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Vol. 3 – Anno 2012 – Numero 3 Fratello, amico o nemico? <strong>Fogli</strong> <strong>Campostrini</strong><br />
dell’essere umano, ma anche per sottolineare <strong>il</strong> carattere imprescindib<strong>il</strong>e o inevitab<strong>il</strong>e della<br />
rappresentazione o della recitazione nella vita dello zoon politikon. Citiamo per esteso <strong>il</strong><br />
brano classico di Epitteto (50 d.C. / 125-130 d.C.) nella traduzione di Giacomo Leopardi:<br />
Sovvengati che tu non sei qui altro che attore [ypokritès] di un dramma, <strong>il</strong> quale sarà breve o lungo, secondo<br />
la volontà del poeta. E se a costui piace che tu rappresenti la persona di un mendico, studia di rappresentarla<br />
acconciamente. Il sim<strong>il</strong>e se ti è assegnata la persona di uno zoppo, di un magistrato, di un uomo comune.<br />
Atteso che a te si aspetta solamente di rappresentar bene quella qual si sia persona [pròsopon] che ti è<br />
destinata: lo eleggerla si appartiene a un altro (Epitteto 17; 2000: 107).<br />
Tralasciamo qui <strong>il</strong> tema stoico della necessità o inevitab<strong>il</strong>ità del proprio destino.<br />
Quello che ci piace sottolineare è la proposizione di una terminologia – oltre che di una<br />
visione – che persisterà fino a noi e verrà fatta propria dalle scienze umane e sociali del<br />
Novecento. L’essere umano è infatti concepito come un “attore”, un ypokritès, cioè colui<br />
che recita, rappresenta e interpreta una parte in un dramma: l’intera vita umana è un<br />
dramma che si svolge sulla scena pubblica, e ognuno di noi è “tenuto” a recitare in<br />
maniera appropriata (“recitare bene”) la sua parte. Anche questo è un punto importante,<br />
su cui torneremo: se ciò che tocca all’uomo è recitare, rappresentare la propria parte, la<br />
rappresentazione è tuttavia qualcosa che richiede impegno. Ciò che ci viene assegnata è<br />
la parte, non la sua recitazione: questa va appresa, curata, perfezionata dall’uomo stesso.<br />
La “parte” nel testo greco di Epitteto è pròsopon, che Leopardi traduce con “persona” e<br />
che nella traduzione di Martino Menghi viene reso con “ruolo” (Epitteto 2000: 49).<br />
Leopardi non sceglie la traduzione più riduttiva di maschera, ma puntando sul concetto di<br />
persona evoca <strong>il</strong> carattere “rappresentativo” e appunto “recitante” della persona, quello<br />
che fa sì che essa finisca per coincidere con <strong>il</strong> “ruolo” che si è tenuti a interpretare.<br />
2. La libertà dalla recitazione<br />
Ma la persona non indica forse qualcosa di più “intimo”, qualcosa che si sottrae<br />
alla recitazione? Se la recitazione è esteriorità, non si evoca con ciò stesso, per contrasto,<br />
una realtà o una condizione, quella appunto dell’interiorità, dove non si recita, non si<br />
interpreta, dove si è semplicemente e puramente se stessi? Cristianesimo da un lato e<br />
diversi momenti del pensiero della modernità dall’altro costituiscono una risposta positiva<br />
Rivista online della <strong>Fondazione</strong> <strong>Centro</strong> Studi <strong>Campostrini</strong> ‐ Verona – Italy<br />
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