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Fathi Hassan

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2 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 10 FEBBRAIO 2013<br />

RRR<br />

Sommario<br />

corriere.it/lalettura<br />

L’inserto continua online<br />

con il «Club della Lettura»:<br />

una community esclusiva<br />

per condividere idee e opinioni<br />

4 Il dibattito delle idee<br />

«Il nucleare aiuta la natura»<br />

di STEFANO GATTEI<br />

5 Mettiamo una tassa<br />

sulle citazioni facili<br />

di GUIDO VITIELLO<br />

Orizzonti<br />

6 Società<br />

Il ritorno dei barbari<br />

di GIUSEPPE SARCINA<br />

e ALESSANDRO ZIRONI<br />

8 Società<br />

La cucina della pace<br />

e la riscossa dei carnivori<br />

di ANGELA FRENDA<br />

e VIVIANA MAZZA<br />

11 Visual data<br />

Perché Lisbona<br />

assomiglia a Honolulu<br />

di GIORGIA LUPI<br />

e SIMONE QUADRI<br />

Caratteri<br />

12 L’intervista<br />

Il canone inverso<br />

di Jonathan Lethem<br />

di ALESSANDRA FARKAS<br />

14 Narrativa italiana<br />

Una naturalista<br />

in casa Manzoni<br />

di ERMANNO PACCAGNINI<br />

17 Personaggi<br />

Il mondo della Dc<br />

raccontato da una figlia<br />

di ALDO GRASSO<br />

18 Le classifiche dei libri<br />

La pagella<br />

di ANTONIO D’ORRICO<br />

Sguardi<br />

20 Tendenze<br />

Fede nell’arte:<br />

il Vaticano alla Biennale<br />

di STEFANO BUCCI<br />

e VINCENZO TRIONE<br />

22 Riscoperte<br />

L’infanzia di Cindy Sherman<br />

di ARTURO CARLO QUINTAVALLE<br />

24 Il protagonista<br />

Timothy Greenfield-Sanders<br />

il fotografo d’America<br />

di GIANLUIGI COLIN<br />

Percorsi<br />

26 Graphic novel<br />

L’ultimo gladiatore<br />

di MICHELE PETRUCCI<br />

28 La biografia/1<br />

L’uomo che scoprì Timbuctù<br />

di ELISABETTA ROSASPINA<br />

29 La biografia/2<br />

La donna che insegna<br />

Beethoven ai sordi<br />

di PAOLA D’AMICO<br />

30 Controcopertina<br />

I malati all’ergastolo<br />

di FULVIO BUFI<br />

e LUIGI FERRARELLA<br />

Il dibattito delle idee<br />

In Europa le regole variano. Nel nostro Paese<br />

occorre aggiornare le leggi alla nuova società<br />

Ius<br />

scholae<br />

Oltre il diritto di sangue<br />

oltre il diritto del suolo<br />

Diamo la cittadinanza<br />

agli stranieri che vanno a scuola<br />

di MAURIZIO FERRERA<br />

Forse non sarà all’ordine del giorno nella prima<br />

riunione del nuovo governo (come promette<br />

il programma del Pd), ma è certo che<br />

la questione della cittadinanza agli immigrati<br />

dovrà essere seriamente affrontata nella<br />

prossima legislatura. In Italia risiedono stabilmente<br />

quasi tre milioni e mezzo di persone<br />

che provengono da Paesi non appartenenti all’Ue. Il<br />

nostro «tasso di naturalizzazione» si situa però al di sotto<br />

della media Ue ed è pari alla metà di quello francese<br />

o britannico. Siamo in altre parole fra i Paesi più avari<br />

nel concedere la cittadinanza agli immigrati, e in particolare<br />

ai loro figli, anche se nati in ospedali italiani. Si<br />

tratta di 650 mila minori in tutto, 75 mila nuove registrazioni<br />

all’anno. Questi ragazzi parlano la nostra lingua,<br />

guardano la televisione, vanno a scuola, dove studiano<br />

storia, geografia e letteratura italiana. Ma sono considerati<br />

«extracomunitari» o semplicemente «stranieri».<br />

L’acquisizione della nazionalità è attualmente disciplinata<br />

dalla legge 91 del 1992. È automaticamente cittadino<br />

chi nasce da genitori italiani o possa vantare una discendenza<br />

diretta da cittadini italiani, anche senza essere<br />

nato nel nostro Paese. Per chi non possiede questi<br />

requisiti la naturalizzazione è un percorso a ostacoli. Bisogna<br />

prima ottenere un permesso e poi una carta di<br />

soggiorno. Le norme che disciplinano queste tappe dovrebbero<br />

essere allineate a una direttiva del 2004, ma<br />

purtroppo non è così. Le procedure sono più lunghe,<br />

macchinose e restrittive di quanto previsto dalla direttiva.<br />

Dopo dieci anni di residenza legale, si può chiedere<br />

la cittadinanza. La media degli altri Paesi è di cinque<br />

anni e, paradossalmente, era così anche in Italia prima<br />

della legge del 1992. La nazionalità si può successivamente<br />

trasmettere ai figli, come un’eredità. Se ciò non<br />

avviene, questi ultimi restano stranieri residenti. Dopo i<br />

18 anni, possono, sì, chiedere la cittadinanza, ma solo se<br />

risultano nati sul suolo italiano, sono stati immediatamente<br />

registrati all’anagrafe (cosa che non avviene se i<br />

genitori sono o erano irregolari) e hanno soggiornato<br />

senza interruzioni in Italia per diciotto anni (molti figli<br />

di immigrati trascorrono lunghi periodi con i parenti<br />

nel Paese di origine). Un sistema anacronistico, che stride<br />

con le migliori pratiche internazionali, ingiustamente<br />

punitivo oltre che irragionevole sul piano economico,<br />

politico e sociale. Il nostro Paese deve urgentemente<br />

modernizzare la propria «politica della cittadinanza»:<br />

senza massimalismi, ma con coraggio e nel rispetto della<br />

cornice europea. Quali direzioni seguire?<br />

Nel corso del XX secolo, la naturalizzazione degli stranieri<br />

è stata collegata al cosiddetto ius sanguinis (presenza<br />

di genitori o antenati già «nazionali»: caso tipico<br />

RRR<br />

La naturalizzazione va vista<br />

come un processo graduale,<br />

accompagnato da incentivi<br />

e da corsie preferenziali,<br />

soprattutto per i minori<br />

i<br />

In Italia vige lo ius sanguinis:<br />

italiani i figli di italiani. La<br />

cittadinanza si può acquisire<br />

per matrimonio o dopo 10<br />

anni di residenza (5 i rifugiati,<br />

4 i cittadini Ue). I nati in Italia<br />

hanno una finestra tra i 18 e i<br />

19 anni per richiederla<br />

In Francia oltre al «diritto di<br />

sangue» è previsto un «diritto<br />

di suolo differito»: i figli di<br />

genitori stranieri diventano<br />

francesi al compimento della<br />

maggiore età. Per la<br />

naturalizzazione bastano 5<br />

anni di residenza, 2 per chi ha<br />

frequentato una Grande École<br />

Chi nasce in Germania da<br />

genitori stranieri riceve la<br />

cittadinanza se almeno uno<br />

dei genitori risiede<br />

regolarmente da 8 anni e da<br />

3 possiede un permesso di<br />

soggiorno illimitato. Ha poi<br />

tempo fino ai 23 anni per<br />

scegliere un solo passaporto<br />

Può chiedere la cittadinanza<br />

britannica lo straniero che<br />

vive nel Regno Unito da 5<br />

anni. I figli di stranieri<br />

legalmente residenti (con<br />

permesso illimitato) nati su<br />

suolo britannico hanno<br />

diritto alla cittadinanza<br />

la Germania) oppure allo<br />

ius soli (nascita nel territorio<br />

nazionale: casi tipici<br />

gli Stati Uniti e la Francia).<br />

I due criteri riflettevano<br />

concezioni filosofiche profondamente<br />

diverse di ciò<br />

che deve fondare l’appartenenza<br />

a una comunità politica:<br />

una concezione «oggettiva»,<br />

basata su sangue<br />

e stirpe, contrapposta a una «soggettiva», basata sulla<br />

condivisione di valori, diritti e doveri. Fichte contro Renan,<br />

in altre parole: nazione-popolo versus nazione-repubblica.<br />

Sulla scia degli imponenti flussi migratori degli<br />

ultimi due decenni, questi criteri non tengono più<br />

nella loro forma pura. Che senso ha concedere la cittadinanza<br />

per «legami di sangue» a chi è nato e risiede all’estero<br />

e non ha magari nessun rapporto con la madrepatria?<br />

Perché negare la nazionalità (o farla sospirare<br />

per un tempo quasi infinito) a uno straniero che non è<br />

nato in loco ma si è bene integrato nel Paese di immigrazione?<br />

Oppure concederla per «legami di suolo» a chi è<br />

nato in un dato Paese solo per caso, senza poi vivervi<br />

stabilmente?<br />

Una seria politica della cittadinanza va oggi imperniata<br />

su nuovi criteri: essenzialmente la residenza (ius domicilii),<br />

accompagnata da «filtri» che attestino la disponibilità<br />

e la misura dell’integrazione (frequenza scolastica,<br />

lavoro regolare, conoscenza della lingua e così via).<br />

La naturalizzazione non deve essere più vista come un<br />

passaggio «puntuale», un salto di status irreversibile disciplinato<br />

da criteri molto generali e automatici. Va piuttosto<br />

vista come un processo graduale, accompagnato<br />

da incentivi premiali e corsie preferenziali. Ciò vale soprattutto<br />

per i minori, ai quali dovrebbe applicarsi una<br />

combinazione di ius domicilii e ius scholae (il ministro<br />

Riccardi ha recentemente usato l’espressione di ius culturae).<br />

Nel linguaggio degli esperti, questo canale è definito<br />

socialization-based acquisition: la naturalizzazione<br />

è condizionata alla frequenza scolastica e/o ad altre<br />

esperienze formative. La giustificazione di questa posizione<br />

è quasi intuitiva. Chi è stato socializzato alla cultura<br />

e alla lingua di un dato Paese ha più alte probabilità<br />

di condividerne i valori o quanto meno di rispettare il<br />

pacchetto di diritti e doveri vigente in quel Paese. Come<br />

sosteneva Ernest Renan, dopo tutto la cittadinanza è un<br />

«plebiscito quotidiano»: ogni giorno i membri della comunità<br />

politica «scelgono» di ubbidire alla legge. D’altra<br />

parte, chi diventa cittadino ha un incentivo ulteriore<br />

a seguire le norme del proprio Paese: si origina in altre<br />

parole un vero e proprio circolo virtuoso. In Francia (dove<br />

è stato ormai abbandonato lo ius soli) un minore che<br />

abbia seguito un percorso d’istruzione per almeno cinque<br />

anni ha automaticamente diritto alla cittadinanza.<br />

In Danimarca e Finlandia il diritto scatta anch’esso automaticamente<br />

con la frequenza scolastica, a partire dai<br />

15 anni (purché non ci siano state condanne penali che<br />

prevedano il carcere).<br />

A partire dal 2009 si è finalmente aperto anche in Ita-

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