12.06.2013 Views

Paolo Aldo Rossi: Girolamo Fracastoro: fra l'admirandus consensus ei

Paolo Aldo Rossi: Girolamo Fracastoro: fra l'admirandus consensus ei

Paolo Aldo Rossi: Girolamo Fracastoro: fra l'admirandus consensus ei

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

<strong>Paolo</strong> <strong>Aldo</strong> <strong>Rossi</strong>: <strong>Girolamo</strong> <strong>Fracastoro</strong>: <strong>fra</strong> <strong>l'admirandus</strong> <strong>consensus</strong> e i "multarum semina rerum"<br />

Nel 1546 viene fissata una pietra miliare nella storia della biologia e dell'epidemiologia: la pubblicazione, a Venezia apud<br />

Heredes L. Iuntae, del De contagione et contagiosis morbis et curatione del medico veronese Gerolamo <strong>Fracastoro</strong>. Si tratta<br />

della prima ipotesi esplicativa, organicamente esposta e corredata da corrette descrizioni patologiche e da diligenti indagini<br />

anamnestiche ed eziologiche, sull'evento epidemico o, per meglio dire, in tale opera è contenuta la prima formulazione della<br />

teoria per cui le malattie contagiose sono sostenute e provocate da "semina" contaminanti, le "particulae illa insensibiles<br />

seminaria contagionum dicantur".A questa autentica ricerca di epidemiologia il <strong>Fracastoro</strong> fa precedere, quale necessaria base<br />

teoretica e metodologica (e la vuole addirittura rilegata nello stesso volume) il De sympathia et antipathia rerum, opera che<br />

l'autore considera propedeutica al successivo studio sulle malattie infettive. I due saggi sono, a suo dire assolutamente<br />

imprescindibili l'uno dall'altro ed infatti nella Prefazione il <strong>Fracastoro</strong> tiene il De Sympathia in così grande considerazione da<br />

scrivere: "... sine quo natura contagionum plane perquiri et monstrari posse non videbatur" [senza questa premessa filosofica<br />

non sarebbe assolutamente possibile occuparsi della natura delle malattie infettive] 1<br />

In altre parole, prima di occuparsi della natura d<strong>ei</strong> morbi contagiosi è necessario partire dai lucreziani "multarum semina<br />

rerum" e, quindi, rispondere alla domanda circa la "forza" che unisce e tiene insieme le particelle d<strong>ei</strong> corpi e funge da vincolo<br />

interconnettivo di tutto ciò che compone l'universo. Quale è dunque la radice, il principio, la causa di quel: "... primus autem<br />

communis rebus omnibus et admirandus ipsius universi <strong>consensus</strong> " [primo e mirabile consenso dell'universo comune a tutte le<br />

cose] 2 .<br />

Al fine di rispondere a questa domanda il <strong>Fracastoro</strong> inizia da quella è l'impostazione basilare del naturalismo magico ossia dal<br />

concetto della fondamentale relazione di simpatia ed antipatia <strong>fra</strong> gli elementi. L'idea rinascimentale di Natura come di un<br />

cosmo retto da forze spirituali e animato da occulte corrispondenze che lo studioso deve saper riprodurre quale immenso<br />

ologramma in cui sia riportata l'intera mappa d<strong>ei</strong> legami <strong>fra</strong> "quel che sta sopra e quel che sta sotto", sta alla base di quel<br />

grandioso sistema di "filosofia naturale" costruito sulla concezione del generale consenso dell'Universo, la cui armonia è<br />

fondata su di un ordine tra le cose per cui il simile tende al simile, mentre i contrari si rifuggono. Ma se tale rapporto di<br />

attuazione e di repulsione appartiene ad un universo mentale di tipo magico-simbolico, quale senso dare al diffusissimo uso<br />

che il termine "naturale" ha acquisito nella filosofia del Rinascimento tanto da divenirne quasi l'aggettivo qualificativo? Quale<br />

significato dare, cioè, all'opera di medici, astronomi, fisici, chimici che avevano ribattezzato l'universo d'oggetti della<br />

aristotelica filosofia della natura, con il nome di magia naturale? Marsilio Ficino dichiara che la vera magia è quella di coloro<br />

che:"sottopongono opportunamente le materie naturali e le cause naturali, onde si plasmino per una certa mirabile legge" 3 e<br />

ancora: ".. non si parla qui di quella magia profana che si fonda sul culto d<strong>ei</strong> demoni, ma della magia naturale che sfrutta i<br />

benefici influssi celesti con i mezzi naturali" 4 .<br />

Pico della Mirandola ribadisce che l'operazione magica è il matrimonio del mondo che avviene "actuando vel uniendo<br />

virtutes naturales" 5 .<br />

Cornelio Agrippa di Nettesh<strong>ei</strong>m avverte che il Mago ottiene i suoi scopi attraverso: "… la concordanza del mondo in cui le<br />

cose celesti attraggono quelle sovracelesti e le cose naturali quelle sovrannaturali grazie alla virt che circola in tutte le cose e<br />

alla partecipazione ad essa di tutte le specie" 6 e ribadisce che: ".. s'ingannano quelli che stimano le operazioni magiche essere<br />

sovrannaturali o praeternaturali mentre provengono dalla natura e son fatte secondo natura" 7 .<br />

Pietro Pomponazzi infine, maestro del <strong>Fracastoro</strong>, addirittura pensa che angeli e demoni siano costretti ad agire secondo le<br />

leggi a cui sottostà il mondo naturale. Il capolavoro del naturalismo rinascimentale è la rottura con il principio aristotelico che<br />

sancisce la differenza, in ordine alla diversità delle rispettive forme, <strong>fra</strong> i naturalia e gli artificialia, proclamando l'artificialità<br />

del naturale."Per gli uomini del XVI e XVII secolo - scrive il Koyrè - tutto è naturale e nulla è impossibile a farsi, dato che la<br />

magia tutto governa e la stessa natura non è che magia operata da un Dio supremo mago" 8 .<br />

L'unico principio metodologico ed epistemologico che guida il lavoro del naturalista, vuoi cultore di scienze occulte vuoi<br />

cultore di magia naturale, è l'analogia come libera associazione d'idee ( reputata per una curiosa riedizione della dottrina<br />

scolastica dell'adaequatio non solo legge del pensiero, ma anche norma universale che regola tutti gli esseri). L'analogia non<br />

richiede un metodo i quanto essa stessa è metodo che si fonda sulla rottura di ogni schema, ribellione al pensiero disciplinato,<br />

libero ed incontrollato fluire della metafora: il gioco del significato che ripercorre se stesso e sul proprio cammino si ricrea in<br />

un cal<strong>ei</strong>doscopio di strutture analoghe, univoche ed equivoche che tra di loro si richiamano, si elidono e si rafforzano. Sullo<br />

schema concettuale della Divina Analogia il XVI secolo costruisce i predicati base della sua teoria fisico-naturalistica. Questi<br />

sono le simpatie e le virtù, con ciò si può poi passare a definire con precisione le proprietà e le relazioni <strong>fra</strong> i fenomeni.<br />

Generato, quindi, dall'intelligenza della fantasia, dall'eros incoartabile verso la vita, dai sogni disegnati dal desiderio, l'età della<br />

"rinascita" coltiva una struttura di fecondo disordine generale fatta per˜ di parti rigorosamente ordinate e funzionalmente<br />

connesse. A riprova che Lord Cancelliere aveva malcompreso il modo di pensare del suo secolo: "La verità resiste meglio<br />

all'errore - dice un noto aforisma baconiano - che alla confusione" sta, ad esempio, proprio l'opera di Gerolamo <strong>Fracastoro</strong> il<br />

quale, a partire da tutta una "confusionaria" metodologia fondata sul sistema di pensiero della "divina analogia", perviene alla<br />

comprensione di uno d<strong>ei</strong> capisaldi della moderna biologia: la spiegazione del contagio e nel, contempo, r<strong>ei</strong>mposta il tema della<br />

simpatia su di una tonalità del tutto originale rispetto alla consuetudine di pensiero del suo tempo.Gerolamo <strong>Fracastoro</strong> nacque<br />

1<br />

Gerolamo <strong>Fracastoro</strong>, De sympathia et antipathia rerum, Venezia, 1546, Introduzione<br />

2<br />

ibidem , cap. II<br />

3<br />

Marsilio Ficino, De vita libri tres, trad it. in E. Garin, Filosofi italiani del 400, Firenze, 1942, pp.372 e sgg.<br />

4<br />

ibidem<br />

5<br />

Giovanni Battista Pico della Mirandola, Opera Omnia, Basilea, 1572, pp. 180-181<br />

6<br />

Cornelio Agrippa di Nettesh<strong>ei</strong>m, De occulta phylosophia, Lugduni, 1533, vol.I, p. 38<br />

7<br />

ibidem<br />

8<br />

A. Koyré, La philosophie de J. Boeheme, Paris, 1929, p. 18


a Verona nel 1478 da antica e nobile famiglia che aveva dato i natali a celebri medici e giuristi della Corte Scaligera. Inviato a<br />

Padova affinché vi studiasse medicina ebbe come primo maestro il veronese Gerolamo Della Torre il quale lo inserì nel<br />

fervido clima di dispute logico-metodologiche e filosofiche che sarebbero sfociate n<strong>ei</strong> grandi fermenti culturali dell'iter<br />

preparatorio della rivoluzione scientifica che, giova forse ancora ripeterlo, ha avuto nell'ateneo patavino d<strong>ei</strong> secoli XVI e XVII<br />

il suo più forte nucleo generatore. Ebbe <strong>fra</strong> i suoi maestri di filosofia il Pomponazzi, l'Achillini e il Trapolini, mentre<br />

l'anatomista Alessandro Benedetti lo indirizzò sui sentieri delle prime osservazioni sulle patologie infettive (fu proprio da<br />

questi che il <strong>Fracastoro</strong> ereditò le prime nozioni sulla sifilide). Accanto a questi suoi interessi medici, però, giocò un ruolo<br />

decisamente di notevole preminenza l'interesse per la magia naturale, ereditato dal Pomponazzi ed, appunto, nel solco del<br />

grande aristotelico padovano, egli coniugò insieme l'epistemologia e il naturalismo della Scuola di Padova con la teoria del<br />

consenso universale e del "de miraculis rerum naturalium".Appena laureato ottenne nel 1501 l'incarico di lettore di logica, e<br />

quindi il titolo di "conciliarius anathomicus". Nel corso di questi anni conobbe Nicolò Copernico e studiò astronomia con<br />

Giovanni Battista Della Torre, il quale lasciò in eredità all'allievo i suoi appunti in cambio della promessa che li avrebbe<br />

elaborati e proseguito la ricerca. Tale promessa sarà mantenuta con la pubblicazione, di li a trent'anni, degli Homocentrica,<br />

opera dalla quale non è comunque possibile evincere quanta parte sia da addebitarsi al Della Torre e quanta al <strong>Fracastoro</strong>.<br />

Interessato alla pratica medica e non solo alla teoresi, durante le vacanze ordinarie svolge a Verona la professione e viene a<br />

diretto contatto con quell'evento morboso che il primo d<strong>ei</strong> riformatori padovani della scienza medica, Andrea Vesalio,<br />

dichiarerà esser disdegnata dai "professori" e da questi lasciata ai "cerusici". Nel 1505, lo troviamo, infatti, già immatricolato<br />

nel "collegium phisicorum" della città scaligera. Costretto a lasciare Padova per le vicende seguite alla guerra <strong>fra</strong> Venezia e l'<br />

Imperatore si rifugiò a Pordenone, dove entrò a far parte della Accademia Friulana e, quindi, al seguito di Bartolomeo Alviano<br />

si trovò a partecipare alla guerra con funzione di "medico militare". Dopo la battaglia di Ghiara d'Adda si ritirò definitivamente<br />

a Verona per dedicarsi alla professione, alla ricerca e alla stesura delle sue opere. Divenuto famoso con la pubblicazione del<br />

poemetto medico: "Syphilis sive de morbo gallico" (1530), raggiunse grande fama presso i suoi contemporan<strong>ei</strong> sia quale poeta<br />

che scienziato e gli vennero conferiti diversi importanti incarichi. Nel 1545 per la stima che godeva presso il pontefice <strong>Paolo</strong><br />

III fu nominato medico del Concilio di Trento ed il suo parere sull' approssimarsi di una epidemia di peste fu reputato decisivo<br />

per lo spostamento della sede del Concilio a Bologna. Da tipico intellettuale rinascimentale si occupò di tutto lo scibile e passò<br />

da composizioni poetiche, in stile didascalico virgiliano, alla trattazione di materie astronomiche, fisiche, mediche e<br />

filosofiche. Attento e ricettivo ai fenomeni del suo tempo si impegnò attivamente sui temi più salienti della cultura<br />

cinquecentesca, e se da medico studiò a fondo i "misteri" di gravi e insoliti morbi, cercandone i meccanismi della diffusione,<br />

da appassionato studioso di geografia seguì con interesse (come ci ricorda L. Thorndike) i viaggi e le scoperte geografiche e<br />

attraverso le osservazioni degli esploratori segnò le nuove terre su una mappa lignea da lui stesso ideata, mentre da geologo si<br />

interessò, su richiesta di Alvise Cornaro, al problema delle maree nella laguna di Venezia ed alla presenza di fossili marini in<br />

zone montane del veronese ed infine, in quanto astronomo, prese posizione sulla questione d<strong>ei</strong> "sistemi astronomici". Muore a<br />

Verona nel 1553. Tra le opere del <strong>Fracastoro</strong> sono giunti fino a noi tre dialoghi filosofici: il "Naugerius, sive de poetica"<br />

(composto nel 1533, ma pubblicato postumo nel 1555), in cui sostiene che la poesia gioca il ruolo di privilegiata<br />

rappresentazione del senso universale nascosto nelle cose, il Turrius sulla struttura e le funzioni della conoscenza umana ed<br />

infine un trattato sull'anima; compone anche un poema biblico incompiuto, il Joseph, alcuni <strong>fra</strong>mmenti di un trattato di<br />

botanica scritto nel solco di Nicolò Tomeo, un poema sui cani da caccia, un lungo discorso sull' inondazione del Nilo e alcune<br />

lettere importantissime come le già ricordate ad Alvise Cornaro sulle maree o a Torello Seraina sui fossili marini; di notevole<br />

importanza è il suo trattato di astronomia dedicato a <strong>Paolo</strong> III, l'Homocentricorum sive de stellis liber (1535 - 1538) in cui,<br />

proponendosi di rappresentare il moto d<strong>ei</strong> pianeti senza ricorrere agli eccentrici ed agli epicicli, ma usando solo le sfere<br />

omocentriche, riesce a mettere in gioco un ingombrantissimo sistema di 79 orbite supplementari, in verità del tutto inutile e<br />

complicato, per quanto, da un punto di vista storico, rappresenti uno d<strong>ei</strong> primissimi, seppur incerti, passi nella direzione di una<br />

rappresentazione scientifica "non tolemaica" dell'universo. Infine vanno, naturalmente ricordate, le opere mediche: Syphillis<br />

sive de morbo Gallico, De contagione et contagiosis morbis et curatione, preceduto ( come s'è già detto) dal De sympathia et<br />

antipathia rerum, la sua massima opera "filosofica" ed un trattato sui giorni critici, De Causis criticorum dierum.<br />

L'opera <strong>fra</strong>castoriana sui giorni critici rappresenta un ritorno alla originaria teoria ippocratica e, nel contempo, gioca il ruolo di<br />

una durissima presa di posizione contro la trionfante medicina astrologica. Mette, infatti, appena conto di ricordare come il<br />

bagaglio astrologico rappresentasse per il medico rinascimentale l'indispensabile strumento clinico in grado di reggere l'intera<br />

arte, dalla diagnostica alla terapeutica. In ogni caso l'affermarsi dell'astrologia in medicina condizionò pesantemente quella<br />

parte della semiologia ippocratica inerente ai giorni critici. Tale dottrina, originariamente legata alla diretta esperienza del<br />

medico, indicava come certi giorni fossero, nel decorso della malattia, più significativi di altri e le scadenze delle crisi<br />

("quando - scrive lo stesso Ippocrate - la malattia incalza o diminuisce di molto degenera o cessa interamente") 9 erano<br />

strettamente collegate ad un equilibrio dipendente dai moti umorali interni e dai tempi nel corso d<strong>ei</strong> quali avveniva la<br />

corruzione degli umori e l'espulsione della materia corrotta. Durante i "giorni critici", che già con Ippocrate erano stati<br />

collegati alla numerologia del sette, il medico poteva, attraverso l'analisi degli escreti e d<strong>ei</strong> secreti, tramite l'esame del polso e<br />

l'ispezione dello stato generale del paziente, esprimere un attendibile prognosi. Tale strumento, di genesi e caratteristica<br />

empirica, si trasformò ben presto, in una teoria magico-astrologica fondata sulla numerologia pitagorica e sulla teoria degli<br />

influssi d<strong>ei</strong> quarti lunari sul settimo, quattordicesimo e ventunesimo giorno. "Non neghiamo - scrive il <strong>Fracastoro</strong> in aperta<br />

polemica con la medicina astrologica - l'influenza del sole, della luna e degli astri sulle cose terrestri e di favorire anche le crisi,<br />

ma riteniamo fermamente che questa influenza astrale non ne sia la vera causa ... Le crisi dipendono unicamente da cause che<br />

sono in noi" 10 .<br />

9<br />

cfr. Le dottrine d<strong>ei</strong> giorni critici nel pensiero di Gerolamo <strong>Fracastoro</strong>, in "Atti del VI Convegno della Società Italiana delle Scienze Mediche e Naturali",<br />

Verona, 1953<br />

10<br />

Gerolamo <strong>Fracastoro</strong>, De Causis criticorum dierum, in Opera Omnia, Venezia, 1555, Prefazione


Più tardi, nel De Sympathia, metterà proprio a capo di tutta la sua metodologia il seguente preciso intento: "... non si vada in<br />

cerca della causa prima e universale, ma della causa particolare e propria ..." 11 . Nello specifico della teoria sui giorni critici la<br />

causa propria sta nello squilibrio umorale o meglio nella "digestio" e nell'eccesso di "stimulus atque irritamentus" per cui la<br />

ricerca va fatta rilevando i tempi di movimento d<strong>ei</strong> quattro umori e determinando "... quando et quomodo et quorum humorum<br />

futura, aut non futura fit crasis..." 12 e se e come al medico convenga operare di conseguenza. Tutto ciò potrebbe non sembrare<br />

esattamente in sintonia con la tradizionale visione di un <strong>Fracastoro</strong> "mago-scienziato". In effetti non lo è proprio, forse perchè<br />

il Nostro è più legato all'aristotelismo che al neoplatonismo e fors'anche perchè mal s'accordava con l'astrologia la sua<br />

formazione scientifica (avvenuta con i leonardeschi <strong>fra</strong>telli Della Torre), letteraria (i poeti latini dell'età virgiliana e gli<br />

umanisti ) e filosofica ( Empedocle, Aristotele e Lucrezio).Ma non è questo l'unico momento in cui <strong>Fracastoro</strong> si distanzia<br />

dalle dottrine magico-esoteriche d<strong>ei</strong> suoi tempi. Proprio nell'opera più "sospettabile", il De Sympathia, lo troviamo attestato su<br />

posizioni teoretiche che mal s'accorderebbero con una sua globale adesione alle dottrine magiche del suo tempo, per quanto sul<br />

piano della pratica egli accolga acriticamente il fantasioso bagaglio degli exempla di attrazione e repulsione e su quello<br />

metodologico spesso ricorra alla commistione <strong>fra</strong> la sillogistica aristotelica e l'analogia rinascimentale. Il De Sympathia è<br />

un'opera di filosofia naturale che ruota intorno al tema del generale consenso dell'universo, l'armonia del quale è fondata su di<br />

un ordine tra le cose per cui il simile tende al proprio simile e i contrari si respingono. Una tematica che se fosse trattata n<strong>ei</strong><br />

consueti termini magici non metterebbe conto di riprenderla dato che sarebbe un topos del neoplatonismo rinascimentale e<br />

poco importerebbe che vi fosse o meno un altro medico-filosofo a praticarla. L'interpretazione <strong>fra</strong>castoriana del concetto di<br />

simpatia è, invece, di estremo interesse in quanto si stacca decisamente dalla tradizione consueta. In linea con le polemiche<br />

contro i sostenitori delle "occulte cose", già attaccati nel libello sui giorni critici e lontano da ogni ricerca di tipo<br />

essenzialistico, il <strong>Fracastoro</strong> tenta di studiare l'argomento n<strong>ei</strong> termini di attrazione e repulsione di una forza: "Qui non andiamo<br />

alla ricerca di una causa prima ed universale, ma della causa particolare e propria, che non può essere nulla di ciò che è<br />

immateriale" 13 .<br />

Allo stesso modo scarta la spiegazione che vorrebbe ricorrere ad una misteriosa natura d<strong>ei</strong> corpi: che li porta a sapere il loro<br />

fine "le parti dell'universo non conoscono il fine" e "i corpi si attraggono non ad una qualsiasi distanza ma richiedono una ben<br />

determinata distanza" 14 ed a seconda del loro volume. Diversamente, la teoria delle effluxiones atomistiche democriteo -<br />

epicuree gli sembra adatta alla sua teoria atomistica della Natura e a tal riguardo segue passo passo il poema lucreziano.<br />

Restando fedele ai principi della filosofia naturale aristotelica più che alle suggestioni del platonismo, <strong>Fracastoro</strong> ricorre alla<br />

continuità della natura, all'assenza del vuoto, alla tendenza degli elementi a trovar collocazione n<strong>ei</strong> loro luoghi naturali e vi<br />

costruisce sopra un universo in cui un mirabile consenso lega e unifica le cose, un cosmo dove sussistono regole ben precise ed<br />

ogni cosa è retta dal principio dell'attrazione verso il proprio simile e dalla repulsione rispetto ai suoi contrari e tutto è<br />

orientato allo stesso fine che è quello dell'autoconservazione. Siamo quindi in presenza di una Natura ben organizzata e retta<br />

da regole precise ed infallibili, dove il generale consenso dell' universo poco ha da spartire con le tradizionali significanze<br />

magico-esoteriche, basate su di una natura ritrovata senza un ordine e rilevata senza regole e dove il ricorso al concetto di<br />

simpatia e antipatia non intende promuovere la ricerca di forze naturali, ma solo di atteggiamenti mistici. Il <strong>Fracastoro</strong> intende<br />

quindi studiare la natura "collegata ai propri principi" e, in piena adesione all'atomismo filosofico ed alla logica aristotelica egli<br />

pretende (pur non ammettendolo apertamente) di trovare la ragione generale capace di reggere l'indagine fisica e biologica. In<br />

particolare il concetto di simpatia-antipatia, coniugato sullo schema del consenso universale, trovava una applicazione ottimale<br />

ai problemi patologici, per cui in questa prospettiva diverrebbe addirittura comprensibile il perchè in quest'opera, interamente<br />

costruita in termini speculativi sugli schemi dell'inferenza deduttiva, il Nostro continui a ripetere che non ha mai perso di vista<br />

il magistero dell' esperienza. Ma se la teoria generale del consenso e del dissenso ebbe una funzione importantissima nella sua<br />

trattazione d<strong>ei</strong> morbi, sul piano della pratica assistiamo alla solita congerie di assurdità del tipo: " un toro furibondo diventa<br />

mansueto se legato ad un albero di fico... il diamante diventa molle se immerso nel sangue di capro ... un bambino settimino<br />

sopravvive, mentre uno di otto mesi muore ... il fantastico animale Catalefa uccide con lo sguardo ecc.." 15 mentre sul piano<br />

metodologico lo troviamo spesso alle prese con l'uso tassonomico-descrittivo e logico-esplicativo della Divina Analogia.<br />

Ulteriore illuminante esempio di questa coerente incoerenza del <strong>Fracastoro</strong> è la sua opera più nota: Syphillis sive de morbo<br />

gallico.<br />

Composto nel 1521, mentre cresceva da un lato la polemica sulle origini del male (gallico, napoletano, americano) e ancor più<br />

infuriava la virulenza del contagio, che appena un anno prima il Manardi, discepolo del Leoniceno, aveva collegato all'atto<br />

carnale, con le prevedibili conseguenze socio-etiche, il poemetto del <strong>Fracastoro</strong> entra nella recita del dramma che coinvolse<br />

l'intera Europa, con una intonazione davvero inconsueta: nobilitare e sublimare una materia scabrosa con quadri idilliaci, figure<br />

mitologiche, personaggi di fantasia, il tutto arricchito da elegantissimi esametri, arieggianti lo stile virgiliano, e garantito dalla<br />

dedica al principe d<strong>ei</strong> poeti petrarcheggianti, il Bembo.Ci bastino i versi d'apertura (che riportiamo in traduzione italiana):<br />

"Quali varie fortune, quai semi un insolito morbo Abbian prodotto, mai visto per lungo di secoli spazio Che ai nostri giorni<br />

l'Europa e le contrade dell'Asia E le città fiorenti di Libia invase e percosse Qui vo' cantare, che irruppe nel Lazio portato da<br />

guerre Empie de' Galli, la gente da cui trasse il nome: e vo'dire Quai cure e quali soccorsi trovaron l'umane esperienze. Dirò<br />

gli aiuti divini e i doni largiti dal cielo E vo' cercare de lungi le occulte cagioni:per l'aere Liquido o ne le stelle dell'Olimpo<br />

senza confine "16 .<br />

11<br />

Gerolamo <strong>Fracastoro</strong>, De sympathia et antipathia rerum, Venezia, 1546, cap. II<br />

12<br />

Gerolamo <strong>Fracastoro</strong>, De Causis criticorum dierum, in Opera Omnia, Venezia, 1555, cap II<br />

13<br />

Gerolamo <strong>Fracastoro</strong>, De sympathia et antipathia rerum, Venezia, 1546, cap. II<br />

14<br />

ibidem, cap. IX<br />

15<br />

Gerolamo <strong>Fracastoro</strong>, De contagione et contagiosis morbis et curatione<br />

16 ibidem, cap I


Per quanto tale materia fosse trattata in modo formalmente inconsueto al medico ossia in "un divino poema", tra le più<br />

ammirate composizioni latine del Rinascimento, intessuto sul mito del pastore Sifilo il quale, avendo insultato il dio Apollo,<br />

viene dagli d<strong>ei</strong> punito con una malattia contagiosa e ripugnante, che da lui prende nome e dalla quale guarisce, pentendosi,<br />

quando gli d<strong>ei</strong> gli indicano il rimedio, l'autentico intento dell' Autore è quello di descrivere, analizzare e dar ragione di un<br />

fenomeno morbigno che, proprio per la sua fenomenologia, rispondeva adeguatamente agli intenti teorico-esplicativi che il<br />

<strong>Fracastoro</strong> stava elaborando in merito alle malattie contagiose. Non è a caso che nella Lettera Dedicatoria al Bembo, egli si<br />

riprometta di scrivere una versione in prosa del poemetto, onde trattare la materia anche con la dovuta correttezza formale<br />

richiesta dalla scienze medica. In ogni caso nel Syphillis è già diffusamente adombrata la teoria contagionistica d<strong>ei</strong> seminaria<br />

ma, a differenza di quanto avrebbe affermato nella dottrina d<strong>ei</strong> giorni critici, egli si rifà qui all'origine astrologica della sifilide<br />

e ciò sarebbe di scarsa importanza (potendosi trattare di artificio poetico) se tale impostazione non la riprendesse anche nella<br />

sua massima opera epidemiologica il De contagione et contagiosis morbis et curatione: "E la nostra epoca ha visto tali e simili<br />

riunioni e congiunzioni di astri d<strong>ei</strong> più grandi: di Saturno, di Giove e di Marte ... Gli astrologi vedendo quella congiunzione<br />

predissero nuove e grandi malattie, se si può dire qualcosa di probabile di questo contagio" 17 . In altre parole per quanto le<br />

cause prossime del male debbano essere ricercate nelle semenze vive che contaminano gli uomini, riproducendosi e<br />

diffondendosi, la più probabile delle cause prime deve essere ricercata nelle grandi congiunzioni astrali. Una chiara defaillance<br />

in merito all'appena dichiarato intento metodologico:" ma riteniamo fermamente che questa influenza astrale non ne sia la vera<br />

causa ... Le crisi dipendono unicamente da cause che sono in noi " e ancora "... non si vada in cerca della causa prima e<br />

universale, ma della causa particolare e propria ..."Ma veniamo infine alla sua stupefacente teoresi epidemiologica quale è<br />

espressa nel De contagione et contagiosis morbis et curatione, uno d<strong>ei</strong> rarissimi libri dell'epoca interamente dedicato ad<br />

argomento medico, senza incursioni e commistioni in e con altri campi dello scibile. Egli attribuisce l'evento epidemico a<br />

semenze contaminanti, seminaria o virus, che considera insensibiles (non percettibili dai sensi) e immagina che passino dal<br />

malato al sano cos“ come passano i germi dall'acino d'uva putrefatto a quello sano ("particulae quae evaporant e primo, esse<br />

principium et seminarium <strong>ei</strong>us putrefactionis"). Affinché tale azione possa avere successo è necessario - egli afferma - che le<br />

semenze che passano dal primo al secondo ospite debbono, dopo essersi moltiplicati, presentare le stesse caratteristiche di<br />

quelli precedentemente infettanti e continuare a moltiplicarsi fino ad infettare l'intero organismo, il quale a suo volta diventa<br />

focolaio d'infezione. I termini del contagio sono, a detta del <strong>Fracastoro</strong>: alia contactu solo afficiuntur (per contatto), per mezzo<br />

di fomites (focolai infetti quali suppellettili o vesti che conservano i seminaria) o ad distans etiam transferunt contagionem ...<br />

cum aere qui attrahitur, ingrediuntur commixta contagionum seminaria (per mezzo aereo). Le particulae insensibiles<br />

penetrano nel corpo umano attraverso i pori e da qui alle vene, alle arterie ed infine al cuore oppure, attraverso l'inspirazione si<br />

fissano negli umori e da qui raggiungono gli organi. Altra stupefacente divinazione <strong>fra</strong>castoriana è nella indicazione che i<br />

seminaria si fissano in particelle insensibili che compongono gli organi (le cellule), che aggiunta a quella della specificità d<strong>ei</strong><br />

virus (alcuni attaccano i vegetali, altri certe specie animali e non altre, altri certi particolari organi) completa una descrizione di<br />

sorprendente modernità nella quale pare non esser stata omessa alcuna parte della epidemiologia descrittiva. Si trattò di<br />

semplice divinazione concettuale d<strong>ei</strong> seminaria, analoga ad esempio a quella degli antichi atomisti sulle particelle che<br />

compongono la materia oppure il Nostro aveva suf<strong>fra</strong>gato la sua "visione intellettuale" d<strong>ei</strong> virus grazie ad una indagine<br />

sostenuta da una "visione sensibile"? In altre parole non potrebbe darsi che come Galileo, il quale aveva dapprima elaborato<br />

con gli occhi della mente la necessaria esistenza d<strong>ei</strong> satelliti e quindi li aveva "visti" con l'ausilio del telescopio (tanto da<br />

vedere come satelliti pure gli anelli di Saturno), anche il <strong>Fracastoro</strong> avesse potuto far ricorso allo strumento ottico ed avesse,<br />

con un secolo d'anticipo sul P<strong>ei</strong>resc, intravisto almeno gli acari? Nell'Homocentricorum sive de stellis liber egli scrive: "Per<br />

duo specilla ocularia si quis perspiciat altero alteri superposito maiora multo, et propinquiora videbit omnia" [Prese due lenti,<br />

se le sovrapponi e guardi attraverso di esse, vedrai le cose più vicine e più grandi].<br />

Sarebbe affascinate se le cose fossero andare così, ma v'è più di una buona ragione per credere che il Nostro non avesse visto<br />

più di quanto anche noi potremmo vedere con una banalissima lente. In ogni caso se anche fosse la Storia non ne è stata<br />

informata ed una idea o una scoperta nata e vissuta solo nella mente, o nel laboratorio, di un singolo, senza che sia stata<br />

trasmessa alla comunità degli studiosi che avrebbero potuto svilupparla, altro non rappresenta che un'occasione perduta.<br />

17 Gerolamo <strong>Fracastoro</strong>, Homocentricorum sive de stellis liber, sez. II, c 8, in Opera Omnia, Venezia, 1555

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!