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10 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 10 FEBBRAIO 2013<br />
Orizzonti Nuovi linguaggi<br />
Diritti e Rete<br />
di FEDERICA COLONNA<br />
scontro titanico».<br />
Così Barry Steinhardt,<br />
presidente dell’associazioneinternaziona-<br />
«Uno<br />
le per la tutela degli<br />
utenti «Friend of Privacy», definisce il dialogo<br />
— difficile — tra Europa e Usa in tema<br />
di e-privacy. Un conflitto appena cominciato,<br />
con l’arrivo a Bruxelles dei lobbisti<br />
delle maggiori tech company d’Oltreoceano,<br />
al lavoro per ammorbidire il Data<br />
Protection Regulation, il nuovo regolamento<br />
europeo sulla protezione dei dati<br />
personali previsto per il 2014. E, spiega il<br />
«New York Times», per impedire ai netizen<br />
europei di cambiare la storia del web:<br />
niente più pubblicità mirata su Google e<br />
nessuna cattiva sorpresa stile Max<br />
Schrems, lo studente austriaco che, quando<br />
ha chiesto a Facebook di avere accesso<br />
a tutti i dati che lo riguardavano, si è visto<br />
recapitare ben 1.222 pagine Pdf e 23 mail<br />
di foto e status. Alcuni dei quali, a suo dire,<br />
cancellati da tempo.<br />
È alla storia di Schrems che ha fatto riferimento<br />
Viviane Reding, la commissaria<br />
Ue per la Giustizia, i Diritti fondamentali e<br />
la Cittadinanza — che propone il nuovo<br />
regolamento — per descrivere lo spirito<br />
della normativa: «Servirà a rinforzare la<br />
privacy dei cittadini e ad aumentare la fiducia<br />
nel business online». Come? Attraverso<br />
i 91 articoli della riforma, relativa solo<br />
all’uso professionale e commerciale dei<br />
dati personali, presentata il 25 gennaio<br />
2012 e ora in discussione al Parlamento.<br />
Quattro, ha sottolineato Reding pochi<br />
giorni fa all’Informal Justice Council di Dublino,<br />
i provvedimenti principali: il rafforzamento<br />
del diritto all’oblio; la data portability<br />
(il diritto, cioè, al trasporto dei dati<br />
personali da un fornitore di servizi a un<br />
altro); l’introduzione del privacy officer,<br />
una nuova figura di garanzia presente nelle<br />
grandi aziende e nella pubblica amministrazione;<br />
l’inversione dell’onere probatorio<br />
per l’illiceità del trattamento; e, infine,<br />
l’articolo 20 in base al quale gli utenti dovranno<br />
fornire alle imprese «consenso<br />
specifico, informato ed esplicito» al trattamento<br />
dei dati personali, e possono opporsi<br />
preventivamente a ogni misura di<br />
profilazione online. «Si tratta — spiega<br />
Luca Bolognini, presidente dell’Istituto italiano<br />
per la Privacy — di un pesante freno<br />
al behavioral advertising, la pubblicità<br />
comportamentale, la più usata e efficace.<br />
Avviene quando il browser, per esempio,<br />
installando dei cookie nel pc o nello smartphone<br />
di chi naviga lo segue e ottiene informazioni<br />
preziose per calibrare i messaggi.<br />
Con il regolamento sarà chiesto<br />
esplicito consenso preventivo all’utente.<br />
Idem con la geolocalizzazione».<br />
Se da un lato, quindi, l’obiettivo del Data<br />
Protection Regulation è rafforzare i diritti<br />
dei cittadini, dall’altro «si prepara —<br />
continua Bolognini — ad abbattere su tutti<br />
i titolari del trattamento, quindi sulle<br />
aziende e sugli enti, una montagna di<br />
adempimenti nuovi, di "compiti a casa",<br />
mentre le sanzioni diventeranno mostruose,<br />
fino al 2% del fatturato globale annuo<br />
di una impresa». Ecco perché i lobbisti sono<br />
atterrati a Bruxelles: «Il sistema Usa —<br />
spiega Morena Ragone, giurista, vice presidente<br />
dell’associazione Wikitalia — si<br />
basa su un regime di autoregolamentazione<br />
che consente alle aziende di raccogliere<br />
i dati degli utenti». E, quindi, di sviluppare<br />
servizi con maggiore libertà, come<br />
ha avuto modo di sottolineare il 28 gennaio,<br />
in occasione della Giornata internazionale<br />
per la Privacy, anche l’Icdp (Industry<br />
Coalition for Data Protection): «Proprio<br />
nel momento in cui il settore Ict è uno<br />
dei pochi in grado di stimolare la crescita<br />
in Europa, la proposta della Commissione<br />
minaccia di compromettere l’ecosistema<br />
digitale e, potenzialmente, di soffocare<br />
la capacità dell’Europa di innovare».<br />
Eppure la Commissione ha stimato<br />
che il Pil del continente potrebbe crescere<br />
del 4% entro il 2020 se l’Unione riuscisse<br />
a creare, come conseguenza dell’applicazione<br />
del regolamento, un mercato unico<br />
digitale. Grazie, soprattutto, alla rinnovata<br />
fiducia degli europei nelle aziende<br />
web. Sentimento che, rivela Eurobarometro<br />
— servizio statistico dell’Ue, autore<br />
dell’indagine Attitudes on data protection<br />
and electronic identity in the European<br />
Union, allegata al progetto di legge —<br />
solo il 26% degli utenti dei social<br />
network e il 18% di chi fa acquisti online<br />
si sente nel pieno controllo dei propri dati.<br />
Mentre Facebook e Yahoo! escono dalla<br />
top ten delle società online ritenute<br />
più sicure dagli utenti — americani, stavolta<br />
— secondo la recente classifica del<br />
Ponemon Institute.<br />
Non è, però, attraverso la proliferazione<br />
burocratica che l’ambiente digitale diventa<br />
più sicuro. «Serve una visione globale<br />
comune, almeno sui principi chiave delle<br />
leggi», spiega Daniel Cooper, firma di<br />
{<br />
di Giuseppe Remuzzi<br />
Privacy, la battaglia dell’Atlantico<br />
RRR<br />
I provvedimenti<br />
Rafforzati il diritto all’oblio<br />
e il diritto di opporsi<br />
preventivamente alla<br />
profilazione online. Nasce<br />
un nuovo garante<br />
Sopra le righe<br />
Il codice<br />
Il Data Protection<br />
Regulation europeo<br />
dovrebbe sostituire<br />
la direttiva madre<br />
in materia di privacy, la<br />
95/46. Presentato il 25<br />
gennaio 2012, si compone<br />
di 91 articoli, e per l’online<br />
si limita ad aggiungere<br />
singole norme. Si tratta<br />
di regole, però, in grado<br />
di incidere su temi centrali,<br />
come la «profilazione»<br />
degli utenti web, i quali<br />
dovranno fornire alle<br />
imprese «consenso<br />
specifico, informato<br />
ed esplicito» al trattamento<br />
dei dati. Il progetto è in fase<br />
di revisione parlamentare:<br />
gli emendamenti<br />
sono stati presentati<br />
il 17 dicembre scorso nella<br />
bozza (draft report)<br />
coordinata dallo special<br />
rapporteur Jan Philipp<br />
Albrecht, membro del<br />
gruppo Verde/Alleanza<br />
libera europea. Le<br />
modifiche proposte<br />
prevedono un<br />
rafforzamento ulteriore<br />
della tutela del cittadino e<br />
maggiori responsabilità e<br />
trasparenza (accountability)<br />
delle imprese. Il voto finale<br />
agli emendamenti, presso la<br />
commissione parlamentare<br />
Libe (libertà civili, giustizia e<br />
affari interni) è previsto per<br />
il prossimo aprile.<br />
L’adozione del regolamento<br />
è, invece, prevista per il<br />
2014, ma entrerà in vigore<br />
solo due anni dopo<br />
Quando chiedere non è lecito<br />
Un ex presidente del Royal College of<br />
Physicians — associazione medica di grande<br />
prestigio nel Regno Unito — ha chiesto a un<br />
po’ di amici di aiutarlo ad avere un seggio<br />
alla Camera dei Lord. Gli hanno risposto che<br />
punta dello studio legale Convington &<br />
Burling. E continua: «La giurisprudenza<br />
americana riconosce un grande peso ai<br />
principi di notice and choice, notifica e<br />
scelta. Le regole europee, invece, tendono<br />
a essere più paternalistiche, ma non è detto<br />
che questo approccio, che nel campo<br />
della privacy riconosce al principio del<br />
consenso un grande peso, sia davvero più<br />
favorevole per i cittadini». Insomma, se alcuni<br />
pregi del Data Protection Regulation<br />
sono innegabili — «Finora abbiamo trattato<br />
la privacy con una visione analogica,<br />
stavolta non è così» spiega Ragone — il<br />
regolamento potrebbe trasformarsi in<br />
un’occasione mancata.<br />
Viktor Mayer-Schönberger, docente di<br />
Internet Governance and Regulation presso<br />
l’Oxford Internet Institute, ne evidenzia<br />
un grande limite: «Avrei sperato ci fosse<br />
più attenzione alle sfide poste dai big data.<br />
In ogni caso il regolamento sarà incisivo<br />
un po’ come la legge della California<br />
che ha innalzato il livello di emissioni<br />
standard per le auto e ha costretto le industrie<br />
a fabbricare più veicoli ibridi. Così<br />
l’inasprimento degli standard europei potrà<br />
migliorare la privacy mondiale».<br />
Una prospettiva sulla quale Reding<br />
sembra puntare, tanto che il faccia-a-faccia<br />
con gli Usa è soprattutto politico. Chi<br />
detterà, infatti, le regole del web determinerà<br />
la forma mentis del pianeta. Per questo<br />
l’articolo 3 della riforma è il più controverso:<br />
stabilisce che le norme si applicheranno<br />
anche alle imprese extra Ue se<br />
sono residenti europei a usufruire dei servizi.<br />
«Non possiamo, però, essere troppo<br />
eurocentrici — conclude Bolognini —.<br />
Quasi ogni articolo del regolamento finisce<br />
con un comma che conferisce alla<br />
Commissione il potere di adottare atti delegati<br />
per l’attuazione delle disposizioni.<br />
La Commissione può fare e disfare le regole».<br />
Un tema spinoso, «tanto che —<br />
continua Cooper — molti stakeholder<br />
hanno espresso preoccupazione, perché<br />
tanta discrezione è riconosciuta a un organo<br />
europeo non-eletto». Senza contare<br />
che i tempi dell’attuazione del regolamento<br />
potrebbero così diventare lunghissimi.<br />
È in dubbio, infatti, se sarà davvero il<br />
2014 l’anno della nuova legge sulla privacy.<br />
Sia per questioni interne, come il<br />
mal di pancia di Gran Bretagna e Germania<br />
che preferirebbero una direttiva al regolamento<br />
(ma che, conclude Cooper, «lascerebbe<br />
l’Europa come già è: frammentata»),<br />
sia per le difficoltà burocratiche. Un<br />
rischio, insomma, c’è. Proprio la legge sul<br />
diritto all’oblio può finire nel dimenticatoio.<br />
@fedecolonna<br />
© RIPRODUZIONE RISERVATA<br />
se uno lo chiede non è la persona giusta<br />
per la Camera Alta. E se facessimo così<br />
anche noi? Chi si propone per un posto<br />
di responsabilità e si fa raccomandare<br />
per arrivarci, forse non lo dovrebbe avere.<br />
Bruxelles avvia la discussione sul Data Protection Regulation<br />
Dietro c’è lo scontro tra due idee di web e progresso: Europa e Usa L’operaio<br />
fa un iPad<br />
e lo porta<br />
al museo<br />
i<br />
ILLUSTRAZIONE DI PIERLUIGI LONGO<br />
Cina Il caso Foxconn<br />
di MARCO DEL CORONA<br />
Alla fine Li Liao chiude il cerchio.<br />
Dopo aver lavorato in incognito<br />
un mese e mezzo come operaio<br />
in uno stabilimento della famigerata<br />
Foxconn, con i salari percepiti ha<br />
acquistato un iPad, ovvero l’oggetto che<br />
aveva contribuito ad assemblare. Il<br />
cerchio chiuso è per Li un’opera d’arte.<br />
E, come tale, Consumption è approdata<br />
all’Ullens Center for Contemporary Art<br />
di Pechino (Ucca), che ha<br />
commissionato 50 opere a 50 artisti<br />
della nuovissima wave cinese per la<br />
collettiva On/Off. Li è nato in Hubei<br />
nell’82, ha spiegato nel 2011 di aver<br />
cancellato i suoi studi accademici dal<br />
curriculum per «preservare la propria<br />
libertà» e si è fatto assumere a<br />
Shenzhen, città simbolo dell’«apertura»<br />
di Deng. Dunque, con decine di milioni<br />
di lavoratori migranti ha condiviso<br />
anche il destino di venire da lontano<br />
(«e in fabbrica non tornerò», ha<br />
confidato in un’intervista). La sua opera<br />
«Consumption»: il camice e il tesserino<br />
Foxconn di Li Liao, artista nato nell’82<br />
WWW.NEWYORKER.COM<br />
condensa la prestazione professionale e<br />
l’esperienza esistenziale, senza<br />
dichiarati scopi politici: oltre al lavoro<br />
nel campus di Longhua — 10 ore al<br />
giorno più due per i pasti — ecco l’iPad<br />
stesso, il camice, i tesserini, il contratto<br />
d’assunzione incorniciato. Più<br />
dell’originalità, vale la tempestività<br />
dell’operazione. Vale, naturalmente, il<br />
fatto che Consumption sia nata in Cina,<br />
dove i temi del lavoro alimentano le<br />
aspettative popolari. Vale che l’iPad sul<br />
piedistallo rimandi all’azienda<br />
(taiwanese) eletta a simbolo negativo<br />
delle pratiche industriali. Vale infine<br />
che proprio ora si parli dell’ipotesi di<br />
consentire alla Foxconn delegati dei<br />
lavoratori più rappresentativi di quanto<br />
accada con il sindacato ufficiale. E il<br />
cerchio di Li Liao si chiude una seconda<br />
volta entrando in risonanza con il titolo<br />
della mostra: On/Off evoca l’attivazione,<br />
o meno, di una vpn (virtual private<br />
network), un software che aggira il<br />
Great Firewall, la censura online. In<br />
Cina, senza vpn anche un iPad resta<br />
zoppo.<br />
http://leviedellasia.corriere.it<br />
@marcodelcorona<br />
© RIPRODUZIONE RISERVATA