibattito acceso le nostre diverse opinioni, rimanendo<br />

amici.<br />

Ricordo che, a metà degli anni ’80, quando ai Convegni arrivava Paolo, noi più giovani<br />

lo aspettavamo per ascoltare i suoi racconti: ci descriveva le difficoltà che si incontravano<br />

nell’interrogare <strong>il</strong> pentito di mafia, la complessità delle vicende narrate dai<br />

mafiosi, i comportamenti dei difensori e le loro strategie processuali, e soprattutto, gli<br />

scenari palermitani squarciati dai pentiti con le loro dichiarazioni. Ciò che ci intrigava e<br />

ci avvinceva era <strong>il</strong> modo di raccontare di Paolo, quel suo sorriso appena accennato che si<br />

notava più dal baffo che dal labbro, la sua cadenza palermitana, la sua straordinaria ironia,<br />

la sua interpretazione dei fatti, la complicità con Giovanni. Così, anche così, é nata in<br />

alcuni di noi la passione per la professione e per l’impegno contro la mafia. Paolo ci ha<br />

insegnato che questo impegno non era l’impegno eroico, straordinario ed eccezionale di<br />

un momento <strong>della</strong> vita o <strong>della</strong> carriera, ma una scelta di vita, basata sulla cultura, sul sentimento<br />

e l’idea dello Stato, sulla profonda spiritualità che egli attribuiva al suo operato;<br />

era la scelta <strong>della</strong> legalità; era la consapevolezza di stare dalla parte <strong>della</strong> legge, delle Istituzioni,<br />

del cittadino; era una scelta di democrazia, di quella vera però, di quella che consente<br />

al cittadino di determinarsi davvero liberamente, senza <strong>il</strong> condizionamento<br />

dell’intimidazione, del bisogno e <strong>della</strong> minaccia; era una scelta di civ<strong>il</strong>tà <strong>il</strong> cui obbiettivo<br />

ultimo era una società migliore, era <strong>il</strong> riscatto dei palermitani e delle altre genti sic<strong>il</strong>iane;<br />

era la consapevolezza di dovere applicare la legge anche contrastando e lottando con le<br />

organizzazioni criminali, senza <strong>il</strong> sott<strong>il</strong>e distinguo secondo cui <strong>il</strong> giudice “non lotta” contro<br />

nessuno ma applica soltanto la legge, restando p<strong>il</strong>atescamente “arbitro”.<br />

Questo era <strong>il</strong> modello di magistrato a cui ci ispiravamo all’inizio degli anni ’80, e che<br />

doveva ispirare, dopo di noi, i cosiddetti “giudici ragazzini”, uno dei quali, Rosario Livatino,<br />

pagò con la vita <strong>il</strong> suo impegno per la legalità.<br />

Con Paolo, alla fine degli anni ’80, ci vedevamo a Roma, quasi ogni mese, per le riunioni<br />

del comitato esecutivo di Magistratura Indipendente, del quale entrambi facevamo<br />

parte. Le riunioni duravano poco, un’ora, a volte due. <strong>Il</strong> bello veniva dopo, quando ci si<br />

intratteneva a parlare, appena fuori dalla sede del gruppo, in via M<strong>il</strong>azzo. Era fuori dall’ufficialità<br />

che si coglieva la vera essenza di Paolo, la sua ironia, con la quale, quasi scherzando,<br />

diceva cose vere e importanti. Bastava soltanto saperle cogliere in mezzo al suo<br />

raccontare divertente e divertito.<br />

Poteva capitare che all’ordine del giorno di quelle riunioni non vi fossero argomenti<br />

30


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

particolarmente r<strong>il</strong>evanti, ma io ci andavo lo stesso: era un’occasione per incontrare i colleghi<br />

e, soprattutto, Paolo, per ascoltare i suoi racconti, per conoscere e interpretare le<br />

vicende palermitane.<br />

Dal 1986 ero passato alla Procura di Siracusa, ove a dispetto dell’appellativo di<br />

“babba”, cioè stupida, attribuito alla provincia, le indagini per fatti di mafia erano numerose<br />

e tutte molto complesse perché quasi sempre portavano ai gruppi mafiosi operanti<br />

a Catania, in particolare al clan Santapaola e al clan Laudani, la cui inf<strong>il</strong>trazione in ambienti<br />

istituzionali catanesi era già nota. Approfittare di quelle riunioni per chiedere consigli<br />

a Paolo rappresentava per me un’occasione imperdib<strong>il</strong>e.<br />

Ricordo ancora una riunione degli iscritti a Magistratura Indipendente dei distretti<br />

sic<strong>il</strong>iani, tenutasi in un ristorante palermitano, nel corso <strong>della</strong> quale si doveva concordare<br />

la candidatura di Antonio Carollo alle elezioni del 1990 per <strong>il</strong> rinnovo del Consiglio Superiore<br />

<strong>della</strong> Magistratura.<br />

Paolo, dopo avere <strong>il</strong>lustrato le doti positive di Antonio Carollo e <strong>il</strong> ruolo che questi<br />

avrebbe potuto svolgere al CSM se fosse stato eletto, ne tratteggiò <strong>il</strong> carattere raccontando<br />

in modo es<strong>il</strong>arante innumerevoli aneddoti sul collega.<br />

Ma non si può parlare di Paolo ricordando soltanto ciò che attiene alla sua umanità,<br />

Paolo va ricordato soprattutto per l’eredità morale e professionale che ci ha lasciato, per<br />

l’impegno profuso nell’istruzione del cosiddetto maxiprocesso di Palermo, per ciò che lo<br />

univa a Giovanni Falcone e per ciò che da lui lo distingueva. Fu l’avventura del maxiprocesso<br />

che li accomunò in un unico, tragico destino. Quel maxiprocesso che è divenuto<br />

nel tempo, ed è passato alla storia, come <strong>il</strong> simbolo dell’impegno dello Stato nel contrasto<br />

alla criminalità organizzata, ma che, man mano che nasceva e si sv<strong>il</strong>uppava prendendo<br />

corpo e mettendo saldamente radici probatorie nei riscontri alle dichiarazioni dei collaboratori<br />

di giustizia, primo fra tutti Tommaso Buscetta, veniva ritenuta opera gigantesca,<br />

elefantiaca che mai sarebbe giunta neppure alla soglia del pubblico dibattimento. Ed invece,<br />

loro due, Giovanni e Paolo, in collaborazione con molti altri validissimi colleghi,<br />

non soltanto portarono <strong>il</strong> “loro” maxiprocesso a dibattimento dinanzi alla Corte di Assise<br />

di Palermo ma videro <strong>il</strong> loro impegno, <strong>il</strong> loro lavoro, la loro impostazione, la loro costruzione<br />

definitivamente consacrati nella sentenza <strong>della</strong> Corte di Cassazione del 30 gennaio<br />

1992.<br />

<strong>Il</strong> maxiprocesso è servito a dimostrare la struttura unitaria di “cosa nostra”, <strong>della</strong> quale<br />

all’inizio soltanto Giovanni Falcone era convinto, e ad affermare <strong>il</strong> cosiddetto “metodo<br />

Falcone”: ossia l’interpretazione e l’applicazione concreta di disposizioni processuali che,<br />

come si dirà più avanti, trasformarono, ribaltandoli, i ruoli del pubblico ministero e del<br />

giudice istruttore, <strong>il</strong> quale divenne una sorta di propulsore dell’azione penale sia sotto <strong>il</strong><br />

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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

prof<strong>il</strong>o <strong>della</strong> completezza e tempestività delle indagini (funzione poi affidata alla Direzione<br />

Distrettuale Antimafia e alla Direzione Nazionale Antimafia che la svolgerà mediante<br />

<strong>il</strong> coordinamento e l’impulso, attribuzioni ad essa affidate direttamente dalla<br />

legge), sia per l’attività di sollecitazione che egli svolgeva durante tutta la fase istruttoria<br />

verso <strong>il</strong> pubblico ministero per l’esercizio dell’azione penale nei confronti di ulteriori soggetti,<br />

man mano che essi venivano individuati come coinvolti nei delitti associativi per i<br />

quali si compiva l’istruzione medesima.<br />

Insomma, <strong>il</strong> maxiprocesso di Palermo ha costituto per <strong>il</strong> nostro Paese una svolta epocale<br />

sia sul piano giudiziario, avendo esso contribuito all’affermazione di una linea nuova, moderna,<br />

finalmente efficace nell’attività di contrasto alla criminalità mafiosa, sia sul piano<br />

politico, avendo esso dato la prova e la misura dello sforzo <strong>della</strong> magistratura e delle istituzioni<br />

nel contrasto alla criminalità organizzata senza incertezze o ambiguità. Giovanni e<br />

Paolo, insomma, sono stati artefici e protagonisti di uno dei momenti più significativi del<br />

contrasto alla criminalità mafiosa e dunque anche <strong>della</strong> storia repubblicana.<br />

Fra <strong>il</strong> 1982 e <strong>il</strong> 1985, si erano moltiplicati i casi di processi fondati sulle dichiarazioni<br />

dei collaboratori <strong>della</strong> giustizia. Solo per ricordare i casi più significativi e noti all’opinione<br />

pubblica, si possono citare <strong>il</strong> processo di Torino contro <strong>il</strong> clan dei catanesi; <strong>il</strong> processo di<br />

M<strong>il</strong>ano contro gruppi criminali mafiosi composti da catanesi e da m<strong>il</strong>anesi, nato dalle<br />

dichiarazioni del “pentito” Angelo Epaminonda; <strong>il</strong> processo di Napoli contro centinaia<br />

di aff<strong>il</strong>iati all’organizzazione camorristica denominata “NCO”, fondata da Raffaele Cutolo,<br />

e promosso sulla base delle dichiarazioni di numerosi “pentiti”; ma <strong>il</strong> maxiprocesso<br />

per eccellenza, quello che nell’immaginario collettivo è rimasto “<strong>il</strong> più grande processo<br />

alla mafia”, è stato quello celebratosi a Palermo, quello che ha costituito <strong>il</strong> paradigma a<br />

cui tutti gli altri successivi maxiprocessi si sono nel tempo ispirati.<br />

<strong>Il</strong> maxiprocesso di Palermo si basò in gran parte sulle dichiarazioni dei collaboratori<br />

<strong>della</strong> giustizia. Da questo punto di vista rappresentò una scommessa vinta, nel senso che<br />

nessuno, tranne i magistrati palermitani che si spesero su questo fronte insieme a Paolo<br />

Borsellino e Giovanni Falcone, credeva che all’interno di “cosa nostra” potesse sv<strong>il</strong>upparsi<br />

<strong>il</strong> fenomeno del pentitismo e che mafiosi di rango, “uomini d’onore” di primo livello<br />

potessero collaborare con l’autorità giudiziaria.<br />

In realtà, a quel tempo vi era ancora un forte condizionamento culturale a causa del<br />

quale si riteneva che <strong>il</strong> mafioso, se fosse stato veramente tale, non avrebbe mai violato la<br />

regola dell’omertà né tradito l’organizzazione mafiosa, tanto più se posto in posizioni<br />

apicali. Insomma, fu quello stesso condizionamento culturale che costituì <strong>il</strong> primo ostacolo<br />

che i magistrati inquirenti palermitani dovettero superare per impiantare <strong>il</strong> maxiprocesso<br />

con le dichiarazioni di Tommaso Buscetta.<br />

32


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

Nemmeno “cosa nostra” si era resa conto che la diversa fisionomia e le diverse connotazioni<br />

strutturali assunte dopo la guerra di mafia, che l’avevano divisa in cosca vincente<br />

e cosca perdente, potevano anch’esse favorire <strong>il</strong> fenomeno delle collaborazioni.<br />

In verità, le cause che allora provocarono le defezioni furono tante e di diversa natura:<br />

1) la trasformazione di “cosa nostra” da organizzazione localistica con forte connotazione<br />

fam<strong>il</strong>istica a multinazionale del crimine, avendo essa assunto una dimensione internazionale<br />

soprattutto nel settore del traffico degli stupefacenti; 2) la cooptazione al suo interno<br />

di soggetti, gravitanti nelle fasce periferiche dell’organizzazione, i quali a causa<br />

<strong>della</strong> diversa estrazione territoriale, fam<strong>il</strong>iare e culturale, non avevano assim<strong>il</strong>ato completamente<br />

le ferree regole del comportamento mafioso, tanto da non disdegnare in qualche<br />

occasione di svelare agli inquirenti notizie ut<strong>il</strong>i alle indagini; 3) l’ispirazione “ideologica”,<br />

sebbene distorta e non analoga a quella del terrorismo, ravvisab<strong>il</strong>e non soltanto nella vocazione<br />

di “cosa nostra” all’accumulo smodato di ricchezza e nell’affermazione del suo<br />

potere ma anche nell’orgoglio di sentirsi uniti all’interno <strong>della</strong> stessa “cosca”. La sensazione<br />

del venir meno di tale vincolo di cosca, di essere emarginato e di non essere adeguatamente<br />

assistito durante i periodi di detenzione, soprattutto quando <strong>il</strong> ritorno in<br />

<strong>libertà</strong> appare improbab<strong>il</strong>e, può spingere <strong>il</strong> mafioso, sentitosi tradito, a mettersi in salvo<br />

o a vendicarsi riferendo informazioni compromettenti per i suoi correi; 4) l’insofferenza<br />

<strong>della</strong> nuova generazione di mafiosi alla detenzione che li costringe alla rinunzia al confortevole<br />

tenore di vita reso possib<strong>il</strong>e dall’accumulo di consistenti ricchezze <strong>il</strong>lecite, tenore<br />

di vita al quale non erano abituati i mafiosi di vecchia generazione che vivevano in maniera<br />

frugale, in abitazioni non di lusso e con scarse comodità non molto dissim<strong>il</strong>i dalle<br />

celle carcerarie; 5) la consapevolezza di essere braccato perché aff<strong>il</strong>iato a una cosca perdente.<br />

<strong>Il</strong> metodo ut<strong>il</strong>izzato da Falcone e Borsellino provocò numerose collaborazioni proprio<br />

durante la fase istruttoria del processo, favorite forse anche dalla “terzietà” del giudice<br />

istruttore. Ossia: la maturazione di una collaborazione era frutto di meditate riflessioni<br />

indotte da lunghi e pazienti colloqui, nel corso dei quali si tentava, magari prospettando<br />

quei pochi benefici consentiti a quel tempo dall’ordinamento, di convincere l’imputato<br />

a superare la ritrosia ad ammettere le proprie responsab<strong>il</strong>ità e a svelare le vicende criminali<br />

di cui fosse a conoscenza.<br />

In sim<strong>il</strong>i tentativi riuscivano bene Giovanni Falcone e Paolo Borsellino con la loro<br />

umanità, la loro ab<strong>il</strong>ità, e soprattutto la loro straordinaria professionalità, divenendo ben<br />

presto modelli positivi ai quali ispirarsi.<br />

Ma non tutti i giudici istruttori d’Italia erano Giovanni Falcone o Paolo Borsellino;<br />

cosicché poteva pure accadere, e forse accadde, che <strong>il</strong> giudice istruttore, non dotato <strong>della</strong><br />

33


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

necessaria professionalità e poco consapevole del proprio ruolo, pur di ottenere la collaborazione<br />

dell’imputato, con <strong>il</strong> quale interloquiva senza <strong>il</strong> f<strong>il</strong>tro del pubblico ministero,<br />

fosse portato a soprassedere su alcune “formalità” processuali, forse ritenute inut<strong>il</strong>i formalismi,<br />

a discapito dell’imparzialità degli accertamenti.<br />

Tutto ciò per dire che <strong>il</strong> fenomeno del pentitismo generò anche una trasformazione<br />

del sistema processuale del tempo, nel senso che accentuò l’assommarsi delle funzioni<br />

inquirenti, istruttorie e decisorie in capo al giudice istruttore; <strong>il</strong> quale non poteva più definirsi<br />

“terzo” specie nell’istruzione dei grandi processi contro la criminalità organizzata,<br />

laddove l’istruzione sommaria consentiva al pubblico ministero di effettuare, nei quaranta<br />

giorni previsti, soltanto gli interrogatori e avviare le prime indagini, <strong>il</strong> cui approfondimento<br />

doveva poi essere completato durante l’istruzione formale.<br />

Insomma, <strong>il</strong> giudice istruttore divenne <strong>il</strong> vero accusatore mentre si affievolirono la<br />

sua funzione di garanzia e <strong>il</strong> suo ruolo di giudice “terzo”.<br />

Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli altri giudici istruttori del maxiprocesso avevano<br />

trasformato <strong>il</strong> processo penale innovandolo di fatto nei ruoli del giudice e del pubblico<br />

ministero, sostanzialmente invertendoli. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano<br />

consapevoli <strong>della</strong> trasformazione del processo che stavano vivendo. In sostanza, come<br />

ho già prima detto, Falcone e Borsellino avevano sfruttato appieno, interpretandoli e ut<strong>il</strong>izzandoli<br />

diversamente da come si era fatto fino ad allora, i poteri del giudice istruttore,<br />

<strong>il</strong> quale, a norma dell’art. 299 c. p. p./1930, aveva l’obbligo di compiere prontamente<br />

tutti e soltanto quegli atti che in base agli elementi raccolti e allo svolgimento dell’istruzione,<br />

apparivano necessari per l’ accertamento <strong>della</strong> verità.<br />

Gli effetti di tale mutazione furono resi evidenti dalla “lievitazione” che i processi per<br />

reati associativi subivano nella fase istruttoria, nel corso <strong>della</strong> quale spesso aumentava <strong>il</strong><br />

numero degli imputati.<br />

Nel maxiprocesso dagli originari centosessantuno denunciati, poi ridotti a ottantasette<br />

nella richiesta di formalizzazione avanzata dal P.M., si arrivò a contarne più di ottocento<br />

all’atto <strong>della</strong> requisitoria finale.<br />

Si era insomma invertita la tendenza secondo la quale <strong>il</strong> giudice istruttore funzionava<br />

da f<strong>il</strong>tro scremando <strong>il</strong> numero degli imputati rispetto a quello dei denunciati dalla polizia<br />

giudiziaria e degli incriminati dal pubblico ministero.<br />

La lievitazione del numero degli imputati, nell’ordine di centinaia, rendeva inevitab<strong>il</strong>mente<br />

difficoltosa la gestione del dibattimento, come <strong>il</strong> maxiprocesso dimostrò, costringendo<br />

<strong>il</strong> Legislatore ad intervenire in corso d’opera per consentire la conclusione del<br />

dibattimento ed evitare la scarcerazione degli imputati detenuti.<br />

Ad onor del vero, nel maxiprocesso di Palermo furono immaginate con largo anticipo<br />

34


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

le difficoltà che sarebbero sorte a dibattimento in un processo con un così elevato numero<br />

di imputati (circa 800). Nella requisitoria scritta <strong>il</strong> pubblico ministero si pose i problemi<br />

a cui si è fatto riferimento, e in primo luogo la presumib<strong>il</strong>e eccessiva durata del dibattimento<br />

che avrebbe comportato la scarcerazione degli imputati detenuti per decorrenza<br />

dei termini di custodia.<br />

E per tale ragione l’ufficio del pubblico ministero propose di seguire una via di mezzo<br />

che coniugasse <strong>il</strong> principio di speditezza e di economia processuale con l’esigenza di assicurare<br />

la necessaria visione d’insieme del fenomeno mafioso evitando una lettura frammentata<br />

e, conseguentemente, riduttiva di esso. Riteneva preferib<strong>il</strong>e celebrare <strong>il</strong><br />

dibattimento nei confronti degli imputati detenuti e di procedere allo stralcio di tutte<br />

quelle posizioni processuali non ancora mature per <strong>il</strong> giudizio o riguardanti f<strong>il</strong>oni processuali<br />

non indissolub<strong>il</strong>mente legati al troncone principale.<br />

Ma com’è noto, Falcone e Borsellino priv<strong>il</strong>egiarono una soluzione diversa, definendo<br />

con <strong>il</strong> provvedimento istruttorio pressoché tutte le posizioni processuali esaminate nella<br />

fase istruttoria, convincendo in tal modo <strong>il</strong> Legislatore ad intervenire per evitare numerose<br />

scarcerazioni durante <strong>il</strong> dibattimento.<br />

Tutto ciò raccontiamo per rammentare, ove ce ne fosse bisogno, che Falcone e Borsellino<br />

avevano di fatto anticipato e condizionato le scelte <strong>della</strong> politica. All’esperienza<br />

dei maxiprocessi originati dal fenomeno del pentitismo sono riconducib<strong>il</strong>i due scelte di<br />

politica criminale di grande significato e di particolare r<strong>il</strong>evanza strategica: 1) la scelta<br />

dell’Esecutivo di consentire a ogni costo la celebrazione del maxiprocesso di Palermo per<br />

dimostrare al Paese che la mafia si poteva processare in Sic<strong>il</strong>ia, e che lo Stato era in grado<br />

di farlo mettendo in campo le migliori risorse umane e ingenti risorse finanziarie; 2) la<br />

provvidenziale scelta del Legislatore di cambiare le regole in corso d’opera pur di consentire<br />

la conclusione del maxiprocesso.<br />

Quell’esperienza convinse però <strong>il</strong> Legislatore che erano ormai maturi i tempi per l’adozione<br />

di un nuovo modello processuale ispirato ai principi del processo accusatorio. Tant’è<br />

che l’originario impianto del nuovo codice di procedura penale non favoriva affatto la<br />

promozione di processi con un r<strong>il</strong>evante numero di imputati; limite del quale si lamentarono<br />

molto i magistrati impegnati sul fronte del contrasto alla criminalità organizzata<br />

già subito dopo la prima sperimentazione sul campo del nuovo codice,<br />

<strong>Il</strong> Legislatore si era <strong>il</strong>luso che bastasse una norma scritta per cancellare <strong>il</strong> fenomeno<br />

dei maxiprocessi. Ma la realtà spesso ha bisogno di essere assecondata. Falcone e Borsellino<br />

avevano dimostrato che i maxiprocessi non sono una “forma” processuale, sono piuttosto<br />

una realtà generata dal metodo istruttorio da loro sperimentato nel corso del maxiprocesso,<br />

e la cui caratteristica diffic<strong>il</strong>mente consente di procedere per un solo imputato e<br />

35


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

per una sola imputazione. Anche per questo Falcone e Borsellino hanno pagato con la<br />

vita.<br />

Agli eccezionali risultati del maxiprocesso, infatti, seguirono, dopo la sentenza <strong>della</strong><br />

Cassazione del 30 gennaio 1992, gli effetti nefasti che portarono i giorni del dolore.<br />

Non abbiamo dimenticato gli attacchi a Giovanni Falcone quando questi, chiamato<br />

dal Ministro Claudio Martelli a collaborare con lui al Ministero <strong>della</strong> Giustizia, si propose<br />

di creare la Direzione Nazionale Antimafia, per la cui guida era <strong>il</strong> candidato più accreditato.<br />

Così come, non abbiamo dimenticato la coerenza di Paolo Borsellino, <strong>il</strong> quale non<br />

avendo condiviso la creazione <strong>della</strong> Direzione Nazionale Antimafia e non volendo approfittare<br />

<strong>della</strong> morte dell’amico Giovanni, non accettò l’invito formulatogli del Ministro<br />

Scotti di assumere l’incarico di Procuratore Nazionale Antimafia. Paolo aveva già deciso<br />

di restare a Palermo per continuare a svolgere in Procura le indagini nei confronti <strong>della</strong><br />

criminalità mafiosa. Questo era stato <strong>il</strong> suo impegno per tutta la vita, e questo doveva all’amico<br />

Giovanni. Così Paolo, con grande coraggio e senza tentennamenti, andava incontro<br />

al suo destino. Noi non lo dimenticheremo.<br />

36<br />

Roberto Alfonso<br />

Procuratore di Bologna


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

L’etica <strong>della</strong> convinzione<br />

Max Weber, in un suo celeberrimo scritto, ha introdotto all’inizio del secolo<br />

scorso la distinzione tra etica <strong>della</strong> responsab<strong>il</strong>ità ed etica <strong>della</strong> convinzione, caratterizzando<br />

la prima, propria soprattutto dell’attività politica, sulla base del rapporto<br />

tra mezzi e fini e definendo, al contrario, l’etica <strong>della</strong> convinzione come quella di<br />

chi segue rigorosamente i propri principi, senza preoccuparsi delle conseguenze che<br />

ne potranno derivare.<br />

Di questo secondo modello etico Paolo Borsellino e Giovanni Falcone sono stati<br />

testimoni esemplari, per la sicura consapevolezza <strong>della</strong> sorte che sarebbe toccata loro<br />

e per la fede incrollab<strong>il</strong>e con cui, nonostante ciò, hanno accettato di servire la verità.<br />

Eppure, nonostante questa evidenza, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone furono<br />

sovente considerati alla stregua di “carrieristi”, di magistrati professionalmente capaci,<br />

ma motivati soprattutto dal desiderio di realizzare le loro umane aspirazioni.<br />

Nulla di più falso, ma di questo sentimento e di questa inclinazione sono rimaste<br />

molte testimonianze, di cui la più nota, forse, è lo sciagurato articolo, «I professionisti<br />

dell’antimafia», con cui Leonardo Sciascia ridusse maldestramente ad ambizione<br />

ed opportunismo quello che era impegno morale e civ<strong>il</strong>e, scrivendo, a<br />

commento <strong>della</strong> nomina di Paolo Borsellino a Procuratore di Marsala, che “nulla<br />

vale più, in Sic<strong>il</strong>ia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi<br />

di stampo mafioso”.<br />

Di questo velenoso fraintendimento, alimentato ad arte da alcuni, rimane una<br />

traccia evidente anche nel discorso con cui proprio Paolo Borsellino, <strong>il</strong> 25 giugno<br />

1992, ricordava, a un mese dalla Strage di Capaci, l’amico Giovanni: Giovanni Falcone<br />

è andato al ministero di Grazia e Giustizia, e questo lo posso dire sì prima di essere<br />

ascoltato dal giudice – scrive Borsellino - non perché aspirasse a trovarsi a Roma in un<br />

posto priv<strong>il</strong>egiato, non perché si era innamorato dei socialisti, non perché si era innamorato<br />

di Claudio Martelli, ma perché a un certo punto <strong>della</strong> sua vita ritenne, da uomo<br />

delle istituzioni, di poter continuare a svolgere a Roma un ruolo importante e nelle sue<br />

convinzioni decisivo, con riferimento alla lotta alla criminalità mafiosa…..Anch’io talvolta<br />

ho assistito con un certo disagio a quella che è la vita, o alcune manifestazioni<br />

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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

<strong>della</strong> vita e dell’attività di un magistrato improvvisamente sbalzato in una struttura<br />

gerarchica diversa da quelle che sono le strutture, anch’esse gerarchiche ma in altro senso,<br />

previste dall’ordinamento giudiziario. Si trattava di un lavoro nuovo, di una situazione<br />

nuova, di vicinanze nuove, ma Giovanni Falcone è andato lì solo per questo.<br />

Con la mente a Palermo, perché sin dal primo momento mi <strong>il</strong>lustrò quello che riteneva<br />

di poter e di voler fare lui per Palermo. E in fin dei conti, se vogliamo fare un b<strong>il</strong>ancio<br />

di questa sua permanenza al ministero di Grazia e Giustizia, <strong>il</strong> b<strong>il</strong>ancio anche<br />

se contestato, anche se criticato, è un b<strong>il</strong>ancio che riguarda soprattutto la creazione di<br />

strutture che, a torto o a ragione, lui pensava che potessero funzionare specialmente con<br />

riferimento alla lotta alla criminalità organizzata e al lavoro che aveva fatto a Palermo.<br />

Cercò di ricreare in campo nazionale e con leggi dello Stato quelle esperienze del pool<br />

antimafia che erano nate artigianalmente senza che la legge le prevedesse e senza che la<br />

legge, anche nei momenti di maggiore successo, le sostenesse. Questo, a torto o a ragione,<br />

ma comunque sicuramente nei suoi intenti, era la superprocura.”<br />

Non è una celebrazione quella che Paolo Borsellino fa dell’amico Falcone, quanto<br />

piuttosto una “difesa” a tutto campo del suo operato e <strong>della</strong> sua persona. Nonostante<br />

sia stato barbaramente ucciso, nonostante la commozione generata da quelle morti<br />

nel paese, Borsellino si sente di dover difendere Falcone, ancora e soprattutto, dalle<br />

insinuazioni che ne avevano accompagnato l’operato e che continuavano ad avvelenarne<br />

la memoria.<br />

Paolo Borsellino avrebbe potuto scegliere di essere candidato (sarebbe stato certamente<br />

eletto) al Consiglio Superiore <strong>della</strong> Magistratura. Magistratura Indipendente,<br />

la corrente dell’A.N.M. in cui m<strong>il</strong>itava, glielo aveva più volte proposto, ma<br />

lui ritenne sempre di dover rifiutare, per essere coerente con <strong>il</strong> compito che si era<br />

prefisso e, soprattutto, per non abbandonare tutti coloro che avevano lavorato con<br />

lui e che su di lui facevano affidamento. Falcone pure non ebbe mai tentennamenti<br />

e le scelte fatte a un certo momento <strong>della</strong> sua vita, <strong>il</strong> Ministero invece dell’ufficio<br />

giudiziario, furono dovute solo alla necessità di poter continuare a dare impulso<br />

alle sue idee, superando l’isolamento in cui era stato posto.<br />

Ad uccidere Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, riconosciamolo, non è stato<br />

solo l’odio <strong>della</strong> mafia, ma anche i dubbi, le esitazioni e le incomprensioni di un<br />

intero paese e l’incapacità <strong>della</strong> magistratura di essere all’altezza di questi due uomini.<br />

Stefano Amore<br />

Magistrato, Consigliere del Ministro <strong>della</strong> Gioventù<br />

39


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

L’onore di Borsellino<br />

Spunti per una riflessione su etica cristiana e senso dello Stato<br />

Non ho mai chiesto di occuparmi di mafia. Ci sono entrato per caso. E poi ci sono rimasto<br />

per un problema morale. La gente mi moriva attorno (Paolo Borsellino) 1<br />

1. <strong>Il</strong> comitato di storici guidato dal professor Andrea Riccardi e incaricato dalla Santa<br />

Sede d’individuare, per quanto possib<strong>il</strong>e, i “martiri” del XX secolo, ha inserito in tale<br />

triste e glorioso elenco i giudici Paolo Borsellino e Rosario Livatino 2 .<br />

La circostanza sollecita una riflessione sui doveri dei cristiani nei confronti dello Stato,<br />

sull’attuale situazione del nostro Paese, sul contributo che la religiosità cristiana e cattolica,<br />

che fa parte del patrimonio spirituale <strong>della</strong> nazione italiana, può e deve dare alla costruzione<br />

di un adeguato “senso dello Stato”.<br />

Quando, <strong>il</strong> 31 marzo 2000, l’amata consorte di Paolo, Agnese, ha consegnato al<br />

Santo Padre Giovanni Paolo II <strong>il</strong> bozzetto originale del manifesto con cui sono stati ricordati<br />

e onorati i ventiquattro magistrati che negli ultimi anni sono stati assassinati a<br />

causa <strong>della</strong> loro dedizione alla giustizia 3 , non ha compiuto solo un gesto di doveroso ringraziamento.<br />

La consegna di questo simbolico dono è stata infatti accompagnata da un<br />

incisivo indirizzo di saluto ed è avvenuta in presenza di un migliaio di giudici, convenuti<br />

a Roma per partecipare al congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati . E L’Osservatore<br />

Romano del 1° apr<strong>il</strong>e 2000 ha intitolato “Quel debito di riconoscenza verso i<br />

“martiri <strong>della</strong> giustizia”, congiungendo insieme le parole “martirio” e “giustizia”, la virtù<br />

cristiana e la virtù civ<strong>il</strong>e 4 .<br />

1 Pochi mesi prima <strong>della</strong> sua “morte annunciata” Paolo rifiutò la proposta di divenire Procuratore Nazionale<br />

Antimafia con le parole “io servo qui”.<br />

2 Cfr. Luigi Accattoli, Nuovi martiri. 393 storie cristiane nell’Italia di oggi, San Paolo, Cinisello Balsamo (M<strong>il</strong>ano)<br />

2000, nn. 384 e 385, pp. 243-246; e Andrea Riccardi, <strong>Il</strong> secolo del martirio, Mondadori, M<strong>il</strong>ano 2000,<br />

pp. 403, 413 e 429.<br />

3 Un elenco (con note biografiche) dei magistrati caduti per causa di servizio è pubblicato sul sito www.giustiziacarita.it<br />

4 Cfr. F. V., Quel debito di riconoscenza verso i “martiri <strong>della</strong> giustizia”, in L’Osservatore Romano, 1-4-2000.<br />

41


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

Giorgio Ambrosoli (1933-1979), Paolo Borsellino (1940-1992) e Rosario Livatino<br />

(1952-1990) hanno, con <strong>il</strong> loro sacrificio, smentito la diffusa opinione secondo cui i cattolici<br />

italiani sarebbero buoni padri, discreti mariti, volenterosi operatori sociali, ma funzionari<br />

distratti e, in definitiva, mediocri cittadini.<br />

Avevano una vita fam<strong>il</strong>iare e religiosa intensa ed esemplare, ma non sono stati uccisi<br />

a causa di queste virtù. I loro provvedimenti, che hanno colpito interessi potenti e omicidi,<br />

non erano diversi da quelli redatti da colleghi che non nutrivano una fede religiosa,<br />

e che hanno parimenti affrontato la morte come prezzo <strong>della</strong> fedeltà alle regole di giustizia;<br />

sono stati tutti “martiri” a difesa delle leggi dello Stato.<br />

<strong>Il</strong> martirio, questo martirio, non separa o divide i credenti dai non credenti perché<br />

l’adesione ai valori <strong>della</strong> giustizia costituisce un terreno comune per tutti gli uomini di<br />

buona volontà. L’apostolo Paolo riconosce e quasi codifica questa comunione fra chi<br />

crede nel valore trascendente dei testi evangelici e tutti gli uomini retti, che sono “circoncisi<br />

nel cuore”, circoncisi di una circoncisione non fatta da mano d’uomo. A fianco<br />

di quelli che osservano la legge perché la conoscono attraverso la Rivelazione si collocano<br />

dunque coloro che “[...] sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto<br />

nei loro cuori come risulta dalla testimonianza <strong>della</strong> loro coscienza” .<br />

È di conforto pensare che a tutti i caduti per la giustizia si attaglino le parole di Papa<br />

Giovanni Paolo II nell’enciclica Veritatis splendor: “Nel martirio come affermazione dell’inviolab<strong>il</strong>ità<br />

dell’ordine morale risplendono la santità <strong>della</strong> legge di Dio e insieme l’intangib<strong>il</strong>ità<br />

<strong>della</strong> dignità personale dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio” . Chi li ha uccisi<br />

con ogni probab<strong>il</strong>ità non nutriva rancore verso la Fede cattolica, ma era certamente animato<br />

da odio verso le virtù umane e cristiane. E san Tommaso d’Aquino ebbe ad affermare che<br />

è martire “[...] non solo chi patisce a causa <strong>della</strong> confessione <strong>della</strong> fede, che si fa con le parole,<br />

ma anche chiunque patisce per compiere qualunque buona opera [...] per Cristo” 5 . Del resto,<br />

la Chiesa da sempre onora come martire san Giovanni Battista, imprigionato e ucciso da<br />

Erode perché aveva osato puntare <strong>il</strong> dito contro di lui ed Erodiade pronunciando l’ammonimento<br />

che tanto spiace a tutti i potenti <strong>della</strong> terra: “Non ti è lecito” . A sua volta, già <strong>il</strong> documento<br />

sull’impegno sociale e politico, elaborato nel III convegno ecclesiale tenuto a<br />

Palermo nel 1995, sottolinea <strong>il</strong> sacrificio dei cristiani che in Italia hanno dato “numerose testimonianze<br />

di carità politica, alcune giunte sino al martirio” 6 .<br />

Tutti i caduti per la legalità, credenti e non credenti, senza distinzione, hanno testi-<br />

5 San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, IIa-IIae, q. 124, a. 5, ad 1.<br />

6 III Convegno Nazionale delle Chiese che sono in Italia. Palermo 20/24-11-1995, Relazione dei cinque<br />

ambiti di lavoro, II. Impegno sociale e politico, in <strong>Il</strong> Regno-Documenti, anno XL, n. 21 (760), Bologna 1-12-<br />

1995, pp. 673-675 (p. 673).<br />

42


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

moniato quella legge universale che s’impone a ogni essere dotato di ragione e vivente<br />

nella storia. “Per perfezionarsi nel suo ordine specifico - afferma Papa Giovanni Paolo II<br />

sempre nell’enciclica Veritatis splendor -, la persona deve compiere <strong>il</strong> bene ed evitare <strong>il</strong> male,<br />

vegliare alla trasmissione e alla conservazione <strong>della</strong> vita, affinare e sv<strong>il</strong>uppare le ricchezze del<br />

mondo sensib<strong>il</strong>e, coltivare la vita sociale, cercare <strong>il</strong> vero, praticare <strong>il</strong> bene, contemplare la bellezza”<br />

2. Qualcuno ha detto: “sventurata la terra che ha bisogno di eroi” 7 , o di martiri. E certo<br />

la presenza di eroi in una società, e in specie nel mondo <strong>della</strong> giustizia, è sintomo di crisi<br />

e di disagio.<br />

L’obbedienza alla legge nelle società pacifiche e ben ordinate raramente attinge i vertici<br />

dell’eroismo, cioè richiede la capacità di anteporre <strong>il</strong> senso del dovere a propri r<strong>il</strong>evanti interessi,<br />

e talvolta alla vita stessa. Anche nel più tranqu<strong>il</strong>lo cantone svizzero l’uomo <strong>della</strong> polizia,<br />

<strong>il</strong> vig<strong>il</strong>e del fuoco, debbono essere pronti ad anteporre l’adempimento del dovere alla propria<br />

vita, ma si tratta di casi limitati; mentre nelle società ad alto tasso di criminalità l’eroismo<br />

viene richiesto a una sfera molto allargata e purtroppo via via più ampia di persone.<br />

Nel documento, redatto fra gli altri da Giovanni Falcone e con cui si concluse l’assemblea<br />

<strong>della</strong> ANM riunita a Palermo <strong>il</strong> 27 ottobre 1990 sotto la presidenza di Paolo<br />

Borsellino, dopo l’assassinio di Rosario Livatino, si legge che, “[...] sotto le vesti <strong>della</strong> democrazia,<br />

si intravedono sempre più rapporti di potere reale basati sul decadimento del costume<br />

morale e civ<strong>il</strong>e, su intrecci fra istituzioni deviate e organizzazioni occulte, su legami tra mafia<br />

e politica” 8 . E a queste parole ben si può affiancare <strong>il</strong> punto forse più significativo del<br />

messaggio letto dal Santo Padre ai magistrati italiani <strong>il</strong> 31 marzo 2000, laddove stigmatizza<br />

“[...] tutte quelle iniziative di singoli e di gruppi organizzati che, non paghi di trasgredire<br />

la legge attentando alla vita ed ai beni altrui, si adoperano anche per ottenere modifiche dell’ordinamento<br />

in funzione dei propri interessi, al di là dei principi etici e <strong>della</strong> considerazione<br />

del bene comune. Ne viene minata alla radice anche la sicura e pacifica convivenza” 9 .<br />

L’indifferenza, se non l’ost<strong>il</strong>ità, di parti <strong>della</strong> Società e dello Stato può accrescere <strong>il</strong><br />

rischio per coloro che adempiono <strong>il</strong> proprio dovere, li rende “eroi” loro malgrado.<br />

Sotto la minaccia omicida delle Brigate Rosse diviene eroismo accettare la difesa d’uf-<br />

7 Bertolt Brecht (1898-1956), Lebens des Gal<strong>il</strong>ei. Vita di Gal<strong>il</strong>eo, trad. it. di Em<strong>il</strong>io Castellani, a cura di Giuseppina<br />

Oneto, Einaudi, Torino 1994, p. 217.<br />

8 Documento approvato dall’Assemblea Straordinaria di Palermo dell’Associazione Nazionale Magistrati,<br />

27-10-1990<br />

9 Giovanni Paolo II, Discorso ai membri dell’Associazione Nazionale Magistrati, del 31-3-2000, n. 2, in<br />

L’Osservatore Romano, 1-4-2000<br />

43


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

ficio di un indagato; basterà ricordare <strong>il</strong> martirio dell’avvocato Fulvio Croce, ucciso per<br />

aver onorato un compito elementare dell’avvocato: la difesa d’ufficio. La criminalità organizzata<br />

dei “colletti bianchi” rende eroica la condotta dell’avvocato Giorgio Ambrosoli,<br />

leale esecutore di un mandato di liquidazione di una banca; nelle aree controllate dalla<br />

mafia occorre eroismo per esercitare diritti elementari, come una libera attività d’impresa,<br />

per adempiere a doveri in sé semplici e spontanei, che incombono su qualunque cittadino:<br />

quale <strong>il</strong> rendere, in osservanza alla legge divina, testimonianza veritiera.<br />

Persino la amministrazione dei beni può divenire pericolosa quando investe aziende<br />

già di pertinenza criminale; cioè concorre ad un prof<strong>il</strong>o essenziale <strong>della</strong> dura battaglia<br />

che lo Stato Italiano ha intrapreso nei confronti degli interessi e dell’economica mafiosa,<br />

prevedendo con leggi sempre più incisive ed efficaci <strong>il</strong> sequestro e la conseguente confisca<br />

dei beni che risultino di pertinenza <strong>della</strong> criminalità organizzata. E <strong>della</strong> importanza di<br />

questo prof<strong>il</strong>o <strong>della</strong> lotta dello Stato contro l’economia criminale è, purtroppo, testimonianza<br />

l’uccisione dei dottori commercialisti Costanzo Iorio (2008) e Liberato Passarelli<br />

(2009).<br />

È quindi vero che “la terra che ha bisogno di eroi” è “sventurata”; perché è sventurato<br />

quel popolo che non ha in sé le energie morali indispensab<strong>il</strong>i affinché ogni cittadino,<br />

adempiendo ai propri doveri, facendosi carico <strong>della</strong> frazione, <strong>della</strong> briciola, di coraggio<br />

che gli compete, concorra a far sì che a pochi, a nessuno si richiedano virtù eroiche.<br />

Ma certo è ancora più sventurato <strong>il</strong> popolo che ha bisogno di eroi e non li trova, o ne<br />

disperde l’insegnamento.<br />

Sventurato sarebbe <strong>il</strong> Popolo Italiano se non sapesse trarre dal sacrificio di tanti la<br />

spinta verso un “eroismo di massa”, che proprio perché “di massa” potrà comportare<br />

con minor frequenza <strong>il</strong> rischio <strong>della</strong> vita.<br />

Sembra di poter scorgere nella realtà attuale segni di miglioramento: sempre più di<br />

frequente gli operatori economici denunciano i loro estortori; l’atavica paura sembra diradarsi<br />

nella consapevolezza di non essere abbandonati dallo Stato, e nasce la speranza di<br />

poter godere in pace dei propri beni senza esser soggetti al “pizzo” . Un insieme di segni<br />

delineano un quadro diverso rispetto a quello tradizionale di soggezione alla criminalità<br />

mafiosa. La misure economiche in favore delle vittime dell’usura e dell’estorsione, la protezione<br />

dei “testimoni di giustizia”, la costituzione di parte civ<strong>il</strong>e dello Stato a fianco delle<br />

vittime, la creazione a Reggio Calabria del centro di gestione dei beni sequestrati e confiscati,<br />

la sempre più frequente presenza fisica nelle aree a maggior rischio del Ministro<br />

dell’Interno Roberto Maroni, del Sottosegretario Mantovano cui <strong>il</strong> Ministro ha conferito<br />

la delega alla Sicurezza Pubblica concorrono a creare un clima diverso.<br />

Mentre nel contempo sequestri e confische per valori sempre più ingenti dimostrano<br />

44


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

tangib<strong>il</strong>mente che la criminalità non è (più) una via sicura alla ricchezza; la cattura dei<br />

latitanti insinua in molti <strong>il</strong> timore (benedetto) che i delitti sfocino in lunghe detenzione,<br />

rese più penose da un regime carcerario austero.<br />

3. <strong>Il</strong> ricordo è quindi un dovere, da cui scaturiscono energie per modificare <strong>il</strong> presente.<br />

La forza spirituale di chi “cerca <strong>il</strong> vero e pratica <strong>il</strong> bene”, di chi è sensib<strong>il</strong>e al grido delle<br />

vittime dell’ingiustizia: “Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e verace, non farai giustizia<br />

e non vendicherai <strong>il</strong> nostro sangue sopra gli abitanti <strong>della</strong> terra?” è testimoniata da un episodio<br />

<strong>della</strong> vita di Paolo Borsellino che mi par opportuno ricordare.<br />

“Incontrai <strong>il</strong> dottor Borsellino — dichiara <strong>il</strong> pentito Vincenzo Calcara nel 1992 — <strong>il</strong><br />

3 dicembre 1991, ma soltanto <strong>il</strong> 6 gennaio di quest’anno gli dissi che ero uomo d’onore e gli<br />

dissi anche: “Dottore, io sono quella persona che avrebbe dovuto ucciderla, io avrei dovuto essere<br />

<strong>il</strong> k<strong>il</strong>ler”. Sorrise poi mi chiese: “Ma dove mi avrebbe dovuto uccidere, a Palermo oppure<br />

a Marsala? Perché a Palermo è più fac<strong>il</strong>e”. Gli dissi che <strong>il</strong> suo attentato avrebbe dovuto avvenire<br />

con un’autobomba. Rimase perplesso, poi mi disse: “Va bene Calcara, mettiamoci a<br />

lavorare”. Da quel momento in poi iniziò un rapporto splendido: in lui vedevo <strong>il</strong> vero uomo<br />

d’onore, ma inteso come onore quello vero, non quello che credevo quando entrai in Cosa Nostra.<br />

Quando lo incontrai subito dopo la morte di Falcone, mi disse: “Vincenzo, non ci arrendiamo,<br />

andiamo avanti, io e te siamo nella stessa barca e indietro non si torna”. Gli dissi:<br />

“Ma signor giudice, lei non ha paura? Ora tocca a lei di sicuro”, e lui mi rispose: “È bello<br />

morire per ciò in cui si crede; chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore<br />

una volta sola“”, 10 mostrando la sua profonda adesione alle parole: “Chi cercherà di salvare<br />

la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà” .<br />

Pochi mesi dopo, <strong>il</strong> 19 luglio 1992, proprio a Palermo, alle ore 16,58 la violentissima<br />

esplosione di un’autobomba, parcheggiata in via D’Amelio uccise Paolo Borsellino , Procuratore<br />

aggiunto presso la Procura distrettuale <strong>della</strong> Repubblica di Palermo e gli agenti<br />

che con piena ed accettata consapevolezza del pericolo gli facevano scorta Claudio Traina,<br />

Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli ed Eddie Walter Cosina.<br />

“Calcara conserva un profondo ricordo di Borsellino, del suo sorriso. E sottolinea:: le parole<br />

<strong>della</strong> mafia nascondono solo una macchina di morte. Borsellino, lui sì, ha avuto onore: non<br />

ha rinunciato alle sue idee nemmeno quando gli avrebbero reso <strong>il</strong> cammino più diffic<strong>il</strong>e” 11 .<br />

10 Vincenzo Calcara, “Quel giudice dovevo ucciderlo io”, intervista a cura di Guglielmo Sasinini, in Famiglia<br />

Cristiana, n. 32, M<strong>il</strong>ano 5-8-1992, pp. 26-28 (p. 27). Calcara ha più volte raccontato dei suoi incontri con<br />

Borsellino, con parole non sempre identiche, ma che esprimono gli stessi concetti.<br />

11 Umberto Lucentini con Agnese, Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino, Paolo Borsellino. <strong>Il</strong> valore di una<br />

vita, Mondadori, M<strong>il</strong>ano 1994, p. 253<br />

45


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

Vincenzo Calcara, ha anche spiegato perché la così detta “cupola” abbia organizzato<br />

la strage di Via D’Amelio, dicendo : “la mafia aveva paura del coraggio di Borsellino, dell’onore<br />

di Borsellino; perchè Borsellino era <strong>il</strong> vero uomo d’onore, che non diviene tale con la<br />

“pungitura” o bruciando l’immaginetta, ma con la forza delle idee”.<br />

Già: l’“onore di Borsellino”.<br />

In Calcara la parola “onore” è intrisa di sic<strong>il</strong>ianità. Ma l’onore o — se preferiamo<br />

usare un’altra parola — la dignità guidano gli esseri umani tutti; a Palermo come a Bolzano.<br />

Spinge gli uomini verso modi di agire che rispondono alle esigenze sociali; sorregge<br />

coloro che si trovano in particolari circostanze a rischiare e sacrificare la vita; <strong>il</strong> senso<br />

<strong>della</strong> propria dignità anima e pervade tutte le attività sociale positive, anche quelle non<br />

eroiche, ma semplicemente oneste: è a fianco del medico che sacrifica qualche minuto in<br />

più per ben assistere <strong>il</strong> paziente, del professore scrupoloso che si sforza di esser chiaro,<br />

del giudice che r<strong>il</strong>egge ancora una volta <strong>il</strong> fascicolo processuale; persino del cuoco che<br />

cerca di elaborare al meglio <strong>il</strong> cibo, che sbatte con cura le uova perché la frittata riesca<br />

più saporita. Sono condotte che non producono, o comunque non producono sempre,<br />

un immediato vantaggio a chi le pone in essere, ma che soddisfano <strong>il</strong> suo senso <strong>della</strong> “dignità”,<br />

gli conferiscono stima in se stesso.<br />

Anche la criminalità, e in particolare la grande criminalità organizzata come la mafia,<br />

ha — o tenta di costruire — un suo “onore”; mentre sempre più si diffonde nella nostra<br />

società dei consumi un “onore”, un “essere onorati” che dipende esclusivamente dalla<br />

ricchezza e dalla potenza. Ma che cosa ha fatto sentire a Vincenzo Calcara che l’“onore di<br />

Borsellino” è onore “vero”; e quello di Cosa Nostra è onore “falso”?<br />

L’“onore di Borsellino” attinge all’universale, risponde a regole che, secondo le parole<br />

di Sofocle, “[...] non sono di oggi o di ieri, ma sempre vivono; e nessuno sa da quando apparvero”.<br />

L’”onore di Borsellino” risponde a tavole etiche che rendono la vita di tutti migliore;<br />

è espressione di quella carità cristiana che è amore di Dio e del prossimo e che, quindi, è<br />

operativa e fattiva nel sociale. Invece le regole <strong>della</strong> criminalità distruggono la vita e <strong>il</strong><br />

benessere di una società; conducono alla ricchezza di pochi e all’impoverimento di molti.<br />

L’onore autentico attinge all’assoluto e perciò alla religiosità d’amore. A quella religiosità<br />

che è fondamento <strong>della</strong> convivenza civ<strong>il</strong>e, dello Stato e <strong>della</strong> democrazia stessa.<br />

Nella nostra visione politica lo Stato non è un Leviatano signore del bene e del male;<br />

è invece strumento al servizio di valori che esso non crea; è un mezzo per perseguimento<br />

del bene comune.<br />

46


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

4. Cosa sia <strong>il</strong> bene comune è in grado di dircelo, almeno nei suoi tratti essenziali, una<br />

ragionevole riflessione laico-ut<strong>il</strong>itaristica ; che agevolmente ci conduce ad affermare che<br />

si deve ubbidire alla legge perchè ciò è ut<strong>il</strong>e, anzi indispensab<strong>il</strong>e. E ci consente di qualificare<br />

come “buone” quelle leggi che sono “ut<strong>il</strong>i”, cioè producono benessere nel maggior<br />

numero possib<strong>il</strong>e di individui e non solo in chi le pone in essere. Secondo quanto già<br />

chiaramente espresso nel mito platonico di Prometeo: per la sopravvivenza <strong>della</strong> umanità<br />

occorre <strong>il</strong> dono di Zeus “la giustizia ed <strong>il</strong> rispetto <strong>della</strong> legge”. L’economia criminale è al<br />

contrario –essenzialmente- un’economia parassitaria che assorbe ricchezze ed energie<br />

senza produrre frutti; e dunque <strong>il</strong> cancellarla è sicuramente “ut<strong>il</strong>e”, fonte di benessere<br />

per la collettività<br />

Mentre all’opposto, una famiglia unita e solidale, in coerenza ai valori etici, è particolarmente<br />

idonea (e quindi particolarmente ut<strong>il</strong>e) ad affrontare i momenti diffic<strong>il</strong>i <strong>della</strong><br />

vita e dell’esistenza degli individui, come dei popoli.<br />

Tuttavia la constatazione di questo interesse collettivo non è sufficiente a determinare<br />

la condotta dei singoli; occorre un aggancio forte di questo pubblico interesse<br />

con l’individuo, con ogni singolo individuo. Occorre che ciascuno percepisca un “perchè”<br />

che lo induca a sacrificare in taluni momenti <strong>il</strong> suo interesse personale, talvolta la<br />

sua stessa vita, ad un interesse collettivo. La mera consapevolezza <strong>della</strong> “ut<strong>il</strong>ità” <strong>della</strong><br />

legge, ed anche la minaccia di sanzioni, non sono sufficienti a indurre <strong>il</strong> magistrato, <strong>il</strong><br />

funzionario ad esporsi al pericolo ; a rispettare l’articolo 54 del codice penale; ad adempiere<br />

al loro dovere nonostante ogni minaccia di danno alla persona propria o di un<br />

proprio caro; a lasciare i propri figli privi dell’assistenza di un padre, di una madre.<br />

Occorrono particolari energie spirituali. Occorre una concezione etica <strong>della</strong> vita.<br />

Tocquev<strong>il</strong>le ed Hobbes ricorrono al termine “religione”; intesa non come organizzazione<br />

confessionale raccolta intorno ad uno specifico credo, bensì come capacità di anteporre<br />

l’ut<strong>il</strong>e collettivo a quello individuale. Un termine comprensivo anche di quella<br />

religiosità laica, di quell’ “amor di patria”, di quel senso dello Stato di cui ci parla Machiavelli<br />

; e che secondo Clausewitz costituisce <strong>il</strong> p<strong>il</strong>astro su cui poggia persino la capacità<br />

guerriera degli eserciti, che pur sotto <strong>il</strong> fuoco nemico conservano ordine ed<br />

efficienza. Occorre, in altre parole, la consapevolezza che esistono valori più grandi <strong>della</strong><br />

vita. Che morire per essi non è scegliere la morte, come un suicida che butta via la propria<br />

esistenza; è scegliere invece la vita, è rinunciare a qualche parte del tempo che Iddio ci<br />

concede per un modo di vivere maggiormente degno di un essere libero, plasmato “ad<br />

immagine e somiglianza” di Dio.<br />

Attraverso regole deontologiche di carattere morale le collettività inducono i singoli<br />

ad agire spontaneamente in conformità a determinati valori. Alcuni che violano grave-<br />

47


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

mente questi valori potranno esser puniti; altri che li hanno osservati con particolare<br />

impegno saranno forse premiati. Ma castighi e premi possono coinvolgere solo pochi<br />

membri <strong>della</strong> collettività, tutti gli altri ne osservano spontaneamente le regole, sotto la<br />

spinta del senso dell’onore.<br />

In particolare, nessun sistema disciplinare o di controllo può costringere gli uomini<br />

dello Stato a ut<strong>il</strong>izzare i propri poteri in conformità ai doveri che l’ordinamento impone,<br />

se essi non avvertono che <strong>il</strong> buon funzionamento dell’apparato pubblico è un valore che<br />

in qualche misura trascende le loro persone.<br />

In questo senso, lo Stato non può che essere etico, perché uno Stato che non sia sorretto<br />

dallo spirito etico dei suoi cittadini, dei suoi funzionari non può che sfaldarsi in<br />

una miriade di privati egoismi in cui ciascuno vuole godere dei vantaggi che gli procura<br />

<strong>il</strong> rispetto (da parte degli altri) <strong>della</strong> legge, ma sfugge agli oneri che <strong>il</strong> medesimi rispetto<br />

<strong>della</strong> legge gli impone.<br />

Intorno alla figura di Paolo Borsellino (come del suo amico fraterno Giovanni Falcone)<br />

queste energie umane si sono raccolte, abbiamo visto centinaia migliaia di palermitani<br />

sf<strong>il</strong>are s<strong>il</strong>enziosi e commossi la Sua camera ardente, abbiamo visto i suoi funerali<br />

resi solenni da una presenza strabocchevole di folla.<br />

Una giovane donna oggi magistrato ha scritto nel 2003: “undici anni fa mi trovavo a<br />

Santo Stefano e <strong>il</strong> proprietario di un negozio di alimentari uscì per strada con le mani<br />

sul volto e disse che avevano ucciso <strong>il</strong> giudice Borsellino. E io mi sedetti su una panchina<br />

e mi venne da piangere. E pensai, per la prima volta, che avrei potuto iscrivermi a giurisprudenza<br />

e diventare un magistrato. Forse una reazione emotiva. Ma negli anni questo<br />

pensiero è maturato dentro di me, sino a diventare una ragione di vita. Non so se l’avevo<br />

mai detto. Forse, aspettavo un giorno come questo”.<br />

La costernazione di quel commerciante, le lacrime di quella ragazza, la sua decisione<br />

di vita, sono un segno che <strong>il</strong> sacrificio di Paolo non è stato vano.<br />

5. Si legge nella nota pastorale <strong>della</strong> Conferenza Episcopale Italiana Educare alla legalità.<br />

Per una cultura <strong>della</strong> legalità nel nostro Paese, del 1991: “Proprio perché l’autentica<br />

legalità trova la sua motivazione radicale nella moralità dell’uomo, la condizione primaria<br />

per uno sv<strong>il</strong>uppo del senso <strong>della</strong> legalità è la presenza di un vivo senso dell’etica come dimensione<br />

fondamentale ed irrinunciab<strong>il</strong>e <strong>della</strong> persona” 12 .<br />

“Quinto, non ammazzare”, “Settimo, non rubare”. Quanti cav<strong>il</strong>li hanno costruito i<br />

12 Conferenza Episcopale Italiana. Commissione Ecclesiale Giustizia e Pace, Nota pastorale Educare alla legalità.<br />

Per una cultura <strong>della</strong> legalità nel nostro Paese, Roma 4 ottobre 1991, n. 3.<br />

48


giuristi di professione — e ancor più i politologi — per occultare questi due comandamenti!<br />

Ma <strong>il</strong> Santo Padre Giovanni Paolo II, a conclusione <strong>della</strong> Santa Messa celebrata<br />

ad Agrigento <strong>il</strong> 9 maggio 1993, ha parlato in termini di estrema chiarezza: “Dio ha detto<br />

una volta: “non uccidere”. Nessun uomo, nessuna associazione umana, nessuna mafia può<br />

cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio” 13 .<br />

13 L’Osservatore Romano, 10/11-5-1993.<br />

<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

Mario Cicala<br />

Consigliere <strong>della</strong> Suprema Corte di Cassazione<br />

49


<strong>Il</strong> fresco <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

<strong>Il</strong> ricordo di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino attraversa almeno tre aree, la memoria<br />

personale, l’impegno associativo nella magistratura, <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o professionale, mentre<br />

sullo sfondo c’è un quarto elemento, la sic<strong>il</strong>ianità o l’amore per la Sic<strong>il</strong>ia.<br />

Con Giovanni Falcone ho avuto meno occasioni di incontro, ma tutte ugualmente<br />

significative. Giovanissimo sostituto procuratore a Catania, fui chiamato dal procuratore<br />

capo a partecipare ad una riunione alla quale intervenne Giovanni Falcone, all’epoca giudice<br />

istruttore al Tribunale di Palermo, dopo aver espletato al Palazzo di giustizia –siamo<br />

alla fine del 1983 o agli inizi del 1984- un atto istruttorio coperto dal più assoluto riserbo,<br />

le misure di sicurezza erano imponenti, l’elicottero sopra la piazza Giovanni Verga, la tutela<br />

e la scorta armata in atteggiamento reattivo, autovetture blindate. Nella riunione, vi<br />

fu uno scambio di opinioni sulla situazione criminale di Catania, dove allora quasi nessuno<br />

pensava che la mafia, cosa nostra in particolare, avesse messo salde radici e soprattutto<br />

che vi potessero essere collegamenti organici con Palermo e <strong>il</strong> resto <strong>della</strong> Sic<strong>il</strong>ia. Ma<br />

la presenza di Falcone parlava da sola per chi ne voleva cogliere <strong>il</strong> significato, soprattutto<br />

perché –come si seppe dopo tempo, Falcone era venuto per sentire un soggetto e chiedergli<br />

delucidazioni circa un assegno bancario da lui emesso in pagamento di un acquisto.<br />

Qualche tempo dopo, partecipando ad un incontro di studi indetto dal C.S.M., svoltosi<br />

a Trevi, che ricordo ancora oggi come uno dei più importanti mai organizzati, Giovanni<br />

Falcone, Gherardo Colombo e Giuliano Turone spiegarono, ognuno per la parte di competenza,<br />

le reciproche e straordinarie esperienze di giudici istruttori nella ricostruzione<br />

dei movimenti bancari in importanti indagini che avevano istruito, rispettivamente nel<br />

processo Spatola-Inzer<strong>il</strong>lo, Sindona e i rapporti con la P2 e Gelli, sottolineando come le<br />

indagini bancarie fossero decisive per porre in luce <strong>il</strong> reticolo di relazioni e intestazioni<br />

patrimoniali, a loro volta dimostrative dei reati-fine dell’<strong>il</strong>lecita associazione per delinquere<br />

nella quale i vari soggetti espletano i rispettivi ruoli. Si tratta di argomenti e riflessioni<br />

che sono rimasti scolpiti nel breve saggio di G.Falcone e di G.Turone, intitolato Le<br />

tecniche di indagine, pubblicato prima in “Democrazia e diritto”, n. 4, 1983, 113-132 e<br />

successivamente e con <strong>il</strong> titolo Le tecniche di indagine in materia di mafia, in Cass. pen,<br />

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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

1983, n. 4, 1038-1057, e che era comparso, col titolo La mafia nei santuari delle banche,<br />

nella rivista “Segno”, del 1982, n. 34-35, pagg. 35-64.<br />

Tali problematiche investigative, col movimento dei conti correnti bancari di imprenditori,<br />

erano al centro di una complessa indagine da me trattata come pubblico ministero<br />

e successivamente formalizzata, avente ad oggetto l’appalto per la ricostruzione<br />

<strong>della</strong> rete viaria e degli insediamenti pubblici oltreché per <strong>il</strong> ristoro dei danni ad impianti<br />

e manufatti, dopo la colata lavica dell’Etna <strong>della</strong> primavera del 1983, indagine iniziata<br />

da un corposo rapporto <strong>della</strong> Guardia di Finanza <strong>il</strong> cui studio fu allora estremamente<br />

formativo. L’appalto per i lavori, per circa trenta m<strong>il</strong>iardi, era stato dato dalla Protezione<br />

civ<strong>il</strong>e e sotto l’onda dell’emergenza ad una grande impresa la quale, successivamente, si<br />

era avvalsa delle centinaia di piccole e medie imprese di movimento terra, trasporto, prestazione<br />

di servizi, fornitura di inerti che costituivano in grandissima parte <strong>il</strong> nerbo degli<br />

interessi mafiosi nell’Isola, secondo un modello ricorrente nel mondo degli appalti pubblici,<br />

allora e forse anche oggi. La maggior parte di queste imprese era intestata a prestanomi,<br />

le ditte avevano sede quasi tutte fra Favara e Santa Venerina, i due poli che<br />

rappresentavano geograficamente una sorta di spartizione ideale fra Sic<strong>il</strong>ia orientale ed<br />

occidentale. Quando Giovanni Falcone seppe di questa indagine, attraverso un brevissimo<br />

resoconto che gli riferii durante un incontro casuale, volle avere copia del rapporto <strong>della</strong><br />

Guardia di Finanza, che anziché mandargli per posta preferii portargli personalmente<br />

andandolo a trovare nel bunker del palazzo di giustizia di Palermo dove lavorava all’Ufficio<br />

istruzione, e fu proprio questa richiesta ad indicarmi chiaramente l’importanza di<br />

quella indagine, giacché quella moltitudine di imprese potevano scandire sul territorio<br />

sic<strong>il</strong>iano un reticolo di collegamenti e di relazioni tali da rappresentare plasticamente la<br />

presenza ramificata di cosa nostra nel mondo degli appalti pubblici. Mi resi conto che la<br />

sua stanza era <strong>il</strong> punto di riferimento di vari colleghi non solo di Palermo, e che i suoi<br />

metodi di lavoro rappresentavano una marcata innovazione nel mondo giudiziario, tradizionalmente<br />

conservatore e a quell’epoca ruotante attorno alla singola indagine, alla<br />

specifica imputazione contestata, avulsa da qualsiasi collegamento. Le riflessioni che in<br />

quella occasione feci furono due, la prima: mi resi conto che Giovanni Falcone aveva<br />

adottato strumenti di lavoro allora assolutamente sconosciuti, quali appunto lo scambio<br />

di notizie fra uffici di diversa struttura e dislocazione territoriale, scambio che andava al<br />

di là dell’angusto orizzonte <strong>della</strong> singola indagine. Inoltre la riservatezza, la protezione<br />

degli uffici palesata dalle porte blindate e quant’altro del luogo di lavoro stavano a dimostrare<br />

che la materia prima delle indagini e delle istruttorie in queste materie doveva<br />

essere circondata da un serio alone di massima sicurezza, per poter dare buoni frutti. La<br />

seconda riflessione riguardava <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o processuale: <strong>il</strong> fatto che un giudice istruttore si<br />

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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

interessasse così a fondo ad altre indagini non di sua stretta competenza, ma evidentemente<br />

collegate alle sue, mi poneva in risalto la necessità che la polizia giudiziaria dovesse<br />

essere diretta da un organo autorevole e di forte impatto qual era appunto a quell’epoca<br />

<strong>il</strong> giudice istruttore, <strong>il</strong> solo in grado di svolgere compiti di analisi, valutazione ed acquisizione<br />

<strong>della</strong> prova a trecentosessanta gradi. All’epoca, tutti noi del pubblico ministero<br />

eravamo abituati, all’inverso, ad una f<strong>il</strong>osofia di tipo diverso: era la polizia giudiziaria a<br />

trainare le nostre valutazioni e le istruttorie, non c’era spazio per alcuna autonomia da<br />

parte del magistrato inquirente, del tutto appiattito sulle scelte <strong>della</strong> polizia giudiziaria,<br />

l’unico vero motore delle indagini. Chi non ricorda la polemica secondo la quale <strong>il</strong> giudice<br />

istruttore era visto come un super pubblico ministero? Fu poi l’entrata in vigore del codice<br />

Vassalli che capovolse questo rapporto, conferendo più poteri direttivi al p.m., anche se<br />

a scapito del valore di prova dei suoi atti, almeno nella versione originaria.<br />

In un’altra occasione, Giovanni Falcone venne a Catania per partecipare ad un Convegno<br />

organizzato dall’Università, non potevo mancare e andai ad ascoltarlo, perché la<br />

mia ammirazione era enorme ed inoltre volevo capire riannodando quel sott<strong>il</strong>e f<strong>il</strong>o che<br />

si era formato nell’incontro di studi a Trevi. Una delle affermazioni di Giovanni Falcone<br />

che più mi colpirono in quest’ultima occasione fu quella che <strong>il</strong> magistrato, sia inquirente<br />

sia giudicante, deve essere responsab<strong>il</strong>izzato e, se sbaglia, deve pagare in qualche modo<br />

per l’errore compiuto, affermazione per l’epoca assolutamente inusuale e vorrei dire oltreché<br />

un tantino scomoda, anche controcorrente, ma certamente col tempo entrata a<br />

far parte del patrimonio comune e del bagaglio culturale e deontologico dei magistrati.<br />

La sua relazione al Convegno riguardava <strong>il</strong> lavoro in pool, di cui proprio l’Ufficio istruzione<br />

di Palermo rappresentava un importante antesignano, assieme ai precursori che<br />

erano stati i pool antiterrorismo degli uffici giudiziari del Nord e del Centro Italia. Naturalmente<br />

a Catania echeggiavano come f<strong>il</strong>trati e quasi smorzati tutti i c.d. “veleni” del<br />

palazzo di giustizia di Palermo, le polemiche e i conflitti all’interno <strong>della</strong> magistratura<br />

palermitana e all’esterno tra <strong>il</strong> Coordinamento antimafia, e alcune forze politiche, su cui<br />

si innestò la questione dei “professionisti dell’antimafia” che vide Leonardo Sciascia tra<br />

i protagonisti dello scontro, per avere espresso alcune critiche molto pungenti sul Corriere<br />

<strong>della</strong> Sera contro <strong>il</strong> Consiglio superiore <strong>della</strong> magistratura, a proposito del “superamento”<br />

(così lo definì Sciascia) di Paolo Borsellino su altro candidato più anziano ma meno titolato<br />

in materia antimafia alla carica di procuratore <strong>della</strong> Repubblica di Marsala. Sciascia<br />

non ebbe mai né <strong>il</strong> tempo né l’occasione di ricredersi, ma sono sicuro che l’avrebbe fatto<br />

se avesse avuto notizie più precise e soprattutto se avesse conosciuto Paolo Borsellino, <strong>il</strong><br />

cui impegno antimafia era tutt’altro che carrieristico, in quanto profondamente maturato<br />

e basato su convinzioni estreme ed anche su un amore per la terra sic<strong>il</strong>iana.<br />

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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

Nel 1986 fu costituito anche alla Procura di Catania <strong>il</strong> pool di magistrati per i reati<br />

in materia di criminalità organizzata, sulla scia di alcune indagini scaturite dalle rivelazioni<br />

dei primi collaboratori di giustizia. Io fui escluso, pur essendomi stata riconosciuta la<br />

professionalità richiesta, dalla prima costituzione e mi venne, invece, assegnata la materia<br />

inerente ai reati contro la pubblica amministrazione, che peraltro costituiva <strong>il</strong> tessuto<br />

portante dei miei precedenti studi universitari e postuniversitari. La mia delusione venne<br />

mitigata in parte dalle parole di un collega più anziano, molto autorevole cui ero legato<br />

da antica amicizia, in servizio nel Nord Italia, Franco Marzachì, poi divenuto segretario<br />

generale e presidente del Gruppo di M.I., che mi disse che non c’era poi tanta differenza<br />

tra reati di criminalità organizzata e reati contro la pubblica amministrazione, laddove la<br />

mafia avvolgeva tanta parte del malaffare, a voler cercare bene, si arrivava alla stessa testa<br />

del serpente, parole per certi versi premonitrici e veridiche, che ho sempre ricordato durante<br />

la mia carriera. Infatti, una prima verifica di questo principio la ricevetti l’anno<br />

successivo, allorché dovetti occuparmi di un’inchiesta sulla USL n. 35 di Catania che<br />

sfociò negli arresti di amministratori e dirigenti apicali e quindi in un dibattimento assai<br />

aspro, con un collegio di difesa molto agguerrito che si concluse con varie condanne, poi<br />

confermate in appello e in cassazione. Giovanni Falcone, che conosceva bene <strong>il</strong> procuratore<br />

capo dell’epoca, Giovanni Cellura, essendo stato a capo dell’Ufficio istruzione di<br />

Catania prima di essere nominato procuratore <strong>della</strong> Repubblica, saputo di questa inchiesta,<br />

si complimentò con me e già allora affermò come la sanità in Sic<strong>il</strong>ia fosse un settore<br />

fra i più inquinati per l’intreccio di interessi privati che soffocavano lo sv<strong>il</strong>uppo del servizio<br />

pubblico. Ripresi a dedicarmi alla materia <strong>della</strong> criminalità organizzata fin dalla costituzione<br />

<strong>della</strong> DDA catanese, alla fine del 1991, chiamato a farne parte dal nuovo<br />

procuratore capo, Gabriele Alicata.<br />

Ancora a Nicosia nel Marzo 1991, a poco più di un anno dai tragici fatti delle stragi,<br />

Giovanni Falcone tenne una memorab<strong>il</strong>e conferenza poi pubblicata postuma negli Atti<br />

dell’ISISC, col titolo “la criminalità organizzata in Sic<strong>il</strong>ia”, sullo stato dell’arte di cosa<br />

nostra, allorché parlò di cosa nostra come organismo unitario con ramificazioni anche<br />

all’estero, ritenendo superata la visione di cosa nostra come “confederazione di organizzazioni”,<br />

come l’aveva presentata Leonardo Sciascia sul Corriere <strong>della</strong> Sera nell’ultimo<br />

periodo <strong>della</strong> sua vita, cioè qualche anno prima, e soprattutto invitò a non considerare<br />

più <strong>il</strong> fenomeno mafioso come frutto di un’emergenza transitoria, ma come un dato<br />

strutturale <strong>della</strong> società e dell’economia. E sottolineò la differente struttura criminale fra<br />

zone come Palermo, dove la presenza di cosa nostra era totalizzante e altre zone <strong>della</strong> Sic<strong>il</strong>ia<br />

come Catania, Palma di Montechiaro, Licata, dove accanto a cosa nostra operavano<br />

altre frange <strong>della</strong> criminalità organizzata con le quali di volta in volta veniva in rapporto<br />

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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

l’organizzazione di cosa nostra ora per allearsi ora per dominare. A margine di quella<br />

conferenza, ebbi l’occasione di parlargli più a lungo, e gli chiesi a che cosa stava lavorando<br />

avendolo visto intento a leggere incartamenti in lingua inglese. Mi rispose che stava studiando<br />

<strong>il</strong> sistema americano <strong>della</strong> protezione dei testimoni, in vista di un progetto di riforma<br />

<strong>della</strong> nostra legislazione cui era alle prese come direttore generale degli affari penali<br />

presso <strong>il</strong> Ministero <strong>della</strong> Giustizia, allora retto dall’on. Claudio Martelli e a cui erano<br />

preposti magistrati <strong>il</strong>lustri come Loris D’Ambrosio, Giannicola Sinisi, L<strong>il</strong>iana Ferraro,<br />

Eugenio Selvaggi, Livia Pomodoro. E rimarcò la serietà dell’approccio americano, coerente<br />

e rigoroso tanto nel tracciare le premesse circa l’opportunità di separare l’apparato<br />

<strong>della</strong> protezione da quello investigativo, quanto nel trarre le conseguenze logiche da questa<br />

separazione. Sappiamo tutti quale architettura normativa sia stata elaborata nel biennio<br />

aureo 1991-1992, sul fronte degli strumenti di contrasto alla criminalità organizzata e<br />

quale sia stato <strong>il</strong> ruolo, di propulsione e di direzione, di Giovanni Falcone in questa mirab<strong>il</strong>e<br />

opera di costruzione degli istituti fondamentali <strong>della</strong> legislazione antimafia che ancora<br />

tutto <strong>il</strong> mondo ci invidia. L’unica occasione in cui qualche anno prima avevo visto<br />

insieme, in un momento di serenità, Giovanni Falcone e Francesca Morv<strong>il</strong>lo, era stata a<br />

Taormina, al Convegno nazionale di Medicina Legale del 1988, mentre stavo relazionando<br />

al Gruppo dei tossicologi forensi, proprio loro due entrarono nella saletta e si andarono<br />

a sedere nelle ultime f<strong>il</strong>e, per ascoltarmi, naturalmente suscitando la mia emozione<br />

e incredulità, che stentai a trattenere.<br />

Questi ricordi affollavano la mia mente allorché fui designato, unitamente ad altro<br />

molto più giovane collega, a rappresentare l’accusa nel dibattimento di primo grado per<br />

la strage di Capaci. Ogni giorno dovevo dar fondo alla mia inventiva per cercare di contrastare,<br />

sul piano tecnico-giuridico, le contestazioni e le eccezioni difensive svolte da un<br />

manipolo agguerrito, ma sempre corretto, di avvocati del Foro di Palermo e di Caltanissetta,<br />

con l’apporto di tanto in tanto di nomi <strong>il</strong>lustri dell’avvocatura a livello nazionale.<br />

Allora vi era una corrente di pensiero secondo la quale i processi non potevano essere<br />

svolti a Caltanissetta ma altrove e doveva addirittura predisporsi una modifica legislativa<br />

per consentirne la celebrazione a Roma, venendo esclusa Palermo per l’ostacolo dell’art.<br />

11 c.p.p. Se fosse prevalsa questa corrente di pensiero, si sarebbe data un’immagine di<br />

emergenza <strong>della</strong> giustizia e le regole ordinarie sarebbero state derogate con la conseguenza<br />

che la loro validità sarebbe stata definitivamente compromessa. I fatti poi hanno dimostrato<br />

che, pur con tutte le limitazioni, gli uffici giudiziari di Caltanissetta sono stati all’altezza<br />

del compito immane che era ricaduto su di loro e su di noi, certamente grazie al<br />

contributo di tutti i magistrati, ufficiali di p.g., personale amministrativo che vi lavorava<br />

con eccezionale spirito di servizio. Ma ciò era stato possib<strong>il</strong>e non solo perché le risorse<br />

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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

umane materiali erano state raccolte ed ut<strong>il</strong>izzate al meglio ma soprattutto per la tenace<br />

volontà politica di dare una risposta giudiziaria adeguata. Quando io e un altro collega<br />

fummo ricevuti dai Ministri dell’Interno Scotti e <strong>della</strong> Giustizia Martelli, all’indomani<br />

<strong>della</strong> strage di Capaci, a parte la commozione visib<strong>il</strong>e del Ministro Martelli, che mi colpì<br />

moltissimo perché testimoniava l’autentica amicizia intercorsa tra lui e Giovanni Falcone,<br />

i discorsi che sentimmo da questi due autorevoli rappresentanti del Governo erano del<br />

tipo che lo Stato veniva colpito al cuore e che era necessario riprendere l’azione di contrasto<br />

alla criminalità organizzata, così bene iniziata dallo stesso Giovanni Falcone, ora<br />

nella forma delle investigazioni più penetranti ristab<strong>il</strong>endone l’autorità sul versane processuale<br />

proprio in quel procedimento. Compito tutt’altro che fac<strong>il</strong>e e, visti i risultati<br />

con la conoscenza di oggi, si sarebbe potuto fare anche qualcosa di più, ma se ci si riporta<br />

alle condizioni di allora, bisogna riconoscere, senza false modestie e senza autocelebrazioni,<br />

che tutte le componenti chiamate ad operare sulle stragi ebbero a dare un contributo<br />

eccezionale, tanto sul piano delle indagini quanto su quello del dibattimento e che<br />

le aspettative dell’opinione pubblica e <strong>della</strong> stessa classe politica furono realizzate. L’Arma<br />

dei Carabinieri consentì di distaccare due sottufficiali particolarmente esperti nell’informatica<br />

e grazie a loro ci fu possib<strong>il</strong>e l’uso di un programma informatico grazie al quale<br />

si potevano consultare immediatamente tutti i verbali e si potè elaborare la presentazione<br />

multimediale dell’esposizione introduttiva che, nonostante la fiera opposizione del collegio<br />

difensivo, fu ammessa dalla Corte di assise. Mentre la polizia di stato, che aveva<br />

avuto <strong>il</strong> maggior lutto per la morte di ben otto tra ispettori e agenti <strong>della</strong> tutela, e precisamente<br />

gli agenti trucidati con Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli,<br />

Claudio Traina, Emanuela Loi ed Eddie Walter Cusina, ed ancora Antonio Montinaro,<br />

Rocco Di C<strong>il</strong>lo, Vito Schifani, gli agenti in servizio con Giovanni Falcone, costituì <strong>il</strong> c.d.<br />

Gruppo Investigativo Falcone Borsellino.<br />

C’era un clima di coesione non solo all’interno <strong>della</strong> Procura, ma fra tutti gli apparati<br />

dello Stato investiti di vari compiti nei procedimenti di indagini sulle stragi. Uno dei<br />

momenti più gratificanti fu quando <strong>il</strong> Presidente <strong>della</strong> Repubblica on. Oscar Luigi Scalfaro<br />

volle conoscerci, e fummo ricevuti in un’udienza privata, nel Novembre del 1993,<br />

subito dopo l’esecuzione dell’ordinanza applicativa <strong>della</strong> misura cautelare che aveva raggiunto<br />

esecutori e mandanti interni a cosa nostra, fummo introdotti dall’allora Capo<br />

<strong>della</strong> polizia Prefetto Vincenzo Parisi, in testa <strong>il</strong> procuratore capo Gianni Tinebra e tutti<br />

noi magistrati del pool nisseno. L’on. Scalfaro ebbe parole di grande considerazione che<br />

riconoscevano <strong>il</strong> lavoro e la dedizione di tutti noi, lavoro che aveva dato frutti in qualche<br />

misura insperati.<br />

Paolo Borsellino non aveva potuto partecipare a quel Convegno di Nicosia, sopra-<br />

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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

menzionato, mentre sempre nel 1991, mi pare in autunno, a Torino, in un Convegno<br />

organizzato da Magistratura Indipendente, svolse una bellissima relazione sulla Direzione<br />

Nazionale Antimafia vedendone i lati altamente positivi nella raccolta e smistamento<br />

delle informazioni e nel coordinamento investigativo, concepiti come strumenti di rafforzamento<br />

<strong>della</strong> lotta contro la criminalità organizzata. Per la prima volta, sentendo<br />

Paolo Borsellino, iniziai a riflettere e a valutare in maniera più favorevole e meno prevenuta<br />

verso una struttura giudiziaria che, come la maggior parte dei colleghi, non mi convinceva<br />

per nulla, perché del resto, la stessa Associazione Nazionale Magistrati aveva dato<br />

un giudizio fortemente negativo del d.d.l. sulla sua istituzione, poi trasformato in decreto<br />

legge, e vista come primo passo per portare <strong>il</strong> p.m. alle dipendenze dell’Esecutivo. <strong>Il</strong> prestigio<br />

e la competenza in questioni di antimafia che circondavano Paolo Borsellino erano<br />

tali da suscitare più di un dubbio fondato sulle posizioni pur argomentate dell’A.N.M.,<br />

Paolo Borsellino poi era inserito nel circuito dell’Associazione Magistrati e del Gruppo<br />

di Magistratura Indipendente, avendone ricoperto rispettivamente le cariche di Presidente<br />

<strong>della</strong> Giunta Distrettuale di Palermo e di Presidente del Consiglio Nazionale, ma non<br />

era mai stato un uomo di parte, le sue azioni e le sue dichiarazioni rivelavano <strong>il</strong> possesso<br />

di un cultura associativa che gli consentiva di avere ottimi rapporti con i colleghi di qualsiasi<br />

matrice ideale e schieramento correntizio e, soprattutto, di elaborare tesi originali e<br />

condivisib<strong>il</strong>i grazie al suo carisma. Anche per questo motivo, la sua relazione ebbe un<br />

impatto notevole su molti di noi, contribuendo in maniera determinante a suscitare decisivi<br />

cambiamenti di opinione e di valutazione.<br />

D’altra parte, Paolo Borsellino, uomo delle istituzioni, magistrato antimafia, oltreché<br />

credente e praticante, padre e marito esemplare, ma anche –come si è accennato- uomo<br />

impegnato nell’Associazione magistrati, aveva presieduto l’infuocata Assemblea di magistrati<br />

all’indomani del tragico attentato a Rosario Livatino, nel Settembre del 1990, dopo<br />

aver voluto verificare sui luoghi lo straziante destino di questo collega. Quel fatto aveva<br />

riaperto drammaticamente la stagione delle morti eccellenti, riproponendo ancora una<br />

volta <strong>il</strong> problema <strong>della</strong> protezione dei magistrati di fronte agli attacchi criminali ed aveva<br />

creato un acceso dibattito sui c.d. “giudici ragazzini”, giovanissime matricole <strong>della</strong> magistratura<br />

spesso gettate allo sbaraglio in zone di frontiera ad alta densità mafiosa, ma<br />

non per questo meno affidab<strong>il</strong>i e meno preparati rispetto ai colleghi di maggiore esperienza<br />

ai quali spesso si rapportavano. Si saprà molti anni dopo che <strong>il</strong> gruppo dei k<strong>il</strong>ler<br />

spietati che aveva spento per sempre la vita di Livatino, proprio tramite questo delitto<br />

voleva determinare una sorta di scalata ai vertici criminali di cosa nostra. Paolo Borsellino<br />

rimarrà legato al territorio e alle dinamiche <strong>della</strong> criminalità organizzata nell’agrigentino,<br />

oltreché del trapanese, per distribuzione interna degli incarichi <strong>della</strong> Procura <strong>della</strong> Re-<br />

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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

pubblica di Palermo dove era approdato come procuratore aggiunto dopo l’esperienza<br />

di procuratore <strong>della</strong> Repubblica di Marsala. Ricordo, in particolare, gli inizi dell’interrogatorio<br />

del collaboratore di giustizia Leonardo Messina allorché Paolo –come del resto<br />

risulta dal relativo verbale- chiedeva notizie dei gruppi criminali operanti ad Agrigento,<br />

con varie denominazioni come “stiddari”, “Cudi chiatti”. Ed anche <strong>il</strong> giudizio positivo<br />

che diede di questo nuovo collaboratore, uomo di onore originario di San Cataldo, giudizio<br />

che aprì le porte ad una penetrante quanto vasta indagine sugli assetti <strong>della</strong> criminalità<br />

organizzata <strong>della</strong> Sic<strong>il</strong>ia centro-meridionale, mai prima di allora nemmeno<br />

ipotizzata.<br />

<strong>Il</strong> rapporto con l’Associazione Magistrati e con M.I., <strong>il</strong> rapporto con le dinamiche<br />

<strong>della</strong> criminalità agrigentina e trapanese, <strong>il</strong> rapporto con i pentiti sono tre aspetti peculiari<br />

<strong>della</strong> personalità e <strong>della</strong> vita di Paolo Borsellino, del magistrato e dell’uomo e costituiscono<br />

un imprescindib<strong>il</strong>e patrimonio ideale e culturale che Paolo ci ha lasciato. Per me,<br />

come del resto per tanti altri colleghi, la sua presenza in M.I., con quelle caratteristiche<br />

di servizio, apoliticità, impegno professionale, partecipazione non partigiana alla vita associativa,<br />

era un’autentica garanzia che si poteva appartenere al Gruppo senza timore di<br />

trovarsi da una parte sbagliata. A Napoli, nei primi mesi del 1992, mi prese a braccetto<br />

e facemmo una lunga passeggiata nei pressi del Lungomare, a margine di un Convegno<br />

di M.I., e com’era solito fare, grazie ad una grande comunicativa e ad un alone di simpatia<br />

che lo caratterizzava, entrò subito in particolari personali, mettendomi a parte <strong>della</strong> sua<br />

amarezza per essere stato relegato ad occuparsi di Agrigento e Trapani, ma nello stesso<br />

tempo non c’era nelle sue parole nemmeno un’ombra di recriminazione, infatti mi disse<br />

“se hanno bisogno di me per Palermo, mi chiameranno”, con uno sfogo misurato e nello<br />

stesso tempo rispettoso delle dinamiche dell’istituzione in cui operava, per cui prevaleva<br />

in lui <strong>il</strong> senso dello Stato sulle rivendicazioni personali, egli era assolutamente refrattario<br />

a polemiche strumentali o retoriche. Poi, come si sa, sarebbe stato assegnato a sovraintendere<br />

la criminalità di Palermo proprio la mattina del 19 Luglio 1992, giorno dell’eccidio.<br />

Si potrebbe dire senza minimamente tradire <strong>il</strong> significato <strong>della</strong> sua azione e <strong>della</strong><br />

sua eredità spirituale, che la moderazione dei tratti in lui si accompagnava al rigore <strong>della</strong><br />

sostanza e alla cristallinità delle idee che lo animavano.<br />

Paolo Borsellino era un collega autorevole ed anche un amico, e la sua indimenticab<strong>il</strong>e<br />

risata accompagnata dalla inflessione dialettale con quella tonalità garbatamente e oserei<br />

dire financo gradevolmente palermitana, lo rendevano una persona amab<strong>il</strong>e. Alla fine<br />

degli anni Ottanta, occupandomi di un procedimento di indagine sull’appalto per <strong>il</strong> rifacimento<br />

del manto erboso dello Stadio Cibali di Catania, gli telefonai per avere <strong>il</strong> nominativo<br />

di un consulente tecnico che fosse distante dal circuito catanese, nominativo<br />

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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

che mi diede subito, che io nominai e che poi espletò l’incarico con mia grande soddisfazione.<br />

Ma non avrei mai immaginato che <strong>il</strong> caso, alcuni anni dopo, mi avrebbe portato alla<br />

Procura <strong>della</strong> Repubblica di Caltanissetta, dopo la strage di Capaci, e che mi avrebbe riservato<br />

<strong>il</strong> penoso quanto ingrato compito di procedere all’ispezione cadaverica del corpo<br />

straziato di Paolo e di dover redigere, non so con quanta lucidità, <strong>il</strong> relativo verbale, assieme<br />

al procuratore capo Gianni Tinebra. Si è detto e scritto, benevolmente, che Paolo<br />

Borsellino non fece in tempo di essere sentito dai magistrati di Caltanissetta, mentre la<br />

versione più malevola è che Paolo non venne mai citato dai magistrati di Caltanissetta.<br />

La mia sensazione è che Paolo Borsellino avesse stima di noi colleghi –come dire- nuovi,<br />

nel panorama antimafia nazionale, e chiamati ad operare a Caltanissetta, ma che ci considerava,<br />

giustamente devo riconoscere, privi del necessario bagaglio di conoscenze sulla<br />

criminalità organizzata e sulle istituzioni di Palermo, al punto che probab<strong>il</strong>mente egli<br />

stesso aveva difficoltà ad iniziare a riferirci elementi da lui ritenuti importanti sui prodromi<br />

<strong>della</strong> strage di Capaci e che per questo probab<strong>il</strong>mente aspettava <strong>il</strong> momento più<br />

adatto, purtroppo bruciato dalla tragica fine. Quello che pochi hanno presente è che a<br />

Caltanissetta, a partire dalla metà di Giugno del 1992 si ebbe un turbinìo di attività senza<br />

precedenti, prima l’indagine sulla strage di Capaci, poi <strong>il</strong> pentimento di Leonardo Messina,<br />

quindi l’indagine sulla strage di Via D’Amelio, una quantità di fatti che avrebbe<br />

messo in difficoltà qualunque ufficio attrezzato, e che a Caltanissetta rischiava di paralizzare<br />

la Procura, <strong>il</strong> cui organico di base era di soli tre sostituti oltre al Capo. Ma per<br />

una serie di fattori positivi, legati da un entusiasmo senza precedenti che aveva contagiato<br />

tutti gli addetti all’Ufficio <strong>della</strong> Procura, i risultati vennero e sono davanti agli occhi di<br />

tutti.<br />

Paolo Borsellino, dopo la strage di Capaci esternò in varie occasioni, in una di queste<br />

disse la celebre frase: «la lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale<br />

che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong> che si oppone al puzzo<br />

del compromesso morale, dell’indifferenza, <strong>della</strong> contiguità e quindi <strong>della</strong> complicità».<br />

Una frase che sintetizza un pensiero, un’epoca, <strong>il</strong> senso di un impegno che ci riguarda<br />

tutti, magistrati e non, cittadini del nostro Paese. La <strong>libertà</strong> come strumento di dignità<br />

<strong>della</strong> persona e dell’esistenza, come vero antidoto alla mafia, alle mafie per far trionfare<br />

la cultura <strong>della</strong> legalità, dove la <strong>libertà</strong> può nascere e sv<strong>il</strong>upparsi integralmente. Dopo la<br />

strage di Via D’Amelio, venne nominato procuratore <strong>della</strong> Repubblica a Palermo Gian<br />

Carlo Caselli, all’insegna di una marcata discontinuità nella gestione di quell’ufficio. Fui<br />

favorevole a questa nomina, pur non conoscendo se non di fama Gian Carlo Caselli, perché<br />

dopo quelle stragi, occorreva sperimentare sul campo una personalità di quel tipo,<br />

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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

un uomo non legato al territorio isolano, e fuori dai palazzi di giustizia sic<strong>il</strong>iani, che aveva<br />

messo in gioco se stesso chiedendo di andare da volontario in partibus infidelium. Questa<br />

era una condizione ideale, per consentire lo sprigionarsi di nuove energie in un ufficio<br />

non fac<strong>il</strong>e e traumatizzato, per offrire nuova linfa all’azione investigativa e di contrasto<br />

alla criminalità organizzata, obiettivo che si è realizzato puntualmente con l’arresto di<br />

molti latitanti, con centinaia di mafiosi condannati a pene significative, con l’incremento<br />

di indagini serrate sul fronte delle relazioni esterne di cosa nostra nella politica, nelle istituzioni,<br />

nell’economia. L’esito assolutorio di alcuni processi non smentisce, ma avvalora<br />

a voler leggere attentamente le motivazioni dei verdetti, la necessità di avviare le relative<br />

indagini.<br />

<strong>Il</strong> rapporto con i pentiti è stato altrettanto importante per Paolo Borsellino, la sua<br />

scrivania di procuratore aggiunto a Palermo che noi dovemmo esaminare la stessa sera<br />

<strong>della</strong> strage, per ragioni investigative, era colma di fascicoli riguardanti pentiti e questo<br />

dato, che in sé potrebbe sembrare scontato se visto dall’angolatura di oggi, dimostra se<br />

rapportato al contesto di allora, che Paolo Borsellino aveva l’obiettivo principale di incrementare<br />

l’apparato conoscitivo <strong>della</strong> criminalità organizzata per meglio combatterla,<br />

in un momento fra <strong>il</strong> 1991 e <strong>il</strong> 1992 in cui si registravano scarsità di informazioni e nello<br />

stesso tempo l’acme <strong>della</strong> strategia di attacco allo stato da parte di cosa nostra. <strong>Il</strong> pentito<br />

Calcara in un’occasione ebbe a rivelarmi che sentiva un grande sollievo umano quando<br />

lo andava a trovare Paolo Borsellino, anche soltanto per un saluto. D’altra parte <strong>il</strong> rapporto<br />

con i collaboratori di giustizia lega particolarmente Giovanni Falcone e Paolo Borsellino,<br />

al di là degli altri elementi di contatto. Conservo come una reliquia <strong>il</strong> verbale di<br />

dichiarazioni di Tommaso Buscetta rese all’allora giudice istruttore Falcone, un verbale<br />

che andrebbe studiato nelle facoltà di giurisprudenza, per la linearità <strong>della</strong> verbalizzazione,<br />

senza mai una sbavatura o un aggettivo mal posto, con una continuità di proposizioni,<br />

con una vorrei dire musicalità dei periodi, chiarezza e precisione dei dettagli, senza mai<br />

alcuna caduta in fatti meno che r<strong>il</strong>evanti, con una tensione <strong>della</strong> rappresentazione assolutamente<br />

alta e costante. E ancora, sono presenti soltanto tre attori, <strong>il</strong> giudice istruttore,<br />

<strong>il</strong> pubblico ministero e <strong>il</strong> pentito, non c’è un assistente, non un ufficiale di p.g., quasi a<br />

voler sottolineare la sacralità del segreto investigativo protetto dalla presenza del minimo<br />

indispensab<strong>il</strong>e di ascoltatori, e <strong>il</strong> verbale procede e si snoda cronologicamente per giorni<br />

e giorni, a simboleggiare la tempestività e la concentrazione dell’intervento, in uno alla<br />

completezza dell’ascolto. Come pure andrebbe studiato <strong>il</strong> contenuto del rapporto, quello<br />

che un altro grande magistrato e degno continuatore dell’opera di Giovanni Falcone e<br />

Paolo Borsellino, Pier Luigi Vigna, divenuto poi Procuratore Nazionale Antimafia, ebbe<br />

una volta a definire come laico e non intimistico, per rimarcare appunto l’approccio del<br />

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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

magistrato inquirente al collaboratore. <strong>Il</strong> pentito catanese Antonino Calderone, che credo<br />

sia stato tra i più sinceri in assoluto e <strong>il</strong> cui pentimento è stato contrassegnato da un processo<br />

di revisione morale <strong>della</strong> propria vita, ebbe una volta a chiarirmi <strong>il</strong> senso di questo<br />

rapporto quando mi disse che Giovanni Falcone lo interrogava in maniera, non solo corretta,<br />

ma soprattutto penetrante, perché “voleva capire”. In questa immagine che potremmo<br />

definire socratica, è racchiusa la chiave interpretativa del rapporto che tanto<br />

Giovanni Falcone quanto Paolo Borsellino hanno istituito con i pentiti e che noi oggi<br />

dobbiamo mettere al centro <strong>della</strong> nostra professione di magistrati inquirenti. Le immagini<br />

raccapriccianti <strong>della</strong> strage di via D’Amelio sono ancora un ricordo vivido, e soprattutto<br />

lo Stato ridotto in ginocchio da queste azioni criminali ed eversive e, come contraltare,<br />

l’aspettativa generalizzata di giustizia dell’opinione pubblica e le difficoltà di fare luce<br />

sulle stragi, sono i cardini attorno a cui è fissata la mia memoria sulle figure di questi<br />

dioscuri sorridenti, come li ritrae una celebre fotografia che campeggia in molti dei nostri<br />

uffici, quasi ad ammonire che la perdita <strong>della</strong> vita in modo così crudele e lo strappo prematuro<br />

ai loro affetti, recede di fronte a quell’icona positiva e ad una testimonianza ricca<br />

e indeleb<strong>il</strong>e, che prepotentemente si proietta come un raggio di sole nel futuro, un vero<br />

e proprio viatico e una speranza di riscatto che tuttora guida l’azione antimafia.<br />

Francesco Paolo Giordano<br />

Procuratore di Caltagirone<br />

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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

Un esempio per le generazioni del futuro<br />

L’ultima volta che ho visto Paolo Borsellino è stata alla Procura di Palermo. Ero andato<br />

a salutarlo e l’ho trovato impegnato davanti ad una macchina fotocopiatrice mentre faceva<br />

delle copie di atti da consegnare ad un collega: non dimenticherò mai più quella sua immagine<br />

che per me testimonia la sua figura di grande magistrato. Un capo, un Procuratore<br />

aggiunto, che si metteva a servizio dei suoi sostituti.<br />

Paolo era un uomo apparentemente triste, di poche parole ma di grande disponib<strong>il</strong>ità<br />

che credeva molto nell’importanza del suo lavoro e nella necessità di fare sistema, di creare<br />

una squadra coesa per affrontare le situazioni più diffic<strong>il</strong>i.<br />

La sua vita professionale ha profondamente inciso su quella di molti altri magistrati<br />

ed anche sulla mia. Sono entrato in magistratura nel 1981 e fui subito destinato all’Ufficio<br />

Istruzione del tribunale di Lecco. A quell’epoca non era possib<strong>il</strong>e destinare<br />

gli uditori alle funzioni di giudice istruttore ma <strong>il</strong> Presidente del Tribunale aveva chiesto<br />

una deroga al Consiglio e così io mi ritrovai a gestire, senza grande esperienza, cinque<br />

sequestri di persona, alcuni posti in essere da clan di sic<strong>il</strong>iani mandati in soggiorno obbligato<br />

in Brianza. Lo incontrai per la prima volta ad un corso di formazione. Era<br />

l’epoca in cui Rocco Chinnici aveva appena costituito un pool di giudici per le indagini<br />

sulla mafia, chiamandovi sia Falcone che Borsellino. Gli chiesi consiglio e lui mi disse,<br />

con grande disponib<strong>il</strong>ità, che i giudici non potevano più lavorare come monadi isolate<br />

e che per fronteggiare la criminalità organizzata era necessario che imparassero a lavorare<br />

insieme e fare sistema. Dovevano scambiarsi gli atti, individuare strategie condivise<br />

ed acquisire elementi di prova attraverso l’incrocio dei dati. Oggi sembra una cosa<br />

scontata, ma all’epoca era una tecnica rivoluzionaria, incomprensib<strong>il</strong>e per <strong>il</strong> sistema<br />

giudiziario di allora che era basato su una concezione atomistica dei reati e in cui solo<br />

nel 1982 era stato introdotto <strong>il</strong> delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso.<br />

Cercai di mettere subito in pratica i suoi consigli ed avviai subito contatti coi colleghi<br />

che avevano indagini sulle persone coinvolte nei processi di Lecco, con risultati sorprendenti.<br />

Dopo qualche anno, all’esito del maxiprocesso di Palermo, Borsellino era andato a<br />

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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

fare <strong>il</strong> Procuratore a Marsala. Stava per entrare in vigore <strong>il</strong> nuovo codice di procedura penale<br />

del 1989, che rappresentava una vera e propria rivoluzione culturale per la magistratura.<br />

Anch’io avevo scelto di fare <strong>il</strong> PM ed ero andato in Campania dopo l’attentato<br />

<strong>della</strong> camorra al Procuratore Gagliardi, con <strong>il</strong> quale avevo fatto una parte del tirocinio e<br />

che mi aveva voluto al suo fianco. Era veramente diffic<strong>il</strong>e creare un nuovo modello di<br />

organizzazione delle indagini in funzione delle prove che si sarebbero dovute formare<br />

solo in dibattimento. Ricordo <strong>il</strong> senso di frustrazione di chi con tanta fatica raccoglieva<br />

testimonianze o persino confessioni che, poi, puntualmente, venivano ritrattate in dibattimento.<br />

Ebbi modo di rivedere Paolo, questa volta ad un convegno, e gli manifestai<br />

<strong>il</strong> mio scoraggiamento di fronte a un sistema che all’epoca mi sembrava inadeguato a<br />

fronteggiare la criminalità organizzata. Lui mi rispose, con la sua proverbiale fierezza, facendomi<br />

notare che l’esito dei processi doveva valutarsi complessivamente e che <strong>il</strong> codice<br />

offriva agli inquirenti tante nuove opportunità di prove tecniche e scientifiche che potevano<br />

sostituire o rafforzare le tradizionali prove dichiarative e che le nuove indagini dovevano<br />

essere supportate da un nuovo modello di professionalità degli inquirenti e da un<br />

legame più stretto con la Polizia Giudiziaria. Ancora una volta aveva visto giusto. Stava<br />

per cominciare una nuova stagione <strong>della</strong> lotta alla Mafia in cui la specializzazione e la effettiva<br />

direzione delle indagini consentì un grande salto di qualità.<br />

Gli incontri con Paolo erano propiziati anche dal comune impegno associativo.<br />

All’epoca lui era Presidente del Consiglio Nazionale di Magistratura Indipendente e proprio<br />

Lui mi ha insegnato, soprattutto con <strong>il</strong> suo esempio, <strong>il</strong> valore dell’associazione come<br />

supporto culturale e professionale. Rifuggiva dal carrierismo e dal corporativismo. Ricordo<br />

quante volte gli chiedemmo di candidarsi al Consiglio Superiore <strong>della</strong> Magistratura<br />

o di assumere la guida del Gruppo di Magistratura Indipendente. Ma lui era troppo<br />

schivo e consapevole dell’importanza del suo lavoro “in trincea” per poter anche soltanto<br />

immaginare di accettare. Era profondamente innamorato del suo lavoro ed era convinto<br />

che l’impegno quotidiano e l’esempio fossero la migliore testimonianza per la crescita<br />

<strong>della</strong> magistratura associata.<br />

Questo è stato per me Paolo Borsellino: Un profeta. Una persona che ha sempre visto<br />

più lontano degli altri, anche quando ha capito che <strong>il</strong> suo lavoro lo avrebbe condotto<br />

alla morte. Una guida per tutti quelli che lo hanno conosciuto. Era impossib<strong>il</strong>e non rimanere<br />

affascinati dalla sua figura ed era diffic<strong>il</strong>e non rimanere avvinti dal suo carisma.<br />

Quando, in quell’ormai lontano 19 luglio 1992, la mano crudele <strong>della</strong> Mafia ce lo ha<br />

portato via, tutti provammo un dolore immenso. Fu un colpo durissimo. Ci fu un momento<br />

di sbandamento. Ricordo le parole di Caponnetto “Tutto è finito”. Ma non è<br />

stato così. <strong>Il</strong> suo esempio e la sua testimonianza sono state più forti <strong>della</strong> sua morte. <strong>Il</strong><br />

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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

suo insegnamento è vissuto in noi e ci continua a dare stimoli ed energia.<br />

Ho capito l’importanza <strong>della</strong> sua figura non solo per noi, suoi discepoli, ma addirittura<br />

per i suoi avversari quando qualche anno dopo la sua morte, con le nuove norme antimafia<br />

e quale componente <strong>della</strong> Procura Nazionale Antimafia, ebbi modo di interrogare<br />

un importante collaboratore di giustizia <strong>della</strong> camorra. Gli chiedevo spiegazioni sulla<br />

strategia di inquinamento delle istituzioni posta in essere nella metà degli anni novanta<br />

dalla criminalità organizzata e lui mi rispose che dopo la stagione delle stragi avevano capito<br />

che un magistrato come Borsellino per la Mafia era più pericoloso da morto che da<br />

vivo.<br />

E’ proprio così, Borsellino è diventato un simbolo, una guida non solo per la magistratura,<br />

anche dopo la morte.<br />

La sua vita, <strong>il</strong> suo lavoro, <strong>il</strong> suo esempio costituiscono per tutti noi un prezioso punto<br />

di riferimento. Uno stimolo a migliorare continuamente la nostra azione. Se tanti successi<br />

sono stati conseguiti nella lotta alla Mafia <strong>il</strong> merito è anche suo. Se è iniziata una nuova<br />

stagione nel contrasto al patrimonio delle organizzazioni criminali, se sono stati introdotti<br />

nuovi strumenti quali la confisca per sproporzione o quella per equivalente, ciò è dovuto<br />

anche ai suoi insegnamenti. Se <strong>il</strong> nostro modo di lavorare in gruppo si è evoluto, se abbiamo<br />

accettato un novo sistema di coordinamento all’interno ed all’esterno delle Procure<br />

questo è <strong>il</strong> frutto del suo sacrificio.<br />

Eugène Ionesco ha scritto che “pensare in modo contrario alla propria epoca è eroismo”.<br />

Anche in questo senso Paolo Borsellino è stato un eroe: lui ha parlato per le generazioni<br />

future.<br />

Sta a noi raccogliere <strong>il</strong> vero significato <strong>della</strong> sua testimonianza di vita.<br />

Antonio Laudati<br />

Procuratore di Bari<br />

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Falcone, Borsellino e i loro imitatori<br />

<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

Sono trascorsi diciotto anni da quando Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ci hanno<br />

lasciati. Ma per chi – come me – ha avuto la fortuna di conoscerli e di lavorare, sia pure<br />

occasionalmente, con loro, sembra ancora ieri. Tanto vivido e denso di significati è <strong>il</strong> loro<br />

ricordo; e tanto presente <strong>il</strong> loro insegnamento ed attuali i messaggi. Anche se – a mio parere<br />

– si tratta di insegnamenti e messaggi che spesso vengono travisati e strumentalizzati;<br />

anzi, più esattamente, travisati per essere strumentalizzati. Anche all’interno <strong>della</strong> magistratura,<br />

Falcone e Borsellino hanno trovato e trovano (specie negli ultimi tempi) degli<br />

imitatori; ma sovente, tra loro e gli imitatori, corre la stessa differenza che esisteva tra Picasso<br />

e i picassiani. Ed è per questo che non di rado, quando sento accostare, in questi<br />

ultimissimi anni, da certa pubblicistica o in interessati discorsi, al loro nome certi altri<br />

nomi, provo un moto di ribellione e penso che anche Giovanni e Paolo dovrebbero rivoltarsi<br />

nella tomba.<br />

Spesso mi sono domandato e mi domando che cosa ci è rimasto, che cosa mi è rimasto<br />

del loro esempio e del loro insegnamento.<br />

Primo. Non arrendersi mai, non rassegnarsi mai, non desistere mai. Continuare a<br />

“lottare”. Ma “lottare” nel modo che si conviene ad un magistrato che paradossalmente,<br />

per sua natura, non “lotta” e non “combatte” e non può (e non deve) né lottare né combattere:<br />

perché <strong>il</strong> compito del magistrato non è quello di dichiarare guerre e battaglie<br />

(neppure ai fenomeni criminosi) ma quello di giudicare su singoli fatti e singoli esseri<br />

umani, ricercando ed accertando, sul piano del fatto, la verità (sostanziale) ed accettando,<br />

sul piano del diritto, la soggezione alla legge (sia sostanziale sia processuale). <strong>Il</strong> che significa<br />

ricercare ed accertare la verità dei fatti storici rispettando, in totale um<strong>il</strong>tà, le regole,<br />

i limiti e le forme. E con <strong>il</strong> dovuto rispetto delle istituzioni, che implica saper in ogni<br />

momento, in ogni occasione, in ogni circostanza, distinguere tra l’istituzione (e, quindi,<br />

la funzione) e la persona che la incarna. Come è noto agli uomini <strong>della</strong> mia generazione,<br />

entrambi non si sottrassero al dovere civ<strong>il</strong>e di “testimonianza” ed ebbero a manifestare,<br />

in molteplici occasioni, verità sgradevoli e non gradite a molti, dicendo sempre, onestamente<br />

e senza infingimenti, quel che pensavano, ma sempre stando attenti anche a pen-<br />

67


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

sare a quel che andavano dicendo. In modo da assicurare sempre <strong>il</strong> massimo rispetto per<br />

le istituzioni e la dignità umana delle persone (di chiunque si trattasse) e da non compromettere<br />

mai, di fronte a nessuno, l’immagine di obbiettività ed imparzialità che costituisce<br />

l’essenza <strong>della</strong> funzione giurisdizionale, da chiunque sia svolta, giudici o pubblici<br />

ministeri. Mai nessuno ha potuto accusarli di faziosità e men che mai di faziosità politica<br />

(anche se ovviamente, ciascuno dei due aveva le proprie idee: che, tra l’altro, erano tutt’altro<br />

che coincidenti). Questione di st<strong>il</strong>e, questione di classe: ma in magistrato classe e<br />

st<strong>il</strong>e fanno parte <strong>della</strong> “sostanza”.<br />

Secondo. Non arrendersi, non rassegnarsi, non desistere significa saper attendere,<br />

saper “scavare”, saper “farsi canna” di fronte all’infuriare degli elementi. E soprattutto<br />

non aver paura o, meglio, saper vincere la paura. Conservare la calma, non perdere la<br />

fede. Scriveva Giovanni Falcone in “Cose di cosa nostra” che anche Cosa nostra era una<br />

creazione di esseri umani e, in quanto tale, non solo non invincib<strong>il</strong>e ma destinata ad<br />

essere prima o dopo debellata. C’era, in questa profonda convinzione, l’antidoto contro<br />

la paura, la coscienza che non solo noi siamo esseri umani (e quindi con tutti i limiti<br />

insiti nella nostra natura) ma anche gli altri, i criminali, i mafiosi, i terrroristi, i “nemici”<br />

insomma. E che quindi si trattava di una “partita” (quella contro <strong>il</strong> crimine) che si può<br />

vincere, che si deve vincere. Magari anche con la morte: perché la morte, se uccide <strong>il</strong><br />

corpo, non distrugge lo spirito e non elimina i valori che si trasmettono sol che vi sia chi<br />

abbia la disponib<strong>il</strong>ità di raccoglierli e di ascoltare le voci che gli uomini “eletti” ci hanno<br />

lasciato e ci lasciano in eredità. Personalmente non ho dubbi che l’uccisione di Falcone<br />

e Borsellino abbia rappresentato, per le organizzazioni mafiose, un autogol: perché hanno<br />

ridestato tante coscienze, hanno fortificato tanti deboli, hanno regalato forza e coraggio<br />

a tanti pavidi ed incerti, hanno restiuito certezze a chi si nutriva di dubbi.<br />

Terzo. La lealtà. Lealtà con tutti e verso tutti. Con le istituzioni, con i colleghi, con i<br />

difensori, con i propri collaboratori. Ed anche con gli indagati o imputati. <strong>Il</strong> sommo<br />

principio (“pacta sunt servanda”) che regola o dovrebbe regolare i rapporti tra gli Stati, <strong>il</strong><br />

magistrato lo deve praticare quotidianamente nei rapporti con tutte le persone con cui<br />

viene a contatto. Ovviamente, <strong>il</strong> magistrato sa quali patti può stringere e quali no. E ben<br />

si guarderà dallo stringere patti <strong>il</strong>leciti o dal promettere cose che non può promettere (sia<br />

perché dipendono da altri sia perché si tratta di promesse non consentite). Ma i patti (leciti)<br />

che si stringono, da uomo a uomo, vanno rispettati. Avendo conosciuto bene Paolo<br />

Borsellino, non ho avuto pertanto nessuna difficoltà a credere a quanto mi è stato riferito<br />

da un collega che lo aveva frequentato nel periodo immediatamente successivo alla morte<br />

di Giovanni Falcone e cioè che Paolo non avesse dato la sua disponib<strong>il</strong>ità per la nomina<br />

a Procuratore nazionale antimafia (chi – dopo la morte di Giovanni Falcone – avrebbe<br />

68


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

potuto contendergli <strong>il</strong> posto?) per mantenere la parola data ad un “pentito”, che avrebbe<br />

continuato a seguire personalmente <strong>il</strong> “suo” processo.<br />

Quarto. La lealtà verso se stessi. E cioè la coerenza. <strong>Il</strong> tener fede ai “principi” anche<br />

quando ciò può comportare gravissimi costi personali, specie di incomprensione e critica<br />

nell’ambito del proprio ambiente. Coerenza nei principi non significa ottusa e irragionevole<br />

testardaggine e pervicacia nel voler a tutti i costi far prevalere le proprie opinioni<br />

ed i propri convincimenti, ma significa continuare a perseguire gli ideali nel cambiamento<br />

dei tempi e nella mutevolezza delle situazioni. Chi non ricorda le incomprensioni e le<br />

critiche cui Giovanni andò incontro quando accettò di andare al Ministero <strong>della</strong> Giustizia<br />

dove venne chiamato da Claudio Martelli? Eppure anche lì, in altra forma, in altre vesti,<br />

con altri strumenti Falcone continuò l’opera che da tanti anni aveva svolto come magistrato.<br />

E sempre in omaggio agli stessi principi, agli stessi valori. Personalmente non ho<br />

mancato di dire che – a mio personale avviso – uno dei migliori ministri <strong>della</strong> Giustizia<br />

negli ultimi venti anni è stato proprio Claudio Martelli: e lo fu perché chiamò al Ministero<br />

Giovanni Falcone e si lasciò da lui guidare, tanto che <strong>il</strong> famoso decreto-legge Martelli-Scotti<br />

dell’8 giugno 1992, quello che permise di ridare al processo penale uno slancio<br />

nuovo che pareva perso dopo i primi tre anni di vigore del nuovo codice di procedura<br />

penale, è meglio noto – agli addetti ai lavori- come decreto-legge Falcone. Perché ne era<br />

stato Giovanni Falcone l’anima e l’artefice; e perché fu <strong>il</strong> suo barbaro assassinio a determinarne<br />

l’immediata emanazione e la successiva (e sia pure non senza modifiche peggiorative)<br />

approvazione.<br />

Molte altre cose potrei dire sul piano dei ricordi personali, dei discorsi, delle conversazioni,<br />

delle confidenze. Ma in questa occasione ritengo opportuno fermarmi qui, a<br />

quella che per me è stata l’essenza <strong>della</strong> loro eredità, di una eredità donata e offerta a<br />

tutti. Sta a noi accettarla.<br />

Marcello Maddalena<br />

Procuratore generale di Torino<br />

69


Giovanni Falcone e Paolo Borselllino:<br />

una speranza per i giovani<br />

<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

« Io ho sempre accettato più che <strong>il</strong> rischio, la condizione e le conseguenze del lavoro<br />

che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto<br />

perché ho scelto, ad un certo punto <strong>della</strong> mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin<br />

dall’inizio che dovevo correre questi pericoli. La sensazione di essere un sopravvissuto e<br />

di trovarmi, come viene ritenuto, in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge<br />

dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario<br />

che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me. E so<br />

anche che tutti noi abbiamo <strong>il</strong> dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare<br />

dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza, che tutto questo può<br />

costarci caro. » (Paolo Borsellino, inizio luglio 1992, intervista a Sposini).<br />

Sono passati quasi venti anni da quando Paolo Borsellino fece questa intervista e durante<br />

tutto questo tempo le sue parole hanno segnato <strong>il</strong> mio cammino e quello di tanti<br />

altri giovani che hanno scelto di raccogliere <strong>il</strong> suo testimone e di impegnarsi per riuscire<br />

a diventare dei bravi magistrati.<br />

Nel 1992 frequentavo ancora <strong>il</strong> liceo e le stragi di via Capaci e di via d’Amelio generarono<br />

in me un profondo turbamento. Oggi posso dire che quelle stragi hanno prodotto<br />

anche la rivoluzione culturale che ha animato la mia generazione, che riconosce nelle figure<br />

di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino esempi da emulare, gli eroi che ci hanno<br />

insegnato a distinguere, senza mezzi termini, <strong>il</strong> bene dal male. Allora apprezzavo <strong>il</strong> loro<br />

sacrificio con gli occhi di una “profana”, oggi cerco di valutare con gli occhi e la sensib<strong>il</strong>ità<br />

del “giurista” la loro esperienza professionale e <strong>il</strong> contributo che questa ha recato nel nostro<br />

sistema giudiziario.<br />

Era <strong>il</strong> 1980 quando, sotto la direzione di Rocco Chinnici, si costituì, presso l’Ufficio<br />

Istruzione del Tribunale di Palermo, <strong>il</strong> cosiddetto “pool antimafia”. La struttura e le dinamiche<br />

del fenomeno mafioso erano, allora, ancora poco conosciute. Per far fronte alla<br />

“criminalità organizzata” di tipo mafioso, con una grande intuizione, si cercò di creare,<br />

71


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

anche una “magistratura organizzata” che, grazie al lavoro di un gruppo di magistrati che<br />

interagivano fra loro, doveva dare l’avvio ad un’azione volta a comprendere e contrastare<br />

la mafia nella sua globalità, e non soltanto nelle singole articolazioni. <strong>Il</strong> lavoro del pool<br />

doveva poi trovare un adeguato e fondamentale supporto normativo nella legge Rognoni–<br />

La Torre con cui venne introdotto nel nostro ordinamento <strong>il</strong> reato di cui all’art. 416 bis<br />

c.p.<br />

Come è noto, nel 1985, per motivi di sicurezza, Falcone e Borsellino furono trasferiti<br />

nel carcere dell’Asinara ove portarono a compimento <strong>il</strong> lavoro del pool preparando quel<br />

“maxiprocesso” che inaugurava in Italia un modo nuovo di affrontare la mafia, che<br />

avrebbe indotto profondi mutamenti nelle regole e strategie processuali. Un lavoro coronato<br />

dal successo quando, nel 1987, fu emanata la sentenza conclusiva del maxiprocesso:<br />

360 condanne; 2665 anni complessivi di carcere; undici m<strong>il</strong>iardi e mezzo di lire<br />

in totale da pagare a titolo di multa.<br />

La storia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non è però solo quella di due uomini<br />

che hanno cambiato per sempre <strong>il</strong> modo di intendere ed affrontare la criminalità mafiosa<br />

nel nostro paese, di due magistrati che hanno dato impulso a cambiamenti culturali e<br />

normativi indispensab<strong>il</strong>i per affrontare e sconfiggere la mafia.<br />

E’ anche la storia di due magistrati fraintesi e um<strong>il</strong>iati in molteplici occasioni.<br />

Paradossalmente, solo la mafia comprese, per tempo, l’importanza del lavoro che stavano<br />

svolgendo. Quello che la mafia, invece, non poteva immaginare era che le stragi di<br />

Capaci e di Via d’Amelio avrebbero generato una “rivoluzione delle coscienze”, spingendo<br />

tanti giovani a seguirne l’esempio.<br />

Ad oggi non conosco ancora quale sarà <strong>il</strong> mio destino. Debbo ancora iniziare <strong>il</strong> tirocinio<br />

e non so quali funzioni mi saranno affidate e dove le svolgerò. So però esattamente<br />

con quale spirito intendo affrontare <strong>il</strong> mio lavoro di magistrato. E spero che, anche per<br />

me, possano valere le parole del “comitato dei lenzuoli di Palermo”: “Non li avete uccisi,<br />

le loro idee camminano sulle nostre gambe”.<br />

72<br />

Laura Morselli<br />

Vincitrice del concorso per Magistrato Ordinario<br />

bandito con D.M. 27 febbraio 2008


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

Falcone e Borsellino: <strong>il</strong> coraggio di un’idea<br />

Cosa resta oggi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ?<br />

Certamente le loro idee e un esempio che ha consentito a tutti i giovani, quelli di ieri<br />

e quelli di oggi, di maturare, a fronte <strong>della</strong> prepotenza e dell’arroganza <strong>della</strong> malavita organizzata,<br />

l’impegno civ<strong>il</strong>e e un più forte senso di appartenenza alle istituzioni. Le bombe<br />

<strong>della</strong> mafia hanno certamente cancellato le loro vite, ma hanno anche scosso, per sempre,<br />

la coscienza di tutti noi.<br />

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ci hanno, infatti, insegnato che la Giustizia non<br />

è solo un’attività, un servizio rivolto ai cittadini, ma soprattutto una prospettiva, un metodo,<br />

una speranza.<br />

“Gli uomini passano, le idee restano…restano le loro tensioni morali e continueranno<br />

a camminare sulle gambe di altri uomini”. Questa speranza e questa convinzione è profondamente<br />

penetrata anche nell’avvocatura e ha consentito a tanti giovani che avevano<br />

intrapreso quella professione di interrogarsi su come possa giovare alla giustizia anche<br />

un'opera di parzialità e di scoprire che magistrato ed avvocato perseguono, debbono perseguire,<br />

lo stesso scopo: la ricerca <strong>della</strong> verità.<br />

Tra gli eroi del nostro tempo, d’altronde, accanto a tanti magistrati, accanto a Borsellino<br />

e Falcone, c’è anche un avvocato, Giorgio Ambrosoli, vittima <strong>della</strong> mafia e testimone<br />

esemplare, come loro, di quella lotta per i valori ed <strong>il</strong> diritto che ha contrassegnato lo<br />

storia d’Italia e che, ancora, non si è conclusa. Senza Falcone e Borsellino molti processi<br />

non si sarebbero mai fatti.<br />

Ma, soprattutto, senza di loro, non sarebbe, forse, mai sorta quella legislazione antimafia<br />

la cui promulgazione ha rappresentato un importante messaggio sociale, ancora<br />

prima che un ostacolo all’attività mafiosa. <strong>Il</strong> sequestro e la confisca dei beni alle mafie<br />

introdotti dalla legge 7 marzo 1996, n. 109 hanno costituito la concretizzazione di una<br />

delle intuizioni più lungimiranti di Falcone e Borsellino, che avevano bene compreso<br />

come per colpire la mafia la si dovesse innanzitutto privare delle sue risorse economiche<br />

e finanziarie.<br />

In questa stessa prospettiva è possib<strong>il</strong>e, però, anche andare oltre, immaginando, de<br />

74


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

iure condendo, di imporre a colui che commette reati di mafia anche <strong>il</strong> risarcimento di<br />

un danno all’immagine dello Stato. In altri termini, oltre al tradizionale risarcimento del<br />

danno risentito dalle vittime dei reati, si potrebbe avviare una riflessione sulla possib<strong>il</strong>ità<br />

di configurare un danno in re ipsa all’immagine dello Stato dipendente dalla condotta<br />

antigiuridica del mafioso e presuntivamente accollato a quest’ultimo.<br />

Che questo danno non solo esista, ma sia anche enorme, lo dimostra non solo la secolare<br />

r<strong>il</strong>uttanza ad investire nei territori in cui è presente la criminalità organizzata, ma<br />

anche l’epiteto di “mafiosi” con cui gli italiani sono stati e sono, sovente, accolti all’estero.<br />

E se lo Stato è giunto a farsi risarcire un danno all’immagine dai medici che hanno<br />

attestato una falsa invalidità, tanto più dovrebbe farlo per i reati di mafia, capovolgendo<br />

peraltro l’onere probatorio in considerazione <strong>della</strong> particolare natura e gravità di quei<br />

crimini.<br />

Tutto ciò non solo per continuare a combattere la mafia, ma per dare concreto seguito<br />

all’esempio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e una speranza ai tanti giovani che,<br />

come me, hanno deciso di non dimenticarli.<br />

Sandra Moselli<br />

Vincitrice del concorso per Magistrato Ordinario<br />

bandito con D.M. 27 febbraio 2008<br />

75


Paolo Borsellino: un uomo buono<br />

<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

Ricordare Paolo Borsellino è sempre una grande emozione, anche se parlare di Paolo<br />

non è semplice, perché tanto è stato detto e scritto e si corre sempre <strong>il</strong> rischio che un’occasione<br />

di memoria si trasformi nella formale reiterazione di un rito già celebrato. E ciò<br />

certamente non sarebbe piaciuto a Paolo, <strong>il</strong> quale – come ben sanno coloro che hanno<br />

avuto la fortuna di conoscerlo – detestava i vuoti discorsi retorici, essendo Egli un uomo<br />

d’azione, concreto, per <strong>il</strong> quale più di ogni cosa contavano non le parole, ma i comportamenti,<br />

non le inut<strong>il</strong>i dissertazioni, ma l’agire di ogni giorno.<br />

E non nascondo che nei tanti anni trascorsi da quel terrib<strong>il</strong>e e maledetto 1992 ho<br />

ascoltato tanti ricordi e commemorazioni da ricavarne io stesso un gran desiderio di s<strong>il</strong>enzio,<br />

nella convinzione che con gli amici che non sono più con noi si parla solo nel s<strong>il</strong>enzio<br />

e nell’idea che <strong>il</strong> modo più concreto per adempiere <strong>il</strong> dovere di testimonianza e<br />

tenere vivo <strong>il</strong> ricordo di Paolo è, per coloro che lo hanno conosciuto e seguito nei suoi<br />

impegni professionali ed associativi, quello di conformare ai suoi insegnamenti <strong>il</strong> personale,<br />

quotidiano impegno civ<strong>il</strong>e.<br />

Però l’inesorab<strong>il</strong>e trascorrere del tempo rischia di rendere insufficiente questo modo<br />

di esercizio del dovere di testimonianza, soprattutto nei confronti dei più giovani, che,<br />

per le atroci vicende <strong>della</strong> vita, sono stati privati <strong>della</strong> possib<strong>il</strong>ità di conoscere direttamente<br />

i nostri Eroi, di parlare con Loro, di apprezzarne la grande professionalità e la carica di<br />

umanità e di impegno civ<strong>il</strong>e.<br />

E’ per questa ragione che ho raccolto l’invito di scrivere queste poche righe in ricordo<br />

di Borsellino e cercherò di adempiere a quanto mi è stato richiesto senza fare cenno alcuno<br />

alla concreta, e peraltro ben nota, attività di Paolo, al suo culto del dovere, ai suoi innumerevoli<br />

e sofferti successi professionali ed alle ultime durissime settimane dopo i tragici<br />

eventi del maggio 1992.<br />

Voglio solo ricordare l’Uomo buono, che sapeva “contagiare” la passione per la Giustizia<br />

e la Verità, <strong>il</strong> suo entusiasmo e la sua innata insofferenza verso ogni forma di prepotenza,<br />

<strong>il</strong> Magistrato che sentiva profondo <strong>il</strong> senso di rispetto <strong>della</strong> legge, da applicare<br />

con rigore ed equità, e che ha avuto <strong>il</strong> coraggio di difendere le sue idee sempre ed a qualunque<br />

costo, sapendo essere veramente indipendente ed autonomo.<br />

77


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

Due immagini mi ritornano ripetutamente alla memoria e credo che fare esercizio di<br />

memoria in questi tempi di dimenticanze non sia un male.<br />

La prima è <strong>il</strong> ricordo <strong>della</strong> serenità di Paolo.<br />

La semplice serenità di chi è tranqu<strong>il</strong>lo con la propria coscienza, perché sa di non<br />

poter essere disturbato, né sviato dai suoi compiti. Questa serenità, che certamente era<br />

sostenuta anche dalla sua salda fede religiosa, consentiva a Paolo, sempre attento ad ogni<br />

segnale, anche al più impercettib<strong>il</strong>e, di fronteggiare con la semplicità e la fermezza del<br />

giusto ogni situazione, dalle più delicate sul piano del lavoro e su quello delle “politiche<br />

giudiziarie”, che spesso lo hanno condotto pure a formulare severe ed impietose analisi,<br />

a quelle per così dire meno impegnative.<br />

A questa serenità si accompagnava la straordinaria insofferenza verso ogni forma di<br />

sopruso e la sua trascinante ostinazione nella ricerca <strong>della</strong> verità.<br />

Tali innate qualità facevano di Paolo Borsellino una naturale guida professionale: sempre<br />

prodigo di consigli e suggerimenti per tutti coloro che gli si avvicinavano e soprattutto<br />

per i giovani magistrati che a Lui si accostavano con assoluta naturalezza, anche per <strong>il</strong><br />

grande entusiasmo che riusciva a trasmettere, e che finivano per vedere in Paolo un vero<br />

e proprio “maestro di vita”, non solo professionale. La grandezza di Paolo era nella incredib<strong>il</strong>e<br />

carica di umanità con la quale affrontava ogni vicenda umana e nella sua um<strong>il</strong>tà,<br />

che gli impediva di mettersi in cattedra. I suoi insegnamenti, infatti, non si fondavano<br />

mai sull’affermazione di astratti principi o sulla formulazione di vuote teorizzazioni, ma<br />

derivavano dalle esperienze vissute, che, da gran conversatore, era in grado di trasmettere<br />

ai giovani con assoluta semplicità e, soprattutto, attraverso <strong>il</strong> racconto di tantissimi aneddoti,<br />

spesso tratti dalla sua lunga attività professionale. Tutto ciò faceva di Paolo un polo<br />

di naturale attrazione per i più giovani, richiamati dal suo umano carattere di bontà e<br />

dall’assoluta trasparenza del suo pensiero.<br />

Di questa capacità di Paolo di affrontare serenamente e con semplicità ogni situazione,<br />

anche quelle meno impegnative, sono stato personalmente partecipe e, pur avendone già<br />

scritto, desidero richiamare alla memoria ancora una volta due episodi: uno di natura<br />

per così dire professionale e l’altro di carattere personale.<br />

All’inizio <strong>della</strong> mia carriera, quale giudice istruttore, ebbi modo di occuparmi di un<br />

processo nel quale compariva un ambiguo personaggio che sembrava esser assai vicino<br />

ad ambienti di criminalità organizzata.<br />

Ritornato a Palermo per un breve periodo di ferie, andai a trovare Paolo in ufficio,<br />

anche per attingere eventuali notizie su tale personaggio. In quell’occasione non solo<br />

Paolo mostrò immediatamente di ricordarne <strong>il</strong> nome, ma mi riferì in dettaglio e con gran<br />

sicurezza i collegamenti con ambienti malavitosi e, con mio grande stupore, tra i numerosi<br />

78


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

volumi di uno dei tanti processi che invadevano la sua stanza, riuscì persino a trovare le<br />

poche righe di un rapporto di polizia, nel quale erano contenuti i pochi riferimenti che<br />

avrebbero potuto interessarmi.<br />

<strong>Il</strong> secondo ricordo personale risale agli anni successivi, dopo <strong>il</strong> mio rientro in Sic<strong>il</strong>ia,<br />

e mi è particolarmente caro, perché costituisce per me un segno concreto <strong>della</strong> bontà<br />

d’animo e <strong>della</strong> grande serenità con cui Paolo affrontava la vita.<br />

Come spesso accadeva in quegli anni, la sera ero solito fare una breve passeggiata poco<br />

prima di cena, e, abitando a poche centinaia di metri da casa Borsellino, talvolta avevo<br />

modo di incontrare Paolo che, “armato” di cappotto e cappello, percorreva la stessa strada,<br />

a piedi e da solo, verosim<strong>il</strong>mente nel tentativo di approfittare di un raro momento di <strong>libertà</strong>,<br />

lontano dalle scorte.<br />

Epperò, diversamente da quel che accadeva in ufficio, in quelle occasioni le parole<br />

che riuscivamo a scambiare erano davvero poche e sempre per volontà di Paolo, <strong>il</strong> quale,<br />

diversamente dalle sue abitudini, mostrava di avere una certa fretta, come se dovesse allontanarsi<br />

per risolvere qualcosa d’urgente.<br />

Non nascondo che le prime volte rimasi sorpreso da tale atteggiamento, che non era<br />

del Paolo Borsellino che io conoscevo, ma poi compresi che quel comportamento era<br />

dettato dalla naturale generosità e grande sensib<strong>il</strong>ità di Paolo, <strong>il</strong> quale temeva di esporre<br />

altri ai gravi pericoli ai quali già a quel tempo era esposta la sua persona.<br />

Ma Paolo, ed è questo un indeleb<strong>il</strong>e ricordo che intendo rassegnare ai giovani magistrati,<br />

è stato un Maestro anche di vita associativa.<br />

Egli fu stimato ed ascoltato delegato distrettuale di Palermo, presiedette a lungo ed<br />

attivamente la sezione distrettuale dell’ANM e fu autorevole presidente del Consiglio<br />

Nazionale di Magistratura Indipendente in quegli anni in cui aveva un senso la differenziazione<br />

in “correnti”, perché era vivo ed attuale <strong>il</strong> confronto ideologico all’interno dell’ANM,<br />

da ciascun associato considerata come la “casa comune” di tutti i Magistrati.<br />

Anche nell’impegno associativo, che costituì una parte senza dubbio significativa, pur<br />

se non la più importante, del suo esser Magistrato, Paolo operò come in tutte le sue attività<br />

e cioè nell’ottica del servizio.<br />

Pur essendo noto l’impegno associativo di Paolo, non ricordo di essere stato “spinto”,<br />

quale giovane uditore, a partecipare ad una riunione di gruppo, né di essere stato da Lui<br />

coinvolto in discussioni “correntizie”.<br />

Epperò conoscere Paolo e frequentare Magistratura Indipendente è stato del tutto naturale,<br />

direi spontaneo, per la totale condivisione di quell’idea di Paolo di una magistratura<br />

seria, impegnata, apolitica, rispettosa dei diritti di tutti e proiettata all’affermazione<br />

dei valori <strong>della</strong> terzietà, indipendenza ed autonomia <strong>della</strong> giurisdizione.<br />

79


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

Egli rappresenta ancor oggi l’esempio di un modo sano e virtuoso di fare associazionismo<br />

all’interno <strong>della</strong> magistratura.<br />

I gruppi associativi sono sempre più disegnati dal pensiero dominante come un male<br />

da estirpare, come una dimostrazione <strong>della</strong> propensione dei magistrati di “fare politica”.<br />

L’esperienza umana e professionale di Paolo Borsellino, invece, dimostra che non<br />

esiste alcuna barriera correntizia e che la vita associativa, quando è condotta con trasparenza<br />

e con dialogo ed all’insegna del conseguimento dei valori più nob<strong>il</strong>i è fonte di arricchimento<br />

del magistrato, anche e soprattutto come cittadino.<br />

<strong>Il</strong> suo esempio, oggi, ci spinge a rifiutare un modello di associazionismo volto alla<br />

cura di personali interessi di bottega ed a pensare che <strong>il</strong> futuro dipenderà dalla capacità<br />

di tutti di rivolgerci a quegli ideali che hanno caratterizzato la nascita dei gruppi associativi<br />

e di apprezzarne la valenza culturale in un atteggiamento di leale apertura e confronto.<br />

Del resto, a questi valori ed a questo modo d’interpretare l’associazionismo Paolo è<br />

stato sempre fedele.<br />

Egli non considerò mai quell’impegno come una sorta di “trampolino” di lancio per<br />

altri traguardi, che certamente avrebbe meritato di raggiungere anche nell’interesse <strong>della</strong><br />

corrente, perché temeva di esser in qualche modo distratto dalla sua attività professionale.<br />

Per tale ragione, non volle la carica di presidente di Magistratura Indipendente, né si propose<br />

per <strong>il</strong> Comitato Direttivo Centrale e persino decise di rinunciare a rappresentare <strong>il</strong><br />

distretto al Consiglio Superiore <strong>della</strong> Magistratura in un tempo in cui, sia per <strong>il</strong> suo prestigio<br />

personale, che per la forza <strong>della</strong> corrente, la sua elezione sarebbe stata scontata.<br />

Mi chiedo spesso quanti, oggi, sarebbero in grado di operare quelle scelte!<br />

Eppure per Paolo quella scelta fu addirittura naturale, perché egli non dimenticò mai<br />

la coerenza con sé stesso e con i valori perseguiti. Anzi, proprio quella coerenza all’idea<br />

di un magistrato impegnato, realmente autonomo ed indipendente, sereno e saldamente<br />

legato ai valori <strong>della</strong> giurisdizione, consentì a Paolo di rimanere strettamente legato a<br />

Magistratura Indipendente, alla quale dedicò anima e forze, anche in quelle occasioni,<br />

che non furono rare e di poco momento, in cui i suoi rapporti con la corrente non furono<br />

proprio id<strong>il</strong>liaci, perché in quel tempo <strong>il</strong> gruppo non sempre si muoveva nella direzione<br />

alla quale Paolo tendeva. Ma anche in quei diffic<strong>il</strong>i momenti Paolo dedicò anima e forza<br />

alla vita associativa e con le Sue scelte di professionalità, di coerenza e di trasparenza ha<br />

contribuito alla formazione di quel patrimonio di valori sui quali si fonda l’identità culturale<br />

di Magistratura Indipendente.<br />

Ed è proprio questa coerenza, cementata dalla forza delle argomentazioni, che costituiva<br />

una delle qualità più visib<strong>il</strong>i ed apprezzate dell’impegno associativo e che rendeva<br />

Paolo un naturale punto di attrazione e riferimento per i giovani colleghi, già conquistati<br />

80


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

dal suo instancab<strong>il</strong>e attaccamento al lavoro quotidiano e dalla giovialità di quell’Uomo<br />

buono e sereno, dotato <strong>della</strong> capacità innata di rassicurare e di trasmettere grandi passioni.<br />

Ricordo Paolo sempre pronto ad ascoltare tutti, ab<strong>il</strong>e nel discutere con i colleghi più<br />

anziani e capace di porsi come sicuro punto di riferimento per i più giovani.<br />

Partecipare, poi, alle riunioni associative era più che istruttivo e talvolta perfino spassoso.<br />

<strong>Il</strong> più delle volte Paolo rimaneva in piedi, talora un po’ distaccato, come per lasciare<br />

lo spazio più ampio possib<strong>il</strong>e agli interventi; di tanto in tanto si aggirava nell’aula di riunione<br />

con l’inseparab<strong>il</strong>e sigaretta, rimaneva anche a parlare con qualche collega, quando<br />

improvvisamente aveva la capacità di lanciare un commento o una semplice e spesso tagliente<br />

battuta, con cui riusciva a riportare i dibattiti all’interno di corretti binari e,<br />

quando occorreva, anche ad attenuare ogni possib<strong>il</strong>e tensione.<br />

Anche questo esercizio di memoria, credo, sia oggi necessario, soprattutto per ricordare,<br />

a chi dà l’impressione di aver dimenticato, quale dedizione è stata in grado di dare<br />

negli anni la magistratura italiana, quali valori essa ha saputo esaltare, non solo con <strong>il</strong> sacrificio<br />

dei suoi uomini migliori, di tanti colleghi che hanno dato la vita per <strong>il</strong> perseguimento<br />

di quegli ideali, ma anche con <strong>il</strong> quotidiano impegno profuso dalla stragrande<br />

maggioranza dei magistrati, i quali, nonostante l’assordante clamore, ogni giorno adempiono<br />

i loro doveri con professionalità ed assoluto riserbo, lontano dal richiamo <strong>della</strong> ribalta<br />

dei mezzi d’informazione.<br />

Ma l’assunzione di responsab<strong>il</strong>ità civ<strong>il</strong>e in Paolo Borsellino va ben oltre l’impegno<br />

manifestato nell’esercizio <strong>della</strong> giurisdizione. Egli sapeva che la mafia non è soltanto un<br />

fenomeno criminale da perseguire con la legge penale.<br />

Paolo era ben consapevole che la mafia si fonda su una mentalità, si diffonde con una<br />

sottocultura e si manifesta anche in atteggiamenti di connivenze, passività ed accondiscendenze<br />

censurab<strong>il</strong>i sul piano civ<strong>il</strong>e, anche quando non perseguib<strong>il</strong>i su quello strettamente<br />

processuale.<br />

Da qui <strong>il</strong> convincimento in Paolo Borsellino dell’importanza <strong>della</strong> diffusione <strong>della</strong><br />

cultura <strong>della</strong> legalità e soprattutto del necessario coinvolgimento delle più giovani generazioni,<br />

nella certezza che se si usa l’educazione e se si fa del rispetto <strong>della</strong> legalità un valore,<br />

allora la mafia resta un isolato problema criminale di gruppi di individui e cessa di<br />

essere un fenomeno sociale.<br />

Ed a questa opera di educazione Paolo ha dato <strong>il</strong> suo grande contributo, soprattutto<br />

dedicando le sue energie al coinvolgimento degli studenti sic<strong>il</strong>iani sul tema <strong>della</strong> legalità<br />

e <strong>della</strong> lotta alla sottocultura mafiosa.<br />

Ogni tanto provo a pensare quale sarebbe stata la sua reazione rispetto a quanto su<br />

81


<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

questo piano è accaduto negli ultimi anni e sono certo che Paolo avrebbe provato uno<br />

straordinario entusiasmo per quegli studenti palermitani che, qualche anno fa, dando<br />

l’avvio ad uno straordinario movimento, hanno creato grande scompiglio in Città con<br />

l’affissione di un semplice volantino nei pressi degli esercizi commerciali, nel quale si ricordava<br />

che “Un popolo che paga <strong>il</strong> pizzo è privo di dignità”.<br />

Sono convinto che quei volantini sarebbero piaciuti a Paolo per la forza del gesto e<br />

soprattutto per l’immediatezza e per la semplicità del messaggio trasmesso, col quale, con<br />

una sintesi estrema, che rasenta la crudezza, è stato ricordato che <strong>il</strong> pizzo esiste solo perché<br />

esiste chi cede e paga e che colui che cede e paga è privo di dignità.<br />

Questa voglia di rivincita e questo desiderio di diventare protagonisti nella lotta alla<br />

criminalità organizzata, nel convincimento che l’educazione alla legalità deve essere soprattutto<br />

educazione alla dignità, avrebbe certamente esaltato Paolo Borsellino, <strong>il</strong> quale<br />

sarebbe stato orgoglioso di quei giovani che, nel diffondere quel semplice, straordinario<br />

messaggio, si sono fatti artefici di una società rinnovata, pronta ad opporsi ai disvalori<br />

<strong>della</strong> sottocultura mafiosa, divenendo essi stessi straordinari interpreti di una Terra che,<br />

ritrovato <strong>il</strong> coraggio pieno <strong>della</strong> dignità, “un giorno diventerà bellissima”.<br />

Da questi semplici ricordi credo che emerga chiaramente la grande eredità che Paolo<br />

ci ha lasciato: quella di un Uomo capace di sapere saldare serenità e bontà d’animo con<br />

le forti passioni civ<strong>il</strong>i, di saper perseguire con forza e coerenza i propri valori, nel rifiuto<br />

di qualsiasi criterio di convenienza, senza lasciarsi travolgere dagli eventi e senza cedere<br />

al richiamo <strong>della</strong> ribalta, anche attraverso <strong>il</strong> fac<strong>il</strong>e ricorso ai mezzi d’informazione, ma sicuro<br />

<strong>della</strong> voglia di rivincita di una società rinnovata e <strong>della</strong> capacità di riuscire a farcela<br />

con la diffusione, tra le giovani generazioni, di quest’opera di educazione alla dignità perché,<br />

come Egli stesso ha detto, “se la gioventù le negherà <strong>il</strong> consenso, anche l’onnipotente<br />

e misteriosa mafia svanirà come un incubo”.<br />

E’ a questi valori che intendo affidare <strong>il</strong> mio ricordo di Paolo Borsellino, la cui memoria<br />

va consegnata ai giovani quale simbolo del “dover essere” e quale speranza per ritornare<br />

a respirare “<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> Libertà”.<br />

82<br />

Tommaso Virga<br />

Presidente di Sezione del Tribunale di Palermo


Finito di stampare nel mese di Luglio 2010<br />

presso Stamperia Lampo - Roma


Sul sito<br />

www.<strong>il</strong><strong>profumo</strong><strong>della</strong>liberta.it<br />

puoi contribuire anche tu a ricordare Paolo Borsellino e Giovanni Falcone.<br />

Invia le tue riflessioni a<br />

gioventu@<strong>il</strong><strong>profumo</strong><strong>della</strong>liberta.it


In questo volume, realizzato su iniziativa del Ministro <strong>della</strong><br />

Gioventù, sono stati raccolti alcuni contributi sull’opera<br />

e la figura di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Per<br />

mantenerne sempre vivo <strong>il</strong> ricordo e l’esempio.

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