"Il Diogene Moderno" Ottobre - Novembre 2009 ... - Scalea .it
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ottobre-novembre <strong>2009</strong> Storia e Cultura ❏ 15<br />
LA “SCUOLA DI TORTORA” AL TEMPO DEGLI ENOTRI<br />
di BIAGIO MOLITERNI<br />
<strong>Il</strong> passaggio dalla preistoria alla storia è segnato dall’invenzione<br />
della scr<strong>it</strong>tura, grazie alla quale la civiltà<br />
umana poté progredire enormemente. Senza la<br />
scr<strong>it</strong>tura, infatti, le conoscenze della comun<strong>it</strong>à erano<br />
affidate unicamente alla memoria dei più anziani<br />
che, proprio per questo motivo, ricoprivano un<br />
ruolo preminente in quelle società primordiali. Con<br />
la scr<strong>it</strong>tura, invece, il sapere divenne patrimonio comune<br />
e facilmente trasmissibile alle generazioni future,<br />
in modo da lim<strong>it</strong>are il rischio che le esperienze<br />
acquis<strong>it</strong>e andassero perdute con la morte dei<br />
protagonisti. Naturalmente, non vi è una data unica<br />
alla quale far risalire l’inizio della storia, perché i caratteri<br />
alfabetici sono stati introdotti in momenti diversi<br />
nei vari luoghi della terra. E se i Sumèri li conoscevano<br />
già cinquemila anni addietro, vi sono<br />
tuttora alcune tribù amazzoniche che continuano a<br />
utilizzare la sola lingua parlata e a vivere la loro fase<br />
preistorica. Per quanto riguarda la nostra penisola,<br />
l’inizio dell’epoca storica è databile al periodo<br />
compreso tra l’VIII e il VII secolo a.C., quando i Greci<br />
o Elleni sbarcarono sulle coste ioniche dell’Italia<br />
meridionale e insediarono le loro colonie nella Magna<br />
Grecia. Essi portarono con sé i segni alfabetici<br />
(che avevano appreso dai Fenici) per annotare i<br />
propri atti di commercio, pratica che lentamente<br />
finì per essere adottata da tutti i popoli <strong>it</strong>alici. Scrive<br />
in propos<strong>it</strong>o Pietro Giovanni Guzzo: “Gli etruschi<br />
riprenderanno dai greci il sistema di scr<strong>it</strong>tura e gli<br />
stessi romani adatteranno quei simboli alla propria<br />
lingua. Non fosse altro che per questo, varrebbe<br />
senz’altro la pena di studiare le antiche vicende<br />
dell’Italia meridionale”. Le prime genti <strong>it</strong>aliche con<br />
le quali i Greci entrarono in contatto furono, tuttavia,<br />
gli Enotri, una popolazione di pastori e di agricoltori<br />
insediatasi, nel corso del secondo millennio<br />
a.C., a sud della linea ideale che congiunge Paestum<br />
a Taranto. La mancanza di una forte strutturazione<br />
economica e sociale fu alla base della scarsa<br />
resistenza che gli Enotri opposero ai nuovi arrivati,<br />
ai quali lasciarono il pieno controllo delle coste ioniche<br />
e dai quali furono sospinti verso le zone più<br />
interne, al di là di una serie di “santuari” che i Greci<br />
avevano costru<strong>it</strong>o per delim<strong>it</strong>are i propri confini.<br />
Con il passare del tempo e con l’affievolirsi dei contrasti,<br />
però, i rapporti tra i due popoli cessarono di<br />
essere confl<strong>it</strong>tuali e proprio i “santuari di confine”<br />
diventarono luoghi privilegiati di incontro, non solo<br />
per la preghiera, ma anche per i commerci e per l’elaborazione<br />
di nuovi linguaggi. S’intensificarono così<br />
gli scambi interculturali che permisero agli Enotri<br />
di acquisire una maggiore “autocoscienza” e la volontà<br />
di non subire passivamente gli eventi. Perciò,<br />
quando nel corso del VI secolo a.C. i Greci cominciarono<br />
ad interessarsi sistematicamente della costa<br />
tirrenica, gli Enotri li costrinsero a stipulare una serie<br />
di “trattati”, con i quali ev<strong>it</strong>arono un ruolo di pura<br />
subaltern<strong>it</strong>à e si assicurarono i benefici di cui gli<br />
Elleni erano portatori. Conosciamo due esempi di<br />
accordi tra Greci ed Enotri. <strong>Il</strong> primo è il contratto<br />
con il quale i Focesi acquistarono dagli indigeni il<br />
terr<strong>it</strong>orio presso l’attuale Ascea, dove insediarono<br />
la colonia di Elea. L’altro è il trattato di amicizia tra<br />
la più importante colonia della Magna Grecia, Sibari,<br />
e il popolo dei Serdàioi, oggi identificato con gli<br />
Enotri del Golfo di Policastro e, in particolare, con<br />
quelli stanziati lungo la Valle del Noce: a Serra C<strong>it</strong>tà<br />
di Rivello, nell’interno, e sul Palècastro di Tortora e<br />
a Capo la Timpa di Maratea, presso la foce. Va da sé<br />
che la stipula di un accordo scr<strong>it</strong>to presuppone la<br />
capac<strong>it</strong>à di leggerlo da parte di entrambi i con-<br />
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STAMPA<br />
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<strong>Il</strong>defonso Falcones<br />
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traenti: ciò cost<strong>it</strong>uisce un chiaro indizio che anche<br />
gli Enotri si erano dotati di un sistema alfabetico.<br />
Una prima conferma di ciò si è avuta già nel corso<br />
dell’800, grazie alla scoperta di diciassette lettere<br />
incise su un vaso recuperato a Castelluccio e poi<br />
“emigrato” a Berlino. Ma a consentire di annoverare<br />
a pieno t<strong>it</strong>olo l’enotrio tra le lingue <strong>it</strong>aliche è stato<br />
il r<strong>it</strong>rovamento di quella che è la più lunga iscrizione<br />
di età arcaica finora rinvenuta in Italia<br />
meridionale. Risale agli anni a cavallo tra il VI e il V<br />
secolo a.C. ed è incisa su un blocco calcareo che fu<br />
recuperato nel giugno del 1991 dall’equipe guidata<br />
dall’archeologo Gioacchino Francesco La Torre<br />
presso l’insediamento del Palècastro di Tortora, in<br />
local<strong>it</strong>à San Brancato, ai margini dell’ampia spianata<br />
del Pianogrande. <strong>Il</strong> cippo, oggi custod<strong>it</strong>o nel Museo<br />
Nazionale di Reggio Calabria, ha la forma di un parallelepipedo<br />
che misura 67 centimetri di altezza,<br />
37 di larghezza e 21 di profond<strong>it</strong>à, ma che originariamente<br />
doveva essere alto circa il doppio e pesare<br />
intorno ai tre quintali. Ciò che resta, in pessimo<br />
stato di conservazione, è la parte superiore, come<br />
confermano le due righe presenti sulla somm<strong>it</strong>à<br />
che, probabilmente, erano una sorta di t<strong>it</strong>olo riassuntivo.<br />
La scr<strong>it</strong>tura è di tipo “bustrofedico”, vale a<br />
dire a zig-zag, e quindi procede a righe alterne,<br />
dall’alto verso il basso e viceversa, senza che vi sia<br />
alcuno spazio tra le varie parole. La lingua, tuttora<br />
sconosciuta, è paleo<strong>it</strong>alica, ma le lettere sono quelle<br />
dell’alfabeto acheo antico in uso a Sibari, con in<br />
più uno strano segno a forma di “mezza farfalla stilizzata”<br />
mutuato probabilmente dagli alfabeti sudpiceni.<br />
Ciò significa che la comun<strong>it</strong>à del Palècastro<br />
era aperta ai contatti con altre genti, soprattutto<br />
greche, dalle quali era influenzata culturalmente,<br />
pur continuando a mantenere una propria specific<strong>it</strong>à<br />
e autonomia. <strong>Il</strong> fatto che l’epigrafe sia incisa su<br />
tre delle quattro facce laterali potrebbe indurre a<br />
credere che la parte non scr<strong>it</strong>ta fosse addossata a<br />
una parete, ma è più probabile che, com’era in uso<br />
all’epoca, il cippo fosse collocato al centro di uno<br />
spazio pubblico sufficientemente ampio per consentire<br />
di girargli intorno per leggerlo. Tutto lascia<br />
credere che si trattasse di un’area sacra, probabilmente<br />
di un santuario, come sembrano confermare<br />
il carattere prescr<strong>it</strong>tivo del testo e la presenza di un<br />
derivato aggettivale del teonimo “Giove”, riferimenti<br />
individuati da Paolo Poccetti e Maria Letizia Lazzarini,<br />
i due filologi che per primi hanno studiato il<br />
testo. La loro ipotesi è condivisa da Gabriele Costa,<br />
secondo cui, stando così le cose, si potrebbe parlare<br />
addir<strong>it</strong>tura di una vera e propria “scuola di Tortora”,<br />
inser<strong>it</strong>a in una rete di scuole santuariali di<br />
scr<strong>it</strong>tura, ciascuna delle quali era capace di elaborare<br />
varianti alfabetiche locali, ma tutte in contatto<br />
non episodico tra di loro e in grado di scambiarsi<br />
informazioni e personale specializzato. Dobbiamo<br />
perciò essere grati a La Torre e a Poccetti che, fatte<br />
le deb<strong>it</strong>e proporzioni, possiamo accostare a Napoleone<br />
e a Gian Francesco Champollion, i cui nomi<br />
sono associati alla scoperta e alla traduzione<br />
della famosa “stele di Rosetta”, che permise di decifrare<br />
la lingua degli antichi Egizi. La storia ci ha tramandato<br />
anche il nome della persona che trovò<br />
materialmente quel reperto, un certo cap<strong>it</strong>ano<br />
Bouchard: è perciò doveroso ricordare anche i tortoresi<br />
Mario Maceri e Santo Caputo, i quali rivendicano<br />
con forza di essere stati i primi a scorgere il<br />
cippo di San Brancato tra le pietre di un muro a<br />
secco e ad averne segnalato la presenza agli archeologi.<br />
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A TU PER TU CON…<br />
Francesco Bevilacqua<br />
Calabria. Viaggi e paesaggi<br />
di EGIDIO LORITO<br />
Chi lo conosce si è ab<strong>it</strong>uato, negli anni, ad ammirare<br />
la Calabria tram<strong>it</strong>e le sue spettacolari fotografie,<br />
ricordi fotografici del suo costante peregrinare in<br />
lungo ed in largo, tra mari e monti, nella penisola<br />
calabrese. Ma questa volta pare che Francesco Bevilacqua<br />
si sia proprio superato, rest<strong>it</strong>uendoci un<br />
volume -anzi un superbo tomo con l’aria di antico<br />
volume di biblioteca- che già dalla presentazione<br />
lascia i lettori affascinati. “Nel pieno fiorire del<br />
Grand Tour, il fenomeno culturale che portò centinaia<br />
di uomini e donne a vis<strong>it</strong>are anche l’Italia tra il<br />
Settecento e l’Ottocento, erano in molti a mettere<br />
in guardia chiunque dall’oltrepassare Napoli o tutto<br />
al più Paestum per scendere nell’estremo Sud,<br />
giudicato troppo barbaro e selvaggio, privo di efficienti<br />
vie di comunicazione e di comodi alloggi e<br />
infestato dai briganti. Paradossalmente, questa fama<br />
sinistra -attribu<strong>it</strong>a soprattutto alla Calabria- produsse<br />
il dispiegarsi di una originale forma del Grand<br />
Tour, tanto che un manipolo di temerari, infischiandosene<br />
di ogni avvertimento, varcò la soglia ideale<br />
da macchina del tempo che divideva l’Italia civilizzata<br />
da quella arcaica e sciamò verso Sud, dando<br />
v<strong>it</strong>a ad una variante avventurosa del fenomeno. I<br />
diari di viaggio di costoro acquisirono così di interesse,<br />
ricchi com’erano di annotazioni colme di<br />
commozione per le condizioni miserevoli della v<strong>it</strong>a<br />
della gente, di indignazione per l’insipienza degli<br />
amministratori, di ansia per i disagi del percorso e<br />
per i pericoli del cammino, di stupore per la grandiosa<br />
bellezza del paesaggio calabro”. E così che<br />
nasce questo libro: proprio dall’intuizione dell’original<strong>it</strong>à<br />
del Grand Tour in Calabria da parte di un<br />
moderno viaggiatore, Francesco Bevilacqua, che in<br />
28 anni di peregrinazioni pedestri, ha esplorato i<br />
recessi più riposti e segreti della regione, trovando<br />
nel contempo -nei vecchi diari dei grandtouristinattese<br />
conferme alle proprie sensazioni. Dal confronto-incontro<br />
delle due esperienze, ecco dipanarsi<br />
-dunque- il saggio introduttivo che parla del<br />
viaggio e del viaggiare, del rapporto tra letteratura<br />
e paesaggio, della specific<strong>it</strong>à del Grand Tour in Calabria,<br />
della relazione tra i narratori calabresi e il<br />
paesaggio, del genius loci, della percezione dei<br />
luoghi, della metamorfosi del paesaggio calabro e<br />
dell’attual<strong>it</strong>à del Grand Tour. Segue l’antologia, nella<br />
quale sono suddivisi -in 14 cap<strong>it</strong>oli- il primo dedicato<br />
ai giudizi sul paesaggio calabro in generalegli<br />
altri raggruppati per un<strong>it</strong>à di paesaggio, dai singoli<br />
massicci montuosi agli specifici tratti di costa.<br />
Ogni cap<strong>it</strong>olo è correlato dalle foto dell’autore (in<br />
tutto 250) che r<strong>it</strong>raggono i luoghi c<strong>it</strong>ati nei brani<br />
così com’è possibile vederli oggi. Chiude il volume<br />
una nota bio-bibliografica sugli autori in antologia:<br />
l’effetto che ne scaturisce è quello di un viaggio descr<strong>it</strong>to<br />
a più voci, come se gli autori avessero potuto<br />
realizzare una moderna macchina fotografica; o<br />
come se il fotografo avesse in qualche modo calcato<br />
le loro orme. In 314 spettacolari pagine, presentate<br />
su carta “Tintoretto stucco gesso da 120<br />
grammi”, Francesco Bevilacqua -che vive e lavora in<br />
Calabria dove svolge la professione di avvocato civilista<br />
ed amministrativista- da quasi trent’anni è attivo<br />
nel volontariato ambientalista con Italia Nostra,<br />
il W.W.F., il Club Alpino Italiano e il Fondo per l’Ambiente<br />
Italiano, promotore in prima persona di<br />
azioni a tutela e denuncia in favore delle bellezze<br />
naturali della Calabria. È impegnato fattivamente<br />
per far conoscere la natura e il paesaggio di una<br />
delle più belle regioni del Med<strong>it</strong>erraneo, il tutto<br />
tradotto in scr<strong>it</strong>ti e fotografie per Airone, Bell’Italia,<br />
Alp, Oasis, Panorama, Rivista del Cai, Trekking, Ulisse,<br />
Quark, Dove, Gente Viaggi, Calabria, Paese Sera,<br />
Gazzetta del Sud ed in 14 libri dedicati ai parchi,<br />
alle bellezze naturali, ai paesaggi della Calabria e -<br />
più in generale- al rapporto tra uomo e natura. Uno<br />
scrigno di segreti per gli occhi ed il cuore… ❑