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IL PROFUMO DELLA LIBERTA’<br />
Se la gioventù le negherà<br />
<strong>il</strong> consenso<br />
anche l’onnipotente<br />
e misteriosa mafia<br />
svanirà come un incubo
Se la gioventù le negherà<br />
<strong>il</strong> consenso<br />
anche l’onnipotente<br />
e misteriosa mafia<br />
svanirà come un incubo
Indice<br />
Prefazione<br />
GIORGIA MELONI, Ministro <strong>della</strong> Gioventù 7<br />
ANGELINO ALFANO, Ministro <strong>della</strong> Giustizia 10<br />
Un patrimonio per i giovani<br />
MANFREDI BORSELLINO 13<br />
Introduzione<br />
PIERO GRASSO, Procuratore Nazionale Antimafia 14<br />
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Intervista a RUDOLPH W. GIULIANI 20<br />
Una domenica particolare<br />
ROBERTO ALFONSO, Procuratore di Bologna 29<br />
L’etica <strong>della</strong> convinzione<br />
STEFANO AMORE, Magistrato, Consigliere del Ministro <strong>della</strong> Gioventù 38<br />
L’onore di Borsellino<br />
MARIO CICALA, Consigliere <strong>della</strong> Suprema Corte di Cassazione 41<br />
<strong>Il</strong> fresco <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
FRANCESCO PAOLO GIORDANO, Procuratore di Caltagirone 51<br />
Un esempio per le generazioni del futuro<br />
ANTONIO LAUDATI, Procuratore di Bari 63<br />
Falcone, Borsellino e i loro imitatori<br />
MARCELLO MADDALENA, Procuratore Generale di Torino 67
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: una speranza per i giovani<br />
LAURA MORSELLI, Vincitrice del concorso in Magistratura 71<br />
Falcone e Borsellino: <strong>il</strong> coraggio di un’idea<br />
SANDRA MOSELLI, Vincitrice del concorso in Magistratura 74<br />
Paolo Borsellino: un uomo buono.<br />
TOMMASO VIRGA, Presidente di Sezione del Tribunale di Palermo 77
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
Prima di qualunque considerazione, desidero ringraziare tutti coloro che hanno contribuito<br />
a riempire di ricordi, riflessioni, speranze questo libro. Poi voglio ringraziare coloro<br />
che lo stanno leggendo, specialmente se ancora giovani, per la loro curiosità, per<br />
l’atto di impegno civ<strong>il</strong>e che stanno compiendo in questo momento. 18 anni, sono trascorsi,<br />
e tornare indietro non si può. Non si potrà chiedergli di non recarsi da sua madre,<br />
almeno quel giorno. Non si potrà ascoltarlo, un’ultima volta ancora, mentre spiega agli<br />
studenti italiani le ragioni di una lotta che è di tutti e non di uno solo o di pochi. Non<br />
si potrà fermare quella strage, ma si potrà fare qualcos’altro che renda onore alla sua vita<br />
e alla sua morte: schierarsi dalla sua parte, anche se lui non c’è più, da diversi anni.<br />
Dalla parte di Paolo Borsellino si ama la <strong>libertà</strong>, si ama la bellezza di una esistenza<br />
libera dalla violenza criminale che diventa prassi quotidiana, libera dallo sfruttamento<br />
vigliacco di molti da parte di pochi, libera dalla droga, dall’estorsione, dalla corruzione,<br />
dall’ingiustizia. Dalla parte di Paolo Borsellino si combatte oggi, come tutti i giorni,<br />
su ogni pezzettino <strong>della</strong> nostra nazione per veder trionfare la giustizia in ogni ambito<br />
sociale. Non serve fare <strong>il</strong> magistrato antimafia per servire la causa di Paolo Borsellino.<br />
Tutti noi qualunque età abbiamo, qualunque lavoro facciamo, in qualunque città viviamo,<br />
siamo chiamati ad una scelta di parte: o di qua, dalla parte di Paolo, o di là,<br />
dalla parte di quei v<strong>il</strong>i senza onore che opprimono <strong>il</strong> nostro popolo. <strong>Il</strong> nemico è lo<br />
stesso, che si chiami mafia o camorra, <strong>il</strong> nemico è rappresentato da coloro che antepongono<br />
<strong>il</strong> proprio interesse a quello <strong>della</strong> propria gente e per questo sono pronti a<br />
schiacciare regole, diritti, uomini, donne, vite. Dalla parte di Paolo Borsellino, di Giovanni<br />
Falcone, dei loro agenti di scorta e di tutti i martiri nella lotta alla mafia si ama<br />
l’Italia. Ogni giorno <strong>della</strong> nostra vita siamo chiamati a scegliere a quale parte del campo<br />
di battaglia appartenere, a quale visione del mondo aderire. Anche chi fa politica deve<br />
fare la sua parte, anzi più di qualunque altro. Diceva Borsellino: “A fine mese, quando<br />
ricevo lo stipendio, faccio l'esame di coscienza e mi chiedo se me lo sono guadagnato”.<br />
La politica deve usare le sue stesse parole, perché si tratta di un giuramento verso coloro<br />
che rappresenta, verso coloro che hanno donato tutto di sé stessi per <strong>il</strong> nostro destino<br />
in comune.<br />
7
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
Sono molte le ragioni per cui mi è caro Paolo Borsellino, non ultimo <strong>il</strong> suo impegno<br />
politico giovan<strong>il</strong>e presso l’università di Palermo. Molte volte, soprattutto negli ultimi<br />
mesi mi è stato chiesto <strong>il</strong> motivo del mio impegno politico, quale fosse stata la scint<strong>il</strong>la<br />
che a 15 anni ha acceso una passione civ<strong>il</strong>e nel mio cuore. Fu quel sacrificio, fu la<br />
morte di Paolo Borsellino, pochi mesi dopo quella di Giovanni Falcone. Ricordo ancora<br />
la rabbia provata nel vedere quelle immagini in tv, ma ricordo bene anche l’amore verso<br />
quel popolo in lacrime che piangeva i suoi eroi caduti in quel v<strong>il</strong>e attentato. Inermi<br />
non si poteva più stare, non si poteva più restare ignavi di fronte alla criminale arroganza<br />
di quegli uomini senza onore neppure capaci di affrontare Paolo e la sua scorta<br />
a viso aperto, ma nascosti, al sicuro, a centinaia di metri dall’esplosione. Non potremo<br />
far nulla per impedire quella strage infame di 18 anni fa, ma possiamo far crescere dentro<br />
di noi la stessa ut<strong>il</strong>e rabbia di allora ed annunciare a tutti che restiamo schierati<br />
dalla stessa parte di allora, al fianco di Paolo Borsellino.<br />
Quando un fenomeno criminale come la mafia o la camorra o la criminalità organizzata<br />
si radica nell’immaginario collettivo, in ogni ambito del quotidiano e del territorio,<br />
serve una campagna di contrasto dal punto di vista culturale. Se la lotta alla<br />
criminalità organizzata resta confinata al piano m<strong>il</strong>itare, sarà come togliere l’acqua dal<br />
mare con un cucchiaino perché ci sarà sempre qualcun altro pronto a prendere <strong>il</strong> posto<br />
del criminale appena arrestato. Per spezzare <strong>il</strong> circolo vizioso che alimenta la mafia bisogna<br />
conquistare <strong>il</strong> cuore di coloro che vivono all’interno dell’area infestata. Ma questo<br />
vale dappertutto, non solo in Campania o in Calabria o in Sic<strong>il</strong>ia. Bisogna rappresentare<br />
i nostri nemici per quello che sono: pochi criminali senza alcuna dignità che schiacciano<br />
con la violenza <strong>il</strong> diritto di una popolazione a vivere nella <strong>libertà</strong> <strong>il</strong> proprio<br />
presente.<br />
Certe volte si confonde la legalità con la difesa dello stato, di un sistema che ti obbliga<br />
a pagare le tasse, ad andare a scuola, a pagare <strong>il</strong> biglietto sull’autobus, a fare la<br />
raccolta differenziata dei rifiuti, che ti fa la multa se vai sul motorino senza casco, oppure<br />
ti costringe alla disoccupazione, relegandoti ai confini di una vita che si vorrebbe<br />
piena di fama e ricchezza. Ma in realtà la legalità è l’unico strumento che difende la<br />
gente comune, la sua <strong>libertà</strong> di vivere senza paura. Di più, è l’unico strumento che favorisce<br />
<strong>il</strong> progresso e garantisce <strong>il</strong> benessere. All’ombra <strong>della</strong> legalità migliora sensib<strong>il</strong>mente<br />
la qualità <strong>della</strong> vita e cresce la fiducia nel futuro. La corruzione non ha mai<br />
portato sv<strong>il</strong>uppo, né la criminalità organizzata ha mai garantito la giustizia, se non<br />
qualche volta un suo indigerib<strong>il</strong>e surrogato che puzza di morte e terrore.<br />
C’è un pensiero straordinario usato da Paolo Borsellino, mentre parlava con gli studenti<br />
di una scuola, pochi giorni prima di essere ucciso: “La lotta alla mafia dev’essere<br />
8
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco<br />
<strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong> che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza,<br />
<strong>della</strong> contiguità e quindi <strong>della</strong> complicità”.<br />
Buona lettura, giovane italiano.<br />
Giorgia Meloni<br />
Ministro <strong>della</strong> Gioventù<br />
9
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
Idee che nessuno riuscirà mai ad uccidere<br />
Le terrib<strong>il</strong>i stragi del 1992 hanno segnato un punto di svolta nella storia dell’Italia<br />
intera in un momento politico di grandi difficoltà ed incertezze.<br />
In meno di due mesi, dal 23 maggio al 19 luglio, di quell’annus orrib<strong>il</strong>is l’Italia tutta<br />
e <strong>il</strong> mondo intero assistevano attoniti a due veri e propri atti di guerra contro lo Stato da<br />
parte <strong>della</strong> più potente organizzazione criminale sic<strong>il</strong>iana (Cosa Nostra) all’evidenza intenzionata,<br />
con <strong>il</strong> massimo del clamore possib<strong>il</strong>e, a chiudere i conti contro due simboli<br />
<strong>della</strong> lotta antimafia, protagonisti di un nuovo modo, finalmente vincente ed efficace, di<br />
condurre e portare a termine le indagini.<br />
Ed <strong>il</strong> fatto che si trattasse di due giudici sic<strong>il</strong>iani rendeva ancor più clamorosa e significativa<br />
l’uccisione di Giovanni Falcone - insieme alla moglie Francesca Morv<strong>il</strong>lo (valente<br />
magistrato anch’essa) – e di Paolo Borsellino, unitamente agli uomini delle loro scorte.<br />
In quell’epoca la Sic<strong>il</strong>ia ha saputo trovare al suo interno una motivata pattuglia di<br />
giudici e di valenti investigatori che, meglio di chiunque altro - e proprio grazie alla<br />
diretta esperienza e comprensione delle “cose” sic<strong>il</strong>iane - ha fatto per la prima volta<br />
crollare i miti dell’omertà e dell’impunità dei mafiosi, proponendo nuove forme di organizzazione<br />
dell’azione di contrasto alla criminalità organizzata che, ancora oggi, costituiscono<br />
l’asse portante di modelli operativi tuttora in vigore.<br />
Da qui la risposta furente e rabbiosa, con lo sterminio sistematico di troppi protagonisti<br />
di quell’epoca concluso, dopo la definitiva conferma in Cassazione delle condanne<br />
inflitte nel primo maxi processo di Palermo, con le stragi di Capaci e Via D’Amelio.<br />
Oggi, fuori da ogni retorica, è cosa certa che quel fiume di sangue ove altissimo è<br />
stato <strong>il</strong> contributo pagato dai sic<strong>il</strong>iani migliori non è bastato a mutare <strong>il</strong> corso delle cose;<br />
non è valso ad impedire che le buone idee di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino continuassero<br />
a camminare sulle gambe di altri uomini che con passione, coraggio e sempre<br />
maggiore efficacia, ne continuano l’opera.<br />
In questo senso e sotto questo prof<strong>il</strong>o ben possiamo dire che la mafia ha totalmente<br />
mancato i suoi obiettivi ed oggi è, di certo, meno baldanzosa e tracotante di allora.<br />
Alcuni di questi uomini delle istituzioni hanno voluto ricordare quei terrib<strong>il</strong>i eventi<br />
offrendo <strong>il</strong> loro contributo a questo importante volume celebrativo, per coltivare la me-<br />
10
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
moria ed <strong>il</strong> ricordo di quei giorni, trasmettendo alle generazioni future anche piccoli particolari<br />
di vita quotidiana e ricordi personali che sono assai ut<strong>il</strong>i a sottolineare la normalità<br />
e la straordinaria serenità con la quale sia Falcone che Borsellino, con piena consapevolezza,<br />
hanno affrontato <strong>il</strong> loro destino.<br />
Molti altri hanno offerto e continuano ad offrire <strong>il</strong> loro contributo – non meno importante<br />
– attraverso <strong>il</strong> lavoro s<strong>il</strong>enzioso ed <strong>il</strong> costante impegno per far si che l’analisi<br />
profetica di Giovanni Falcone sulla naturale evoluzione e la fine di Cosa Nostra possa<br />
trovare definitiva conferma in tempi quanto più possib<strong>il</strong>e brevi.<br />
Questi uomini confermano tutti i giorni che lo spirito di servizio ed <strong>il</strong> senso dello<br />
Stato, che animava Giovanni Falcone e Paolo Borsellino è rimasto inalterato ed è diventato<br />
esperienza e patrimonio comune nella consapevolezza che nell’azione di contrasto<br />
alla criminalità organizzata – come lo stesso Falcone ha spesso ripetuto – non serve esigere<br />
da inermi cittadini gesti di inut<strong>il</strong>e eroismo ma è necessario che lo Stato impieghi in questa<br />
battaglia gli uomini migliori delle istituzioni.<br />
Certo, oggi, anche grazie al metodo di lavoro in pool, inventato dal nulla presso l’allora<br />
Ufficio Istruzione di Palermo, la mafia sic<strong>il</strong>iana è meno onnipotente ed ancor meno misteriosa<br />
di quanto non fosse sino alla seconda metà degli anni ’80.<br />
Certo, oggi, anche grazie alla creazione <strong>della</strong> Procura nazionale Antimafia, delle Direzioni<br />
Distrettuali Antimafia e <strong>della</strong> Direzione Investigativa Antimafia, tutte strutture<br />
figlie di quell’antesignana e rivoluzionaria esperienza, la risposta dello Stato all’aggressione<br />
<strong>della</strong> criminalità organizzata è più strutturata ed efficiente.<br />
Certo, oggi, le recenti riforme in materia di rafforzamento del carcere duro per i mafiosi<br />
e in materia di aggressione ai grandi patrimoni accumulati dalla criminalità organizzata<br />
consentono di ottenere risultati di gran lunga più efficienti rispetto anche al più<br />
recente passato.<br />
Ed è per questo che <strong>il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong> che si coglie in queste pagine è ancor più<br />
intenso che nel passato e renderà ai nostri giovani più semplice rifiutare quello che Paolo<br />
Borsellino efficacemente definì <strong>il</strong> puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, <strong>della</strong><br />
contiguità e quindi <strong>della</strong> complicità.<br />
Ma questo <strong>profumo</strong> di <strong>libertà</strong> serve anche a ricordare ai più giovani che tutto questo<br />
si è reso possib<strong>il</strong>e anche grazie al sacrificio ed al patrimonio di idee e di cultura giuridica<br />
e sociale elaborato da quegli uomini:<br />
idee che hanno cambiato le tecniche investigative;<br />
idee che hanno cambiato le procedure e l’organizzazione <strong>della</strong> Stato;<br />
idee che hanno cambiato la storia dei processi di mafia, trasformando le consuete assoluzioni<br />
per insufficienza di prove in severe ed irrevocab<strong>il</strong>i sentenze di condanna;<br />
11
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
idee che hanno cambiato, definitivamente, lo scetticismo e la sensib<strong>il</strong>ità del popolo<br />
sic<strong>il</strong>iano;<br />
idee che, in una parola, hanno cambiato in meglio <strong>il</strong> volto <strong>della</strong> Sic<strong>il</strong>ia e la Storia del<br />
nostro Paese;<br />
idee che nessuno riuscirà mai ad uccidere.<br />
12<br />
Angelino Alfano<br />
Ministro <strong>della</strong> Giustizia
Un patrimonio per i giovani<br />
Caro Ministro,<br />
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
sono veramente lieto dell’iniziativa da Lei assunta di raccogliere in questo volume una<br />
serie di testimonianze e ricordi di mio padre e di Giovanni Falcone.<br />
Non mi sento ancora pronto, sebbene siano trascorsi più di diciassette anni dalla<br />
morte di mio padre, a tracciarne un ricordo per i tanti giovani a cui Lei ha voluto dedicare<br />
questo volume, giovani cui peraltro mi sento particolarmente legato, sia sotto <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o<br />
umano che sotto l'aspetto <strong>della</strong> "comunanza" di valori, cresciuti come me nella fede, nell'amore<br />
per la Patria (termine questo sempre più in disuso), per la famiglia e "permeati"<br />
da quegli ideali di giustizia per i quali mio padre, uomo dello Stato, si è sacrificato. Vorrei<br />
idealmente abbracciarli tutti, consapevole che moltissimi di loro, benché avessero pochi<br />
anni di vita in quel lontano ed infausto luglio del 1992, hanno "idealizzato" Paolo Borsellino,<br />
rendendo ogni giorno vivo <strong>il</strong> suo ricordo.<br />
E' un momento storico particolare, sembra che lo scenario in cui è maturata la decisione<br />
di assassinare mio padre possa schiarirsi da un momento all'altro grazie a nuove<br />
collaborazioni ed a particolari forse trascurati dagli investigatori in passato, ma ciò che<br />
oggi per me conta più di ogni altra cosa è l'omaggio alla memoria di mio padre che anche<br />
con questo libro gli avete voluto tributare "per non dimenticare" - come Lei ha scritto -<br />
"<strong>il</strong> significato prezioso del suo messaggio ai giovani sic<strong>il</strong>iani ed italiani".<br />
A questi giovani io voglio dire: non guardatevi indietro, fissate un obiettivo e fatelo<br />
vostro, non c'è di meglio nella vita che realizzarsi nel proprio lavoro e crescere i propri<br />
figli lasciando loro i patrimoni "morali" ereditati dai nostri padri. Mio padre mi diceva:<br />
non ti lascerò patrimoni o ricchezze, sono e voglio rimanere un um<strong>il</strong>e "servitore dello<br />
Stato", ma una grande "eredità morale" unita ad un archivio attraverso <strong>il</strong> quale potrai<br />
raccontare e far conoscere <strong>il</strong> "nonno" ai tuoi figli, <strong>il</strong> bene più prezioso che <strong>il</strong> Signore ci<br />
può donare.<br />
Manfredi Borsellino<br />
13
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
Introduzione<br />
Già nell’estate del 1991, con l’omicidio in Calabria di Antonino Scopelliti, uno dei<br />
tre magistrati che doveva sostenere l’accusa nel giudizio in Cassazione del maxiprocesso<br />
contro la mafia e con l’assassinio dell’ex sindaco di Palermo, l’europarlamentare Salvo<br />
Lima <strong>il</strong> 12 marzo, poco tempo prima delle elezioni politiche del 1992, si era creato un<br />
clima di particolare allarme e tensione.<br />
Dell’eliminazione di Lima, al quale, peraltro, i capi di Cosa Nostra attribuivano la<br />
colpa di non aver mantenuto la promessa di «aggiustare», come in passato, a loro favore<br />
le sentenze, che avevano resi definitivi gli ergastoli, lo stesso Falcone coglieva la portata<br />
eversiva, nel senso di una sostanziale rivoluzione dei rapporti tra mafia e politica, tant’è<br />
che commentando <strong>il</strong> delitto mi disse: «Adesso può succedere di tutto».<br />
I rapporti tra me e Giovanni Falcone, che mi aveva chiamato come collaboratore al<br />
ministero <strong>della</strong> Giustizia, erano diventati molto stretti, sotto <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o sia personale, che<br />
professionale e quindi capitava spesso che, nei fine settimana in cui rientrava a Palermo<br />
da Roma, mi offrisse un passaggio sull’aereo messo a sua disposizione per motivi di sicurezza.<br />
Così sarebbe dovuto avvenire anche <strong>il</strong> 23 maggio, se <strong>il</strong> destino non avesse deciso altrimenti.<br />
In origine, infatti, <strong>il</strong> programma prevedeva che partissimo venerdì 22, ma, intorno<br />
alle 14 di quel giorno, Giovanni mi chiamò per avvertirmi che la partenza era stata spostata<br />
al giorno dopo per aspettare sua moglie Francesca, la quale nella mattinata di sabato<br />
doveva partecipare a una riunione, convocata all’ultimo momento dal presidente <strong>della</strong><br />
commissione d’esame per uditori giudiziari, di cui faceva parte. Risposi a Falcone che lo<br />
ringraziavo, ma che se fossi riuscito a trovare un posto su un aereo di linea sarei partito<br />
prima: <strong>il</strong> caso volle che riuscissi a conquistare l’ultimo posto disponib<strong>il</strong>e, incerto fino al<br />
momento dell’imbarco, in quanto riservato ai parlamentari. Conservo ancora oggi <strong>il</strong> tagliando<br />
di quel check-in: imbarco alle ore 19.40 del 22 maggio, posto 1 L.<br />
Non ci sono parole per descrivere l’immenso dolore che provai quando, <strong>il</strong> giorno<br />
dopo, a casa, appresi dell’odioso e feroce attentato alla vita del mio caro amico e collega.<br />
14
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
Fui pervaso da un senso di incredulità, di nausea, di vuoto, di rabbia. Gridai più volte:<br />
vigliacchi, vigliacchi, assassini, assassini, maledetti, accompagnando queste parole con<br />
pugni sul muro. La TV aveva detto che ancora non era morto e nel recarmi all’ospedale<br />
civico farfugliavo: Giovanni hai resistito a tante avversità, a tante delegittimazioni, a tante<br />
prove, rimanendo ben saldo al timone <strong>della</strong> tua vita, <strong>della</strong> tua missione, non ci abbandonare,<br />
dai.., dai..che ce la fai. Purtroppo, quando arrivai, dopo minuti di attesa che<br />
sembravano un’eternità, la notizia che non c’era più niente da fare, che ogni speranza<br />
era svanita.<br />
Dinanzi alle cinque bare rivestite del tricolore, delle toghe e dei berretti degli agenti,<br />
giurai che la loro morte non sarebbe stata vana.<br />
Paolo Borsellino, che aveva condiviso con lui tanti momenti di lavoro e di vita privata<br />
e che, sebbene moralmente distrutto, si assunse <strong>il</strong> pesante fardello di proseguirne l’opera<br />
con la chiara consapevolezza che ne avrebbe condiviso <strong>il</strong> destino. Borsellino, infatti, era<br />
solito scherzare con Falcone dicendogli: «Giovanni, finché sei vivo tu io sto tranqu<strong>il</strong>lo».<br />
Si era buttato a capofitto nelle indagini, con ritmi massacranti e l’ansia di chi sa di condurre<br />
una vera lotta contro <strong>il</strong> tempo e non curandosi del pericolo che correva. Agli amici<br />
che gli consigliavano di andarsene da Palermo, di lasciare tutto, di far combattere ad altri<br />
la guerra contro la mafia, rispondeva con amarezza: «Non è un amico chi mi dà questi<br />
consigli. Gli amici sinceri sono quelli che condividono le mie scelte, i miei stessi ideali, i<br />
valori in cui credo. Come potrei fuggire, deludere le speranze dei cittadini onesti…?»<br />
Quando, a meno di due mesi, <strong>il</strong> 19 luglio, l’autobomba lasciata in via d’Amelio, sotto<br />
la casa di sua madre, d<strong>il</strong>aniò le membra di Borsellino, mi trovavo a Roma e mi recai immediatamente<br />
a Palermo insieme al ministro Martelli. Dopo la notte passata in Prefettura con<br />
i più alti vertici dello Stato, conclusasi con l’immediato trasferimento a Pianosa e all’Asinara<br />
dei detenuti dell’Ucciardone, ebbi <strong>il</strong> compito di aspettare a Roma Fiammetta, la figlia di<br />
Borsellino, che doveva rientrare dalla Tha<strong>il</strong>andia, ove si trovava in vacanza con amici di famiglia,<br />
per accompagnarla al più presto, in tempo per i funerali, a Palermo. Quando alle<br />
prime luci di un’alba tinta di rosa sorvolammo la città, <strong>il</strong> suo mare, i suoi dintorni, mi colse<br />
una struggente emozione ed in insieme una rabbia infinita, nel pensare come tanta bellezza<br />
potesse sprigionare tanta violenza, tanto male, tanti lutti, tanto sangue.<br />
Ancora ho negli occhi e nella mente, in chiesa, durante i funerali, la rivolta, <strong>il</strong> tentativo<br />
di aggressione fisica dei rappresentanti delle istituzioni da parte di cittadini esasperati,<br />
assetati di giustizia.<br />
Perché <strong>il</strong> sangue di Falcone e Borsellino non sia stato versato invano si impone all’attenzione<br />
di tutti la costante presenza, la pericolosità e l’attualità del fenomeno mafioso.<br />
<strong>Il</strong> loro sacrificio rimane un monito alle coscienze di tutti gli italiani.<br />
15
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
Perché sono morti? Erano dei sognatori, degli idealisti, degli utopisti? Forse!<br />
Certamente sono la testimonianza di chi ha pagato con la vita <strong>il</strong> sogno di un Paese<br />
migliore, liberato dalle troppe ingiustizie e <strong>il</strong>legalità.<br />
Mi ritrovo spesso, quando <strong>il</strong> lavoro me lo consente, nelle scuole, nelle università a<br />
parlare con i giovani, a cercare di trasmettere loro quei valori che possano aiutarli a costruire<br />
<strong>il</strong> loro futuro, <strong>il</strong> futuro del mondo.<br />
I giovani sono, da sempre, i più sensib<strong>il</strong>i nel recepire tutto ciò che promana da scelte<br />
esistenziali forti, da esempi di vita. Ascoltano più volentieri i testimoni che i maestri. <strong>Il</strong><br />
maestro sale in cattedra addita una via, un ideale da seguire, <strong>il</strong> testimone vive questo<br />
ideale sulla propria pelle, lo fa suo senza paura di mettersi sempre in gioco, di rischiare <strong>il</strong><br />
tutto per tutto. Ad una opinione, ad una teoria se ne può contrapporre un’altra, ma chi<br />
potrà mai confutare una vita, fatti e comportamenti concreti? Ecco perché i migliori maestri,<br />
coloro che riescono ad infondere la “cultura”, sono anche dei testimoni che con <strong>il</strong><br />
loro esempio mostrano di condividere e praticare le idee, gli ideali, i valori che propugnano.<br />
Cerchiamo, dunque, noi adulti di essere <strong>il</strong> più possib<strong>il</strong>e credib<strong>il</strong>i e coerenti per<br />
avvicinarci ad essere dei veri testimoni.<br />
Perché, vedete, cari ragazzi, cultura <strong>della</strong> legalità è qualcosa di più <strong>della</strong> semplice osservanza<br />
delle leggi, delle regole; è un sistema di principi, di idee, di comportamenti, che<br />
deve tendere alla realizzazione dei valori <strong>della</strong> persona, <strong>della</strong> dignità dell’uomo, dei diritti<br />
umani, dei principi di <strong>libertà</strong>, eguaglianza, democrazia, verità, giustizia come metodo di<br />
convivenza civ<strong>il</strong>e.<br />
La cultura, la conoscenza aprono la nostra mente alla riflessione ed al coraggio, al rispetto<br />
degli altri e alla tolleranza; ci rendono migliori, ci rendono più liberi.<br />
Nessun regime autoritario potrà mai fermare <strong>il</strong> nostro pensiero.<br />
La legalità è la forza dei deboli, delle vittime dei soprusi e delle violenze dei ricatti del<br />
potere.<br />
Perché la mafia attenta a tutti questi valori, perché è violenza, sopraffazione, intimidazione,<br />
prevaricazione, collusione, corruzione, compromesso, contiguità complicità.<br />
La mafia è eclissi di legalità.<br />
Forte e diffuso è <strong>il</strong> rischio di un assordante s<strong>il</strong>enzio, <strong>della</strong> disattenzione, dello sconforto,<br />
<strong>della</strong> rassegnazione, <strong>della</strong> rimozione, del rifugio nel mito di martiri ed eroi in una<br />
oleografia staccata dalla realtà di oggi.<br />
Finché la mafia esiste bisogna ricordarlo, parlarne, discuterne, reagire.<br />
<strong>Il</strong> s<strong>il</strong>enzio è l’ossigeno grazie al quale i sistemi criminali, la pericolosissima simbiosi<br />
di mafia economia e potere, si rafforzano, si riorganizzano.<br />
I s<strong>il</strong>enzi di oggi saremo destinati a pagarli più duramente domani, con una mafia sem-<br />
16
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
pre più forte, con cittadini sempre meno liberi.<br />
Come Procuratore Nazionale Antimafia non posso che pensare alla repressione, con<br />
tutte le mie forze, con tutto <strong>il</strong> mio impegno, di tutti i traffici <strong>il</strong>leciti, di tutte le mafie nazionali<br />
e straniere, dovunque si trovino, ma oggi ho bisogno anche <strong>della</strong> collaborazione<br />
<strong>della</strong> società tutta e dei giovani in particolare.<br />
Io sto dalla parte dell’antimafia concreta, dell’antimafia <strong>della</strong> repressione e dell’antimafia<br />
che chiede consenso e aiuto a tutte le altre componenti <strong>della</strong> società, dell’antimafia<br />
<strong>della</strong> speranza.<br />
Oggi abbiamo la piena conoscenza <strong>della</strong> realtà sociale in cui viviamo e del suo condizionamento<br />
da parte di tanti fattori come la mafia e nessuno può più accampare alibi.<br />
Oggi si può, si deve, scegliere da che parte stare.<br />
Ho tanti altri meravigliosi esempi positivi, che ci infondono speranza.<br />
Una donna era stata arrestata perché, approfittando dei colloqui in carcere, portava<br />
alla cosca mafiosa, di cui <strong>il</strong> marito faceva parte, i suoi messaggi, le sue direttive. Questa<br />
donna aveva due figlie di undici e tredici anni che andavano a scuola in un paesino <strong>della</strong><br />
Sic<strong>il</strong>ia, le quali furono chiamate a svolgere a scuola un percorso sulla legalità proprio nel<br />
momento in cui avevano entrambi i genitori detenuti per mafia. Le ragazzine si sentivano<br />
in imbarazzo, estranee, fuori dal contesto, etichettate come se anche loro fossero mafiose,<br />
sol perché avevano i genitori in carcere. Quando la madre ottenne gli arresti domic<strong>il</strong>iari<br />
e tornò a casa, le due bambine le imposero di collaborare con la giustizia anche a costo<br />
di accusare <strong>il</strong> loro padre dei gravi delitti di cui la donna era a conoscenza. La madre si<br />
convinse, naturalmente entrarono in un programma di protezione perché non potevano<br />
più restare in Sic<strong>il</strong>ia. Sono andate al Nord, hanno studiato e ancora oggi continuano a<br />
costruirsi un futuro migliore. Grazie all’impegno di professori e maestri, l’educazione<br />
alla legalità ha prodotto e riesce a produrre questi risultati, che testimoniano una rivoluzione<br />
culturale senza precedenti. Altro esempio: alcune associazioni giovan<strong>il</strong>i di sinistra<br />
toscane, avendo saputo che la mafia aveva danneggiato colture e distrutto attrezzature<br />
delle cooperative di Libera che coltivano i terreni confiscati alla mafia in quel di Corleone,<br />
hanno organizzato una serie di cene di beneficenza, col cui ricavato hanno loro donato<br />
un trattore, simbolo di un’antimafia fatta non solo di marce, di fiaccolate, ma di azioni<br />
concrete.<br />
Ci sono poi tante altre iniziative, tanti cambiamenti che lasciano ben sperare: ci sono<br />
associazioni di imprenditori che denunciano <strong>il</strong> racket, Confindustria sic<strong>il</strong>iana e nazionale<br />
pronta ad espellere chi sottosta all’estorsione, Libera, che raccoglie tutte le associazioni<br />
antimafia e le vittime <strong>della</strong> mafia, gli altri movimenti antimafia, come la fondazione Falcone,<br />
la fondazione Caponnetto, la fondazione Borsellino, Riferimenti in Calabria, ed<br />
17
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
altre iniziative del genere promosse nel Paese. I giovani di Addio Pizzo a Palermo, ingegnosi<br />
inventori del consumo critico: “non pago chi paga” (<strong>il</strong> pizzo alla mafia), i giovani<br />
contro <strong>il</strong> racket e la camorra a Napoli, studenti di scuole e università del centro-nord che<br />
hanno creato una rete telematica virtuosa e virtuale che attraversa tutta Italia, per dare<br />
solidarietà ai ragazzi del Sud, che vivono in contesti molto più diffic<strong>il</strong>i.<br />
Questi meravigliosi esempi sono la nostra speranza.<br />
Io, a mia volta, ho i miei punti di riferimento, e ben saldi, nel ricordo di due miti,<br />
due eroi, due colleghi che sento sempre accanto a me, non soltanto nei giorni <strong>della</strong> ricorrenza<br />
del loro estremo sacrificio: sono Falcone e Borsellino, sono coloro che mi aiutano,<br />
col loro esempio, a resistere nei momenti in cui sembra che tutto sia perduto, che<br />
bisogna ricominciare tutto daccapo, dopo che hai dato tutto te stesso per raggiungere un<br />
risultato.<br />
Al Presidente <strong>della</strong> Corte di Assise che lo interrogava nel corso del processo per la<br />
strage di Capaci, Buscetta riferì che Falcone, a lui che prevedeva che sarebbe stato preso<br />
per pazzo e che non sarebbero sopravvissuti a quell’avventura, ripeteva sempre: “non importa<br />
dopo di me ci saranno altri magistrati che continueranno”.<br />
<strong>Il</strong> valore del sacrificio <strong>della</strong> vita di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino non si dovrà<br />
mai disperdere, ci lasciano un testamento spirituale, una pesante eredità, un patrimonio<br />
morale di equ<strong>il</strong>ibrio, di coraggio, di serietà, di rigore, di umanità e di professionalità, che<br />
oggi ci impegna tutti a continuare con tutte le proprie forze, professionali, intellettuali e<br />
morali per tentare di rendere migliore <strong>il</strong> nostro Paese.<br />
18<br />
Piero Grasso<br />
Procuratore Nazionale Antimafia
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
You increase your luck with cooperation<br />
Rudolph W. Giuliani ricorda Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.<br />
Intervista di Stefano Amore<br />
“La giustizia americana ha un grosso debito con lui: ci ha molto aiutato nella lotta<br />
contro Cosa Nostra. E’ grazie a uomini come lui che siamo riusciti a infliggere delle<br />
sconfitte all’asse Palermo-New York”. Così Lei ricordava Giovanni Falcone in un intervista,<br />
pubblicata sul quotidiano “La Repubblica” del 24 maggio 1992, in cui è descritta<br />
tutta la sua emozione e <strong>il</strong> suo dolore nell’apprendere la notizia <strong>della</strong> strage. <strong>Il</strong><br />
suo rapporto con Giovanni Falcone era, evidentemente, molto profondo. Ci può raccontare<br />
come vi eravate conosciuti?<br />
<strong>Il</strong> primo incontro tra me e Falcone credo che risalga al 1985 o al 1986 ed è avvenuto<br />
nell’ufficio dello United States Attorney. Giovanni era negli Stati Uniti con altri magistrati<br />
italiani per avviare la collaborazione nel caso “Pizza Connection” e condividere le<br />
informazioni che avevamo raccolto sulla mafia. La situazione era tale che quando abbiamo<br />
iniziato le indagini per <strong>il</strong> caso “Pizza Connection” avevamo <strong>il</strong> problema di dover trascrivere<br />
alcune conversazioni telefoniche in dialetto sic<strong>il</strong>iano. Ma non avevamo interpreti<br />
che lo sapessero fare, così siamo stati costretti a organizzare un corso per farglielo imparare.<br />
Proprio questo rapporto così stretto tra mafia americana e mafia sic<strong>il</strong>iana ci ha fatto<br />
comprendere che per ottenere dei risultati bisognava creare una stab<strong>il</strong>e collaborazione<br />
con l’autorità giudiziaria italiana.<br />
Le famiglie mafiose di New York e di Chicago lavoravano solitamente ognuna per<br />
conto proprio e solo raramente organizzavano qualche affare insieme. Ma in questo caso<br />
era diverso. I rapporti tra mafia sic<strong>il</strong>iana e mafia americana erano talmente forti che non<br />
si riusciva neppure a capire chi comandava veramente. Per questa ragione è iniziata la<br />
collaborazione con i magistrati italiani e così ho incontrato per la prima volta Giovanni<br />
Falcone.<br />
Che tipo di rapporti esistevano all’epoca tra l’autorità giudiziaria statunitense e<br />
quella italiana? Vi erano già stati episodi significativi di cooperazione per combattere<br />
la mafia o, anche sotto questo prof<strong>il</strong>o, Falcone fu un precursore?<br />
A presentarmi Falcone fu Louis Freeh, un collega, poi divenuto Capo dell’F.B.I., che<br />
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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
già lavorava con i magistrati italiani. Falcone divenne presto nostro ospite abituale.<br />
C’erano sempre 5, 6 italiani nei nostri uffici, non solo magistrati, ma anche poliziotti.<br />
La polizia italiana ci aiutava ad analizzare le informazioni che avevamo acquisito, ci spiegava<br />
<strong>il</strong> senso di certi riferimenti e noi facevamo lo stesso con loro per la parte americana.<br />
In questo modo abbiamo sv<strong>il</strong>uppato, molto rapidamente, un rapporto molto stretto.<br />
Questa collaborazione si è poi ulteriormente rafforzata quando Gaetano Badalamenti<br />
venne arrestato in Spagna. C’erano richieste di estradizione da parte sia dell’Italia che<br />
degli Stati Uniti, così io e Louis Freeh, su consiglio di Giovanni Falcone, andammo in<br />
Italia, per fare un accordo che consentisse di superare i conflitti che c’erano stati in passato.<br />
Riuscimmo a concludere una convenzione con <strong>il</strong> Ministero <strong>della</strong> Giustizia e con <strong>il</strong><br />
Ministero dell’Interno italiani che consentiva di far entrare Badalamenti nel programma<br />
americano di protezione testimoni (American Witness Protection Program). Per concludere<br />
questo accordo fu determinante l’aiuto dell’Ambasciatore Raab, che all’epoca godeva<br />
di un grande prestigio presso <strong>il</strong> governo italiano.<br />
E’ diffic<strong>il</strong>e descrivere l’intensità del rapporto che si era creato. I magistrati italiani<br />
erano sempre negli Stati Uniti, <strong>il</strong> mio collega Dick Martin, uno dei pubblici ministeri di<br />
Pizza Connection, faceva continuamente la spola con l’Italia. Non ho più visto una collaborazione<br />
così forte nel settore giudiziario.<br />
La cooperazione giudiziaria internazionale rappresenta oggi <strong>il</strong> presupposto fondamentale<br />
per combattere una criminalità sempre meglio organizzata e coordinata. Alle<br />
organizzazioni criminali tradizionali si sono aggiunte oggi quelle terroristiche. Cosa si<br />
può fare, secondo Lei, per migliorare ancora di più la cooperazione giudiziaria e di polizia<br />
tra Stati Uniti e Europa?<br />
Dopo l’11 Settembre la cooperazione tra l‘Europa e gli USA è molto migliorata. I<br />
servizi di intelligence oggi collaborano e condividono le informazioni anche quando le<br />
posizioni politiche dei governi non sono le stesse. In particolare, <strong>il</strong> rapporto tra Italia e<br />
Usa continua ad essere molto stretto. Naturalmente, se per contrastare <strong>il</strong> terrorismo si<br />
facesse quello che abbiamo fatto, insieme a Falcone e a Borsellino, per combattere la<br />
mafia, sarebbe tutto più fac<strong>il</strong>e. Bisognerebbe, cioè, lavorare fianco a fianco, nello stesso<br />
ufficio, creare un pool di persone, di tutte le nazioni, in grado non solo di veicolare le<br />
informazioni, ma di farne comprendere la portata e <strong>il</strong> senso. Spesso le informazioni ricevute<br />
vengono fraintese o sottovalutate nella loro importanza, cosa che non accadrebbe se<br />
fosse possib<strong>il</strong>e parlare e confrontarsi.<br />
Nonostante <strong>il</strong> grande sforzo di collaborazione tra i servizi americani e quelli europei<br />
e gli ottimi risultati conseguiti, si potrebbe forse fare ancora di più creando apposite strutture<br />
che consentano di lavorare insieme. Negli Stati Uniti la creazione <strong>della</strong> Joint Terro-<br />
21
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
rism Task Force (JTTF), che coordina tutte le agenzie e forze di polizia (- ne fanno parte<br />
oltre l’F.B.I. : U.S. Coast Guard Investigative Service, U.S. Immigration and Customs<br />
Enforcement, U.S. Customs and Border Protection, la Transportation Security Administration,<br />
U.S. Secret Service, <strong>il</strong> Department of State’s Diplomatic Security Service (DSS)),<br />
le forze di polizia statali e locali e la polizia stradale - ) ha dato eccellenti risultati, perché<br />
consente una valutazione incrociata delle informazioni e impone a tutti di lavorare nello<br />
stesso ufficio. Riuscire a sventare un attentato, come quello di Times Square <strong>della</strong> scorsa<br />
settimana, è anche questione di fortuna, ma la fortuna aumenta con la cooperazione.<br />
Torniamo al suo rapporto e alla sua amicizia con Falcone. Ci può raccontare qualche<br />
particolare inedito relativo al vostro rapporto?<br />
Certo. Mi ricordo di una volta che l’ho visto dalla finestra del mio ufficio, mentre<br />
camminava in Piazza San Andrea con un berretto dei New York Yankees in testa, circondato<br />
da alcuni colleghi. Allora sono sceso dall’ottavo piano per andargli incontro. L’ho<br />
raggiunto che era ancora in piazza, con questo cappellino, e mi è venuto spontaneo chiedergli:<br />
“ma cosa fai con <strong>il</strong> berretto degli Yankees?” Falcone allora mi guarda e mi risponde<br />
che sta cercando di imparare le regole del baseball, aiutato da uno dei miei assistenti. Mi<br />
è venuto naturale dirgli che i miei assistenti erano dei bravissimi giuristi, che sapevano<br />
tutto <strong>della</strong> legge, ma che <strong>il</strong> baseball lo conoscevo meglio io.<br />
Così, da allora, nelle pause di lavoro lui veniva nel mio ufficio per parlare di baseball!<br />
Ricordo che una volta gli ho disegnato uno schema del gioco, con <strong>il</strong> diamante, le quattro<br />
basi e <strong>il</strong> monte di lancio, cercando di spiegargli come funzionava. Falcone faceva fatica a<br />
comprendere <strong>il</strong> concetto di “foul ball”, e cioe’ che la palla doveva entrare tra le righe del<br />
diamante e quelle del fuori campo per essere considerata a “fair ball”, cioè per rimanere<br />
una palla in gioco. Ma quella che a Giovanni proprio non piaceva era la regola per cui <strong>il</strong><br />
foul viene conteggiato come strike solo fino al secondo. Dopodichè, <strong>il</strong> battitore può continuare<br />
a battere foul all’infinito, senza che questo porti alla sua eliminazione. Questa<br />
regola a Falcone proprio non piaceva, soprattutto perché, a suo parere, allungava troppo<br />
i tempi <strong>della</strong> partita. Al di là degli scherzi, ricordo un uomo che amava molto <strong>il</strong> suo paese,<br />
l’Italia, e la sua terra, la Sic<strong>il</strong>ia. Quando parlava <strong>della</strong> Sic<strong>il</strong>ia si emozionava e insisteva<br />
sempre su un concetto: che la Sic<strong>il</strong>ia si doveva modernizzare e che alla base del suo mancato<br />
sv<strong>il</strong>uppo c’era la mafia. Secondo Falcone la mafia aveva impedito non solo lo sv<strong>il</strong>uppo<br />
e la modernizzazione <strong>della</strong> Sic<strong>il</strong>ia, ma anche la crescita dell’Italia come nazione<br />
moderna. A suo parere solo sconfiggendo la mafia l‘Italia sarebbe tornata ad essere una<br />
nazione all’avanguardia nel mondo.<br />
Falcone è ricordato anche come un magistrato estremamente corretto. Qualche<br />
tempo fa un collega mi rammentava lo scrupolo che poneva nel formulare le domande<br />
22
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
ai collaboratori di giustizia e nel trascriverne (lo faceva personalmente) le risposte. Le<br />
sue domande evitavano, sempre, suggestioni ed erano per lo più tese ad approfondire<br />
fatti o responsab<strong>il</strong>ità di persone di cui <strong>il</strong> dichiarante aveva già parlato. Le dichiarazioni<br />
rese dai pentiti, Falcone ne era consapevole, debbono essere valutate con grande prudenza<br />
in quanto uno degli scopi <strong>della</strong> criminalità organizzata può essere proprio quello<br />
di fuorviare le indagini, anche per indebolire le istituzioni, minandone la credib<strong>il</strong>ità.<br />
Qual è la sua opinione sui pentiti e sulla loro ut<strong>il</strong>ità nei processi di mafia?<br />
La mia opinione e’ che i pentiti rappresentano un elemento da cui non si può prescindere<br />
per combattere efficacemente la mafia e, anche, <strong>il</strong> terrorismo. Negli Stati Uniti<br />
li chiamiamo “Topi di fogna”, ma ald<strong>il</strong>à del nomignolo, certamente meno gent<strong>il</strong>e di<br />
quello italiano, la sostanza non cambia. Chiamare “pentiti” queste persone forse è meglio,<br />
perché può stimolare un processo di reale cambiamento, facendo percepire loro che la<br />
scelta di cambiare vita, di non uccidere più, può riconc<strong>il</strong>iarli realmente con la società. A<br />
questo proposito mi viene in mente un episodio,<strong>il</strong> caso di una persona che all’inizio non<br />
voleva collaborare, soprattutto perché non se la sentiva di tradire i suoi amici e colleghi.<br />
La discussione che ebbi con lui fu animatissima e sembrava che non ci fosse modo per<br />
fargli cambiare idea. Poi, a un certo punto, gli chiesi se voleva veramente che i suoi figli<br />
facessero la stessa fine, crescendo in un mondo dove si uccideva gente innocente. Mi rispose<br />
di no e si convinse, finalmente, che per respingere quel tipo di vita, per dare una<br />
speranza ai suoi figli, doveva avere <strong>il</strong> coraggio di tradire chi lo aveva spinto ad uccidere.<br />
Sotto <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o psicologico, <strong>il</strong> termine “pentiti” che usate in Italia per indicare questi<br />
collaboratori è, veramente, <strong>il</strong> migliore. Perché tiene conto del fatto che gli esseri umani<br />
possono fare cose terrib<strong>il</strong>i, ma che tutti hanno in sé la forza di redimersi, se lo vogliono<br />
veramente. Sotto un prof<strong>il</strong>o pratico, l’importanza dei pentiti è poi evidente se si riflette<br />
sul fatto che è quasi impossib<strong>il</strong>e condurre con successo delle indagini su una organizzazione<br />
segreta, come è la mafia, senza l’aiuto di qualcuno che ne faccia o ne abbia fatto<br />
parte. Per <strong>il</strong> terrorismo vale lo stesso ragionamento.<br />
Tutto <strong>il</strong> lavoro di Falcone e di Borsellino, tutto <strong>il</strong> nostro lavoro, sarebbe stato, almeno<br />
in parte, inut<strong>il</strong>e, se non avessimo avuto la collaborazione di alcuni “pentiti”, che con le<br />
loro dichiarazioni ci hanno permesso di ricostruire le dinamiche dei crimini commessi<br />
dalla mafia. Riuscire a convincere queste persone a collaborare è stata la vera chiave del<br />
successo di molte delle indagini condotte in quegli anni.<br />
Durante l’operazione chiamata “Pizza connection” si scoprì che l’eroina prodotta<br />
a Palermo veniva venduta nelle pizzerie di molte città degli Stati Uniti e che gran parte<br />
dei profitti veniva non solo reinvestito nel settore <strong>della</strong> droga, ma anche ut<strong>il</strong>izzato per<br />
finanziare importanti operazioni immob<strong>il</strong>iari. Falcone attribuiva grande importanza<br />
23
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
alle indagini bancarie e patrimoniali. Lei che è stato anche Sindaco di una grande città<br />
come New York ed è noto in tutto <strong>il</strong> mondo per avere, con la Sua “tolleranza zero”,<br />
sconfitto la violenza in questa grande metropoli, potrebbe suggerire una formula efficace<br />
di “tolleranza zero” anche nei confronti dei grandi investimenti patrimoniali <strong>della</strong><br />
mafia? Come si può impedire, una volta per tutte, che la mafia possa investire i proventi<br />
delle sue attività criminali in banche, ospedali, programmi ed<strong>il</strong>izi? Come si può impedire<br />
che metta le sue mani sulle città? Negli Stati Uniti cosa si fa per combattere questo<br />
fenomeno?<br />
Prima di tutto va fatta una precisazione. “Tolleranza zero” e’ <strong>il</strong> modo europeo per definire<br />
quello che facevo: non tollerare nessun tipo di crimine, anche quelli meno gravi, a<br />
cominciare dai piccoli atti di vandalismo e di danneggiamento. Poi va chiarito che non<br />
ho sconfitto la criminalità di New York, l’ho solo ridotta, in modo significativo, del 50/60<br />
per cento. Sconfiggere la criminalità per sempre credo sia impossib<strong>il</strong>e, perché <strong>il</strong> male fa<br />
parte <strong>della</strong> natura dell’uomo. Ma certamente è possib<strong>il</strong>e contenerla in modo significativo<br />
ed è questo quello che ho fatto a New York.<br />
Sono poi completamente d’accordo sul fatto che le misure che incidono sugli investimenti<br />
e sui patrimoni <strong>della</strong> mafia sono molto più efficaci del carcere.<br />
Lo statuto Rico (Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act) ha permesso<br />
negli Stati Uniti non solo di condannare i mafiosi, ma anche di confiscare le società in<br />
cui avevano investito i proventi dei loro crimini. Senza queste misure i procedimenti giudiziari<br />
avrebbero prodotto solo un avvicendamento tra i vecchi capi, quelli arrestati e<br />
condannati, ed i nuovi. Si sarebbero arrestate e condannate persone, ma non sarebbe<br />
cambiato nulla. Confiscando i soldi, le società e le proprietà immob<strong>il</strong>iari <strong>della</strong> mafia abbiamo,<br />
invece, messo in ginocchio queste organizzazioni criminali. Negli Stati Uniti la<br />
mafia si era impadronita del mercato del pesce, di aziende di abbigliamento, dell’intera<br />
industria del trasporto dei rifiuti di New York. Ebbene, tutte le società e imprese su cui<br />
la mafia aveva messo le mani, le abbiamo confiscate e poi vendute. E colpendo la mafia<br />
nelle sue attività economiche ne abbiamo ridotto, in modo sensib<strong>il</strong>e, l’influenza nella società.<br />
Questo modo di procedere andrebbe applicato anche nei confronti delle organizzazioni<br />
terroristiche. Se privi delle risorse economiche i terroristi, per loro sarà molto più<br />
diffic<strong>il</strong>e organizzare un attentato. La persona che è stata arrestata per l’attentato di Times<br />
Square non aveva i soldi per pagarsi una casa, ma ha portato negli USA 80.000 dollari.<br />
Chi glieli ha dati? Scoprire chi lo ha finanziato è <strong>il</strong> primo passo per impedire che si possano<br />
organizzare altri attentati.<br />
So che Le sto per fare una domanda dolorosa. Cosa ha provato quando ha saputo<br />
24
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
delle stragi di Capaci e di Via d’Amelio? Che impatto hanno avuto quelle stragi sull’opinione<br />
pubblica e sul mondo politico statunitense?<br />
Ne sono rimasto sconvolto. E’ veramente diffic<strong>il</strong>e parlare del dolore che ho provato…<br />
... Avevo incontrato Falcone, per l’ultima volta, alcuni mesi prima, nel 1991 credo. Sarei<br />
dovuto andare a ritirare un premio in Sic<strong>il</strong>ia e ne ero felicissimo, perché desideravo molto<br />
poter visitare la Sic<strong>il</strong>ia. Ma non fu possib<strong>il</strong>e.<br />
Prima venne <strong>il</strong> Console Generale d’Italia a New York a consigliarmi di ricevere <strong>il</strong> premio<br />
nella sede del Consolato, poi l’F.B.I. mi fece sapere che <strong>il</strong> governo italiano non voleva<br />
che io andassi in Sic<strong>il</strong>ia perché lo reputava troppo pericoloso. Così, alla fine, si decise che<br />
mi avrebbero premiato a Roma.<br />
Mi ricordo distintamente che, non appena in Italia, parlai di questa vicenda con Falcone,<br />
facendogli notare che se era pericoloso andare in Sic<strong>il</strong>ia per me, per lui lo era dieci<br />
volte di più. “ Si, ma e’ lì che vivo, lo sai” mi rispose, aggiungendo poi una frase del tipo:<br />
“Ma se succede, lo capisco”. Forse era una sorta di fatalismo o forse era la fiducia che<br />
aveva nella sua volontà e <strong>il</strong> desiderio fortissimo di riuscire, anche a prezzo <strong>della</strong> vita, a<br />
sconfiggere per sempre <strong>il</strong> cancro <strong>della</strong> mafia. Cosi’ quando ho saputo <strong>della</strong> sua morte, di<br />
quella di Borsellino, di quelle terrib<strong>il</strong>i stragi, ero sconvolto, ma non posso dire che fossi<br />
veramente sorpreso.<br />
So di dire una cosa terrib<strong>il</strong>e, ma credo che solo lasciando l’Italia Falcone avrebbe avuto<br />
la possib<strong>il</strong>ità di salvarsi. Lui aveva inferto colpi gravissimi alla mafia, ma erano rimasti in<br />
piedi i mafiosi più violenti, quelli più disperati. Negli Stati Uniti noi non abbiamo mai<br />
corso gli stessi rischi. I miei assistenti venivano minacciati, io stesso sono stato minacciato<br />
molte volte ed abbiamo sempre preso molto sul serio la possib<strong>il</strong>ità di essere oggetto di<br />
attentati. Ma debbo dire, molto onestamente, che ritenevo estremamente improbab<strong>il</strong>e<br />
che la mafia americana potesse decidere di uccidere uno United States Attorney, o un assistente<br />
di uno United States Attorney o un agente dell’FBI. La mafia americana aveva<br />
ed ha delle regole. Non uccidono né giudici, né pubblici ministeri, né poliziotti, perché<br />
sanno che le conseguenze per loro sarebbero gravissime. Nel 1986, quando ero US Attorney,<br />
venne ucciso a New York <strong>il</strong> Detective Venditti, ma fu la stessa mafia a consegnarci<br />
gli assassini.<br />
La mafia sic<strong>il</strong>iana aveva un approccio totalmente diverso: uccidevano giudici, uccidevano<br />
poliziotti. Potevano fare quello che volevano e lo sapevano. Ammiravo enormemente<br />
<strong>il</strong> coraggio di Falcone e di Borsellino, perché affrontavano, ogni giorno, pericoli<br />
enormi. Tutto questo per dire che non ero sorpreso quando ho saputo delle stragi. Ero<br />
sconvolto, ma non ero sorpreso.<br />
Da quelle stragi sono trascorsi quasi vent’anni. Paolo Borsellino immaginava che<br />
25
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
la mafia sarebbe svanita come un incubo se i giovani le avessero negato <strong>il</strong> loro consenso.<br />
<strong>Il</strong> qualunquismo culturale, la crisi di valori caratteristica <strong>della</strong> nostra epoca non aiutano<br />
i giovani e sono, probab<strong>il</strong>mente, i migliori alleati <strong>della</strong> mafia e delle grandi organizzazioni<br />
criminali. Cosa si può fare, secondo Lei, per aiutare i giovani a rifiutare la mafia,<br />
<strong>il</strong> denaro fac<strong>il</strong>e, la violenza?<br />
Basterebbe avere una buona famiglia, dei buoni genitori. Purtroppo <strong>il</strong> governo puo’<br />
contribuire all’educazione dei giovani, ma non puo’ assicurare una madre e un padre che<br />
diano ai figli dei sani principi ! Così in Sic<strong>il</strong>ia la mafia si è trasmessa di generazione in<br />
generazione, anche se oggi scopriamo che in Calabria e in Campania le cose vanno anche<br />
peggio... Questo perché in Sic<strong>il</strong>ia si sono investite risorse, perché ci sono stati uomini<br />
come Falcone e Borsellino che hanno dato la loro vita per consentire a quella terra di<br />
fare un passo in avanti. Per sconfiggere la criminalità organizzata, per sconfiggere le mafie,<br />
è necessaria però una strategia complessiva, fatta di molti interventi. Devi fare le indagini,<br />
devi mettere in prigione i mafiosi e confiscare i loro beni, ma devi anche diffondere la fiducia<br />
nello Stato e incoraggiare le famiglie a dare ai figli un’educazione ricca di valori.<br />
A me hanno insegnato, quando ero molto giovane, che la mafia e’ una cosa molto<br />
brutta per gli italiani, ma allo stesso tempo, mi hanno insegnato a non essere vittima di<br />
questa situazione. Prima che divenissi U.S. Attorney, nel dipartimento di Giustizia non<br />
si poteva neppure pronunciare la parola mafia ! Lo aveva proibito <strong>il</strong> Procuratore Generale<br />
Mitchell, perche’ gruppi di italoamericani si erano lamentati di essere “additati” dalla<br />
gente come mafiosi. La verità non era questa però. La verità era che gli italoamericani<br />
consentivano alla mafia di continuare a comandare, di compiere crimini. Gli italiani non<br />
godevano di buona fama non tanto perché la gente fosse prevenuta nei loro confronti,<br />
quanto perché non facevamo abbastanza per prendere le distanze dalla mafia. Invece di<br />
difendere quella piccola percentuale di italiani effettivamente legati alle organizzazioni<br />
criminali, li avremmo dovuti combattere senza dar loro tregua, in modo da dimostrare<br />
che gli italiani sono i primi e più implacab<strong>il</strong>i nemici <strong>della</strong> mafia. Questa idea, che ho sv<strong>il</strong>uppato<br />
e ho cercato di attuare durante tutto <strong>il</strong> corso <strong>della</strong> mia vita, non l’ho appresa da<br />
solo. Me l’hanno insegnata i miei genitori ed è penetrata profondamente in me. Solo una<br />
famiglia sana e una buona educazione possono condurre a certi risultati.<br />
Un’ultima domanda. In Italia <strong>il</strong> sacrificio di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino<br />
ha spinto moltissimi giovani ad entrare in magistratura e nelle forze di polizia. Cosa<br />
consiglierebbe, oggi, a un ragazzo che vuole diventare magistrato?<br />
Penso che sia una grande professione e penso che i giovani possano dare un enorme<br />
contributo. I magistrati con cui ho lavorato in Italia erano estremamente coraggiosi e<br />
molto capaci. Erano persone di grande intelligenza, avevano un’eccellente preparazione<br />
26
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
e un enorme talento. Mi hanno insegnato molto e mi hanno fatto conoscere un sistema<br />
molto diverso da quello statunitense. Un sistema ricco di regole già nella fase investigativa<br />
che consente, proprio per questo, di affrontare <strong>il</strong> dibattimento nel migliore dei modi.<br />
27
Una domenica particolare<br />
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
Quella domenica, come quasi tutte le domeniche, mi ero recato da Siracusa a Noto<br />
per andare a trovare mia madre che viveva da sola. Nel pomeriggio, salito su una sedia,<br />
stavo attaccando un quadro alla parete del piccolo soggiorno volgendo le spalle alla televisione<br />
accesa. Sentivo bene la voce che giungeva dalla televisione, ma ne vedevo le immagini<br />
con la coda dell’occhio. Misi a fuoco in un attimo ciò che stavo ascoltando e che<br />
stavo per vedere. Rimasi per qualche infinito istante incredulo e impietrito. Non poteva<br />
essere, dopo meno di due mesi: prima Giovanni ora Paolo. Scesi dalla sedia e su di essa<br />
mi sedetti per guardare le immagini che scorrevano sul video; la mia mente offuscata iniziò<br />
a frullare <strong>il</strong> dolore, <strong>il</strong> pianto, la collera e i ricordi. Tutto è rimasto impresso per sempre.<br />
La scena descritta è banale, lo so, e i sentimenti di quel momento furono gli stessi per<br />
chissà quante persone, colleghi e amici. Ma quella scena e quell’istante non li ho mai più<br />
dimenticati e per sempre resteranno impressi, indeleb<strong>il</strong>i, nella mia mente. Per questo li<br />
racconto.<br />
Quando Stefano Amore mi ha chiesto di scrivere <strong>il</strong> “mio ricordo” di Paolo, mi sono<br />
sentito davvero onorato perché Stefano si era ricordato che anch’io ero stato amico di<br />
Paolo; che assieme a Paolo avevo svolto attività associativa in Magistratura Indipendente<br />
a Roma e in Sic<strong>il</strong>ia; che anch’io potevo avere qualche ricordo o qualche aneddoto da raccontare;<br />
che anch’io potevo testimoniare <strong>della</strong> grandezza di Paolo. Dunque ho immediatamente<br />
accettato.<br />
Quando sono entrato in magistratura mi sono subito iscritto a Magistratura Indipendente<br />
instradato dalla mia formazione culturale e calamitato dalla figura di Enrico Ferri.<br />
I primi tempi, giudice a Novara, partecipavo alle riunioni del gruppo a Torino poi, tornato<br />
in Sic<strong>il</strong>ia, Pretore a Pachino, iniziai a svolgere attività associativa organizzando numerosi<br />
convegni e partecipando a incontri e riunioni a Catania, a Roma, a Pontremoli e<br />
altrove. In una di quelle occasioni, forse proprio a Pontremoli, conobbi Paolo Borsellino;<br />
non so bene indicare la data ma allora non avevo alcun motivo per ricordarla. Per gli<br />
iscritti a Magistratura Indipendente, all’inizio degli anni ’80, i Convegni di Pontremoli<br />
erano quasi una tappa obbligata: per i più giovani erano occasioni per apprendere e per<br />
29
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
crescere professionalmente, lì si conoscevano magistrati più anziani e più esperti, lì si<br />
stava piacevolmente e si diventava amici. <strong>Il</strong> legame in quelle occasioni si trasformava,<br />
non era più soltanto correntizio ma diventava di amicizia, di amicizia vera, che ci teneva<br />
legati e che ci consentiva di esprimere nel dibattito acceso le nostre diverse opinioni, rimanendo<br />
amici.<br />
Ricordo che, a metà degli anni ’80, quando ai Convegni arrivava Paolo, noi più giovani<br />
lo aspettavamo per ascoltare i suoi racconti: ci descriveva le difficoltà che si incontravano<br />
nell’interrogare <strong>il</strong> pentito di mafia, la complessità delle vicende narrate dai<br />
mafiosi, i comportamenti dei difensori e le loro strategie processuali, e soprattutto, gli<br />
scenari palermitani squarciati dai pentiti con le loro dichiarazioni. Ciò che ci intrigava e<br />
ci avvinceva era <strong>il</strong> modo di raccontare di Paolo, quel suo sorriso appena accennato che si<br />
notava più dal baffo che dal labbro, la sua cadenza palermitana, la sua straordinaria ironia,<br />
la sua interpretazione dei fatti, la complicità con Giovanni. Così, anche così, é nata in<br />
alcuni di noi la passione per la professione e per l’impegno contro la mafia. Paolo ci ha<br />
insegnato che questo impegno non era l’impegno eroico, straordinario ed eccezionale di<br />
un momento <strong>della</strong> vita o <strong>della</strong> carriera, ma una scelta di vita, basata sulla cultura, sul sentimento<br />
e l’idea dello Stato, sulla profonda spiritualità che egli attribuiva al suo operato;<br />
era la scelta <strong>della</strong> legalità; era la consapevolezza di stare dalla parte <strong>della</strong> legge, delle Istituzioni,<br />
del cittadino; era una scelta di democrazia, di quella vera però, di quella che consente<br />
al cittadino di determinarsi davvero liberamente, senza <strong>il</strong> condizionamento<br />
dell’intimidazione, del bisogno e <strong>della</strong> minaccia; era una scelta di civ<strong>il</strong>tà <strong>il</strong> cui obbiettivo<br />
ultimo era una società migliore, era <strong>il</strong> riscatto dei palermitani e delle altre genti sic<strong>il</strong>iane;<br />
era la consapevolezza di dovere applicare la legge anche contrastando e lottando con le<br />
organizzazioni criminali, senza <strong>il</strong> sott<strong>il</strong>e distinguo secondo cui <strong>il</strong> giudice “non lotta” contro<br />
nessuno ma applica soltanto la legge, restando p<strong>il</strong>atescamente “arbitro”.<br />
Questo era <strong>il</strong> modello di magistrato a cui ci ispiravamo all’inizio degli anni ’80, e che<br />
doveva ispirare, dopo di noi, i cosiddetti “giudici ragazzini”, uno dei quali, Rosario Livatino,<br />
pagò con la vita <strong>il</strong> suo impegno per la legalità.<br />
Con Paolo, alla fine degli anni ’80, ci vedevamo a Roma, quasi ogni mese, per le riunioni<br />
del comitato esecutivo di Magistratura Indipendente, del quale entrambi facevamo<br />
parte. Le riunioni duravano poco, un’ora, a volte due. <strong>Il</strong> bello veniva dopo, quando ci si<br />
intratteneva a parlare, appena fuori dalla sede del gruppo, in via M<strong>il</strong>azzo. Era fuori dall’ufficialità<br />
che si coglieva la vera essenza di Paolo, la sua ironia, con la quale, quasi scherzando,<br />
diceva cose vere e importanti. Bastava soltanto saperle cogliere in mezzo al suo<br />
raccontare divertente e divertito.<br />
Poteva capitare che all’ordine del giorno di quelle riunioni non vi fossero argomenti<br />
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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
particolarmente r<strong>il</strong>evanti, ma io ci andavo lo stesso: era un’occasione per incontrare i colleghi<br />
e, soprattutto, Paolo, per ascoltare i suoi racconti, per conoscere e interpretare le<br />
vicende palermitane.<br />
Dal 1986 ero passato alla Procura di Siracusa, ove a dispetto dell’appellativo di<br />
“babba”, cioè stupida, attribuito alla provincia, le indagini per fatti di mafia erano numerose<br />
e tutte molto complesse perché quasi sempre portavano ai gruppi mafiosi operanti<br />
a Catania, in particolare al clan Santapaola e al clan Laudani, la cui inf<strong>il</strong>trazione in ambienti<br />
istituzionali catanesi era già nota. Approfittare di quelle riunioni per chiedere consigli<br />
a Paolo rappresentava per me un’occasione imperdib<strong>il</strong>e.<br />
Ricordo ancora una riunione degli iscritti a Magistratura Indipendente dei distretti<br />
sic<strong>il</strong>iani, tenutasi in un ristorante palermitano, nel corso <strong>della</strong> quale si doveva concordare<br />
la candidatura di Antonio Carollo alle elezioni del 1990 per <strong>il</strong> rinnovo del Consiglio Superiore<br />
<strong>della</strong> Magistratura.<br />
Paolo, dopo avere <strong>il</strong>lustrato le doti positive di Antonio Carollo e <strong>il</strong> ruolo che questi<br />
avrebbe potuto svolgere al CSM se fosse stato eletto, ne tratteggiò <strong>il</strong> carattere raccontando<br />
in modo es<strong>il</strong>arante innumerevoli aneddoti sul collega.<br />
Ma non si può parlare di Paolo ricordando soltanto ciò che attiene alla sua umanità,<br />
Paolo va ricordato soprattutto per l’eredità morale e professionale che ci ha lasciato, per<br />
l’impegno profuso nell’istruzione del cosiddetto maxiprocesso di Palermo, per ciò che lo<br />
univa a Giovanni Falcone e per ciò che da lui lo distingueva. Fu l’avventura del maxiprocesso<br />
che li accomunò in un unico, tragico destino. Quel maxiprocesso che è divenuto<br />
nel tempo, ed è passato alla storia, come <strong>il</strong> simbolo dell’impegno dello Stato nel contrasto<br />
alla criminalità organizzata, ma che, man mano che nasceva e si sv<strong>il</strong>uppava prendendo<br />
corpo e mettendo saldamente radici probatorie nei riscontri alle dichiarazioni dei collaboratori<br />
di giustizia, primo fra tutti Tommaso Buscetta, veniva ritenuta opera gigantesca,<br />
elefantiaca che mai sarebbe giunta neppure alla soglia del pubblico dibattimento. Ed invece,<br />
loro due, Giovanni e Paolo, in collaborazione con molti altri validissimi colleghi,<br />
non soltanto portarono <strong>il</strong> “loro” maxiprocesso a dibattimento dinanzi alla Corte di Assise<br />
di Palermo ma videro <strong>il</strong> loro impegno, <strong>il</strong> loro lavoro, la loro impostazione, la loro costruzione<br />
definitivamente consacrati nella sentenza <strong>della</strong> Corte di Cassazione del 30 gennaio<br />
1992.<br />
<strong>Il</strong> maxiprocesso è servito a dimostrare la struttura unitaria di “cosa nostra”, <strong>della</strong> quale<br />
all’inizio soltanto Giovanni Falcone era convinto, e ad affermare <strong>il</strong> cosiddetto “metodo<br />
Falcone”: ossia l’interpretazione e l’applicazione concreta di disposizioni processuali che,<br />
come si dirà più avanti, trasformarono, ribaltandoli, i ruoli del pubblico ministero e del<br />
giudice istruttore, <strong>il</strong> quale divenne una sorta di propulsore dell’azione penale sia sotto <strong>il</strong><br />
31
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
prof<strong>il</strong>o <strong>della</strong> completezza e tempestività delle indagini (funzione poi affidata alla Direzione<br />
Distrettuale Antimafia e alla Direzione Nazionale Antimafia che la svolgerà mediante<br />
<strong>il</strong> coordinamento e l’impulso, attribuzioni ad essa affidate direttamente dalla<br />
legge), sia per l’attività di sollecitazione che egli svolgeva durante tutta la fase istruttoria<br />
verso <strong>il</strong> pubblico ministero per l’esercizio dell’azione penale nei confronti di ulteriori soggetti,<br />
man mano che essi venivano individuati come coinvolti nei delitti associativi per i<br />
quali si compiva l’istruzione medesima.<br />
Insomma, <strong>il</strong> maxiprocesso di Palermo ha costituto per <strong>il</strong> nostro Paese una svolta epocale<br />
sia sul piano giudiziario, avendo esso contribuito all’affermazione di una linea nuova, moderna,<br />
finalmente efficace nell’attività di contrasto alla criminalità mafiosa, sia sul piano<br />
politico, avendo esso dato la prova e la misura dello sforzo <strong>della</strong> magistratura e delle istituzioni<br />
nel contrasto alla criminalità organizzata senza incertezze o ambiguità. Giovanni e<br />
Paolo, insomma, sono stati artefici e protagonisti di uno dei momenti più significativi del<br />
contrasto alla criminalità mafiosa e dunque anche <strong>della</strong> storia repubblicana.<br />
Fra <strong>il</strong> 1982 e <strong>il</strong> 1985, si erano moltiplicati i casi di processi fondati sulle dichiarazioni<br />
dei collaboratori <strong>della</strong> giustizia. Solo per ricordare i casi più significativi e noti all’opinione<br />
pubblica, si possono citare <strong>il</strong> processo di Torino contro <strong>il</strong> clan dei catanesi; <strong>il</strong> processo di<br />
M<strong>il</strong>ano contro gruppi criminali mafiosi composti da catanesi e da m<strong>il</strong>anesi, nato dalle<br />
dichiarazioni del “pentito” Angelo Epaminonda; <strong>il</strong> processo di Napoli contro centinaia<br />
di aff<strong>il</strong>iati all’organizzazione camorristica denominata “NCO”, fondata da Raffaele Cutolo,<br />
e promosso sulla base delle dichiarazioni di numerosi “pentiti”; ma <strong>il</strong> maxiprocesso<br />
per eccellenza, quello che nell’immaginario collettivo è rimasto “<strong>il</strong> più grande processo<br />
alla mafia”, è stato quello celebratosi a Palermo, quello che ha costituito <strong>il</strong> paradigma a<br />
cui tutti gli altri successivi maxiprocessi si sono nel tempo ispirati.<br />
<strong>Il</strong> maxiprocesso di Palermo si basò in gran parte sulle dichiarazioni dei collaboratori<br />
<strong>della</strong> giustizia. Da questo punto di vista rappresentò una scommessa vinta, nel senso che<br />
nessuno, tranne i magistrati palermitani che si spesero su questo fronte insieme a Paolo<br />
Borsellino e Giovanni Falcone, credeva che all’interno di “cosa nostra” potesse sv<strong>il</strong>upparsi<br />
<strong>il</strong> fenomeno del pentitismo e che mafiosi di rango, “uomini d’onore” di primo livello<br />
potessero collaborare con l’autorità giudiziaria.<br />
In realtà, a quel tempo vi era ancora un forte condizionamento culturale a causa del<br />
quale si riteneva che <strong>il</strong> mafioso, se fosse stato veramente tale, non avrebbe mai violato la<br />
regola dell’omertà né tradito l’organizzazione mafiosa, tanto più se posto in posizioni<br />
apicali. Insomma, fu quello stesso condizionamento culturale che costituì <strong>il</strong> primo ostacolo<br />
che i magistrati inquirenti palermitani dovettero superare per impiantare <strong>il</strong> maxiprocesso<br />
con le dichiarazioni di Tommaso Buscetta.<br />
32
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
Nemmeno “cosa nostra” si era resa conto che la diversa fisionomia e le diverse connotazioni<br />
strutturali assunte dopo la guerra di mafia, che l’avevano divisa in cosca vincente<br />
e cosca perdente, potevano anch’esse favorire <strong>il</strong> fenomeno delle collaborazioni.<br />
In verità, le cause che allora provocarono le defezioni furono tante e di diversa natura:<br />
1) la trasformazione di “cosa nostra” da organizzazione localistica con forte connotazione<br />
fam<strong>il</strong>istica a multinazionale del crimine, avendo essa assunto una dimensione internazionale<br />
soprattutto nel settore del traffico degli stupefacenti; 2) la cooptazione al suo interno<br />
di soggetti, gravitanti nelle fasce periferiche dell’organizzazione, i quali a causa<br />
<strong>della</strong> diversa estrazione territoriale, fam<strong>il</strong>iare e culturale, non avevano assim<strong>il</strong>ato completamente<br />
le ferree regole del comportamento mafioso, tanto da non disdegnare in qualche<br />
occasione di svelare agli inquirenti notizie ut<strong>il</strong>i alle indagini; 3) l’ispirazione “ideologica”,<br />
sebbene distorta e non analoga a quella del terrorismo, ravvisab<strong>il</strong>e non soltanto nella vocazione<br />
di “cosa nostra” all’accumulo smodato di ricchezza e nell’affermazione del suo<br />
potere ma anche nell’orgoglio di sentirsi uniti all’interno <strong>della</strong> stessa “cosca”. La sensazione<br />
del venir meno di tale vincolo di cosca, di essere emarginato e di non essere adeguatamente<br />
assistito durante i periodi di detenzione, soprattutto quando <strong>il</strong> ritorno in<br />
<strong>libertà</strong> appare improbab<strong>il</strong>e, può spingere <strong>il</strong> mafioso, sentitosi tradito, a mettersi in salvo<br />
o a vendicarsi riferendo informazioni compromettenti per i suoi correi; 4) l’insofferenza<br />
<strong>della</strong> nuova generazione di mafiosi alla detenzione che li costringe alla rinunzia al confortevole<br />
tenore di vita reso possib<strong>il</strong>e dall’accumulo di consistenti ricchezze <strong>il</strong>lecite, tenore<br />
di vita al quale non erano abituati i mafiosi di vecchia generazione che vivevano in maniera<br />
frugale, in abitazioni non di lusso e con scarse comodità non molto dissim<strong>il</strong>i dalle<br />
celle carcerarie; 5) la consapevolezza di essere braccato perché aff<strong>il</strong>iato a una cosca perdente.<br />
<strong>Il</strong> metodo ut<strong>il</strong>izzato da Falcone e Borsellino provocò numerose collaborazioni proprio<br />
durante la fase istruttoria del processo, favorite forse anche dalla “terzietà” del giudice<br />
istruttore. Ossia: la maturazione di una collaborazione era frutto di meditate riflessioni<br />
indotte da lunghi e pazienti colloqui, nel corso dei quali si tentava, magari prospettando<br />
quei pochi benefici consentiti a quel tempo dall’ordinamento, di convincere l’imputato<br />
a superare la ritrosia ad ammettere le proprie responsab<strong>il</strong>ità e a svelare le vicende criminali<br />
di cui fosse a conoscenza.<br />
In sim<strong>il</strong>i tentativi riuscivano bene Giovanni Falcone e Paolo Borsellino con la loro<br />
umanità, la loro ab<strong>il</strong>ità, e soprattutto la loro straordinaria professionalità, divenendo ben<br />
presto modelli positivi ai quali ispirarsi.<br />
Ma non tutti i giudici istruttori d’Italia erano Giovanni Falcone o Paolo Borsellino;<br />
cosicché poteva pure accadere, e forse accadde, che <strong>il</strong> giudice istruttore, non dotato <strong>della</strong><br />
33
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
necessaria professionalità e poco consapevole del proprio ruolo, pur di ottenere la collaborazione<br />
dell’imputato, con <strong>il</strong> quale interloquiva senza <strong>il</strong> f<strong>il</strong>tro del pubblico ministero,<br />
fosse portato a soprassedere su alcune “formalità” processuali, forse ritenute inut<strong>il</strong>i formalismi,<br />
a discapito dell’imparzialità degli accertamenti.<br />
Tutto ciò per dire che <strong>il</strong> fenomeno del pentitismo generò anche una trasformazione<br />
del sistema processuale del tempo, nel senso che accentuò l’assommarsi delle funzioni<br />
inquirenti, istruttorie e decisorie in capo al giudice istruttore; <strong>il</strong> quale non poteva più definirsi<br />
“terzo” specie nell’istruzione dei grandi processi contro la criminalità organizzata,<br />
laddove l’istruzione sommaria consentiva al pubblico ministero di effettuare, nei quaranta<br />
giorni previsti, soltanto gli interrogatori e avviare le prime indagini, <strong>il</strong> cui approfondimento<br />
doveva poi essere completato durante l’istruzione formale.<br />
Insomma, <strong>il</strong> giudice istruttore divenne <strong>il</strong> vero accusatore mentre si affievolirono la<br />
sua funzione di garanzia e <strong>il</strong> suo ruolo di giudice “terzo”.<br />
Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli altri giudici istruttori del maxiprocesso avevano<br />
trasformato <strong>il</strong> processo penale innovandolo di fatto nei ruoli del giudice e del pubblico<br />
ministero, sostanzialmente invertendoli. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano<br />
consapevoli <strong>della</strong> trasformazione del processo che stavano vivendo. In sostanza, come<br />
ho già prima detto, Falcone e Borsellino avevano sfruttato appieno, interpretandoli e ut<strong>il</strong>izzandoli<br />
diversamente da come si era fatto fino ad allora, i poteri del giudice istruttore,<br />
<strong>il</strong> quale, a norma dell’art. 299 c. p. p./1930, aveva l’obbligo di compiere prontamente<br />
tutti e soltanto quegli atti che in base agli elementi raccolti e allo svolgimento dell’istruzione,<br />
apparivano necessari per l’ accertamento <strong>della</strong> verità.<br />
Gli effetti di tale mutazione furono resi evidenti dalla “lievitazione” che i processi per<br />
reati associativi subivano nella fase istruttoria, nel corso <strong>della</strong> quale spesso aumentava <strong>il</strong><br />
numero degli imputati.<br />
Nel maxiprocesso dagli originari centosessantuno denunciati, poi ridotti a ottantasette<br />
nella richiesta di formalizzazione avanzata dal P.M., si arrivò a contarne più di ottocento<br />
all’atto <strong>della</strong> requisitoria finale.<br />
Si era insomma invertita la tendenza secondo la quale <strong>il</strong> giudice istruttore funzionava<br />
da f<strong>il</strong>tro scremando <strong>il</strong> numero degli imputati rispetto a quello dei denunciati dalla polizia<br />
giudiziaria e degli incriminati dal pubblico ministero.<br />
La lievitazione del numero degli imputati, nell’ordine di centinaia, rendeva inevitab<strong>il</strong>mente<br />
difficoltosa la gestione del dibattimento, come <strong>il</strong> maxiprocesso dimostrò, costringendo<br />
<strong>il</strong> Legislatore ad intervenire in corso d’opera per consentire la conclusione del<br />
dibattimento ed evitare la scarcerazione degli imputati detenuti.<br />
Ad onor del vero, nel maxiprocesso di Palermo furono immaginate con largo anticipo<br />
34
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
le difficoltà che sarebbero sorte a dibattimento in un processo con un così elevato numero<br />
di imputati (circa 800). Nella requisitoria scritta <strong>il</strong> pubblico ministero si pose i problemi<br />
a cui si è fatto riferimento, e in primo luogo la presumib<strong>il</strong>e eccessiva durata del dibattimento<br />
che avrebbe comportato la scarcerazione degli imputati detenuti per decorrenza<br />
dei termini di custodia.<br />
E per tale ragione l’ufficio del pubblico ministero propose di seguire una via di mezzo<br />
che coniugasse <strong>il</strong> principio di speditezza e di economia processuale con l’esigenza di assicurare<br />
la necessaria visione d’insieme del fenomeno mafioso evitando una lettura frammentata<br />
e, conseguentemente, riduttiva di esso. Riteneva preferib<strong>il</strong>e celebrare <strong>il</strong><br />
dibattimento nei confronti degli imputati detenuti e di procedere allo stralcio di tutte<br />
quelle posizioni processuali non ancora mature per <strong>il</strong> giudizio o riguardanti f<strong>il</strong>oni processuali<br />
non indissolub<strong>il</strong>mente legati al troncone principale.<br />
Ma com’è noto, Falcone e Borsellino priv<strong>il</strong>egiarono una soluzione diversa, definendo<br />
con <strong>il</strong> provvedimento istruttorio pressoché tutte le posizioni processuali esaminate nella<br />
fase istruttoria, convincendo in tal modo <strong>il</strong> Legislatore ad intervenire per evitare numerose<br />
scarcerazioni durante <strong>il</strong> dibattimento.<br />
Tutto ciò raccontiamo per rammentare, ove ce ne fosse bisogno, che Falcone e Borsellino<br />
avevano di fatto anticipato e condizionato le scelte <strong>della</strong> politica. All’esperienza<br />
dei maxiprocessi originati dal fenomeno del pentitismo sono riconducib<strong>il</strong>i due scelte di<br />
politica criminale di grande significato e di particolare r<strong>il</strong>evanza strategica: 1) la scelta<br />
dell’Esecutivo di consentire a ogni costo la celebrazione del maxiprocesso di Palermo per<br />
dimostrare al Paese che la mafia si poteva processare in Sic<strong>il</strong>ia, e che lo Stato era in grado<br />
di farlo mettendo in campo le migliori risorse umane e ingenti risorse finanziarie; 2) la<br />
provvidenziale scelta del Legislatore di cambiare le regole in corso d’opera pur di consentire<br />
la conclusione del maxiprocesso.<br />
Quell’esperienza convinse però <strong>il</strong> Legislatore che erano ormai maturi i tempi per l’adozione<br />
di un nuovo modello processuale ispirato ai principi del processo accusatorio. Tant’è<br />
che l’originario impianto del nuovo codice di procedura penale non favoriva affatto la<br />
promozione di processi con un r<strong>il</strong>evante numero di imputati; limite del quale si lamentarono<br />
molto i magistrati impegnati sul fronte del contrasto alla criminalità organizzata<br />
già subito dopo la prima sperimentazione sul campo del nuovo codice,<br />
<strong>Il</strong> Legislatore si era <strong>il</strong>luso che bastasse una norma scritta per cancellare <strong>il</strong> fenomeno<br />
dei maxiprocessi. Ma la realtà spesso ha bisogno di essere assecondata. Falcone e Borsellino<br />
avevano dimostrato che i maxiprocessi non sono una “forma” processuale, sono piuttosto<br />
una realtà generata dal metodo istruttorio da loro sperimentato nel corso del maxiprocesso,<br />
e la cui caratteristica diffic<strong>il</strong>mente consente di procedere per un solo imputato e<br />
35
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
per una sola imputazione. Anche per questo Falcone e Borsellino hanno pagato con la<br />
vita.<br />
Agli eccezionali risultati del maxiprocesso, infatti, seguirono, dopo la sentenza <strong>della</strong><br />
Cassazione del 30 gennaio 1992, gli effetti nefasti che portarono i giorni del dolore.<br />
Non abbiamo dimenticato gli attacchi a Giovanni Falcone quando questi, chiamato<br />
dal Ministro Claudio Martelli a collaborare con lui al Ministero <strong>della</strong> Giustizia, si propose<br />
di creare la Direzione Nazionale Antimafia, per la cui guida era <strong>il</strong> candidato più accreditato.<br />
Così come, non abbiamo dimenticato la coerenza di Paolo Borsellino, <strong>il</strong> quale non<br />
avendo condiviso la creazione <strong>della</strong> Direzione Nazionale Antimafia e non volendo approfittare<br />
<strong>della</strong> morte dell’amico Giovanni, non accettò l’invito formulatogli del Ministro<br />
Scotti di assumere l’incarico di Procuratore Nazionale Antimafia. Paolo aveva già deciso<br />
di restare a Palermo per continuare a svolgere in Procura le indagini nei confronti <strong>della</strong><br />
criminalità mafiosa. Questo era stato <strong>il</strong> suo impegno per tutta la vita, e questo doveva all’amico<br />
Giovanni. Così Paolo, con grande coraggio e senza tentennamenti, andava incontro<br />
al suo destino. Noi non lo dimenticheremo.<br />
36<br />
Roberto Alfonso<br />
Procuratore di Bologna
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
L’etica <strong>della</strong> convinzione<br />
Max Weber, in un suo celeberrimo scritto, ha introdotto all’inizio del secolo<br />
scorso la distinzione tra etica <strong>della</strong> responsab<strong>il</strong>ità ed etica <strong>della</strong> convinzione, caratterizzando<br />
la prima, propria soprattutto dell’attività politica, sulla base del rapporto<br />
tra mezzi e fini e definendo, al contrario, l’etica <strong>della</strong> convinzione come quella di<br />
chi segue rigorosamente i propri principi, senza preoccuparsi delle conseguenze che<br />
ne potranno derivare.<br />
Di questo secondo modello etico Paolo Borsellino e Giovanni Falcone sono stati<br />
testimoni esemplari, per la sicura consapevolezza <strong>della</strong> sorte che sarebbe toccata loro<br />
e per la fede incrollab<strong>il</strong>e con cui, nonostante ciò, hanno accettato di servire la verità.<br />
Eppure, nonostante questa evidenza, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone furono<br />
sovente considerati alla stregua di “carrieristi”, di magistrati professionalmente capaci,<br />
ma motivati soprattutto dal desiderio di realizzare le loro umane aspirazioni.<br />
Nulla di più falso, ma di questo sentimento e di questa inclinazione sono rimaste<br />
molte testimonianze, di cui la più nota, forse, è lo sciagurato articolo, «I professionisti<br />
dell’antimafia», con cui Leonardo Sciascia ridusse maldestramente ad ambizione<br />
ed opportunismo quello che era impegno morale e civ<strong>il</strong>e, scrivendo, a<br />
commento <strong>della</strong> nomina di Paolo Borsellino a Procuratore di Marsala, che “nulla<br />
vale più, in Sic<strong>il</strong>ia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi<br />
di stampo mafioso”.<br />
Di questo velenoso fraintendimento, alimentato ad arte da alcuni, rimane una<br />
traccia evidente anche nel discorso con cui proprio Paolo Borsellino, <strong>il</strong> 25 giugno<br />
1992, ricordava, a un mese dalla Strage di Capaci, l’amico Giovanni: Giovanni Falcone<br />
è andato al ministero di Grazia e Giustizia, e questo lo posso dire sì prima di essere<br />
ascoltato dal giudice – scrive Borsellino - non perché aspirasse a trovarsi a Roma in un<br />
posto priv<strong>il</strong>egiato, non perché si era innamorato dei socialisti, non perché si era innamorato<br />
di Claudio Martelli, ma perché a un certo punto <strong>della</strong> sua vita ritenne, da uomo<br />
delle istituzioni, di poter continuare a svolgere a Roma un ruolo importante e nelle sue<br />
convinzioni decisivo, con riferimento alla lotta alla criminalità mafiosa…..Anch’io talvolta<br />
ho assistito con un certo disagio a quella che è la vita, o alcune manifestazioni<br />
38
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
<strong>della</strong> vita e dell’attività di un magistrato improvvisamente sbalzato in una struttura<br />
gerarchica diversa da quelle che sono le strutture, anch’esse gerarchiche ma in altro senso,<br />
previste dall’ordinamento giudiziario. Si trattava di un lavoro nuovo, di una situazione<br />
nuova, di vicinanze nuove, ma Giovanni Falcone è andato lì solo per questo.<br />
Con la mente a Palermo, perché sin dal primo momento mi <strong>il</strong>lustrò quello che riteneva<br />
di poter e di voler fare lui per Palermo. E in fin dei conti, se vogliamo fare un b<strong>il</strong>ancio<br />
di questa sua permanenza al ministero di Grazia e Giustizia, <strong>il</strong> b<strong>il</strong>ancio anche<br />
se contestato, anche se criticato, è un b<strong>il</strong>ancio che riguarda soprattutto la creazione di<br />
strutture che, a torto o a ragione, lui pensava che potessero funzionare specialmente con<br />
riferimento alla lotta alla criminalità organizzata e al lavoro che aveva fatto a Palermo.<br />
Cercò di ricreare in campo nazionale e con leggi dello Stato quelle esperienze del pool<br />
antimafia che erano nate artigianalmente senza che la legge le prevedesse e senza che la<br />
legge, anche nei momenti di maggiore successo, le sostenesse. Questo, a torto o a ragione,<br />
ma comunque sicuramente nei suoi intenti, era la superprocura.”<br />
Non è una celebrazione quella che Paolo Borsellino fa dell’amico Falcone, quanto<br />
piuttosto una “difesa” a tutto campo del suo operato e <strong>della</strong> sua persona. Nonostante<br />
sia stato barbaramente ucciso, nonostante la commozione generata da quelle morti<br />
nel paese, Borsellino si sente di dover difendere Falcone, ancora e soprattutto, dalle<br />
insinuazioni che ne avevano accompagnato l’operato e che continuavano ad avvelenarne<br />
la memoria.<br />
Paolo Borsellino avrebbe potuto scegliere di essere candidato (sarebbe stato certamente<br />
eletto) al Consiglio Superiore <strong>della</strong> Magistratura. Magistratura Indipendente,<br />
la corrente dell’A.N.M. in cui m<strong>il</strong>itava, glielo aveva più volte proposto, ma<br />
lui ritenne sempre di dover rifiutare, per essere coerente con <strong>il</strong> compito che si era<br />
prefisso e, soprattutto, per non abbandonare tutti coloro che avevano lavorato con<br />
lui e che su di lui facevano affidamento. Falcone pure non ebbe mai tentennamenti<br />
e le scelte fatte a un certo momento <strong>della</strong> sua vita, <strong>il</strong> Ministero invece dell’ufficio<br />
giudiziario, furono dovute solo alla necessità di poter continuare a dare impulso<br />
alle sue idee, superando l’isolamento in cui era stato posto.<br />
Ad uccidere Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, riconosciamolo, non è stato<br />
solo l’odio <strong>della</strong> mafia, ma anche i dubbi, le esitazioni e le incomprensioni di un<br />
intero paese e l’incapacità <strong>della</strong> magistratura di essere all’altezza di questi due uomini.<br />
Stefano Amore<br />
Magistrato, Consigliere del Ministro <strong>della</strong> Gioventù<br />
39
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
L’onore di Borsellino<br />
Spunti per una riflessione su etica cristiana e senso dello Stato<br />
Non ho mai chiesto di occuparmi di mafia. Ci sono entrato per caso. E poi ci sono rimasto<br />
per un problema morale. La gente mi moriva attorno (Paolo Borsellino) 1<br />
1. <strong>Il</strong> comitato di storici guidato dal professor Andrea Riccardi e incaricato dalla Santa<br />
Sede d’individuare, per quanto possib<strong>il</strong>e, i “martiri” del XX secolo, ha inserito in tale<br />
triste e glorioso elenco i giudici Paolo Borsellino e Rosario Livatino 2 .<br />
La circostanza sollecita una riflessione sui doveri dei cristiani nei confronti dello Stato,<br />
sull’attuale situazione del nostro Paese, sul contributo che la religiosità cristiana e cattolica,<br />
che fa parte del patrimonio spirituale <strong>della</strong> nazione italiana, può e deve dare alla costruzione<br />
di un adeguato “senso dello Stato”.<br />
Quando, <strong>il</strong> 31 marzo 2000, l’amata consorte di Paolo, Agnese, ha consegnato al<br />
Santo Padre Giovanni Paolo II <strong>il</strong> bozzetto originale del manifesto con cui sono stati ricordati<br />
e onorati i ventiquattro magistrati che negli ultimi anni sono stati assassinati a<br />
causa <strong>della</strong> loro dedizione alla giustizia 3 , non ha compiuto solo un gesto di doveroso ringraziamento.<br />
La consegna di questo simbolico dono è stata infatti accompagnata da un<br />
incisivo indirizzo di saluto ed è avvenuta in presenza di un migliaio di giudici, convenuti<br />
a Roma per partecipare al congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati . E L’Osservatore<br />
Romano del 1° apr<strong>il</strong>e 2000 ha intitolato “Quel debito di riconoscenza verso i<br />
“martiri <strong>della</strong> giustizia”, congiungendo insieme le parole “martirio” e “giustizia”, la virtù<br />
cristiana e la virtù civ<strong>il</strong>e 4 .<br />
1 Pochi mesi prima <strong>della</strong> sua “morte annunciata” Paolo rifiutò la proposta di divenire Procuratore Nazionale<br />
Antimafia con le parole “io servo qui”.<br />
2 Cfr. Luigi Accattoli, Nuovi martiri. 393 storie cristiane nell’Italia di oggi, San Paolo, Cinisello Balsamo (M<strong>il</strong>ano)<br />
2000, nn. 384 e 385, pp. 243-246; e Andrea Riccardi, <strong>Il</strong> secolo del martirio, Mondadori, M<strong>il</strong>ano 2000,<br />
pp. 403, 413 e 429.<br />
3 Un elenco (con note biografiche) dei magistrati caduti per causa di servizio è pubblicato sul sito www.giustiziacarita.it<br />
4 Cfr. F. V., Quel debito di riconoscenza verso i “martiri <strong>della</strong> giustizia”, in L’Osservatore Romano, 1-4-2000.<br />
41
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
Giorgio Ambrosoli (1933-1979), Paolo Borsellino (1940-1992) e Rosario Livatino<br />
(1952-1990) hanno, con <strong>il</strong> loro sacrificio, smentito la diffusa opinione secondo cui i cattolici<br />
italiani sarebbero buoni padri, discreti mariti, volenterosi operatori sociali, ma funzionari<br />
distratti e, in definitiva, mediocri cittadini.<br />
Avevano una vita fam<strong>il</strong>iare e religiosa intensa ed esemplare, ma non sono stati uccisi<br />
a causa di queste virtù. I loro provvedimenti, che hanno colpito interessi potenti e omicidi,<br />
non erano diversi da quelli redatti da colleghi che non nutrivano una fede religiosa,<br />
e che hanno parimenti affrontato la morte come prezzo <strong>della</strong> fedeltà alle regole di giustizia;<br />
sono stati tutti “martiri” a difesa delle leggi dello Stato.<br />
<strong>Il</strong> martirio, questo martirio, non separa o divide i credenti dai non credenti perché<br />
l’adesione ai valori <strong>della</strong> giustizia costituisce un terreno comune per tutti gli uomini di<br />
buona volontà. L’apostolo Paolo riconosce e quasi codifica questa comunione fra chi<br />
crede nel valore trascendente dei testi evangelici e tutti gli uomini retti, che sono “circoncisi<br />
nel cuore”, circoncisi di una circoncisione non fatta da mano d’uomo. A fianco<br />
di quelli che osservano la legge perché la conoscono attraverso la Rivelazione si collocano<br />
dunque coloro che “[...] sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto<br />
nei loro cuori come risulta dalla testimonianza <strong>della</strong> loro coscienza” .<br />
È di conforto pensare che a tutti i caduti per la giustizia si attaglino le parole di Papa<br />
Giovanni Paolo II nell’enciclica Veritatis splendor: “Nel martirio come affermazione dell’inviolab<strong>il</strong>ità<br />
dell’ordine morale risplendono la santità <strong>della</strong> legge di Dio e insieme l’intangib<strong>il</strong>ità<br />
<strong>della</strong> dignità personale dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio” . Chi li ha uccisi<br />
con ogni probab<strong>il</strong>ità non nutriva rancore verso la Fede cattolica, ma era certamente animato<br />
da odio verso le virtù umane e cristiane. E san Tommaso d’Aquino ebbe ad affermare che<br />
è martire “[...] non solo chi patisce a causa <strong>della</strong> confessione <strong>della</strong> fede, che si fa con le parole,<br />
ma anche chiunque patisce per compiere qualunque buona opera [...] per Cristo” 5 . Del resto,<br />
la Chiesa da sempre onora come martire san Giovanni Battista, imprigionato e ucciso da<br />
Erode perché aveva osato puntare <strong>il</strong> dito contro di lui ed Erodiade pronunciando l’ammonimento<br />
che tanto spiace a tutti i potenti <strong>della</strong> terra: “Non ti è lecito” . A sua volta, già <strong>il</strong> documento<br />
sull’impegno sociale e politico, elaborato nel III convegno ecclesiale tenuto a<br />
Palermo nel 1995, sottolinea <strong>il</strong> sacrificio dei cristiani che in Italia hanno dato “numerose testimonianze<br />
di carità politica, alcune giunte sino al martirio” 6 .<br />
Tutti i caduti per la legalità, credenti e non credenti, senza distinzione, hanno testi-<br />
5 San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, IIa-IIae, q. 124, a. 5, ad 1.<br />
6 III Convegno Nazionale delle Chiese che sono in Italia. Palermo 20/24-11-1995, Relazione dei cinque<br />
ambiti di lavoro, II. Impegno sociale e politico, in <strong>Il</strong> Regno-Documenti, anno XL, n. 21 (760), Bologna 1-12-<br />
1995, pp. 673-675 (p. 673).<br />
42
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
moniato quella legge universale che s’impone a ogni essere dotato di ragione e vivente<br />
nella storia. “Per perfezionarsi nel suo ordine specifico - afferma Papa Giovanni Paolo II<br />
sempre nell’enciclica Veritatis splendor -, la persona deve compiere <strong>il</strong> bene ed evitare <strong>il</strong> male,<br />
vegliare alla trasmissione e alla conservazione <strong>della</strong> vita, affinare e sv<strong>il</strong>uppare le ricchezze del<br />
mondo sensib<strong>il</strong>e, coltivare la vita sociale, cercare <strong>il</strong> vero, praticare <strong>il</strong> bene, contemplare la bellezza”<br />
2. Qualcuno ha detto: “sventurata la terra che ha bisogno di eroi” 7 , o di martiri. E certo<br />
la presenza di eroi in una società, e in specie nel mondo <strong>della</strong> giustizia, è sintomo di crisi<br />
e di disagio.<br />
L’obbedienza alla legge nelle società pacifiche e ben ordinate raramente attinge i vertici<br />
dell’eroismo, cioè richiede la capacità di anteporre <strong>il</strong> senso del dovere a propri r<strong>il</strong>evanti interessi,<br />
e talvolta alla vita stessa. Anche nel più tranqu<strong>il</strong>lo cantone svizzero l’uomo <strong>della</strong> polizia,<br />
<strong>il</strong> vig<strong>il</strong>e del fuoco, debbono essere pronti ad anteporre l’adempimento del dovere alla propria<br />
vita, ma si tratta di casi limitati; mentre nelle società ad alto tasso di criminalità l’eroismo<br />
viene richiesto a una sfera molto allargata e purtroppo via via più ampia di persone.<br />
Nel documento, redatto fra gli altri da Giovanni Falcone e con cui si concluse l’assemblea<br />
<strong>della</strong> ANM riunita a Palermo <strong>il</strong> 27 ottobre 1990 sotto la presidenza di Paolo<br />
Borsellino, dopo l’assassinio di Rosario Livatino, si legge che, “[...] sotto le vesti <strong>della</strong> democrazia,<br />
si intravedono sempre più rapporti di potere reale basati sul decadimento del costume<br />
morale e civ<strong>il</strong>e, su intrecci fra istituzioni deviate e organizzazioni occulte, su legami tra mafia<br />
e politica” 8 . E a queste parole ben si può affiancare <strong>il</strong> punto forse più significativo del<br />
messaggio letto dal Santo Padre ai magistrati italiani <strong>il</strong> 31 marzo 2000, laddove stigmatizza<br />
“[...] tutte quelle iniziative di singoli e di gruppi organizzati che, non paghi di trasgredire<br />
la legge attentando alla vita ed ai beni altrui, si adoperano anche per ottenere modifiche dell’ordinamento<br />
in funzione dei propri interessi, al di là dei principi etici e <strong>della</strong> considerazione<br />
del bene comune. Ne viene minata alla radice anche la sicura e pacifica convivenza” 9 .<br />
L’indifferenza, se non l’ost<strong>il</strong>ità, di parti <strong>della</strong> Società e dello Stato può accrescere <strong>il</strong><br />
rischio per coloro che adempiono <strong>il</strong> proprio dovere, li rende “eroi” loro malgrado.<br />
Sotto la minaccia omicida delle Brigate Rosse diviene eroismo accettare la difesa d’uf-<br />
7 Bertolt Brecht (1898-1956), Lebens des Gal<strong>il</strong>ei. Vita di Gal<strong>il</strong>eo, trad. it. di Em<strong>il</strong>io Castellani, a cura di Giuseppina<br />
Oneto, Einaudi, Torino 1994, p. 217.<br />
8 Documento approvato dall’Assemblea Straordinaria di Palermo dell’Associazione Nazionale Magistrati,<br />
27-10-1990<br />
9 Giovanni Paolo II, Discorso ai membri dell’Associazione Nazionale Magistrati, del 31-3-2000, n. 2, in<br />
L’Osservatore Romano, 1-4-2000<br />
43
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
ficio di un indagato; basterà ricordare <strong>il</strong> martirio dell’avvocato Fulvio Croce, ucciso per<br />
aver onorato un compito elementare dell’avvocato: la difesa d’ufficio. La criminalità organizzata<br />
dei “colletti bianchi” rende eroica la condotta dell’avvocato Giorgio Ambrosoli,<br />
leale esecutore di un mandato di liquidazione di una banca; nelle aree controllate dalla<br />
mafia occorre eroismo per esercitare diritti elementari, come una libera attività d’impresa,<br />
per adempiere a doveri in sé semplici e spontanei, che incombono su qualunque cittadino:<br />
quale <strong>il</strong> rendere, in osservanza alla legge divina, testimonianza veritiera.<br />
Persino la amministrazione dei beni può divenire pericolosa quando investe aziende<br />
già di pertinenza criminale; cioè concorre ad un prof<strong>il</strong>o essenziale <strong>della</strong> dura battaglia<br />
che lo Stato Italiano ha intrapreso nei confronti degli interessi e dell’economica mafiosa,<br />
prevedendo con leggi sempre più incisive ed efficaci <strong>il</strong> sequestro e la conseguente confisca<br />
dei beni che risultino di pertinenza <strong>della</strong> criminalità organizzata. E <strong>della</strong> importanza di<br />
questo prof<strong>il</strong>o <strong>della</strong> lotta dello Stato contro l’economia criminale è, purtroppo, testimonianza<br />
l’uccisione dei dottori commercialisti Costanzo Iorio (2008) e Liberato Passarelli<br />
(2009).<br />
È quindi vero che “la terra che ha bisogno di eroi” è “sventurata”; perché è sventurato<br />
quel popolo che non ha in sé le energie morali indispensab<strong>il</strong>i affinché ogni cittadino,<br />
adempiendo ai propri doveri, facendosi carico <strong>della</strong> frazione, <strong>della</strong> briciola, di coraggio<br />
che gli compete, concorra a far sì che a pochi, a nessuno si richiedano virtù eroiche.<br />
Ma certo è ancora più sventurato <strong>il</strong> popolo che ha bisogno di eroi e non li trova, o ne<br />
disperde l’insegnamento.<br />
Sventurato sarebbe <strong>il</strong> Popolo Italiano se non sapesse trarre dal sacrificio di tanti la<br />
spinta verso un “eroismo di massa”, che proprio perché “di massa” potrà comportare<br />
con minor frequenza <strong>il</strong> rischio <strong>della</strong> vita.<br />
Sembra di poter scorgere nella realtà attuale segni di miglioramento: sempre più di<br />
frequente gli operatori economici denunciano i loro estortori; l’atavica paura sembra diradarsi<br />
nella consapevolezza di non essere abbandonati dallo Stato, e nasce la speranza di<br />
poter godere in pace dei propri beni senza esser soggetti al “pizzo” . Un insieme di segni<br />
delineano un quadro diverso rispetto a quello tradizionale di soggezione alla criminalità<br />
mafiosa. La misure economiche in favore delle vittime dell’usura e dell’estorsione, la protezione<br />
dei “testimoni di giustizia”, la costituzione di parte civ<strong>il</strong>e dello Stato a fianco delle<br />
vittime, la creazione a Reggio Calabria del centro di gestione dei beni sequestrati e confiscati,<br />
la sempre più frequente presenza fisica nelle aree a maggior rischio del Ministro<br />
dell’Interno Roberto Maroni, del Sottosegretario Mantovano cui <strong>il</strong> Ministro ha conferito<br />
la delega alla Sicurezza Pubblica concorrono a creare un clima diverso.<br />
Mentre nel contempo sequestri e confische per valori sempre più ingenti dimostrano<br />
44
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
tangib<strong>il</strong>mente che la criminalità non è (più) una via sicura alla ricchezza; la cattura dei<br />
latitanti insinua in molti <strong>il</strong> timore (benedetto) che i delitti sfocino in lunghe detenzione,<br />
rese più penose da un regime carcerario austero.<br />
3. <strong>Il</strong> ricordo è quindi un dovere, da cui scaturiscono energie per modificare <strong>il</strong> presente.<br />
La forza spirituale di chi “cerca <strong>il</strong> vero e pratica <strong>il</strong> bene”, di chi è sensib<strong>il</strong>e al grido delle<br />
vittime dell’ingiustizia: “Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e verace, non farai giustizia<br />
e non vendicherai <strong>il</strong> nostro sangue sopra gli abitanti <strong>della</strong> terra?” è testimoniata da un episodio<br />
<strong>della</strong> vita di Paolo Borsellino che mi par opportuno ricordare.<br />
“Incontrai <strong>il</strong> dottor Borsellino — dichiara <strong>il</strong> pentito Vincenzo Calcara nel 1992 — <strong>il</strong><br />
3 dicembre 1991, ma soltanto <strong>il</strong> 6 gennaio di quest’anno gli dissi che ero uomo d’onore e gli<br />
dissi anche: “Dottore, io sono quella persona che avrebbe dovuto ucciderla, io avrei dovuto essere<br />
<strong>il</strong> k<strong>il</strong>ler”. Sorrise poi mi chiese: “Ma dove mi avrebbe dovuto uccidere, a Palermo oppure<br />
a Marsala? Perché a Palermo è più fac<strong>il</strong>e”. Gli dissi che <strong>il</strong> suo attentato avrebbe dovuto avvenire<br />
con un’autobomba. Rimase perplesso, poi mi disse: “Va bene Calcara, mettiamoci a<br />
lavorare”. Da quel momento in poi iniziò un rapporto splendido: in lui vedevo <strong>il</strong> vero uomo<br />
d’onore, ma inteso come onore quello vero, non quello che credevo quando entrai in Cosa Nostra.<br />
Quando lo incontrai subito dopo la morte di Falcone, mi disse: “Vincenzo, non ci arrendiamo,<br />
andiamo avanti, io e te siamo nella stessa barca e indietro non si torna”. Gli dissi:<br />
“Ma signor giudice, lei non ha paura? Ora tocca a lei di sicuro”, e lui mi rispose: “È bello<br />
morire per ciò in cui si crede; chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore<br />
una volta sola“”, 10 mostrando la sua profonda adesione alle parole: “Chi cercherà di salvare<br />
la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà” .<br />
Pochi mesi dopo, <strong>il</strong> 19 luglio 1992, proprio a Palermo, alle ore 16,58 la violentissima<br />
esplosione di un’autobomba, parcheggiata in via D’Amelio uccise Paolo Borsellino , Procuratore<br />
aggiunto presso la Procura distrettuale <strong>della</strong> Repubblica di Palermo e gli agenti<br />
che con piena ed accettata consapevolezza del pericolo gli facevano scorta Claudio Traina,<br />
Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli ed Eddie Walter Cosina.<br />
“Calcara conserva un profondo ricordo di Borsellino, del suo sorriso. E sottolinea:: le parole<br />
<strong>della</strong> mafia nascondono solo una macchina di morte. Borsellino, lui sì, ha avuto onore: non<br />
ha rinunciato alle sue idee nemmeno quando gli avrebbero reso <strong>il</strong> cammino più diffic<strong>il</strong>e” 11 .<br />
10 Vincenzo Calcara, “Quel giudice dovevo ucciderlo io”, intervista a cura di Guglielmo Sasinini, in Famiglia<br />
Cristiana, n. 32, M<strong>il</strong>ano 5-8-1992, pp. 26-28 (p. 27). Calcara ha più volte raccontato dei suoi incontri con<br />
Borsellino, con parole non sempre identiche, ma che esprimono gli stessi concetti.<br />
11 Umberto Lucentini con Agnese, Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino, Paolo Borsellino. <strong>Il</strong> valore di una<br />
vita, Mondadori, M<strong>il</strong>ano 1994, p. 253<br />
45
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
Vincenzo Calcara, ha anche spiegato perché la così detta “cupola” abbia organizzato<br />
la strage di Via D’Amelio, dicendo : “la mafia aveva paura del coraggio di Borsellino, dell’onore<br />
di Borsellino; perchè Borsellino era <strong>il</strong> vero uomo d’onore, che non diviene tale con la<br />
“pungitura” o bruciando l’immaginetta, ma con la forza delle idee”.<br />
Già: l’“onore di Borsellino”.<br />
In Calcara la parola “onore” è intrisa di sic<strong>il</strong>ianità. Ma l’onore o — se preferiamo<br />
usare un’altra parola — la dignità guidano gli esseri umani tutti; a Palermo come a Bolzano.<br />
Spinge gli uomini verso modi di agire che rispondono alle esigenze sociali; sorregge<br />
coloro che si trovano in particolari circostanze a rischiare e sacrificare la vita; <strong>il</strong> senso<br />
<strong>della</strong> propria dignità anima e pervade tutte le attività sociale positive, anche quelle non<br />
eroiche, ma semplicemente oneste: è a fianco del medico che sacrifica qualche minuto in<br />
più per ben assistere <strong>il</strong> paziente, del professore scrupoloso che si sforza di esser chiaro,<br />
del giudice che r<strong>il</strong>egge ancora una volta <strong>il</strong> fascicolo processuale; persino del cuoco che<br />
cerca di elaborare al meglio <strong>il</strong> cibo, che sbatte con cura le uova perché la frittata riesca<br />
più saporita. Sono condotte che non producono, o comunque non producono sempre,<br />
un immediato vantaggio a chi le pone in essere, ma che soddisfano <strong>il</strong> suo senso <strong>della</strong> “dignità”,<br />
gli conferiscono stima in se stesso.<br />
Anche la criminalità, e in particolare la grande criminalità organizzata come la mafia,<br />
ha — o tenta di costruire — un suo “onore”; mentre sempre più si diffonde nella nostra<br />
società dei consumi un “onore”, un “essere onorati” che dipende esclusivamente dalla<br />
ricchezza e dalla potenza. Ma che cosa ha fatto sentire a Vincenzo Calcara che l’“onore di<br />
Borsellino” è onore “vero”; e quello di Cosa Nostra è onore “falso”?<br />
L’“onore di Borsellino” attinge all’universale, risponde a regole che, secondo le parole<br />
di Sofocle, “[...] non sono di oggi o di ieri, ma sempre vivono; e nessuno sa da quando apparvero”.<br />
L’”onore di Borsellino” risponde a tavole etiche che rendono la vita di tutti migliore;<br />
è espressione di quella carità cristiana che è amore di Dio e del prossimo e che, quindi, è<br />
operativa e fattiva nel sociale. Invece le regole <strong>della</strong> criminalità distruggono la vita e <strong>il</strong><br />
benessere di una società; conducono alla ricchezza di pochi e all’impoverimento di molti.<br />
L’onore autentico attinge all’assoluto e perciò alla religiosità d’amore. A quella religiosità<br />
che è fondamento <strong>della</strong> convivenza civ<strong>il</strong>e, dello Stato e <strong>della</strong> democrazia stessa.<br />
Nella nostra visione politica lo Stato non è un Leviatano signore del bene e del male;<br />
è invece strumento al servizio di valori che esso non crea; è un mezzo per perseguimento<br />
del bene comune.<br />
46
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
4. Cosa sia <strong>il</strong> bene comune è in grado di dircelo, almeno nei suoi tratti essenziali, una<br />
ragionevole riflessione laico-ut<strong>il</strong>itaristica ; che agevolmente ci conduce ad affermare che<br />
si deve ubbidire alla legge perchè ciò è ut<strong>il</strong>e, anzi indispensab<strong>il</strong>e. E ci consente di qualificare<br />
come “buone” quelle leggi che sono “ut<strong>il</strong>i”, cioè producono benessere nel maggior<br />
numero possib<strong>il</strong>e di individui e non solo in chi le pone in essere. Secondo quanto già<br />
chiaramente espresso nel mito platonico di Prometeo: per la sopravvivenza <strong>della</strong> umanità<br />
occorre <strong>il</strong> dono di Zeus “la giustizia ed <strong>il</strong> rispetto <strong>della</strong> legge”. L’economia criminale è al<br />
contrario –essenzialmente- un’economia parassitaria che assorbe ricchezze ed energie<br />
senza produrre frutti; e dunque <strong>il</strong> cancellarla è sicuramente “ut<strong>il</strong>e”, fonte di benessere<br />
per la collettività<br />
Mentre all’opposto, una famiglia unita e solidale, in coerenza ai valori etici, è particolarmente<br />
idonea (e quindi particolarmente ut<strong>il</strong>e) ad affrontare i momenti diffic<strong>il</strong>i <strong>della</strong><br />
vita e dell’esistenza degli individui, come dei popoli.<br />
Tuttavia la constatazione di questo interesse collettivo non è sufficiente a determinare<br />
la condotta dei singoli; occorre un aggancio forte di questo pubblico interesse<br />
con l’individuo, con ogni singolo individuo. Occorre che ciascuno percepisca un “perchè”<br />
che lo induca a sacrificare in taluni momenti <strong>il</strong> suo interesse personale, talvolta la<br />
sua stessa vita, ad un interesse collettivo. La mera consapevolezza <strong>della</strong> “ut<strong>il</strong>ità” <strong>della</strong><br />
legge, ed anche la minaccia di sanzioni, non sono sufficienti a indurre <strong>il</strong> magistrato, <strong>il</strong><br />
funzionario ad esporsi al pericolo ; a rispettare l’articolo 54 del codice penale; ad adempiere<br />
al loro dovere nonostante ogni minaccia di danno alla persona propria o di un<br />
proprio caro; a lasciare i propri figli privi dell’assistenza di un padre, di una madre.<br />
Occorrono particolari energie spirituali. Occorre una concezione etica <strong>della</strong> vita.<br />
Tocquev<strong>il</strong>le ed Hobbes ricorrono al termine “religione”; intesa non come organizzazione<br />
confessionale raccolta intorno ad uno specifico credo, bensì come capacità di anteporre<br />
l’ut<strong>il</strong>e collettivo a quello individuale. Un termine comprensivo anche di quella<br />
religiosità laica, di quell’ “amor di patria”, di quel senso dello Stato di cui ci parla Machiavelli<br />
; e che secondo Clausewitz costituisce <strong>il</strong> p<strong>il</strong>astro su cui poggia persino la capacità<br />
guerriera degli eserciti, che pur sotto <strong>il</strong> fuoco nemico conservano ordine ed<br />
efficienza. Occorre, in altre parole, la consapevolezza che esistono valori più grandi <strong>della</strong><br />
vita. Che morire per essi non è scegliere la morte, come un suicida che butta via la propria<br />
esistenza; è scegliere invece la vita, è rinunciare a qualche parte del tempo che Iddio ci<br />
concede per un modo di vivere maggiormente degno di un essere libero, plasmato “ad<br />
immagine e somiglianza” di Dio.<br />
Attraverso regole deontologiche di carattere morale le collettività inducono i singoli<br />
ad agire spontaneamente in conformità a determinati valori. Alcuni che violano grave-<br />
47
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
mente questi valori potranno esser puniti; altri che li hanno osservati con particolare<br />
impegno saranno forse premiati. Ma castighi e premi possono coinvolgere solo pochi<br />
membri <strong>della</strong> collettività, tutti gli altri ne osservano spontaneamente le regole, sotto la<br />
spinta del senso dell’onore.<br />
In particolare, nessun sistema disciplinare o di controllo può costringere gli uomini<br />
dello Stato a ut<strong>il</strong>izzare i propri poteri in conformità ai doveri che l’ordinamento impone,<br />
se essi non avvertono che <strong>il</strong> buon funzionamento dell’apparato pubblico è un valore che<br />
in qualche misura trascende le loro persone.<br />
In questo senso, lo Stato non può che essere etico, perché uno Stato che non sia sorretto<br />
dallo spirito etico dei suoi cittadini, dei suoi funzionari non può che sfaldarsi in<br />
una miriade di privati egoismi in cui ciascuno vuole godere dei vantaggi che gli procura<br />
<strong>il</strong> rispetto (da parte degli altri) <strong>della</strong> legge, ma sfugge agli oneri che <strong>il</strong> medesimi rispetto<br />
<strong>della</strong> legge gli impone.<br />
Intorno alla figura di Paolo Borsellino (come del suo amico fraterno Giovanni Falcone)<br />
queste energie umane si sono raccolte, abbiamo visto centinaia migliaia di palermitani<br />
sf<strong>il</strong>are s<strong>il</strong>enziosi e commossi la Sua camera ardente, abbiamo visto i suoi funerali<br />
resi solenni da una presenza strabocchevole di folla.<br />
Una giovane donna oggi magistrato ha scritto nel 2003: “undici anni fa mi trovavo a<br />
Santo Stefano e <strong>il</strong> proprietario di un negozio di alimentari uscì per strada con le mani<br />
sul volto e disse che avevano ucciso <strong>il</strong> giudice Borsellino. E io mi sedetti su una panchina<br />
e mi venne da piangere. E pensai, per la prima volta, che avrei potuto iscrivermi a giurisprudenza<br />
e diventare un magistrato. Forse una reazione emotiva. Ma negli anni questo<br />
pensiero è maturato dentro di me, sino a diventare una ragione di vita. Non so se l’avevo<br />
mai detto. Forse, aspettavo un giorno come questo”.<br />
La costernazione di quel commerciante, le lacrime di quella ragazza, la sua decisione<br />
di vita, sono un segno che <strong>il</strong> sacrificio di Paolo non è stato vano.<br />
5. Si legge nella nota pastorale <strong>della</strong> Conferenza Episcopale Italiana Educare alla legalità.<br />
Per una cultura <strong>della</strong> legalità nel nostro Paese, del 1991: “Proprio perché l’autentica<br />
legalità trova la sua motivazione radicale nella moralità dell’uomo, la condizione primaria<br />
per uno sv<strong>il</strong>uppo del senso <strong>della</strong> legalità è la presenza di un vivo senso dell’etica come dimensione<br />
fondamentale ed irrinunciab<strong>il</strong>e <strong>della</strong> persona” 12 .<br />
“Quinto, non ammazzare”, “Settimo, non rubare”. Quanti cav<strong>il</strong>li hanno costruito i<br />
12 Conferenza Episcopale Italiana. Commissione Ecclesiale Giustizia e Pace, Nota pastorale Educare alla legalità.<br />
Per una cultura <strong>della</strong> legalità nel nostro Paese, Roma 4 ottobre 1991, n. 3.<br />
48
giuristi di professione — e ancor più i politologi — per occultare questi due comandamenti!<br />
Ma <strong>il</strong> Santo Padre Giovanni Paolo II, a conclusione <strong>della</strong> Santa Messa celebrata<br />
ad Agrigento <strong>il</strong> 9 maggio 1993, ha parlato in termini di estrema chiarezza: “Dio ha detto<br />
una volta: “non uccidere”. Nessun uomo, nessuna associazione umana, nessuna mafia può<br />
cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio” 13 .<br />
13 L’Osservatore Romano, 10/11-5-1993.<br />
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
Mario Cicala<br />
Consigliere <strong>della</strong> Suprema Corte di Cassazione<br />
49
<strong>Il</strong> fresco <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
<strong>Il</strong> ricordo di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino attraversa almeno tre aree, la memoria<br />
personale, l’impegno associativo nella magistratura, <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o professionale, mentre<br />
sullo sfondo c’è un quarto elemento, la sic<strong>il</strong>ianità o l’amore per la Sic<strong>il</strong>ia.<br />
Con Giovanni Falcone ho avuto meno occasioni di incontro, ma tutte ugualmente<br />
significative. Giovanissimo sostituto procuratore a Catania, fui chiamato dal procuratore<br />
capo a partecipare ad una riunione alla quale intervenne Giovanni Falcone, all’epoca giudice<br />
istruttore al Tribunale di Palermo, dopo aver espletato al Palazzo di giustizia –siamo<br />
alla fine del 1983 o agli inizi del 1984- un atto istruttorio coperto dal più assoluto riserbo,<br />
le misure di sicurezza erano imponenti, l’elicottero sopra la piazza Giovanni Verga, la tutela<br />
e la scorta armata in atteggiamento reattivo, autovetture blindate. Nella riunione, vi<br />
fu uno scambio di opinioni sulla situazione criminale di Catania, dove allora quasi nessuno<br />
pensava che la mafia, cosa nostra in particolare, avesse messo salde radici e soprattutto<br />
che vi potessero essere collegamenti organici con Palermo e <strong>il</strong> resto <strong>della</strong> Sic<strong>il</strong>ia. Ma<br />
la presenza di Falcone parlava da sola per chi ne voleva cogliere <strong>il</strong> significato, soprattutto<br />
perché –come si seppe dopo tempo, Falcone era venuto per sentire un soggetto e chiedergli<br />
delucidazioni circa un assegno bancario da lui emesso in pagamento di un acquisto.<br />
Qualche tempo dopo, partecipando ad un incontro di studi indetto dal C.S.M., svoltosi<br />
a Trevi, che ricordo ancora oggi come uno dei più importanti mai organizzati, Giovanni<br />
Falcone, Gherardo Colombo e Giuliano Turone spiegarono, ognuno per la parte di competenza,<br />
le reciproche e straordinarie esperienze di giudici istruttori nella ricostruzione<br />
dei movimenti bancari in importanti indagini che avevano istruito, rispettivamente nel<br />
processo Spatola-Inzer<strong>il</strong>lo, Sindona e i rapporti con la P2 e Gelli, sottolineando come le<br />
indagini bancarie fossero decisive per porre in luce <strong>il</strong> reticolo di relazioni e intestazioni<br />
patrimoniali, a loro volta dimostrative dei reati-fine dell’<strong>il</strong>lecita associazione per delinquere<br />
nella quale i vari soggetti espletano i rispettivi ruoli. Si tratta di argomenti e riflessioni<br />
che sono rimasti scolpiti nel breve saggio di G.Falcone e di G.Turone, intitolato Le<br />
tecniche di indagine, pubblicato prima in “Democrazia e diritto”, n. 4, 1983, 113-132 e<br />
successivamente e con <strong>il</strong> titolo Le tecniche di indagine in materia di mafia, in Cass. pen,<br />
51
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
1983, n. 4, 1038-1057, e che era comparso, col titolo La mafia nei santuari delle banche,<br />
nella rivista “Segno”, del 1982, n. 34-35, pagg. 35-64.<br />
Tali problematiche investigative, col movimento dei conti correnti bancari di imprenditori,<br />
erano al centro di una complessa indagine da me trattata come pubblico ministero<br />
e successivamente formalizzata, avente ad oggetto l’appalto per la ricostruzione<br />
<strong>della</strong> rete viaria e degli insediamenti pubblici oltreché per <strong>il</strong> ristoro dei danni ad impianti<br />
e manufatti, dopo la colata lavica dell’Etna <strong>della</strong> primavera del 1983, indagine iniziata<br />
da un corposo rapporto <strong>della</strong> Guardia di Finanza <strong>il</strong> cui studio fu allora estremamente<br />
formativo. L’appalto per i lavori, per circa trenta m<strong>il</strong>iardi, era stato dato dalla Protezione<br />
civ<strong>il</strong>e e sotto l’onda dell’emergenza ad una grande impresa la quale, successivamente, si<br />
era avvalsa delle centinaia di piccole e medie imprese di movimento terra, trasporto, prestazione<br />
di servizi, fornitura di inerti che costituivano in grandissima parte <strong>il</strong> nerbo degli<br />
interessi mafiosi nell’Isola, secondo un modello ricorrente nel mondo degli appalti pubblici,<br />
allora e forse anche oggi. La maggior parte di queste imprese era intestata a prestanomi,<br />
le ditte avevano sede quasi tutte fra Favara e Santa Venerina, i due poli che<br />
rappresentavano geograficamente una sorta di spartizione ideale fra Sic<strong>il</strong>ia orientale ed<br />
occidentale. Quando Giovanni Falcone seppe di questa indagine, attraverso un brevissimo<br />
resoconto che gli riferii durante un incontro casuale, volle avere copia del rapporto <strong>della</strong><br />
Guardia di Finanza, che anziché mandargli per posta preferii portargli personalmente<br />
andandolo a trovare nel bunker del palazzo di giustizia di Palermo dove lavorava all’Ufficio<br />
istruzione, e fu proprio questa richiesta ad indicarmi chiaramente l’importanza di<br />
quella indagine, giacché quella moltitudine di imprese potevano scandire sul territorio<br />
sic<strong>il</strong>iano un reticolo di collegamenti e di relazioni tali da rappresentare plasticamente la<br />
presenza ramificata di cosa nostra nel mondo degli appalti pubblici. Mi resi conto che la<br />
sua stanza era <strong>il</strong> punto di riferimento di vari colleghi non solo di Palermo, e che i suoi<br />
metodi di lavoro rappresentavano una marcata innovazione nel mondo giudiziario, tradizionalmente<br />
conservatore e a quell’epoca ruotante attorno alla singola indagine, alla<br />
specifica imputazione contestata, avulsa da qualsiasi collegamento. Le riflessioni che in<br />
quella occasione feci furono due, la prima: mi resi conto che Giovanni Falcone aveva<br />
adottato strumenti di lavoro allora assolutamente sconosciuti, quali appunto lo scambio<br />
di notizie fra uffici di diversa struttura e dislocazione territoriale, scambio che andava al<br />
di là dell’angusto orizzonte <strong>della</strong> singola indagine. Inoltre la riservatezza, la protezione<br />
degli uffici palesata dalle porte blindate e quant’altro del luogo di lavoro stavano a dimostrare<br />
che la materia prima delle indagini e delle istruttorie in queste materie doveva<br />
essere circondata da un serio alone di massima sicurezza, per poter dare buoni frutti. La<br />
seconda riflessione riguardava <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o processuale: <strong>il</strong> fatto che un giudice istruttore si<br />
52
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
interessasse così a fondo ad altre indagini non di sua stretta competenza, ma evidentemente<br />
collegate alle sue, mi poneva in risalto la necessità che la polizia giudiziaria dovesse<br />
essere diretta da un organo autorevole e di forte impatto qual era appunto a quell’epoca<br />
<strong>il</strong> giudice istruttore, <strong>il</strong> solo in grado di svolgere compiti di analisi, valutazione ed acquisizione<br />
<strong>della</strong> prova a trecentosessanta gradi. All’epoca, tutti noi del pubblico ministero<br />
eravamo abituati, all’inverso, ad una f<strong>il</strong>osofia di tipo diverso: era la polizia giudiziaria a<br />
trainare le nostre valutazioni e le istruttorie, non c’era spazio per alcuna autonomia da<br />
parte del magistrato inquirente, del tutto appiattito sulle scelte <strong>della</strong> polizia giudiziaria,<br />
l’unico vero motore delle indagini. Chi non ricorda la polemica secondo la quale <strong>il</strong> giudice<br />
istruttore era visto come un super pubblico ministero? Fu poi l’entrata in vigore del codice<br />
Vassalli che capovolse questo rapporto, conferendo più poteri direttivi al p.m., anche se<br />
a scapito del valore di prova dei suoi atti, almeno nella versione originaria.<br />
In un’altra occasione, Giovanni Falcone venne a Catania per partecipare ad un Convegno<br />
organizzato dall’Università, non potevo mancare e andai ad ascoltarlo, perché la<br />
mia ammirazione era enorme ed inoltre volevo capire riannodando quel sott<strong>il</strong>e f<strong>il</strong>o che<br />
si era formato nell’incontro di studi a Trevi. Una delle affermazioni di Giovanni Falcone<br />
che più mi colpirono in quest’ultima occasione fu quella che <strong>il</strong> magistrato, sia inquirente<br />
sia giudicante, deve essere responsab<strong>il</strong>izzato e, se sbaglia, deve pagare in qualche modo<br />
per l’errore compiuto, affermazione per l’epoca assolutamente inusuale e vorrei dire oltreché<br />
un tantino scomoda, anche controcorrente, ma certamente col tempo entrata a<br />
far parte del patrimonio comune e del bagaglio culturale e deontologico dei magistrati.<br />
La sua relazione al Convegno riguardava <strong>il</strong> lavoro in pool, di cui proprio l’Ufficio istruzione<br />
di Palermo rappresentava un importante antesignano, assieme ai precursori che<br />
erano stati i pool antiterrorismo degli uffici giudiziari del Nord e del Centro Italia. Naturalmente<br />
a Catania echeggiavano come f<strong>il</strong>trati e quasi smorzati tutti i c.d. “veleni” del<br />
palazzo di giustizia di Palermo, le polemiche e i conflitti all’interno <strong>della</strong> magistratura<br />
palermitana e all’esterno tra <strong>il</strong> Coordinamento antimafia, e alcune forze politiche, su cui<br />
si innestò la questione dei “professionisti dell’antimafia” che vide Leonardo Sciascia tra<br />
i protagonisti dello scontro, per avere espresso alcune critiche molto pungenti sul Corriere<br />
<strong>della</strong> Sera contro <strong>il</strong> Consiglio superiore <strong>della</strong> magistratura, a proposito del “superamento”<br />
(così lo definì Sciascia) di Paolo Borsellino su altro candidato più anziano ma meno titolato<br />
in materia antimafia alla carica di procuratore <strong>della</strong> Repubblica di Marsala. Sciascia<br />
non ebbe mai né <strong>il</strong> tempo né l’occasione di ricredersi, ma sono sicuro che l’avrebbe fatto<br />
se avesse avuto notizie più precise e soprattutto se avesse conosciuto Paolo Borsellino, <strong>il</strong><br />
cui impegno antimafia era tutt’altro che carrieristico, in quanto profondamente maturato<br />
e basato su convinzioni estreme ed anche su un amore per la terra sic<strong>il</strong>iana.<br />
53
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
Nel 1986 fu costituito anche alla Procura di Catania <strong>il</strong> pool di magistrati per i reati<br />
in materia di criminalità organizzata, sulla scia di alcune indagini scaturite dalle rivelazioni<br />
dei primi collaboratori di giustizia. Io fui escluso, pur essendomi stata riconosciuta la<br />
professionalità richiesta, dalla prima costituzione e mi venne, invece, assegnata la materia<br />
inerente ai reati contro la pubblica amministrazione, che peraltro costituiva <strong>il</strong> tessuto<br />
portante dei miei precedenti studi universitari e postuniversitari. La mia delusione venne<br />
mitigata in parte dalle parole di un collega più anziano, molto autorevole cui ero legato<br />
da antica amicizia, in servizio nel Nord Italia, Franco Marzachì, poi divenuto segretario<br />
generale e presidente del Gruppo di M.I., che mi disse che non c’era poi tanta differenza<br />
tra reati di criminalità organizzata e reati contro la pubblica amministrazione, laddove la<br />
mafia avvolgeva tanta parte del malaffare, a voler cercare bene, si arrivava alla stessa testa<br />
del serpente, parole per certi versi premonitrici e veridiche, che ho sempre ricordato durante<br />
la mia carriera. Infatti, una prima verifica di questo principio la ricevetti l’anno<br />
successivo, allorché dovetti occuparmi di un’inchiesta sulla USL n. 35 di Catania che<br />
sfociò negli arresti di amministratori e dirigenti apicali e quindi in un dibattimento assai<br />
aspro, con un collegio di difesa molto agguerrito che si concluse con varie condanne, poi<br />
confermate in appello e in cassazione. Giovanni Falcone, che conosceva bene <strong>il</strong> procuratore<br />
capo dell’epoca, Giovanni Cellura, essendo stato a capo dell’Ufficio istruzione di<br />
Catania prima di essere nominato procuratore <strong>della</strong> Repubblica, saputo di questa inchiesta,<br />
si complimentò con me e già allora affermò come la sanità in Sic<strong>il</strong>ia fosse un settore<br />
fra i più inquinati per l’intreccio di interessi privati che soffocavano lo sv<strong>il</strong>uppo del servizio<br />
pubblico. Ripresi a dedicarmi alla materia <strong>della</strong> criminalità organizzata fin dalla costituzione<br />
<strong>della</strong> DDA catanese, alla fine del 1991, chiamato a farne parte dal nuovo<br />
procuratore capo, Gabriele Alicata.<br />
Ancora a Nicosia nel Marzo 1991, a poco più di un anno dai tragici fatti delle stragi,<br />
Giovanni Falcone tenne una memorab<strong>il</strong>e conferenza poi pubblicata postuma negli Atti<br />
dell’ISISC, col titolo “la criminalità organizzata in Sic<strong>il</strong>ia”, sullo stato dell’arte di cosa<br />
nostra, allorché parlò di cosa nostra come organismo unitario con ramificazioni anche<br />
all’estero, ritenendo superata la visione di cosa nostra come “confederazione di organizzazioni”,<br />
come l’aveva presentata Leonardo Sciascia sul Corriere <strong>della</strong> Sera nell’ultimo<br />
periodo <strong>della</strong> sua vita, cioè qualche anno prima, e soprattutto invitò a non considerare<br />
più <strong>il</strong> fenomeno mafioso come frutto di un’emergenza transitoria, ma come un dato<br />
strutturale <strong>della</strong> società e dell’economia. E sottolineò la differente struttura criminale fra<br />
zone come Palermo, dove la presenza di cosa nostra era totalizzante e altre zone <strong>della</strong> Sic<strong>il</strong>ia<br />
come Catania, Palma di Montechiaro, Licata, dove accanto a cosa nostra operavano<br />
altre frange <strong>della</strong> criminalità organizzata con le quali di volta in volta veniva in rapporto<br />
54
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
l’organizzazione di cosa nostra ora per allearsi ora per dominare. A margine di quella<br />
conferenza, ebbi l’occasione di parlargli più a lungo, e gli chiesi a che cosa stava lavorando<br />
avendolo visto intento a leggere incartamenti in lingua inglese. Mi rispose che stava studiando<br />
<strong>il</strong> sistema americano <strong>della</strong> protezione dei testimoni, in vista di un progetto di riforma<br />
<strong>della</strong> nostra legislazione cui era alle prese come direttore generale degli affari penali<br />
presso <strong>il</strong> Ministero <strong>della</strong> Giustizia, allora retto dall’on. Claudio Martelli e a cui erano<br />
preposti magistrati <strong>il</strong>lustri come Loris D’Ambrosio, Giannicola Sinisi, L<strong>il</strong>iana Ferraro,<br />
Eugenio Selvaggi, Livia Pomodoro. E rimarcò la serietà dell’approccio americano, coerente<br />
e rigoroso tanto nel tracciare le premesse circa l’opportunità di separare l’apparato<br />
<strong>della</strong> protezione da quello investigativo, quanto nel trarre le conseguenze logiche da questa<br />
separazione. Sappiamo tutti quale architettura normativa sia stata elaborata nel biennio<br />
aureo 1991-1992, sul fronte degli strumenti di contrasto alla criminalità organizzata e<br />
quale sia stato <strong>il</strong> ruolo, di propulsione e di direzione, di Giovanni Falcone in questa mirab<strong>il</strong>e<br />
opera di costruzione degli istituti fondamentali <strong>della</strong> legislazione antimafia che ancora<br />
tutto <strong>il</strong> mondo ci invidia. L’unica occasione in cui qualche anno prima avevo visto<br />
insieme, in un momento di serenità, Giovanni Falcone e Francesca Morv<strong>il</strong>lo, era stata a<br />
Taormina, al Convegno nazionale di Medicina Legale del 1988, mentre stavo relazionando<br />
al Gruppo dei tossicologi forensi, proprio loro due entrarono nella saletta e si andarono<br />
a sedere nelle ultime f<strong>il</strong>e, per ascoltarmi, naturalmente suscitando la mia emozione<br />
e incredulità, che stentai a trattenere.<br />
Questi ricordi affollavano la mia mente allorché fui designato, unitamente ad altro<br />
molto più giovane collega, a rappresentare l’accusa nel dibattimento di primo grado per<br />
la strage di Capaci. Ogni giorno dovevo dar fondo alla mia inventiva per cercare di contrastare,<br />
sul piano tecnico-giuridico, le contestazioni e le eccezioni difensive svolte da un<br />
manipolo agguerrito, ma sempre corretto, di avvocati del Foro di Palermo e di Caltanissetta,<br />
con l’apporto di tanto in tanto di nomi <strong>il</strong>lustri dell’avvocatura a livello nazionale.<br />
Allora vi era una corrente di pensiero secondo la quale i processi non potevano essere<br />
svolti a Caltanissetta ma altrove e doveva addirittura predisporsi una modifica legislativa<br />
per consentirne la celebrazione a Roma, venendo esclusa Palermo per l’ostacolo dell’art.<br />
11 c.p.p. Se fosse prevalsa questa corrente di pensiero, si sarebbe data un’immagine di<br />
emergenza <strong>della</strong> giustizia e le regole ordinarie sarebbero state derogate con la conseguenza<br />
che la loro validità sarebbe stata definitivamente compromessa. I fatti poi hanno dimostrato<br />
che, pur con tutte le limitazioni, gli uffici giudiziari di Caltanissetta sono stati all’altezza<br />
del compito immane che era ricaduto su di loro e su di noi, certamente grazie al<br />
contributo di tutti i magistrati, ufficiali di p.g., personale amministrativo che vi lavorava<br />
con eccezionale spirito di servizio. Ma ciò era stato possib<strong>il</strong>e non solo perché le risorse<br />
55
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
umane materiali erano state raccolte ed ut<strong>il</strong>izzate al meglio ma soprattutto per la tenace<br />
volontà politica di dare una risposta giudiziaria adeguata. Quando io e un altro collega<br />
fummo ricevuti dai Ministri dell’Interno Scotti e <strong>della</strong> Giustizia Martelli, all’indomani<br />
<strong>della</strong> strage di Capaci, a parte la commozione visib<strong>il</strong>e del Ministro Martelli, che mi colpì<br />
moltissimo perché testimoniava l’autentica amicizia intercorsa tra lui e Giovanni Falcone,<br />
i discorsi che sentimmo da questi due autorevoli rappresentanti del Governo erano del<br />
tipo che lo Stato veniva colpito al cuore e che era necessario riprendere l’azione di contrasto<br />
alla criminalità organizzata, così bene iniziata dallo stesso Giovanni Falcone, ora<br />
nella forma delle investigazioni più penetranti ristab<strong>il</strong>endone l’autorità sul versane processuale<br />
proprio in quel procedimento. Compito tutt’altro che fac<strong>il</strong>e e, visti i risultati<br />
con la conoscenza di oggi, si sarebbe potuto fare anche qualcosa di più, ma se ci si riporta<br />
alle condizioni di allora, bisogna riconoscere, senza false modestie e senza autocelebrazioni,<br />
che tutte le componenti chiamate ad operare sulle stragi ebbero a dare un contributo<br />
eccezionale, tanto sul piano delle indagini quanto su quello del dibattimento e che<br />
le aspettative dell’opinione pubblica e <strong>della</strong> stessa classe politica furono realizzate. L’Arma<br />
dei Carabinieri consentì di distaccare due sottufficiali particolarmente esperti nell’informatica<br />
e grazie a loro ci fu possib<strong>il</strong>e l’uso di un programma informatico grazie al quale<br />
si potevano consultare immediatamente tutti i verbali e si potè elaborare la presentazione<br />
multimediale dell’esposizione introduttiva che, nonostante la fiera opposizione del collegio<br />
difensivo, fu ammessa dalla Corte di assise. Mentre la polizia di stato, che aveva<br />
avuto <strong>il</strong> maggior lutto per la morte di ben otto tra ispettori e agenti <strong>della</strong> tutela, e precisamente<br />
gli agenti trucidati con Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli,<br />
Claudio Traina, Emanuela Loi ed Eddie Walter Cusina, ed ancora Antonio Montinaro,<br />
Rocco Di C<strong>il</strong>lo, Vito Schifani, gli agenti in servizio con Giovanni Falcone, costituì <strong>il</strong> c.d.<br />
Gruppo Investigativo Falcone Borsellino.<br />
C’era un clima di coesione non solo all’interno <strong>della</strong> Procura, ma fra tutti gli apparati<br />
dello Stato investiti di vari compiti nei procedimenti di indagini sulle stragi. Uno dei<br />
momenti più gratificanti fu quando <strong>il</strong> Presidente <strong>della</strong> Repubblica on. Oscar Luigi Scalfaro<br />
volle conoscerci, e fummo ricevuti in un’udienza privata, nel Novembre del 1993,<br />
subito dopo l’esecuzione dell’ordinanza applicativa <strong>della</strong> misura cautelare che aveva raggiunto<br />
esecutori e mandanti interni a cosa nostra, fummo introdotti dall’allora Capo<br />
<strong>della</strong> polizia Prefetto Vincenzo Parisi, in testa <strong>il</strong> procuratore capo Gianni Tinebra e tutti<br />
noi magistrati del pool nisseno. L’on. Scalfaro ebbe parole di grande considerazione che<br />
riconoscevano <strong>il</strong> lavoro e la dedizione di tutti noi, lavoro che aveva dato frutti in qualche<br />
misura insperati.<br />
Paolo Borsellino non aveva potuto partecipare a quel Convegno di Nicosia, sopra-<br />
56
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
menzionato, mentre sempre nel 1991, mi pare in autunno, a Torino, in un Convegno<br />
organizzato da Magistratura Indipendente, svolse una bellissima relazione sulla Direzione<br />
Nazionale Antimafia vedendone i lati altamente positivi nella raccolta e smistamento<br />
delle informazioni e nel coordinamento investigativo, concepiti come strumenti di rafforzamento<br />
<strong>della</strong> lotta contro la criminalità organizzata. Per la prima volta, sentendo<br />
Paolo Borsellino, iniziai a riflettere e a valutare in maniera più favorevole e meno prevenuta<br />
verso una struttura giudiziaria che, come la maggior parte dei colleghi, non mi convinceva<br />
per nulla, perché del resto, la stessa Associazione Nazionale Magistrati aveva dato<br />
un giudizio fortemente negativo del d.d.l. sulla sua istituzione, poi trasformato in decreto<br />
legge, e vista come primo passo per portare <strong>il</strong> p.m. alle dipendenze dell’Esecutivo. <strong>Il</strong> prestigio<br />
e la competenza in questioni di antimafia che circondavano Paolo Borsellino erano<br />
tali da suscitare più di un dubbio fondato sulle posizioni pur argomentate dell’A.N.M.,<br />
Paolo Borsellino poi era inserito nel circuito dell’Associazione Magistrati e del Gruppo<br />
di Magistratura Indipendente, avendone ricoperto rispettivamente le cariche di Presidente<br />
<strong>della</strong> Giunta Distrettuale di Palermo e di Presidente del Consiglio Nazionale, ma non<br />
era mai stato un uomo di parte, le sue azioni e le sue dichiarazioni rivelavano <strong>il</strong> possesso<br />
di un cultura associativa che gli consentiva di avere ottimi rapporti con i colleghi di qualsiasi<br />
matrice ideale e schieramento correntizio e, soprattutto, di elaborare tesi originali e<br />
condivisib<strong>il</strong>i grazie al suo carisma. Anche per questo motivo, la sua relazione ebbe un<br />
impatto notevole su molti di noi, contribuendo in maniera determinante a suscitare decisivi<br />
cambiamenti di opinione e di valutazione.<br />
D’altra parte, Paolo Borsellino, uomo delle istituzioni, magistrato antimafia, oltreché<br />
credente e praticante, padre e marito esemplare, ma anche –come si è accennato- uomo<br />
impegnato nell’Associazione magistrati, aveva presieduto l’infuocata Assemblea di magistrati<br />
all’indomani del tragico attentato a Rosario Livatino, nel Settembre del 1990, dopo<br />
aver voluto verificare sui luoghi lo straziante destino di questo collega. Quel fatto aveva<br />
riaperto drammaticamente la stagione delle morti eccellenti, riproponendo ancora una<br />
volta <strong>il</strong> problema <strong>della</strong> protezione dei magistrati di fronte agli attacchi criminali ed aveva<br />
creato un acceso dibattito sui c.d. “giudici ragazzini”, giovanissime matricole <strong>della</strong> magistratura<br />
spesso gettate allo sbaraglio in zone di frontiera ad alta densità mafiosa, ma<br />
non per questo meno affidab<strong>il</strong>i e meno preparati rispetto ai colleghi di maggiore esperienza<br />
ai quali spesso si rapportavano. Si saprà molti anni dopo che <strong>il</strong> gruppo dei k<strong>il</strong>ler<br />
spietati che aveva spento per sempre la vita di Livatino, proprio tramite questo delitto<br />
voleva determinare una sorta di scalata ai vertici criminali di cosa nostra. Paolo Borsellino<br />
rimarrà legato al territorio e alle dinamiche <strong>della</strong> criminalità organizzata nell’agrigentino,<br />
oltreché del trapanese, per distribuzione interna degli incarichi <strong>della</strong> Procura <strong>della</strong> Re-<br />
57
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
pubblica di Palermo dove era approdato come procuratore aggiunto dopo l’esperienza<br />
di procuratore <strong>della</strong> Repubblica di Marsala. Ricordo, in particolare, gli inizi dell’interrogatorio<br />
del collaboratore di giustizia Leonardo Messina allorché Paolo –come del resto<br />
risulta dal relativo verbale- chiedeva notizie dei gruppi criminali operanti ad Agrigento,<br />
con varie denominazioni come “stiddari”, “Cudi chiatti”. Ed anche <strong>il</strong> giudizio positivo<br />
che diede di questo nuovo collaboratore, uomo di onore originario di San Cataldo, giudizio<br />
che aprì le porte ad una penetrante quanto vasta indagine sugli assetti <strong>della</strong> criminalità<br />
organizzata <strong>della</strong> Sic<strong>il</strong>ia centro-meridionale, mai prima di allora nemmeno<br />
ipotizzata.<br />
<strong>Il</strong> rapporto con l’Associazione Magistrati e con M.I., <strong>il</strong> rapporto con le dinamiche<br />
<strong>della</strong> criminalità agrigentina e trapanese, <strong>il</strong> rapporto con i pentiti sono tre aspetti peculiari<br />
<strong>della</strong> personalità e <strong>della</strong> vita di Paolo Borsellino, del magistrato e dell’uomo e costituiscono<br />
un imprescindib<strong>il</strong>e patrimonio ideale e culturale che Paolo ci ha lasciato. Per me,<br />
come del resto per tanti altri colleghi, la sua presenza in M.I., con quelle caratteristiche<br />
di servizio, apoliticità, impegno professionale, partecipazione non partigiana alla vita associativa,<br />
era un’autentica garanzia che si poteva appartenere al Gruppo senza timore di<br />
trovarsi da una parte sbagliata. A Napoli, nei primi mesi del 1992, mi prese a braccetto<br />
e facemmo una lunga passeggiata nei pressi del Lungomare, a margine di un Convegno<br />
di M.I., e com’era solito fare, grazie ad una grande comunicativa e ad un alone di simpatia<br />
che lo caratterizzava, entrò subito in particolari personali, mettendomi a parte <strong>della</strong> sua<br />
amarezza per essere stato relegato ad occuparsi di Agrigento e Trapani, ma nello stesso<br />
tempo non c’era nelle sue parole nemmeno un’ombra di recriminazione, infatti mi disse<br />
“se hanno bisogno di me per Palermo, mi chiameranno”, con uno sfogo misurato e nello<br />
stesso tempo rispettoso delle dinamiche dell’istituzione in cui operava, per cui prevaleva<br />
in lui <strong>il</strong> senso dello Stato sulle rivendicazioni personali, egli era assolutamente refrattario<br />
a polemiche strumentali o retoriche. Poi, come si sa, sarebbe stato assegnato a sovraintendere<br />
la criminalità di Palermo proprio la mattina del 19 Luglio 1992, giorno dell’eccidio.<br />
Si potrebbe dire senza minimamente tradire <strong>il</strong> significato <strong>della</strong> sua azione e <strong>della</strong><br />
sua eredità spirituale, che la moderazione dei tratti in lui si accompagnava al rigore <strong>della</strong><br />
sostanza e alla cristallinità delle idee che lo animavano.<br />
Paolo Borsellino era un collega autorevole ed anche un amico, e la sua indimenticab<strong>il</strong>e<br />
risata accompagnata dalla inflessione dialettale con quella tonalità garbatamente e oserei<br />
dire financo gradevolmente palermitana, lo rendevano una persona amab<strong>il</strong>e. Alla fine<br />
degli anni Ottanta, occupandomi di un procedimento di indagine sull’appalto per <strong>il</strong> rifacimento<br />
del manto erboso dello Stadio Cibali di Catania, gli telefonai per avere <strong>il</strong> nominativo<br />
di un consulente tecnico che fosse distante dal circuito catanese, nominativo<br />
58
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
che mi diede subito, che io nominai e che poi espletò l’incarico con mia grande soddisfazione.<br />
Ma non avrei mai immaginato che <strong>il</strong> caso, alcuni anni dopo, mi avrebbe portato alla<br />
Procura <strong>della</strong> Repubblica di Caltanissetta, dopo la strage di Capaci, e che mi avrebbe riservato<br />
<strong>il</strong> penoso quanto ingrato compito di procedere all’ispezione cadaverica del corpo<br />
straziato di Paolo e di dover redigere, non so con quanta lucidità, <strong>il</strong> relativo verbale, assieme<br />
al procuratore capo Gianni Tinebra. Si è detto e scritto, benevolmente, che Paolo<br />
Borsellino non fece in tempo di essere sentito dai magistrati di Caltanissetta, mentre la<br />
versione più malevola è che Paolo non venne mai citato dai magistrati di Caltanissetta.<br />
La mia sensazione è che Paolo Borsellino avesse stima di noi colleghi –come dire- nuovi,<br />
nel panorama antimafia nazionale, e chiamati ad operare a Caltanissetta, ma che ci considerava,<br />
giustamente devo riconoscere, privi del necessario bagaglio di conoscenze sulla<br />
criminalità organizzata e sulle istituzioni di Palermo, al punto che probab<strong>il</strong>mente egli<br />
stesso aveva difficoltà ad iniziare a riferirci elementi da lui ritenuti importanti sui prodromi<br />
<strong>della</strong> strage di Capaci e che per questo probab<strong>il</strong>mente aspettava <strong>il</strong> momento più<br />
adatto, purtroppo bruciato dalla tragica fine. Quello che pochi hanno presente è che a<br />
Caltanissetta, a partire dalla metà di Giugno del 1992 si ebbe un turbinìo di attività senza<br />
precedenti, prima l’indagine sulla strage di Capaci, poi <strong>il</strong> pentimento di Leonardo Messina,<br />
quindi l’indagine sulla strage di Via D’Amelio, una quantità di fatti che avrebbe<br />
messo in difficoltà qualunque ufficio attrezzato, e che a Caltanissetta rischiava di paralizzare<br />
la Procura, <strong>il</strong> cui organico di base era di soli tre sostituti oltre al Capo. Ma per<br />
una serie di fattori positivi, legati da un entusiasmo senza precedenti che aveva contagiato<br />
tutti gli addetti all’Ufficio <strong>della</strong> Procura, i risultati vennero e sono davanti agli occhi di<br />
tutti.<br />
Paolo Borsellino, dopo la strage di Capaci esternò in varie occasioni, in una di queste<br />
disse la celebre frase: «la lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale<br />
che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong> che si oppone al puzzo<br />
del compromesso morale, dell’indifferenza, <strong>della</strong> contiguità e quindi <strong>della</strong> complicità».<br />
Una frase che sintetizza un pensiero, un’epoca, <strong>il</strong> senso di un impegno che ci riguarda<br />
tutti, magistrati e non, cittadini del nostro Paese. La <strong>libertà</strong> come strumento di dignità<br />
<strong>della</strong> persona e dell’esistenza, come vero antidoto alla mafia, alle mafie per far trionfare<br />
la cultura <strong>della</strong> legalità, dove la <strong>libertà</strong> può nascere e sv<strong>il</strong>upparsi integralmente. Dopo la<br />
strage di Via D’Amelio, venne nominato procuratore <strong>della</strong> Repubblica a Palermo Gian<br />
Carlo Caselli, all’insegna di una marcata discontinuità nella gestione di quell’ufficio. Fui<br />
favorevole a questa nomina, pur non conoscendo se non di fama Gian Carlo Caselli, perché<br />
dopo quelle stragi, occorreva sperimentare sul campo una personalità di quel tipo,<br />
59
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
un uomo non legato al territorio isolano, e fuori dai palazzi di giustizia sic<strong>il</strong>iani, che aveva<br />
messo in gioco se stesso chiedendo di andare da volontario in partibus infidelium. Questa<br />
era una condizione ideale, per consentire lo sprigionarsi di nuove energie in un ufficio<br />
non fac<strong>il</strong>e e traumatizzato, per offrire nuova linfa all’azione investigativa e di contrasto<br />
alla criminalità organizzata, obiettivo che si è realizzato puntualmente con l’arresto di<br />
molti latitanti, con centinaia di mafiosi condannati a pene significative, con l’incremento<br />
di indagini serrate sul fronte delle relazioni esterne di cosa nostra nella politica, nelle istituzioni,<br />
nell’economia. L’esito assolutorio di alcuni processi non smentisce, ma avvalora<br />
a voler leggere attentamente le motivazioni dei verdetti, la necessità di avviare le relative<br />
indagini.<br />
<strong>Il</strong> rapporto con i pentiti è stato altrettanto importante per Paolo Borsellino, la sua<br />
scrivania di procuratore aggiunto a Palermo che noi dovemmo esaminare la stessa sera<br />
<strong>della</strong> strage, per ragioni investigative, era colma di fascicoli riguardanti pentiti e questo<br />
dato, che in sé potrebbe sembrare scontato se visto dall’angolatura di oggi, dimostra se<br />
rapportato al contesto di allora, che Paolo Borsellino aveva l’obiettivo principale di incrementare<br />
l’apparato conoscitivo <strong>della</strong> criminalità organizzata per meglio combatterla,<br />
in un momento fra <strong>il</strong> 1991 e <strong>il</strong> 1992 in cui si registravano scarsità di informazioni e nello<br />
stesso tempo l’acme <strong>della</strong> strategia di attacco allo stato da parte di cosa nostra. <strong>Il</strong> pentito<br />
Calcara in un’occasione ebbe a rivelarmi che sentiva un grande sollievo umano quando<br />
lo andava a trovare Paolo Borsellino, anche soltanto per un saluto. D’altra parte <strong>il</strong> rapporto<br />
con i collaboratori di giustizia lega particolarmente Giovanni Falcone e Paolo Borsellino,<br />
al di là degli altri elementi di contatto. Conservo come una reliquia <strong>il</strong> verbale di<br />
dichiarazioni di Tommaso Buscetta rese all’allora giudice istruttore Falcone, un verbale<br />
che andrebbe studiato nelle facoltà di giurisprudenza, per la linearità <strong>della</strong> verbalizzazione,<br />
senza mai una sbavatura o un aggettivo mal posto, con una continuità di proposizioni,<br />
con una vorrei dire musicalità dei periodi, chiarezza e precisione dei dettagli, senza mai<br />
alcuna caduta in fatti meno che r<strong>il</strong>evanti, con una tensione <strong>della</strong> rappresentazione assolutamente<br />
alta e costante. E ancora, sono presenti soltanto tre attori, <strong>il</strong> giudice istruttore,<br />
<strong>il</strong> pubblico ministero e <strong>il</strong> pentito, non c’è un assistente, non un ufficiale di p.g., quasi a<br />
voler sottolineare la sacralità del segreto investigativo protetto dalla presenza del minimo<br />
indispensab<strong>il</strong>e di ascoltatori, e <strong>il</strong> verbale procede e si snoda cronologicamente per giorni<br />
e giorni, a simboleggiare la tempestività e la concentrazione dell’intervento, in uno alla<br />
completezza dell’ascolto. Come pure andrebbe studiato <strong>il</strong> contenuto del rapporto, quello<br />
che un altro grande magistrato e degno continuatore dell’opera di Giovanni Falcone e<br />
Paolo Borsellino, Pier Luigi Vigna, divenuto poi Procuratore Nazionale Antimafia, ebbe<br />
una volta a definire come laico e non intimistico, per rimarcare appunto l’approccio del<br />
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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
magistrato inquirente al collaboratore. <strong>Il</strong> pentito catanese Antonino Calderone, che credo<br />
sia stato tra i più sinceri in assoluto e <strong>il</strong> cui pentimento è stato contrassegnato da un processo<br />
di revisione morale <strong>della</strong> propria vita, ebbe una volta a chiarirmi <strong>il</strong> senso di questo<br />
rapporto quando mi disse che Giovanni Falcone lo interrogava in maniera, non solo corretta,<br />
ma soprattutto penetrante, perché “voleva capire”. In questa immagine che potremmo<br />
definire socratica, è racchiusa la chiave interpretativa del rapporto che tanto<br />
Giovanni Falcone quanto Paolo Borsellino hanno istituito con i pentiti e che noi oggi<br />
dobbiamo mettere al centro <strong>della</strong> nostra professione di magistrati inquirenti. Le immagini<br />
raccapriccianti <strong>della</strong> strage di via D’Amelio sono ancora un ricordo vivido, e soprattutto<br />
lo Stato ridotto in ginocchio da queste azioni criminali ed eversive e, come contraltare,<br />
l’aspettativa generalizzata di giustizia dell’opinione pubblica e le difficoltà di fare luce<br />
sulle stragi, sono i cardini attorno a cui è fissata la mia memoria sulle figure di questi<br />
dioscuri sorridenti, come li ritrae una celebre fotografia che campeggia in molti dei nostri<br />
uffici, quasi ad ammonire che la perdita <strong>della</strong> vita in modo così crudele e lo strappo prematuro<br />
ai loro affetti, recede di fronte a quell’icona positiva e ad una testimonianza ricca<br />
e indeleb<strong>il</strong>e, che prepotentemente si proietta come un raggio di sole nel futuro, un vero<br />
e proprio viatico e una speranza di riscatto che tuttora guida l’azione antimafia.<br />
Francesco Paolo Giordano<br />
Procuratore di Caltagirone<br />
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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
Un esempio per le generazioni del futuro<br />
L’ultima volta che ho visto Paolo Borsellino è stata alla Procura di Palermo. Ero andato<br />
a salutarlo e l’ho trovato impegnato davanti ad una macchina fotocopiatrice mentre faceva<br />
delle copie di atti da consegnare ad un collega: non dimenticherò mai più quella sua immagine<br />
che per me testimonia la sua figura di grande magistrato. Un capo, un Procuratore<br />
aggiunto, che si metteva a servizio dei suoi sostituti.<br />
Paolo era un uomo apparentemente triste, di poche parole ma di grande disponib<strong>il</strong>ità<br />
che credeva molto nell’importanza del suo lavoro e nella necessità di fare sistema, di creare<br />
una squadra coesa per affrontare le situazioni più diffic<strong>il</strong>i.<br />
La sua vita professionale ha profondamente inciso su quella di molti altri magistrati<br />
ed anche sulla mia. Sono entrato in magistratura nel 1981 e fui subito destinato all’Ufficio<br />
Istruzione del tribunale di Lecco. A quell’epoca non era possib<strong>il</strong>e destinare<br />
gli uditori alle funzioni di giudice istruttore ma <strong>il</strong> Presidente del Tribunale aveva chiesto<br />
una deroga al Consiglio e così io mi ritrovai a gestire, senza grande esperienza, cinque<br />
sequestri di persona, alcuni posti in essere da clan di sic<strong>il</strong>iani mandati in soggiorno obbligato<br />
in Brianza. Lo incontrai per la prima volta ad un corso di formazione. Era<br />
l’epoca in cui Rocco Chinnici aveva appena costituito un pool di giudici per le indagini<br />
sulla mafia, chiamandovi sia Falcone che Borsellino. Gli chiesi consiglio e lui mi disse,<br />
con grande disponib<strong>il</strong>ità, che i giudici non potevano più lavorare come monadi isolate<br />
e che per fronteggiare la criminalità organizzata era necessario che imparassero a lavorare<br />
insieme e fare sistema. Dovevano scambiarsi gli atti, individuare strategie condivise<br />
ed acquisire elementi di prova attraverso l’incrocio dei dati. Oggi sembra una cosa<br />
scontata, ma all’epoca era una tecnica rivoluzionaria, incomprensib<strong>il</strong>e per <strong>il</strong> sistema<br />
giudiziario di allora che era basato su una concezione atomistica dei reati e in cui solo<br />
nel 1982 era stato introdotto <strong>il</strong> delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso.<br />
Cercai di mettere subito in pratica i suoi consigli ed avviai subito contatti coi colleghi<br />
che avevano indagini sulle persone coinvolte nei processi di Lecco, con risultati sorprendenti.<br />
Dopo qualche anno, all’esito del maxiprocesso di Palermo, Borsellino era andato a<br />
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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
fare <strong>il</strong> Procuratore a Marsala. Stava per entrare in vigore <strong>il</strong> nuovo codice di procedura penale<br />
del 1989, che rappresentava una vera e propria rivoluzione culturale per la magistratura.<br />
Anch’io avevo scelto di fare <strong>il</strong> PM ed ero andato in Campania dopo l’attentato<br />
<strong>della</strong> camorra al Procuratore Gagliardi, con <strong>il</strong> quale avevo fatto una parte del tirocinio e<br />
che mi aveva voluto al suo fianco. Era veramente diffic<strong>il</strong>e creare un nuovo modello di<br />
organizzazione delle indagini in funzione delle prove che si sarebbero dovute formare<br />
solo in dibattimento. Ricordo <strong>il</strong> senso di frustrazione di chi con tanta fatica raccoglieva<br />
testimonianze o persino confessioni che, poi, puntualmente, venivano ritrattate in dibattimento.<br />
Ebbi modo di rivedere Paolo, questa volta ad un convegno, e gli manifestai<br />
<strong>il</strong> mio scoraggiamento di fronte a un sistema che all’epoca mi sembrava inadeguato a<br />
fronteggiare la criminalità organizzata. Lui mi rispose, con la sua proverbiale fierezza, facendomi<br />
notare che l’esito dei processi doveva valutarsi complessivamente e che <strong>il</strong> codice<br />
offriva agli inquirenti tante nuove opportunità di prove tecniche e scientifiche che potevano<br />
sostituire o rafforzare le tradizionali prove dichiarative e che le nuove indagini dovevano<br />
essere supportate da un nuovo modello di professionalità degli inquirenti e da un<br />
legame più stretto con la Polizia Giudiziaria. Ancora una volta aveva visto giusto. Stava<br />
per cominciare una nuova stagione <strong>della</strong> lotta alla Mafia in cui la specializzazione e la effettiva<br />
direzione delle indagini consentì un grande salto di qualità.<br />
Gli incontri con Paolo erano propiziati anche dal comune impegno associativo.<br />
All’epoca lui era Presidente del Consiglio Nazionale di Magistratura Indipendente e proprio<br />
Lui mi ha insegnato, soprattutto con <strong>il</strong> suo esempio, <strong>il</strong> valore dell’associazione come<br />
supporto culturale e professionale. Rifuggiva dal carrierismo e dal corporativismo. Ricordo<br />
quante volte gli chiedemmo di candidarsi al Consiglio Superiore <strong>della</strong> Magistratura<br />
o di assumere la guida del Gruppo di Magistratura Indipendente. Ma lui era troppo<br />
schivo e consapevole dell’importanza del suo lavoro “in trincea” per poter anche soltanto<br />
immaginare di accettare. Era profondamente innamorato del suo lavoro ed era convinto<br />
che l’impegno quotidiano e l’esempio fossero la migliore testimonianza per la crescita<br />
<strong>della</strong> magistratura associata.<br />
Questo è stato per me Paolo Borsellino: Un profeta. Una persona che ha sempre visto<br />
più lontano degli altri, anche quando ha capito che <strong>il</strong> suo lavoro lo avrebbe condotto<br />
alla morte. Una guida per tutti quelli che lo hanno conosciuto. Era impossib<strong>il</strong>e non rimanere<br />
affascinati dalla sua figura ed era diffic<strong>il</strong>e non rimanere avvinti dal suo carisma.<br />
Quando, in quell’ormai lontano 19 luglio 1992, la mano crudele <strong>della</strong> Mafia ce lo ha<br />
portato via, tutti provammo un dolore immenso. Fu un colpo durissimo. Ci fu un momento<br />
di sbandamento. Ricordo le parole di Caponnetto “Tutto è finito”. Ma non è<br />
stato così. <strong>Il</strong> suo esempio e la sua testimonianza sono state più forti <strong>della</strong> sua morte. <strong>Il</strong><br />
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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
suo insegnamento è vissuto in noi e ci continua a dare stimoli ed energia.<br />
Ho capito l’importanza <strong>della</strong> sua figura non solo per noi, suoi discepoli, ma addirittura<br />
per i suoi avversari quando qualche anno dopo la sua morte, con le nuove norme antimafia<br />
e quale componente <strong>della</strong> Procura Nazionale Antimafia, ebbi modo di interrogare<br />
un importante collaboratore di giustizia <strong>della</strong> camorra. Gli chiedevo spiegazioni sulla<br />
strategia di inquinamento delle istituzioni posta in essere nella metà degli anni novanta<br />
dalla criminalità organizzata e lui mi rispose che dopo la stagione delle stragi avevano capito<br />
che un magistrato come Borsellino per la Mafia era più pericoloso da morto che da<br />
vivo.<br />
E’ proprio così, Borsellino è diventato un simbolo, una guida non solo per la magistratura,<br />
anche dopo la morte.<br />
La sua vita, <strong>il</strong> suo lavoro, <strong>il</strong> suo esempio costituiscono per tutti noi un prezioso punto<br />
di riferimento. Uno stimolo a migliorare continuamente la nostra azione. Se tanti successi<br />
sono stati conseguiti nella lotta alla Mafia <strong>il</strong> merito è anche suo. Se è iniziata una nuova<br />
stagione nel contrasto al patrimonio delle organizzazioni criminali, se sono stati introdotti<br />
nuovi strumenti quali la confisca per sproporzione o quella per equivalente, ciò è dovuto<br />
anche ai suoi insegnamenti. Se <strong>il</strong> nostro modo di lavorare in gruppo si è evoluto, se abbiamo<br />
accettato un novo sistema di coordinamento all’interno ed all’esterno delle Procure<br />
questo è <strong>il</strong> frutto del suo sacrificio.<br />
Eugène Ionesco ha scritto che “pensare in modo contrario alla propria epoca è eroismo”.<br />
Anche in questo senso Paolo Borsellino è stato un eroe: lui ha parlato per le generazioni<br />
future.<br />
Sta a noi raccogliere <strong>il</strong> vero significato <strong>della</strong> sua testimonianza di vita.<br />
Antonio Laudati<br />
Procuratore di Bari<br />
65
Falcone, Borsellino e i loro imitatori<br />
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
Sono trascorsi diciotto anni da quando Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ci hanno<br />
lasciati. Ma per chi – come me – ha avuto la fortuna di conoscerli e di lavorare, sia pure<br />
occasionalmente, con loro, sembra ancora ieri. Tanto vivido e denso di significati è <strong>il</strong> loro<br />
ricordo; e tanto presente <strong>il</strong> loro insegnamento ed attuali i messaggi. Anche se – a mio parere<br />
– si tratta di insegnamenti e messaggi che spesso vengono travisati e strumentalizzati;<br />
anzi, più esattamente, travisati per essere strumentalizzati. Anche all’interno <strong>della</strong> magistratura,<br />
Falcone e Borsellino hanno trovato e trovano (specie negli ultimi tempi) degli<br />
imitatori; ma sovente, tra loro e gli imitatori, corre la stessa differenza che esisteva tra Picasso<br />
e i picassiani. Ed è per questo che non di rado, quando sento accostare, in questi<br />
ultimissimi anni, da certa pubblicistica o in interessati discorsi, al loro nome certi altri<br />
nomi, provo un moto di ribellione e penso che anche Giovanni e Paolo dovrebbero rivoltarsi<br />
nella tomba.<br />
Spesso mi sono domandato e mi domando che cosa ci è rimasto, che cosa mi è rimasto<br />
del loro esempio e del loro insegnamento.<br />
Primo. Non arrendersi mai, non rassegnarsi mai, non desistere mai. Continuare a<br />
“lottare”. Ma “lottare” nel modo che si conviene ad un magistrato che paradossalmente,<br />
per sua natura, non “lotta” e non “combatte” e non può (e non deve) né lottare né combattere:<br />
perché <strong>il</strong> compito del magistrato non è quello di dichiarare guerre e battaglie<br />
(neppure ai fenomeni criminosi) ma quello di giudicare su singoli fatti e singoli esseri<br />
umani, ricercando ed accertando, sul piano del fatto, la verità (sostanziale) ed accettando,<br />
sul piano del diritto, la soggezione alla legge (sia sostanziale sia processuale). <strong>Il</strong> che significa<br />
ricercare ed accertare la verità dei fatti storici rispettando, in totale um<strong>il</strong>tà, le regole,<br />
i limiti e le forme. E con <strong>il</strong> dovuto rispetto delle istituzioni, che implica saper in ogni<br />
momento, in ogni occasione, in ogni circostanza, distinguere tra l’istituzione (e, quindi,<br />
la funzione) e la persona che la incarna. Come è noto agli uomini <strong>della</strong> mia generazione,<br />
entrambi non si sottrassero al dovere civ<strong>il</strong>e di “testimonianza” ed ebbero a manifestare,<br />
in molteplici occasioni, verità sgradevoli e non gradite a molti, dicendo sempre, onestamente<br />
e senza infingimenti, quel che pensavano, ma sempre stando attenti anche a pen-<br />
67
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
sare a quel che andavano dicendo. In modo da assicurare sempre <strong>il</strong> massimo rispetto per<br />
le istituzioni e la dignità umana delle persone (di chiunque si trattasse) e da non compromettere<br />
mai, di fronte a nessuno, l’immagine di obbiettività ed imparzialità che costituisce<br />
l’essenza <strong>della</strong> funzione giurisdizionale, da chiunque sia svolta, giudici o pubblici<br />
ministeri. Mai nessuno ha potuto accusarli di faziosità e men che mai di faziosità politica<br />
(anche se ovviamente, ciascuno dei due aveva le proprie idee: che, tra l’altro, erano tutt’altro<br />
che coincidenti). Questione di st<strong>il</strong>e, questione di classe: ma in magistrato classe e<br />
st<strong>il</strong>e fanno parte <strong>della</strong> “sostanza”.<br />
Secondo. Non arrendersi, non rassegnarsi, non desistere significa saper attendere,<br />
saper “scavare”, saper “farsi canna” di fronte all’infuriare degli elementi. E soprattutto<br />
non aver paura o, meglio, saper vincere la paura. Conservare la calma, non perdere la<br />
fede. Scriveva Giovanni Falcone in “Cose di cosa nostra” che anche Cosa nostra era una<br />
creazione di esseri umani e, in quanto tale, non solo non invincib<strong>il</strong>e ma destinata ad<br />
essere prima o dopo debellata. C’era, in questa profonda convinzione, l’antidoto contro<br />
la paura, la coscienza che non solo noi siamo esseri umani (e quindi con tutti i limiti<br />
insiti nella nostra natura) ma anche gli altri, i criminali, i mafiosi, i terrroristi, i “nemici”<br />
insomma. E che quindi si trattava di una “partita” (quella contro <strong>il</strong> crimine) che si può<br />
vincere, che si deve vincere. Magari anche con la morte: perché la morte, se uccide <strong>il</strong><br />
corpo, non distrugge lo spirito e non elimina i valori che si trasmettono sol che vi sia chi<br />
abbia la disponib<strong>il</strong>ità di raccoglierli e di ascoltare le voci che gli uomini “eletti” ci hanno<br />
lasciato e ci lasciano in eredità. Personalmente non ho dubbi che l’uccisione di Falcone<br />
e Borsellino abbia rappresentato, per le organizzazioni mafiose, un autogol: perché hanno<br />
ridestato tante coscienze, hanno fortificato tanti deboli, hanno regalato forza e coraggio<br />
a tanti pavidi ed incerti, hanno restiuito certezze a chi si nutriva di dubbi.<br />
Terzo. La lealtà. Lealtà con tutti e verso tutti. Con le istituzioni, con i colleghi, con i<br />
difensori, con i propri collaboratori. Ed anche con gli indagati o imputati. <strong>Il</strong> sommo<br />
principio (“pacta sunt servanda”) che regola o dovrebbe regolare i rapporti tra gli Stati, <strong>il</strong><br />
magistrato lo deve praticare quotidianamente nei rapporti con tutte le persone con cui<br />
viene a contatto. Ovviamente, <strong>il</strong> magistrato sa quali patti può stringere e quali no. E ben<br />
si guarderà dallo stringere patti <strong>il</strong>leciti o dal promettere cose che non può promettere (sia<br />
perché dipendono da altri sia perché si tratta di promesse non consentite). Ma i patti (leciti)<br />
che si stringono, da uomo a uomo, vanno rispettati. Avendo conosciuto bene Paolo<br />
Borsellino, non ho avuto pertanto nessuna difficoltà a credere a quanto mi è stato riferito<br />
da un collega che lo aveva frequentato nel periodo immediatamente successivo alla morte<br />
di Giovanni Falcone e cioè che Paolo non avesse dato la sua disponib<strong>il</strong>ità per la nomina<br />
a Procuratore nazionale antimafia (chi – dopo la morte di Giovanni Falcone – avrebbe<br />
68
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
potuto contendergli <strong>il</strong> posto?) per mantenere la parola data ad un “pentito”, che avrebbe<br />
continuato a seguire personalmente <strong>il</strong> “suo” processo.<br />
Quarto. La lealtà verso se stessi. E cioè la coerenza. <strong>Il</strong> tener fede ai “principi” anche<br />
quando ciò può comportare gravissimi costi personali, specie di incomprensione e critica<br />
nell’ambito del proprio ambiente. Coerenza nei principi non significa ottusa e irragionevole<br />
testardaggine e pervicacia nel voler a tutti i costi far prevalere le proprie opinioni<br />
ed i propri convincimenti, ma significa continuare a perseguire gli ideali nel cambiamento<br />
dei tempi e nella mutevolezza delle situazioni. Chi non ricorda le incomprensioni e le<br />
critiche cui Giovanni andò incontro quando accettò di andare al Ministero <strong>della</strong> Giustizia<br />
dove venne chiamato da Claudio Martelli? Eppure anche lì, in altra forma, in altre vesti,<br />
con altri strumenti Falcone continuò l’opera che da tanti anni aveva svolto come magistrato.<br />
E sempre in omaggio agli stessi principi, agli stessi valori. Personalmente non ho<br />
mancato di dire che – a mio personale avviso – uno dei migliori ministri <strong>della</strong> Giustizia<br />
negli ultimi venti anni è stato proprio Claudio Martelli: e lo fu perché chiamò al Ministero<br />
Giovanni Falcone e si lasciò da lui guidare, tanto che <strong>il</strong> famoso decreto-legge Martelli-Scotti<br />
dell’8 giugno 1992, quello che permise di ridare al processo penale uno slancio<br />
nuovo che pareva perso dopo i primi tre anni di vigore del nuovo codice di procedura<br />
penale, è meglio noto – agli addetti ai lavori- come decreto-legge Falcone. Perché ne era<br />
stato Giovanni Falcone l’anima e l’artefice; e perché fu <strong>il</strong> suo barbaro assassinio a determinarne<br />
l’immediata emanazione e la successiva (e sia pure non senza modifiche peggiorative)<br />
approvazione.<br />
Molte altre cose potrei dire sul piano dei ricordi personali, dei discorsi, delle conversazioni,<br />
delle confidenze. Ma in questa occasione ritengo opportuno fermarmi qui, a<br />
quella che per me è stata l’essenza <strong>della</strong> loro eredità, di una eredità donata e offerta a<br />
tutti. Sta a noi accettarla.<br />
Marcello Maddalena<br />
Procuratore generale di Torino<br />
69
Giovanni Falcone e Paolo Borselllino:<br />
una speranza per i giovani<br />
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
« Io ho sempre accettato più che <strong>il</strong> rischio, la condizione e le conseguenze del lavoro<br />
che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto<br />
perché ho scelto, ad un certo punto <strong>della</strong> mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin<br />
dall’inizio che dovevo correre questi pericoli. La sensazione di essere un sopravvissuto e<br />
di trovarmi, come viene ritenuto, in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge<br />
dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario<br />
che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me. E so<br />
anche che tutti noi abbiamo <strong>il</strong> dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare<br />
dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza, che tutto questo può<br />
costarci caro. » (Paolo Borsellino, inizio luglio 1992, intervista a Sposini).<br />
Sono passati quasi venti anni da quando Paolo Borsellino fece questa intervista e durante<br />
tutto questo tempo le sue parole hanno segnato <strong>il</strong> mio cammino e quello di tanti<br />
altri giovani che hanno scelto di raccogliere <strong>il</strong> suo testimone e di impegnarsi per riuscire<br />
a diventare dei bravi magistrati.<br />
Nel 1992 frequentavo ancora <strong>il</strong> liceo e le stragi di via Capaci e di via d’Amelio generarono<br />
in me un profondo turbamento. Oggi posso dire che quelle stragi hanno prodotto<br />
anche la rivoluzione culturale che ha animato la mia generazione, che riconosce nelle figure<br />
di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino esempi da emulare, gli eroi che ci hanno<br />
insegnato a distinguere, senza mezzi termini, <strong>il</strong> bene dal male. Allora apprezzavo <strong>il</strong> loro<br />
sacrificio con gli occhi di una “profana”, oggi cerco di valutare con gli occhi e la sensib<strong>il</strong>ità<br />
del “giurista” la loro esperienza professionale e <strong>il</strong> contributo che questa ha recato nel nostro<br />
sistema giudiziario.<br />
Era <strong>il</strong> 1980 quando, sotto la direzione di Rocco Chinnici, si costituì, presso l’Ufficio<br />
Istruzione del Tribunale di Palermo, <strong>il</strong> cosiddetto “pool antimafia”. La struttura e le dinamiche<br />
del fenomeno mafioso erano, allora, ancora poco conosciute. Per far fronte alla<br />
“criminalità organizzata” di tipo mafioso, con una grande intuizione, si cercò di creare,<br />
71
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
anche una “magistratura organizzata” che, grazie al lavoro di un gruppo di magistrati che<br />
interagivano fra loro, doveva dare l’avvio ad un’azione volta a comprendere e contrastare<br />
la mafia nella sua globalità, e non soltanto nelle singole articolazioni. <strong>Il</strong> lavoro del pool<br />
doveva poi trovare un adeguato e fondamentale supporto normativo nella legge Rognoni–<br />
La Torre con cui venne introdotto nel nostro ordinamento <strong>il</strong> reato di cui all’art. 416 bis<br />
c.p.<br />
Come è noto, nel 1985, per motivi di sicurezza, Falcone e Borsellino furono trasferiti<br />
nel carcere dell’Asinara ove portarono a compimento <strong>il</strong> lavoro del pool preparando quel<br />
“maxiprocesso” che inaugurava in Italia un modo nuovo di affrontare la mafia, che<br />
avrebbe indotto profondi mutamenti nelle regole e strategie processuali. Un lavoro coronato<br />
dal successo quando, nel 1987, fu emanata la sentenza conclusiva del maxiprocesso:<br />
360 condanne; 2665 anni complessivi di carcere; undici m<strong>il</strong>iardi e mezzo di lire<br />
in totale da pagare a titolo di multa.<br />
La storia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non è però solo quella di due uomini<br />
che hanno cambiato per sempre <strong>il</strong> modo di intendere ed affrontare la criminalità mafiosa<br />
nel nostro paese, di due magistrati che hanno dato impulso a cambiamenti culturali e<br />
normativi indispensab<strong>il</strong>i per affrontare e sconfiggere la mafia.<br />
E’ anche la storia di due magistrati fraintesi e um<strong>il</strong>iati in molteplici occasioni.<br />
Paradossalmente, solo la mafia comprese, per tempo, l’importanza del lavoro che stavano<br />
svolgendo. Quello che la mafia, invece, non poteva immaginare era che le stragi di<br />
Capaci e di Via d’Amelio avrebbero generato una “rivoluzione delle coscienze”, spingendo<br />
tanti giovani a seguirne l’esempio.<br />
Ad oggi non conosco ancora quale sarà <strong>il</strong> mio destino. Debbo ancora iniziare <strong>il</strong> tirocinio<br />
e non so quali funzioni mi saranno affidate e dove le svolgerò. So però esattamente<br />
con quale spirito intendo affrontare <strong>il</strong> mio lavoro di magistrato. E spero che, anche per<br />
me, possano valere le parole del “comitato dei lenzuoli di Palermo”: “Non li avete uccisi,<br />
le loro idee camminano sulle nostre gambe”.<br />
72<br />
Laura Morselli<br />
Vincitrice del concorso per Magistrato Ordinario<br />
bandito con D.M. 27 febbraio 2008
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
Falcone e Borsellino: <strong>il</strong> coraggio di un’idea<br />
Cosa resta oggi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ?<br />
Certamente le loro idee e un esempio che ha consentito a tutti i giovani, quelli di ieri<br />
e quelli di oggi, di maturare, a fronte <strong>della</strong> prepotenza e dell’arroganza <strong>della</strong> malavita organizzata,<br />
l’impegno civ<strong>il</strong>e e un più forte senso di appartenenza alle istituzioni. Le bombe<br />
<strong>della</strong> mafia hanno certamente cancellato le loro vite, ma hanno anche scosso, per sempre,<br />
la coscienza di tutti noi.<br />
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ci hanno, infatti, insegnato che la Giustizia non<br />
è solo un’attività, un servizio rivolto ai cittadini, ma soprattutto una prospettiva, un metodo,<br />
una speranza.<br />
“Gli uomini passano, le idee restano…restano le loro tensioni morali e continueranno<br />
a camminare sulle gambe di altri uomini”. Questa speranza e questa convinzione è profondamente<br />
penetrata anche nell’avvocatura e ha consentito a tanti giovani che avevano<br />
intrapreso quella professione di interrogarsi su come possa giovare alla giustizia anche<br />
un'opera di parzialità e di scoprire che magistrato ed avvocato perseguono, debbono perseguire,<br />
lo stesso scopo: la ricerca <strong>della</strong> verità.<br />
Tra gli eroi del nostro tempo, d’altronde, accanto a tanti magistrati, accanto a Borsellino<br />
e Falcone, c’è anche un avvocato, Giorgio Ambrosoli, vittima <strong>della</strong> mafia e testimone<br />
esemplare, come loro, di quella lotta per i valori ed <strong>il</strong> diritto che ha contrassegnato lo<br />
storia d’Italia e che, ancora, non si è conclusa. Senza Falcone e Borsellino molti processi<br />
non si sarebbero mai fatti.<br />
Ma, soprattutto, senza di loro, non sarebbe, forse, mai sorta quella legislazione antimafia<br />
la cui promulgazione ha rappresentato un importante messaggio sociale, ancora<br />
prima che un ostacolo all’attività mafiosa. <strong>Il</strong> sequestro e la confisca dei beni alle mafie<br />
introdotti dalla legge 7 marzo 1996, n. 109 hanno costituito la concretizzazione di una<br />
delle intuizioni più lungimiranti di Falcone e Borsellino, che avevano bene compreso<br />
come per colpire la mafia la si dovesse innanzitutto privare delle sue risorse economiche<br />
e finanziarie.<br />
In questa stessa prospettiva è possib<strong>il</strong>e, però, anche andare oltre, immaginando, de<br />
74
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
iure condendo, di imporre a colui che commette reati di mafia anche <strong>il</strong> risarcimento di<br />
un danno all’immagine dello Stato. In altri termini, oltre al tradizionale risarcimento del<br />
danno risentito dalle vittime dei reati, si potrebbe avviare una riflessione sulla possib<strong>il</strong>ità<br />
di configurare un danno in re ipsa all’immagine dello Stato dipendente dalla condotta<br />
antigiuridica del mafioso e presuntivamente accollato a quest’ultimo.<br />
Che questo danno non solo esista, ma sia anche enorme, lo dimostra non solo la secolare<br />
r<strong>il</strong>uttanza ad investire nei territori in cui è presente la criminalità organizzata, ma<br />
anche l’epiteto di “mafiosi” con cui gli italiani sono stati e sono, sovente, accolti all’estero.<br />
E se lo Stato è giunto a farsi risarcire un danno all’immagine dai medici che hanno<br />
attestato una falsa invalidità, tanto più dovrebbe farlo per i reati di mafia, capovolgendo<br />
peraltro l’onere probatorio in considerazione <strong>della</strong> particolare natura e gravità di quei<br />
crimini.<br />
Tutto ciò non solo per continuare a combattere la mafia, ma per dare concreto seguito<br />
all’esempio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e una speranza ai tanti giovani che,<br />
come me, hanno deciso di non dimenticarli.<br />
Sandra Moselli<br />
Vincitrice del concorso per Magistrato Ordinario<br />
bandito con D.M. 27 febbraio 2008<br />
75
Paolo Borsellino: un uomo buono<br />
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
Ricordare Paolo Borsellino è sempre una grande emozione, anche se parlare di Paolo<br />
non è semplice, perché tanto è stato detto e scritto e si corre sempre <strong>il</strong> rischio che un’occasione<br />
di memoria si trasformi nella formale reiterazione di un rito già celebrato. E ciò<br />
certamente non sarebbe piaciuto a Paolo, <strong>il</strong> quale – come ben sanno coloro che hanno<br />
avuto la fortuna di conoscerlo – detestava i vuoti discorsi retorici, essendo Egli un uomo<br />
d’azione, concreto, per <strong>il</strong> quale più di ogni cosa contavano non le parole, ma i comportamenti,<br />
non le inut<strong>il</strong>i dissertazioni, ma l’agire di ogni giorno.<br />
E non nascondo che nei tanti anni trascorsi da quel terrib<strong>il</strong>e e maledetto 1992 ho<br />
ascoltato tanti ricordi e commemorazioni da ricavarne io stesso un gran desiderio di s<strong>il</strong>enzio,<br />
nella convinzione che con gli amici che non sono più con noi si parla solo nel s<strong>il</strong>enzio<br />
e nell’idea che <strong>il</strong> modo più concreto per adempiere <strong>il</strong> dovere di testimonianza e<br />
tenere vivo <strong>il</strong> ricordo di Paolo è, per coloro che lo hanno conosciuto e seguito nei suoi<br />
impegni professionali ed associativi, quello di conformare ai suoi insegnamenti <strong>il</strong> personale,<br />
quotidiano impegno civ<strong>il</strong>e.<br />
Però l’inesorab<strong>il</strong>e trascorrere del tempo rischia di rendere insufficiente questo modo<br />
di esercizio del dovere di testimonianza, soprattutto nei confronti dei più giovani, che,<br />
per le atroci vicende <strong>della</strong> vita, sono stati privati <strong>della</strong> possib<strong>il</strong>ità di conoscere direttamente<br />
i nostri Eroi, di parlare con Loro, di apprezzarne la grande professionalità e la carica di<br />
umanità e di impegno civ<strong>il</strong>e.<br />
E’ per questa ragione che ho raccolto l’invito di scrivere queste poche righe in ricordo<br />
di Borsellino e cercherò di adempiere a quanto mi è stato richiesto senza fare cenno alcuno<br />
alla concreta, e peraltro ben nota, attività di Paolo, al suo culto del dovere, ai suoi innumerevoli<br />
e sofferti successi professionali ed alle ultime durissime settimane dopo i tragici<br />
eventi del maggio 1992.<br />
Voglio solo ricordare l’Uomo buono, che sapeva “contagiare” la passione per la Giustizia<br />
e la Verità, <strong>il</strong> suo entusiasmo e la sua innata insofferenza verso ogni forma di prepotenza,<br />
<strong>il</strong> Magistrato che sentiva profondo <strong>il</strong> senso di rispetto <strong>della</strong> legge, da applicare<br />
con rigore ed equità, e che ha avuto <strong>il</strong> coraggio di difendere le sue idee sempre ed a qualunque<br />
costo, sapendo essere veramente indipendente ed autonomo.<br />
77
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
Due immagini mi ritornano ripetutamente alla memoria e credo che fare esercizio di<br />
memoria in questi tempi di dimenticanze non sia un male.<br />
La prima è <strong>il</strong> ricordo <strong>della</strong> serenità di Paolo.<br />
La semplice serenità di chi è tranqu<strong>il</strong>lo con la propria coscienza, perché sa di non<br />
poter essere disturbato, né sviato dai suoi compiti. Questa serenità, che certamente era<br />
sostenuta anche dalla sua salda fede religiosa, consentiva a Paolo, sempre attento ad ogni<br />
segnale, anche al più impercettib<strong>il</strong>e, di fronteggiare con la semplicità e la fermezza del<br />
giusto ogni situazione, dalle più delicate sul piano del lavoro e su quello delle “politiche<br />
giudiziarie”, che spesso lo hanno condotto pure a formulare severe ed impietose analisi,<br />
a quelle per così dire meno impegnative.<br />
A questa serenità si accompagnava la straordinaria insofferenza verso ogni forma di<br />
sopruso e la sua trascinante ostinazione nella ricerca <strong>della</strong> verità.<br />
Tali innate qualità facevano di Paolo Borsellino una naturale guida professionale: sempre<br />
prodigo di consigli e suggerimenti per tutti coloro che gli si avvicinavano e soprattutto<br />
per i giovani magistrati che a Lui si accostavano con assoluta naturalezza, anche per <strong>il</strong><br />
grande entusiasmo che riusciva a trasmettere, e che finivano per vedere in Paolo un vero<br />
e proprio “maestro di vita”, non solo professionale. La grandezza di Paolo era nella incredib<strong>il</strong>e<br />
carica di umanità con la quale affrontava ogni vicenda umana e nella sua um<strong>il</strong>tà,<br />
che gli impediva di mettersi in cattedra. I suoi insegnamenti, infatti, non si fondavano<br />
mai sull’affermazione di astratti principi o sulla formulazione di vuote teorizzazioni, ma<br />
derivavano dalle esperienze vissute, che, da gran conversatore, era in grado di trasmettere<br />
ai giovani con assoluta semplicità e, soprattutto, attraverso <strong>il</strong> racconto di tantissimi aneddoti,<br />
spesso tratti dalla sua lunga attività professionale. Tutto ciò faceva di Paolo un polo<br />
di naturale attrazione per i più giovani, richiamati dal suo umano carattere di bontà e<br />
dall’assoluta trasparenza del suo pensiero.<br />
Di questa capacità di Paolo di affrontare serenamente e con semplicità ogni situazione,<br />
anche quelle meno impegnative, sono stato personalmente partecipe e, pur avendone già<br />
scritto, desidero richiamare alla memoria ancora una volta due episodi: uno di natura<br />
per così dire professionale e l’altro di carattere personale.<br />
All’inizio <strong>della</strong> mia carriera, quale giudice istruttore, ebbi modo di occuparmi di un<br />
processo nel quale compariva un ambiguo personaggio che sembrava esser assai vicino<br />
ad ambienti di criminalità organizzata.<br />
Ritornato a Palermo per un breve periodo di ferie, andai a trovare Paolo in ufficio,<br />
anche per attingere eventuali notizie su tale personaggio. In quell’occasione non solo<br />
Paolo mostrò immediatamente di ricordarne <strong>il</strong> nome, ma mi riferì in dettaglio e con gran<br />
sicurezza i collegamenti con ambienti malavitosi e, con mio grande stupore, tra i numerosi<br />
78
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
volumi di uno dei tanti processi che invadevano la sua stanza, riuscì persino a trovare le<br />
poche righe di un rapporto di polizia, nel quale erano contenuti i pochi riferimenti che<br />
avrebbero potuto interessarmi.<br />
<strong>Il</strong> secondo ricordo personale risale agli anni successivi, dopo <strong>il</strong> mio rientro in Sic<strong>il</strong>ia,<br />
e mi è particolarmente caro, perché costituisce per me un segno concreto <strong>della</strong> bontà<br />
d’animo e <strong>della</strong> grande serenità con cui Paolo affrontava la vita.<br />
Come spesso accadeva in quegli anni, la sera ero solito fare una breve passeggiata poco<br />
prima di cena, e, abitando a poche centinaia di metri da casa Borsellino, talvolta avevo<br />
modo di incontrare Paolo che, “armato” di cappotto e cappello, percorreva la stessa strada,<br />
a piedi e da solo, verosim<strong>il</strong>mente nel tentativo di approfittare di un raro momento di <strong>libertà</strong>,<br />
lontano dalle scorte.<br />
Epperò, diversamente da quel che accadeva in ufficio, in quelle occasioni le parole<br />
che riuscivamo a scambiare erano davvero poche e sempre per volontà di Paolo, <strong>il</strong> quale,<br />
diversamente dalle sue abitudini, mostrava di avere una certa fretta, come se dovesse allontanarsi<br />
per risolvere qualcosa d’urgente.<br />
Non nascondo che le prime volte rimasi sorpreso da tale atteggiamento, che non era<br />
del Paolo Borsellino che io conoscevo, ma poi compresi che quel comportamento era<br />
dettato dalla naturale generosità e grande sensib<strong>il</strong>ità di Paolo, <strong>il</strong> quale temeva di esporre<br />
altri ai gravi pericoli ai quali già a quel tempo era esposta la sua persona.<br />
Ma Paolo, ed è questo un indeleb<strong>il</strong>e ricordo che intendo rassegnare ai giovani magistrati,<br />
è stato un Maestro anche di vita associativa.<br />
Egli fu stimato ed ascoltato delegato distrettuale di Palermo, presiedette a lungo ed<br />
attivamente la sezione distrettuale dell’ANM e fu autorevole presidente del Consiglio<br />
Nazionale di Magistratura Indipendente in quegli anni in cui aveva un senso la differenziazione<br />
in “correnti”, perché era vivo ed attuale <strong>il</strong> confronto ideologico all’interno dell’ANM,<br />
da ciascun associato considerata come la “casa comune” di tutti i Magistrati.<br />
Anche nell’impegno associativo, che costituì una parte senza dubbio significativa, pur<br />
se non la più importante, del suo esser Magistrato, Paolo operò come in tutte le sue attività<br />
e cioè nell’ottica del servizio.<br />
Pur essendo noto l’impegno associativo di Paolo, non ricordo di essere stato “spinto”,<br />
quale giovane uditore, a partecipare ad una riunione di gruppo, né di essere stato da Lui<br />
coinvolto in discussioni “correntizie”.<br />
Epperò conoscere Paolo e frequentare Magistratura Indipendente è stato del tutto naturale,<br />
direi spontaneo, per la totale condivisione di quell’idea di Paolo di una magistratura<br />
seria, impegnata, apolitica, rispettosa dei diritti di tutti e proiettata all’affermazione<br />
dei valori <strong>della</strong> terzietà, indipendenza ed autonomia <strong>della</strong> giurisdizione.<br />
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<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
Egli rappresenta ancor oggi l’esempio di un modo sano e virtuoso di fare associazionismo<br />
all’interno <strong>della</strong> magistratura.<br />
I gruppi associativi sono sempre più disegnati dal pensiero dominante come un male<br />
da estirpare, come una dimostrazione <strong>della</strong> propensione dei magistrati di “fare politica”.<br />
L’esperienza umana e professionale di Paolo Borsellino, invece, dimostra che non<br />
esiste alcuna barriera correntizia e che la vita associativa, quando è condotta con trasparenza<br />
e con dialogo ed all’insegna del conseguimento dei valori più nob<strong>il</strong>i è fonte di arricchimento<br />
del magistrato, anche e soprattutto come cittadino.<br />
<strong>Il</strong> suo esempio, oggi, ci spinge a rifiutare un modello di associazionismo volto alla<br />
cura di personali interessi di bottega ed a pensare che <strong>il</strong> futuro dipenderà dalla capacità<br />
di tutti di rivolgerci a quegli ideali che hanno caratterizzato la nascita dei gruppi associativi<br />
e di apprezzarne la valenza culturale in un atteggiamento di leale apertura e confronto.<br />
Del resto, a questi valori ed a questo modo d’interpretare l’associazionismo Paolo è<br />
stato sempre fedele.<br />
Egli non considerò mai quell’impegno come una sorta di “trampolino” di lancio per<br />
altri traguardi, che certamente avrebbe meritato di raggiungere anche nell’interesse <strong>della</strong><br />
corrente, perché temeva di esser in qualche modo distratto dalla sua attività professionale.<br />
Per tale ragione, non volle la carica di presidente di Magistratura Indipendente, né si propose<br />
per <strong>il</strong> Comitato Direttivo Centrale e persino decise di rinunciare a rappresentare <strong>il</strong><br />
distretto al Consiglio Superiore <strong>della</strong> Magistratura in un tempo in cui, sia per <strong>il</strong> suo prestigio<br />
personale, che per la forza <strong>della</strong> corrente, la sua elezione sarebbe stata scontata.<br />
Mi chiedo spesso quanti, oggi, sarebbero in grado di operare quelle scelte!<br />
Eppure per Paolo quella scelta fu addirittura naturale, perché egli non dimenticò mai<br />
la coerenza con sé stesso e con i valori perseguiti. Anzi, proprio quella coerenza all’idea<br />
di un magistrato impegnato, realmente autonomo ed indipendente, sereno e saldamente<br />
legato ai valori <strong>della</strong> giurisdizione, consentì a Paolo di rimanere strettamente legato a<br />
Magistratura Indipendente, alla quale dedicò anima e forze, anche in quelle occasioni,<br />
che non furono rare e di poco momento, in cui i suoi rapporti con la corrente non furono<br />
proprio id<strong>il</strong>liaci, perché in quel tempo <strong>il</strong> gruppo non sempre si muoveva nella direzione<br />
alla quale Paolo tendeva. Ma anche in quei diffic<strong>il</strong>i momenti Paolo dedicò anima e forza<br />
alla vita associativa e con le Sue scelte di professionalità, di coerenza e di trasparenza ha<br />
contribuito alla formazione di quel patrimonio di valori sui quali si fonda l’identità culturale<br />
di Magistratura Indipendente.<br />
Ed è proprio questa coerenza, cementata dalla forza delle argomentazioni, che costituiva<br />
una delle qualità più visib<strong>il</strong>i ed apprezzate dell’impegno associativo e che rendeva<br />
Paolo un naturale punto di attrazione e riferimento per i giovani colleghi, già conquistati<br />
80
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
dal suo instancab<strong>il</strong>e attaccamento al lavoro quotidiano e dalla giovialità di quell’Uomo<br />
buono e sereno, dotato <strong>della</strong> capacità innata di rassicurare e di trasmettere grandi passioni.<br />
Ricordo Paolo sempre pronto ad ascoltare tutti, ab<strong>il</strong>e nel discutere con i colleghi più<br />
anziani e capace di porsi come sicuro punto di riferimento per i più giovani.<br />
Partecipare, poi, alle riunioni associative era più che istruttivo e talvolta perfino spassoso.<br />
<strong>Il</strong> più delle volte Paolo rimaneva in piedi, talora un po’ distaccato, come per lasciare<br />
lo spazio più ampio possib<strong>il</strong>e agli interventi; di tanto in tanto si aggirava nell’aula di riunione<br />
con l’inseparab<strong>il</strong>e sigaretta, rimaneva anche a parlare con qualche collega, quando<br />
improvvisamente aveva la capacità di lanciare un commento o una semplice e spesso tagliente<br />
battuta, con cui riusciva a riportare i dibattiti all’interno di corretti binari e,<br />
quando occorreva, anche ad attenuare ogni possib<strong>il</strong>e tensione.<br />
Anche questo esercizio di memoria, credo, sia oggi necessario, soprattutto per ricordare,<br />
a chi dà l’impressione di aver dimenticato, quale dedizione è stata in grado di dare<br />
negli anni la magistratura italiana, quali valori essa ha saputo esaltare, non solo con <strong>il</strong> sacrificio<br />
dei suoi uomini migliori, di tanti colleghi che hanno dato la vita per <strong>il</strong> perseguimento<br />
di quegli ideali, ma anche con <strong>il</strong> quotidiano impegno profuso dalla stragrande<br />
maggioranza dei magistrati, i quali, nonostante l’assordante clamore, ogni giorno adempiono<br />
i loro doveri con professionalità ed assoluto riserbo, lontano dal richiamo <strong>della</strong> ribalta<br />
dei mezzi d’informazione.<br />
Ma l’assunzione di responsab<strong>il</strong>ità civ<strong>il</strong>e in Paolo Borsellino va ben oltre l’impegno<br />
manifestato nell’esercizio <strong>della</strong> giurisdizione. Egli sapeva che la mafia non è soltanto un<br />
fenomeno criminale da perseguire con la legge penale.<br />
Paolo era ben consapevole che la mafia si fonda su una mentalità, si diffonde con una<br />
sottocultura e si manifesta anche in atteggiamenti di connivenze, passività ed accondiscendenze<br />
censurab<strong>il</strong>i sul piano civ<strong>il</strong>e, anche quando non perseguib<strong>il</strong>i su quello strettamente<br />
processuale.<br />
Da qui <strong>il</strong> convincimento in Paolo Borsellino dell’importanza <strong>della</strong> diffusione <strong>della</strong><br />
cultura <strong>della</strong> legalità e soprattutto del necessario coinvolgimento delle più giovani generazioni,<br />
nella certezza che se si usa l’educazione e se si fa del rispetto <strong>della</strong> legalità un valore,<br />
allora la mafia resta un isolato problema criminale di gruppi di individui e cessa di<br />
essere un fenomeno sociale.<br />
Ed a questa opera di educazione Paolo ha dato <strong>il</strong> suo grande contributo, soprattutto<br />
dedicando le sue energie al coinvolgimento degli studenti sic<strong>il</strong>iani sul tema <strong>della</strong> legalità<br />
e <strong>della</strong> lotta alla sottocultura mafiosa.<br />
Ogni tanto provo a pensare quale sarebbe stata la sua reazione rispetto a quanto su<br />
81
<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />
questo piano è accaduto negli ultimi anni e sono certo che Paolo avrebbe provato uno<br />
straordinario entusiasmo per quegli studenti palermitani che, qualche anno fa, dando<br />
l’avvio ad uno straordinario movimento, hanno creato grande scompiglio in Città con<br />
l’affissione di un semplice volantino nei pressi degli esercizi commerciali, nel quale si ricordava<br />
che “Un popolo che paga <strong>il</strong> pizzo è privo di dignità”.<br />
Sono convinto che quei volantini sarebbero piaciuti a Paolo per la forza del gesto e<br />
soprattutto per l’immediatezza e per la semplicità del messaggio trasmesso, col quale, con<br />
una sintesi estrema, che rasenta la crudezza, è stato ricordato che <strong>il</strong> pizzo esiste solo perché<br />
esiste chi cede e paga e che colui che cede e paga è privo di dignità.<br />
Questa voglia di rivincita e questo desiderio di diventare protagonisti nella lotta alla<br />
criminalità organizzata, nel convincimento che l’educazione alla legalità deve essere soprattutto<br />
educazione alla dignità, avrebbe certamente esaltato Paolo Borsellino, <strong>il</strong> quale<br />
sarebbe stato orgoglioso di quei giovani che, nel diffondere quel semplice, straordinario<br />
messaggio, si sono fatti artefici di una società rinnovata, pronta ad opporsi ai disvalori<br />
<strong>della</strong> sottocultura mafiosa, divenendo essi stessi straordinari interpreti di una Terra che,<br />
ritrovato <strong>il</strong> coraggio pieno <strong>della</strong> dignità, “un giorno diventerà bellissima”.<br />
Da questi semplici ricordi credo che emerga chiaramente la grande eredità che Paolo<br />
ci ha lasciato: quella di un Uomo capace di sapere saldare serenità e bontà d’animo con<br />
le forti passioni civ<strong>il</strong>i, di saper perseguire con forza e coerenza i propri valori, nel rifiuto<br />
di qualsiasi criterio di convenienza, senza lasciarsi travolgere dagli eventi e senza cedere<br />
al richiamo <strong>della</strong> ribalta, anche attraverso <strong>il</strong> fac<strong>il</strong>e ricorso ai mezzi d’informazione, ma sicuro<br />
<strong>della</strong> voglia di rivincita di una società rinnovata e <strong>della</strong> capacità di riuscire a farcela<br />
con la diffusione, tra le giovani generazioni, di quest’opera di educazione alla dignità perché,<br />
come Egli stesso ha detto, “se la gioventù le negherà <strong>il</strong> consenso, anche l’onnipotente<br />
e misteriosa mafia svanirà come un incubo”.<br />
E’ a questi valori che intendo affidare <strong>il</strong> mio ricordo di Paolo Borsellino, la cui memoria<br />
va consegnata ai giovani quale simbolo del “dover essere” e quale speranza per ritornare<br />
a respirare “<strong>Il</strong> <strong>profumo</strong> <strong>della</strong> Libertà”.<br />
82<br />
Tommaso Virga<br />
Presidente di Sezione del Tribunale di Palermo
Finito di stampare nel mese di Luglio 2010<br />
presso Stamperia Lampo - Roma
Sul sito<br />
www.<strong>il</strong><strong>profumo</strong><strong>della</strong>liberta.it<br />
puoi contribuire anche tu a ricordare Paolo Borsellino e Giovanni Falcone.<br />
Invia le tue riflessioni a<br />
gioventu@<strong>il</strong><strong>profumo</strong><strong>della</strong>liberta.it
In questo volume, realizzato su iniziativa del Ministro <strong>della</strong><br />
Gioventù, sono stati raccolti alcuni contributi sull’opera<br />
e la figura di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Per<br />
mantenerne sempre vivo <strong>il</strong> ricordo e l’esempio.