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2010 - Aiaf

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AIAF RIVISTA <strong>2010</strong>/2 • maggio-agosto <strong>2010</strong><br />

L’immediata conseguenza su di un piano giuridico-procedurale è l’attivarsi nei suoi confronti del<br />

principio internazionale del non refoulement (non respingimento), in base al quale vige il divieto<br />

di respingere alla frontiera uno straniero che chieda di essere accolto, avanzando questa specifica<br />

richiesta.<br />

Da un punto di vista squisitamente concettuale, il rapporto status di rifugiato/diritto di asilo può essere<br />

definito un rapporto da species a genus 2 , volendosi intendere che il primo può certamente essere<br />

ricondotto al secondo, ma non assorbe per intero lo spettro delle ipotesi riconducibili all’asilo.<br />

Lo status di rifugiato, infatti, ha una portata più limitata del diritto di asilo, potendosi riconoscere<br />

solo in presenza di determinate condizioni soggettive in capo al richiedente, mentre il diritto di asilo<br />

richiama anche situazioni – potremmo dire – più vaste e generalizzate 3 .<br />

La normativa in materia di status di rifugiato affonda le proprie radici nel diritto internazionale e<br />

nel diritto comunitario, ai quali si deve il merito di aver sollecitato e provocato, con l’ausilio dell’intervento<br />

della giurisprudenza anche italiana, la produzione delle norme nazionali vigenti nel nostro<br />

Paese.<br />

Invero, sino a qualche anno fa, in mancanza di puntuali interventi legislativi nazionali volti a dare<br />

attuazione al riconoscimento di questo specifico “status”, le situazioni soggettive a esso riconducibili<br />

facevano ingresso nel nostro ordinamento esclusivamente attraverso la norma contenuta all’art.<br />

10, 3° comma della nostra Costituzione 4 .<br />

Se anche tale norma non fa riferimento esplicito allo status di rifugiato e al fondato timore, si riteneva<br />

che l’eccezionalità della situazione del richiedente rifugio rientrasse nell’alveo delle ipotesi richiamate<br />

dalla Costituzione e fosse, pertanto, meritevole di tutela nel nostro ordinamento 5 .<br />

Ciò che assume rilevanza ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, come detto, è che il<br />

soggetto avverta il fondato timore di subire persecuzioni o, avendone già subite, che queste si ripetano.<br />

Per comprendere appieno il termine “persecuzioni” occorre partire dal combinato disposto degli<br />

artt. 1 e 33, 1° comma 6 , della Convenzione di Ginevra: esse devono consistere in un “attentato grave<br />

alla libertà o all’integrità fisica del richiedente”.<br />

Anche la Direttiva CE 2004/83, la quale trova fondamento nello stesso Trattato di Ginevra del 1951,<br />

fornisce preziose indicazioni su cosa debba essere considerato come “persecuzione”: le azioni temute<br />

o subite devono essere intenzionali, continue o sistematiche e devono essere sufficientemente<br />

gravi; anche azioni discriminatorie, che singolarmente non sarebbero idonee a costituire persecuzione,<br />

se ripetute possono dar luogo ad una valida domanda per il riconoscimento dello status<br />

di rifugiato per motivi cumulativi.<br />

Inoltre, allo scopo di fornire una definizione, la più possibile puntuale, del termine “rifugiato”, la<br />

gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo<br />

timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui<br />

aveva residenza abituale a seguito di siffatti avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”. Invero, nel<br />

corso degli anni, tale definizione si è arricchita in ragione di ulteriori situazioni soggettive esplicitamente ricondotte alle possibili<br />

ragioni di fondato timore di persecuzioni. In tal senso, la Direttiva 2003/9/CE, che aggiunge la violenza sessuale e altre forme<br />

di violenza derivanti dall’appartenenza a uno dei due sessi; nonché la Direttiva 2004/83/CE, cosiddetta Direttiva qualifiche, che<br />

all’art. 9 (Atti di persecuzione) e all’art. 10 (Motivi di persecuzione) amplia dettagliatamente il significato dei termini contenuti all’art.<br />

1 della Convenzione di Ginevra.<br />

2 In tal senso, Cons. di Stato, sez. IV, 11 luglio 2002, n. 3874.<br />

3 A tal proposito basti pensare alla definizione generica che del diritto d’asilo offre la nostra Carta Costituzionale, a norma della<br />

quale ha il diritto di chiedere asilo in Italia lo straniero “al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche<br />

garantite dalla Costituzione italiana” (art. 10, 3° comma).<br />

4 La norma costituzionale in questione recita: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà<br />

democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite<br />

dalla legge”.<br />

5 In tal senso, Consiglio di Stato, sez. IV, 14 dicembre 2004, n. 8048.<br />

6 L’art. 33, rubricato “Divieto di espulsione e di rinvio al confine”, al suo 1° comma recita: “1. Nessuno Stato Contraente espellerà<br />

o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate<br />

a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue<br />

opinioni politiche”.<br />

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