I luoghi <strong>della</strong> <strong>Grande</strong> <strong>Guerra</strong> a Valstagna tra storia, memoria e abbandono 57 Reticolati di fronte a Palazzo Guarnieri, oggi sede <strong>della</strong> Comunità Montana del Brenta.
58 Mauro Varotto no del manufatto. Alle testimonianze orali su questa modalità di procedere si aggiungono le <strong>tracce</strong> materiali ancora visibili: i ricoveri che svolsero questa funzione presentano pareti rocciose annerite, come conseguenza delle ripetute deflagrazioni avvenute al loro interno. La ricerca e la raccolta dei residuati bellici produssero un po’ alla volta specifiche competenze, personali e di paese: i maschi adulti si dedicavano al “picàr”, cioè a scavare per trovare le trincee, i depositi e, dentro essi, i grossi calibri che generalmente venivano disinnescati e tagliati sul posto; bambini e ragazzi, dagli otto ai quattordici anni, andavano “alla spigola”, in cerca di schegge e piccoli calibri; le donne, infine, dovevano provvedere a portare in quota, spesso giornalmente, il cibo per i “recuperanti” e riportare a valle il carico <strong>della</strong> roba trovata 26 . La ragione per cui molti dei luoghi bellici appaiono oggi come luoghi spogli è dovuta proprio a questa capillare opera di denudazione e «predazione». In base alle testimonianze raccolte, quello di giacimenti di materiale ferroso è stato il ruolo più utile rivestito dai manufatti e, più in generale, dai «luoghi <strong>della</strong> guerra». Di questa straordinaria epopea, che vede il suo apice tra le due guerre, parlano tutte le persone intervistate: il denominatore comune di questi ricordi è da un lato la miseria e la fame, che costringevano a cercare fonte di guadagno in un’attività così pericolosa (per anni diga temporanea all’emorragia migratoria) e a recuperare qualsiasi cosa (dai reticolati alle barre di sostegno delle strutture, ai metalli dei proiettili che, tra gli elementi da recuperare, presentavano il più alto grado di rischio ma al tempo stesso il guadagno maggiore); dall’altra il sempre incombente pericolo di vita: Andavamo a recuperare. Si partiva alla mattina e si arrivava a sera. Ogni giorno erano quintali, tra tutti, che si portavano giù, ognuno 30-40 kg, a seconda di dove lo trovavano. (…) Anche le donne se camminavano per la valle e trovavano pezzi di cartucce… allora se le mettevano in tasca e le portavano a casa. Io ero un bambino ma andavo a cercare il ferro, il ferro che mi diceva mio papà: «Non toccare quella! Non toccare questa!» e allora… un pezzettino così di scheggia. Eh, lavori non ce n’erano! E mangiare bisognava mangiare! (…) Si viveva miseramente. C’erano i più coraggiosi che sapevano, “questo proiettile non toccarlo”. E c’erano quelli che lo toccavano, lo mettevano su una galleria e lo facevano brillare. E dopo portavano via il ferro. (…) I petardi erano cattivi! Parevano niente, ma quando scoppiavano… avevo due cugini che sono morti con un petardo. 26 Cfr. M. RIGONI STERN, Le stagioni di Giacomo, Einaudi, Torino 1995.