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Capitolo IV. Uno dei centosessanta - Dott. Faustino Nazzi

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cosacchi: guardia realizzata d'intesa dai partigiani osovani e garibaldini del luogo col federale<br />

Gabai. Costoro vestivano in grigio-verde e sul berretto avevano un gladio romano.<br />

La cosa spiacque ai gappisti, i quali, i più intransigenti di tutti, non tolleravano<br />

compromessi simili in contraddizione con la linea politica e militare delle forze attive della<br />

resistenza. Sembra addirittura che Bolla, che ebbe incontri con il federale di Udine, la sera del<br />

6 febbraio, vigilia dell'eccidio, fosse ospite in Ravosa della famiglia Clocchiatti, spia <strong>dei</strong><br />

tedeschi ben conosciuta anche dal Bolla, in attesa di andare a Udine per un altro colloquio con<br />

il federale Gabai; lì infatti l'andarono a cercare i gappisti guidati da Giacca prima di salire alle<br />

malghe.<br />

Nel gennaio 1945 mons. Luigi Venturini, vicario generale della diocesi di Udine, spedisce<br />

un'informativa a mons. Nogara in cui elenca le unità militari tedesche, cosacche e<br />

repubblichine dislocate nel territorio di Gemona col numero esatto <strong>dei</strong> componenti e rispettivo<br />

armamento. Si tratta di ben 13 punti con sotto punti del seguente tenore: «1- Comando di<br />

piazza: comandate un ufficiale della Wermacht, un maresciallo, due soldati, un interprete<br />

civile, armi personali di poco conto;... 4- Caserma Milizia: nota ubicazione... Gli uomini ora<br />

sono notevolmente ridotti, la forza complessiva non supera le 30-35 unità. L'armamento è<br />

notevole. Posseggono mortai con munizioni abbondanti, mitragliatori pesanti e leggeri ecc.,<br />

ciò perché deposito di Battaglione; 10- Scuole Ospedaletto: ospitano n. 30 cosacchi con<br />

armamento pesante e leggero» (GUBIANI 2004, p. 109).<br />

Il "nostro" mons. Luigi Venturini non disponeva della competenza necessaria né aveva la<br />

possibilità di frequentare tali ambienti. È invece referente privilegiato di un apparto<br />

informativo che trova nei «giovani ardenti» repubblichini gli informatori all'altezza del<br />

compito. L'informativa segue il suo corso: Curia di Udine, Nunziatura di Berna, Santa Sede,<br />

Governo monarchico del Sud, il tutto sotto l'alto patrocinio alleato. L'operazione faceva il<br />

punto sul dispiegamento militare del territorio di Gemona in vista del tanto auspicato sbarco<br />

aviotrasportato alleato. In quel punto le forze paracadutate, insieme ai resistenti osovani e<br />

repubblichini, avrebbero intercettato le truppe in ritirata e contenuto il dilagare <strong>dei</strong> titini.<br />

Succede l'irreparabile.<br />

17. Scontro fratricida<br />

Non si può ignorare che ad uccidere gli osovani furono i gappisti di Giacca, tutti italiani, e<br />

non gli slavi. Anche ammesso che abbiano agito per ordine del IX Korpus, alle dipendenze<br />

del quale si trovavano ad operare e magari su ordine verbale del Modesti o scritto del<br />

Tambosso della Federazione del Pc di Udine, è pur sempre un atto proditorio di concittadini.<br />

Si è parlato <strong>dei</strong> sospetti di spionaggio. Vi è al riguardo il caso esemplare di Trieste.<br />

Nell'agosto del '44 viene arrestato il Comitato federale del Pc triestino in una successione di<br />

azioni che sembrano corrispondere ad una vera strategia di piazza pulita. Oltre venti vengono<br />

fucilati, molti altri mandati nei campi di sterminio, da dove alcuni non fecero più ritorno. «La<br />

questione di sapere da dove partì la delazione... non è ancora oggi risolta». Don Marzari, che<br />

è un po' il Moretti di Trieste, è «il primo a lanciare l'accusa contro gli slavi, nell'agosto 1945»,<br />

accuse che gli slavi rilanciarono su «una banda senza scrupoli e senza ideali». L'accusa<br />

diverrà un comodo e sfacciato luogo comune in quel di Trieste, tanto che lo storico Jaksetig,<br />

che analizza i fatti, conclude: «Sarebbe ora di finirla! È una vergogna!» ed individua la causa<br />

nell'«indirizzo accentuatamente nazionalistico ed antislavo», introdotto dal Marzari nel Cln di<br />

Trieste, all'atto della sua nomina nel Comitato nel giugno del '44 (JAKSETICH 1978, p. 382). Un<br />

ruolo molto significativo nella costituzione di un fronte antislavo lo ebbe la triestina Maria<br />

Pasquinelli (FRANCESCHINI 1996, p. 62ss.).<br />

Il Giuntella rileva che «la questione di Trieste e dell'Istria ha una rilevanza maggiore di<br />

quella della Slavia friulana (GIUNTELLA 1984, p. 26). E noi abbiamo visto come gli eventi<br />

friulani e quelli della Benecia non siano che un riflesso di quelli triestini.<br />

La tragedia Porzûs si può sintetizzare nello slogan: -Se non arrivano i "nostri", facciamo<br />

partire i "loro"-. Per un tanto bisognava deviare su binario morto la politica fin qui seguita

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