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Fathi Hassan

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24 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 10 FEBBRAIO 2013<br />

Sguardi Il protagonista<br />

Nello studio di Timothy Greenfield-Sanders<br />

Lo specchio dell’America<br />

dal nostro inviato a New York<br />

GIANLUIGI COLIN<br />

Ha fotografato l’orrore della guerra in Iraq<br />

senza mostrare una goccia di sangue. Lo ha<br />

fatto con il candore dello sguardo, ritraendo<br />

un soldato in alta uniforme, non in un<br />

campo di battaglia, ma nel suo studio nel<br />

cuore di New York: fondo bianco, le medaglie al petto.<br />

Il marine è austero, orgoglioso, marziale. Ma senza<br />

gambe. Al loro posto due protesi, bene in vista, contenute<br />

in un paio di scarpe lucidissime, tirate a specchio.<br />

Timothy Greenfield-Sanders è il fotografo dell’America.<br />

Lo è nel suo senso più profondo, nella rappresentazione<br />

più vera, perché è senza artifici retorici e invenzioni<br />

estetiche. Uno sguardo rigoroso, senza sovrastrutture,<br />

apparentemente semplice, ma al contrario è uno<br />

sguardo colto, calibrato, essenziale.<br />

Non è un caso che davanti al suo obbiettivo sia passato<br />

il mondo più influente della politica (presidenti, segretari<br />

di Stato, senatori, First Ladies. Tra l’altro, curioso<br />

a dirsi, anche una giovane Hillary Clinton e Monica<br />

Lewinsky). E poi tutto lo star system che comprende i<br />

più grandi attori e registi (da Orson Welles a Spielberg,<br />

Woody Allen, Nicole Kidman, per citare solo alcuni nomi)<br />

ma anche il mondo della cultura e dell’arte. Ancora<br />

qualche esempio? Allen Ginsberg, Salman Rushdie, Robert<br />

Rauschenberg, Richard Serra, Jeff Koons (che, for-<br />

Fotografa tutti: politici, attori, eroi<br />

«Cominciai facendo irritare Welles»<br />

i<br />

Timothy Greenfield-Sanders<br />

nel suo studio di New York,<br />

accanto alla fotocamera<br />

in legno di grande formato<br />

con cui realizza<br />

i suoi celebri ritratti<br />

dello star system<br />

se era al tempo di Cicciolina, si è fatto ritrarre nudo).<br />

Non è un caso che il suo studio a East Village sia una<br />

piccola cattedrale anglicana, sventrata e trasformata<br />

nel suo personale tempio dell’immagine. Il sole entra<br />

dalle vetrate gotiche e illumina lo studio/casa dando<br />

allo spazio una dimensione mistica. All’entrata,<br />

un paio di dipinti di vecchi amici:<br />

Francesco Clemente e Peter Halley. Timothy<br />

Greenfield-Sanders è nato a Miami,<br />

nel 1952. A 18 anni studia alla Columbia.<br />

Poi, la passione per la fotografia. Ora è lui<br />

stesso una star. Come sempre, è vestito di<br />

nero, impeccabile nella sua semplicità che<br />

corrisponde a una naturale cortesia e delicatezza.<br />

Se c’è un tratto che definisce il modo di<br />

ritrarre di Greenfield-Sanders è proprio la<br />

delicatezza, anzi, il rispetto dello sguardo. Il<br />

suo modo di fotografare è molto lontano da quello di<br />

chi ha fatto, ad esempio, la foto per la copertina di un<br />

vecchio numero del «Time», abbandonato su un tavolo<br />

dello studio. Sulla cover, il volto di Mitt Romney fotografato<br />

dal tedesco Martin Schoeller: un esasperato close<br />

up: il viso appare quasi deformato, si vedono i pori<br />

della pelle. Lo stile di Schoeller colpisce, è a tratti impie-<br />

Qui accanto: il ritratto di Orson Welles<br />

realizzato da Timothy<br />

Greenfield-Sanders nel 1979. Al centro,<br />

dall’alto in basso: Michelle Obama,<br />

Isabella Rossellini e il presidente Bush<br />

in una foto per «Vanity Fair».<br />

In alto a destra: uno dei celebri scatti<br />

dedicati ai soldati della guerra in Iraq<br />

in cui ha messo insieme l’orgoglio<br />

americano e la violenza del conflitto.<br />

Sotto: il fotografo con Lou Reed, uno<br />

dei tanti artisti con cui è in amicizia<br />

toso, volutamente asettico, quasi a sconfinare in uno<br />

scandaglio dermatologico. «Non amo questo modo di<br />

raccontare le persone, trovo inutile la necessità di spettacolarizzare<br />

ed esasperare l’estetica del ritratto. Non<br />

c’è rispetto per chi si fotografa. È quasi intenzionale<br />

mettere le persone a disagio. La mia scelta è sempre<br />

quella di cogliere il positivo di una persona».<br />

Probabilmente anche per questa sua visione etica, Timothy<br />

è entrato nel gotha dei ritrattisti di fama internazionale:<br />

amico di Clinton, ha fotografato più volte Obama<br />

ed è sua l’immagine di copertina di un recente libro<br />

dedicato a Michelle. «Se vogliamo parlare di immagi-

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