Gds_1 Anno 2011 - Ordine Regionale dei Geologi di Sicilia

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3. Caratteristiche geolitologiche L’assetto geologico del tratto di litorale ove è ubicata la cava è costituito da uno spesso deposito sedimentario di origine marina ed alluvionale, di recente formazione, giacente su un basamento di scisti filladici appartenenti alla “Unità di S. Marco D’Alunzio” del Complesso Calabride, i quali formano anche le pendici collinari retrostanti il rilevato ferroviario. Una propaggine rocciosa filladica forma il piccolo promontorio roccioso che chiude a settentrione il tratto di litorale in oggetto. Alla sommità dei versanti si rinvengono una sequenza di conglomerati ed arenarie oligocenici appartenenti al Flysch di Capo d’Orlando, sovrapposti stratigraficamente alle filladi. La fascia litoranea pianeggiante è costituita da depositi alluvionali e marini recenti; da un punto di vista granulometrico, questi sono formati essenzialmente da livelli sabbioso-ghiaiosi sciolti poco classati, talvolta con ciottoli e blocchi lapidei, in cui si può riconoscere una natura prevalentemente metamorfica, mentre nella frazione più fine si possono distinguere elementi quarzosi, k-feldspato, miche. Hanno stratificazione incrociata e giacitura sub-orizzontale, con soventi contatti eteropici. I Conglomerati Costieri - La scogliera situata lungo la linea di costa consiste in livelli e bancate di conglomerati dotati di un grado di cementazione elevato e formati da sabbie, ghiaie e ciottoli arrotondati di natura cristallina con macrofossili, in cui prevale ora l’una, ora l’altra classe granulometrica. Lo spessore si aggira intorno a 1-2 metri; l’orientazione degli strati varia tra i 10° ed i 30°. La parte gdiS 1 • 2011 gennaio-aprile emersa della scogliera è di solito costantemente nascosta dai sedimenti di spiaggia; ha un andamento pianeggiante e dolcemente digradante verso mare; la parte sommersa, che si spinge circa fino alla batimetrica di –3 m, affiora dal fondo marino poco oltre la battigia ed è sempre visibile. Con i dati rilevati è stato possibile ricostruire una sezione litologica che ben evidenzia l’andamento stra- 33
tigrafico in condizioni normali, con la scogliera ricoperta dalla spiaggia. Tale roccia conglomeratica non appartiene Flysch di Capo d’Orlando, ma si è generata, in epoca olocenica, all’interno dei sedimenti sciolti di spiaggia mediante la deposizione di cemento carbonatico ad opera di fluidi interstiziali in presenza di una falda acquifera fortemente mineralizzata. Questo tipo di materiale litoide si rinviene in vari punti lungo tutto il litorale di Letojanni, ed affiora, con caratteristiche analoghe, anche nella Zona Falcata di Messina e nella Penisola di Torre Faro. 4. Descrizione della cava La cava è costituita da un basso e piatto scoglio di durissima roccia in cui sono visibili diversi crateri larghi e circolari; tali avelli, che a prima vista parrebbero essere un tipo di “marmitte” di erosione, sono in realtà di origine antropica e rappresentano i punti da cui sono state estratte pietre da macina. Gli scavi misurano quasi tutti 2,00 m. di diametro, con una profondità di 0,45-0,50 m; alcuni perfori più piccoli misurano f =1,40 m. Le mole ancora in posto o appena abbozzate misurano f =1,40 e h = 0,45 m. All’interno di alcuni avelli è stato possibile osservare la parte relitta rimasta dopo il taglio della base della mola. In totale, sono stati contati 216 avelli di scavo, 10 scavi abbozzati ed una mola quasi completata pronta da tagliare alla base. Una serie di scavi si trovano a cavallo del solco di battigia e tra questi è visibile una mola abbozzata la cui lavorazione è stata interrotta probabilmente a causa di una cavità prodottasi col distacco di un grosso ciottolo. È anche presente uno scavo di forma rettangolare da cui è stata probabilmente ricavata una vasca. Le serie di perfori sono disposte in maniera da sfruttare il maggiore spazio disponibile; alcune sono poste in linea dove i segmenti di scogliera sono stretti e lunghi; invece, dove la superficie della roccia si allarga, i segni di scavo sono strettamente disposti a quinconce. In taluni casi la roccia, anziché verticalmente, è stata tagliata in senso obliquo seguendo l’orientazione verso mare degli strati. 5. Considerazioni storiche I segni di attività estrattiva di pietre da macina in zone litorali non sono infrequenti: in passato sono stati rinvenuti anche in altri due siti a Giardini Naxos e Capo d’Orlando. Sulla sponda calabra dello stretto è segnalata la presenza di una cava analoga nello stesso materiale conglomeratico, nella spiaggia di Capo dell’Armi. 34 Notizie su attività estrattive sui conglomerati di spiaggia presso la città di Messina si hanno dallo SPALLANZANI, che verso la fine del diciottesimo secolo annotò come tali “puddinghe” riuscissero a riformarsi nel giro di una quarantina di anni, fornendo così sempre nuova materia prima ai cavatori. Egli, ancora, associava all’origine di tale fenomeno la circolazione di acqua biancastra, evidentemente fortemente mineralizzata, di origine termale. La peculiarietà del conglomerato di scogliera era tale che i cavatori si sobbarcavano i disagi dovuti alla lavorazione della roccia sulla battigia a contatto con l’acqua di mare ed ai tempi dipendenti dalle condizioni meteomarine; questi erano prezzi da pagare pur di ottenere manufatti da una roccia di qualità elevata, compatta e priva di fratture. Nell’entroterra, infatti, sono rari gli affioramenti lapidei di siffatte caratteristiche, poiché le arenarie si presentano in genere troppo friabili ed i calcari dolomitici fessurati e poco omogenei. I cavatori per tagliare la roccia approfittavano dei rari eventi in cui la scogliera veniva portata alla luce dalle mareggiate o, più probabilmente, una volta conosciuta l’ubicazione della roccia, asportavano la sabbia fino a mettere a luce manualmente il fronte di scavo. Tale attività risale ad epoche sconosciute, sicuramente antecedenti fine ‘800 ed è probabilmente da ascrivere ai periodi in cui la coltivazione di olivi e il sorgere di frantoi nella zona erano in tale espansione da rendere economicamente vantaggiosa l’apertura di una cava apposita per le macine. La parte della scogliera dove si trovano la mola quasi completata e gli altri vicini abbozzi di scavo, si presume essere l’ultima ad essere sfruttata prima della cessazione dell’attività estrattiva. La lavorazione della roccia avveniva eseguendo uno scavo circolare massimo 2 metri di diametro, più largo ed un po’ più profondo della mola da cavare, onde avere lo spazio per tagliarla alla base. L’orientazione avveniva preferibilmente in modo da mantenere i lati paralleli all’immersione degli strati, consentendo così, mediante la parziale sovrapposizione delle sagome di scavo, un migliore sfruttamento dell’esiguo banco conglomeratico (vedi sezione). Essa avveniva talvolta a pelo dell’acqua, in qualunque condizioni di marea; d’altra parte, dall’interpretazione dalle tavole edite dall’Istituto Idrografico della Marina, si evince che le maree sigiziali nello Stretto di Messina non mostrano escursioni superiori a 30 cm. Per l’aiuto prestato per il riconoscimento del sito e per le notizie storiche si ringraziano: - il Dott. Arch. Giovanni Mauro, Sindaco di Letojanni; - il Dott. Geol. Alfredo Natoli, di Messina; - l’Avv. Marco Cutuli, di Messina. 1 • 2011 gennaio-aprile gdiS
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