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Serenella Pelaggi* PER UNA REVISIONE DELL'AREA DELL ...

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<strong>PER</strong> <strong>UNA</strong> <strong>REVISIONE</strong> <strong>DELL</strong>’AREA<br />

<strong>DELL</strong>’OGGETTO INDIRETTO<br />

Resumo<br />

<strong>Serenella</strong> Pelaggi *<br />

É preciso proceder a uma revisão da descrição dos complementos, em<br />

particular do indirecto, depois de uma nova classificação dos verbos aparentemente<br />

intransitivos que de facto regem um complemento directo, na medida<br />

em que se aceite e introduza o conceito de verbos preposicionais. Estes<br />

verbos, para expressar a acção implicada na sua semântica, pedem preposições<br />

específicas obrigatórias.<br />

São analisados os pontos de vista de alguns dos maiores linguístas no<br />

que respeita aos temas dos verbos intransitivos, definição de complemento<br />

directo e indirecto, bem como da função das preposições.<br />

Sugere-se, nas conclusões, que seja empreendido um trabalho de investigação<br />

cuja finalidade seja a produção de uma lista de verbos preposicionais,<br />

direccionada não só para uma revisão da gramática descritiva, como também<br />

para o aperfeiçoamento da didáctica do Italiano como língua materna, e sobretudo<br />

como LE ou L2.<br />

1. Il tema.<br />

Uno degli argomenti più vasti e complessi della grammatica italiana<br />

è quella dei complementi indiretti. La materia implica la definizione dei<br />

verbi intransitivi, le norme sull’uso delle preposizioni, la classificazione<br />

dei vari tipi di complemento. In particolare è controversa la casistica<br />

dell’oggetto indiretto, infatti linguisti, grammatici, autori di libri di testo<br />

offrono compilazioni ampiamente diverse della materia; molti si<br />

soffermano sulle implicazioni della definizione stessa di complemento,<br />

* Leitora de Italiano no Departamento de Linguísitca Geral e Românica da<br />

Faculdade de Letras da Universidade de Lisboa.<br />

polifonia, Lisboa, Edições Colibri, n.º 3, 2000, pp. 151-162


di oggetto diretto e oggetto indiretto, della loro stretta derivazione<br />

dalla nomenclatura delle grammatiche latine classiche, della possibilità<br />

di procedere ad una diversa organizzazione dell’argomento a livello<br />

della grammatica descrittiva.<br />

2. Gli obbiettivi.<br />

E’ esattamente a quest’ultima istanza che ci si ricollega nel<br />

presente articolo, per sostenere la necessità di una nuova analisi dei<br />

verbi cosiddetti intransitivi e dei relativi complementi indiretti. Lo scopo<br />

è quello di realizzare una distinzione tra gli intransitivi propri e quelli che<br />

qui si definiscono transitivi impropri. I primi non possono che essere<br />

accompagnati da complementi indiretti reali, costituiti cioè da<br />

preposizioni più sostantivi o verbi, indipendenti dal concetto di oggetto<br />

diretto.<br />

Io viaggio sempre in macchina<br />

Io viaggio molto per lavoro<br />

dove in macchina e per lavoro, complementi indiretti propri,<br />

rispondono rispettivamente alle domande come?, e per quale<br />

motivo?.<br />

I verbi intransitivi impropri, invece, come i verbi transitivi, hanno<br />

bisogno di completamento e lo realizzano per mezzo di preposizioni<br />

fisse seguite da un elemento sul quale si trasmette l’azione implicata<br />

dalla sua semantica. Nell’esempio:<br />

Io sono un esperto di macchine<br />

utilizzando i criteri di analisi logica tradizionali, si ottiene<br />

Io = soggetto<br />

sono = predicato verbale o copula<br />

esperto = predicato nominale<br />

di macchine = complemento di specificazione (che in questo caso<br />

specifica il termine esperto) perdendo in tal modo il legame logico tra<br />

l’azione dell’interessarsi (di) e il suo coerente oggetto macchine.<br />

In base all’analisi tradizionale, il complemento di specificazione<br />

risponde alla domanda di che cosa?, e pertanto in questo contesto il<br />

messaggio perde senso compiuto, a meno di estendere la a di che<br />

cosa sono esperto?.<br />

In base ai criteri qui proposti, allora, considerando la preposizione di<br />

indispensabile e insostituibile affinché il gruppo fraseologico essere<br />

esperti possa trovare completamento dell’azione da esso implicata, si<br />

ottiene il modello:


Io = soggetto<br />

sono esperto di = verbo fraseologico preposizionale<br />

macchine = complemento oggetto diretto.<br />

Ciò non esclude altre strutture in cui il verbo essere esperti sia<br />

accompagnato da altri complementi indiretti:<br />

Io sono esperto nel campo dell’informatica<br />

dove essere esperti (di) rimanda al suo oggetto, l’informatica,<br />

indirettamente – appunto – per il tramite di un complemento indiretto,<br />

di cui informatica è specificazione.<br />

Proseguendo nell’applicazione del concetto, si vedrà come essere<br />

esperti regge la preposizione di se è seguito dall’oggetto diretto sotto<br />

forma di sostantivo, mentre è seguito dalla preposizione in se è seguito<br />

da un altro verbo o dal sostantivo astratto che veicola la semantica<br />

dell’oggetto diretto:<br />

come pure:<br />

Io sono esperto nel condurre trattative internazionali<br />

Io sono esperto nella conduzione delle trattative internazionali.<br />

Cosicché si può affermare che un verbo preposizionale è quello che<br />

per reggere il suo oggetto diretto si completa con preposizione/-i fisse,<br />

di numero ridotto, che variano secondo l’elemento grammaticale che<br />

segue (sostantivo concreto, sostantivo astratto, verbo).<br />

La tesi qui sostenuta è, dunque, che anche nella grammatica<br />

italiana, come ad esempio in quella inglese, andrebbe introdotta la<br />

nozione di verbo preposizionale, ossia verbo che completa il suo<br />

significato e la sua funzionalità in collegamento con preposizioni<br />

obbligate, al fine di reggere il suo complemento, il quale diventa<br />

semplicemente oggetto diretto.<br />

3. Lo scopo.<br />

Questo intervento analitico – compilativo, destinato tanto alle<br />

grammatiche, quanto ai dizionari, nonché di conseguenza ai libri di<br />

testo, sarebbe necessario a:<br />

• chiarire la vera natura di molti verbi attualmente classificati<br />

come intransitivi, e la definizione stessa di intransitivo a volte<br />

controversa o ambigua;


• snellire e semplificare la folta schiera dei complementi, le cui<br />

definizioni e classificazioni costituiscono una materia disomogenea<br />

e dai confini labili, che varia da linguista a linguista, da<br />

testo a testo;<br />

• razionalizzare la casistica dell’ uso delle preposizioni;<br />

• facilitare la didattica dell’italiano in generale e dell’italiano<br />

come LS e L2 in particolare.<br />

Nella didattica dell’italiano come LS o L2, comunque, la metodologia<br />

più diffusa, e che dimostra maggior efficacia, è l’approccio alla<br />

lingua nel contesto d’uso corrente (comunemente detto approccio<br />

comunicativo).<br />

In base al concetto di funzione, più che di norma, si delimita<br />

drasticamente la trattazione teorica dei complementi indiretti, proprio<br />

per la sua complessità e per mancanza di confini chiari, limitandosi a<br />

presentare come tali solo i fondamentali (luogo, tempo, modo, termine,<br />

specificazione, compagnia, agente), e solo, eventualmente nei livelli più<br />

avanzati. Ma è sintomatico come, di tutta la nomenclatura della grammatica<br />

descrittiva, il termine complemento sia virtualmente assente dai<br />

testi della didattica per stranieri. I complementi vengono piuttosto<br />

introdotti implicitamente nell’ambito dell’uso delle preposizioni. E’<br />

invece presente la nozione di oggetto diretto, riferita al complemento<br />

oggetto, e di oggetto indiretto, riferita quasi esclusivamente al complemento<br />

di termine. Nella maggioranza dei casi tale terminologia è<br />

introdotta nella presentazione dei pronomi personali e raramente riutilizzata<br />

per altri scopi.<br />

La materia dell’uso delle preposizioni è a volte dispersiva, a volte<br />

sovrabbondante, per mancanza appunto, di riferimenti teorico – descrittivi<br />

più chiari e sistematici. Perciò è prassi comune presentare i verbi<br />

con le eventuali preposizioni fisse da essi richieste, così come gli<br />

aggettivi o i sostantivi con le loro reggenze obbligate:<br />

partecipare ad una riunione; essere partecipe di un lutto; gradire<br />

la partecipazione dei colleghi<br />

abituarsi a tutto; essere abituato ad alzarsi presto; aver<br />

l’abitudine di cenare presto<br />

giocare a pallacanestro; essere giocatore di pallanuoto<br />

insistere a /nel negare l’evidenza; essere insistente nella protesta;<br />

dimostrare insistenza nei propri propositi<br />

adattarsi alle situazioni; adatto per / all’occasione; richiedere<br />

adattamento all’ambiente


4. La letteratura.<br />

E’ indicativo passare in rassegna le opinioni e i commenti di alcuni<br />

dei linguisti italiani più insigni, sia per analizzare il punto di vista<br />

tradizionale, sia per rintracciare quegli elementi di problematicità che di<br />

fatto costituiscono i presupposti delle presenti osservazioni. Dagli stessi<br />

infatti si deduce che la materia potrebbe giovarsi di un intervento dí<br />

revisióne.<br />

Osserva il Serianni (1988:84):<br />

«Tra le partizioni tradizionali dell’analisi logica quella dei complementi<br />

in genere, ed in particolare dei complementi indiretti è la categoria<br />

di cui i linguisti oggi avvertono più nettamente l’insufficienza di<br />

fondamenti ed i limiti operativi. In primo luogo, i criteri semantici che<br />

consentono di distinguere i complementi uno dall’altro non sono sempre<br />

ben chiari: l’attribuzione di un sintagma preposizionale all’uno o all’altro<br />

complemento è talvolta opinabile, e d’altro canto l’individuazione di<br />

differenze semantiche sempre più sottili può portare all’eccessiva<br />

proliferazione di complementi “minori”. … Ancor più difficile, se non<br />

impossibile, risulterebbe stabilire dei criteri formali per distinguere ciascun<br />

complemento...»<br />

Nonostante tali limiti, il quadro tradizionale dei complementi conserva<br />

la sua validità, in quanto si fonda per lo più su nozioni ampiamente<br />

conosciute e consolidate (come ad es. quelle di moto a luogo, tempo<br />

determinato, agente, ecc.), che permettono una trattazione accessibile<br />

ad un gran numero di unità sintagmatiche, ed hanno in molti casi<br />

un’indubbia efficacia descrittiva.<br />

Questa impostazione del Serianni non solo evidenzia la problematica<br />

qui trattata, ma anzi sollecita implicitamente una riorganizzazione della<br />

categoria dei complementi indiretti. Non esclude la possibilità di<br />

risolvere le difficoltà di relazioni sintattiche tra verbi, preposizioni e<br />

complementi con la definizione di una nuova categoria verbale che, di<br />

rimando, razionalizzi sia l’uso delle preposizioni che la classificazione<br />

dei complementi indiretti. Segue, dunque, la sua classificazione dei<br />

complementi “più importanti”, in rapporto alle preposizioni con cui si<br />

costruiscono; ne include 33 categorie, varie delle quali suddivise in ulteriori<br />

voci, come quelle di luogo e tempo.<br />

Da ciò si evince che la trattazione dei complementi indiretti si fonda<br />

sul concetto di reggenza preposizionale. Nel privilegiare<br />

l’associazione della preposizione al sostantivo col quale forma il<br />

complemento cosiddetto indiretto, si esclude automaticamente l’ipotesi<br />

– qui invece sostenuta – che molti verbi, apparentemente intransitivi,<br />

possano richiedere un completamento per avere senso compiuto, ed<br />

una preposizione obbligata per introdurre tale completamento. Qui sta il


limite di fronte al quale si ferma l’analisi dell’autore, senza peraltro<br />

escludere possibili sviluppi. Prosegue, infatti, il Serianni:<br />

«Una distinzione tradizionale, scientificamente poco fondata ma indubbiamente<br />

utile dal punto di vista descrittivo, distingue i verbi transitivi … e<br />

intransitivi …. Nel primo caso l’azione passerebbe (transitivo rimanda al<br />

latino TRANSÏRE ‘passare’) su un complemento diretto, nel secondo no.»<br />

E poi osserva ancora il Serianni (ibidem: p. 321):<br />

«…In molti verbi intransitivi l’azione “passa” sul complemento di termine….<br />

Anche un verbo intransitivo può reggere un complemento diretto,<br />

il complemento dell’oggetto interno.»<br />

I precedenti delle due categorie di cui sopra autorizzano a sostenere<br />

che si potrebbe istituire la classe dei verbi preposizionali. Si tratterebbe<br />

di introdurre una nomenclatura nuova, forse, alla grammatica<br />

descrittiva italiana, ma non ad altre grammatiche di lingue occidentali.<br />

Tale procedimento servirebbe a limitare le categorie e il numero complessivo<br />

dei complementi indiretti, semplificarne i criteri semantici e razionalizzarne<br />

la classificazione, e infine, ma non ultimo per importanza,<br />

facilitarne l’insegnamento sia nella lingua madre che nella L 2.<br />

Si legge a proposito del verbo nel trattato di Dardano e Trifone<br />

(1997: 191 e segg.):<br />

«La grammatica ha tradizionalmente riconosciuto al nome e, ancor più, al<br />

verbo un ruolo fondamentale nel meccanismo della frase. … il verbo è il<br />

centro sintattico della frase, attorno al quale si organizzano i diversi<br />

elementi che la compongono.»<br />

Ecco un’osservazione utile a rintracciare un più stretto rapporto tra<br />

i verbi e le preposizioni di cui essi si servono per collegarsi agli altri<br />

elementi del discorso. Se si riconosce al verbo il suo ruolo fondamentale<br />

nel meccanismo della frase, sarà opportuno appunto valutare tutti<br />

quei casi in cui richiede la presenza di una preposizione per esprimere<br />

l’oggetto dell’azione. Ciò porterebbe ad una riduzione del numero dei<br />

complementi, alcuni dei quali spesso considerati di dubbia giustificazione,<br />

che, alleggerendo la categoria dei complementi indiretti, passerebbero<br />

ad essere semplicemente identificati come oggetto diretto.<br />

A proposito dei complementi indiretti si legge infatti (ibidem:72):<br />

«I principali complementi indiretti sono: il complemento di specificazione,<br />

…di termine,…di luogo,…di tempo, … di mezzo, …di modo, … di causa,<br />

…di compagnia, … d’agente.»<br />

Tradizionalmente si distinguono numerosi altri complementi (fine,<br />

vantaggio, materia, qualità, argomento, limitazione, misura, colpa, ecc.),<br />

che si fondano per lo più su criteri empirici e di classificazione pratica.


La nozione di complemento ha una sua utilità didattica, ma è molto<br />

discussa nella linguistica moderna; si rivolgono critiche, in particolare,<br />

all’inesauribile moltiplicazione dei complementi “minori”, che creano<br />

spesso divisioni artificiose e arbitrarie.<br />

Gli autori si limitano dunque ad enunciare 31 complementi in tutto,<br />

tra principali e minori, molti dei quali con varie suddivisioni (ibidem: 72-<br />

-79).<br />

Concordando indubbiamente sulla opinabilità dei criteri di classificazione<br />

dei complementi indiretti, qui però ne mettiamo anche in discussione<br />

l’ utilità pratica, tanto più ai fini della didattica. Questo è confermato<br />

dall’analisi dei testi per l’insegnamento dell’italiano come LS, che<br />

a stento introducono complementi indiretti minori o peraltro principali in<br />

quanto tali; privilegiano piuttosto la presentazione dei verbi intransitivi<br />

con le eventuali preposizioni da cui sono comunemente accompagnati,<br />

e assimilano i cosiddetti complementi minori alla nozione più ampia di<br />

uso della lingua, nell’ambito delle funzioni, o in spazi denominati<br />

Come si dice?. Prendiamo ad esempio (ibidem: 76):<br />

a. la presunzione deriva spesso dall’ignoranza;<br />

b. un articolo ricco di spunti critici;<br />

c. discutere della situazione politica;<br />

nella prassi didattica si presenteranno i gruppi fraseologici: derivare<br />

da, (essere) ricco di, e discutere di, ovviando del tutto<br />

all’introduzione dei complementi rispettivamente di<br />

a. allontanamento /origine /separazione /provenienza;<br />

b. abbondanza /privazione;<br />

c. argomento.<br />

Il Sensini (1994: 222), a riguardo della definizione di verbi transitivi<br />

e intransitivi, rileva:<br />

«Il verbo intransitivo vede esaurirsi nel soggetto l’azione che esprime e,<br />

quindi, non ammette un complemento oggetto diretto dopo di sé. Ciò, però,<br />

non significa che l’azione che esso indica non possa aver bisogno di un<br />

completamento in un altro elemento della frase e, quindi, passare su<br />

qualche altro elemento della frase, costituito da un complemento indiretto,<br />

cioè da un complemento introdotto da una preposizione: “Elena ride di<br />

tutto”. Nel caso di verbi intransitivi come ubbidire, giocare, aderire,<br />

rinunciare, ecc., il completamento dell’azione che indicano è talmente<br />

necessario, perché essi abbiano un senso, che tali verbi hanno per lo più<br />

un “oggetto” su cui “passa” l’azione, anche se risulta espresso da un<br />

complemento indiretto, cioè introdotto da una preposizione: “Ubbidisci<br />

alla mamma”; “Tutti aderiscono alla tua iniziativa”. Per questa loro<br />

caratteristica, questi verbi sono chiamati transitivi indiretti.»<br />

Questo passo del Sensini contempla in sintesi tutta la problematica<br />

del rapporto tra verbo, oggetto diretto e indiretto, preposizioni e


complementi. Purtroppo però la sua analisi si ferma prima di una<br />

possibile risoluzione del problema. La proposta qui suggerita è – come<br />

si è detto – l’introduzione del concetto di verbo preposizionale, che<br />

per esprimere il naturale completamento dell’azione necessita della<br />

mediazione di una preposizione. D’altra parte il Sensini menziona il<br />

fatto che alcuni linguisti già hanno elaborato una nuova definizione di<br />

quello che qui chiamiamo falso intransitivo, e cioè il succitato<br />

transitivo indiretto. Quest’ultima soluzione è piuttosto complicata, e<br />

comunque non serve a snellire la folta schiera dei complementi indiretti,<br />

o a limitare le difficoltà d’uso delle preposizioni; né tanto meno può<br />

facilitare la didattica. Infatti il Sensini stesso prosegue (ibidem):<br />

«Individuare i verbi esclusivamente transitivi o esclusivamente intransitivi<br />

non è facile. La transitività o l’intransitività non è una proprietà intrinseca e<br />

immutabile di un verbo, ma una funzione …»<br />

Ed ecco un altro elemento a favore di una riformulazione della<br />

categoria intransitivi, considerato che già si contemplano:<br />

• gli intransitivi usati come transitivi occasionalmente (“un trucco<br />

troppo accentuato invecchia il volto”);<br />

• gli intransitivi con l’oggetto interno (“Pianse tutte le sue<br />

lacrime”);<br />

• verbi che cambiano di significato a seconda che siano usati come<br />

transitivi o come intransitivi (“L’incendio bruciò la casa”; “La casa<br />

brucia “).<br />

A proposito dei complementi indiretti, di cui ne elenca 33 con varie<br />

suddivisioni interne, il Sensini dice (ibidem: 417 e segg.):<br />

«… sono, in teoria, di numero illimitato, come illimitati sono i tipi di determinazioni,<br />

precisazioni e circostanze con cui il nostro pensiero può<br />

espandere la struttura di base di una frase. … Alcuni di essi, poi, costituiscono<br />

un complemento necessario del senso della frase: sono quelli che<br />

taluni grammatici chiamano “determinativi” e senza i quali il verbo non<br />

avrebbe senso.»<br />

Questo precedente dei complementi da alcuni definiti “determinativi”<br />

lascia pensare che sia quella l’area in cui cercare i verbi preposizionali;<br />

non avrebbe senso infatti dire<br />

io mi interesso<br />

senza un necessario completamento di un – diciamo – “determinativo”<br />

quale<br />

io mi interesso di musica<br />

ma più semplicemente, come qui si sostiene, si potrebbe formulare


io mi interesso di musica.<br />

Qui subentra una problematica, trattata dalla maggior parte dei<br />

manuali di grammatica, che riguarda la verifica della differenza tra<br />

oggetto diretto e indiretto. Leggiamo (ibidem: 412-413):<br />

«La definizione di complemento oggetto, come l’elemento della frase che<br />

completa il predicato verbale precisando l’azione espressa dal verbo e<br />

unendosi direttamente al verbo, è una definizione di carattere grammaticale.<br />

Il complemento oggetto si può definire anche sulla base del significato e<br />

dire che esso è “l’elemento della frase che subisce l’azione del verbo”. Ma<br />

questa definizione, molto diffusa, non è sempre valida. … in frasi come<br />

“Paolo ha subito un incidente” o “Paolo ha preso un pugno” non si può<br />

dire che i complementi oggetto un incidente e un pugno “subiscano”<br />

l’azione espressa dal verbo. … Per riconoscere con sicurezza il<br />

complemento oggetto di una frase e distinguerlo da tutti gli altri elementi<br />

che, come lui, non sono introdotti da una preposizione o occupano il suo<br />

posto nella frase, esiste un sistema infallibile: basta provare a volgere la<br />

frase dalla forma attiva a quella passiva …: “Paolo ha mangiato una mela”,<br />

“Una mela è stata mangiata da Paolo”.<br />

Questo suggerimento meccanico, che toglie tanta della flessibilità e<br />

varietà alla lingua di cui poco sopra lo stesso autore rivendicava l’ampia<br />

variabilità, è un criterio rigido; non ammette che la prova della forma<br />

passiva avvenga tramite l’uso di una parafrasi. Se è vero, cioè, che<br />

nella frase Io mi interesso di musica l’oggetto diretto dell’azione<br />

interessarsi è la musica, il fatto che la verifica tramite trasformazione<br />

della frase dalla forma attiva a quella passiva non sia meccanicamente<br />

possibile, nulla toglie che l’azione di interessarsi “transiti” alla musica<br />

che la “subisce” – se vogliamo necessariamente preservare questa<br />

nomenclatura. E’ possibile invece esprimere al passivo il significato del<br />

verbo attraverso un’espressione, una circonlocuzione, o un suo<br />

sinonimo, quale La musica è da me coltivata/ curata/ apprezzata. In<br />

conclusione si direbbe che la prova che la musica è complemento<br />

diretto del verbo interessarsi di sta piuttosto nell’enunciato la musica<br />

è oggetto del mio interesse.<br />

Passando ad altri autori, vediamo che i Lepschy (1977:172 e segg.),<br />

nel capitolo intitolato Costruzioni con e senza preposizioni, scrivono:<br />

«Presentiamo alcuni esempi di costruzione verbo + verbo e verbo + nome<br />

per mostrare come si usano le preposizioni...»<br />

Cosa che già di per sé è indicativa delle difficoltà di presentazione<br />

dei costrutti in cui sono presenti le preposizioni, e seguono (ibidem):<br />

«… ci limiteremo alle costruzioni produttive, ed eviteremo quelle puramente<br />

idiomatiche. Il lettore italiano potrà trovare questi esempi ovvi e poco<br />

rivelatori: ma abbiamo constatato che essi sono utili per i lettori stranieri e


per gli studiosi di linguistica, poiché l’uso delle preposizioni (o la loro<br />

assenza) in queste costruzioni non è facilmente ricavabile né dalle<br />

grammatiche né dai dizionari correnti.<br />

Il passo è utile ad evidenziare la problematica in oggetto. L’uso<br />

delle preposizioni è un argomento di notevole difficoltà nella didattica<br />

soprattutto dell’Italiano come LS, ma non solo. Anche l’ istruzione curricolare<br />

in Italia, con cui gli autori forse non hanno grande familiarità,<br />

data la loro lunga esperienza di studio e insegnamento all’estero, produce<br />

notevole insuccesso, come si può facilmente constatare<br />

dall’analisi della lingua italiana corrente parlata e scritta dalla maggioranza,<br />

che presenta ampia arbitrarietà nell’uso delle preposizioni.<br />

Utile è anche sottolineare come gli autori mettano in evidenza l’interesse<br />

ad un approfondimento dell’argomento da parte dei linguisti, sottolineando<br />

giustamente le carenze di strumenti adeguati all’apprendimento<br />

e alla consultazione sul tema dell’uso delle preposizioni. Gli autori<br />

proseguono (ibidem:173):<br />

«Si può osservare in generale che il verbo prende la stessa preposizione<br />

davanti a un nome e a una proposizione completiva: acconsente alla<br />

richiesta e acconsente a parlare; nel caso dei verbi transitivi (senza preposizione<br />

davanti al nome), la completiva è normalmente introdotta da di:<br />

accetta l’invito e accetta di venire.»<br />

Nel ricco elenco che segue, di circa 8 pagine, c’è ampia materia di<br />

studio sulle possibilità di enucleare verbi intransitivi apparenti o<br />

transitivi indiretti, come ad esempio (ibidem:177-9): accennare a,<br />

accondiscendere a, acconsentire a, aspirare a, astenersi da,<br />

badare a, chiedere di, credere a/in, curarsi di, diffidare di,<br />

esercitarsi a/in, godere di, incitare a, incoraggiare a, mancare a,<br />

morire di, ostinarsi in/a, parlare di/su, pentirsi di, provvedere a,<br />

rallegrarsi di, ricordarsi di, rinunciare a, soffrire di, spingere a,<br />

vergognarsi di.<br />

Volendo qui applicare il criterio che per verificare se il verbo sia o<br />

non sia transitivo, bisogna volgerlo cioè al passivo, possiamo ipotizzare<br />

quanto segue, tenendo conto dell’artificialità dell’operazione, della<br />

bassa frequenza d’uso della forma passiva rispetto a quella attiva, e<br />

sorvolando anche sulle eventuali sfumature di significato che si<br />

possono produrre nella trasformazione meccanica dall’attivo al passivo:<br />

• Il professore ha accennato ad una sua possibile visita a Lisbona<br />

Una (sua) possibile visita a Lisbona è stata accennata dal<br />

professore<br />

• Il professore ha accondisceso all’invito<br />

L’invito è stato accondisceso (dal professore)<br />

nel quale caso evidentemente sarebbe molto più opportuno dire<br />

L’invito è stato accolto


usando cioè un sinonimo, ma ciò non toglie che l’invito continua ad<br />

essere l’oggetto diretto di accondiscendere a; non c’è dubbio che<br />

l’azione passi da accondiscendere a invito.<br />

Mi sono ricordata di Carla<br />

Carla è stata ricordata da me<br />

caso in cui si verifica una sfumatura di significato diversa dalla frase in<br />

forma attiva.<br />

Un altro elemento di convalida della possibilità di dare una diversa<br />

classificazione ai verbi con preposizione obbligata ci viene dal Pittàno,<br />

riguardo all’ausiliare che è necessario per i verbi transitivi rispetto a<br />

quelli intransitivi (1978:225):<br />

«E’ arrivato non è …una forma passiva … Così io sono andato non è<br />

forma passiva …Se è arrivato e sono andato non sono forme passive,<br />

perché usiamo il verbo essere? perché non diciamo invece ha arrivato e ho<br />

arrivato? La questione non è facile da spiegare …»<br />

Con questo l’autore si riferisce al fatto che i verbi transitivi vogliono<br />

l’ausiliare avere e gli intransitivi l’ausiliare essere. Se anche questo va<br />

considerato un criterio di verifica per accertare la natura transitiva o<br />

intransitiva di un verbo, e di conseguenza la possibilità che regga un<br />

complemento oggetto diretto, allora vediamo che i verbi<br />

accondiscendere, accudire, badare, credere, ecc., cioè tutti quelli<br />

non riflessivi nel gruppo sopra menzionato, proveniente dalla lista dei<br />

Lepschy, prendono nelle forme composte l’ausiliare avere. In verità è<br />

probabile che la difficoltà stia proprio nello schematizzare le ‘regole’<br />

che caratterizzano le due categorie di transitivi e intransitivi, di<br />

complemento oggetto diretto e indiretto, per cui varrebbe la pena di<br />

revisionarli.<br />

Il gruppo dei complementi indiretti elencati dallo studioso arriva ad<br />

un totale di 41, di cui 19 i principali, con varie suddivisioni interne, e 22 i<br />

secondari.<br />

Altrove (ibidem:225-6), resa la tradizionale definizione di transitivo e<br />

intransitivo, dice:<br />

«Per altri verbi, più che di transitivi o di intransitivi, dovremmo parlare<br />

dell’uso transitivo e intransitivo, della funzione transitiva o intransitiva.<br />

Perdonare, ad esempio, può essere usato transitivamente (perdonò tutti)<br />

o intransitivamente (perdonò ai vinti).»<br />

Ciò esemplifica bene la tesi: se perdonare può avere l’oggetto<br />

diretto, parimenti si puo’ introdurre il concetto di perdonare a + oggetto<br />

diretto.<br />

Questo concetto è tassativamente escluso dal Dardano (1983: 205):<br />

«Sono intransitivi anche i verbi come aderire, giovare, rinunciare, ecc.,<br />

che hanno un “oggetto”, espresso però da un complemento indiretto:


aderisco all’iniziativa; la ginnastica giova al fisico; non rinunciare a ciò<br />

che ti spetta.»<br />

Non ritenendo né pratico né chiaro voler mantenere troppe<br />

categorie e suddivisioni, qui si suggerisce invece di accettare proprio la<br />

definizione di tali verbi come preposizionali.<br />

Lo stesso va detto per alcuni di quei verbi che lo stesso autore<br />

classifica come “intransitivi pronominali” (ibidem: 207-8), verbi che non<br />

possono essere usati senza le particelle pronominali mi, ti, si, ci, vi:<br />

“accorgersi, avvalersi, impadronirsi, lagnarsi …”. Al pari di altri falsi<br />

intransitivi, potrebbero essere concepiti come accorgersi di, avvalersi<br />

di, ecc. + oggetto diretto.<br />

Concludiamo dunque col suggerimento e l’auspicio di un<br />

cambiamento della nozione e della descrizione di verbo transitivo/<br />

intransitivo, oggetto diretto/ indiretto, che non rappresenti però<br />

un’ulteriore suddivisone, ma costituisca piuttosto una possibile soluzione<br />

teorica e pratica, a livello di classificazione sistematica e di prassi<br />

didattica.<br />

Bibliografia<br />

BALBONI, Paolo E. (1994): Didattica dell’italiano a stranieri, Roma,<br />

Bonacci.<br />

BATTAGLIA, G. (1974): Grammatica italiana per stranieri, Roma, Bonacci.<br />

DARDANO, M., TRIFONE, P. (1983), (1998): Grammatica italiana con<br />

nozioni di linguistica, Bologna, Zanichelli.<br />

LEPSCHY, L., LEPSCHY, G. (1977): La lingua Italiana, Milano, Bompiani.<br />

PITTÀNO, G. (1978): Educazione alla lingua, Milano, Mondadori.<br />

PITTÀNO, G. (1983): La comunicazione linguistica, Milano, Mondadori.<br />

RENZI, L. (a cura di) (1991): Grande grammatica italiana di consultazione,<br />

Bologna, Il Mulino.<br />

SABATINI, F. (1980): Lingua e linguaggi, Torino, Loescher.<br />

SENSINI, M. (1994): La grammatica della lingua italiana, Milano, A. Mondadori.<br />

SERIANNI, L. (1988): Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria,<br />

Torino, UTET.<br />

TEDESCHI, G. (1975): Lingua, grammatica, stile, Torino, Petrini.

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