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22 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 10 FEBBRAIO 2013<br />
Sguardi Le mostre<br />
Riscoperte A Merano le prime trasgressioni dell’artista<br />
Metà degli Anni Settanta, a<br />
Buffalo, sul Lago Erie, vicino<br />
alle Niagara Falls: allo<br />
State University College<br />
una ragazza di venti anni<br />
(o poco più) rifiuta la pittura e si confronta<br />
con la ricerca di New York. Sceglie,<br />
dunque, i corsi di fotografia ma non si<br />
interessa alle tecniche della ripresa e della<br />
stampa e neppure alle arti tradizionali.<br />
Preferendo invece scoprire l’arte concettuale,<br />
la Body Art, gli happening.<br />
Cindy Sherman è questo, e molto altro,<br />
fin dalle origini, indagate per la prima<br />
volta da una bella mostra a Merano<br />
(Cindy Sherman. That’s me-That’s not<br />
me, Galleria Merano Arte, fino al 26 maggio).<br />
Gli anni della formazione fra il 1975 e<br />
il 1977 (Cindy è nata nel 1954) mostrano<br />
subito scelte nette. Scrive Allan Kaprow:<br />
«La linea fra arte e vita deve rimanere<br />
fluida e la più indistinta possibile». Per<br />
questo gli happening, gli eventi che hanno<br />
tanto pesato sulla scena di New York,<br />
sono un passaggio importante, ma Cindy<br />
non vuole quel genere di rappresentazione.<br />
Certo, la Sherman conosce bene il<br />
dibattito di Art & Language, e il problema<br />
dello scarto fra parola, realtà e foto-<br />
i<br />
La retrospettiva<br />
«Cindy Sherman:<br />
That’s me -That’s not me»,<br />
a cura di Gabriele Schor,<br />
Merano,<br />
Galleria Merano Arte,<br />
fino al 26 maggio<br />
(Info Tel. 0473 21 26 43;<br />
www.kunstmeranarte.org),<br />
Catalogo Hatje Cantz<br />
Verlag, tedesco e inglese,<br />
pp. 378, e 58<br />
La collezione<br />
La mostra propone<br />
(per la prima volta in Italia)<br />
cinquanta lavori giovanili<br />
(1975-77) dell’artista<br />
statunitense (1954)<br />
dalla Collezione<br />
Verbund di Vienna.<br />
Tre lavori giovanili<br />
della Sherman sono<br />
esposti (fino al 9 giugno)<br />
al Museo Gucci di Firenze<br />
{<br />
di Paolo Conti<br />
grafia. Come nell’opera di Joseph Kosuth<br />
One and three chairs (1965) con una sedia<br />
fotografata, la sedia reale, la definizione<br />
di sedia nel vocabolario; uno scarto<br />
ben mostrato da Magritte che aveva<br />
scritto sotto l’immagine di una pipa «ceci<br />
n’est pas une pipe».<br />
Praticare arte però vuol dire anche sperimentare<br />
l’ambiguità dei testi e delle immagini.<br />
Nel 1975 finisce, con la caduta di<br />
Saigon, il conflitto in Vietnam, ma la mitologia<br />
americana continua sulle riviste<br />
glamour, nelle pubblicità della moda,<br />
nel consumo delle immagini; sono gli ultimi<br />
anni di Warhol e dei suoi travestimenti;<br />
sono gli anni del Concettuale e di<br />
una ricerca sull’arte come vita (ancora<br />
Kaprow), ma anche del rifiuto dell’arte<br />
da appendere, dell’arte come merce.<br />
Così ecco il problema: rappresentare<br />
per Cindy Sherman vorrà sempre dire<br />
cancellare se stessa, trasformarsi: Senza<br />
titolo (1975) è una lunga sequenza di fotografie<br />
del volto dell’artista che, da studentessa<br />
acqua e sapone, diventa vamp,<br />
il volto cambia fino a essere irriconoscibile.<br />
Un’altra ricerca Air shutter release<br />
fashion (1975) mostra il corpo nudo di<br />
Cindy, senza testa e tagliato appena sopra<br />
le ginocchia, legato da una corda,<br />
«Dobbiamo riappropriarci della nostra<br />
identità, qui c’è un quarto dei beni<br />
archeologici del pianeta», assicura Luca<br />
Zingaretti, candidato alla presidenza<br />
della Regione Lazio. Per Silvio Berlusconi<br />
Cindy, l’infanzia di una star<br />
Le provocazioni giovanili della Sherman in un diario privato tra Magritte e Warhol<br />
Cinquanta lavori che evocano (e superano) i sogni dell’avanguardia newyorkese<br />
di ARTURO CARLO QUINTAVALLE<br />
Beni confusionali<br />
Il nostro patrimonio tutelato dall’Unesco<br />
Composizioni<br />
In alto, a sinistra: Cindy Sherman, «Murder<br />
Mistery» (1976, particolare), composizione<br />
di 255 fotografie in bianco e nero con<br />
figure ritagliate. Sopra, dall’alto: due<br />
immagini da «Bus Riders II» (1976-2000),<br />
serie di 12 fotografie in bianco e nero.<br />
I lavori giovanili della Sherman fanno parte<br />
della Collezione Verbund di Vienna sin dalla<br />
nascita della stessa collezione, nel 2004<br />
(marzo 2011) l’Italia «ha regalato al mondo<br />
il 50 per cento dei beni artistici tutelati<br />
dall’Unesco». L’unica verità? In Italia<br />
si trovano 44 dei 725 siti culturali tutelati<br />
dall’Unesco. Ed è già tantissimo.<br />
omaggio a Marcel Duchamp e a Christo.<br />
«Ho iniziato a lavorare con la fotografia<br />
circa due anni fa, — scrive Cindy nel<br />
1976 — quando ho deciso di usare la<br />
macchina fotografica per esplorare la<br />
mia esperienza di donna. I miei primi<br />
tentativi sono stati col trucco del mio viso<br />
per esprimere caratteri diversi. Questo<br />
crebbe fino a trasformare tutto il mio<br />
corpo così che io potessi rappresentare<br />
un carattere dato».<br />
E qui si inserisce un’altra storia: Cindy<br />
inizia a ritagliare figure, un poco come i<br />
vestiti di carta delle bambole ottocentesche<br />
ma nella miglior tradizione della<br />
Barbie: utilizza vecchi abiti, travestimenti<br />
per trasformarsi, per rappresentare<br />
sempre nuove storie.<br />
Così dopo Doll Clothes del 1975 viene<br />
una serie di immagini di Cindy, ritagliate<br />
e parzialmente sovrapposte come nelle<br />
fotografie del movimento di Eadweard<br />
Muybridge o in quelle, che tanto hanno<br />
pesato sull’arte dai Futuristi a Duchamp,<br />
di Etienne Jules Marey. Ecco allora Series<br />
of paper doll movement (1975), Character<br />
movement series- The giant (1976)<br />
dove la sagoma di Cindy è ritratta in pose<br />
diverse.<br />
E poi, ancora, ecco il teatro e la autoanalisi:<br />
si intitola Play of selves, una recita<br />
«analitica», un complesso racconto<br />
del 1976 dove l’artista moltiplica i travestimenti<br />
e diventa donna angosciata e distrutta,<br />
ma anche donna ideale, donna<br />
giovane e frivola, donna seduttrice, e persino<br />
maschio amante, oppure uomo ideale,<br />
o donna ideale; le foto costruiscono<br />
un racconto seguendo un vero e proprio<br />
copione.<br />
Cindy si propone in molte altre ricerche,<br />
con abili fotomontaggi diventa «cover<br />
girl» per «Cosmopolitan» e per altre<br />
riviste. In Bus riders (1976-2000) espone<br />
per un mese, negli spazi pubblicitari di<br />
un autobus, figure rimpicciolite di viaggiatori<br />
sempre e comunque impersonati<br />
da lei che diventa conducente e vamp,<br />
studente e lavoratore nero: ecco un dialogo<br />
fra persone vere e immagini; si potrebbe<br />
dire, con Magritte, «questo non è<br />
un viaggiatore». La Sherman vuole evocare<br />
così gli happening e la Body Art con<br />
l’idea che il corpo deve farsi altro, deve<br />
rappresentare persone diverse, identificarsi,<br />
perdersi.<br />
Certo, le trame dei racconti di Cindy<br />
sono quelle del romanzo d’appendice ottocentesco<br />
di una lontana Parigi, ma le<br />
fotografie nascono dall’idea dell’arte<br />
moltiplicata dai media di Andy Warhol.<br />
Al tempo stesso, il teatro dei gesti di Cindy<br />
è evento fotografato, suggestione della<br />
maschera, diario in pubblico che vuole<br />
essere antagonista di un universo dominato<br />
dagli uomini. Dunque, ricerca di<br />
identità e, quindi, autoanalisi.<br />
Allestimento<br />
Rigore scientifco<br />
Catalogo<br />
© RIPRODUZIONE RISERVATA