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l’analisi matematica <strong>in</strong> italia fra le due guerre 299<br />

Si tratta di dimostrare: 1) la convergenza del metodo; 2) la possibilitàdimaggiorare l’errore di approssimazione.<br />

Indicato con µ (p)<br />

n il m<strong>in</strong>imo dato da (6.3), l’espletamento del punto 1) richiede, almeno <strong>in</strong> prima<br />

istanza, la dimostrazione del fatto che limn→∞ µ (p)<br />

n =0. Ciòporta a dovere dimostrare la completezza del<br />

sistema di vettori (∆2ϕk | Ω ; ϕk | @Ω ) nello spazio L p (Ω) × L p (@Ω). Assunto p>1, per un classico teorema<br />

di F. Riesz, occorre e basta far vedere che, se ψ ∈ L p (Ω), γ ∈ L q (Ω), q = p=(p − 1)<br />

<br />

<br />

ψ∆2ϕk dx + γϕk d σ =0 ’k;<br />

Ω<br />

@Ω<br />

si ha allora ψ ≡ 0, γ ≡ 0.<br />

Questo condusse Picone ad essere fra i primissimi ad, implicitamente, considerare le «soluzioni deboli»<br />

dei problemi al contorno. In effetti, si consideri la soluzione debole L q delle equazioni ∆2ψ =0<strong>in</strong>Ω, ψ =0<br />

su @Ω, @ψ=@ν = γ su @Ω (ν normale esterna a @Ω) def<strong>in</strong>ita dall’equazione<br />

<br />

<br />

ψ∆2ϕ dx + γϕd σ =0; ’ϕ∈C 2 (Ω) :<br />

Ω<br />

@Ω<br />

Non è difficile dimostrare che, impiegando come ϕk le funzioni generalmente usate nella teoria dell’approssimazione<br />

(ad esempio, assumendo come {ϕk } il sistema di tutti i monomi nelle variabili x1 ;::: ;xn oil<br />

sistema impiegato nella teoria delle serie multiple trigonometriche), la detta completezza è perfettamente<br />

equivalente a dimostrare il teorema di unicità, nella classe delle predette soluzioni deboli L q , per il problema<br />

di Dirichlet: ∆2ψ =0<strong>in</strong>Ω, ψ =0su@Ω.<br />

Per ancor meglio comprendere la portata del problema, si consideri il caso particolare f ≡ 0esiassuma<br />

come {ϕk } una successione {ωk } costituita da pol<strong>in</strong>omi armonici omogenei atti a generare, mediante<br />

comb<strong>in</strong>azione l<strong>in</strong>eare di un numero f<strong>in</strong>ito dei suoi term<strong>in</strong>i, ogni pol<strong>in</strong>omio armonico. Ad esempio, per<br />

n =2,come {ωk } può prendersi la successione costituita da tutti i pol<strong>in</strong>omi <strong>in</strong> x1 , x2 del tipo R(x1 + ix2 ) h ,<br />

I(x1 + ix2 ) h (h =0; 1; 2;:::). In tal caso, se Ω èildisco |x| < 1, il problema si riduce a quello, classico<br />

nella teoria delle serie trigonometriche, relativo alla completezza del sistema trigonometrico costituito da<br />

cos hθ, s<strong>in</strong> hθ (h =0; 1; 2 :::) nello spazio L p (0; 2π). Si noti che per p = 2lecostanti c (n)<br />

1 ;::: ;c(n) n che<br />

forniscono µ (p)<br />

n non possono più calcolarsi risolvendo un sistema l<strong>in</strong>eare algebrico. Addirittura per p =1<br />

manca l’unicità delle costanti c (n)<br />

k di migliore approssimazione.<br />

La condizione (6.2) può sostituirsi con quella di Neumann @u=@ν = h su @Ω o con quella «mista» u = h1 su @1Ω, @u=@ν = h2 su @2Ω; @Ω = @1Ω ∪ @2Ω, @1Ω ∩ @2Ω = ∅. Tali sostituzioni, specie la seconda, portano<br />

ad affrontare problemi ancora più difficili. È anche da notare, assumendo p =2,che il metodo proposto<br />

<strong>in</strong>contra, <strong>in</strong> genere, l’<strong>in</strong>conveniente costituito dal progressivo «mal condizionamento» del sistema (6.4). A<br />

tale <strong>in</strong>conveniente si è posto, <strong>in</strong> parte, rimedio, <strong>in</strong> tempi posteriori a quelli di Picone, impiegando come ϕk quelle particolari funzioni che hanno dato luogo ai cosiddetti metodi degli elementi f<strong>in</strong>iti.<br />

La «convergenza» del metodo descritto si consegue facendo vedere la convergenza a zero dell’errore di<br />

approssimazione, errore che bisogna convenire di def<strong>in</strong>ire <strong>in</strong> qualche modo. Si def<strong>in</strong>isca tale «errore» al modo<br />

seguente<br />

ε (p)<br />

n =<br />

<br />

<br />

n<br />

<br />

u<br />

− c<br />

Ω k = 1<br />

(n)<br />

k ϕ <br />

p<br />

<br />

<br />

k<br />

dx :<br />

<br />

Si tratta allora di dimostrare che esiste una costante c (p) , dipendente solo da p (e da Ω), tale che ε (p)<br />

n ≤ c(p) µ (p)<br />

n .<br />

Non è difficile provare l’esistenza di tale costante, ma tutt’altro che semplice èilsuo calcolo esplicito, dato<br />

che esso consiste, se si ricerca la costante c (p) ottimale, nel calcolo del massimo del funzionale <br />

Ω |u|pdx nella<br />

classe delle funzioni che verificano la condizione<br />

<br />

|∆2u| Ω<br />

p <br />

dx + |u|<br />

@Ω<br />

p d σ =1:<br />

Già nel caso più semplice p =2,sidimostra che c (2) è l’<strong>in</strong>verso del più piccolo autovalore λ del problema di<br />

autovalori relativo al seguente sistema:<br />

(6:5) ∆2∆2v − λv =0<strong>in</strong>Ω; (6:6) ∆2v − λ @v =0su@Ω :<br />

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