Paolo Aldo Rossi Direttore scientifico di ... - Anthropos e Iatria
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<strong>Paolo</strong> <strong>Aldo</strong> <strong>Rossi</strong><br />
<strong>Direttore</strong> <strong>scientifico</strong> <strong>di</strong> <strong>Anthropos</strong> & <strong>Iatria</strong><br />
Questo numero della Rivista “<strong>Anthropos</strong> & <strong>Iatria</strong>” è de<strong>di</strong>cato al Professore Carlo Maccagni per il suo settantaduesimo<br />
compleanno da alcuni colleghi, amici ed allievi, anche perchè l’Università, a tale data, <strong>di</strong>chiara che si sono raggiunti “i limiti<br />
d’età” per l’insegnamento, e cioè si può rincominciare ad essere “maestro” senza essere impiegato statale.<br />
Senza amici nessuno sceglierebbe <strong>di</strong> vivere, anche se<br />
avesse tutti gli altri beni<br />
(Aristotele, Etico Nicomachea)<br />
Se avessimo pubblicato tutti i “papers in onore <strong>di</strong>” - da parte dei “contribuenti” previsti, creduti, reputati, congetturati... la<br />
rivista sarebbe <strong>di</strong>ventata ben più lunga delle 120 pagine che deve essere, ma l’avremmo comunque fatta, ma quello che ci<br />
manca è il tempo e non le pagine. E qui io debbo fare le mie scuse a moltissimi colleghi che sono stati contattati da me in<br />
ritardo (un anno fa, il che è, dal punto <strong>di</strong> vista accademico, sinceramente poco) e hanno cercato <strong>di</strong> arrivare in tempo, presi da<br />
tutte le relazioni che dovevano presentare da anni per gli Atti dei <strong>di</strong>versi convegni e dalle lezioni e dagli impegni universitari<br />
che sono raddoppiati e sono sempre più incombenti e in<strong>di</strong>fferibili.<br />
Ci spiace per quelli che non hanno fatto a tempo a consegnare il loro lavoro, specie alcuni gran<strong>di</strong> amici ed allievi <strong>di</strong> Carlo<br />
Maccagni, che avrebbero reso queste pagine ancora più preziose.<br />
Dobbiamo ringraziare in primo luogo gli amici <strong>di</strong> sempre che hanno con<strong>di</strong>viso tanti anni <strong>di</strong> insegnamento e <strong>di</strong> attivita<br />
scientifica, ma anche momenti <strong>di</strong> piacevole convivialità, poi gli allievi che riconoscono in Carlo Maccagni non solo un<br />
autentico maestro, ma anche una guida amichevole sempre pronta a elargire consigli e preziosi suggerimenti ed infine i<br />
colleghi <strong>di</strong> altre se<strong>di</strong> universitarie, che con il loro contributo hanno voluto, anche da lontano, attestare la loro stima.<br />
Li ricor<strong>di</strong>amo per anzianità, il che vuol <strong>di</strong>re per gli anni che hanno conosciuto Carlo Maccagni: Evandro Agazzi, docente <strong>di</strong><br />
Filosofia Teoretica alla Università <strong>di</strong> Genova e Presidente dell'Académie Internationale de Philosophie des Sciences <strong>di</strong><br />
Bruxelles, Ferruccio Bertini, già Preside della Facoltà <strong>di</strong> Lettere, docente <strong>di</strong> Letteratura Latina presso il DARFICLET<br />
dell’Università <strong>di</strong> Genova, <strong>Paolo</strong> <strong>Aldo</strong> <strong>Rossi</strong>, docente <strong>di</strong> Storia del Pensiero Scientifico e <strong>di</strong> Storia del Pensiero Me<strong>di</strong>co e<br />
Biologico presso la Facoltà <strong>di</strong> Lettere e Filosofia, Sezione <strong>di</strong> Epistemologia, dell’Università <strong>di</strong> Genova, Margherita Rubino,<br />
docente <strong>di</strong> Teatro e Drammaturgia dell’Antichità presso il DARFICLET dell’Università <strong>di</strong> Genova.<br />
Gli allievi più anziani: Ida Li Vigni, professoressa presso il Liceo Artistico Statale "Paul Klee" e cultore <strong>di</strong> storia della scienza<br />
all’Università <strong>di</strong> Genova, Stefano Leoni, professore <strong>di</strong> storia ed estetica musicale presso il Conservatorio <strong>di</strong> Musica “G. Ver<strong>di</strong>”<br />
<strong>di</strong> Torino e <strong>Direttore</strong> del Laboratorio <strong>di</strong> Musica e Sociologia delle Arti, Università degli Stu<strong>di</strong> “C. Bo” <strong>di</strong> Urbino, Giuseppe<br />
Palmero, docente <strong>di</strong> filosofia nei licei e Chercheur Associé presso il Centre d'Études Préhistoire Antiquité Moyen-Age C.N.<br />
R.S. della Université de Nice Sophia Antipolis, Pier <strong>Paolo</strong> Pracca, psicologo e psicoterapeuta, ma a Genova storico della<br />
scienza ed antropologo.<br />
Quelli più giovani: Lourdes Velàsquez Gonzàlez, che già laureata a Città del Messico ha voluto prendere la laurea anche<br />
Genova, Yael Razzuoli, che laureata a Genova si è innamorata della UNAM e vorrebbe tornare in Messico, Davide Arecco,<br />
dottore <strong>di</strong> ricerca a Bari e attualmenre ricercatore a Torino, e infine il nostro Fernanda Piterà, che essendo già me<strong>di</strong>co-chirurgo<br />
e uno dei massimi fitorapeuti ed omeopati italiani, si è iscritto a filosofia ed è stato uno degli ultimi studenti <strong>di</strong> Carlo<br />
Maccagni.<br />
Non potevano mancare stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> chiara fama, per così <strong>di</strong>re lontani dal cenacolo genovese, ma desiderosi <strong>di</strong> parteciparvi:<br />
Mercedes de la Garza, Direttrice dell'Istituto <strong>di</strong> Ricerche Filologiche dell'Università Nazionale Autonoma del Messico,<br />
Giuseppe Del Re, fisico-chimico alla Università Federico II <strong>di</strong> Napoli, e Giuseppe Sermonti, già or<strong>di</strong>nario <strong>di</strong> genetica e noto<br />
saggista.<br />
Comes facundo in via pro vheiculo est<br />
Publio Siro
IL DOTTOR JOHN LOCKE<br />
Nel 1704, trecento anni fa, moriva nel castello <strong>di</strong> Oates nell’Essex il dottor John Locke che prese varie lauree, anche quella in<br />
me<strong>di</strong>cina, senza mai poterne avere il dottorato; eppure fu uno dei me<strong>di</strong>ci-filosofi più importanti della storia del mondo<br />
occidentale.<br />
Nel 1666, infatti, John Locke, non essendo ancora laureato in me<strong>di</strong>cina, tentò <strong>di</strong> avere un privilegio in modo da ottenere il<br />
dottorato, cosa che gli fu negata (si <strong>di</strong>ce perchè era del partito puritano), ma sinceramente gli mancavano i requisiti legali.<br />
“Tutto quello che era chiesto per ottenere una laurea in me<strong>di</strong>cina - <strong>di</strong>ce Fox Bourne, il suo biografo - era la regolare frequenza<br />
per tre anni alle lezioni d’arabo, anatomia e me<strong>di</strong>cina e la partecipazione ad un certo numero <strong>di</strong> <strong>di</strong>spute nella scuola me<strong>di</strong>ca,<br />
dopo <strong>di</strong> che poco più <strong>di</strong> quattro anni erano sufficienti per qualificarsi per il dottorato. Le lezioni <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cina, ogni martedì e<br />
venerdì mattina, durante i corsi erano semplicemente l’esposizione d’insegnamenti ippocratici e galenici. Per il corso<br />
d’anatomia, gli studenti erano tenuti in primavera a seguire il <strong>di</strong>ssezionamento <strong>di</strong> un corpo umano e partecipare a quattro<br />
lezioni, ciascuna <strong>di</strong> due ore, su quest’argomento, e in autunno seguire tre lezioni sullo scheletro umano”. Cosa che il Nostro<br />
aveva fatto, ma quando ottenne la laurea, nel 1674, la sua influenza politica non gli valse il titolo <strong>di</strong> dottore; oltretutto, più<br />
tar<strong>di</strong> (1684), fu espulso dalla Crist Church per or<strong>di</strong>ne del re, la scuola dove era fellow dal 1659 e aveva tra i suoi amici il<br />
chimico Robert Boyle, il me<strong>di</strong>co Thomas Sydenam, il naturalista Walter Needham, ... e oltretutto aveva contribuito a fondare<br />
la Royal Society.<br />
“La durata della vita, - così inizia il De Arte me<strong>di</strong>ca del 1669 - liberi da infermità e dolore, per quanto sia possibile,<br />
considerando la nostra fragile costituzione, è così importante per l’umanità, che è <strong>di</strong>fficile immaginare una professione più<br />
grande <strong>di</strong> quella che cura le malattie, né esiste un’arte che merita più cure e industriosità da parte dei suoi professori, per<br />
migliorarla e portarla alla perfezione, che non dubito si possa fare in molte parti”.<br />
Ma an<strong>di</strong>amo con or<strong>di</strong>ne: John Locke, nel 1652, si iscrisse ad Oxford dove, stu<strong>di</strong>ando oratoria e lettere classiche, ottenne la<br />
laurea nel 1655 e conseguì il dottorato nel 1658; l’anno dopo <strong>di</strong>venne studente senior alla Christ Church, nel 1660 lettore <strong>di</strong><br />
greco e nel 1662 lettore <strong>di</strong> retorica. Si iscrive a me<strong>di</strong>cina, ma non ottenne la laurea fino al 1674, pur avendo fatto un<br />
quadriennio in una delle più importanti se<strong>di</strong> estere <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> me<strong>di</strong>ci, a Montpellier, ma il dottorato non lo conseguì mai,<br />
nonostante fosse un ottimo me<strong>di</strong>co pratico e teorico, amico <strong>di</strong> Richard Lower, Walter Needham e John Mapletoft,<br />
collaboratore <strong>di</strong> Sydenam, impegnato nelle ricorrenti epidemie <strong>di</strong> vaiolo e operante con ruolo <strong>di</strong> primo piano in casi clinici<br />
rilevanti e in consulti chirurgici considerevoli.<br />
Un vero e proprio pasticcio - come è oggi nelle Università italiane con le lauree quadriennali, triennali, specialistiche, i<br />
masters, i perio<strong>di</strong> all’estero, la somma dei cre<strong>di</strong>ti <strong>di</strong> informatica, inglese e impresa, e quant’altro e ... la SIS, che fatti i conti o<br />
sono troppi o troppo pochi, per cui lo studente non sa che pesci prendere. Il dottorato esiste a concorso, pagato dallo stato (per i<br />
più bravi), ma chi è che dopo tre anni <strong>di</strong> durissimo lavoro con una tesi <strong>di</strong> autentica ricerca, trovandosi scavalcato dalla SIS<br />
(dato che l’unico lavoro, sia pur precario, è la scuola), fa i salti per la contentezza nel trovarsi davanti uno che si è pagato<br />
l’ingresso come insegnante temporaneo, provvisorio, caduco e passeggero nella scuola, mentre un giovane che ha scitto libri ed<br />
articoli può giusto fare il commesso in una palestra o l’impiegato in una assicurazione? Però nell’autonomia dell’Ateneo, cosa<br />
a cui teniamo tanto, ma con una “ministra” tuttologa e legiferante (ad<strong>di</strong>rittura sul presepe, su Cristoforo Colombo, sulla<br />
sicurezza a scuola ... e su altre amenità), da cui - ovvero dalla scuola - ci aspettiamo che esca un vero me<strong>di</strong>co, un autentico<br />
filosofo e un grande politologo che come il “dottor Locke” non abbia un vero titolo accademico, ma una competenza effettiva<br />
in tutte e tre le materie.<br />
Ma torniamo a Locke. Il suo lavoro An Essay concerning Human understanling, del 1690, lo ascrive fra i filosofi che hanno<br />
dato qualcosa all’umanità e che gli studenti continuano a leggere e a <strong>di</strong>scutere, e non fra quelli che sono declamati e<br />
commentati all’interno della propria setta politica o religiosa.<br />
Con l’ Epistola sulla tolleranza del 1689 e con i due Trattati sul governo e con i Pensieri sulla educazione ci troviamo <strong>di</strong> fronte<br />
a un autentico filantropo e a un politologo <strong>di</strong> vaglia. Come segretario dei Lords Proprietors collaborò alla stesura <strong>di</strong><br />
Fundamental Constitution of the Government of Carolina, dando così il proprio impegno a un qualcosa <strong>di</strong> fattibile e l’originale,<br />
scritto <strong>di</strong> suo pugno, con molte cancellazioni e cambiamenti lo attesta.<br />
Ma veniamo alla me<strong>di</strong>cina o al lavoro del me<strong>di</strong>co, cosa che occupò parte della sua vita, dal 1666 fino al 1684. Di questo fatto i<br />
manuali <strong>di</strong> storia della filosofia o non ne parlano proprio o ne <strong>di</strong>cono qualcosa, ma <strong>di</strong>scutendo <strong>di</strong> Sydenam (la Prefazione e la<br />
De<strong>di</strong>ca della Methodus Curan<strong>di</strong> Febres - la più nota opera dell’empirismo me<strong>di</strong>co inglese), o si accorgono che nel 1683 Boyle<br />
de<strong>di</strong>cò il suo testo Memoirs for the Natural History of the Human Blood all’ “ingegnoso e preparato del Dr. J. L.”, sotto la<br />
richiesta del quale aveva intrapreso il lavoro o, last but not least, come un pettegolezzo su come s’incontrarono Lord Axley<br />
Cooper, Cancelliere d’Ingilterra e conte <strong>di</strong> Shaftesbury, e John Locke: “Pare che Lord Ashley, essendo in cattiva salute e<br />
avendo una malattia che nessun me<strong>di</strong>co poteva spiegare, che stava <strong>di</strong>ventando ogni giorno più dolorosa, e avendo un’opinione<br />
molto alta del valore mentale e morale del suo nuovo amico, persuase Locke a risiedere presso <strong>di</strong> lui come me<strong>di</strong>co per la sua<br />
famiglia”. In altre parole: da questo venne tutta la fortuna <strong>di</strong> Locke nella vita, o almeno finchè visse il suo protettore, perchè<br />
nell’1683 fu sospettato <strong>di</strong> aver cospirato contro la Corona e si rifugò esule in Olanda fino al 1689; tornato in Inghilterra non<br />
ebbe più a che fare con la me<strong>di</strong>cina, ma solo con la filosofia e la politica.<br />
“E’ necessario scrivere - afferma Locke - la storia naturale <strong>di</strong> ciascuna malattia scartando rigorosamente ogni ipotesi: essa<br />
[l'esperienza clinica] è l'unico mezzo per scoprire le cause, se non le cause lontane e segrete (speranza chimerica) almeno le<br />
cause imme<strong>di</strong>ate e prossime, che noi possiamo rilevare e che ci in<strong>di</strong>cano i rime<strong>di</strong>” . In altri termini: non si persegue più<br />
l'indagine naturalistica (intesa alla ricerca delle cause dell'evento morboso nello sconcerto delle strutture fisico-chimiche della<br />
macchina organismica), ma si propone <strong>di</strong> sostituirle l'indagine storico-fenomenologica intesa alla “spiegazione” (nel senso <strong>di</strong><br />
“dare ragioni” e non soltanto “cause”) dell'intero svolgersi della malattia. Nel 1670 uscirà, con la Prefazione <strong>di</strong> J. Locke, la<br />
Methodus curan<strong>di</strong> febres <strong>di</strong> Thomas Sydenham, opera che già dal titolo allude a profonde <strong>di</strong>fferenze rispetto ai manifesti<br />
iatromeccanico e iatrochimici e che rappresenterà con le appena posteriori Observationes circa morborum acutorum historiam
et curationem (de<strong>di</strong>cata da Sydenham a Locke) il manifesto della me<strong>di</strong>cina empirica. Thomas Sydenham oppone infatti, sulla<br />
falsariga della classica polemica fra empirici e razionali, all'a-priori dei razionali l'aforisma <strong>di</strong> Celso: Ars me<strong>di</strong>ca tota in<br />
observationibus. Alla loro concezione della malattia come “squilibrio funzionale” (scompensi meccanici e chimici, alterazioni<br />
dei liqui<strong>di</strong> e lesioni dei soli<strong>di</strong>, sconcerto nella composizione delle minute macchine, impe<strong>di</strong>menti ai moti interni delle<br />
particelle, ecc.) egli risponde con una nosologia in cui il morbo è stu<strong>di</strong>ato nelle sue particolarità ed accidentalità. In altre<br />
parole: alla terapeutica della me<strong>di</strong>cina razionale derivata nel senso della consequenzialità logica dalla teoria biologica (nel caso<br />
in questione, dalla teoria meccanicistica del vivente) la me<strong>di</strong>cina empirica oppone una terapeutica basata su descrizioni precise<br />
(per catalogazione e raggruppamento) dei sintomi, su puntuali cronache del decorso del morbo, a seconda della<br />
somministrazione <strong>di</strong> rime<strong>di</strong> specifici, sulla costituzione <strong>di</strong> quadri clinici sempre meglio definiti. All'esperimento viene opposta<br />
la semplice esperienza, in quanto la natura va osservata così come si presenta e non costretta entro gli angusti limiti della<br />
sperimentazione. Alla concezione razionalistica della scienza, per cui sapere significa “dedurre entro la teoria”, si oppone un<br />
uso restrittivamente pragmatico dell'induzione. Alla illusione <strong>di</strong> poter pervenire, per via speculativa, alla conoscenza del vero<br />
modo d'operare della natura si sostituisce la consapevolezza che l'umana conoscenza deve accontentarsi <strong>di</strong> descrivere ciò che è<br />
stato raccolto osservativamente.“L’arte della me<strong>di</strong>cina - <strong>di</strong>ce appunto Sydenham - può essere correttamente appresa solo dalla<br />
pratica e dall’esercizio”. E Locke, all’inizio della sua De arte me<strong>di</strong>ca, riba<strong>di</strong>sce: “La mia intenzione è quin<strong>di</strong> proporre alcune<br />
cose alla considerazione degli uomini saggi <strong>di</strong> questa facoltà così utile, ed eccitare la loro mutua assistenza per perfezionare<br />
l’arte e stabilire una pratica certa e sicura nella cura delle malattie, in modo che il grande catalogo delle malattie ancora<br />
incurabili, e i frequenti eventi tristi <strong>di</strong> altri che <strong>di</strong>minuiscono ogni giorno, la <strong>di</strong>ffidenza che alcuni uomini sobri, dopo<br />
considerazioni serie, sembrano avere della stessa arte e il <strong>di</strong>scre<strong>di</strong>to, che altri gettano industriosamente sulla pratica della fisica,<br />
essendo rimossi dalla crescita giornaliera del successo dei me<strong>di</strong>ci, gl’industriosi e dotti praticanti della me<strong>di</strong>cina (possano), con<br />
più confidenza e sod<strong>di</strong>sfazione, rispondere alla loro chiamata, quando non saranno più legati a quei confessi opprobria<br />
me<strong>di</strong>corum, che ogni giorno si piegano all’efficienza dei loro farmaci o meto<strong>di</strong> ben or<strong>di</strong>nati.”<br />
Ammaestrato infatti dalla sterile polemica fra Harvey e Cartesio, se fosse il sangue oppure il cuore il principio e la causa della<br />
vita, e certamente consapevole del fatto che la biologia cartesiana (che già iniziava ad esser mitizzata come il verbo me<strong>di</strong>co)<br />
era intessuta <strong>di</strong> molte ipotesi metafisiche più dannose che inutili per il clinico (Stenone e Swammerdam avevano infatti da<br />
poco <strong>di</strong>mostrato il primo la fantasiosità della ghiandola pineale ed il secondo l'improponibilità dello schema idrostatico nella<br />
conduzione nervosa), J. Locke <strong>di</strong>chiara, un decennio prima <strong>di</strong> Newton, il suo “Hypoteses non fingo”. Il suo rigoroso rifiuto <strong>di</strong><br />
ogni ipotesi è però (come sarà anche per Newton) non certo imputabile ad una immatura metodologia empiristica, bensì il<br />
frutto della consapevolezza che il contrabbando <strong>di</strong> “presupposti metafisici” nella scienza farebbe regre<strong>di</strong>re questa al livello<br />
prebaconiano e pregalileiano. In verità la denuncia <strong>di</strong> Locke, e conversamente quella <strong>di</strong> Newton, contro l'uso delle “ipotesi” (il<br />
termine, val la pena <strong>di</strong> ripeterlo, è usato nel senso del classico semantema greco, che oggi traduciamo con “postulato” o<br />
“presupposto”) non è gratuita. Il principale bersaglio polemico è evidentemente la teoria cartesiana del mondo vivente, alla<br />
quale proprio in quegli stessi anni era stata data ampia pubblicità (il De homine viene pubblicato infatti nel 1662 e la sua<br />
versione francese nel 1664; inoltre ci pare improbabile che proprio negli anni in cui Locke fu a Montpellier non avesse avuto<br />
modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>scutere con Barbeyrac la concezione cartesiana dell'uomo). La presenza nella biologia cartesiana <strong>di</strong> molte ipotesi ad<br />
hoc, inventate proprio per far quadrare i conti dell'osservabile con il sistematizzato, ma (nella terminologia logica newtoniana)<br />
“non deducibili dai fenomeni”, giustifica ampiamente la critica lockiana ad una dottrina del vivente che pretenda <strong>di</strong> fondarsi<br />
come scienza ricorrendo ai princìpi della metafisica. Che invece Locke non avesse nulla a che ri<strong>di</strong>re sull'uso <strong>di</strong> autentiche<br />
ipotesi scientifiche (nel senso che oggi <strong>di</strong>amo a tale termine) può essere facilmente verificato dal fatto che, ad esempio,<br />
nell'VIII capitolo del II Libro del Saggio sull'intelletto umano egli, per impostare la fisica delle qualità secondarie, ricorre<br />
proprio a quella ipotesi corpuscolare sulla quale, da Galileo in poi, la scuola me<strong>di</strong>ca italiana aveva costruito l'intera teoria<br />
biologica e non soltanto l'estesiologia (l’atomismo)<br />
Ma c’è qualcosa <strong>di</strong> più che è sempre rimasto nascosto nella vita del dottor Locke, ossia il fatto che fosse da grecista-me<strong>di</strong>co<br />
<strong>di</strong>venuto un filosofo-politico. I termini loimov" (pestilenza), loigov" (flagello), rivoluzione (stavsi") e nou~so" (morbo o<br />
malattia) vengono utilizzati come sinonimi allorchè in<strong>di</strong>cano il risultato morboso <strong>di</strong> un corpo malato, in una visione<br />
organicistica del soggetto bio-politico fra macrocosmo (salute dello stato) e microcosmo (salute del citta<strong>di</strong>no).“Dunque un<br />
piccolo agente esterno - Platone, Repubblica, 556 e - basta a far ammalare un corpo debole, che talvolta si trova <strong>di</strong> per sé in<br />
cattivo stato, così anche una città che si trovi in una con<strong>di</strong>zione analoga, per un futile motivo, mentre gli uni chiedono soccorso<br />
a un'altra città oligarchica e gli altri a una città democratica, si ammala e combatte con se stessa, e talora anche senza soccorso<br />
esterno scoppia la guerra civile…” . Ed è a questo punto che si rende conto che la cura del corpo e della mente in<strong>di</strong>viduale e<br />
sociale vanno <strong>di</strong> pari passo, per cui è il momento <strong>di</strong> darsi alla politica.<br />
“La terra greca è <strong>di</strong>venuta il tuo soggiorno, - <strong>di</strong>ceva Euripide nella Medea, vv. 536-537 - tu hai conosciuto la giustizia e sai<br />
vivere secondo la legge e non secondo la forza” .<br />
Il dottor Locke, allora, pronuciava la più celebre frase del suo secolo: “Tutti gli uomini sono per natura liberi”.