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La fame Prof. Dott. Emilio Galli Primario Chirurgo all'Ospedale "San ...

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<strong>La</strong> <strong>fame</strong><br />

<strong>Prof</strong>. <strong>Dott</strong>. <strong>Emilio</strong> <strong>Galli</strong><br />

<strong>Primario</strong> <strong>Chirurgo</strong> <strong>all'Ospedale</strong> "<strong>San</strong> Raffaele"<br />

Casa di cura <strong>San</strong>ta Maria - Castellanza (Varese)<br />

Il XX è stato, per le scienze mediche un secolo denso di conquiste che hanno profondamente modificato, in una sorta di<br />

rivoluzione Copernicana, non solo l'aspetto etico bensì anche quello metodologico e tecnico della medicina. Fischer, patologo<br />

americano, ha affermato che questa rivoluzione poggia su tre fondamentali acquisizioni: l'anestesia, gli antibiotici e la<br />

nutrizione artificiale. L'anestesia ha aperto orizzonti nuovi alla chirurgia, consentendo traguardi insperati nella cura di malattie<br />

che solo in questi anni recenti hanno trovato nuove possibilità di terapia. Gli antibiotici hanno quasi del tutto allontanato lo<br />

spettro che aleggiava su ogni manovra, chirurgica e non, prima del loro avvento: la setticemía. <strong>La</strong> nutrizione artificiale, di cui<br />

molto poco si è parlato in un tempo nel quale è bene tacere tutto ciò che non fa notizia, è la più giovane delle tre acquisizioni.<br />

Nata trent'anni fa, è semplicemente la terapia che rende possibile la nutrizione dell'uomo anche quando l'apparato preposto<br />

dalla natura a tale fondamentale necessità, risulta inagibile.<br />

<strong>La</strong> nutrizione artificiale consiste nell'infondere in vena i costituenti fondamentali della nostra alimentazione, grassi, zuccheri e<br />

proteine: ha salvato milioni di malati altrimenti destinati a soccombere per mancanza di nutrimento, a seguito di malattie o<br />

situazioni derivanti da complicazioni postoperatorie ineluttabilmente accompagnate da gravissima denutrizione. Non è certo<br />

una <strong>fame</strong> iconografica come siamo abituati ad intenderemo a vedere, bensì una ben più subdola <strong>fame</strong> biochimica che concentra<br />

in un solo individuo una terribile carica destruente: la stessa che nelle storiche vicende era a volte guarita da <strong>San</strong>ti con opera<br />

salvifica e miracolosa. Per questa sorprendente attinenza ha forse senso ripercorrere il lungo, travagliato cammino di una<br />

terapia in grado oggi di risolvere un problema che ha afflitto l'Uomo dalle sue origini e che lo affliggerà forse fino alla sua fine.<br />

E' pur vero che mentre nelle nazioni a più alto tenore di vita si combatte, con la nutrizione artificiale, la "<strong>fame</strong> biochimica" di<br />

un malato, cento altri in altra parte del globo soccombono alla <strong>fame</strong> reale, ma questo è, nel secolo XX, il risultato delle<br />

scoperte della Medicina. Verrà un tempo nel quale tutti potranno utilizzarle?<br />

Un malaugurato giorno il Signore, adirato come solo lui può essere, scacciò Adamo dall'Eden a causa della disobbedienza agli<br />

ordini, e lo condannò a procurarsi con il sudore della fronte il cibo che prima gli era offerto senza fatica alcuna nel Paradiso.<br />

Maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita.<br />

Secondo l'interpretazione biblica, quindi, l'uomo comparve sulla terra portando con se il pesante fardello della maledizione<br />

divina che lo obbligava a percorrere il suo cammino terreno avendo come triste compagne di viaggio la fatica e la <strong>fame</strong>.<br />

L'interpretazione scientifica, più arida e razionale, che assegna alla materia vivente la intrinseca necessità di trasformare<br />

costantemente energia per la propria sopravvivenza, in realtà porta a conclusioni analoghe: la <strong>fame</strong> è nata con l'uomo e la storia<br />

dell'uomo è strettamente legata alla storia della <strong>fame</strong> anche ai giorni nostri, quando scienza e tecnica sembrano aver risolto<br />

ogni tipo di difficoltà, relegando la <strong>fame</strong> in un vissuto storico apparentemente ormai lontano.<br />

<strong>La</strong> <strong>fame</strong> è stata la determinante di grandi e, talvolta, disperate azioni dell'umanità, ha determinato l'evoluzione della nostra<br />

razza, ha diversificato le popolazioni anche in virtù di diverse abitudini alimentari, peraltro condizionate dal clima,<br />

dall'orografia, dalla flora e dalla fauna, dalle risorse ambientali.<br />

L'Europa protomedioevale era coperta da una vasta foresta che a poco a poco è stata sostituita da pascoli, campi, città,<br />

industrie: oggi noi viviamo in un paesaggio che, nel corso del tempo, si è radicalmente modificato per le necessita di<br />

produzione di sempre maggiori quantità di derrate alimentari.<br />

CIBO E SALUTE<br />

L’esistenza di un diretto rapporto fra cibo e salute è un convincimento antico. Alcuni cibi o bevande erano anche ritenute avere<br />

effetti trascendenti come il Nettare, bevanda esclusiva degli Dei, oppure parti corporee strappate al nemico ucciso in battaglia<br />

nel cannibalismo rituale.<br />

Negli scritti dei cronisti medievali appare chiara la stretta relazione fra carestia ed epidemie, mentre ai <strong>San</strong>ti, gli Uomini di<br />

Dio, sono attribuite miracolose guarigioni di malattie che ad una analisi più scientifica appaiono provocate dalla cattiva<br />

nutrizione. (1)<br />

Dagli stessi documenti si evince quanto fosse radicata nella mentalità medievale, la intima corrispondenza fra cibo e salute, in<br />

quanto la malattia viene spesso indicata come perdita dell'appetito o come incapcità o impossibilità di nutrirsi. E'<br />

consequenziale allora identificare nel<br />

cibo il farmaco specifico; e le varie specie di cibi e bevande sono allora consigliate in base alle loro proprietà medicofarmaceutiche,<br />

secondo accurati calendari la cui osservanza era fino a poco tempo fa ancora rispettata (si pensi al venerdì di<br />

magro).<br />

L'assunto della medicina del primo Medioevo è: il "cibo-medicina" deve restituire la salute, intesa come recupero della<br />

capacità e voglia di mangiare. Cibo = vita, il convivio è il mangiare insieme per vivere, è il cum vivere.<br />

Nel contempo, gli stessi Uomini di Fede, che guarivano anche con i cibi, richiamavano gli uomini sull'uso indiscriminato ed<br />

esagerato di essi. In tali casi i cibi divenivano non più artefici della salute fisica, bensì di "morte spirituale".<br />

L'abbondanza di umori provocata dal troppo cibo ridesta negli uomini il piacere ed il compiacimento sensoriale verso i quali si<br />

dirigono gli strali dei padri della Chiesa. Lussuria, avarizia, collera, accidia sono dirette conseguenze della sovrabbondante<br />

alimentazione, perché fra "i vizi che fanno al genere umano la guerra più spietata, il primo è la gastrimargia o golosità" afferma<br />

Giovanni Cassiano, nelle Collationes, testo di meditazione e spiritualità. (2)<br />

Se la gola è il primo dei vizi, il digiuno è la prima delle virtù! Ecco allora comparire nelle regole monastiche il digiuno<br />

penitenziale, traslato poi nella comunità dei credenti con la doppia funzione: penitenziale e ... sanitaria.


Il mondo antico ed il periodo di transizione tra antichità e Medioevo dal punto di vista alimentare sono molto interessanti in<br />

quanto caratterizzati dal confronto di due culture: quella "classica" e quella "barbarica". (3)<br />

Nella prima, ad espressione prevalentemente agricolo-pastorale, prevale la coltivazione di cereali, della vite e dell'ulivo. Nel<br />

Nord, invece, foreste, fiumi e laghi offrono abbondante caccia e pesca, allevamento brado del bestiame, in particolare suino, la<br />

raccolta dei frutti del bosco. Pochi appezzamenti coltivati a cereali assicurano la provvista di birra.<br />

Con la diffusione del Cristianesimo il modello "classico" viene esportato e con esso i suoi prodotti che, peraltro, costituiscono i<br />

simboli della nuova religione: il pane, il vino e l'olio.<br />

Nel contempo, dall'intensificarsi degli scambi commerciali fra Sud e Nord europeo inizia quel mixage culturale che tenderà a<br />

poco a poco a modificare i sistemi di vita e sociali mitteleuropei in un lungo processo ancora in corso. Giunti al nostro tempo,<br />

questo processo di unificazione "gastrimargica" mondiale che ha portato i rigatoni col ragù a Pechino e l'anatra laccata a Porta<br />

Portese, fa perentoriamente emergere su tutti l'emblematico arco di MacDonald's con i suoi hamburghers e chips, uguali al<br />

millesimo dall'Australia a Capo Nord, vero epitaffio sulla tomba del gusto e della fantasia umana.<br />

LA NUTRIZIONE NELL'ALTO MEDIOEVO<br />

L’Italia, ponte fra l'oriente ed il Continente Europeo, diviene erede naturale della antica tradizione medica Greco-orientale e,<br />

nell'alto Medioevo, punto di riferimento per la scienza medica Europea.<br />

Nel 1510, Martin Lutero, in viaggio a Roma per affari dell'Ordine Agostiniano, visita l'ospedale <strong>San</strong>to Spirito e rimane<br />

impressionato dalla efficienza delle strutture: "... Gli Ospedali in Italia sono provvisti di tutto ciò che è necessario, sono ben<br />

costruiti, vi si mangia e beve bene e si è serviti con sollecitudine ..." egli scriverà, e la sua impressione sarà confermata dalla<br />

visita <strong>all'Ospedale</strong> <strong>San</strong>ta Maria Nuova in Firenze. Altri viaggiatori confermeranno in anni successivi i giudizi di Lutero<br />

visitando ospedali italiani. Da molti di loro viene posto l'accento sulla bellezza degli edifici, sulla solerzia di medici e<br />

farmacisti e sull'ottimo ed abbondante cibo distribuito ai malati. (4) Pur tuttavia si è in un momento critico per la nutrizione.<br />

Nel primo Medioevo le risorse alimentari, tranne in periodi di carestia, erano abbondanti e consentivano regimi alimentari<br />

soddisfacenti. Il problema della <strong>fame</strong> si fa sempre più pressante con l'avvicinarsi dell'Era moderna per l'aumento della<br />

popolazione, la formazione di agglomerati urbani sempre più vasti e le mutate abitudini colturali.<br />

Il consumo di cibo diviene evocatore del censo della persona. Così il potens mangia sempre più e meglio, il pauper sempre<br />

meno e peggio. Si deve mangiare, secondo norma sociale, secundum qualitatem personae. Il potens mangia molto e clii mangia<br />

molto è Potens. (5)<br />

Riferisce Montanari che il vescovo di Metz, preparandosi ad accogliere Guido da Spoleto, designato a divenire Rex<br />

Francorum, gli preparò grandi onori e cibaria multa. Venuto poi a sapere che Guido era assai parco nel mangiare, espresse su<br />

di lui un giudizio sprezzante: "Non è degno di regnare su di noi chi si accontenta di un pasto vile da pochi soldi" e gli preferì<br />

un certo conte Eude da Parigi. (6)<br />

E' il periodo in cui il consumo di carne assume altissimi livelli soprattutto nella nobiltà: la carne conferisce forza e coraggio al<br />

cavaliere ed all'uomo d'armi. In Inghilterra viene costituita una compagnia militare di uomini assolutamente valorosi, i<br />

Beefeaters, nutriti con grandi quantità di carne.<br />

<strong>La</strong> forzata astinenza a scopo penitenziale dal consumo di carne, a volte comminata dal confessore, è particolarmente pesante<br />

non per l'aspetto alimentare bensì perchè assume il significato di una temporanea emarginazione dal consesso dei potentes. (7)<br />

Non deve pertanto stupire la elusione, da parte degli strati alti della gerarchia ecclesiastica, alle norme di moderazione imposte<br />

dalle regole monastiche. I prelati crapuloni, tanto cari ad un certo tipo di letteratura narrativa che poi ci ha rimandato il detto<br />

popolare "preti e polli non sono mai satolli", in realtà utilizzavano, attraverso il mangiare smodatamente, il mezzo più idoneo<br />

per acquisire censo sociale e, come si direbbe oggi, potere contrattuale con la società che contava. Si arrivava ad affermare che<br />

la parola di un <strong>San</strong>to predicatore nel medesimo tempo rifocillava i pauperes, saziava i mediocres e riempiva di banchetti<br />

spirituali dives et potentes. (8)<br />

Questa distinzione così categorica, accettata anche dalla Chiesa come connotazione sociale, non poteva non avere riflessi<br />

negativi sulle condizioni di vita del popolino.<br />

Nel Nord italiano, ad esempio, si assiste al progressivo abbandono della impegnativa coltivazione del frumento, sostituito da<br />

graminacee più redditizie e meno esigenti, ma a potere calorico nettamente inferiore. Lo stesso non si verifica al Sud che<br />

continua ad essere "il granaio". (9)<br />

Si crea così una situazione di squilibrio per la quale l'operaio che vive in città, con basso potere di acquisto (il salario è<br />

discrezionale senza minimi garantiti), quando lavora riesce ad assicurarsi la sopravvivenza, ma è terribilmente esposto ai rischi<br />

della disoccupazione o della carestia che, solo abbassando di 150 grammi la quota di grano disponibile, sottraggono 400 - 500<br />

calorie dalla dieta del malcapitato. Si può ben capire che sottrarre ad una dieta appena sufficiente un terzo del suo ammontare,<br />

si ottiene sicuramente la malnutrizione.<br />

GLI UFFIZI DI SANITA - EPIDEMIOLOGIA ED IGIENE<br />

Consci della diretta dipendenza da carestia e <strong>fame</strong> delle temute pestilenze, in Italia, a partire dalla prima metà del Trecento, i<br />

governi di vari Stati istituiscono gli Uffizi di <strong>San</strong>ità, sorta di osservatoti sulle condizioni sanitarie della popolazione. Dapprima<br />

funzionanti solo in occasione di epidemie, divennero poi, in epoche diverse, Uffizi permanenti (a Milano questo avvenne nella<br />

prima metà del 1400, a Venezia nel 1480 ed a Firenze nel 1527). (10)<br />

Originariamente concepiti come centri di organizzazione dei Servizi durante le epidemie di peste, che costituivano la più<br />

terribile e temuta calamità, in seguito ebbero compiti più vasti, pur sempre finalizzati al tempestivo riconoscimento di focolai<br />

del terribile flagello. Gli Ispettori, inviati nella varie contrade, ponevano grande attenzione alla eventuale presenza sulla cute<br />

dei malati, delle petecchie, pustole o bubboni, segni premonitori del grande male. Dai documenti redatti da Medici o<br />

Governatori dei vari centri abitati appartenenti allo Stato si può avere una visione epidemiologica abbastanza chiara delle<br />

malattie che affliggevano in massima misura le popolazioni del tempo (malaria, tifo petecchiale, tifo esantematico, epidemie di


influenza ad altissima mortalità) e delle condizioni igieniche. Annotazioni meticolose, confrontate con i registri parrocchiali,<br />

tenevano conto dei morti e dei malati presenti nelle castella e nelle contrade visitate ed in alcuni casi, come in quel di<br />

Fucecchio, anche delle disponibilità della locale farmacia: " ... quanto alla qualità de medicamenti, intendendo de' lattuari<br />

medicinali, (lo speziale) ne potrìa havere de più buoni ma però non sono tali che non si possano adoprare; et quanto alla<br />

quantità ce ne sarìa per molti e molti se si purgassero et riavessero fede nella medicina...... (11)<br />

In molti documenti venivano rilevate le terribili condizioni igieniche della gente e delle contrade e dei castelli per la presenza<br />

di ogni sorta di immondizia che veniva accumulata in tutti gli spazi disponibili del centro abitato e il degrado ambientale<br />

dovuto allo spettacolo poco edificante ed al terribile fetore che, soprattutto nella stagione tiepida o calda, esalava dai cumuli di<br />

sterco umano e animale. (12)<br />

L'uomo, immerso in questo universo putrido caratterizzato dalla promiscuità con gli animali, la terra ed i suoi simili, è<br />

necessariamente fornito di una sorta di tetragonia escremenziale per la quale egli poteva sopportare tante situazioni che per noi<br />

oggi sarebbero non solo intollerabili, ma semplicemente impensabili. Vi era infatti, fin dalla più tenera età, un contatto<br />

traumatico con una realtà sociale costantemente minacciata dalla <strong>fame</strong> e dalla morte: oggi sappiamo che cattive condizioni<br />

igieniche e malnutrizione costituiscono una miscela esplosiva che conduce inevitabilmente a tragedie biologiche ed umane.<br />

Soprattutto nel secolo XVII, guerre, carestia e <strong>fame</strong> producevano con spietata fertilità "tanta mendicità vagabonda" fatta di<br />

storpi, lebbrosi, feriti infetti, ammalati abbandonati.<br />

Solo l'istituzione degli ospedali generali attenuò tale orribile spettacolo cui gli occhi della gente erano peraltro abituati. (13)<br />

<strong>La</strong> situazione sociale era ben peggiore di quella immaginabile: le malattie da contatto, infettive, parassitarie, diffondendosi con<br />

estrema rapidità, oltre che mietere vittime, generavano una società vivente in condizioni subumane che divenivano poi<br />

inimmaginabili durante guerre, pestilenze o carestie. Non si può non essere d'accordo con C.M. Cipolla quando afferma "...<br />

prima della Rivoluzione Industriale di felicissimi stati non c'era manco l'ombra. C'erano felicissimi ristretti gruppi sociali la cui<br />

felicità era essenzialmente basata sull'infelicità altrui." (14)<br />

Le poche relazioni che sono ci sono giunte sono veramente allucinanti: la gente viveva in un perenne precario equilibrio fra<br />

una vita grama e la morte incombente, vista peraltro con un atteggiamento più razionale e rassegnato di quanto non sia oggi,<br />

epoca nella quale la malattia e la morte sono divenuti eventi estranei, da rimuovere, affidandone ad altri la gestione, in quanto<br />

ostacoli alla esasperata ricerca edonistica del benessere.<br />

Queste tristi vicende del passato si ripeterono fino a tempi molto vicini a noi come ad esempio in Irlanda dopo la grave carestia<br />

che afflisse quella popolazione a seguito della distruzione dei raccolti di patate negli anni 1845 1846, e purtroppo tuttora si<br />

ripropongono con esasperante frequenza smentendo il noto, ma mistificante, aforisma: " Historia magistra vitae ".<br />

TENTARE RIMEDI<br />

In Lombardia la coltura irrazionale, basata solo su cereali ad alta resa, ma a basso contenuto nutritivo come la segale, il miglio,<br />

il sorgo, l'avena, la povertà del suolo e le condizioni climatiche spesso sfavorevoli, non contribuiva certo alla felicità di<br />

popolazioni montanare come quelle della diocesi ambrosiana.<br />

Fu presumibilmente Carlo Borromeo che, resosi conto della precarietà della vita e della denutrizione dei suoi diocesani, si fece<br />

promotore dell'introduzione e della diffusione della cultura del mais, giunto a noi dal Nuovo Mondo, a basse esigenze colturali,<br />

ad alta resa e senz'altro più nutriente della segale. (Nel dialetto il mais viene indicato come "carlùn "in ricordo del Cardinal<br />

Borromeo). Il monofagismo maidico (tra il popolo era diffuso il detto "la polenta la contenta") condizionò peraltro la comparsa<br />

della pellagra, malattia da carenza vitaminica sconosciuta però nel basso Piemonte ove prevaleva la coltivazione del riso. Per<br />

contro la gente della risaia si ammalava e moriva di "febbri delle risaie", miscela di paludismo, febbre tifoide, dissenteria. (15)<br />

Per motivi di superstizione non attecchì, se non dopo la metà del secolo XVIII, la coltivazione della patata, tubero portato in<br />

Europa dagli Spagnoli dopo le spedizioni americane: esso, nascendo sotto terra, era considerato "trovato del Diavolo", buono<br />

solo per i porci. (16)<br />

Lo stesso succedeva in Francia. Durante la guerra dei Sette Anni, combattuta dalla Francia contro la Germania, fu fatto<br />

prigioniero un farmacista parigino, August Parmentier. Costretto a cibarsi prevalentemente di patate, egli ebbe modo di<br />

apprezzarne il gusto ed il valore nutritivo e, tornato in patria, con studi e scritti, aiutato dalla Corona francese si fece paladino<br />

della diffusione della coltivazione e dell'uso della patata che tanta parte doveva avere nei destini dell'Europa. Vi sono storici<br />

che attribuiscono alla patata il merito di aver consentito la rivoluzione industriale.<br />

SCIENZA E PRASSI<br />

Il XVII secolo fu per l'Europa il più proficuo per l'avanzamento delle conoscenze. William Har-vey definisce i principi della<br />

circolazione del sangue, Giovanni Alfonso Borelli, con studi fisico-matematici, spiega il funzionamento dei muscoli<br />

scheletrici, Gaspare Aselli descrive le "vene albee et lactee" , ovvero i capillari linfatici. Facendo seguito a studi di Francesco<br />

Redi, Marcello Malpighi scopre i capillari sanguigni.<br />

E' un periodo di grandissimo fervore scientifico al quale si contrappone l'immobilismo della medicina, ancora fortemente<br />

legata a tradizioni empiriche così ben rappresentate da Molière nel suo Medico, tronfio ed ignorante, capace di abbindolare i<br />

gonzi con paroloni latini: "Clysterium donare, postea seignare, ensuita purgare"!<br />

Ma, proprio a seguito degli studi di Harvey, studiosi e curiosi intrapresero numerosi esperimenti consistenti nella introduzione<br />

in vene di animali delle più svariate sostanze per studiarne gli effetti. Alcool, vino, oppio, latte provocavano reazioni<br />

accuratamente annotate.<br />

Si giunge così ad una sera del 1667. In un pub londinese, pieno di fumo, si riunisce la Royal Society, associazione di uomini<br />

dall'intelligenza vivace e dalla insaziabile curiosità di sapere in tutti i campi dello scibile. Fra essi vi era anche Christopher<br />

Wren, giovane architetto che avrebbe progettato la cattedrale di Saint Paul.


Al cospetto di questa assemblea venne introdotto un tal Arthur Coga, squattrinato studente di teologia, il quale, per un<br />

compenso di venti scellini, accettava di sottoporsi alla prima trasfusione di sangue direttamente prelevato da un agnello con<br />

metodi del tutto artigianali. (17)<br />

Fra la generale soddisfazione e gran bevute di birra egli uscì dalla prova corroborato ed arzillo e la trasfusione eterologa, cui<br />

furono attribuite virtù terapeutiche eccezionali, si diffuse rapidamente mietendo vittime a centinaia. Dovevano passare ancora<br />

due secoli e mezzo per dare alla trasfusione di sangue un ruolo effettivamente terapeutico anche se, oggi, sappiamo quanto<br />

difficile e periglioso si sia rifatto il suo cammino.<br />

Il fervore scientifico che caratterizza circa due secoli di storia della medicina sembra dimenticarsi della <strong>fame</strong>, la cui importanza<br />

clinica sfuma per assumere sempre più i connotati di un problema<br />

sociale. Siamo all'inizio dell'era industriale e la medicina è tutta protesa allo studio di un nuovo capitolo di patologia,<br />

rappresentato dalla comparsa di malattie da lavoro e inurbamento.<br />

<strong>La</strong> popolazione aumenta, grandi masse affluiscono verso il borgo che si trasforma in città, ove trovano sede le unità produttive.<br />

Vaiolo, lebbra, pellagra, tubercolosi, malattie veneree, scorbuto assorbono tutte le attenzioni dei clinici e infrangono i sogni di<br />

una vita migliore. Molti muoiono con le "coliche da miserere", dolori addominali che precedono la morte per grave<br />

denutrizione, così chiamate perché quando il paziente cominciava a lamentarsi di tali dolori, l'assistente molto solertemente<br />

avvertiva il Priore che faceva suonare la campana a morto ed intonare il "miserere mei Domine" Ma nella scienza medica<br />

ufficiale non vi è sensibilità per questo problema, considerato ineluttabile e quindi affidato all'assistenza di opere pie. In realtà<br />

le grandi scoperte della medicina erano ben lontane dall'offrire validi progressi terapeutici. Malpighi confidava rassegnato<br />

all'allievo Vallisnieri: "Non abbiamo rimedi!", quasi a dar ragione a coloro che negavano l'importanza delle scoperte della<br />

medicina. (18)<br />

Lo stesso Vallisnieri, cattedratico a Padova di medicina pratica prima, e di medicina teorica poi, pur strenuo sostenitore del<br />

metodo sperimentale in biologia, nella pratica medica dimostra tutta la distanza esistente fra la scienza pura e quella applicata.<br />

Così, per una calcolosi renale prescrive : "polvere di millepiedi, emulsione di semi di mefione, di viole rosse, di alchechengi, e,<br />

per cibo, brodo di gamberi bolliti e spremuti nel brodo di pollo, una gelatina formata con raspatura di corno di cervo ed infuso<br />

di vipere".<br />

Un’ordinazione di eliotropio dell'Orto dei Semplici dell'Università di Padova, trasmessa al Vallisnieri nel 1712, era complicata<br />

dalla necessità che il fiore fosse spiccato dal 28 al 30 luglio, non un giorno di più o di meno, perchè altrimenti avrebbe perduto<br />

le sue proprietà curative.<br />

Nello stesso periodo l'illustre cattedratico avalla una ricetta antiasmatica costituita da " latte di capra nera o rossa, da prendersi<br />

subito dopo un bicchiere di acqua stibiata", purchè la terapia sia intrapresa sotto il segno zodiacale del Leone con il latte<br />

"allungato con un terzo di acqua di viole e di bettonica." (19)<br />

In quel periodo, ove nella Farmacopea alligna in posizione preminente la teriaca, una voce autorevole si eleva per dissacrare<br />

molti aspetti della medicina tradizionale, per raccomandare la parsimonia nell'uso indiscriminato dei salassi, ancora ritenuti<br />

fondamentali nella pratica medica, e di terapie "inutili".<br />

E' Bernardo Ramazzini, autore di un'opera importantissima edita nel 1700 a Bologna e rieditata nel 1713 a Padova, il "De<br />

morbis artificum diatriba", primo testo di medicina del lavoro.<br />

Egli scrive: "C'è una categoria di medici che ordina lunghe cure anche per malattie brevi che guarirebbero da sole. Dapprima<br />

propina lenitivi, poi eccitanti, sciroppi di cui sarebbe doveroso non conoscere l'esistenza, indi purganti, ripetuti salassi e mille<br />

altri fastidi, tutto secondo il principio: non passi giorno che non sia stata prescritta una nuova ricetta. Riferiti a questi medici,<br />

suonano bene i versi di Orazio: come sanguisuga che, non appena ha afferrato qualcuno per curarlo, lo tiene e lo uccide e non<br />

lascia la pelle se non quando è piena di sangue". (20)<br />

Si fa propugnatore dell'igiene personale e della pulizia dei malati con bagni o spugnature proprio in un periodo storico durante<br />

il quale le abluzioni corporali igieniche erano ritenute dannose dalla medicina ufficiale. (21)<br />

Per quei tempi non è poco, ma la ricerca delle cause di malattia, meticolosa, paziente, differenziata per categorie di lavoratori,<br />

non considera altro che le condizioni ambientali nelle quali si svolgono le professioni più umili, dagli svuotatori dei pozzi neri<br />

agli scardassatori, dai lavoratori della canapa a quelli del sego. Non un cenno alla alimentazione!<br />

LA MEDICINA EVOLVE<br />

<strong>La</strong> metà del secolo IXX vede lo scontro filosofico culturale fra opposte tendenze della medicina, divisa fra una concezione<br />

spiritualista ed una positivista e materialista, tesi questa che vede in Claude Bernard uno dei più illustri sostenitori<br />

Proprio in questo periodo riemerge il medievale significato terapeutico della buona nutrizione ed allora alcuni Medici più<br />

illuminati indirizzano i loro sforzi nella ricerca di un metodo di nutrizione dei malati che non potevano farlo naturalmente.<br />

Sono gli antesignani della Nutrizione artificiale, moderna terapia della malnutrizione, definita come una delle più importanti<br />

acquisizioni terapeutiche della medicina contemporanea.<br />

Con stecche di balena ed una pelle rovesciata di anguilla viene costruita una rudimentale sonda esofagea che permette di<br />

superare una stenosi e nutrire il paziente.<br />

<strong>La</strong> gommalacca consente la costruzione artigianale dei primi sondini flessibili che troveranno poi, con la gomma vulcanizzata,<br />

un impiego assai vasto.<br />

Sedillot, chirurgo francese, ed Egeberg, tedesco descrivono, pressoché contemporaneamente, la tecnica delle stomie digestive,<br />

sviluppate poi da illustri chirurghi come Witzel, Stamm, Maydl, che hanno consegnato a noi tecniche consolidate e largamente<br />

usate fino a pochissimo tempo fa.<br />

Nel 1873 a Toronto infuriava una epidemia di colera ed il dottor Edward Hodder si trovava di guardia in Ospedale ove gli<br />

portarono un coleroso in fase terminale. Questi era un robusto commerciante di bestiame le cui condizioni cliniche non<br />

lasciavano dubbi sulla gravità dello stato. Chiamati a consulto i colleghi presenti, Hodder chiese il loro parere che fu unanime<br />

nel dichiarare spacciato l'ammalato. Ciò lo indusse a richiedere il loro assenso e la loro collaborazione per una terapia mai fino


ad allora sperimentata, consistente nell'introdurre liquidi nelle vene del paziente. Pur consci della ineluttabilità della morte<br />

prossima, nessuno si sentì di condividere questa responsabilità. Hodder decise di procedere da solo. Fece portare accanto al<br />

letto del moribondo una mucca, e la fece mungere filtrando il latte su di una garza. Estratta dalla borsa la sua siringa iniettò in<br />

una vena circa 200 ml di latte. Nulla accadde. Ma ad una seconda introduzione ricomparve il polso, la pressione sanguigna<br />

aumentò e il sensale canadese riacquistò la coscienza, guarendo poi dal colera. (22)<br />

CONCLUSIONI<br />

Molti decenni, tempo necessario all'allestimento di mezzi tecnici idonei, dovevano passare prima della diffusione della<br />

fleboclisi come comune pratica terapeutica, ma l'incalzare degli eventi, in particolare bellici, accelerò anche l'acquisizione delle<br />

conoscenze fisiologiche portando in pochi anni alla soluzione di un problema che in secoli di storia aveva trovato l'uomo<br />

impotente. Pur tuttavia, la grande quantità di dati scientifici raccolti in venticinque anni di applicazioni cliniche della nutrizione<br />

artificiale non hanno fatto altro che confermare ciò che gli Uomini di Fede del protomedioevo avevano intuito con la<br />

osservazione e la cura amorosa dei malati: cibo e salute sono imprescindibili. Anche la riacquisizione dell'antico timore per gli<br />

eccessi alimentari, che tanta parte ha oggi nel nostro comportamento, non deve stupire.<br />

Gli " umori " in eccesso, provocati dall'indulgere alla gastrimargia o golosità, tanto stigmatizzati dalle regole monastiche<br />

medievali, hanno cambiato nome e si chiamano ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, rischio cardiologico, obesità, ma gli<br />

epigoni di Giovanni Cassiano non sono più pii monaci armati di saggezza e di fede, bensì emblematici personaggi televisivi.<br />

<strong>La</strong> <strong>fame</strong>, come problema primario, affligge però ancora buona parte dell'umanità, anche nelle società più benestanti, ove<br />

gruppi sempre più numerosi di persone, spinte ai margini del contesto sociale da contingenze non sicuramente desiderate,<br />

sopravvivono ai limiti delle possibilità.<br />

<strong>La</strong> società evoluta, grazie alle moderne tecniche di conservazione e stoccaggio delle derrate alimentari, non conosce più la<br />

carestia, determinante in passato della <strong>fame</strong> e della morte.<br />

Noi, figli del benessere, che ancor prima della nascita veniamo accolti da una società che ci lava, ci asciuga, ci profuma, ci<br />

avvolge in pannolini e pannoloni, ci nutre, ci usa e ci getta (basta guardare la pubblicità per rendercene conto!), abbiamo<br />

imparato a conoscere e a combattere un nuovo tipo di <strong>fame</strong> che in un individuo solo condensa tutta la sua carica aggressiva,<br />

destruente, mortale.<br />

Ma siamo anche figli di una società in lenta sommersione sotto una montagna immarcescibile di rifiuti prodotti da uno sfrenato<br />

consumo di beni, che non si accorge o non vuole accorgersi (o si serve? ... ) di una società che muore senza produrre rifiuti,<br />

non avendo spesso neppure la possibilità di soddisfare i suoi fabbisogni primari.<br />

L'uomo, forse, non finirà mai di combattere la sua battaglia quotidiana contro la <strong>fame</strong>, naturale compagna del suo viaggio<br />

mortale. Per essa sono state commesse tragiche o stupende azioni. Per essa i compagni di Ulisse osarono persino sfidare l'ira di<br />

Giove uccidendo e mangiando le sue sacre vacche. Il saggio Omero però giustifica pienamente l'atto con queste parole:<br />

'tutte odiose ad un uom le morti<br />

Ma nulla tanto che il perir di <strong>fame</strong><br />

(Odissea, XII, 271)<br />

Bibliografia<br />

1. MONTANARI M.: Alimentazione e cultura nel Medioevo, <strong>La</strong>terza 1988, pag. 212 e segg.<br />

2.Ibid, pag. 4.<br />

3.Ibid, pag. 13.<br />

4. COSMACINI G.: Storia della medicina e della <strong>San</strong>ità in Italia <strong>La</strong>terza, pag 188 e segg.<br />

5. MONTANARI M.: op. cit., pag. 23.<br />

6. Ibid: pag. 24.<br />

7. Ibid: pag. 25 (cfr. anche dello stesso Autore: <strong>La</strong> <strong>fame</strong> e l'abbondanza. Storia della alimentazione in Europa. <strong>La</strong>terza 1993,<br />

pag. 23).<br />

8. Ibid: pag. 26.<br />

9. Ibid: pag. 124.<br />

10. CIPOLLA C.M.: Miasmi ed amori, Il Mulino, 1989, pag. 7.<br />

11 I. Ibid, pag. 48.<br />

12. Ibid, pag, 21 e segg.<br />

13. CAMPORESI P. Introduzione a: CORBIN A. Le miasme e la jonquill,-; trad. ital: Storia sociale degli odori. Ed. Studio,<br />

1986, pag. X'vl.<br />

14. CIPOLLA C.M.: I pidocchi ed il granduca. Il Mulino, 1979,pag.14.<br />

15. COSMACINI G. op.cit., pagg. 290, 350.<br />

16. Cfr. SALAMAN R.N.: Storia sociale della patata. 1989.<br />

17. MOULIN A.M.: Le battaglie della trasfusione. In: j. Le Goff, J.C. Sournia: Les malatdies ont on hisioire, 1985, trad it.<br />

Dedalo, 1986.<br />

18. COSMACINI G.: op. cit., pag. 169.<br />

19. Ibid, pag. 205.<br />

20. Ibid, pag. 206.<br />

21. Cfr. WRIGHT C.: Civiltà in bagno. Garzanti, 1960.<br />

22. ThePractitioner, 1873.

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