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DIRITTI UMANI: - Governo Italiano

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GIUSEPPE MARIO SCALIA<br />

<strong>DIRITTI</strong> <strong>UMANI</strong>:<br />

tutela, integrazione e comunicazione delle diversità culturali<br />

ROMA, 2010


PRESENTAZIONE<br />

La cultura va accettata e salvaguardata, giacché la perdita di alcune delle<br />

sue componenti sarebbe una grave sconfitta per tutti, un impoverimento<br />

come se, ad esempio, sostituissimo le tessere di un mosaico, brillante, di<br />

grande contenuto espressivo ed artistico con una lastra monocolore sia<br />

pure di materiale preziosissimo.<br />

Da questa nuova consapevolezza ne deriva che l’Europa deve realizzare<br />

la sua vita e dialettica interna. Il primo punto è costituito dalla possibilità<br />

di un dialogo che, per definizione, si situa nell’incontro fra due o più linguaggi<br />

culturali diversi. Se usiamo il termine dialogo infatti, ricordando<br />

che, derivato dal greco “dialegomai” esso significa trascorrere, passare<br />

nel diverso, vale a dire: dialogare è collegare fra loro due eventi o realtà<br />

che necessitano di essere messe a confronto. Nel gioco misterioso del<br />

linguaggio, l’evento A acquisisce un po’ dell’evento B, del suo significato,<br />

della sua risonanza, del rimando a colori e a sapori diversi, a un nuovo<br />

modo di porgersi che coglie il suo essere più profondo e irripetibile, ma<br />

anche irrinunciabile.<br />

L’evento B a sua volta riceve del punto di vista A un po’ più di chiarezza,<br />

di lucidità su se stesso, dove si fanno avanti dubbi o almeno istanze critiche<br />

che scuotono la monolitica convinzione della sua propria superiorità.<br />

Nel dialogo non ci sono né vinti, gli immigrati, né vincitori, i popoli che li<br />

accolgono. Il senso patriarcale della famiglia, la fedeltà o il dubbio in ambito<br />

religioso, l’apertura e modalità dell’umano che le nostre società a-<br />

vanzate tendono a negare così come si ritraggono infastidite di fronte alla<br />

morte, al dolore o al sacrificio, sono elementi e valori collegati a uno sviluppo<br />

più arcaico di quello attuale. Nello stesso tempo gli immigrati devono<br />

prendere coscienza della differenza tra persone e ospiti, senza temere<br />

il problema di un nuovo valore assegnato alla persona.<br />

Assistiamo ad atroci fraintendimenti perché gli immigrati a volte non hanno<br />

interiorizzato il concetto di persona; valga per tutti l’esempio di una<br />

ragazza uccisa dal padre perché aveva acquisito un modello di vita troppo<br />

aperto e autonomo rispetto alla pesante autorità paterna.<br />

Dobbiamo dire che si devono porre in atto comportamenti, strategie, forme<br />

che possono operare la mediazione fra diverse tradizioni, soprattutto<br />

in campo morale: le più delicate. È infatti la tradizione che ci permette di<br />

comprendere il significato così come si presenta al soggetto, di cogliere<br />

la distorsione a cui esso è sottoposto e in qual misura si possa dire che la<br />

conoscenza è oggettiva oppure soggettivamente filtrata.<br />

Gli studiosi Karl Otto Apel e Jürgen Habermas hanno avanzato la pretesa<br />

critica di delineare un momento di espressione oggettiva dell’attività umana,<br />

di individuare che cosa c’è alla base di questa attività che cambia di<br />

direzione e si chiedono quale sia il significato contenuto nelle oggettivazioni<br />

di tale agire.<br />

Il sociologo è in grado di analizzare le intenzioni che stanno alla base delle<br />

oggettivazioni prodotte. Gli specialisti del mondo sociale possono riuscire<br />

a mostrare agli operatori sociali i motivi, le cause per cui ciò che si<br />

pensa potrebbe essere errato, potrebbe costituire un sistema di copertura<br />

di interessi che non vengono alla luce.<br />

L’insistenza sulla mediazione fra le diverse tradizioni diviene ancor più<br />

precisa se esaminata per mezzo degli strumenti propri dei progetti che<br />

I


segnano le diverse modalità culturali delle minoranze, in particolare del<br />

linguaggio.<br />

Lo studio del linguaggio parlato dalle minoranze linguistiche costituisce<br />

un primo importante punto, unito successivamente al carattere<br />

dell’espressione artistica, espressione tipica delle comunità minoritarie,<br />

soprattutto a livello giovanile. Quanto più sarà utile ogni altra iniziativa o<br />

attività che consenta di attuare nella società civile, quei principi di uguaglianza<br />

che favoriscono la formazione di una identità sicura. È importantissimo<br />

mantenere il rispetto da entrambe le parti che compiono delle<br />

scelte. Il filosofo Gadamer, nel nostro secolo ha rivalutato l’esperienza<br />

del linguaggio, dove le domande della ricerca sono: “E’ sempre possibile<br />

comprendere come si produce comprensione o come si produca verità?”<br />

Altrettanto condizionante la domanda strategica di Habermas: “Come e<br />

perché si produce una comunicazione distorta? Come e perché si producano<br />

errore e dominio?”<br />

La vita è il mondo dell’esperienza comune, quello in cui le cose e le persone<br />

si offrono nella loro presenza immediatamente intuibile. Si tratta<br />

cioè della presenza della vita non solo come ambiente naturale, ma anche<br />

come ambiente storico-culturale, il mondo sociale in cui vengono innanzi<br />

forme di vita già elaborate, culturalmente già preformate. Si tratta di un<br />

mondo storico; è il flusso in cui si trovano diverse comunità e gruppi che<br />

elaborano le loro credenze, relative e proprie di ogni comunità così come<br />

di ogni individuo che vive e appartiene alla propria comunità storica. Dialogare<br />

in questo ambito è veramente mettere in atto una forma nuova di<br />

linguaggio.<br />

Si deve tenere, altresì, presente che è necessaria un’attenzione ancora<br />

più consapevole e approfondita dei problemi che il multiculturalismo presenta.<br />

Direi che oggi non è il problema centrale il multiculturalismo, ma<br />

problema centrale è il discorso sull’identità, dove i giovani faticano ad<br />

emanciparsi dalla famiglia d’origine, a costruirsi una identità forte attraverso<br />

mezzi autonomi e si trovano sprovveduti di fronte ad una società<br />

che richiede mezzi ben più onerosi per garantirsi un’esistenza decorosa.<br />

Nella pratica scolastica ciò si traduce in una ripresa consapevole di tutte<br />

quelle culture che, anche quelle su cui lo Stato ha esteso la tutela prevista<br />

dall’art. 6 della Costituzione, possano aiutare i giovani ad una emancipazione<br />

e ad un inserimento nel sociale.<br />

Il legislatore ha sempre posto un’attenzione sul territorio nazionale, elaborando<br />

una serie di facilitazioni che permettano ai gruppi di partecipare,<br />

ad un tempo, agli stessi valori, agli interessi, alle memorie individuali e<br />

collettive comuni ed ai riferimenti giuridico-istituzionali.<br />

Gli alunni stranieri in un contesto del genere, così pianificato, possono<br />

partecipare ad una integrazione fondata sul “dialogo interculturale e la<br />

convivenza democratica”, dove la scuola italiana sembra ormai fare proprio<br />

il principio della strutturazione dei gruppi sociali sia nel contesto nazionale,<br />

sia anche proiettandosi nella prospettiva europea e successivamente<br />

mondiale.<br />

Nello stesso tempo non sarebbe possibile pensare che l’apporto degli immigrati<br />

ponesse in discussione le strutture e le idealità europee nei loro<br />

valori più alti, di rispetto della persona e delle istituzioni. L’esercizio<br />

dell’agire democratico, non a caso stratificato fin dall’educazione classica<br />

greca, in opere che furono alla base di una mentalità dove – se pensiamo<br />

II


alla Repubblica di Platone – lo Stato si presenta come palestra dell’uomo<br />

politico: nello Schiavo di Menone appare l’uomo come fonte di razionalità<br />

argomentante e capace di cogliere il vero matematico.<br />

Nella grandezza della riflessione storica greca – si pensi al capolavoro di<br />

Tucidide “La guerra del Peloponneso” – dove è descritto e analizzato il<br />

comportamento dell’essere umano in tempi di crisi e di difficoltà. L’analisi<br />

della peste ad Atene è rimasta a modello di tutte le situazioni similari,<br />

passando da Boccaccio a Camus. Se questo è il quadro forte ed incisivo<br />

della individuazione dei temi, propri di una imperitura grandezza<br />

dell’umanità accanto pur sempre al rischio della sua caduta, non possiamo<br />

dimenticare la presenza costruttiva dell’Illuminismo che ci fa rabbrividire<br />

di fronte alla cultura attuale di alcune minoranze etniche che non rispettano<br />

né colgono in modo equilibrato la figura della donna, soggetto di<br />

diritti e doveri, persona umana che deve costituirsi in una parità assoluta<br />

con il genere maschile.<br />

Sottolineato quindi, il valore imprescindibile di tutti gli esseri umani, il lavoro<br />

che qui introduciamo sa recuperare criticamente il tema delle minoranze,<br />

ma non tradendole con una demagogia facile. Le minoranze per<br />

potersi guadagnare l’appartenenza al gruppo sociale devono giustificare<br />

sé stesse rispettando la legge dello Stato e i doveri del momento storico<br />

in cui essi vivono.<br />

Il volume si presenta come un utilissimo strumento di indagine e, mi si<br />

permetta, anche come un commovente appello ad un sentire alto e nobile,<br />

in cui riecheggiano echi dell’ambiente che ha prodotto Dante Alighieri fino<br />

agli estensori della preziosa Carta Costituzionale Italiana.<br />

Sen. Francesco Rutelli<br />

Senatore della Repubblica<br />

III


PREMESSA<br />

Una delle costanti che ha caratterizzato il lungo processo di costruzione dell’Unione europea<br />

è l’attenzione che, in relazione alla contiguità dei confini dei singoli Stati, è stata posta alla<br />

condizione delle minoranze etniche.<br />

La riflessione su questo tema, intensificatasi in modo particolare nell’ultimo ventennio, si<br />

è concretizzata nell’elaborazione, sia in ambito CEE e, poi UE, che nel più vasto contesto della<br />

CSCE (ora OSCE) e, più di recente nel quadro della ICE, di una serie di direttive, raccomandazioni<br />

e progetti di convenzioni (o carte) europee dei diritti delle minoranze. Sembra, ora, essere<br />

giunta ad una fase di grande maturità, dato che la presa di coscienza del valore della multiculturalità<br />

tende a tradursi in norme e comportamenti che tutelano tale peculiarità: ciò segna in molte<br />

realtà una vera e propria inversione di tendenza nei confronti delle politiche tendenzialmente<br />

omologatrici.<br />

Occorre promuovere la consapevolezza che la struttura estremamente composita della<br />

società europea è un grande patrimonio comune. Esso, nella dialettica delle sue componenti,<br />

alimenta una vitalità culturale ineguagliabile. Come tale, essa va accettata e salvaguardata,<br />

giacché la perdita di alcune delle sue componenti, lungi dall’essere una vittoria per le culture<br />

maggioritarie, sarebbe una grave sconfitta per tutti, allo stesso modo come sostituendo le tessere<br />

di un mosaico con una lastra monocolore, sia pure di materiale preziosissimo, si farebbe<br />

scempio del suo contenuto espressivo ed artistico.<br />

Occorre vigilare e dotarsi di strumenti tali da impedire che alcune tragiche esperienze del<br />

passato più o meno recente abbiano a ripetersi.<br />

In questa prospettiva, l’impegno di ogni Stato dovrebbe essere quello di promuovere e<br />

realizzare una serie di iniziative concrete a sostegno dell’identità culturale ed etnica di tutte le<br />

comunità minoritarie presenti sul suo territorio. Tali azioni vanno mirate, tra l’altro, alla promozione<br />

della conoscenza reciproca delle culture di minoranza tra loro e di queste con la maggioritaria,<br />

in un rapporto non più gerarchico di subalternità/dominanza, ma paritetico ed inteso come<br />

interesse reciproco.<br />

Funzionali a tale scopo sarebbero progetti che consentano:<br />

a) lo sviluppo e la diffusione delle scuole di madre-lingua presso ogni comunità, nonché di programmi<br />

di studio e di ricerca sulla cultura delle minoranze;<br />

b) il sostegno e la promozione dell’arte nelle forme ed espressioni tipiche di ciascuna comunità;<br />

c) gli scambi culturali tra diverse comunità minoritarie, soprattutto a livello giovanile;<br />

d) ogni altra iniziativa o attività che consenta l’attuazione quanto più completa possibile dei<br />

principi di uguaglianza tra tutti i cittadini sanciti da ciascuna delle Carte Costituzionali dei<br />

singoli Stati e dalle diverse Convenzioni internazionali;<br />

e) l’attivazione di tutti gli strumenti indicati a salvaguardia dei diritti delle minoranze.<br />

Tali iniziative dovrebbero mirare alla costruzione di ponti di collegamento e di scambio<br />

reciproco tra le varie ‘isole’ che costituiscono quel variegato arcipelago linguistico e culturale<br />

che è l’Europa.<br />

In questo contesto, l’identità culturale di ciascuna comunità deve essere vista in un rapporto<br />

dialettico con tutte le altre componenti della realtà, come strumento, quindi, di apertura<br />

verso le altre culture, maggioritarie o minoritarie che siano, e di fecondo confronto con esse,<br />

senza perdita della propria peculiarità creativa.<br />

Ancora una volta va affermato che, se non si riesce a salvaguardare – anche attraverso<br />

semplici momenti di discussione – il valore della “diversità”, una parte dell’umanità ne riceverà<br />

un danno: il danno che ne viene dal non rispetto di una parte della stessa.<br />

Prof.Giuseppe Vedovato<br />

PROFESSORE EMERITO DI RELAZIONI INTERNAZIONALI ALLA “SAPIENZA” IN ROMA,<br />

GIA’ DEPUTATO E SENATORE DELLA REPUBBLICA ITALIANA<br />

PRESIDENTE ONORARIO DELL’ASSEMBLEA PARLAMENTARE DEL CONSIGLIO D’EUROPA<br />

1


INTRODUZIONE<br />

Uno dei fenomeni più macroscopici che ha investito la società italiana contemporanea è<br />

costituito certamente dalla crescita costante, soprattutto nell’ultimo decennio, del numero degli<br />

immigrati; esso pone una serie di problemi ai diversi livelli istituzionali, risolvibili mediante opportuni<br />

interventi legislativi mirati ed attraverso una serie di iniziative e interventi di carattere gestionale<br />

altrettanto puntuali, ma non necessariamente legati, almeno allo stato attuale, ad una<br />

specifica attività legislativa.<br />

La consistenza del numero degli immigrati ed, in particolare, la consistenza di alcuni<br />

gruppi caratterizzati dall’unitarietà della provenienza e, conseguentemente, dall’omogeneità culturale,<br />

fa sì che, soprattutto in alcune zone, la società italiana dei nostri giorni vada definendosi<br />

sempre più come una società multiculturale, caratterizzata cioè dalla coesistenza di popolazioni<br />

di diversa origine, cultura e, spesso, religione, con le quali la componente autoctona, ancorché<br />

ampiamente maggioritaria, deve tuttavia quotidianamente confrontarsi.<br />

Va, tuttavia, sottolineato che nel nostro Paese la multiculturalità non è un fenomeno<br />

nuovo.<br />

Nonostante che a livello di opinione pubblica se ne sia presa coscienza solo in tempi relativamente<br />

recenti, la società italiana è costituita, praticamente ab inizio, da una pluralità di<br />

soggetti etnicamente e culturalmente diversi che, prima e dopo l’Unità, hanno convissuto in<br />

rapporto più o meno dialettico tra loro, all’ombra dell’elemento “italiano” dominante, senza mai<br />

esserne completamente soffocati. Anzi, essi sono riusciti a svilupparsi, in alcuni casi, e, nonostante<br />

la mancanza quasi totale, fino a tempi recenti, di istituzioni educative specifiche, a dimostrare<br />

una grande vitalità culturale, con produzioni letterarie di grande rilievo.<br />

È evidente che non si vuole, qui, accennare alle realtà regionali, o, più genericamente<br />

locali, anche abbastanza diversificate che, ad un secolo dall’unificazione, continuano positivamente<br />

a caratterizzare il nostro Paese, quanto piuttosto a quelle popolazioni autoctone o di antica<br />

immigrazione, che vengono correttamente raggruppate sotto la denominazione di “minoranze<br />

linguistiche”.<br />

Tra i Paesi dell’Unione europea, l’Italia è il paese che registra sul suo territorio il più alto<br />

numero di minoranze linguistiche.<br />

Secondo un recente rapporto del Ministero dell’Interno, sono presenti sul territorio italiano<br />

sedici minoranze linguistiche.<br />

A tali popolazioni si riferisce l’art. 6 della Costituzione italiana, che recita: “La Repubblica<br />

tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”.<br />

Si tratta di un’enunciazione di principio che, per il fatto di essere stata posta tra quelli<br />

fondamentali della Carta fondamentale, assume rilevanza particolare: testimonia della profonda<br />

consapevolezza che, già alla fondazione dell’Italia repubblicana, i Costituenti avevano della<br />

struttura multiculturale della società italiana.<br />

Tale articolo ha trovato applicazione totale con l’approvazione della legge – quadro 15<br />

dicembre 1999 n. 482, recante “Norme di tutela delle minoranze linguistiche storiche”.<br />

In ambito scolastico, anche in seguito al dibattito avviato negli ultimi decenni proprio sulla<br />

necessità di estendere l’applicazione dell’art. 6 della Costituzione a tutte le minoranze linguistiche<br />

esistenti sul territorio della Repubblica, è andato progressivamente costituendosi, attraverso<br />

una serie di provvedimenti (si ricordano, per tutti, le possibilità offerte dall’applicazione dei<br />

cosiddetti “decreti delegati”) e circolari ministeriali, nonché attraverso la definizione dei nuovi<br />

programmi della scuola dell’obbligo, un’apertura che trova la sua massima espressione in una<br />

pronuncia del Consiglio nazionale della pubblica istruzione del 15.6.1993, che rileva:<br />

“(...) sarebbe quanto meno assurdo se la scuola italiana, su tutto il territorio nazionale,<br />

si impegnasse a studiare capire, considerare usi, costumi, storie, spiritualità assai remote dalla<br />

nostra, e non realtà straordinariamente più vicine, ricche di elementi di grande affinità, compartecipi<br />

da tempo di valori, interessi, riferimenti giuridico-istituzionali, memorie individuali e collettive<br />

comuni, come, appunto, la realtà delle minoranze linguistiche (...)“.<br />

Come risulta anche da una circolare del Ministero dell’Istruzione (n. 73 del 2 marzo<br />

1994), che pone all’attenzione di tutti gli organismi competenti sul territorio nazionale un documento,<br />

elaborato dal gruppo interdirezionale di lavoro per l’educazione interculturale e<br />

l’integrazione degli alunni stranieri dal titolo “Il dialogo interculturale e la convivenza democratica”,<br />

la scuola italiana sembra ormai fare proprio il principio della strutturazione multiculturale<br />

3


della società, sia nel contesto nazionale sia anche proiettandolo nella prospettiva europea e,<br />

successivamente mondiale.<br />

Il riconoscimento della strutturazione multiculturale della società italiana ha come diretta<br />

conseguenza la fine dell’assunto dogmatico proprio, fino a tempi recenti, anche della scuola<br />

dell’omogeneità linguistica, culturale ed etnica dell’Italia.<br />

Ciò si traduce, nella pratica scolastica, nella fine dell’emarginazione delle culture “altre”,<br />

anche di quelle di cui lo Stato ha esteso la tutela prevista dall’art. 6 della Costituzione.<br />

Il nuovo progetto educativo che la scuola italiana fa proprio si propone, infatti, come o-<br />

biettivo il rispetto dell’alterità culturale, nel quadro di un positivo confronto tra culture che, da un<br />

lato, siano la base di un processo di integrazione sociale che non implichi necessariamente<br />

l’omologazione culturale, e siano, dall’altro, fattore di crescita per l’elemento culturale dominante,<br />

attraverso il confronto dialettico con gli elementi “altri”.<br />

Queste riflessioni introduttive hanno ispirato il documento, che intende per ciò stesso<br />

configurarsi come un commentario sistematico di tutti quei strumenti di livello internazionale<br />

(carte, convenzioni etc.) elaborati per assicurare una dignità sostanziale alle minoranze.<br />

Esso contiene, altresì alcuni saggi di vario tipo riguardanti la ricchezza del patrimonio<br />

culturale prodotto dalle minoranze, nonché alcuni temi sull’integrazione.<br />

L’appendice estremamente ricca comprende le disposizioni sulla non discriminazione e<br />

sugli aspetti della comunicazione.<br />

Tabelle e dati statistici sulle minoranze in Europa e in Italia completano l’opera.<br />

Di ciò occorre dare una testimonianza. Anche per questo il volume – per la struttura e<br />

per i contenuti – si raccomanda come testo che può formare oggetto di dibattito per i giovani,<br />

con particolare riferimento all’ambito scolastico.<br />

Educare alla pace, educare alla tolleranza, significa anche mettere a disposizione del<br />

giovane i materiali che possono essere usati per costruire ragionamenti, per impostare strategie<br />

di comprensione reciproca, per valutare la realtà come complessità.<br />

Al termine di questa breve introduzione, non posso non esprimere il mio più vivo apprezzamento<br />

all’autore per il competente impegno, per la professionalità e per l’apprezzabile<br />

sforzo di analisi che hanno consentito un sostanziale approfondimento delle tematiche affrontate<br />

in questo documento di studio.<br />

Prof. Christoph Pan<br />

Direttore dell’Istituto dei Gruppi Etnici di Bolzano<br />

4


I CONCETTI - BASE<br />

5


LA LINGUA<br />

La lingua può essere definita come lo specchio della cultura di un popolo.<br />

In sintesi, può essere considerata il simbolo dell'identità etnica e culturale. Ad esempio,<br />

prendendo in esame la cultura dei Greci, notiamo come la lingua è ricca di vocaboli, con moltissime<br />

sfumature diverse, cui corrisponde un mondo filosofico tra i più spirituali dell'area occidentale.<br />

Quello latino, diversamente, essendo più sensibile al discorso immediato, materialistico,<br />

corrisponde ad una lingua che ha meno termini e non si perde in tante sfumature.<br />

L'italiano, a sua volta, è una lingua che è frutto di una evoluzione artificiale, in quanto è<br />

il prodotto di un ceto intellettuale.<br />

In J. Burckhardt, "al sommo di ogni cultura sta il miracolo intellettuale: le lingue, l'intimo<br />

e irreversibile impulso dello spirito a esprimere con parole il pensiero. Esse sono la più specifica<br />

manifestazione dello spirito dei popoli. Arte e poesia sono l'unica manifestazione terrena durevole.<br />

La poesia crea nuove realtà e giova più della storia alla conoscenza della natura dell'umanità.<br />

La storia trova nella poesia una delle sue fonti più importanti e spesso è l'unica cosa che<br />

se ne è conservata" 1 .<br />

La lingua non è solo un mezzo per comunicare, ma riflette un modo di ragionare, cioè la<br />

struttura mentale, di un popolo; essa, educando l'anima, ne delinea le peculiarità.<br />

A tal riguardo c’è chi ha sottolineato la particolare situazione in cui si vengono a ritrovare<br />

le genti d’Europa: “Cittadini di una terra multiforme, gli Europei non possono che essere in<br />

ascolto del grido polifonico delle lingue umane.<br />

L’attenzione all’altro che parla la propria lingua è preliminare se si vuole costruire una<br />

solidarietà che abbia un contenuto più concreto dei discorsi propagandistici” 2 .<br />

E ciò in considerazione del fatto che “ogni lingua costituisce un certo modello<br />

dell’universo, un sistema semiotico di comprensione del mondo, e se abbiamo 4.000 modi diversi<br />

di descrivere il mondo, questo ci rende più ricchi. Dovremmo preoccuparci della preservazione<br />

delle lingue così come ci preoccupiamo dell’ecologia” 3<br />

1<br />

2<br />

3<br />

J. Burckhardt, Considerazioni sulla storia universale, cap. 2 (Sulle tre potenze).<br />

Claude Hagège, Le souffle de la langue, Odile Jacob, 1992, pag. 273.<br />

Vjacelav V. Ivanov, Reconstructing the Past, in “Intercom” (University of California, Los Angeles),<br />

1992, pag. 4.<br />

7


LA CULTURA<br />

"La cultura è intesa come la somma complessiva di quelle manifestazioni dello spirito<br />

che avvengono spontaneamente e non rivendicano a sé nessuna validità universale e coercitiva.<br />

Ha un'azione costantemente modificatrice e disgregatrice sull'istituzione Stato e sull'istituzione<br />

Religione” 4 .<br />

Jacques Maritain ha proposto, tuttavia, questa definizione della cultura: "... la cultura, o<br />

la civiltà, consiste nell'espansione della vita propriamente umana, comprendente non solo lo<br />

sviluppo materiale necessario e sufficiente per permetterci di condurre un'esistenza retta quaggiù,<br />

ma anche e soprattutto quello sviluppo morale, quello sviluppo delle attività speculative e<br />

delle attività pratiche (artistiche ed etiche) che merita di essere propriamente chiamato uno sviluppo<br />

umano" 5 .<br />

Ma quale rapporto c'è tra la "cultura" e l'uomo?<br />

Si può immaginare la cultura come una specie di entità sociale a sé stante, diversa dall'individuo?<br />

Certamente no.<br />

La cultura non è una realtà oggettiva, indipendente dagli individui.<br />

Certo, la cultura di un popolo o di un'epoca contiene di più che non quella di un individuo<br />

determinato; e tuttavia la cultura non è nulla se non è vissuta dagli uomini come persone,<br />

come collettività.<br />

In altri termini, possiamo parlare di cultura solo nella misura in cui gli uomini, nel loro a-<br />

gire e nell'esercizio del pensiero o del lavoro, acquistano una familiarità, una sicurezza, una<br />

nuova spontaneità, che li inclinano verso i beni della cultura, in modo tale che questi beni si<br />

presentino a loro come propri beni, nei quali essi si riconoscono e coi quali si trovano ad avere<br />

un legame di parentela.<br />

La cultura è viva se la verità e i valori di cui essa è essenzialmente costituita sono elementi<br />

vitali della persona, cioè se essa è vissuta nella quotidianità di ognuno.<br />

Molto spesso la cultura si concreta nella conservazione delle cose belle, della natura,<br />

del paesaggio.<br />

a. La difficile ricerca degli eventi “culturali”<br />

Nella società contemporanea è assai facile - mancando un tempo dedicato espressamente<br />

allo sviluppo della intelligenza individuale, del sapere, mentre molto tempo ciascuno dedica<br />

al proprio corpo - che alcuni fatti ci vengano propinati sotto l'etichetta di "cultura". Il più delle<br />

volte essi sono "pseudocultura".<br />

Ci accorgiamo che questo mondo artificiale, che si è andato umanamente mettendo insieme,<br />

ci ha imposto dei ritmi, oltre che dei canali e dei sistemi di distribuzione, che sono molto<br />

pericolosi: queste macchine, che chiamiamo le città, dove siamo costretti a vivere come polli in<br />

batteria, questa sopravvivenza meccanizzata, dove chiunque potrebbe da un momento all'altro,<br />

chiudendo una valvola, sopprimere tutti, dove all'uomo - come singolo - è tolta ogni possibilità di<br />

iniziativa.<br />

Noi abbiamo molti diritti sulla carta, e li proclamiamo; di fatto siamo privati di ogni potere.<br />

Di questa oppressione materiale non è difficile accorgersi, ma, parallelamente, esiste<br />

una oppressione spirituale di cui forse non ci accorgiamo per nulla.<br />

Tutti hanno diritto al sapere, ma i mezzi per farlo crescere, i tempi perché esso si configuri<br />

sono quelli che sono.<br />

b. La cultura non è costituita solo dalla scienza<br />

A seguito di pregiudizi radicati da secoli nella nostra cultura moderna siamo convinti<br />

(nulla di più falso!) che ci sia un unico sapere possibile: quello esente da ogni metafisica, e che<br />

4<br />

5<br />

J. Burckhardt, op. cit., v. nota 1.<br />

"Cultura e istituzioni per la cultura”, a cura dell'Istituto "Max Weber", Roma, 1995.<br />

8


nell'ordine di tale sapere ci sia un solo tipo di conoscenza incrollabile autenticamente capace di<br />

prove: la scienza, la scienza matematica, la scienza dei fenomeni della natura....<br />

Un fatto è da tutti riconosciuto: "la società in quanto tale non ha nulla da dirci sui problemi<br />

che maggiormente ci preoccupano e sulla concezione del mondo dell'uomo e forse di<br />

Dio... tutto ciò rimane del tutto al di fuori del dominio della scienza..." (J. Maritain).<br />

Riflettiamo sui richiami molto pertinenti che fa la scrittrice Serena Foglia nel suo libro<br />

"Mille e ancora mille": Moltmann sottolinea il fatto che "le scienze e la futurologia ci mettono a<br />

disposizione una varietà di possibili e pianificabili futuri, ma abbiamo noi una qualche rappresentazione<br />

di un futuro desiderabile? (...). La ragione umana deve di nuovo farsi creativa e noi<br />

dobbiamo elaborare progetti di un futuro desiderabile" (da "L'esperimento speranza", Queriniana,<br />

Brescia, 1976, pag. 41).<br />

Perché ciò avvenga - egli dice - bisogna sviluppare una teologia della speranza che,<br />

fondata sulla storia biblica e orientata verso il regno promesso, sia "in grado di far svolgere alla<br />

speranza cristiana il suo ruolo di responsabilità nelle rivolte e nelle repressioni dell'epoca moderna".<br />

"Guardando alla realtà contemporanea Moltmann non può esimersi dal sottolinearne gli<br />

aspetti negativi: la società tecnocratica, essendo strutturata secondo il modello del sistema<br />

chiuso, tesse intorno all'uomo una rete sempre più fitta di condizionamenti. Diventa perciò sempre<br />

più difficile conservare negli uomini la speranza, ... l'entusiasmo ... nel progresso della tecnica,<br />

sorretto dall'industrializzazione e dalla fiducia che si potesse costruire il Regno dell'Uomo,<br />

si è dissipato lasciando il posto alla tristezza apocalittica, alla nostalgia romantica del passato,<br />

alla fuga dal mondo predicata dai figli dei fiori e tragicamente diffusa dalla droga, ..." (op. cit.,<br />

pag. 58).<br />

E poiché "su nessuna carta geografica c'è il paese di Utopia dove scorre latte e miele, o<br />

dove pace e giustizia si baciano e in nessun angolo della Terra esiste il nuovo mondo, dove<br />

volgere lo sguardo, dove emigrare?”<br />

Quante volte l'Utopia, però, ha cercato di cambiare, di recente, il corso della cultura<br />

umana? Tutte le volte che nasce e si afferma nelle coscienze dei singoli la convinzione che<br />

l'Assoluto (che è la voglia dell'Eden) si può realizzare con facilità su questa Terra e gli uomini<br />

senza cultura sono indotti, purtroppo, a seguire facilmente ciò che dicono i falsi profeti (S. Foglia).<br />

Piero Citati ricorda come "il consumismo sia soltanto uno dei tanti esempi di ricerca dell'Assoluto<br />

che la storia incessantemente ci propone; il più recente, quello i cui effetti devastanti<br />

e il cui sanguinoso terrore sono ancora ben presenti alla memoria dei contemporanei".<br />

Piero Citati indica chi può svolgere la funzione di anticorpo, di antidoto "per impedire,<br />

rallentare, contenere le devastazioni che derivano dall'inverarsi dell'Utopia"; egli ne elenca alcuni:<br />

"I liberali o gli artisti o i filosofi o gli osservatori disinteressati, tutti coloro che scrivono pensieri<br />

puri, che l'utilità non contamina .... Chi investe nella storia delle mete assolute finisce per<br />

non capirle. Per capire ciò che è accaduto, ciò che accade o sta per accadere, bisogna conservare<br />

nella mente una specie di distanza ironica, uno specchio lucido e disinteressato, che permette<br />

agli scienziati di riflettersi senza venire offuscati".<br />

c. La cultura insegna ad essere tolleranti e disponibili al colloquio<br />

La cultura senza libertà non ha mai prodotto menti libere e di ampie vedute; però, può<br />

produrre astuti avvocati (Stuart Mill).<br />

La società, intesa come insieme di persone che condividono valori e comportamenti,<br />

non può permettersi di mandare al potere astuti avvocati. Essa deve essere rappresentata da<br />

persone colte, cioè capaci di modificare il loro giudizio quando la realtà da governare lo richieda,<br />

ma devono avere appreso dalla cultura che occorre essere tolleranti e disponibili al colloquio.<br />

Se c'è mancanza di tolleranza e di disponibilità al colloquio si può essere certi che chi è<br />

al potere, prima o poi, è destinato a cadere, in quanto altri avranno smascherato la loro corruzione,<br />

o semplicemente la loro intolleranza.<br />

L’intolleranza e l'indisponibilità al colloquio, a ben rifletterci, sono caratteri propri dei regimi<br />

totalitari.<br />

9


La storia, comunque, ci insegna che i regimi totalitari - preoccupati soltanto di perpetuare<br />

se stessi - non tollerano le critiche; e siccome la critica proviene da chi ragiona degli avvenimenti<br />

e delle cause che le hanno prodotte (la c.d. "opposizione"), il regime totalitario (sia esso di<br />

sinistra o di destra) si orienta per sua natura a soffocare il dissenso.<br />

Una società in cui non sia data la possibilità al dissenso di manifestarsi non è in grado<br />

di salvare la cultura, né tantomeno di accrescerla.<br />

d. La cultura evita la creazione del radicamento dei dogmatismi. Il dogmatismo riduce<br />

la percezione dei fondamentali valori umani<br />

Stuart Mill, nel suo saggio "Della libertà di pensiero e di discussione" (1859) formula<br />

questa considerazione che possiamo condividere: "Qual è, ..., la ragione per cui, complessivamente,<br />

nell'umanità esiste una prevalenza di opinioni razionali e comportamenti razionali?”<br />

Se questa prevalenza esiste veramente - e dove esiste, altrimenti le relazioni umane<br />

sarebbero, e sarebbero sempre state, in condizioni quasi disperate - ciò è dovuto ad una qualità<br />

della mente umana, fonte di tutto ciò che di rispettabile è nell'uomo come essere sia intellettuale<br />

sia morale, vale a dire la facoltà di correggere i propri errori.<br />

Continuando nel suo ragionamento Mill ci avverte: "L'uomo è capace di rettificare i propri<br />

sbagli, attraverso la discussione e l'esperienza. Non attraverso la sola esperienza. La discussione<br />

è necessaria, per mostrare come l'esperienza deve essere interpretata".<br />

In effetti, è vero che "pratiche ed opinioni sbagliate cedono gratuitamente il passo a fatti<br />

e argomenti; ma non bisogna mai dimenticare che fatti e argomenti, per produrre un qualsiasi<br />

effetto sulla mente, devono essere portati al suo cospetto”.<br />

Se occorre riconoscere che "pochissimi fatti possono raccontare la loro storia, senza<br />

commenti che ne chiariscano il significato", c'è un metodo perché il giudizio dell'individuo, fin da<br />

piccolo, sia posto nella condizione per discernere ciò che è bene da ciò che è male: il metodo è<br />

quello di tenere costantemente presenti tutti i mezzi per correggerlo.<br />

Chi ha il compito di insegnare alla persona umana in evoluzione i mezzi che hanno la<br />

capacità di modificare il suo giudizio su un fatto, su un individuo?<br />

Il compito è di chi, in quanto appartenente a una generazione, ci ha preceduto: il padre<br />

e la madre, il maestro e, poi, gli insegnanti, il docente universitario, il datore di lavoro o il maestro-artigiano,<br />

....<br />

I luoghi della discussione, a seconda dei casi, sono - congiuntamente o disgiuntamente<br />

sotto il profilo del tempo - la propria casa, la propria scuola, l'aula universitaria, la stanza del<br />

proprio ufficio ....<br />

La nostra società, quindi, ha destinato una parte della propria ricchezza per rendere fisicamente<br />

possibile questa esigenza di confronto tra chi più sa, cioè chi è più colto, e chi meno<br />

sa, e, quindi, ha il dovere di apprendere.<br />

Si costruiscono a tale scopo gli edifici scolastici, i campus universitari, le biblioteche, i<br />

musei ....<br />

Tutti questi luoghi sono destinati, ogni giorno, a consentire la trasmissione della cultura,<br />

il suo perfezionamento, la sua evoluzione.<br />

e. La cultura è frutto dei tempi. L'identificazione della cultura come civiltà<br />

Ogni epoca storica, così come ogni complesso umano, producono cultura, che è costituita<br />

dal complesso dei modi in cui l'intelligenza umana si esprime: il romanzo è il prodotto dell'intelligenza<br />

di uno scrittore; il quadro o l'affresco è il prodotto dell'intelligenza di un pittore; il<br />

saggio su un determinato istituto giuridico è il prodotto dell'intelligenza di un giurista ...<br />

Vogliamo così far capire a chi legge che la cultura è qualcosa di complesso e di complicato;<br />

oltre che di immenso.<br />

La cultura, quindi, "non è solo scienza". Perché?<br />

"La scienza, d'altro canto, ha perduto gran parte del suo fascino e del suo alone salvifico<br />

(...). Le sue verità possono ben essere verificate, consacrate in formule standardizzate e a-<br />

perte al controllo intersoggettivo, ma sono "verità piccole", a breve o a medio raggio, che non<br />

hanno nulla da dire di fronte ai problemi umani non risolubili e non riducibili ad aggiustamenti<br />

tecnici in cui è sufficiente l'applicazione corretta della formula. I problemi propriamente umani<br />

10


sono problemi teoricamente non risolvibili. Sono tensioni permanenti di fronte a situazioni problematiche<br />

globali: la giustizia, l'amore, la libertà, la morte” 6 .<br />

E' difficile dire perché una civiltà muoia, cioè perché diventa sterile, incapace di creare;<br />

è ugualmente impossibile spiegare perché una civiltà riesca a influenzare un'altra civiltà.<br />

La cultura di un popolo, che si può sinteticamente chiamare "civiltà", è fatta di un insieme<br />

di segni; quelli tra di essi che sopravvivono alla morte di chi li ha creati contribuiscono a<br />

rendere influente la civiltà del popolo in cui si è nati e si è cresciuti.<br />

La civiltà che riesce a far parlare le intelligenze (libertà) è una civiltà degna di vivere più<br />

a lungo di altre.<br />

6<br />

E. Morin, La connaissance de la connaissance, Senil, Paris, 1986.<br />

11


LE MINORANZE<br />

Può intendersi per minoranza quella parte di una popolazione più ampia, storicamente<br />

stabilitasi su un determinato territorio, che mantenga una propria identità tale da distinguerla per<br />

cultura, lingua, caratteristiche etniche o razziali; diversamente, non sono considerate minoranze<br />

i lavoratori migranti.<br />

Il problema tuttora aperto è il riconoscimento dei diritti collettivi in aggiunta a quelli individuali.<br />

Alcuni Stati temono che l'affermazione di tali diritti collettivi, portando ad un riconoscimento<br />

delle minoranze ed al conseguente conferimento a queste ultime dello "status" di popolo,<br />

finirebbero per mettere in pericolo la loro integrità territoriale e, anche, sociale.<br />

Tuttavia, gli Stati hanno dovuto assumere provvedimenti di promozione dell'identità del<br />

gruppo, quali quelli rivolti ad assicurare specifiche istituzioni scolastiche, culturali e religiose.<br />

Le minoranze si distinguono, tra l'altro, anche:<br />

a) in minoranze circoscritte all'interno di uno Stato;<br />

b) in gruppi isolati o maggioritari nella propria regione;<br />

c) in minoranze collocate in territori di più Stati, ossia che travalicano le frontiere di due o più<br />

Stati.<br />

Nell'affrontare il tema dei diritti delle minoranze linguistiche, occorre non dimenticare<br />

mai che ciascuna minoranza ha una storia, una condizione politica e materiale diversa dalle altre.<br />

Alla base dei problemi posti dalle minoranze stanno i contrasti di volontà, che possono<br />

essere risolti attraverso una serie di strumenti istituzionali e giuridici internazionali (garanzie giuridiche<br />

o politiche, trattati sia contrattuali che esortativi, convenzioni e soluzioni costituzionali).<br />

a. Le minoranze linguistiche<br />

Approfondimenti richiede, comunque, il concetto di "minoranza linguistica" dovendo riconoscere<br />

che diversi possono essere i criteri per pervenire alla definizione di esso (ad es., il<br />

peso numerico; la provenienza geografica; la posizione di "potere" della minoranza nell'ambito<br />

territoriale in cui risiede; l'antropologico; il geodemografico).<br />

Ma nessuno di quelli ora richiamati, isolatamente preso, può considerarsi il criterio. Forse,<br />

occorre ricorrere ad alcuni o a tutti fra di essi nell'intento di pervenire ad una definizione che<br />

possa rilevarsi soddisfacente, anche perché è attraverso la lingua (romanzo, poesia, racconto,<br />

fiaba) che sovente transita "la cultura": una qualunque collettività di persone che vivano in un<br />

paese o in una località data, che abbiano una razza, una religione, una lingua e tradizioni proprie,<br />

e che siano unite da identità di tale razza, di tale religione, di tale lingua e di tali tradizioni<br />

in un sentimento di solidarietà, al fine di conservare le loro tradizioni, mantenere il loro culto,<br />

assicurare l'istruzione e l'educazione dei loro figli in conformità al genio della loro razza e di assistersi<br />

reciprocamente.<br />

Ma alcuni studiosi considerano questa definizione, fornita dalla Corte internazionale di<br />

giustizia, ancora poco soddisfacente.<br />

L'ONU, attraverso la specifica sottocommissione della Commissione dei diritti dell'Uomo,<br />

ha ritenuto di contribuire alla comprensione del fenomeno sottolineando che:<br />

il termine va applicato solo nel caso in cui le popolazioni non dominanti abbiano - e soprattutto<br />

desiderino conservare - tradizioni o caratteristiche etniche, religiose e linguistiche diverse<br />

da quelle del resto della popolazione;<br />

il numero degli appartenenti al gruppo in questione debba essere rilevante e sufficiente affinché<br />

essi possano conservare le loro caratteristiche;<br />

ci sia, da parte dei componenti delle minoranze, un atteggiamento di lealtà nei confronti dello<br />

Stato di cui fanno parte.<br />

Sembra dimostrare maggiore consapevolezza dell'origine della "minoranza linguistica",<br />

quella definizione datane che si fonda sulla storicità (tempo lungo) dell'insediamento e sui suoi<br />

rapporti mantenuti con il paese d'origine che è diverso da quello in cui vi è l'insediamento. A tal<br />

riguardo, secondo questa concezione è minoranza un qualunque gruppo che nel passato abbia<br />

costituito una nazione indipendente e organizzata in Stato distinto; che abbia fatto parte, sempre<br />

nel passato, di una nazione organizzata in Stato distinto e sia stata poi da esso separata;<br />

12


oppure che possa costituire ancora un gruppo regionale o disperso che, anche se ancora legato<br />

da sentimenti di solidarietà al gruppo dominante, non si è ad esso minimamente assimilato.<br />

C'è chi pone l'accento, poi, sulla dimensione geografica del fenomeno. Sulla base di tale<br />

criterio metodologico ci si può trovare di fronte a diversi gruppi:<br />

gruppi che abitano una intera regione geografica del Paese;<br />

gruppi che abitano la maggior parte di una regione del Paese;<br />

gruppi concentrati in una regione del Paese ma che non costituiscono la maggioranza della<br />

popolazione di quel territorio;<br />

gruppi i cui appartenenti abitano in una certa regione del Paese o sono distribuiti su tutto il<br />

territorio nazionale;<br />

gruppi i cui componenti sono dispersi su tutto il territorio del Paese;<br />

gruppi i cui appartenenti non abitano tutti nello stesso Paese, ma sono diffusi in Paesi diversi.<br />

Se si assume a minimo comune denominatore dell'analisi la dimensione storica, è possibile<br />

pervenire alla individuazione di diversi gruppi:<br />

gruppi che esistevano già sul territorio prima della creazione dello Stato;<br />

gruppi che appartenevano originariamente a vari Stati ma che, per vicende storiche diverse,<br />

si trovano ora sotto la giurisdizione dello Stato attuale (a seguito di cessioni o annessioni di<br />

territori);<br />

gruppi formatisi nel Paese in questione a seguito di fenomeni di immigrazione di un gruppo<br />

appartenente alla stessa etnia, alla stessa religione, alla stessa lingua e che al momento attuale<br />

sono considerati cittadini dello Stato.<br />

Altro criterio di analisi è quello statistico: esso si fonda sul rapporto numerico che contraddistingue<br />

il gruppo minoritario rispetto all'intera popolazione di uno Stato che il gruppo ospita<br />

o accoglie nel suo territorio.<br />

Rivedendo - come si è fatto - la validità di questo o di quel criterio da usare per la definizione<br />

di "minoranza linguistica" a fronte di quella che è la differenziata realtà di tale fenomeno,<br />

si finisce per concordare con le riflessioni svolte da F. Capotorti, il quale, consapevole di non<br />

potere ingabbiare la realtà in una formula che si sarebbe potuto rivelare inaccettabile nei fatti,<br />

scriveva: "allo stato attuale, sembrerebbe illusorio pensare che si possa formulare una definizione<br />

suscettibile di una generale adesione".<br />

Eppure, nonostante questo legittimo dubbio, il Capotorti offre all'attenzione dello studioso<br />

della cultura delle minoranze una definizione assai equilibrata di esse: "Un gruppo numericamente<br />

inferiore al resto della popolazione di uno Stato, in posizione non dominante, i cui<br />

membri - appartenenti allo Stato - possiedono dal punto di vista etnico religioso o linguistico caratteristiche<br />

che si differenziano da quelle del resto della popolazione e manifestano anche in<br />

maniera implicita un sentimento di solidarietà allo scopo di conservare la loro cultura, le loro<br />

tradizioni, la loro religione o la loro lingua".<br />

Dato che la salvaguardia fondamentale di una minoranza è da rinvenire nel grado di tutela<br />

che lo Stato ospitante offre alla lingua che essa usa, dato che per mezzo di essa diventa<br />

testimone della sua cultura, sembra utile riflettere su alcune asserzioni.<br />

In primo luogo, è esatto dire che "normalmente le comunità che si considerano nazione<br />

(o parte di una nazione residente in un altro Stato) non sono disposte a considerare il proprio<br />

idioma come un dialetto, ma lo considerano una lingua a pieno titolo.<br />

Il termine dialetto ha, per esse, una evidente connotazione riduttiva".<br />

In secondo luogo, occorrerà ricorrere al concetto di "sentimento di solidarietà" (Salvi) rispetto<br />

alla propria lingua (e alla propria cultura) per identificare in quali dei quattro livelli di approssimazione<br />

siano collocabili gli articolati fenomeni del "sentirsi minoranza linguistica" da parte<br />

di una comunità:<br />

Livello 0: mancanza di ogni specifica percezione della propria specificità culturale;<br />

Livello I: percezione di un sentimento di diversità della propria comunità rispetto al resto<br />

delle comunità ospitate nel territorio del Paese;<br />

Livello II: percezione di un sentimento di diversità e di opposizione tra la cultura della<br />

propria comunità e quelle ospitate nel resto del Paese;<br />

Livello III: percezione di un sentimento di diversità e di opposizione della cultura della<br />

propria comunità rispetto a quella delle altre comunità del Paese, aggravato da<br />

13


misure di ostilità, da parte del <strong>Governo</strong> del Paese stesso, sia sul piano storico<br />

sia anche sul piano dell'attualità.<br />

Nel definito I livello possiamo posizionare tutte le comunità culturali cui la nostra coscienza<br />

culturale fa normale riferimento: ad es., gli abitanti di un sobborgo di Roma avvertiranno<br />

la loro specificità culturale rispetto al resto degli abitanti della capitale, ma non per questo si<br />

considerano "minoranze linguistica". Eppure un poeta come il Belli, che ha scritto in romanesco,<br />

è conosciuto anche all'estero.<br />

Nel II livello si possono far rientrare una varietà di comunità che saranno di gran lunga<br />

numericamente inferiore a quelle che abbiamo ritenuto di dover far rientrare nel I livello.<br />

Si possono fare degli esempi in grado di fare comprendere questa categoria concettuale:<br />

la comunità polacca nella Repubblica Federale di Germania, oppure quella friulana in Italia.<br />

Nel III livello si possono catalogare, invece, un ristretto numero di gruppi minoritari.<br />

Qualche esempio riesce a rendere l'idea: i Corsi o gli Occitani in Francia sono minoranze che<br />

avvertono l'ostilità "culturale" della dirigenza francese, essendo questa orientata a negare le loro<br />

identità.<br />

14


LA NAZIONE<br />

Secondo R. Hartshorne per "nazione" si intende un gruppo umano residente in un'area<br />

determinata che si sente legato da vincoli di accettazione comune di particolari valori talmente<br />

importanti da richiedere che quell'area e quella popolazione siano organizzate in uno Stato distinto,<br />

in modo che quei valori siano preservati e perpetuati 7 .<br />

Quando un popolo ha coscienza della comunanza di sentimenti analoghi, affinità culturali<br />

e spirituali, più in particolare di avere un futuro comune, si ha una nazionalità.<br />

Occorre porre l'attenzione sui due aspetti che caratterizzano il ruolo della nazione nella<br />

formazione dello Stato; essi, peraltro, presentano una validità di carattere generale.<br />

In primo luogo, il fatto che, nell'ambito dei contesti sociali, la nazione occupa la posizione<br />

più elevata; essa è la forma la più ampia e la più complessa tra tutte le collettività umane.<br />

"Essa è la collettività-limite, quella che ingloba tutte le altre e non è inglobata da alcuna" (R.<br />

Bonnard).<br />

Così, allorché una società umana è giunta al tipo-nazione, essa non può evolversi nel<br />

senso di un rafforzamento della solidarietà che unisce i suoi membri, senza costituirsi in Stato.<br />

C'è l'orda, il clan, la tribù, la città, la nazione; ma al di sopra della nazione non c'è null'altro<br />

che lo Stato.<br />

Senza dubbio ciò non significa che lo Stato sia della stessa natura delle forme delle società<br />

politiche che lo precedono.<br />

E' in esso che si conclude l'evoluzione, ma ciò non pregiudica la sua natura che è assai<br />

differente da quella delle forme politiche che essa viene a rimpiazzare.<br />

Questa affermazione sembra essere sufficiente per respingere tutte le altre definizioni di<br />

Stato che pretendono di dissociarlo dall'elemento nazione da cui nasce. E si vedrà, in effetti,<br />

che definendo lo Stato come Potere istituzionalizzato, bisogna riguardare questo Potere come<br />

Potere nazionale, allo stesso modo come è nazionale l'idea del diritto che, allo stesso tempo, è<br />

incorporata nell'istituzione statale.<br />

Una seconda osservazione viene formulata: il ruolo fondamentale che gioca l'idea del<br />

fine sociale nel sentimento nazionale.<br />

E', in effetti, la rappresentazione di questo fine, che è l'agente decisivo della solidarietà<br />

che unisce i membri del gruppo.<br />

Senza dubbio il ricordo delle prove comuni, le tradizioni, giocano un ruolo importante.<br />

La nazione è continuare a essere ciò che si è stato, a vivere secondo la stessa legge<br />

che ha prodotto la forza delle generazioni precedenti; è dunque, anche attraverso la solidarietà<br />

che si pone, volgendo al passato, una rappresentazione del futuro.<br />

Senza dubbio ancora, la concordanza sugli interessi attuali, i vantaggi di una divisione<br />

del lavoro, l'identità dei bisogni e dei costumi creano tra gli individui un sentimento di interdipendenza<br />

estremamente vivace.<br />

Lo strumento più efficace della coscienza nazionale è una concezione del fine della vita<br />

comune perché "il divenire è ugualmente indispensabile a una collettività umana come a ciascun<br />

essere vivente".<br />

Una nazione - è stato detto - è un sogno delle cose a venire.<br />

Ora l'uomo si interessa al suo passato nella misura in cui egli consulta l'avvenire.<br />

Ogni giorno l'uomo compie i suoi sforzi che si inscriveranno nel tempo; ora, ciò che dà<br />

certezza è sapere che egli non affronta da solo il futuro da cui si attende un premio per il suo<br />

impegno.<br />

Grazie alla sua integrazione nella comunità nazionale, egli proietta, in qualche modo,<br />

nell'avvenire i quadri della sua sicurezza attuale.<br />

Più egli sente affermarsi in sé il senso nazionale e più diventa sicura l'ipoteca presa sull'avvenire.<br />

Occorre, d'altra parte, distinguere il concetto di nazionalismo da quello di nazionalitarismo.<br />

Il primo concetto può essere inteso come esaltazione della nazione, secondo questo concetto<br />

si afferma la tesi secondo la quale: solo io conto perché "nazione" e devo insegnare agli<br />

7<br />

M.A. Belasio, Aspetti demografici, struttura etnica, nazione, A.A. 1993/94, Istituto di Studi Europei<br />

A. De Gasperi - Roma.<br />

15


altri; ossia la mia nazionalità è superiore alle altre e, in tal modo, funge da molla culturale dell'imperialismo.<br />

Altro è il concetto di nazionalitarismo, inteso come il sentimento, nel senso buono di<br />

fondare una nazione, a cui si richiamava lo stesso Mazzini.<br />

Nell'affrontare il discorso delle culture nazionali in Europa si rischia di finire con il dividere<br />

qualcosa che ancora non è sentito e non esiste.<br />

Se, ad esempio, facciamo riferimento al nazionalismo nell'800, il Ghisò afferma senza<br />

ombra di dubbio "che ad esempio la Francia aveva fatto sì che le idee nate ovunque in Europa<br />

divenissero idee europee; distingueva nell'Europa le varie nazionalità..." 8 .<br />

Possiamo considerare il nazionalismo europeo più come un fenomeno politico, un desiderio<br />

di dichiarare la propria presenza, che considerarlo quale volontà, intesa in chiave culturale,<br />

di imporre la propria nazionalità sugli altri. In questo ambito, rimane difficile specificare cosa<br />

si intende per culture nazionali.<br />

In tutta l'epoca imperialista l'Europa è "una"; nel corso di tutto il XIX secolo, si poteva girare<br />

liberamente per l'Europa: non serviva, infatti, nessun passaporto o altra formalità burocratica.<br />

La libera circolazione era garantita anche durante le famose guerre coloniali: ad esempio,<br />

nessuno pensò di ostacolare il rientro di Bismarck dall'Austria, anche se quest'ultima venne<br />

sconfitta dagli stessi prussiani nel 1866.<br />

Altra testimonianza della quantità dei viaggi compiuti in quel periodo è data dall'archeologia<br />

alberghiera rinvenibile nelle località termali.<br />

L'Europa sviluppa un tipo di imperialismo e di colonialismo proprio, conseguente alla<br />

convinzione, da parte degli Stati europei, di essere gli unici detentori della legge del progresso,<br />

che "doveva", quindi essere imposta agli altri. A prescindere da parte di quale Stato dell'Europa<br />

avvenisse tale imposizione, era comunque la superiorità della civiltà europea che veniva portata<br />

all'attenzione di questi.<br />

Ovviamente esistevano ed esistono delle differenze fra le culture nazionali in Europa, le<br />

quali, pur avendo caratteristiche peculiari, in fondo derivano tutte dalla cultura europea, che pur<br />

se non univoca ma ricca di sfaccettature, si distingue per tre caratteristiche peculiari e qualificanti,<br />

che ancora oggi possiamo riscontrare in ogni manifestazione umana; esse sono la razionalità<br />

greca, il diritto romano e la carità cristiana.<br />

Diversamente, come abbiamo già visto, una cultura nazionale vera e propria sorge sulla<br />

base del dominio e sul soffocamento delle etnie e, quindi, si colloca all'opposto dell'etnia.<br />

In tal senso, la cultura nazionale può essere intesa come il prodotto di una attività sociale<br />

che mira ad essere unificante e di carattere sovraetnico.<br />

8<br />

Marongiu Buonaiuti C., Coscienza d'Europa attraverso i secoli, Roma 1987, Istituto di Studi Europei<br />

“A. De Gasperi” - Roma.<br />

16


LO STATO<br />

Nel tentativo di fornire la definizione di "Stato", gli studiosi di diritto costituzionale associano,<br />

nella stessa nozione, gli elementi materiali (tali sono la popolazione e il territorio) e l'elemento<br />

spirituale: la potenza di dominio o autorità statale.<br />

C'è, ad esempio, chi definisce "ciascuno Stato in concreto" come "una comunità di uomini,<br />

presenti su un proprio territorio e che possiedono una organizzazione da cui risulta per il<br />

gruppo incaricato di mantenere rapporti con i suoi membri un potere superiore di azione, di comando<br />

e di coercizione".<br />

Altri, ancora, ritengono che "lo Stato formi una unità giuridica perpetua; esso è un organismo<br />

sociale che, generalmente attraverso l'impiego di un potere unilaterale e attraverso l'esercizio<br />

della costrizione materiale di cui ha il monopolio, esercita certi poteri giuridici su una<br />

Nazione presente su un territorio".<br />

Ambedue queste definizioni presentano una caratteristica: quella di fondarsi sulla terminologia<br />

giuridica.<br />

Lo Stato non è, però, monopolio della scienza del diritto; esso appartiene in effetti come<br />

realtà e come nozione a un gran numero di discipline (alla scienza politica, alla storia, all'economia,<br />

alla sociologia, ...).<br />

Ma occorre ritornare sul concetto espresso poco fà: la necessità di ricorrere al linguaggio<br />

giuridico per definire lo Stato.<br />

Infatti, solo il linguaggio giuridico consente di fornire dello Stato una definizione che sia<br />

utilizzabile da tutti. Una definizione che, fondandosi sull'elemento essenziale dello Stato, possa<br />

essere messa in opera ogni volta che, nella particolare scienza o branca, si avrà avuto bisogno<br />

di ricorrere alla nozione di Stato.<br />

Ma, ancora una volta, non vi possono essere più definizioni possibili secondo il punto di<br />

vista sotto il quale ci si pone; non ve ne è che una ed è quella giuridica. Essa, quindi, deve risultare<br />

soddisfacente nell'ambito di quello scambio generale delle idee che caratterizza la cultura.<br />

Se, ad esempio, noi stiamo affrontando il tema dell'intervento dello Stato nel campo dell'economia,<br />

l'economista non potrà dire: lo Stato è il regolatore o il dispensatore della ricchezza<br />

sociale, senza sottintendere: lo Stato, quale risulta definito dalla scienza giuridica, è il regolatore<br />

o il dispensatore della ricchezza sociale.<br />

Ugualmente, se lo storico deve richiamarsi alla nozione di Stato mettendola in campo in<br />

questa o quell'episodio della vita, egli dovrà far riferimento alla definizione fornita dai giuristi che<br />

sono i soli competenti per stabilirlo.<br />

a. Lo Stato non è un organismo spontaneo<br />

E' possibile dimostrare che lo Stato è il risultato necessitato di tutte le tendenze che<br />

vengono alla luce, a un certo momento dato, dall'evoluzione dei gruppi nazionalistici (dalla Nazione<br />

può generarsi lo Stato...). Solamente, non bisogna prestare troppo attenzione al carattere<br />

di queste forze di cui lo Stato è un prodotto, un risultato.<br />

Esse non sono per nulla spontanee come lo è il movimento che spinge gli uomini a riunirsi<br />

in società; esse non sono ugualmente favorite dall'istituto o dai gusti di ciascuno, perché se<br />

gli uomini si lasciassero andare dietro alla loro inclinazione naturale, la vita collettiva non si o-<br />

rienterebbe verso la forma statale.<br />

Queste forze sono, al contrario, l'espressione di una meditata volontà; esse costituiscono<br />

una reazione agli impulsi naturali, una resistenza dell'intelligenza agli inviti che nascono nella<br />

parte più oscura dell'animo umano.<br />

Così, è ben evidente come lo Stato è di una essenza totalmente differente rispetto a<br />

quella del clan o della tribù, perché mentre queste qui nascono da una associazione spontanea<br />

di individui, lo Stato, al contrario, per formarsi, ha bisogno che ciascuno eserciti su lui stesso un<br />

controllo, rifletta sulle esigenze dell'ordine giuridico e finalmente pensi allo Stato come lo strumento<br />

di realizzazione del nostro destino temporale.<br />

In questo senso lo Stato è, innanzitutto, l'effetto di una volontà mirata ad evitare l'incontro<br />

con le insofferenze e le indifferenze dell'individuo portato a lasciarsi guidare dal suo istinto<br />

egoista.<br />

b. Lo Stato oggettivizza una disciplina di vita<br />

17


Se lo Stato non esiste che in ragione dello sforzo che esso suscita nello spirito di ciascuno,<br />

è nell'operazione intellettuale da cui nasce che dobbiamo cercare la sua essenza funzionale<br />

e, di conseguenza, gli elementi della sua definizione.<br />

Quale problema intende risolvere ciascuno quando il suo spirito pensa allo Stato?<br />

Al centro di ogni riflessione sullo Stato, all'origine e al fondo di tutti gli sforzi che la volontà<br />

umana applica alla concezione dello Stato, c'è l'idea di una disciplina di vita.<br />

Lo Stato è la forma attraverso la quale il gruppo si unifica sottomettendosi al diritto.<br />

Ciò è necessario alla durata della vita collettiva; esso riposa sull'acquiescenza dell'uomo<br />

che lo concepisce, come il simbolo di un'insieme di valori alla cui sottomissione la personalità<br />

umana ha una vocazione temporale.<br />

Allorché l'uomo comprende che solo un "potere", che trascende e libero da qualsiasi<br />

condizionamento rispetto alle singole volontà, può incarnare la disciplina necessaria alla vita<br />

della comunità; allorché si concepisce una disciplina in conformità agli obiettivi che persegue il<br />

gruppo e attorno ai quali si forma la comunione della generazione attuale con quelle del passato<br />

e quelle che sopraggiungeranno domani; allorché infine l'organizzazione politica del gruppo<br />

cessa di essere considerata dai suoi membri come un coordinamento effimero di forze instabili<br />

e di interessi divergenti, per essere compresa come un ordine durevole al servizio di valori universali<br />

che legano il capo e i soggetti, allora l'idea di Stato si fa strada e, con essa, la realtà dello<br />

Stato che esiste in questa idea.<br />

c. Dallo Stato come organizzazione allo "Stato culturale"<br />

Lo Stato non va considerato come un semplice fatto organizzatorio, ma è la qualificazione<br />

di un certo tipo di organizzazione e, poi, dei comportamenti umani che in essa si svolgono.<br />

Abbiamo diversi “Stati culturali”, che vengono qualificati a seconda di quello che ci<br />

sembra il tratto più determinante.<br />

Oggi, infatti, è in corso un dibattito sulla crisi dello "Stato sociale" e sul passaggio ad<br />

uno "Stato dei diritti", ma di certo c'è che ci troviamo in uno "Stato di provvidenza" più che in<br />

uno "Stato sociale", in quanto la protezione viene dall'alto e ciascuno sente di non essere determinante.<br />

Quando si afferma la pretesa di governare anche lo “Stato sociale”, si creano i presupposti<br />

per la nascita di uno "Stato dei diritti".<br />

Diversamente, lo "Stato culturale" va inteso come qualcosa di specifico, quale forma più<br />

alta dello Stato stesso.<br />

Il problema dello "Stato culturale" è importante per l'affermazione del diritto di partecipazione<br />

di tutte le comunità alla costruzione del nuovo tipo di organizzazione politica dell'Unione<br />

europea.<br />

Fino ad ora abbiamo un solo modello di Stato pluriculturale avanzato - sia ad economia<br />

capitalistica che a stato sociale - che sono gli Stati Uniti d'America. Però è molto difficile ipotizzare<br />

di poter usare tale modello per la costruzione dello “Stato delle Comunità Europee”, in<br />

quanto lo Stato americano è multiculturale e multietnico, costruito sul fatto che tutte le culture<br />

avevano diritto di accesso (immigrazione), la cultura non era determinante nella concessione<br />

del visto di entrata o per l'appartenenza a quel Paese; arrivando negli U.S.A., occorreva però<br />

rinunciare alla propria identità culturale, come identità forte (giuridico-politica).<br />

Gli U.S.A. si sono fondati sul principio dell'individualità in base al quale bisognava garantire<br />

l'eguaglianza di tutti, almeno a livello della legislazione costituzionale. L'individualismo è<br />

stato il cemento necessario cui si sono subordinate le culture, finendo, ovviamente, per spezzare<br />

l'identità culturale. Questo meccanismo è di difficile realizzazione in Europa.<br />

La società civile esprime la tendenza ad affermarsi in uno "Stato pluralista", che salvaguarda<br />

alcune sfere di autonomia della persona umana, attraverso soprattutto l'associazionismo.<br />

Questo tipo di società è composta, sì, dai cittadini, ma soprattutto dalle loro organizzazioni<br />

autonome, i cui diritti, libertà ed autonomie devono essere riconosciuti e tutelati dalla legge.<br />

18


IL RAPPORTO TRA STATO E CULTURA<br />

Avendo già analizzato vari tipi di Stato, possiamo quindi definire lo stesso come la continua<br />

qualificazione di una condizione esistenziale. Da ciò possiamo desumere che il nesso tra<br />

Stato e cultura è dato dalla rappresentazione e dal tipo di agire, in sostanza, dalla condizione<br />

esistenziale.<br />

Quindi, si può agevolmente affermare che esiste sempre il nesso tra Stato e cultura; a<br />

ben vedere anche lo "Stato di potenza" finisce per diventare un valore culturale e presenta, anch'esso,<br />

una dimensione culturale.<br />

Nello "Stato liberale" la cultura è il fondamento vero dello Stato; quest'ultimo non è l'organizzazione,<br />

ma è una serie di valori che poi vengono tradotti in organizzazione.<br />

In J. Burckhardt lo Stato è una potenza statica, mentre la cultura è l'elemento dinamico<br />

che opera sulle altre due potenze (cioè, sullo Stato e sulla religione).<br />

Lo Stato e la religione sono l'espressione dell'esigenza politica e di quella metafisica.<br />

La cultura corrisponde, invece, alle esigenze materiali e spirituali in senso più stretto e<br />

rappresenta, tra l'altro, l'insieme di tutto ciò che si è formato spontaneamente per promuovere la<br />

vita materiale come espressione della vita morale e spirituale. La cultura è intesa come mondo<br />

della libertà e del movimento.<br />

La O.S.C.E., fin dall'inizio del dibattito per la piena realizzazione degli obiettivi della sicurezza<br />

e della cooperazione, aveva individuato lo scambio culturale quale condizione ed elemento<br />

fondamentale per una efficace integrazione ed interscambio tra i Paesi europei.<br />

Lo "Stato culturale" può essere realizzato - si è detto - solo attraverso il dialogo fra tutti i<br />

gruppi e l'istituzionalizzazione delle consultazioni, sia per quelli rappresentati dall'autorità statale<br />

che per quelli minoritari, al fine di confrontare le posizioni dominanti, onde evitare qualsiasi situazione<br />

di prevaricazione, anche in quelle regioni dove i gruppi che hanno la rappresentanza<br />

statale costituiscono la minoranza.<br />

19


LA TUTELA DELLA CULTURA<br />

DELLE MINORANZE<br />

DEGLI STATI DELL’UNIONE EUROPEA<br />

21


a. Quali misure concrete può adottare lo Stato per tutelare la cultura delle minoranze?<br />

Non si può né si deve considerare la politica, sia nazionale che propria delle istituzioni<br />

comunitarie, da elaborare a favore delle minoranze linguistiche, avulsa dalla realtà 9 .<br />

Non si deve dimenticare, infatti, che azioni a sostegno risultano già avviate, e molte altre<br />

sono state concluse ed anche con successo. Ciò che non appare giusto accogliere del tutto<br />

- come qualsiasi evento umano - è che non si riesca ancora a porre un limite all'aspirazione di<br />

affermare, sotto il profilo giuridico, i diritti della minoranza sopra e al di fuori di quelli della maggioranza.<br />

Né appare ugualmente accettabile, oggi, che il limite di accoglimento delle aspirazioni<br />

della minoranza, in questo caso "linguistica", si sposti sempre più in avanti, finendo per determinare<br />

uno stato di permanente rivendicazione di "diritti" che tali di per sé non sono ma che alla<br />

coscienza del soggetto "minoritario" possono apparire o rappresentare come tali.<br />

Perché questo non accada e per evitare che l'aspirazione di giustizia sostanziale finisca<br />

per essere mortificata nei fatti, cioè nello svolgersi della vita quotidiana, è necessario recuperare<br />

questo senso del limite: esso si sostanzia di una serie di riflessioni fondate sulla fattibilità delle<br />

cose, delle azioni proponibili perché una "minoranza linguistica" si possa, oltre che nella coscienza<br />

collettiva anche in quella individuale, considerare adeguatamente tutelata.<br />

Anche in tal caso il ricorso al concetto di adeguatezza delle misure, degli interventi rappresenta<br />

un traguardo dell'intelligenza cui tendere.<br />

Recuperando, a questo punto dello studio, le linee-guida elaborate in termini di pratica<br />

operatività a livello di istituzioni comunitarie competenti nel settore, si possono sviluppare quelle<br />

tra esse che abbisognano dell'identificazione dei soggetti che le devono attuare, dei percorsi<br />

politici che si devono seguire, delle modalità di attuazione sull'intero territorio europeo.<br />

b. Le misure di ordine normativo<br />

Nel contesto delle misure di tale tipo il primo obiettivo (primario) politico da perseguire<br />

sarebbe quello di "costituzionalizzare" il principio, che è esigenza dello spirito umano, di tutela<br />

delle "minoranze linguistiche".<br />

Esempi, in Europa, di "costituzionalizzazione" dei diritti delle minoranze linguistiche sono<br />

da ritrovare nella carta fondamentale italiana e in quella belga, che ha subito, per tale aspetto,<br />

sostanziali modifiche anche in tempi relativamente recenti.<br />

Quale è il soggetto che si deve preoccupare di muovere questa idea verso la sua sustanziazione<br />

normativa?<br />

Si può immaginare che, a parte la creazione di uno o più movimenti culturali fondati su<br />

questo tema, l'interesse debba essere fatto proprio, all'interno di ciascuna classe o di direzione<br />

o di opposizione, dal "partito politico" operante in ciascuno Stato. E ciò indipendentemente dallo<br />

sforzo, anch'esso di tipo normativo, che si sta concretizzando nella realizzazione di uno (o più)<br />

strumento/i normativo/i (convenzione, accordo) di livello comunitario o similare.<br />

Conseguito questo primo obiettivo, ciascuno dei soggetti produttori di norme ordinarie<br />

(di livello nazionale, di livello subnazionale) dovrebbe risultare impegnato, nei rispettivi ordinamenti<br />

statali, a:<br />

costruire un sistema normativo di base che si configuri come esplicitatore del principio costituzionalmente<br />

posto;<br />

implimentazione del sistema normativo, dopo che siano poste in essere controlli di esecuzione<br />

della legislazione e dei programmi e progetti (annuali-pluriennali) di attuazione.<br />

In considerazione del fatto che l'attività normativa dovrà essere sostenuta dalla ricerca<br />

dottrinale sul tema specifico delle "minoranze", occorrerebbe sviluppare - non solo nell'area del<br />

diritto, ma anche in altri campi, ad es. in quello sociologico e biologico - una "dottrina della minoranza".<br />

In questo caso, i soggetti da coinvolgere, nel nostro Paese, sono:<br />

le Università degli studi (in particolare, gli Istituti di diritto pubblico delle Facoltà di Giurisprudenza);<br />

9<br />

“La tutela delle minoranze linguistiche. Riflessioni per un movimento culturale di sostegno”, a cura<br />

dell'Istituto "Max Weber", Roma, 1995.<br />

23


il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), il quale dovrebbe destinare una quota-parte del<br />

suo budget all'approfondimento del tema "minoranza".<br />

c. Le misure di ordine ricognitivo<br />

Alla base di un corretto uso dell'intervento legislativo si deve porre l'esigenza, per lo<br />

stesso legislatore (soggetto), di conoscere la dimensione, sia di tipo quantitativo che di tipo qualitativo,<br />

del fenomeno.<br />

Lo strumento principale di conoscenza è la statistica. E siccome il più importante dei<br />

problemi di ordine conoscitivo è avere certezza delle entità numeriche delle minoranze (non solo<br />

di quelle di antico insediamento) in Europa, si tratta di porre in essere da parte delle diverse<br />

istituzioni statali di indagine, ad es. in Italia l'ISTAT, un programma nazionale di verifica.<br />

L'occasione può essere fornita dai periodici censimenti della popolazione.<br />

Altro strumento di rilevazione del fenomeno, in grado di svolgere funzione promozionale<br />

di tempestiva conoscenza anche tra popolazione/etnia e gruppi minoritari sparsi sul territorio di<br />

altri Stati, potrebbe essere un "Annuario".<br />

Tale testo potrebbe essere elaborato, per ciascuno Stato appartenente all'UE, dal dicastero<br />

o agenzia nazionale competente (soggetto coordinatore).<br />

A livello di UE, della creazione di un "Annuario" europeo delle minoranze si potrebbe<br />

rendere promotore il Parlamento europeo.<br />

L'Annuario delle minoranze dovrebbe essere aggiornato annualmente oppure ogni<br />

biennio.<br />

d. Le misure di ordine analitico-investigativo<br />

Attualmente esiste il Bureau Europèen pour les langues moins répandues che opera in<br />

stretta cooperazione con le istituzioni europee, in particolare con il Parlamento europeo e la<br />

Commissione delle Comunità Europee.<br />

Collabora, inoltre, con il Consiglio d’Europa.<br />

Finalità del Bureau europeo per le lingue meno diffuse è la conservazione e la promozione<br />

delle lingue e delle culture regionali autoctone dell’Unione europea.<br />

Il Bureau si compone di comitati, che rappresentano le comunità linguistiche minoritarie<br />

degli Stati membri dell’Unione europea. I delegati di tali comunità formano il Consiglio, supremo<br />

organo decisionale. Il Segretariato generale del Bureau ha sede a Dublino, mentre a Bruxelles<br />

è in funzione un Centro di informazione. A Lussemburgo opera un Centro di animazione<br />

dell’insegnamento in lingue minoritarie.<br />

L’esistenza del Bureau si può considerare, certamente, un segnale positivo di attenzione<br />

al problema.<br />

La politica del Bureau è riassumibile in tre punti principali:<br />

ricerca di supporti giuridici e politici e di mezzi finanziari a livello europeo, statale e regionale,<br />

per la realizzazione di progetti relativi alle lingue meno diffuse;<br />

pubblicazione e diffusione di materiale informativo sulle lingue meno diffuse e scambio di informazioni<br />

e di esperienze tra gruppi attivi nella promozione di queste lingue;<br />

creazione di strutture a sostegno delle comunità linguistiche autoctone, come Mercator, la<br />

Segreteria europea di coedizione per l’Infanzia, e Euroskol.<br />

e. Le misure di ordine culturale<br />

Le misure di quest'ordine si possono articolare su tre azioni di intervento:<br />

e.1 l'azione educativa;<br />

e.2 l'azione di sostegno all'associazionismo;<br />

e.3 l'azione di scambio delle esperienze.<br />

24


e.1 L'azione educativa<br />

E' stato correttamente sottolineato che "è nell'educazione che si trasmettono i valori culturali<br />

e gli atteggiamenti, che si creano orientamenti di apertura o viceversa di intolleranza, che<br />

si pongono i presupposti per l'azione del cittadino adulto".<br />

D'altra parte, si è consapevoli del fatto che "la lotta per la protezione delle minoranze si<br />

vince o si perde precisamente sul terreno dell'educazione".<br />

Pertanto, una attenzione fondamentale va posta alla messa a punto di azioni positive di<br />

educazione all'interno e verso l'esterno del gruppo minoritario.<br />

Le azioni positive di educazione rivolta agli appartenenti al gruppo linguistico minoritario<br />

si possono indicare nelle seguenti:<br />

creare la figura professionale dell'insegnante attivo nelle minoranze (il soggetto pubblico da<br />

individuare è il Ministero dell’Istruzione e, a livello periferico, l'Assessorato regionale alla cultura<br />

e alla formazione);<br />

attivare una indagine (anche di livello europeo) sulle misure educative attuabili in un contesto<br />

di minoranza (aspetti organizzativi, didattici e culturali dell'educazione) - (il soggetto pubblico<br />

da individuare è, anche in tal caso, il Ministero dell’Istruzione e, a livello periferico, l'Assessorato<br />

regionale alla cultura e alla formazione);<br />

favorire la produzione di testi scolastici in lingua di minoranza (a livello centrale, il soggetto<br />

pubblico è il Garante per l'editoria e l'informazione: erogazione di contributi a sostegno delle<br />

case editrici);<br />

favorire la costituzione di supporti informatici all'insegnamento e all'apprendimento (floppy<br />

disk, CD-ROM, ...);<br />

costituire nelle scuole classi miste, cioè composte di giovani appartenenti alla minoranza e di<br />

giovani appartenenti alla maggioranza.<br />

Le azioni positive di educazione rivolte a chi sta fuori del gruppo minoritario si possono<br />

così individuare:<br />

promuovere corsi di lingua minoritaria per gli adulti parlanti altra lingua residenti in zona di<br />

minoranza;<br />

promuovere tutte quelle manifestazioni culturali che facciano capire alle persone parlanti la<br />

lingua diversa da quella di minoranza i problemi di quest'ultime (sensibilizzazione);<br />

trattare in maniera diffusa nei testi scolastici adottati nel sistema scolastico l'origine storica<br />

delle attuali minoranze e l'apporto che essi hanno dato alla cultura e all'economia del Paese<br />

ospitante.<br />

e.2 L'azione di sostegno all'associazionismo<br />

L'associazionismo tra minoranze può essere sostenuto in vari modi.<br />

Innanzitutto, è indispensabile coinvolgere a livello nazionale (oltre che europeo) i rappresentanti<br />

delle associazioni che si occupano della salvaguardia della lingua, delle tradizioni e<br />

dei costumi, della letteratura in lingua (poesia, narrativa), delle forme artistiche d'origine.<br />

In tale contesto, si possono indicare i punti di sostegno da promuovere:<br />

favorire la formazione di biblioteche specializzate in pubblicazioni in lingua di minoranza;<br />

favorire lo studio e il recupero di traduzioni locali e di espressioni artistiche in lingue locali<br />

(musica, teatro, ...);<br />

creare festivals nazionali/europei dedicati alla produzione di opere (musicali, teatrali, ...) in<br />

lingua di minoranza o collegate alle lingue di minoranza;<br />

sostenere la creazione e il mantenimento di musei delle tradizioni e delle manifestazioni artistiche<br />

(delle culture, in genere) delle minoranze.<br />

Il coinvolgimento delle organizations non profit in tali azioni può realizzarsi:<br />

affidando ad esse la gestione delle stesse;<br />

finanziando le attività in questione gestite da esse;<br />

creando strutture di collegamento tra pubblico (controllo e finanziamento) e privato (gestione).<br />

25


e.3 L'azione di scambio delle esperienze<br />

Per favorire, comunque, la vitalità dell'associazionismo e dei movimenti in cui le minoranze<br />

risultano, allo stato, organizzate si può ritenere utile:<br />

favorire gli scambi di informazioni e di iniziative tra le minoranze e tra esse e gli eventuali interessati<br />

(comprese le strutture pubbliche dei Governi);<br />

favorire gli scambi di persone (viaggi, soggiorni brevi o lunghi).<br />

Al riguardo, sembra interessante promuovere, a livello di singolo Stato, ogni tre anni,<br />

una Conferenza nazionale delle minoranze; ogni quattro/cinque anni, a livello sovranazionale,<br />

una Conferenza europea delle minoranze.<br />

f. Le misure di ordine culturale (in senso generale)<br />

La "visibilità" della cultura delle minoranze si può favorire a mezzo dei seguenti interventi,<br />

che puntano alla diffusione di essa su quelli che sono i supporti tecnici tradizionali (libro,<br />

film, videocassetta, trasmissione radio/ televisiva):<br />

favorire e sostenere l'editoria in lingua minoritaria, e, ove necessario, contribuire alla standardizzazione<br />

grafica di lingue scritte o non scritte in forma stabile;<br />

favorire, anche finanziariamente, la sopravvivenza di organi di stampa a diffusione locale<br />

che adoperino la lingua di minoranza;<br />

favorire l'accesso delle minoranze alla radio e alla televisione nazionale per un periodo di<br />

tempo non irrilevante (secondo le normative locali);<br />

favorire, anche finanziariamente, la creazione di emittenti locali, radio e televisive, in lingua<br />

di minoranza;<br />

favorire la produzione di trasmissioni in lingua di minoranza, da diffondere localmente attraverso<br />

le reti radio e televisive nazionali;<br />

favorire le coproduzioni internazionali, ove possibile, con specifico riferimento alle minoranze;<br />

favorire l'istituzione di premi letterari per studi sulle minoranze europee o per opere dell'ingegno<br />

scritte in una lingua di minoranza.<br />

g. Le misure di ordine socio-conomico<br />

Le azioni positive, da elaborare sia a livello europeo (ricorso al F.S.E. e al F.E.R.S.) e a<br />

livello nazionale (aiuti), possono consistere nel:<br />

favorire la ripresa economica delle minoranze particolarmente svantaggiate e isolate;<br />

sensibilizzare le maggioranze ai problemi delle minoranze interne (cooperazione, scambio<br />

culturale);<br />

permettere l'uso della lingua di minoranza nei tribunali, e, in rapporto a questo, costituire<br />

gruppi di interpreti qualificati;<br />

permettere l'uso delle lingue di minoranza nelle transazioni quotidiane con l'amministrazione<br />

e i servizi (poste, banca), e, in rapporto a queste, favorire la formazione di una sia pur limitata<br />

forma di bilinguismo nel personale dei servizi stessi;<br />

favorire le insegne stradali bilingui e la ricostituzione, ove necessario, di una toponomastica<br />

bilingue.<br />

26


LA COSTRUZIONE DELLA “NAZIONE” EUROPEA<br />

La coincidenza tra Stato e Nazione non è mai stata raggiunta, sebbene siano stati posti<br />

in essere vari tentativi a partire dal Congresso di Vienna.<br />

Certamente la prima cosa che ci si trova ad affrontare è il conflitto tra le nazionalità, che<br />

frappongono resistenza della loro fusione in un organismo più complesso e vasto.<br />

In atto, oltre ai problemi di assimilazione dei nuovi Paesi, soltanto la creazione dell'Unione<br />

Economica è stata più semplice.<br />

L'Europa comprende tre gruppi etnici:<br />

1) i gruppi etnici che vantano un proprio Stato;<br />

2) gli altri senza un proprio Stato;<br />

3) gli altri, infine, non riconosciuti giuridicamente come comunità, aventi, tuttavia, una cultura<br />

quale criterio politico essenziale.<br />

Nel quadro evolutivo della Storia europea, infatti, e precisamente della fine della Repubblica<br />

cristiana del Medioevo e alla affermazione dell'Impero e delle diverse nazionalità, i<br />

gruppi etnici costantemente custodiscono e difendono la loro cultura e la loro autonomia, ragion<br />

per cui ad ogni progetto di edificazione di una comunità politica europea corrisponde l'affermazione<br />

di una cultura espressamente codificata.<br />

27


LA MAPPA DELLE MINORANZE<br />

Il quadro della distribuzione delle minoranze in Europa è molto variegato. I gruppi etnici<br />

presenti nel nostro continente sono più di 200, e riguardano più di 100 milioni di persone.<br />

Esistono paesi in cui la loro presenza è molto scarsa, sia nella varietà delle stesse che<br />

nel numero dei componenti, mentre in altri paesi questa presenza è molto forte.<br />

Fra i Paesi con scarsa presenza di minoranze troviamo la Bulgaria, la Polonia, la Norvegia,<br />

l'Olanda ed il Portogallo.<br />

Mentre, fra quelli più interessati, possiamo citare, insieme all'Italia, la Romania - con<br />

ben 28 etnie censite - l'Ungheria, l'Ucraina, la Gran Bretagna, la Francia e la Spagna, per citare<br />

solo quelli con maggiore presenza.<br />

Si riporta un elenco, in ordine alfabetico, delle minoranze più consistenti in Europa:<br />

gli Albanesi sono presenti in Italia;<br />

gli Aragonesi e gli Aranesi sono presenti in Spagna;<br />

gli Armeni sono presenti in Turchia ed Ungheria;<br />

gli Asturiani sono presenti in Spagna;<br />

i Baschi sono presenti in Spagna e Francia;<br />

i Bretoni sono presenti in Francia;<br />

i Bulgari sono presenti in Romania e Ungheria;<br />

i Catalani sono presenti in Francia, Italia e Spagna;<br />

i Cechi sono presenti in Romania e Slovacchia;<br />

i Cimbri sono presenti in Italia;<br />

i Cornici sono presenti in Gran Bretagna;<br />

i Corsi sono presenti in Francia;<br />

i Croati sono presenti in Austria, Italia e Ungheria;<br />

i Danesi sono presenti in Germania;<br />

i Fiamminghi sono presenti in Francia;<br />

i Francesi sono presenti in Svizzera e Belgio;<br />

i Franco-Provenzali sono presenti in Italia;<br />

i Frisoni sono presenti in Olanda e Germania;<br />

i Friulani sono presenti in Italia;<br />

i Gaelici sono presenti in Gran Bretagna;<br />

i Galiziani sono presenti in Spagna;<br />

i Gallesi sono presenti in Gran Bretagna;<br />

i Greci sono presenti in Italia, Cipro, Ungheria ed Albania;<br />

i Greci Ortodossi sono presenti in Turchia;<br />

gli Irlandesi sono presenti in Irlanda e Gran Bretagna;<br />

gli Italiani sono presenti in Slovenia, Croazia e Svizzera;<br />

i Ladini sono presenti in Italia;<br />

i Lapponi sono presenti in Norvegia, Svezia e Finlandia;<br />

i Lussemburghesi sono presenti in Belgio;<br />

i Mocheni sono presenti in Italia;<br />

gli Occitani sono presenti in Italia e Francia;<br />

i Polacchi sono presenti in Germania, Ungheria, Slovacchia, Lituania, Bielorussia ed Ucraina;<br />

i Romanci sono presenti in Svizzera;<br />

i Rumeni (inclusi gli Arumeni sparsi in piccoli gruppi nelle varie regioni dell’Europa sud-est)<br />

sono presenti in Slovenia e Ungheria;<br />

i Ruteni sono presenti in Slovacchia e in alcune zone dei Paesi dell’Europa occidentale;<br />

i Sardi sono presenti in Italia;<br />

i Serbi sono presenti in Croazia, in Romania ed Ungheria;<br />

gli Sloveni sono presenti in Italia, Austria ed Ungheria;<br />

gli Slovacchi sono presenti in Romania, Austria ed Ungheria;<br />

i Sorabi sono presenti in Germania;<br />

28


gli Svedesi sono presenti in Finlandia ed Estonia;<br />

i Tedeschi sono presenti in Belgio, Danimarca, Francia, Italia, Romania, Svizzera, Polonia,<br />

Repubblica Ceca, Slovacchia, Ucraina, Russia, Croazia, Slovenia, Ungheria e Kazakistan;<br />

i Tornedalsfinski sono presenti in Svezia;<br />

i Turchi sono presenti in Romania e Cipro;<br />

i Musulmani sono presenti in Grecia;<br />

gli Ucraini sono presenti in Romania, Slovacchia, Polonia ed Ungheria;<br />

gli Ungheresi sono presenti in Slovacchia, Slovenia, Romania, Austria, Croazia, Jugoslavia<br />

ed Ucraina;<br />

i Valenziani sono presenti in Spagna;<br />

i Valloni sono presenti in Belgio;<br />

i Walser sono presenti in Italia;<br />

gli Zingari, di origine asiatica, sono presenti in molti Paesi europei ed in particolare in Italia,<br />

in Romania ed in Ungheria.<br />

Appare evidente, da questo elenco, la varietà e la quantità delle minoranze etniche e<br />

linguistiche presenti in Europa.<br />

Alcuni Stati hanno forti problemi a riconoscere la presenza di queste minoranze al proprio<br />

interno e variegato risulta essere il grado di tutela nei vari Stati. Sono pochissimi i paesi che<br />

finora hanno adottato provvedimenti giuridici volti alla tutela delle minoranze.<br />

In Belgio abbiamo comunità con pari dignità; in Finlandia esiste il bilinguismo con gli<br />

Svedesi; in Francia esistono scuole per l'insegnamento della lingua basca, catalana, bretone e<br />

corsa; in Grecia, il Trattato di Losanna del 1923 prevede la tutela linguistica-religiosa per i Musulmani.<br />

L'Italia si colloca, senza ombra di dubbio, fra i Paesi più avanzati in questo campo, tant'è<br />

che le disposizioni legislative che riguardano la minoranza sud-tirolese del Trentino-Alto Adige<br />

costituiscono il modello normativo più perfezionato e preso ad esempio dal gruppo di lavoro<br />

della Commissione per la democrazia attraverso il diritto che ha redatto il progetto di Convenzione<br />

europea per i diritti delle minoranze etniche.<br />

29


LA TUTELA INTERNAZIONALE<br />

DELLE MINORANZE IN EUROPA<br />

31


INTRODUZIONE<br />

I documenti di studio, qui di seguito riportati, costituiscono un contributo di riflessioni inteso<br />

a diffondere la conoscenza della legislazione a tutela delle minoranze etniche e linguistiche<br />

presenti nel nostro continente, ormai soggetto istituzionale unitario, sulla base di un percorso<br />

che intende recuperare i contenuti degli atti elaborati nelle sedi delle Organizzazioni mondiali ed<br />

europee più rappresentative.<br />

Tali documenti, raccolti e commentati e che, certamente, costituiscono solo il nucleo<br />

centrale degli strumenti esistenti, possono ben rappresentare un momento di valutazione delle<br />

questioni che, pur tra le difficoltà in cui ancora si dibattono le minoranze, hanno assunto una loro<br />

intrinseca rilevanza.<br />

Il nostro futuro prossimo, che può essere chiamato presente, sarà certamente un tempo<br />

caratterizzato dalla multietnicità, nel quale dovranno riuscire a convivere culture che è bene che<br />

conservino i loro tratti differenziali.<br />

Oggi, in Europa sembra più che mai viva l’idea di una coscienza comune tesa a considerare,<br />

nella società vivente, la plurietnia come un arricchimento ed un’opportunità. Il pur complesso<br />

processo di unificazione, considerato come un movimento più ampio di quello della Comunità<br />

europea, pur condizionato dalla tendenza all’omologazione, dovrà riscoprire i percorsi<br />

che portano a salvaguardare e perché no, a sviluppare le molteplicità culturali ed etniche presenti<br />

sul territorio.<br />

Le istituzioni, i gruppi e gli individui che lavorano in quest’ambito debbono essere posti,<br />

altresì, nelle condizioni di operare per una pacifica coesistenza interetnica, creando dialogo e<br />

cooperazione.<br />

Dall’incontro di culture differenti può radicarsi nella coscienza dell’individuo, della società<br />

di cui è parte integrante, la convinzione che le comunità minoritarie sono una occasione di<br />

progresso: conoscerne la storia, la lingua, le abitudini, le tradizioni aiuta certamente a comprendere<br />

i valori e le ricchezze insite nel patrimonio culturale di tali comunità. Aiuta al rispetto della<br />

loro dignità umana.<br />

Le leggi e le istituzioni non solo possono incoraggiare scelte di buona convivenza per<br />

assicurare un’esistenza civile tra le diverse culture; esse si debbono assumere l’impegno morale<br />

di diffondere e coltivare nella comunità, dalla più piccola alla più grande, quei valori che siano<br />

capaci di far percepire al cittadino la potenziale ricchezza del confronto.<br />

Uno degli obiettivi che questo lavoro intende perseguire è, appunto, quello di divulgare<br />

l’idea che, sostenuta dalla potenzialità innovativa delle norme, la cultura delle comunità minoritarie,<br />

intesa come circolazione di esperienze umane, come espressione dello spirito, va tutelata<br />

e valorizzata, in ogni tempo e in ogni luogo.<br />

33


PREAMBOLO<br />

La presenza, in molti Paesi europei, di numerosi gruppi e lingue minoritarie diversi ha<br />

richiamato nel tempo una attenzione sempre più profonda e diffusa verso il tema della loro protezione,<br />

nell’intento di promuovere legislazioni e politiche adeguate volte a preservarne e a tutelarne<br />

l’identità.<br />

Così, nel periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale, alcuni<br />

Stati rilanciarono quei principi di protezione delle minoranze già in parte realizzati negli anni<br />

precedenti, dando l’avvio, durante il lungo cammino di costruzione dell’Unione Europea, ad un<br />

processo di crescente approfondimento e maturazione delle problematiche relative alla tutela<br />

delle minoranze etniche e linguistiche.<br />

La riflessione su questo tema in ambito europeo e nel più vasto contesto della Conferenza<br />

per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (C.S.C.E. ora OSCE), intensificatasi in modo<br />

particolare negli ultimi decenni, si è concretizzata in una serie di risoluzioni, raccomandazioni,<br />

direttive e nell’adozione di convenzioni europee per la protezione dei diritti delle minoranze e<br />

delle loro peculiarità culturali e linguistiche, giungendo quindi ad una fase di più diffusa e radicata<br />

coscienza del valore della multiculturalità e della necessità di tutelarla anche attraverso strumenti<br />

giuridicamente vincolanti per gli Stati, con l’affermazione di principi e la previsione di impegni<br />

e misure concrete in forma pattizia.<br />

In tale contesto, uno dei problemi che si è posto con forza è stato quello di definire il<br />

concetto di minoranza e, quindi, di individuare, in una realtà multinazionale e diversificata, gli<br />

elementi di identificazione della stessa in quanto tale.<br />

Alla difficoltà di approccio concettuale ha corrisposto quella di pervenire ad una normativa<br />

comune di tutela delle minoranze, questione altrettanto complessa e di non agevole soluzione<br />

dal momento che una disciplina internazionale uniforme e unanimemente accettabile si<br />

doveva confrontare con l’esigenza di tenere conto di realtà storiche, giuridiche, sociali ed economiche<br />

sostanzialmente diverse.<br />

In ambito europeo, infatti, le situazioni differivano sensibilmente nei vari Stati ed anche<br />

le legislazioni nazionali presentavano nella materia differenziazioni sia per quantità che per contenuti<br />

ed ampiezza di tutela garantita, con quadri legislativi più o meno avanzati e norme diversificate<br />

in relazione alla specificità delle caratteristiche dei gruppi minoritari presenti sul territorio.<br />

Il cammino verso l’unificazione della normativa nel campo della protezione delle minoranze<br />

si è pertanto rivelato non sempre agevole, incontrando anche momenti di incertezza nello<br />

sforzo teso a superare i molteplici problemi derivanti dall’esistenza di quadri storici, culturali,<br />

normativi e sociali quanto mai diversificati nei diversi Stati, e i numerosi interventi realizzati nel<br />

tempo hanno tenuto presenti non soltanto le esigenze di garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali<br />

dell’uomo e di salvaguardia dell’identità delle minoranze, ma anche la necessità e<br />

l’opportunità di consolidare le condizioni per assicurare e mantenere la pace e la stabilità in Europa<br />

a fronte delle conseguenze che, sotto tale essenziale profilo, i contrasti interetnici sono suscettibili<br />

di innescare in mancanza di adeguate forme di protezione dei gruppi minoritari.<br />

La trattazione che segue si riferisce specificamente all’azione di tutela delle minoranze<br />

in Europa posta in essere dagli Organismi europei, e in particolare dal Consiglio d’Europa,<br />

dall’Unione Europea e nel più vasto contesto della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione<br />

in Europa, nonché nell’ambito dell’Iniziativa Centro-Europea.<br />

Nondimeno, per una migliore comprensione del processo che ha portato all’adozione di<br />

strumenti normativi di fondamentale importanza per la protezione delle minoranze in Europa, si<br />

ritiene utile fare un sia pur sintetico riferimento anche a talune delle principali iniziative assunte<br />

nel campo dalle Nazioni Unite.<br />

Qui di seguito si citano i documenti di maggiore rilievo sui quali seguiranno cenni di riferimento:<br />

34


Interventi dell'O.N. U<br />

la “Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale” (21<br />

dicembre 1965);<br />

l’art. 27 del “Patto internazionale sui diritti civili e politici” (16 dicembre 1966);<br />

la “Dichiarazione sui diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali o etniche, religiose<br />

e linguistiche” (18 dicembre 1992).<br />

Interventi del Consiglio d’Europa<br />

la “Carta europea delle lingue regionali o minoritarie”, adottata dal Comitato dei Ministri il 25<br />

giugno 1992;<br />

la “Proposta di Convenzione europea per la protezione delle minoranze” elaborata dalla Commissione<br />

Europea per la Democrazia attraverso il Diritto (c.d. Commissione di Venezia 8-9 febbraio<br />

1991);<br />

la “Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali” adottata dal Comitato dei<br />

Ministri il 10 novembre 1994;<br />

le Raccomandazioni dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.<br />

Interventi della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa<br />

l’Atto Finale della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa - Helsinki 1975;<br />

le Conferenze per la sicurezza e la cooperazione in Europa di Madrid del 1983, di Vienna nel<br />

gennaio 1989, di Copenaghen nel giugno 1990, di Parigi nel novembre 1990, di Ginevra nel luglio<br />

1991, di Mosca nell’ottobre 1991, di Helsinki nel luglio 1992 e di Budapest nel dicembre<br />

1994.<br />

Interventi del Parlamento europeo<br />

le Risoluzioni del Parlamento Europeo.<br />

Interventi dell’Iniziativa Centro-Europea<br />

lo “Strumento CEI” per la tutela dei diritti delle minoranze (novembre 1994).<br />

Il contributo dell ‘Unione federalista dei gruppi Etnici Europei (UF.G.E.).<br />

il Progetto di Convenzione per la tutela dei gruppi etnici in Europa (12 maggio 1994).<br />

35


GLI INTERVENTI DELL’ORGANIZZAZIONE<br />

DELLE NAZIONI UNITE<br />

37


PREMESSA<br />

L’azione delle Nazioni Unite nel campo della tutela delle minoranze nasce inizialmente<br />

con esplicito richiamo alla protezione universale dei diritti dell’uomo, fra i quali sono compresi<br />

quelli di appartenenza non discriminata a particolari gruppi etnici, religiosi, linguistici.<br />

Nei primi documenti ufficiali delle Nazioni Unite, quindi, le minoranze venivano sostanzialmente<br />

identificate come gruppi etnici, religiosi o linguistici e non si distingueva fra “prevenzione<br />

della discriminazione”, cioè opposizione a qualsiasi azione che negasse ad individui, o a<br />

gruppi di individui, il trattamento da loro stessi auspicato, e “protezione delle minoranze”, vale a<br />

dire la tutela dei gruppi minoritari, con un insieme di misure tese ad un trattamento speciale, finalizzato<br />

a garantirne la conservazione delle caratteristiche peculiari fondamentali.<br />

Ulteriori principi di rilievo anche per le minoranze etniche vengono poi affermati nella<br />

Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale,<br />

adottata dall’Assemblea Generale il 21 dicembre 1965 e aperta alla firma a New York il 7 marzo<br />

1966, che dà esecuzione ai principi enunciati nella Dichiarazione sull’eliminazione di ogni forma<br />

di discriminazione razziale proclamata il 20 novembre 1963 (Risoluzione n. 1904 [XVIII]<br />

dell’Assemblea Generale).<br />

Essa si fonda sullo Statuto delle Nazioni Unite basato sui principi della dignità e della<br />

uguaglianza di tutti gli esseri umani e sull’impegno degli Stati membri a sviluppare ed incoraggiare<br />

il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali senza discriminazioni di razza,<br />

sesso, lingua o religione, e mira ad assicurare nel più breve tempo l’adozione di concrete misure<br />

a tale scopo.<br />

Ciò sulla base della considerazione, riaffermata nel “Preambolo”, che la discriminazione<br />

per motivi fondati sulla razza, sul colore o sull’origine etnica costituisce un ostacolo alle relazioni<br />

pacifiche ed amichevoli tra i vari Paesi ed è suscettibile di turbare la pace e la sicurezza tra i<br />

popoli e l’armoniosa convivenza all’interno degli Stati, e che l’esistenza di barriere razziali è incompatibile<br />

con gli ideali di ogni società umana.<br />

Con tale Convenzione, pertanto, gli Stati contraenti si impegnano sia a condannare la<br />

discriminazione razziale ed ogni connessa propaganda ed organizzazione che si ispiri a teorie<br />

basate sulla superiorità di una razza, sia ad adottare anche una politica tesa ad eliminare ogni<br />

forma di discriminazione razziale con l’attuazione di un insieme di misure volte a garantire il<br />

pieno godimento dei diritti fondamentali senza distinzione di razza, colore od origine nazionale o<br />

etnica e a favorire la comprensione, la tolleranza e l’amicizia tra le nazioni ed i gruppi razziali ed<br />

etnici.<br />

Pressoché contemporaneamente, nel dicembre 1966, le Nazioni Unite portano inoltre a<br />

compimento un altro intervento in difesa dei diritti umani, il Patto internazionale sui Diritti civili e<br />

politici, di particolare importanza per la protezione delle minoranze perché vi riserva una disposizione<br />

direttamente mirata, l’art. 27, con il quale si perviene al riconoscimento del diritto specifico,<br />

fino a giungere poi, dopo un lungo periodo di approfondimenti ed elaborazioni alla “Dichiarazione<br />

dei diritti delle persone appartenenti alle minoranze nazionali o etniche, religiose o linguistiche”<br />

proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1992.<br />

39


L’ART. 27 DEL PATTO INTERNAZIONALE SUI <strong>DIRITTI</strong> CIVILI E POLITICI<br />

Senza dubbio il Patto internazionale sui Diritti civili e politici, adottato dall’Assemblea<br />

Generale dell’ONU il 16 dicembre 1966, e in particolare le previsioni contenute nell’articolo 27,<br />

rappresentano una tappa di grandissimo rilievo nel cammino per la tutela internazionale delle<br />

minoranze.<br />

Con la sua enunciazione di principio, infatti, l’art. 27 si pone come norma internazionale<br />

basilare in materia e ha, rispetto agli altri articoli del Patto, la peculiarità di essere specificamente<br />

previsto per le persone appartenenti a minoranze, disponendo che “in quegli Stati nei quali<br />

esistono minoranze etniche, religiose o linguistiche, gli individui appartenenti a tali minoranze<br />

non possono essere privati del diritto di avere una vita culturale propria, di professare e praticare<br />

la propria religione o di usare la propria lingua in comunanza con gli altri membri del proprio<br />

gruppo”.<br />

Con la disposizione, inoltre, contenuta nell’art. 28 del Patto, che istituisce un “Comitato<br />

dei diritti dell’uomo”, l’attenzione delle Nazioni Unite per i diritti civili e politici in genere, tra i quali<br />

anche quelli delle minoranze specificamente considerati nell’art. 27, manifesta quella concretezza<br />

e quell’approccio pragmatico che si riscontreranno poi in altri importanti strumenti di tutela<br />

adottati in ambito europeo, quali la Carta europea delle Lingue regionali o minoritarie e la Convenzione<br />

quadro per la protezione delle minoranze nazionali, che prevedono meccanismi di verifica<br />

simili.<br />

Composizione, funzionamento e compiti del Comitato dei Diritti dell’Uomo, che sostanzialmente<br />

svolge funzioni di verifica sull’applicazione del Patto e di interpretazione delle relative<br />

norme, sono disciplinati dagli articoli 28 - 42.<br />

Per quanto concerne la sua composizione, i membri sono eletti tra una lista di cittadini<br />

degli Stati aderenti di riconosciuta competenza nel campo dei diritti dell’uomo ed è significativo<br />

che sia previsto che nella elezione “debba tenersi conto di un’equa ripartizione geografica dei<br />

seggi e della rappresentanza sia delle diverse forme di civiltà, sia dei principali sistemi giuridici”<br />

(art. 31).<br />

Compito del Comitato è quello di esaminare i rapporti che gli Stati sono tenuti a presentare<br />

(art. 40), di ricevere e valutare le comunicazioni “nelle quali uno Stato parte asserisca che<br />

un altro Stato parte non adempie gli obblighi derivanti dal Patto” (art. 41), nonché, in base al<br />

Protocollo Facoltativo relativo al Patto, le comunicazioni individuali provenienti da singoli cittadini<br />

di uno Stato che lamentino pretese violazioni di taluno dei diritti affermati nel Patto.<br />

Di particolare rilievo è indubbiamente il meccanismo di verifica previsto dall’art. 40: gli<br />

Stati che hanno aderito al Patto presentano, entro un anno e, successivamente, ogni volta che il<br />

Comitato ne farà richiesta, rapporti sulle misure adottate per dare attuazione ai diritti riconosciuti<br />

dal Patto e sui progressi compiuti nel godimento di tali diritti; il Comitato studia i rapporti presentati<br />

e trasmette agli Stati i propri rapporti e le osservazioni generali ritenute opportune, con facoltà,<br />

per gli Stati interessati, di presentare i propri rilievi circa le osservazioni eventualmente<br />

formulate dal Comitato stesso.<br />

Il Comitato, quindi, è chiamato anche a redigere “osservazioni generali” (General comments)<br />

riguardanti singole norme o gruppi di norme contenute nel Patto, che vengono elaborate<br />

sulla base dei rapporti periodici degli Stati e che spesso contengono inviti, richieste e suggerimenti<br />

operativi rivolti ai Governi.<br />

Sicché, attraverso un sistema di flusso e riflusso (rapporti degli Stati - valutazione, rapporti<br />

ed osservazioni generali del Comitato - eventuali deduzioni degli Stati interessati), si va ad<br />

attivare un circuito virtuoso ed integrato di informazioni che consente non soltanto di valutare<br />

ciò che via via viene in concreto posto in essere dai singoli Stati in attuazione del Patto, ma di<br />

realizzare anche, conseguentemente, un adeguamento continuo, e quindi una crescita del livello<br />

degli interventi di tutela.<br />

40


Ed infatti un contributo importante per una corretta interpretazione dell’articolo 27 viene<br />

fornito proprio dal Comitato con il “General Comment n. 23(50)” formulato il 26 aprile 1994, che<br />

svolge una puntuale analisi del contenuto e della portata della disposizione normativa, la quale<br />

“stabilisce e riconosce un diritto conferito alle persone appartenenti a gruppi minoritari”, diritto<br />

che “è distinto e va ad aggiungersi a tutti gli altri diritti” di cui tali persone, come ogni altro individuo,<br />

sono già titolari in base al Patto (p. 1).<br />

Il Comitato ha in proposito evidenziato (p. 2) che in alcune comunicazioni presentate ai<br />

sensi del Protocollo Facoltativo il diritto garantito dall’art. 27 è stato confuso con il diritto dei popoli<br />

all’autodeterminazione sancito nell’art. 1 del Patto, così come in alcuni rapporti presentati<br />

dagli Stati ai sensi dell’art. 40.<br />

Il Comitato ha al riguardo chiarito come la Convenzione tracci una distinzione tra il diritto<br />

all’autodeterminazione e i diritti garantiti ai sensi dell’art. 27: il diritto all’autodeterminazione<br />

viene definito come diritto spettante ai popoli, è trattato in una parte separata (la Parte I) del<br />

Patto e non è un diritto riconoscibile ai sensi del Protocollo Facoltativo; l’art. 27 invece, riguarda<br />

i diritti riconosciuti agli individui in quanto tali, è incluso, così come gli articoli relativi - agli altri<br />

diritti personali riconosciuti agli individui, nella Parte III della Convenzione ed è riconoscibile ai<br />

sensi del Protocollo Facoltativo (p. 3.1).<br />

Nello stesso General Comment viene inoltre ribadito che il godimento dei diritti di cui<br />

all’art. 27 non pregiudica la sovranità e l’integrità territoriale degli Stati (p. 3.2), ma viene anche<br />

ulteriormente sottolineata l’attenzione specifica che si è ritenuto di attribuire con tale norma alla<br />

tutela delle minoranze.<br />

Ed infatti, la specificità di tutela che si è voluta attribuire nel Patto alle persone appartenenti<br />

a minoranze è ampiamente evidenziata nel General Comment, ove si sottolinea la distinzione<br />

operata dal Patto tra i diritti tutelati ai sensi dell’art. 27 e le garanzie previste dagli articoli<br />

2 e 26 del Patto stesso (p. 4).<br />

In particolare, la titolarità del diritto di cui all’art. 2, di godere dei diritti sanciti dal Patto<br />

senza alcuna discriminazione si applica a “tutti gli individui” presenti sul territorio o che sono<br />

sotto la giurisdizione dello Stato a prescindere dalla loro appartenenza ad una minoranza”, come<br />

pure il diritto di cui all’art. 26, che afferma la generale uguaglianza, formale e sostanziale, di<br />

tutti gli individui di fronte alla legge, indipendentemente dal fatto che tali individui appartengano,<br />

o non appartengano, alle minoranze specificate nell’art. 27.<br />

Ed in proposito il Comitato rileva come taluni Stati, che vantino di non porre in essere<br />

comportamenti discriminatori in base all’etnia, alla lingua o alla religione, erroneamente sostengano,<br />

solo per questo fatto, di non avere minoranze (p.4), e precisa che “l’esistenza di una minoranza<br />

etnica, religiosa o linguistica in uno Stato parte non dipende da una decisione di questo<br />

Stato, ma richiede di essere stabilita in base a criteri oggettivi” (p. 5.2).<br />

Chiarimenti sono stati forniti dal Comitato anche in merito al diritto di usare la propria<br />

lingua da parte delle persone appartenenti a minoranze linguistiche, diritto che va distinto dagli<br />

altri diritti linguistici previsti dal Patto e, in particolare, dal generale diritto alla libertà di espressione<br />

tutelato dall’ art. 19, spettante ad ogni individuo a prescindere dalla sua appartenenza o<br />

meno ad una minoranza, come pure dal diritto specifico di farsi assistere da un interprete, che<br />

l’art. 14, paragrafo 3 lett. f), del Patto prevede per gli imputati quando non siano in grado di<br />

comprendere o di parlare la lingua utilizzata nei tribunali, ma che non implica in alcun modo il<br />

diritto di utilizzare la lingua di propria scelta nei procedimenti penali (p. 5.3).<br />

La chiave interpretativa dell’art. 27 in un’ottica positiva per le minoranze emerge anche<br />

dal contenuto del paragrafo 6.2 del General Comment, nel quale viene precisato che sebbene i<br />

diritti previsti dall’art. 27 siano diritti individuali, essi dipendono, a loro volta, dalla capacità del<br />

gruppo minoritario di conservare la propria cultura, lingua o religione; potrebbero, quindi, essere<br />

necessarie “anche azioni positive da parte degli Stati”, volte a proteggere l’identità di una minoranza<br />

ed il diritto dei suoi membri di conservare e sviluppare la propria cultura e lingua e di praticare<br />

la propria religione, in comunanza con gli altri membri del gruppo.<br />

41


Sull’art. 27 del Patto il Comitato conclusivamente afferma (p. 9) che esso “fa riferimento<br />

ai diritti la cui protezione impone obblighi specifici agli Stati parte. La tutela di questi diritti è volta<br />

a garantire la sopravvivenza ed il costante sviluppo dell’identità culturale, religiosa e sociale<br />

delle minoranze interessate, così arricchendo il tessuto dell’intera società”. Di conseguenza,<br />

questi diritti devono essere tutelati in quanto tali e non dovrebbero essere confusi con altri diritti<br />

personali riconosciuti al singolo o alla generalità dalla Convenzione. Gli Stati parte hanno, pertanto,<br />

l’obbligo di garantire il pieno rispetto dell’esercizio di questi diritti e nei loro rispettivi rapporti<br />

dovrebbero indicare le misure che hanno adottato a tale scopo.<br />

42


LA DICHIARAZIONE SUI <strong>DIRITTI</strong> DELLE PERSONE APPARTENENTI A MINORANZE NA-<br />

ZIONALI O ETNICHE, RELIGIOSE E LINGUISTICHE<br />

Dopo l’adozione del Patto internazionale sui Diritti civili e politici e del suo art. 27, specificamente<br />

rivolto ai diritti delle persone appartenenti a minoranze, l’impegno dell’ONU nel campo<br />

della tutela di tali minoranze è ulteriormente proseguito portando, nel 1992, alla proclamazione<br />

della “Dichiarazione dei diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali o etniche,<br />

religiose e linguistiche” (Risoluzione 47/135) che si ispira appunto, come esplicitamente affermato<br />

nel Preambolo, alle disposizioni dell’art. 27 del Patto.<br />

Alla Risoluzione, adottata dall’Assemblea Generale il 18 dicembre 1992, si è giunti dopo<br />

una intensa attività di studi ed approfondimenti nell’ambito delle Nazioni Unite, e in particolare<br />

della Commissione dei Diritti dell’Uomo, che aveva anche istituito un gruppo di lavoro per la<br />

predisposizione di un progetto di dichiarazione sui diritti delle persone appartenenti a minoranze<br />

nazionali, etniche, religiose e linguistiche.<br />

La Dichiarazione si compone del Preambolo e di 9 articoli.<br />

Nel Preambolo si sottolinea innanzitutto l’importanza della promozione costante e della<br />

realizzazione dei diritti delle persone appartenenti alle minoranze nazionali o etniche, religiose e<br />

linguistiche, parte integrante dello sviluppo della società entro un quadro democratico di preminenza<br />

del diritto, come fattore di stabilità politica e sociale degli Stati nei quali esse vivono e di<br />

rafforzamento dell’amicizia e della cooperazione tra i popoli e gli Stati.<br />

Sulla base di tale fondamentale premessa, la Dichiarazione definisce conseguentemente<br />

gli obblighi di protezione delle minoranze facenti capo agli Stati ed enuncia i diritti spettanti<br />

alle persone appartenenti ad esse, prevedendo che il loro esercizio può avvenire sia individualmente<br />

che in comune con gli altri membri del proprio gruppo, senza discriminazione alcuna<br />

e senza pregiudizio per il fatto di esercitare o meno tali diritti.<br />

Con riguardo agli impegni degli Stati, definito all’art. 1 quello basilare della protezione<br />

dell’esistenza e dell’identità nazionale o etnica, culturale, religiosa e linguistica delle minoranze<br />

sui rispettivi territori e della promozione delle condizioni atte ad esprimere questa identità, si indicano,<br />

in successivi articoli, le misure che in concreto gli Stati devono adottare per assicurare<br />

l’esercizio dei diritti affermati nella Dichiarazione.<br />

I diritti spettanti agli appartenenti alle minoranze sono enunciati all’art. 2 e riguardano gli<br />

aspetti fondamentali delle peculiarità da tutelare.<br />

Così, viene affermato il diritto di usufruire della propria cultura, di praticare la propria religione<br />

e di utilizzare la propria lingua, liberamente e senza discriminazioni, nonché di partecipare<br />

effettivamente alla vita culturale, religiosa, sociale, economica e pubblica del Paese nel quale<br />

essi vivono.<br />

E’ altresì affermato il diritto di prendere parte attiva, sia a livello nazionale che,<br />

all’occorrenza, regionale, alle decisioni che riguardano la minoranza alla quale appartengono o<br />

che riguardano le regioni in cui vivono, come pure il diritto di creare e gestire proprie associazioni.<br />

Ed ancora, è previsto il diritto di stabilire e mantenere contatti liberi e pacifici con gli altri<br />

membri del gruppo e con persone appartenenti ad altre minoranze, e contatti al di là delle frontiere<br />

con cittadini di altri Stati con i quali sono legati dalla loro origine nazionale o etnica o dalla<br />

loro appartenenza religiosa o linguistica: diritto, questo, che riveste una valenza particolare per<br />

tutte quelle minoranze che, divise dal loro Stato-madre per vicende storiche o insediate in zone<br />

di frontiera, vogliano mantenere liberamente contatti transfrontalieri che permettano di promuovere<br />

e rafforzare la loro identità.<br />

Più volte la Dichiarazione ribadisce che l’esercizio dei diversi diritti enunciati deve avvenire<br />

senza alcuna discriminazione; ciò nell’evidente scopo di assicurare alle persone appartenenti<br />

alle minoranze le condizioni di piena eguaglianza davanti alla legge e rispetto al resto della<br />

popolazione dello Stato nel quale vivono.<br />

43


I diritti affermati nella Dichiarazione, così come previsto in altri documenti internazionali<br />

oggetto di esame in altra parte della trattazione, sono diritti individuali in quanto riconosciuti alle<br />

persone appartenenti alle minoranze e non alle minoranze in quanto tali; va però considerato al<br />

riguardo che il concreto esercizio di molti di questi diritti non potrà non avvenire in comunanza<br />

con gli altri membri del gruppo, ed anzi, lo stesso articolo 3 della Dichiarazione prevede espressamente<br />

che “le persone appartenenti alle minoranze possono esercitare i propri diritti, cioè<br />

quelli enunciati nella presente Dichiarazione, individualmente come pure in comune con gli altri<br />

membri del proprio gruppo, senza alcuna discriminazione”.<br />

Parallelamente ai diritti, vengono definiti gli strumenti che gli Stati devono adottare per<br />

garantirne il concreto esercizio, senza discriminazione alcuna: misure legislative ed altre misure<br />

per conseguire le finalità di protezione dell’esistenza e dell’identità delle minoranze; appropriate<br />

misure per permettere alle persone appartenenti alle minoranze di esprimere le proprie caratteristiche<br />

e sviluppare la propria cultura, lingua, tradizioni e costumi, come pure per assicurare<br />

“nella misura del possibile” l’opportunità di apprendere la propria lingua madre o di ricevere un<br />

insegnamento in tale lingua; iniziative nel campo dell’istruzione al fine di incoraggiare la conoscenza<br />

della storia, delle tradizioni, della lingua e della cultura delle minoranze che vivono sui<br />

loro territori, nonché misure adeguate per consentire la piena partecipazione al progresso e allo<br />

sviluppo economico del loro Paese.<br />

Ovviamente, al pari degli altri strumenti internazionali, anche nella Dichiarazione sui diritti<br />

delle persone appartenenti a minoranze la protezione prevista incontra il limite del rispetto<br />

dei diritti fondamentali degli Stati perché, come è affermato nell’art. 8, nessuna disposizione può<br />

essere interpretata come autorizzazione ad una qualunque attività contraria agli scopi e ai principi<br />

delle Nazioni Unite, ivi compresa l’uguaglianza sovrana, l’integrità territoriale e<br />

l’indipendenza politica degli Stati.<br />

La Dichiarazione dell’ONU rivela, dunque, la radicata coscienza, chiaramente esplicitata<br />

anche nel Preambolo, che per la tutela dei diritti delle persone appartenenti alle minoranze nazionali<br />

o etniche, religiose e linguistiche, è necessaria la previsione di strumenti ancora più mirati<br />

rispetto a quelli concernenti i diritti umani, che sono riferiti alla generalità delle persone e<br />

che, seppure ricomprendono in tale ambito anche gli appartenenti a gruppi minoritari, non garantiscono<br />

appieno la protezione degli aspetti che sono peculiari della identità delle minoranze<br />

in quanto tali.<br />

Con la Dichiarazione delle Nazioni Unite si è inteso quindi realizzare, nel contesto dei<br />

principi sui diritti umani e sulle libertà fondamentali e nel quadro delle azioni per promuoverne<br />

ed incoraggiarne il rispetto, una protezione mirata dei gruppi minoritari con l’enunciazione di diritti<br />

specifici e la previsione di corrispondenti obblighi degli Stati e di misure speciali, demandando<br />

però agli Stati stessi la scelta dei contenuti, della portata, e talora della necessità, di specifiche<br />

misure, onde permettere ad essi di tenere conto delle situazioni esistenti nei rispettivi territori.<br />

44


GLI INTERVENTI DEL CONSIGLIO D’EUROPA<br />

45


PREMESSA<br />

Il problema della tutela delle minoranze etniche e linguistiche ha costantemente formato<br />

oggetto di particolare attenzione da parte del Consiglio d’Europa, fin dalla sua costituzione, divenendo<br />

nel tempo uno dei più importanti impegni dell’Organismo.<br />

Già nel 1949, nel rapporto concernente l’organizzazione di una garanzia comune delle<br />

libertà essenziali e dei diritti fondamentali, presentato dalla Commissione sulle Questioni giuridiche<br />

ed amministrative (Doc. 77), veniva unanimemente riconosciuta l’importanza “del problema<br />

di una più ampia protezione dei diritti delle minoranze nazionali” e nel proposto progetto di<br />

risoluzione per definire le linee generali di una convenzione sui diritti umani, allora allo studio, si<br />

prevedeva espressamente anche il principio della non discriminazione fondata, tra l’altro, sulla<br />

lingua o sull’appartenenza ad una minoranza nazionale.<br />

Così, quando l’impegno del Consiglio d’Europa si concretizzò con la definitiva messa a<br />

punto della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,<br />

firmata a Roma il 4 novembre 1950, all’articolo 14 fu sancito tale principio, vietando<br />

ogni forma di discriminazione nel godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione<br />

che fosse fondata su elementi tra i quali la lingua o l’appartenenza ad una minoranza nazionale.<br />

Vi fu quindi, nel più generale contesto della garanzia dei diritti umani e delle libertà fondamentali,<br />

un riferimento specifico anche alle minoranze, ma non si andò oltre l’affermato principio<br />

del divieto di ogni forma di discriminazione, ritenuto di per sé sufficiente a garantire una<br />

adeguata protezione.<br />

La questione continuava però a tenere viva l’attenzione del Consiglio d’Europa e fu ripresa<br />

dall’Assemblea Parlamentare con la Risoluzione 136 del 29 ottobre 1957 sulla situazione<br />

delle minoranze nazionali in Europa, questa volta per affermare che, sebbene l’art. 14 della<br />

Convenzione sui Diritti Umani già fornisse alle persone appartenenti alle minoranze nazionali.<br />

soddisfacenti garanzie di protezione da ogni forma di discriminazione fondata su tale appartenenza,<br />

era pur tuttavia auspicabile assicurare alle minoranze il soddisfacimento dei loro interessi<br />

collettivi “in tutta la misura compatibile” con la salvaguardia degli interessi essenziali degli<br />

Stati di appartenenza.<br />

Ed ancora, a seguito del rapporto della Commissione giuridica consultiva sui diritti delle<br />

minoranze nazionali (Doc. 1299 del 26 aprile 1961, Relatore Lannung), l’Assemblea tornò ad<br />

insistere sul problema di uno specifico intervento per le minoranze nazionali invocando, con la<br />

Raccomandazione 285 del 1961, l’adozione di un’apposita disposizione, di cui proponeva il testo,<br />

da inserire in un secondo protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea sui Diritti<br />

dell’Uomo.<br />

L’approfondimento condotto da un comitato di esperti portò però ad escludere la necessità,<br />

sotto il profilo strettamente giuridico, di un ulteriore protocollo per la protezione delle minoranze.<br />

Un rilevante passo in avanti si ha nel 1981 con la Raccomandazione 928 riguardante i<br />

problemi dell’educazione e della cultura delle lingue minoritarie e dei dialetti in Europa, adottata<br />

dall’Assemblea Parlamentare il 7 ottobre: sulla considerazione della grande importanza “per il<br />

progresso dell’Europa e dell’idea europea di assicurare il rispetto e lo sviluppo equilibrato di tutte<br />

le culture europee, e delle identità linguistiche in particolare”, essa definiva i principi che a-<br />

vrebbero dovuto ispirare il trattamento scientifico, umano e culturale di ogni lingua - e cioè il rispetto<br />

dell’autenticità scientifica, il diritto dei bambini alla propria lingua ed il diritto delle comunità<br />

a sviluppare la propria lingua e cultura -, raccomandando al Comitato dei Ministri di esaminare<br />

la possibilità per gli Stati membri di realizzare, nei modi più appropriati, talune misure con riguardo<br />

all’aspetto scientifico, umano, culturale e politico.<br />

Si indicavano in particolare, per l’aspetto scientifico, la graduale adozione, ove del caso<br />

in aggiunta alla denominazione divenuta usuale, di forme corrette della toponomastica derivate<br />

dalla lingua originale di ciascun territorio, ancorché piccolo; sotto l’aspetto umano, la graduale<br />

47


adozione della lingua materna nell’istruzione dei bambini; con riguardo all’aspetto culturale, “il<br />

rispetto ed il sostegno ufficiale dell’uso, a livello locale, delle lingue minoritarie standardizzate e<br />

del loro impiego abituale nell’insegnamento superiore e da parte dei mezzi di comunicazione di<br />

massa locali”; ed infine, sotto l’aspetto politico, la possibilità, in tutti i territori aventi una lingua<br />

propria e un qualche livello di struttura amministrativa nell’ambito dello Stato di appartenenza, di<br />

adottare tale lingua come lingua ufficiale o co-ufficiale da parte dei pubblici poteri locali.<br />

Si manifestava con chiarezza, quindi, l’importanza attribuita alle lingue minoritarie ed al<br />

loro uso quale strumento essenziale, per le minoranze, per esprimere e mantenere la propria<br />

identità, importanza che veniva sottolineata in quello stesso periodo anche dal Parlamento Europeo<br />

con un documento di grande rilievo nella medesima materia, la Risoluzione su una Carta<br />

comunitaria delle lingue e culture regionali e una Carta dei diritti delle minoranze etniche, adottata<br />

il 16 ottobre 1981.<br />

Con sempre maggiore forza in ambito europeo andava pertanto maturando non soltanto<br />

l’esigenza di una normativa internazionale mirata per la protezione delle minoranze etniche e<br />

linguistiche che affermasse i principi fondamentali di tutela, ma anche la necessità di tradurre<br />

tali principi in misure attuative concrete da parte degli Stati, al fine di rendere effettiva la tutela<br />

stessa.<br />

Verso tale direzione ha perciò continuato a rivolgersi il successivo, crescente impegno<br />

del Consiglio d’Europa, che ha portato, dopo anni di intenso e complesso lavoro,<br />

all’approvazione di due strumenti di fondamentale importanza per la protezione delle minoranze,<br />

la “Carta europea delle Lingue regionali o minoritarie” e la “Convenzione quadro per la protezione<br />

delle minoranze nazionali”, entrambe adottate in forma di convenzione proprio per rendere<br />

più cogenti per gli Stati firmatari gli obblighi in esse previsti.<br />

La “Carta”, adottata dal Comitato dei Ministri il 25 giugno 1992, ha scopo prevalentemente<br />

culturale essendo volta alla protezione ed alla promozione delle lingue regionali o minoritarie,<br />

di cui mira a garantire l’uso in tutti i settori della vita civile mediante un insieme di specifiche<br />

misure di tutela e la previsione di impegni per gli Stati firmatari, con l’accettazione di un<br />

numero minimo di prescrizioni al momento della ratifica.<br />

48


LA CARTA EUROPEA DELLE LINGUE REGIONALI E/O MINORITARIE<br />

La definizione della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie ha richiesto un intenso<br />

impegno di studio e lavoro sviluppatosi nell’arco di circa un decennio.<br />

Il Rapporto esplicativo della Carta, che ne illustra diffusamente obiettivi e contenuti fornendo<br />

un approfondito ed analitico commentario alle singole disposizioni, spiega anche le ragioni<br />

di fondo e ripercorre i passaggi per giungere all’adozione dello strumento, nel 1992, da<br />

parte del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.<br />

Circa le ragioni, il Rapporto evidenzia che le numerose lingue regionali o minoritarie<br />

presenti in molti Paesi europei, a fronte di notevoli differenziazioni sia con riguardo alla loro situazione<br />

demografica che alla legislazione ed alla prassi seguita in materia dai singoli Stati,<br />

hanno però in comune, per buona parte, un livello più o meno alto di precarietà, dovuta “almeno<br />

in eguale misura da un lato all’influenza necessariamente unificante della civiltà moderna e in<br />

particolar modo dei mass media, e dall’altro ad un ambiente ostile o a politiche governative volte<br />

all’assimilazione” (par. 2).<br />

Di qui una sempre crescente preoccupazione, in ambito europeo, per la situazione e<br />

per la sorte di tali lingue e, parallelamente, il maturarsi di una progressiva presa di coscienza<br />

della necessità di andare oltre il pur fondamentale principio della non discriminazione sancito<br />

dalla Convenzione europea del 1950 per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali,<br />

realizzando un sistema di protezione positiva delle lingue regionali o minoritarie atto a<br />

preservarne l’esistenza e le peculiarità.<br />

Anche in tale direzione si mosse perciò la già citata Raccomandazione 285 del 1961<br />

dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, che con il progetto di norma proposto mirava<br />

a garantire alle persone appartenenti a minoranze il diritto, tra gli altri, a mantenere la propria<br />

cultura, ad usare la propria lingua, ad istituire proprie scuole e a ricevere l’insegnamento<br />

nella lingua di propria scelta.<br />

Ma l’idea di una apposita Carta con obiettivi e principi, obblighi per gli Stati e misure<br />

concrete di tutela specifica da attuare, prende soprattutto corpo con la Raccomandazione 928<br />

dell’Assemblea Parlamentare sui problemi dell’educazione e della cultura delle lingue minoritarie<br />

e dei dialetti d’Europa e con la Risoluzione del Parlamento Europeo su una Carta delle lingue<br />

e culture regionali e una Carta dei diritti delle minoranze etniche, entrambe approvate nel<br />

1981 ed entrambe volte all’adozione, da parte degli Stati, di politiche ed azioni positive di protezione<br />

delle diverse identità e patrimoni culturali, quale contributo importante per lo sviluppo<br />

dell’Europa e dell’idea europea e per la coesione dei popoli.<br />

Come evidenziato nel Rapporto esplicativo, la conseguente iniziativa, in ragione del<br />

ruolo da svolgere nel campo delle lingue e delle culture a livello locale e regionale, fu assunta<br />

dalla Conferenza Permanente sulle Autorità Locali e Regionali in Europa (CLRAE), che eseguì<br />

innanzitutto una ricognizione della situazione di tali lingue in ambito europeo ed organizzò anche,<br />

nel maggio 1984, una audizione pubblica dedicata allo specifico tema “Verso una Carta<br />

delle lingue regionali e minoritarie in Europa”, trattando gli argomenti dell’insegnamento delle<br />

lingue minoritarie, del loro accesso ai mezzi di comunicazione di massa, dei rapporti con la<br />

pubblica amministrazione e della partecipazione alla vita pubblica.<br />

Così, da una intensa attività preparatoria scaturì una prima bozza di Carta, alla cui redazione<br />

partecipò anche I ‘Assemblea Parlamentare e furono tenuti contatti con membri del<br />

Parlamento Europeo, atteso il forte interesse per il tema sempre concretamente dimostrato dai<br />

due Organismi.<br />

Il testo finale del progetto fu presentato dalla Conferenza Permanente nel 1988 e ciò<br />

che è di particolare rilievo per gli effetti connessi – venne proposto sotto forma di convenzione,<br />

destinata cioè, in quanto tale, ad avere natura di strumento giuridicamente impegnativo per gli<br />

Stati firmatari.<br />

L’iniziativa ebbe il sostegno dell’Assemblea Parlamentare, cui seguì l’istituzione, da parte<br />

del Comitato dei Ministri, di un Comitato ad hoc di esperti sulle lingue regionali o minoritarie<br />

49


(CAHLR) con il compito di elaborare una Carta tenendo presente il testo proposto dalla Conferenza<br />

Permanente sulle Autorità Locali e Regionali.<br />

Dopo approfonditi lavori, che naturalmente videro la partecipazione anche dei rappresentanti<br />

della Conferenza Permanente e dell’Assemblea Parlamentare e che inoltre si avvalsero<br />

dei pareri della Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto e di comitati specializzati<br />

operanti nell’ambito del Consiglio d’Europa, nel 1992 la bozza definitiva della Carta<br />

Europea delle Lingue Regionali o Minoritarie veniva presentata al Comitato dei Ministri, che il<br />

25 giugno dello stesso anno l’ha adottata, come proposto, in forma di convenzione, così traducendo<br />

gli impegni politici assunti dagli Stati nelle diverse sedi internazionali in impegni giuridicamente<br />

vincolanti.<br />

La Carta, aperta alla firma degli Stati membri dal 5 novembre 1992, è entrata in vigore il<br />

10 marzo 1998 dopo la prescritta ratifica di cinque Stati membri e, a partire da tale data, può<br />

aderirvi anche ogni Stato non membro su invito del Comitato dei Ministri (articoli 18-20).<br />

Essa si compone del Preambolo e di cinque Parti, per complessivi 23 articoli.<br />

La Convenzione ha principalmente uno scopo culturale, come evidenziato nelle “Considerazioni<br />

generali” del Rapporto esplicativo, essendo mirata a proteggere e a promuovere le<br />

lingue regionali o minoritarie, “in quanto costituiscono un elemento a rischio del patrimonio culturale<br />

europeo”(par. 10).<br />

Lo stesso Preambolo sottolinea questo aspetto facendo anche trasparire le preoccupazioni<br />

degli Stati membri del Consiglio d’Europa per la sopravvivenza di tali lingue, “certune delle<br />

quali, col passare del tempo, rischiano di scomparire”, ed espressamente richiama l’importanza<br />

attribuita dagli Stati stessi alla protezione ed alla promozione delle lingue regionali o minoritarie<br />

quale contributo “a mantenere e sviluppare le tradizioni e la ricchezza culturale dell’Europa” e<br />

“alla costruzione di una Europa fondata sui principi della democrazia e della diversità culturale,<br />

nel quadro della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale”, in conformità dei fini perseguiti<br />

dal Consiglio d’Europa.<br />

Protezione e promozione da conseguire, dunque, attraverso un sistema di garanzie e di<br />

concrete misure specifiche per assicurare il godimento del diritto di praticare una lingua regionale<br />

o minoritaria nella vita privata e pubblica, diritto definito “imprescrittibile” nel Preambolo,<br />

che si richiama al Patto Internazionale sui Diritti civili e politici dell’ONU e alla Convenzione Europea<br />

per la salvaguardia dei diritti umani del Consiglio d’Europa, e che fa riferimento all’attività<br />

svolta nel quadro della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa e, in particolare,<br />

all’Atto Finale di Helsinki del 1975 e al Documento della Riunione di Copenaghen deI 1990,<br />

di cui più diffusamente si dirà nel seguito della trattazione.<br />

In tale ottica la Carta, oltre a contenere una disposizione (art. 7 paragrafo 2) espressamente<br />

volta ad eliminare ogni “ingiustificato” comportamento discriminatorio che abbia lo scopo<br />

di scoraggiare l’uso di una lingua regionale o minoritaria o di metterne in pericolo il mantenimento<br />

o lo sviluppo, prevede anche misure positive di tutela tese ad assicurare, facilitare ed incoraggiare<br />

l’uso di tali lingue nei diversi contesti della vita sociale, sia in privato che in pubblico,<br />

e in particolare nell’insegnamento, nel campo giudiziario, amministrativo e dei servizi pubblici,<br />

nel campo dei mezzi di comunicazione di massa e nelle attività culturali, economiche e sociali.<br />

Il Rapporto esplicativo, che fornisce la chiave per una corretta interpretazione ed applicazione<br />

dei principi enunciati e delle disposizioni contenute nella convenzione, nelle “Considerazioni<br />

generali” spiega la filosofia di fondo che ha ispirato la Carta nel sottolineare<br />

“l’importanza della dimensione culturale e dell’uso della lingua regionale o minoritaria in tutti gli<br />

aspetti della vita di coloro che la parlano”: la Carta, che come detto ha precipuo scopo culturale,<br />

si prefigge di proteggere e promuovere le lingue regionali o minoritarie, non le minoranze linguistiche,<br />

e “non stabilisce alcun diritto individuale o collettivo riferito alle persone” che parlano tali<br />

lingue; “pur tuttavia — sottolinea il Rapporto esplicativo — i doveri delle Parti in relazione alla<br />

posizione di tali lingue e gli strumenti legislativi nazionali che dovranno essere introdotti in a-<br />

dempimento della Carta avranno ovviamente il loro effetto sulla situazione delle comunità interessate<br />

e sui singoli membri”(par. 11).<br />

50


Chiarisce inoltre il Rapporto esplicativo che l’affermazione dei principi di interculturalità<br />

e multilinguismo contenuta nel Preambolo è tesa ad eliminare eventuali equivoci circa gli scopi<br />

della Carta, la quale, lungi dal voler promuovere forme di segregazione dei gruppi linguistici, mira<br />

al contrario a rafforzare le relazioni tra i popoli e ad una migliore comprensione tra i vari<br />

gruppi di una stessa popolazione, e riconosce quindi, espressamente, nel Preambolo la necessità<br />

di conoscere la lingua ufficiale sottolineando che la protezione e la promozione delle lingue<br />

regionali o minoritarie non deve svolgersi a detrimento delle lingue ufficiali degli Stati e del loro<br />

apprendimento (paragrafi 14 e 29).<br />

Per meglio orientare nella comprensione, e quindi nell’applicazione della Carta, il Rapporto<br />

esplicativo fa precedere il commento delle singole disposizioni da chiarimenti anche sui<br />

concetti di base contenuti nella convenzione, sulla terminologia utilizzata e sulla filosofia di fondo<br />

che ha ispirato le scelte operate in merito (paragrafi 17-21). In sintesi, viene evidenziato che:<br />

- il concetto di lingua come usato nella Carta mette a fuoco essenzialmente la funzione culturale<br />

della lingua ed è per ciò che da essa non viene definita soggettivamente in modo tale da<br />

consacrare un diritto individuale, cioè il diritto di parlare “la propria lingua”, né si è inteso dare<br />

“una definizione socio-politica o etnica” del concetto di lingua; conseguentemente, la Carta<br />

“può astenersi dal definire il concetto di minoranze linguistiche, giacchè il suo scopo non è<br />

sancire i diritti dei gruppi minoritari etnici e/o culturali, bensì di proteggere e promuovere le<br />

lingue regionali o minoritarie in quanto tali”;<br />

- nell’espressione “lingue regionali o minoritarie”, preferita rispetto ad altre quali “lingue meno<br />

diffuse”, il termine “regionale sta ad indicare le lingue parlate in una parte limitata del territorio<br />

di uno Stato, nel quale peraltro possono essere parlate dalla maggioranza dei cittadini, mentre<br />

con il termine “minoritarie” si fa riferimento a situazioni nelle quali la lingua è parlata o da<br />

persone che non sono concentrate in una parte specifica del territorio di uno Stato, ovvero da<br />

un gruppo di persone che, pur se concentrato in una parte del territorio dello Stato, è numericamente<br />

inferiore rispetto alla popolazione di questa regione che parla la lingua della maggioranza;<br />

- entrambi gli aggettivi fanno perciò riferimento a criteri di fatto e non a nozioni giuridiche, e in<br />

ogni caso sono riferiti alla specifica situazione dei singoli Stati;<br />

- l’assenza, nella Carta, di una distinzione tra le diverse categorie di lingue regionali o minoritarie<br />

in base alle rispettive situazioni è il risultato di una scelta precisa che ha tenuto conto delle<br />

notevoli differenze delle situazioni linguistiche esistenti negli Stati europei e che ha perciò<br />

portato a limitarsi alla sola definizione di lingua regionale o minoritaria, pur permettendo agli<br />

Stati di adattare le proprie iniziative alla situazione di ciascuna lingua nei rispettivi territori;<br />

- si è parimenti preferito non specificare quali delle lingue europee avessero le caratteristiche<br />

rispondenti alla definizione di lingua regionale o minoritaria data dalla Carta: un siffatto elenco<br />

sarebbe stato, infatti, certamente messo in discussione sotto vari profili, e, comunque, a-<br />

vrebbe avuto un valore limitato tenuto conto dell’ampia discrezionalità lasciata alle Parti nello<br />

scegliere quali norme, in particolare della Parte III, applicare e a quali lingue applicarle.<br />

Oltre al Preambolo, la Carta si compone di cinque Parti.<br />

Nella Parte I (artt. 1-6) si danno innanzitutto le definizioni del concetto di “lingue regionali<br />

o minoritarie” e del relativo “territorio”, e si fissa la cornice degli impegni che gli Stati firmatari<br />

devono assumere, in ciò operando una distinzione tra la Parte Il e la Parte III.<br />

La Parte II (art.7) enuncia, infatti, una serie di principi generali comuni, che si applicano<br />

a tutte le lingue regionali o minoritarie come definite nella Parte I; le disposizioni della Parte III<br />

(artt. 8-14) prevedono invece misure specifiche da attuare nei diversi campi della vita civile, lasciando<br />

però agli Stati margini anche ampi di discrezionalità circa le disposizioni da applicare e<br />

le relative, numerose opzioni alternative da scegliere, così da tenere conto delle differenti situazioni<br />

delle lingue regionali o minoritarie esistenti sul territorio e delle implicazioni, sotto il profilo<br />

finanziario ed organizzativo, che l’adozione delle diverse misure di tutela comporta.<br />

51


A tale riguardo il Rapporto esplicativo, nell’evidenziare il carattere di flessibilità che per<br />

tali rilevanti ragioni si è ritenuto di conferire a molti punti della Carta, opportunamente sottolinea<br />

l’importanza che alle Parti sia data inoltre la possibilità (art. 3, par. 2) di integrare i propri impegni<br />

anche in ogni momento successivo, in relazione agli sviluppi della situazione giuridica o delle<br />

capacità finanziarie dei Paesi interessati.<br />

La Parte IV (artt. 15-17) contiene poi le disposizioni applicative e prevede anche un<br />

puntuale meccanismo di verifica in adempimento della Carta e degli impegni assunti, mentre la<br />

Parte V (artt. 18-23) reca le disposizioni finali.<br />

Le definizioni del concetto di “lingue regionali o minoritarie” e di “territorio di una lingua<br />

regionale o minoritaria” sono contenute nell’art. 1.<br />

In particolare, con l’espressione “lingue regionali o minoritarie” si intendono quelle “usate<br />

tradizionalmente in un territorio di uno Stato da cittadini di questo Stato che costituiscono un<br />

gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione e che sono “differenti dalla(e) lingua(e)<br />

ufficiale(i) di questo Stato”.<br />

Viene al riguardo esplicitamente precisato che l’espressione “non include i dialetti della<br />

lingua ufficiale o le lingue dei migranti”.<br />

La Carta, quindi, non si rivolge né alle varianti locali o ai diversi dialetti di una stessa<br />

lingua, né alle lingue usate dagli immigrati.<br />

Quanto alle varianti locali ed ai dialetti di una lingua, il Rapporto esplicativo chiarisce<br />

che la Carta non ha ritenuto di affrontare la relativa dibattuta questione, lasciando agli Stati il<br />

compito di determinare le condizioni in cui una forma di espressione va a costituire una lingua<br />

separata (par. 32).<br />

Circa le lingue dei migranti, il Rapporto evidenzia (par. 31) come la Carta non abbia lo<br />

scopo di risolvere i problemi dei recenti fenomeni immigratori, di cui non si occupa, bensì quello<br />

di tutelare soltanto le lingue storiche, così come dimostrano anche le espressioni “lingue regionali<br />

o minoritarie storiche d’Europa” e lingue “tradizionalmente usate”, rispettivamente indicate<br />

nel Preambolo e nella definizione data nell’art. 1, lett. a sub i.<br />

Tre sono quindi, come posto in evidenza nel Rapporto esplicativo, gli aspetti sottolineati<br />

nella definizione data dalla Carta per qualificare una lingua come regionale o minoritaria:<br />

- essere “tradizionalmente usata”;<br />

- essere diversa da quella parlata dal resto della popolazione;<br />

- avere una base territoriale, essere cioè usata tradizionalmente in una particolare area geografica;<br />

e ciò “per il fatto che, per la maggior parte, le misure di tutela che la Carta propugna<br />

richiedono la definizione di un ambito geografico di applicazione diverso da quello dello Stato<br />

nel suo complesso” (par. 33).<br />

Donde la definizione, nella lettera b) dell’art. 1, anche di “territorio nel quale la lingua regionale<br />

o minoritaria viene usata”, inteso come “l’area geografica in cui tale lingua è il modo di<br />

espressione di un numero di persone che giustifichi l’adozione delle differenti misure di protezione<br />

e di promozione” previste dalla Carta; una consistenza percentuale che però si è preferito<br />

non quantificare, demandandone la valutazione ai singoli Stati.<br />

Una ulteriore distinzione è operata con riguardo a quelle che vengono definite come<br />

“lingue sprovviste di territorio” (art. 1, lett. c), intese come lingue che “benché tradizionalmente<br />

praticate sul territorio dello Stato, non possono essere ricollegate ad un’area geografica particolare”.<br />

Per tali lingue, che in mancanza di una base territoriale non rientrano tra le lingue regionali<br />

o minoritarie come definite nella lettera a), i principi saranno applicati dalle Parti “mutatis mutandis”<br />

e “la natura e la portata” delle misure di tutela da attuare “saranno determinate in modo<br />

flessibile”, tenendo conto dei bisogni e dei voti e nel rispetto delle tradizioni e delle caratteristiche<br />

dei gruppi che le usano (art. 7 par. 5).<br />

52


Per l’applicazione delle norme di tutela è riconosciuto il ruolo determinante di ogni singolo<br />

Stato, al quale viene rimessa facoltà di scelte, sia pure entro certi ambiti.<br />

Ferma restando, infatti, l’applicazione dei principi e degli obiettivi contenuti nella Parte Il<br />

per tutte le lingue regionali o minoritarie praticate sul territorio che siano rispondenti alle definizioni<br />

date dalla Carta (art. 2, paragrafo 1), è previsto che ciascuno Stato debba specificare nello<br />

strumento di ratifica, di accettazione o di approvazione, ogni lingua regionale o minoritaria od<br />

ogni lingua ufficiale meno usata su tutto o su una parte del suo territorio, alla quale devono essere<br />

applicati i paragrafi scelti in conformità al paragrafo 2 dell’art. 2 (art.3, paragrafo 1).<br />

Per ogni lingua così specificata lo Stato si impegna ad applicare un minimo di trentacinque<br />

paragrafi o commi, scelti fra le disposizioni della Parte III (insegnamento; giustizia; autorità<br />

amministrative e servizi pubblici; mezzi di comunicazione di massa; attività ed attrezzature culturali;<br />

vita economica e sociale; scambi transfrontalieri), di cui almeno tre scelti in ciascuno degli<br />

articoli 8 (insegnamento) e 12 (attività e strutture culturali) ed uno in ciascuno degli articoli 9<br />

(giustizia), 10 (autorità amministrative e servizi pubblici), 11 (mass media) e 13 (vita economica<br />

e sociale).<br />

E’ comunque inoltre previsto, come già evidenziato, che ciascuno Stato possa poi, in<br />

ogni successivo momento, accettare ulteriori obbligazioni non precisate all’atto della ratifica o<br />

specificare altre lingue regionali o minoritarie cui applicare le disposizioni, potendo così accrescere<br />

i propri impegni nel tempo tenuto anche conto delle concrete capacità di farvi fronte (art. 3<br />

paragrafo 2).<br />

In sostanza, quindi, agli Stati viene lasciata libertà di decidere a quali lingue indirizzare<br />

la protezione e a quale livello assicurarla.<br />

Chiarisce però in proposito il Rapporto esplicativo che gli Stati che aderiscono alla Carta<br />

non hanno la libertà di concedere o rifiutare ad una lingua regionale o minoritaria la posizione<br />

assicurata ai sensi della Parte II, che ha portata generale, ma che essi, in quanto competenti<br />

per l’applicazione della Carta, hanno la responsabilità di decidere se la forma di espressione<br />

praticata in un’area del loro territorio o da un gruppo di loro cittadini costituisca una lingua regionale<br />

o minoritaria nel senso previsto dalla Carta, nonché quali misure concrete adottare nel<br />

quadro della Parte III (par. 40).<br />

La Carta si presenta, perciò, come uno strumento altamente flessibile per la protezione<br />

delle diverse lingue regionali o minoritarie, che tiene conto della interdipendenza tra livello di<br />

protezione da accordare e quadro complessivo giuridico, sociale ed economico di ciascuno Stato,<br />

riconoscendo ad ogni Stato firmatario la possibilità di diverse opzioni alternative, “secondo la<br />

situazione di ciascuna lingua” (cfr. art.7 e articoli della Parte III).<br />

Tutto ciò nel rispetto del principio della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale e<br />

con la salvaguardia delle disposizioni più favorevoli, preesistenti in uno Stato, che regolano la<br />

situazione delle lingue regionali o minoritarie o la posizione giuridica delle persone appartenenti<br />

alle minoranze (articoli 4 e 5).<br />

Le disposizioni contenute nella Parte II (art.7) - che, come detto, si applicano a tutte le<br />

lingue regionali o minoritarie come definite dalla Carta - fissano gli obiettivi ed i principi generali<br />

comuni sui quali “nei territori ove tali lingue sono usate e secondo la situazione di ciascuna lingua”<br />

gli Stati contraenti devono fondare la propria politica, legislazione e prassi in materia. O-<br />

biettivi e principi che secondo il Rapporto esplicativo (paragrafi 57-70) costituiscono “il necessario<br />

quadro di riferimento per la conservazione delle lingue regionali o minoritarie” e che sono<br />

suddivisi in sei categorie principali:<br />

- il riconoscimento di tali lingue come espressione della ricchezza culturale, presupposto indispensabile<br />

per l’adozione delle misure di tutela (par. 1 lett a);<br />

- il rispetto dell’area geografica ove le lingue regionali o minoritarie insistono, evitando che le<br />

situazioni amministrative territoriali esistenti o le ripartizioni nuove costituiscano un ostacolo<br />

alla loro promozione (par. 1 lett. b);<br />

53


- la necessità di azioni positive, con una azione di promozione per la salvaguardia di tali lingue<br />

che deve essere “risoluta” e che deve comprendere anche misure volte a facilitare e ad incoraggiare<br />

il loro uso orale e scritto sia in privato che nella vita pubblica (par. 1 lett. c e lett. d);<br />

- la garanzia dell’insegnamento e dello studio delle lingue regionali o minoritarie, strumento<br />

essenziale per la loro preservazione e per il loro sviluppo, da assicurarsi “con forme e mezzi<br />

adeguati” e “in tutte le fasi appropriate” del sistema scolastico e con la promozione di studi e<br />

ricerche nelle università e negli istituti equivalenti (par. 1 lett. f e lett. h);<br />

- la messa a disposizione, nei territori ove è usata una lingua regionale o minoritaria, di mezzi<br />

che permettano agli abitanti non locutori di apprenderla (par. 1 lett. g); ciò al fine di favorire la<br />

comunicazione ed i rapporti tra gruppi linguistici diversi;<br />

- relazioni tra gruppi parlanti una lingua identica o simile, da promuovere, nei campi coperti<br />

dalla Carta, sia all’interno di uno Stato, sia al di là delle frontiere nazionali con “forme appropriate<br />

di scambi transnazionali”, nonché, sempre allo scopo di favorire il dialogo interculturale<br />

ed una migliore reciproca comprensione all’interno di uno Stato, relazioni culturali con altri<br />

gruppi del medesimo Stato che parlano lingue diverse (par. 1 lett. e e lett. i).<br />

Ulteriori specifici impegni richiesti agli Stati nella Parte II riguardano:<br />

- l’eliminazione di ogni forma di “ingiustificata” discriminazione tesa a scoraggiare l’uso di una<br />

lingua regionale o minoritaria o a metterne in pericolo il mantenimento o lo sviluppo, con<br />

l’adozione di misure speciali in favore di tali lingue, da non considerare come atti discriminatori<br />

nei confronti delle lingue più diffuse (art.7 par.2);<br />

- la promozione del rispetto e della comprensione reciproci tra tutti i gruppi linguistici esistenti<br />

nei singoli Stati, da attuare in special modo attraverso il sistema scolastico e dei mezzi di<br />

comunicazione di massa (art.7 par.3);<br />

- l’istituzione inoltre, ove già non esistano, di organismi incaricati di rappresentare alle competenti<br />

autorità gli interessi di ciascuna lingua regionale o minoritaria, affinché se ne possa<br />

tenere conto nel definire la politica in materia (art.7 par.4).<br />

La Parte III (artt. 8-14) traduce in regole precise i principi generali affermati nella Parte<br />

II, prevedendo disposizioni e misure mirate di tutela volte a promuovere l’uso delle lingue regionali<br />

o minoritarie in tutti i settori della vita civile.<br />

E’ in tale contesto che soprattutto si estrinseca l’ampia discrezionalità rimessa ad ogni<br />

Stato, il quale resta libero di determinare quali norme applicare e quali misure attuare, tenendo<br />

conto della situazione di ogni singola lingua usata nel suo territorio e della incidenza delle singole<br />

misure sotto il profilo finanziario, amministrativo ed organizzativo.<br />

Vengono trattati i diversi campi in cui si sviluppa la vita pubblica e in tale ambito un ampio<br />

spazio è riservato all’aspetto dell’insegnamento delle e nelle lingue regionali o minoritarie,<br />

nella consapevolezza del ruolo fondamentale che l’istruzione è suscettibile di svolgere per la<br />

salvaguardia e lo sviluppo di tali lingue.<br />

Così, oltre ai già accennati impegni previsti in materia nella Parte II (art.7, comma 1 lett.<br />

f. e lett. h), volti ad assicurare forme e mezzi adeguati di insegnamento e di studio in tutte le fasi<br />

appropriate del percorso formativo e la promozione di studi nelle università, all’art. 8 della Parte<br />

III viene definita una serie analitica di misure in tale campo da attuare “nel territorio in cui tali<br />

lingue sono parlate” e “in base alla situazione di ciascuna di queste lingue”, senza pregiudizio<br />

alcuno per l’insegnamento della lingua ufficiale dello Stato (art. 8, comma 1).<br />

Sono prese in considerazione tutte le fasi del percorso di studi, dalla scuola materna<br />

all’università, prevedendo per ciascuna fase numerose opzioni alternative per gli Stati e talora<br />

richiedendo, per l’adozione delle relative misure, l’esistenza di un “numero ritenuto sufficiente”<br />

di studenti.<br />

Interventi vengono richiesti agli Stati anche per assicurare l’insegnamento della storia e<br />

della cultura di cui la lingua regionale o minoritaria è l’espressione, nonché l’occorrente formazione<br />

degli insegnanti e la creazione di organi di controllo incaricati di monitorare le misure pre-<br />

54


se ed i progressi realizzati nel campo dell’insegnamento delle lingue regionali o minoritarie e di<br />

farne oggetto di rapporti periodici da rendere pubblici.<br />

Largo spazio viene parimenti dedicato all’uso della lingua nei procedimenti dinanzi agli<br />

organi della giustizia sia ordinaria che amministrativa (art.9), nonché nei rapporti con la Pubblica<br />

Amministrazione e con gli enti erogatori dei pubblici servizi (art. 10), al fine di permettere alle<br />

persone che parlano le lingue regionali o minoritarie l’esercizio del diritto di difesa e dei diritti civili,<br />

come pure l’adempimento dei doveri civici, nel rispetto delle loro modalità di espressione.<br />

Ciò nell’ulteriore intento di salvaguardare e promuovere tali lingue mantenendole vive<br />

attraverso il loro uso non soltanto nei rapporti privati, ma anche nelle relazioni con le pubbliche<br />

autorità, così come nell’attività degli organi delle collettività regionali e locali.<br />

Anche per tali settori, considerati i notevoli oneri che le varie misure di tutela sono suscettibili<br />

di comportare sia in termini meramente finanziari che di risorse umane, organizzative e<br />

strumentali, la Carta prevede la possibilità di una serie di opzioni e limita gli interventi alle aree<br />

nelle quali “il numero di persone che usano le lingue minoritarie o regionali giustifichi” (art.9,<br />

comma 1 e art. 10 comma 1) l’adozione delle misure previste.<br />

Di rilievo a questo proposito è la limitazione posta agli impegni degli Stati con<br />

l’espressione “nella misura in cui ciò è ragionevolmente possibile”, contenuta nei commi 1 e 3<br />

dell’articolo 10 con riguardo alle misure concernenti le autorità amministrative ed i servizi pubblici:<br />

una clausola che, come sottolineato nel Rapporto esplicativo (par. 104), “non è intesa in<br />

sostituzione dell’esercizio della facoltà, accordata alle Parti dall’art. 2 commi 1, 2 e 3, di omettere<br />

alcune norme della Parte III della Carta” in relazione agli impegni assunti per ciascuna lingua,<br />

ma che piuttosto si propone di tenere conto delle implicazioni, talora anche molto significative,<br />

di alcune misure sotto il profilo finanziario e delle risorse umane e strumentali.<br />

Le disposizioni contenute nell’art. 11 concernono gli spazi da assicurare alle lingue regionali<br />

o minoritarie nel campo della informazione.<br />

A tale proposito la Carta coglie pienamente come in una società quale quella contemporanea,<br />

caratterizzata da un impiego sempre più intenso e diffuso dei mezzi di comunicazione di<br />

massa, una lingua minoritaria non possa avere speranza di sopravvivenza senza un adeguato<br />

spazio nei circuiti informativi.<br />

Il sostegno e l’incoraggiamento dell’accesso di tali lingue nei diversi settori<br />

dell’informazione, ovviamente nel rispetto dei principi di indipendenza e di autonomia dei mezzi<br />

di comunicazione di massa, sono dunque alla base delle disposizioni concernenti tale campo,<br />

nel quale, comunque, la Carta ricalca lo schema di fondo cui si ispira, vale a dire quello di consentire<br />

più scelte per gli interventi di tutela.<br />

Di rilievo in tale contesto l’impegno previsto dal comma 2 dell’art. 11, volto a garantire la<br />

libertà di ricezione dei programmi radiotelevisivi dei Paesi vicini prodotti nella medesima lingua<br />

o in una lingua simile a quella regionale o minoritaria, assicurando per tale via il collegamento<br />

culturale dei locutori della lingua con il Paese di riferimento culturale e linguistico.<br />

Anche in tale modo, quindi, si persegue l’obiettivo di favorire quel collegamento culturale<br />

dei locutori della lingua con il Paese di riferimento culturale e linguistico che è alla base delle<br />

disposizioni (articolo 7, comma 1 lett. i, e articolo 14) tese a promuovere accordi internazionali e<br />

la cooperazione transfrontaliera in materia.<br />

Numerose misure riguardano inoltre le attività culturali miranti ad incoraggiare le iniziative<br />

tipiche delle singole lingue regionali o minoritarie (art.12), nonché la vita economica e sociale,<br />

per la quale è prevista una serie di interventi volti da un lato a dare concreta attuazione al<br />

principio della non discriminazione “per l’insieme del paese”, ovvero sul piano nazionale,<br />

dall’altro a favorire, “nel territorio in cui le lingue regionali o minoritarie sono praticate, e nella<br />

misura in cui ciò è ragionevolmente possibile”, l’uso di tali lingue nelle attività economiche e sociali<br />

(art. 13).<br />

Come già accennato, infine, la Carta prevede anche un meccanismo di verifica<br />

dell’applicazione che ad essa viene data dagli Stati Parte, consentendo così di monitorare co-<br />

55


stantemente le misure via via adottate da ogni Stato per dare concreta attuazione agli impegni<br />

assunti e di promuovere, conseguentemente, un progressivo adeguamento degli interventi di<br />

tutela nei diversi Paesi.<br />

Al meccanismo di verifica è dedicata la Parte IV (articoli 15 -17), che stabilisce un sistema<br />

di rapporti periodici redatti dagli Stati con una cadenza triennale dopo il primo rapporto, il<br />

quale invece deve essere presentato entro un anno dall’entrata in vigore della Carta nei confronti<br />

di ciascuno Stato interessato.<br />

L’esame dei rapporti è affidato ad un “comitato di esperti” appositamente istituito, il quale,<br />

sulla base dei rapporti stessi e delle informazioni su questioni relative all’attuazione degli impegni<br />

eventualmente presentate da organismi e associazioni legalmente costituiti negli Stati,<br />

elabora e sottopone al Comitato dei Ministri un proprio rapporto, che sarà accompagnato dalle<br />

eventuali osservazioni dello Stato e che conterrà in particolare proposte in vista della preparazione<br />

delle raccomandazioni ad una o più Parti ritenute necessarie.<br />

Il sistema di verifica stabilito dalla Carta permette inoltre, a chiunque vi abbia interesse,<br />

di avere una ampia informazione sull’applicazione data dai singoli Stati alla Carta, giacchè prevede<br />

la pubblicità dei rapporti degli Stati e la facoltà, per il Comitato dei Ministri, di rendere pubblico<br />

anche il rapporto del Comitato di esperti.<br />

Lo schema di rapporto degli Stati è stato approvato nel novembre 1998 dal Comitato dei<br />

Ministri secondo quanto stabilito dall’art. 15 della Carta e tocca tutti i profili applicativi concernenti<br />

i vari aspetti trattati dalla Carta, utili a conseguire l’obiettivo dell’acquisizione di ogni informazione<br />

sulla situazione delle lingue regionali o minoritarie nei singoli Stati e della verifica<br />

dell’applicazione data da ciascuno Stato Parte alle disposizioni della Carta.<br />

Scopo della Carta Europea delle Lingue regionali o minoritarie è quindi, come detto, la<br />

tutela di tali lingue e non delle minoranze etniche e linguistiche.<br />

Alla tutela dei diritti delle persone appartenenti a tali minoranze sarà rivolta, a brevissima<br />

distanza di tempo, la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali.<br />

56


LA PROPOSTA PER UNA CONVENZIONE EUROPEA PER LA PROTEZIONE DELLE MI-<br />

NORANZE<br />

La proposta per una Convenzione Europea per la protezione delle minoranze è stata<br />

approvata dalla Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto, organo consultivo<br />

del Consiglio d’Europa in materia di diritto costituzionale, in occasione della sesta riunione tenutasi<br />

a Venezia l’8-9 febbraio 1991 (c.d. Commissione di Venezia).<br />

Essa è stata elaborata da un Gruppo di lavoro sulla protezione delle minoranze che era<br />

stato costituito dalla Commissione stessa su richiesta delle autorità ungheresi, italiane e jugoslave<br />

e che, per la redazione del testo ha tenuto conto dei lavori realizzati in seno alla Conferenza<br />

sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, e in particolare della Dichiarazione di Copenaghen<br />

del giugno 1990 e della Carta di Parigi per una nuova Europa del novembre dello<br />

stesso anno, nonché dei documenti europei e dell’ONU in materia di difesa dei diritti umani, e<br />

segnatamente la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà<br />

fondamentali del Consiglio d’Europa e l’art. 27 del Patto internazionale sui diritti civili e politici<br />

delle Nazioni Unite, tutti richiamati nel Preambolo.<br />

Anche di tale proposta si è tenuto particolarmente conto nel corso dei lavori per la predisposizione<br />

della Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali, che è stata<br />

adottata dal Comitato dei Ministri il 10 novembre 1994.<br />

La Convenzione proposta non si indirizzava alla tutela di profili specifici - culturali o etnici<br />

o religiosi - delle minoranze, ma piuttosto mirava ad assicurare alle minoranze stesse una<br />

protezione globale con riguardo agli aspetti delle loro caratteristiche.<br />

In considerazione della estrema diversificazione delle situazioni relative ai gruppi minoritari<br />

nei diversi Paesi Europei, e talora anche all’interno di uno stesso Stato, la linea adottata<br />

dal gruppo di lavoro è stata quella di affrontare il problema nelle sue linee generali, lasciando ai<br />

singoli Stati il compito e la responsabilità di individuare, per l’applicazione delle disposizioni, gli<br />

strumenti più adatti in relazione alle particolari situazioni esistenti nei loro territori.<br />

La proposta contiene perciò un insieme di principi internazionali da applicarsi nella misura<br />

più larga possibile, a tutte le minoranze rientranti nella definizione, principi per la cui attuazione<br />

occorre l’adozione, da parte degli Stati contraenti, di misure legislative ed amministrative,<br />

che potranno essere adeguate alle esigenze delle situazioni specifiche di ogni Paese.<br />

In tal senso lo strumento proposto si presenta come una “convenzione quadro”, cioè<br />

come un atto di natura pattizia che fissa i principi generali i quali per avere effetto nei diversi<br />

Stati firmatari, richiedono misure attuative negli ordinamenti interni, adattabili alle rispettive, particolari<br />

situazioni.<br />

La proposta di convenzione si compone di cinque Parti, per complessivi 37 articoli, oltre<br />

al Preambolo.<br />

Muovendo dalla considerazione, espressa nel Preambolo, che una adeguata soluzione<br />

al problema delle minoranze in Europa è un fattore fondamentale di democrazia, giustizia, stabilità<br />

e pace, essa si propone di assicurare una efficace protezione dei diritti delle minoranze e<br />

delle persone che vi appartengono.<br />

A tal fine, si sancisce, innanzitutto, all’art. 1, il principio che la tutela internazionale dei<br />

diritti delle minoranze etniche, linguistiche e religiose nonché dei diritti delle persone appartenenti<br />

a tali minoranze, è una componente fondamentale della protezione internazionale dei Diritti<br />

dell’Uomo e, in quanto tale, rientra nell’ambito della cooperazione internazionale, fermo restando<br />

comunque il rispetto dei principi fondamentali del diritto internazionale e in particolare<br />

della sovranità, dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica degli Stati.<br />

Si dà poi, all’art. 2, la definizione, ai fini dell’applicazione della convenzione, del concetto<br />

di “minoranza” - intesa come “un gruppo numericamente inferiore rispetto al resto della popolazione<br />

di uno Stato, i cui membri, che sono cittadini di quello Stato, hanno caratteristiche etniche,<br />

religiose o linguistiche diverse da quelle del resto della popolazione, e sono animati dalla<br />

volontà di salvaguardare la propria cultura, tradizione, religione o lingua, e si afferma quindi il<br />

principio che qualsiasi gruppo che corrisponde a tale definizione deve essere considerato una<br />

minoranza etnica, religiosa o linguistica.<br />

Si vedrà in seguito come, invece, la Convenzione quadro per la Protezione delle Minoranze<br />

Nazionali successivamente adottata dal Comitato dei Ministri, non contenga alcuna definizione<br />

di “minoranza nazionale”, una scelta alla quale si è poi pervenuti per l’impossibilità di<br />

57


trovare una definizione del concetto di minoranza capace di raccogliere il consenso generale di<br />

tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa.<br />

Altra peculiarità della Convenzione proposta dalla Commissione di Venezia è il riconoscimento<br />

formale di diritti di natura collettiva, riguardanti cioè le minoranze in quanto tali, accanto<br />

ai diritti individuali riguardanti ciascun appartenente ad una minoranza.<br />

Che soggetto di diritto dovessero essere considerate anche le minoranze in quanto tali,<br />

oltre che gli appartenenti alle stesse, risulta chiaramente dalle formulazioni contenute nel Preambolo,<br />

che fa espresso riferimento alla volontà di garantire “una efficace protezione dei diritti<br />

delle minoranze e delle persone che appartengono ad esse”, nonché nel già richiamato art. 1,<br />

concernente “la protezione internazionale dei diritti delle minoranze etniche, linguistiche e religiose<br />

e dei diritti delle persone che appartengono a tali minoranze”; ciò è esplicitamente sottolineato<br />

nel Rapporto esplicativo della proposta di Convenzione, che al riguardo chiarisce come<br />

sia “sembrato necessario non riconoscere i diritti ai soli individui appartenenti alle minoranze,<br />

ma anche alle minoranze in quanto tali. Infatti, le minoranze non sono semplicemente una<br />

somma di individui, ma rappresentano altresì un sistema di relazioni tra gli individui stessi. Senza<br />

la nozione di diritti collettivi, la tutela delle minoranze avrebbe un effetto sensibilmente limitato”<br />

(p. l6).<br />

Riferimenti specifici alle minoranze in quanto tali si hanno inoltre nell’art.3, che riconosce<br />

alle minoranze il diritto alla loro esistenza e il diritto alla salvaguardia e allo sviluppo della<br />

loro identità etnica, culturale o linguistica, nonché negli articoli 13 e 14, riguardanti rispettivamente<br />

il divieto di politiche tese all’assimilazione delle minoranze e la effettiva partecipazione<br />

delle stesse alla vita pubblica, in particolare alle decisioni relative alle regioni in cui vivono o agli<br />

affari che le concernono.<br />

Si vedrà ancora, nel seguito della trattazione, come la protezione assicurata con la<br />

Convenzione quadro poi adottata dal Consiglio d’Europa riguardi soltanto i diritti individuali, riferiti<br />

alle persone appartenenti alle minoranze nazionali, e non implichi alcun riconoscimento di<br />

diritti collettivi, pur stabilendo comunque la possibilità di esercitare i diritti garantiti sia individualmente<br />

che in comune con altri membri del gruppo.<br />

Altro aspetto significativo della proposta di convenzione è il riconoscimento, dell’art. 11,<br />

ad ogni persona appartenente ad una minoranza, del diritto a ricorrere dinanzi alle competenti<br />

autorità nazionali in caso di violazione dei diritti garantiti nella convenzione: la previsione di un<br />

rimedio specifico di giustizia, anche se non necessariamente giudiziario come sottolineato nel<br />

Rapporto esplicativo (p.3 9), mira infatti a rendere più pregnante ed effettiva la tutela dei diritti<br />

riconosciuti nella convenzione stessa.<br />

Tali diritti consistono in primo luogo in quelli già citati, all’esistenza della minoranza ed<br />

al rispetto, salvaguardia e sviluppo della sua identità etnica, religiosa o linguistica (art. 3), nonché<br />

il diritto, per le persone appartenenti a minoranze, alla piena uguaglianza con ogni altro cittadino<br />

dello Stato (art. 4), il diritto di associarsi e mantenere contatti, in particolare con altri<br />

membri del proprio gruppo, sia all’interno del Paese che al di la delle frontiere nazionali (art. 5),<br />

il diritto di salvaguardare, esprimere e sviluppare liberamente la propria identità culturale in tutti i<br />

suoi aspetti (art. 6), il diritto di usare liberamente la propria lingua, sia in pubblico che in privato<br />

(art.7), nonché il diritto di professare la propria religione o credo, individualmente o in comune<br />

con altri, sia in pubblico che in privato (art. 10).<br />

Per quanto concerne in particolare l’uso della lingua minoritaria, viene affermato il diritto<br />

di utilizzarla anche nei rapporti con le autorità politiche, amministrative e giudiziarie, locali o, se<br />

del caso, da statali, subordinandolo però alla condizione che la minoranza raggiunga “una percentuale<br />

sostanziale” della popolazione ed ancorandolo però alla “misura del possibile” (art.8);<br />

condizioni che vengono richiamate anche per l’inserimento dell’insegnamento pubblico della<br />

madrelingua nel piano di studi obbligatorio e, “per quanto possibile”, per l’insegnamento del<br />

programma di studi in tutto o in Parte nella lingua materna (art. 9).<br />

L’espressione “per quanto possibile”, che si ritroverà anche nella Convenzione quadro<br />

poi adottata, dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, tiene conto delle difficoltà che il<br />

riconoscimento del diritto all’uso della lingua minoritaria nei rapporti con le pubbliche autorità<br />

può comportare sotto il profilo dei mezzi finanziari e della organizzazione amministrativa, consentendo<br />

quindi ai singoli Stati di considerare i diversi fattori e le particolari situazioni esistenti<br />

nei rispettivi territori.<br />

58


Una scelta, quella operata in questa sede, ma anche in sede di adozione della Convenzione<br />

quadro, che va anche nella direzione di rendere lo strumento accettabile da parte del<br />

maggior numero possibile di Stati, come pure la scelta, che corrisponde alla medesima esigenza,<br />

di non imporre l’obbligo di parificare l’uso della lingua minoritaria all’uso della lingua ufficiale<br />

o di riconoscere la lingua minoritaria come lingua ufficiale nelle regioni in cui essa divenisse lingua<br />

di maggioranza, ma di lasciare tale responsabilità alla discrezionale determinazione dei<br />

singoli Stati interessati.<br />

E del resto, la proposta di convenzione non si limita ad enunciare i diritti spettanti alle<br />

minoranze e ad ogni persona che appartenga, ad essa ma prevede, parimenti, anche i doveri<br />

che tali persone hanno nei confronti dello Stato sul cui territorio sono insediate; ciò al fine di fornire<br />

garanzie con riguardo sia all’integrità territoriale degli Stati (art. 1, comma 2), sia sul rispetto<br />

dei doveri civici, delle leggi nazionali e dei diritti altrui, in particolare di quelli delle persone appartenenti<br />

alla maggioranza e ad altre minoranze (art. 15), prevedendo anche, nella stessa direzione,<br />

l’impegno degli Stati ad adottare le misure necessarie per garantire la non discriminazione<br />

nei riguardi delle persone che siano minoritarie nelle regioni ove le minoranze rappresentano<br />

la maggioranza della popolazione (art. 16).<br />

La proposta stabilisce inoltre, nella Parte III, un meccanismo di controllo del rispetto, da<br />

parte degli Stati, degli impegni assunti ai cui fini istituisce un Comitato Europeo per la protezione<br />

delle minoranze, composto da membri scelti tra personalità note per la loro competenza nel<br />

campo dei diritti umani e delle minoranze, in particolare eletti dal Comitato dei Ministri<br />

nell’ambito di una lista predisposta sulla base delle designazioni degli Stati.<br />

Il predetto Comitato, con il quale le autorità nazionali competenti degli Stati dovranno<br />

collaborare, esamina i rapporti presentati dagli Stati sulle misure adottate per dare attuazione<br />

agli impegni assunti ai sensi della convenzione, rapporti che il Comitato stesso, accompagnandoli<br />

con le proprie osservazioni, inoltrerà al Comitato dei Ministri, il quale potrà rivolgere a ciascuna<br />

Parte tutte le raccomandazioni ritenute necessarie.<br />

Al Comitato Europeo possono inoltre essere indirizzate da ogni Stato istanze sul mancato<br />

rispetto di disposizioni della Convenzione da parte di altro Stato, come pure istituzioni individuali,<br />

cioè di singole persone o gruppi di privati o di qualsiasi organizzazione internazionale<br />

non governativa in rappresentanza di minoranze, su pretese violazioni dei diritti enunciati nella<br />

Convenzione stessa da parte di taluno degli Stati.<br />

Per la soluzione delle relative vertenze è prevista, dopo il necessario accertamento dei<br />

fatti lamentati, una procedura di composizione amichevole che, in caso di esito infruttuoso, si<br />

conclude con un rapporto, anche propositivo del Comitato Europeo, che è trasmesso sia allo<br />

Stato interessato che al Comitato dei Ministri, il quale adotterà tutte le ulteriori misure ritenute<br />

più opportune per assicurare il rispetto della convenzione.<br />

Anche sotto tale profilo la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze già<br />

adottata presenta taluni aspetti di differenziazione dalla proposta di convenzione della Commissione<br />

Europea per la Democrazia attraverso il Diritto, e la funzione di controllo è esplicitamente<br />

demandata al Comitato dei Ministri, assistito da un apposito Comitato consultivo.<br />

In sostanza, comunque, la proposta di convenzione europea tendeva, a conciliare le e-<br />

sigenze di tutela delle minoranze con i diritti degli Stati e delle popolazioni in essi maggioritarie,<br />

prevedendo anche, per gli Stati stessi, margini di discrezionalità nell’adozione delle diverse misure<br />

di protezione, così da poter tenere conto di ogni concorrente fattore e delle specifiche situazioni<br />

esistenti nei rispettivi territori.<br />

Su tali linee si è improntata l’elaborazione della Convenzione quadro per la protezione<br />

delle minoranze nazionali, adottata dal Comitato dei Ministri nel 1994.<br />

59


LA CONVENZIONE-QUADRO PER LA TUTELA DELLE MINORANZE NAZIONALI<br />

- <strong>DIRITTI</strong> DA TUTELARE -<br />

La Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali non prevede la definizione<br />

di minoranza non essendo stato raggiunto alcun accordo in merito ad essa (Rapporto<br />

esplicativo par. 4) ed essendo stato optato per un approccio pragmatico, basato sulla constatazione<br />

che raccogliere il supporto generale di tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa sulla<br />

definizione sarebbe stata un’impresa impossibile. (Rapporto esplicativo par. 12)<br />

L’assenza della definizione non compromette, però, il contenuto della Convenzionequadro<br />

dato che già si possono individuare nel preambolo gli elementi caratteristici della minoranza<br />

nazionale che sono le proprie peculiarità etniche, culturali, linguistiche e religiose.<br />

Come dichiarato nella Raccomandazione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio<br />

d’Europa n. 1255 del 1995, la Convenzione formula un insieme di obiettivi e principi definiti vagamente,<br />

“l’osservazione dei quali sarà un obbligo degli Stati contraenti ma non un diritto che gli<br />

individui possono invocare. Il suo meccanismo di attuazione è debole, e c’è il pericolo che, di<br />

fatto, le procedure di controllo saranno lasciate interamente ai governi”. (par. 7 della citata Raccomandazione)<br />

In conformità con la decisione presa dai Capi di Stato e di <strong>Governo</strong> a Vienna<br />

nell’ottobre del 1993, la Convenzione-quadro è aperta anche a Stati non membri del Consiglio<br />

d’Europa.<br />

Secondo il Rapporto esplicativo “si intende per altri Stati quelli che partecipano alla<br />

Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa”. (par. 99)<br />

L’art. 1 della Convenzione-quadro dichiara: “la protezione delle minoranze nazionali e<br />

dei diritti e delle libertà delle persone appartenenti a quelle minoranze, costituisce parte integrante<br />

della salvaguardia internazionale dei diritti umani e come tale rientra negli obiettivi della<br />

cooperazione internazionale”.<br />

L’articolo specifica che la tutela delle minoranze facendo parte della salvaguardia internazionale<br />

dei diritti dell’uomo non ricade nel dominio riservato agli Stati ma in quello internazionale.<br />

I diritti in essa previsti sono diritti “individuali” e non “collettivi”.<br />

Per quanto concerne la formulazione “protezione delle minoranze nazionali e dei diritti e<br />

delle libertà delle persone ...” secondo il Rapporto esplicativo va intesa nel senso che “non sono<br />

previsti diritti collettivi” e che la protezione delle minoranze può essere ottenuta attraverso la tutela<br />

dei diritti alle persone ad esse appartenenti (par. 31) che “esercitano i loro diritti individualmente<br />

o in comunione con gli altri”. (par. 13)<br />

Nel Preambolo, nel suo penultimo paragrafo, della Convenzione-quadro vengono posti i<br />

limiti alla protezione dei diritti previsti in essa: “nel rispetto della preminenza del diritto,<br />

dell’integrità territoriale e della sovranità nazionale degli Stati”.<br />

Nella Convenzione-quadro si prevedono una serie di diritti per le “persone appartenenti<br />

a minoranze nazionali”:<br />

- Diritto di scegliere liberamente di appartenere ad una minoranza nazionale<br />

“Chiunque appartenga ad una minoranza nazionale ha il diritto di scegliere liberamente di essere<br />

considerato o meno come tale; tale scelta o l’esercizio dei diritti ad essa collegati non debbono<br />

determinare alcun svantaggio”. (art. 3(1)) Tale diritto affida alle persone la facoltà di decidere<br />

se essere o meno protette nell’ambito dei principi stabiliti dalla Convenzione.<br />

Secondo il Rapporto esplicativo questo paragrafo non implica però il diritto per un individuo di<br />

scegliere arbitrariamente se appartenere ad una minoranza, dato che la sua appartenenza si<br />

basa su elementi oggettivi. (par. 35)<br />

La previsione che nessun svantaggio debba provenire da tale scelta all’individuo assicura che il<br />

godimento di tale libertà non venga danneggiato indirettamente.<br />

- Esercizio del diritto individualmente o in comunione con altri.<br />

Le persone appartenenti a minoranze nazionali possono esercitare, sia individualmente che insieme<br />

ad altri, i diritti e le libertà derivanti dai principi enunciati nella presente Convenzionequadro”.<br />

(art. 3(2)).<br />

In tale comma va sottolineata la dicitura “insieme ad altri” che può sia intendersi “altri membri<br />

del proprio gruppo” sia membri di un’altra minoranza che membri della maggioranza stessa<br />

(Rapporto esplicativo par. 37).<br />

60


- Diritto all’eguaglianza di “diritto” e di “fatto”<br />

In base all’art. 4(1) viene proibita qualsiasi discriminazione basata sull’appartenenza a minoranze<br />

nazionali, alle quali è garantito il diritto di eguaglianza di fronte alla legge e eguale protezione<br />

di legge.<br />

Il secondo comma aggiunge inoltre che le “Parti si impegnano, se necessario, ad adottare tutte<br />

le misure adeguate volte a promuovere, in tutti i settori della vita economica, sociale, politica e<br />

culturale, una piena ed effettiva eguaglianza fra le persone appartenenti ad una minoranza nazionale,<br />

e quelle appartenenti alla maggioranza”.<br />

L’eguaglianza di fatto richiederebbe quindi alle Parti di prevedere misure speciali di tutela per le<br />

persone appartenenti a minoranze; tali misure potrebbero essere interpretate come discriminatorie<br />

dalla maggioranza, proprio per questo nel terzo comma si specifica che “non sono considerate<br />

un atto discriminatorio”.<br />

Gli Stati non sono obbligati ad adempiere a tale articolo dato che è loro riposta la decisione di<br />

decidere “quando necessario”.<br />

- Diritto di mantenere, preservare e sviluppare la propria identità<br />

L’art. 5 ha lo scopo di assicurare alle persone appartenenti a minoranze nazionali di mantenere,<br />

preservare e sviluppare la loro cultura ed identità, prevedendo un impegno da parte degli Stati<br />

“a creare le condizioni adeguate” per consentirlo.<br />

Il Rapporto esplicativo specifica però che ciò non comporta che tutte le differenze etniche, culturali<br />

e linguistiche o religiose, necessariamente costituiscano delle minoranze nazionali, dato che<br />

la “minoranza” presenta delle particolari caratteristiche oggettive e soggettive.<br />

Si specifica inoltre che il riferimento alle “tradizioni” non implica l’accettazione di pratiche contrarie<br />

alla legge nazionale e agli standards internazionali (par. 43, 44).<br />

- Diritto alla non assimilazione<br />

Nel secondo comma dell’art. 5 si prevede che “Le Parti si astengono da qualunque politica o<br />

pratica volta ad assimilare, contro la loro volontà, persone appartenenti a minoranze, e le tutelano<br />

da qualunque atto in tal senso” salvo però disposizioni nel quadro della politica generale di<br />

integrazione degli Stati.<br />

- Tolleranza e dialogo interculturale<br />

Nell’art. 6 (1) le Parti si impegnano a promuovere lo spirito di tolleranza e il dialogo interculturale,<br />

e a prendere misure che favoriscano il rispetto, la comprensione reciproca e la cooperazione<br />

tra tutte le persone che vivono sul loro territorio, in particolare nei settori dell’istruzione, cultura e<br />

mass media.<br />

- Protezione contro atti discriminatori, ostilità o violenza<br />

Le Parti si impegnano a prendere tutte le misure per tutelare le persone che potrebbero essere<br />

vittime di minacce o atti discriminatori ostili o violenti (art. 6.2).<br />

L’art. 6, come ricorda il Rapporto esplicativo è l’espressione delle preoccupazioni espresse<br />

nell’Appendice III della Dichiarazione di Vienna (Dichiarazione e Piano d’Azione per combattere<br />

il razzismo, la xenofobia, l’antisemitismo e l’intolleranza) e nel paragrafo 40.2 del Documento di<br />

Copenaghen della CSCE.<br />

- Diritto alla libertà di associazione, libertà di espressione, libertà di pensiero di coscienza e di<br />

religione<br />

Tali libertà fondamentali in realtà sono diritti riconosciuti a tutti gli individui previste già nella<br />

Convenzione europea sui diritti dell’Uomo, ma riproposti non solo perché di fondamentale importanza<br />

per le minoranze, ma anche perché a tale Convenzione potrebbero aderire Stati che<br />

non essendo membri del Consiglio d’Europa non si sentirebbero vincolati dalla Convenzione<br />

europea per i diritti dell’Uomo (art. 7).<br />

- Diritto di creare istituzioni religiose, organizzazioni e associazioni<br />

L’art. 8 ribadisce il diritto di manifestare la propria religione o il proprio credo nonché il diritto di<br />

creare istituzioni religiose, organizzazioni e associazioni; tale articolo combina vari elementi del<br />

Documento di Copenaghen previsti nei paragrafi 32.2. 32.3, 32.6.<br />

- Diritto a ricevere o comunicare informazioni o idee nella lingua minoritaria e non discriminazione<br />

nei media<br />

Gli Stati parte della Convenzione si impegnano a garantire tali diritti senza ingerenza da parte<br />

delle autorità e a non discriminarne l’accesso ai mass media “nel quadro del loro ordinamento<br />

giuridico”. (art. 9)<br />

61


Gli Stati si impegnano inoltre “nella misura del possibile” ad offrire l’opportunità di creare ed utilizzare<br />

propri mass media.<br />

- Diritto di utilizzare la propria lingua<br />

L’art. 10 (1) riconosce, alle persone appartenenti a minoranze, il diritto di utilizzare liberamente<br />

la propria lingua sia in “pubblico che in privato” senza interferenza.<br />

“In pubblico, significa per esempio, in un luogo pubblico, fuori, o in presenza di altre persone,<br />

ma non riguarda in alcuna circostanza relazioni con le autorità pubbliche” (Rapporto esplicativo<br />

par. 63).<br />

- Uso della lingua minoritaria nelle relazioni con le autorità amministrative<br />

Tale uso (art. 10.2) è garantito “per quanto possibile” dalle Parti, alle condizioni che innanzi tutto<br />

gli insediamenti minoritari siano “consistenti e tradizionali” e che la richiesta avanzata dalle persone<br />

ad esse appartenenti corrisponda “ad una esigenza reale”.<br />

Il diritto viene previsto non nei rapporti con qualsiasi autorità pubblica ma con le sole “autorità<br />

amministrative”.<br />

Nell’articolo è concesso un ampio potere discrezionale agli Stati lasciando loro la decisione non<br />

solo riguardo per quanto attiene alle misure da adottare ma anche per ciò che concerne<br />

l’interpretazione dell’articolo stesso che non riporta un chiarimento né per ciò che intende per<br />

insediamenti minoritari “consistenti e tradizionali” né per ciò che riguarda la “esigenza reale” da<br />

parte delle minoranze.<br />

Il Rapporto esplicativo chiarisce che per “tradizionali” non ci si riferisce alle minoranze storiche<br />

ma “solo a quelle che vivono ancora nella stessa area geografica” (par. 66).<br />

- Diritto di utilizzare cognome e nome nella lingua minoritaria<br />

Nell’art. 11 le Parti si impegnano a riconoscere il diritto di utilizzare cognome e nome nella lingua<br />

minoritaria, nonché il diritto al loro riconoscimento speciale; a riconoscere il diritto di esporre<br />

al pubblico insegne, scritte o altre informazioni di carattere privato, quindi non ufficiale, di e-<br />

sporre in alcune regioni le denominazioni tradizionali locali, i nomi delle strade, e indicazioni topografiche<br />

anche in lingua minoritaria. L’articolo prevede, però, diverse condizioni, e cioè: che<br />

la regione sia abitata da un numero consistente di persone appartenenti a minoranza, che tale<br />

tentativo venga fatto “nel quadro del loro ordinamento giuridico” e “tenendo conto delle loro<br />

condizioni specifiche” e di eventuali accordi con altri Stati.<br />

- Promozione della conoscenza delle culture minoritarie e non minoritarie<br />

L’art. 12 promuove la conoscenza della cultura, della storia e della religione sia delle minoranze<br />

che della maggioranza della popolazione per consentire il dialogo interculturale, al fine di creare<br />

un clima di tolleranza tra elementi diversi presenti nel territorio statale facilitando “contatti tra a-<br />

lunni e insegnanti di comunità differenti” e offrendo “pari opportunità nell’accesso all’istruzione a<br />

tutti i livelli alle persone appartenenti a minoranze nazionali” e la “possibilità di formazione per<br />

gli insegnanti e di accesso ai manuali scolastici”.<br />

- Diritto di creare e amministrare istituti privati di istruzione e formazione<br />

Nell’art. 13 viene riconosciuto tale diritto alle persone che appartengono a minoranze nel quadro<br />

dei requisiti richiesti dal sistema educativo dello Stato (in special modo per quelli “relativi alla<br />

scuola dell’obbligo” (Rapporto esplicativo par. 72) per il quale non è previsto alcun impegno<br />

economico, sebbene non si escluda la possibilità di contributi pubblici.<br />

La creazione di tali istituti dipende quindi dalle disponibilità economiche della minoranza stessa.<br />

- Diritto di apprendere la lingua minoritaria<br />

“L’obbligo di riconoscere il diritto ad ogni persona appartenente a minoranze nazionali di apprendere<br />

la propria lingua minoritaria riguarda uno degli strumenti principali attraverso il quale<br />

tali individui possono asserire e preservare la loro identità” (Rapporto esplicativo par. 74), malgrado<br />

ciò, gli Stati non sono obbligati a livello finanziario, e cercheranno di garantire la possibilità<br />

di apprendere la lingua minoritaria e di ricevere un insegnamento in tale lingua, solo nelle zone<br />

nelle quali vi siano insediamenti “consistenti e tradizionali” e se “la richiesta è sufficiente”<br />

“nella misura del possibile” e nel quadro del loro sistema educativo, senza ostacolare<br />

l’apprendimento e l’insegnamento della lingua ufficiale (art. 14).<br />

- Diritto di partecipazione effettiva alla vita culturale, sociale, economica e pubblica<br />

L’articolo 15 richiede alle Parti di creare le condizioni necessarie per una effettiva partecipazione<br />

delle persone appartenenti a minoranze alla vita culturale, sociale economica e pubblica in<br />

particolare per ciò che le interessa direttamente. Esso ha lo scopo soprattutto di incoraggiare<br />

62


l’eguaglianza di fatto tra le persone appartenenti a minoranze nazionali e il resto della popolazione<br />

dello Stato.<br />

Secondo il Rapporto esplicativo le Parti potrebbero prevedere nell’ambito dei loro sistemi costituzionali,<br />

una serie di misure quali: consultazioni nei campi legislativo o amministrativo per ciò<br />

che le interessi direttamente; collaborazione nei piani regionali o nazionali; studi congiunti<br />

sull’impatto delle attività di sviluppo; effettiva partecipazione al processo decisionale e di rappresentanza<br />

sia a livello nazionale che locale, decentramento o forme di governo locale (Rapporto<br />

esplicativo par. 80).<br />

- Cambiamenti demografici<br />

Nell’articolo 16 si prevede l’astensione da parte degli Stati di prendere provvedimenti che modifichino<br />

le proporzioni della popolazione in una zona geografica nella quale risiedano persone<br />

appartenenti a minoranze nazionali, con lo scopo di attentare ai diritti e libertà loro riconosciuti<br />

dalla Convenzione-quadro.<br />

Esempi di tali misure potrebbero essere espropriazioni, escomi ed espulsioni o ridefinizione dei<br />

confini amministrativi con lo scopo di restringere il godimento ditali diritti e libertà. Tale impegno<br />

non implica pèrò l’impossibilità di prevedere misure, che possono essere giustificate e legittime<br />

come ad esempio lo spostamento degli abitanti di un villaggio per la costruzione di una diga<br />

(Rapporto esplicativo par. 81-82).<br />

- Diritto di stabilire e mantenere contatti al di là delle frontiere<br />

Tale diritto viene garantito per lo sviluppo e il mantenimento della propria cultura ed identità favorendo<br />

contatti, in special modo con persone che hanno in comune un’identità etnica, culturale<br />

linguistica e religiosa (art. 17).<br />

Non è stato ritenuto necessario prevedere libertà di contatti all’interno degli Stati dato che tale<br />

libertà viene garantita dalla libertà di espressione e associazione prevista nella Convenzione.<br />

- Diritto a partecipare ai lavori di organizzazioni non governative<br />

L’art. 17 (2) prevede un impegno degli Stati a non ostacolare la partecipazione ad organizzazioni<br />

non governative da parte delle persone appartenenti a minoranze nazionali sia a livello<br />

nazionale che internazionale.<br />

- Accordi bilaterali e multilaterali e cooperazione transfrontaliera<br />

L’art. 18 enuncia che “le parti cercheranno, se necessario, di concludere accordi bilaterali o<br />

multilaterali con gli Stati vicini, per garantire la tutela delle persone appartenenti alle minoranze<br />

nazionali interessate”, accordi, specifica il Rapporto esplicativo, particolarmente nei campi della<br />

cultura, educazione e informazione (par. 86); inoltre si prevede l’opportunità di provvedimenti<br />

che facilitino la cooperazione transfrontaliera.<br />

- Garanzia per la migliore protezione<br />

L’art. 22 specifica che nessuna disposizione della Convenzione può essere intesa come limitativa<br />

di diritti e libertà che potrebbero essere riconosciuti dalle legislazioni delle parti o da qualsiasi<br />

altra Convenzione della quale lo Stato è Parte, garantendo quindi alle persone appartenenti<br />

a minoranza il godimento dei diritti che più le favoriscono nell’ambito degli strumenti giuridici<br />

previsti dallo Stato nel quale vivono.<br />

63


LE RACCOMANDAZIONI DELL’ASSEMBLEA PARLAMENTARE DEL CONSIGLIO<br />

D’EUROPA<br />

Già in precedenza si è avuto modo di evidenziare come l’Assemblea Parlamentare si<br />

era sempre occupata, fin dagli inizi della sua attività, del problema delle minoranze nazionali e<br />

quanto ripetuti, da allora siano stati i suoi interventi volti a pervenire nell’ambito del Consiglio<br />

d’Europa, all’adozione di strumenti di garanzia dei diritti delle minoranze.<br />

Con la Raccomandazione 285 del 1961 e la Raccomandazione 1134 del 1990 venivano<br />

ribaditi la positiva valenza delle minoranze per la multiculturalità in Europa e l’importante rispetto<br />

dei loro diritti e di quelli delle persone ad esse appartenenti come fattore fondamentale per la<br />

pace, la giustizia, la stabilità e la democrazia. Venivano, inoltre, definiti i principi fondamentali<br />

sui diritti delle minoranze, nazionali e linguistiche, ritenuti “base minima” per una adeguata protezione<br />

giuridica, nonché connessi impegni degli Stati europei, raccomandando al Comitato dei<br />

Ministri di elaborare, sulla base di tali principi, un protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea<br />

sui Diritti dell’uomo ovvero una speciale Convenzione del Consiglio d’Europa.<br />

A tal fine l’Assemblea Parlamentare volle pure riaffermare la necessità di rispettare pienamente<br />

gli impegni assunti nell’ambito della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in<br />

Europa, contenuti nell’Atto Finale di Helsinki del 1975 e nei documenti conclusivi delle riunioni<br />

di Madrid (1983), di Vienna (1989) e di Copenaghen (1990), richiamando anche l’attenzione sugli<br />

obblighi che derivavano agli Stati partecipanti al processo della CSCE dagli strumenti internazionali<br />

concernenti le minoranze nazionali, etniche, religiose e linguistiche.<br />

Nella Raccomandazione 1137 si forniva una prima, sostanziale definizione di “minoranze<br />

nazionali” - vale a dire “gruppi separati o distinti, ben definiti ed insediati sul territorio di uno<br />

Stato, i cui membri sono cittadini di quello Stato e presentano certe caratteristiche religiose, linguistiche,<br />

culturali o altre, che li distinguono dalla maggioranza della popolazione” - , ed inoltre,<br />

tra i diritti presi in considerazione, alcuni erano riferiti alle minoranze in quanto tali.<br />

La Raccomandazione 1134 interveniva quando erano in corso sia i lavori della Commissione<br />

per la democrazia attraverso il diritto per una proposta di Convenzione per la tutela<br />

delle minoranze, quelli per l’elaborazione di un progetto di una Carta Europea delle lingue regionali,<br />

la cui rapida definizione veniva poi auspicata con la Raccomandazione 1177 del 5 febbraio<br />

1992.<br />

Dopo l’adozione, il 25 giugno 1992, della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie<br />

e l’avvio,da parte del Comitato direttivo per i diritti dell’uomo e del Comitato ad hoc di e-<br />

sperti, dei lavori per l’approfondimento e la predisposizione di specifiche norme di tutela delle<br />

minoranze nazionali, l’Assemblea Parlamentare tornò, ancora, con la Raccomandazione 1201<br />

del 10 febbraio 1993, sul problema della protezione delle minoranze, “uno tra i più importanti<br />

attualmente trattati dal Consiglio d’Europa”, per assicurare il massimo appoggio ad entrambe le<br />

iniziative e dare il proprio contributo ai lavori di elaborazione delle norme di tutela delle minoranze.<br />

Così, con tale Raccomandazione, l’Assemblea Parlamentare da un lato lanciava un appello<br />

agli Stati membri per la più ampia adesione alla Carta Europea, sollecitandone una rapida<br />

ratifica con l’accettazione del maggior numero possibile delle sue clausole, dall’altro proponeva<br />

il testo di un progetto per la protezione delle minoranze nazionali, raccomandando al Comitato<br />

dei Ministri di adottare, sulla base di esso, un protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea<br />

sui diritti dell’uomo, concernente le persone appartenenti a tali minoranze.<br />

Il testo proposto, che costituiva parte integrante della Raccomandazione, si componeva<br />

di cinque Titoli per complessivi 20 articoli, oltre al Preambolo, nel quale si evidenziavano le<br />

considerazioni fondanti del proposto protocollo sottolineando, tra le altre, la rilevante importanza<br />

della protezione delle minoranze, tenuto conto che “soltanto il riconoscimento dei diritti delle<br />

persone appartenenti ad una minoranza nazionale all’interno di uno Stato e la protezione internazionale<br />

di questi diritti sono suscettibili di porre durevolmente fine ai confronti etnici, e di contribuire<br />

in tal modo a garantire la giustizia, la democrazia, la stabilità e la pace”.<br />

Precisato nello stesso Preambolo che comunque i diritti considerati erano quelli che o-<br />

gni persona “può esercitare sia singolarmente che in comune con altri” si dava innanzitutto,<br />

all’art. 1, la definizione dell’espressione “minoranza nazionale”, intesa come “un gruppo di persone<br />

in uno Stato che:<br />

64


a) risiedono nel territorio di questo Stato e ne sono cittadini;<br />

b) mantengono legami antichi, solidi e durevoli con tale Stato;<br />

c) presentano specifiche caratteristiche etniche, culturali, religiose o linguistiche;<br />

d) sono sufficientemente rappresentative, sebbene in numero minore rispetto al resto della popolazione<br />

dello Stato o di una sua regione;<br />

e) sono animate dalla volontà di preservare insieme ciò che costituisce la loro identità comune,<br />

inclusa la loro cultura, le loro tradizioni, la loro religione e la loro lingua”.<br />

Veniva poi enunciata una serie di principi generali, con l’affermazione di diritti e di libertà fondamentali,<br />

e di diritti sostanziali concernenti, tra gli altri, la creazione di proprie organizzazioni,<br />

compresi i partiti politici, l’uso della lingua materna in pubblico e in privato nonché nei rapporti<br />

con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari, l’insegnamento della e nella lingua<br />

materna, la costituzione e gestione di proprie scuole ed istituti di insegnamento, l’uso della<br />

lingua minoritaria nella onomastica, nella toponomastica e nelle iscrizioni pubbliche, liberi contatti<br />

oltrefrontiera con cittadini di altri Stati aventi le medesime caratteristiche, appropriate amministrazioni<br />

locali o autonome o statuti speciali nelle regioni in cui le minoranze costituiscono la<br />

maggioranza.<br />

La protezione dei diritti garantiti dal protocollo proposto veniva inoltre resa ancora più<br />

pregnante con l’affermazione, contenuta nell’articolo 9 del testo, del diritto ad un effettivo rimedio<br />

di giustizia dinanzi alle competenti autorità dello Stato in caso di loro violazione, diritto che<br />

era riconosciuto non soltanto ad ogni persona appartenente ad una minoranza nazionale, ma<br />

anche ad ogni organizzazione che fosse rappresentativa di una minoranza.<br />

Si è già accennato come, però, la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze<br />

nazionali poi adottata, il 10 novembre 1994, dal Comitato dei Ministri non contenga una previsione<br />

simile, anche se introduce un importante meccanismo di controllo sulla attuazione, da<br />

parte degli Stati contraenti, dei principi enunciati.<br />

Dopo l’adozione della Convezione quadro l’Assemblea Parlamentare è pertanto nuovamente<br />

intervenuta con la Raccomandazione 1255 del 31 gennaio 1995, sul problema della<br />

protezione dei diritti delle minoranze, considerato “uno dei più importanti impegni del Consiglio<br />

d’Europa oggi”, auspicandone la firma e la ratifica da parte del maggior numero di Stati, membri<br />

e non membri oltrechè della Carta Europea delle lingue regionali o minoritarie, ma segnalando<br />

anche l’esigenza di completare la stessa Convenzione quadro con un protocollo aggiuntivo alla<br />

Convenzione europea sui diritti dell’uomo che definisse chiaramente i diritti azionabili dinanzi<br />

agli organi di giustizia indipendenti.<br />

A tal fine l’Assemblea Parlamentare ricordando le decisioni assunte dai Capi di Stato e<br />

di <strong>Governo</strong> nel vertice di Vienna del 9 ottobre 1993, che comprendevano anche, l’elaborazione<br />

di un progetto di protocollo aggiuntivo alla medesima Convenzione Europea “nel campo culturale<br />

con disposizioni di garanzia dei diritti individuali, in particolare per le persone appartenenti alle<br />

minoranze nazionali”, raccomandava inoltre al Comitato dei Ministri di portare rapidamente a<br />

conclusione i lavori conseguentemente avviati, richiamando, per l’individuazione dei diritti da includere<br />

nel redigendo protocollo, dei quali riproduceva un elenco indicativo, sia la Convenzione<br />

quadro per la protezione delle minoranze nazionali che la propria proposta di protocollo aggiuntivo<br />

contenuta nella Raccomandazione 1201 del 1993.<br />

Ancora un appello a sottoscrivere e ratificare entrambe le Convenzioni, sia la Carta europea<br />

che la Convenzione quadro, veniva poi rivolto con la Raccomandazione 1285 del 23<br />

gennaio 1996, con la quale l’Assemblea Parlamentare nel dare pieno appoggio ai due Strumenti,<br />

raccomandava nuovamente che fossero portati a rapida e soddisfacente conclusione i lavori<br />

per la elaborazione del progetto di protocollo aggiuntivo nel campo culturale e che in tale sede<br />

venissero quanto più possibile specificati gli obblighi derivanti agli Stati, al fine di rendere chiari<br />

ed azionabili i diritti da riconoscere.<br />

Si decise invece, con la Raccomandazione 1300 del successivo 25 gennaio 1996, sulla<br />

base di un parere espresso dalla Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto<br />

(c.d. Commissione di Venezia), di allontanare l’ipotesi di definire, tra le disposizioni della Carta<br />

europea, delle lingue regionali o minoritarie un “nocciolo duro” di diritti suscettibili di essere accettati<br />

da tutti gli Stati contraenti, ipotesi tesa ad accrescere le opportunità di ratifica dello Strumento.<br />

La Commissione aveva al riguardo considerato che il concetto di un nocciolo duro è e-<br />

65


straneo allo spirito e al sistema di funzionamento della Carta europea delle lingue regionali o<br />

minoritarie, che già contiene nella Parte 11, “un nocciolo duro” di principi che garantisce<br />

l’efficacia della tutela assicurando anche come le disposizioni della Parte III, per la loro formulazione<br />

e per l’analiticità della regolamentazione difficilmente si prestino alla determinazione di un<br />

nocciolo duro, suscettibile di essere accettato da tutti gli Stati contraenti, e che un nocciolo duro<br />

di diritti linguistici può essere dedotto dagli obblighi previsti dalla Convenzione quadro per la<br />

protezione delle minoranze nazionali, e in particolare nell’articolo 5 paragrafo 1, nell’art. 6,<br />

nell’art. 9, paragrafo 1, negli articoli da 10 a 14 e nell’art. 17.<br />

L’anno successivo, con la Raccomandazione 1345 del 24 ottobre 1997 l’Assemblea<br />

Parlamentare torna di nuovo, specificatamente, sulla protezione delle minoranze nazionali, che<br />

“continua ad essere uno degli elementi cruciali della pace e della sicurezza in Europa”.<br />

I due importanti strumenti adottati dal Consiglio d’Europa, la Carta Europea e la Convenzione<br />

quadro, entrambi giuridicamente impegnativi per gli Stati, non avevano ancora ottenuto<br />

il numero sufficiente di ratifiche per la rispettiva entrata in vigore e d’altra parte, le dichiarazioni<br />

e le iniziative, pure di grande rilievo, adottate in altre sedi, in particolare nell’ambito del<br />

processo della CSCE, che aveva anche istituito l’Ufficio dell’Alto Commissario per le Minoranze<br />

Nazionali in funzione di prevenzione dei conflitti, avevano natura essenzialmente politica e non<br />

vincolavano, sotto il profilo strettamente giuridico, gli Stati partecipanti.<br />

L’Unione Europea, dal conto suo, aveva fatto della protezione delle minoranze una<br />

condizione per la cooperazione economica e per l’adesione stessa, ma osservava l’Assemblea<br />

Parlamentare, “l’efficacia di questa politica è seriamente ostacolata dall’assenza di un meccanismo<br />

di monitoraggio permanente e dalla mancanza di chiarezza circa i principi che uno Stato è<br />

tenuto a rispettare in tale campo”.<br />

Tale complessiva situazione portava l’Assemblea Parlamentare a ritenere “ancora insufficiente<br />

la volontà politica di accettare e di attuare gli strumenti politici e giuridici internazionali”<br />

nella materia e a concludere che “la protezione delle minoranze resta ancora troppo spesso una<br />

questione di politica estera piuttosto che di politica interna”.<br />

Queste considerazioni inducevano l’Assemblea Parlamentare da un lato a sollecitare<br />

nuovamente la sottoscrizione e la ratifica della Carta Europea e della Convenzione quadro e la<br />

loro osservanza, dall’altro a raccomandare al Comitato dei Ministri di perseguire una cooperazione<br />

intergovernativa nel campo della protezione delle minoranze nazionali e di porre in essere<br />

attività che coinvolgessero i governi e la società civile, finalizzate a facilitare la piena ed efficace<br />

attuazione delle norme giuridiche internazionali in tale campo” e, sollecitando anche il dialogo<br />

con i rappresentanti delle minoranze, ha raccomandato anche di rafforzare la cooperazione con<br />

l’Unione Europea affinché si tenesse sistematicamente conto dei risultati delle procedure di<br />

monitoraggio del Consiglio d’Europa, in particolare in sede di valutazione del rispetto delle clausole<br />

relative ai diritti umani e alle minoranze in occasione della conclusione di accordi con Paesi<br />

terzi, e in sede di esame delle loro richieste di adesione all’Unione.<br />

Poco tempo dopo, rispettivamente il 5 novembre 1992 e il 10 novembre 1993, sarebbero<br />

finalmente entrate in vigore la Carta europea delle lingue regionali e minoritarie e la Convenzione<br />

quadro per la protezione delle minoranze nazionali.<br />

Un’ulteriore sollecitazione a sottoscrivere e ratificare la Carta europea delle lingue regionali<br />

e minoritarie e la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali veniva<br />

poi rivolta con la Raccomandazione 1285 del 23 gennaio 1996 con la quale l’Assemblea Parlamentare,<br />

nel sostenere pienamente le due Convenzioni, raccomandava anche di riprendere e<br />

portare a rapida e soddisfacente conclusione i lavori per la elaborazione del progetto di protocollo<br />

aggiuntivo alla Convenzione europea sui diritti dell’uomo nel campo culturale, specificando<br />

quanto più possibile gli obblighi degli Stati così da rendere chiari ed azionabili i diritti riconosciuti.<br />

Il tema delle minoranze nazionali è stato poi ancora ripreso con la Raccomandazione 1345<br />

del 24 ottobre 1997 con la quale l’Assemblea Parlamentare, nell’affermare che la loro protezione<br />

“continua ad essere uno degli elementi essenziali della pace e della sicurezza in Europa”, ha<br />

sollecitato il dialogo con i rappresentanti delle minoranze, raccomandando inoltre di rafforzare la<br />

cooperazione con l’Unione Europea perché venga tenuto sistematicamente conto dei risultati<br />

delle procedure di monitoraggio del Consiglio d’Europa, in particolare in sede di accordi con i<br />

Paesi terzi e di esame delle loro richieste di adesione, essendo la protezione delle minoranze<br />

tra le condizioni per l’accoglimento di tali richieste e per la cooperazione economica con quei<br />

Paesi. L’accesso delle minoranze all’insegnamento superiore ha formato poi specifico oggetto<br />

66


della Raccomandazione 1353 del 27 gennaio 1998 con la quale, al fine di assicurare alle minoranze,<br />

con tutte le misure necessarie, le condizioni per esprimere la propria identità e sviluppare<br />

la propria educazione, cultura, lingua e tradizioni, viene definita un serie di principi ai quali gli<br />

Stati aderenti alla Convenzione Culturale Europea devono ispirarsi in sede di revisione della politica<br />

nazionale in materia di educazione.<br />

67


GLI INTERVENTI<br />

DELLA CONFERENZA/ORGANIZZAZIONE<br />

PER LA SICUREZZA E LA COOPERAZIONE IN EUROPA<br />

69


PREMESSA<br />

Nel processo di distensione portato avanti dalla Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione<br />

per contribuire alla sicurezza e allo sviluppo della cooperazione in Europa, il rispetto dei<br />

diritti umani e delle libertà fondamentali, considerato un elemento essenziale per la pace, la<br />

giustizia ed il benessere nel Continente, è sempre stato al centro degli impegni assunti dagli<br />

Stati partecipanti, a partire dalla loro prima fondamentale dichiarazione, l’Atto finale di Helsinki<br />

del 1975, alla quale si sono poi ispirati tutti i successivi documenti della CSCE.<br />

In questo contesto riferimenti ed impegni mirati hanno riguardato specificamente anche<br />

le minoranze nazionali ed i diritti delle persone che appartengono a tali minoranze, per le quali è<br />

stato pure istituito, in un’ottica di prevenzione di potenziali conflitti, un apposito Alto Commissario.<br />

ATTO FINALE DELLA C.S.C.E. DI HELSINKI<br />

L’Atto Finale di Helsinki fu firmato il 10 agosto 1975 a conclusione della prima Conferenza<br />

sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, che era stata aperta il 3 luglio 1973 e alla<br />

quale parteciparono i Capi di Stato o di <strong>Governo</strong> di trentacinque Paesi, dell’Europa occidentale<br />

e orientale, della Santa Sede, degli Stati Uniti e del Canada.<br />

Esso costituisce senza dubbio documento di grande respiro per le molteplici questioni<br />

affrontate e per i connessi principi affermati, ed ha importanza fondamentale perché fissa i capisaldi<br />

che guideranno la successiva attività della CSCE. Anche le minoranze nazionali rientrano<br />

tra le numerose questioni affrontate dall’Atto Finale, che se ne occupa nella parte concernente<br />

le “Questioni relative alla sicurezza in Europa”, e in particolare nel principio VII della “Dichiarazione<br />

sui Principi che reggono le relazioni fra gli Stati partecipanti”, nonché nella parte riguardante<br />

la “Cooperazione nel settore umanitario e in altri settori” e specificamente alle sezioni<br />

3 e 4 della “Cooperazione e scambi”, concernenti, rispettivamente, il campo della cultura ed il<br />

campo dell’educazione.<br />

In particolare, nel principio VII della “Dichiarazione sui Principi” gli Stati partecipanti riconoscono<br />

il significato universale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il cui rispetto<br />

è un fattore essenziale della pace, della giustizia e del benessere necessari ad assicurare lo<br />

sviluppo di relazioni amichevoli e della cooperazione fra di loro e fra gli Stati” e dichiarano non<br />

soltanto l’impegno a rispettare tali diritti e libertà, inclusa la libertà di pensiero, coscienza, religione<br />

o credo, senza distinzione alcuna di razza, sesso, lingua o religione, di promuoverne ed<br />

incoraggiarne l’esercizio effettivo nei diversi contesti della vita civile, e di rispettare gli obblighi<br />

derivanti in materia di dichiarazioni ed accordi internazionali, ma si prevede altresì, espressamente,<br />

un impegno specifico di tutela delle minoranze nazionali, in base al quale “gli Stati partecipanti<br />

nel cui territorio esistono minoranze nazionali rispettano il diritto delle persone appartenenti<br />

a tali minoranze all’uguaglianza di fronte alla legge, offrono loro la piena possibilità di<br />

godere effettivamente dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e, in tal modo, proteggono<br />

i loro legittimi interessi in questo campo”.<br />

Estremamente significativa in tale sede tenuto conto che si tratta di impegni di natura<br />

essenzialmente politica, la dichiarazione degli Stati partecipanti di adempiere agli obblighi loro<br />

derivanti in materia di diritti umani e di libertà fondamentali da dichiarazioni ed accordi internazionali<br />

da cui siano vincolati.<br />

Nel contesto della “Cooperazione e scambi” nei campi della cultura e dell’educazione il<br />

riferimento attiene invece alle “minoranze nazionali o culture regionali”, delle quali viene riconosciuto<br />

il contributo che possono apportare alla cooperazione in tali settori “che gli Stati partecipanti<br />

si propongono di facilitare “tenendo conto degli interessi legittimi dei loro membri”.<br />

Dopo la Conferenza di Helsinki il tema delle minoranze nazionali è stato costantemente<br />

ripreso e sviluppato nelle successive riunioni della CSCE tenutesi in conformità alle disposizioni<br />

dell’Atto Finale relative ai Seguiti della stessa Conferenza, formando oggetto di riferimenti specifici<br />

nei relativi documenti conclusivi.<br />

71


DOCUMENTO CONCLUSIVO DELLA CONFERENZA SUI SEGUITI DELLA C.S.C.E. DI MA-<br />

DRID<br />

Con tale documento, adottato a Madrid il 9 settembre 1983 a conclusione della Conferenza<br />

sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa aperta l’11 novembre 1980, gli Stati partecipanti<br />

hanno riaffermato il loro impegno per il processo della CSCE, sottolineando “l’importanza<br />

dell’applicazione di tutte le disposizioni e del rispetto di tutti i principi dell’Atto Finale di Helsinki<br />

da parte di ciascuno di loro in quanto elementi essenziali per lo sviluppo di tale processo”, il cui<br />

futuro “richiede progressi equilibrati in tutti i capitoli dell’Atto Finale”.<br />

In tale quadro, viene riaffermata la determinazione di rispettare e di dare piena applicazione<br />

a tali principi e di promuovere la maggiore efficacia con tutti i mezzi, anche traducendo i<br />

principi stessi in disposizioni legislative interne.<br />

Per quanto concerne i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali, si ribadisce la fondamentale<br />

importanza del loro rispetto ai fini della pace, della giustizia e dello sviluppo, riaffermando<br />

la determinazione di promuoverne ed incoraggiarne l’esercizio effettivo, di assicurarne<br />

un progresso costante e tangibile” per un continuo sviluppo in tutti gli Stati partecipanti, e di sviluppare<br />

leggi e regolamenti nel campo dei diritti per i diversi settori della vita civile.<br />

Con riferimento specifico alle minoranze nazionali è stata inoltre sottolineata<br />

“l’importanza di un costante progresso per garantire il rispetto e l’effettivo godimento dei diritti<br />

delle persone appartenenti a minoranze nazionali, nonché per proteggere i loro interessi legittimi<br />

come previsto nell’Atto Finale”.<br />

72


DOCUMENTO CONCLUSIVO DELLA CONFERENZA SUI SEGUITI DELLA C.S.C.E. DI<br />

VIENNA<br />

Il Documento conclusivo di Vienna, adottato al termine della riunione dei rappresentanti<br />

degli Stati partecipanti alla CSCE tenutasi dal 4 novembre 1986 al 19 gennaio 1989, non soltanto<br />

si riafferma la determinazione di dare piena attuazione agli impegni contenuti nell’Atto Finale<br />

di Helsinki, compresi tutti i dieci principi della “Dichiarazione sui Principi che reggono le relazioni<br />

tra gli Stati partecipanti” e di privilegiare il principio della soluzione pacifica delle controversie,<br />

ma si manifesta anche la volontà di adoperarsi costantemente per il perfezionamento di un metodo<br />

generalmente accettabile per la soluzione pacifica delle controversie e ridefinisce una serie<br />

di misure concrete che gli Stati partecipanti si impegnano a promuovere e ad attuare.<br />

In tale contesto uno spazio notevolissimo è riservato alle questioni concernenti i diritti<br />

dell’uomo e le libertà fondamentali, con l’impegno a sviluppare leggi, regolamenti e politiche nei<br />

diversi settori della vita civile e a darvi applicazione in modo da garantire il loro esercizio effettivo,<br />

senza discriminazione alcuna e assicurando anche mezzi di ricorso efficaci in caso di violazione<br />

di tali diritti e libertà.<br />

Anche con specifico riguardo alle minoranze nazionali gli impegni per interventi di tutela<br />

si fanno più marcati.<br />

Viene infatti previsto, nell’ambito dei “principi” stabiliti in merito alle “questioni relative alla<br />

sicurezza in Europa”, che gli Stati partecipanti compiranno “sforzi costanti” per applicare le<br />

disposizioni dell’Atto Finale di Helsinki e del Documento conclusivo di Madrid riguardanti le minoranze,<br />

essi “adotteranno tutte le necessarie misure legislative, amministrative, giudiziarie ed<br />

altre ed applicheranno gli strumenti internazionali pertinenti per essi vincolanti, per assicurare la<br />

tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali delle persone che appartengono a minoranze<br />

nazionali nel loro territorio” e “si asterranno da qualsiasi discriminazione contro tali persone<br />

e contribuiranno alla realizzazione dei loro legittimi interessi ed aspirazioni nel campo dei diritti<br />

dell’uomo e delle libertà fondamentali” (Principi, par. 18).<br />

Gli Stati partecipanti, inoltre, “proteggeranno e creeranno le condizioni per la promozione<br />

dell’identità etnica, culturale, linguistica e religiosa delle minoranze nazionali nel loro territorio.<br />

Essi rispetteranno il libero esercizio dei diritti da parte delle persone che appartengono a tali<br />

minoranze e assicureranno la loro piena uguaglianza con le altre persone” (Principi, par. 19).<br />

Una tutela implicita, sotto il profilo linguistico, è contenuta anche nell’ambito delle disposizioni<br />

dei “Principi” volte ad assicurare la libertà di professare e praticare una religione o convinzione.<br />

Tra gli altri impegni a ciò finalizzati agli Stati partecipanti viene infatti richiesto anche il<br />

rispetto del diritto di ciascuno di impartire e ricevere l’educazione religiosa nella lingua di propria<br />

scelta, sia individualmente che in associazione con altri (par. 16.6), nonché il rispetto del diritto<br />

dei singoli credenti e delle comunità di credenti di acquisire, possedere e utilizzare libri sacri e<br />

pubblicazioni religiose nella lingua di propria scelta (par. 16.9).<br />

Più puntuali enunciazioni sono contenute anche nella parte relativa alla “Cooperazione<br />

nel settore umanitario e in altri settori” e in particolare nelle sezioni riguardanti i contatti fra persone,<br />

l’informazione e la cultura, ove vengono affermati principi e diritti di fondamentale rilievo<br />

ai fini della tutela delle minoranze nazionali, quali il principio di eguaglianza effettiva, il diritto di<br />

mantenere contatti con cittadini di altri Stati aventi comune origine o cultura, o il diritto di sviluppare<br />

la propria cultura.<br />

Così il paragrafo 31 della sezione “Contatti fra persone”, che impegna gli Stati partecipanti<br />

ad assicurare che lo status delle persone appartenenti a minoranze o a culture regionali<br />

che si trovano nei loro territori sia uguale a quello degli altri cittadini per quanto riguarda i contatti<br />

fra persone ai sensi dell’Atto Finale e degli altri citati documenti CSCE, compresi<br />

l’instaurazione e il mantenimento di tali contatti, mediante viaggi e altri mezzi di comunicazione,<br />

anche con cittadini di altri Stati aventi una comune origine nazionale o un retaggio culturale comune”.<br />

Così pure il paragrafo 45 della sezione “Informazione”, in base al quale gli Stati partecipanti<br />

dovranno assicurare “concretamente” che le persone appartenenti a minoranze nazionali<br />

o a culture regionali, che si trovano nei loro territori, possano diffondere, ricevere e scambiare<br />

informazioni nella propria madrelingua.<br />

Per quanto concerne la cooperazione e gli scambi nei campi della cultura e<br />

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dell’educazione, disposizioni che richiedono l’impegno ad azioni positive specificamente riguardanti<br />

le minoranze, sono contenute nei paragrafi 59 e 68, dove si prevede che gli Stati partecipanti<br />

assicurino che le persone appartenenti a minoranze nazionali o a culture regionali che si<br />

trovano nel loro territorio “abbiano ogni opportunità di mantenere e sviluppare la propria cultura<br />

in tutti i suoi aspetti, compresa la lingua, la letteratura, la religione, e che possano preservare i<br />

propri monumenti e oggetti culturali e storici” (par. 59), ed inoltre, che “possano impartire o ricevere<br />

un’istruzione sulla propria cultura, fra l’altro, tramite la trasmissione dai genitori ai figli della<br />

lingua, della religione e dell’identità culturale” (par. 68).<br />

Ma la riunione di Vienna ha segnato un importante passo in avanti nella direzione della<br />

tutela delle minoranze non soltanto per la manifestata crescente concretezza e gli impegni e-<br />

nunciati ma anche perché ha portato, conseguentemente, all’adozione di specifiche iniziative di<br />

rilievo, che in seguito saranno ulteriormente sviluppate e perfezionate.<br />

In tale sede infatti, gli Stati partecipanti al processo della CSCE, riconoscendo<br />

l’esigenza di migliorare l’attuazione dei loro impegni e della loro cooperazione nei settori dei diritti<br />

dell’uomo e delle libertà fondamentali, dei contatti fra le persone e delle altre questioni aventi<br />

un correlativo carattere umanitario, nonché la loro cooperazione in settori, indicati sotto la dizione<br />

“dimensione umana della CSCE”, hanno definito uno specifico sistema di procedure volto<br />

ad assicurare il rispetto dei principi contenuti nell’Atto Finale di Helsinki e negli altri pertinenti<br />

documenti della CSCE, decidendo inoltre la convocazione di una “Conferenza sulla dimensione<br />

umana” finalizzata a conseguire ulteriori progressi in tale campo.<br />

Le procedure, successivamente denominate “meccanismo” ed ulteriormente perfezionate,<br />

sono contenute nel capitolo “Dimensione umana della CSCE” e sono fissate in quattro paragrafi<br />

riguardanti altrettanti fasi: scambio di informazioni e risposta a richieste di informazioni e<br />

ad osservazioni su questioni relative alla dimensione umana; riunioni bilaterali per la soluzione<br />

di questioni, riguardanti anche situazioni e casi specifici; segnalazione da parte di uno Stato, di<br />

situazioni e casi a tutti gli altri Stati partecipanti; esame delle questioni, con informazioni sulle<br />

fasi precedenti, in occasione delle riunioni della Conferenza sulla Dimensione Umana, nonché<br />

nelle riunioni principali della CSCE nel quadro dei Seguiti.<br />

La Conferenza sulla Dimensione Umana, da tenersi in riunioni, rispettivamente a Parigi,<br />

Copenaghen e Mosca, avrebbe dovuto valutare gli sviluppi nel campo della dimensione umana<br />

e nell’attuazione dei pertinenti impegni, nonché il funzionamento del sistema di procedure definito<br />

e le informazioni fornite in base ad esso, esaminando anche proposte concrete per ulteriori<br />

nuove misure volte a migliorare sia l’attuazione degli impegni che l’efficacia delle procedure<br />

stesse.<br />

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DOCUMENTI CONCLUSIVI DELLE RIUNIONI DELLA CONFERENZA SULLA DIMENSIONE<br />

UMANA DELLA C.S.C.E. DI COPENAGHEN E MOSCA<br />

In attuazione delle decisioni assunte a Vienna, la Conferenza sulla Dimensione Umana<br />

si è riunita a Parigi dal 30 maggio al 23 giugno 1989, a Copenaghen dal 5 al 29 giugno 1990 e a<br />

Mosca dal 10 settembre al 4 ottobre 1991.<br />

Nelle riunioni sono stati rilevati miglioramenti progressivi nell’attuazione degli impegni<br />

concernenti la dimensione umana, ma è stata anche ravvisata la necessità di passi ulteriori e di<br />

costanti sforzi da parte degli Stati per la piena attuazione di taluni impegni, ai cui fini, soprattutto<br />

nella riunione di Mosca, è stato deciso anche di adeguare il sistema di procedure definito a<br />

Vienna rafforzato ed ampliato per accrescerne l’efficacia.<br />

Per quanto concerne in particolare le minoranze nazionali, la Riunione di Copenaghen<br />

ha costituito una tappa molto significativa nel cammino per la loro tutela, della quale si occupa il<br />

capitolo IV del Documento conclusivo, ove si enunciano i principi da rispettare, i diritti da garantire<br />

e le misure da adottare per assicurarne l’effettivo esercizio.<br />

Viene innanzitutto riottenuto che “il rispetto dei diritti delle persone appartenenti a minoranze<br />

nazionali, in quanto parte dei diritti dell’uomo universalmente riconosciuti, è un fattore essenziale<br />

per la pace, la giustizia, la stabilità e la democrazia negli Stati Partecipanti”, ed inoltre<br />

riconosce che le questioni relative alle minoranze nazionali “possono essere risolte in maniera<br />

soddisfacente solo in un quadro politico democratico basato sullo stato di diritto, con un sistema<br />

giudiziario indipendente e funzionante”, rilevando l’importante ruolo svolto dalle organizzazioni<br />

non governative che si occupano dei diritti dell’uomo ai fini della promozione della tolleranza e<br />

delle diversità culturali e per la soluzione delle questioni relative alle minoranze (par 30).<br />

Si enuncia poi una serie di diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali, che<br />

possono essere esercitati sia individualmente che in associazione con altri membri del loro<br />

gruppo; in particolare: il diritto di esercitare pienamente ed effettivamente i diritti dell’uomo e le<br />

libertà fondamentali senza discriminazione alcuna e in piena uguaglianza dinanzi alla legge,<br />

con l’impegno, per gli Stati partecipanti, ad adottare ove necessario “misure speciali” per garantire<br />

la piena uguaglianza (par. 31); il diritto di esprimere liberamente, preservare e sviluppare la<br />

propria identità etnica, culturale, linguistica o religiosa e di mantenere e sviluppare la propria<br />

cultura in tutti i suoi aspetti, al riparo da ogni tentativo di assimilazione forzata contro la volontà<br />

(par. 32); in tale contesto, il diritto di usare liberamente la propria lingua nella vita privata e in<br />

quella pubblica (par. 32.1), di creare e conservare proprie istituzioni o associazioni, con possibilità<br />

di richiedere interventi finanziari o di altro genere secondo la legislazione nazionale (par.<br />

32.2), di praticare e professare la propria religione e di svolgere attività educative religiose nella<br />

propria lingua (par. 32.3), di stabilire e mantenere liberi contatti sia all’interno del proprio Paese<br />

che oltre frontiera con i cittadini di altri Stati con i quali sono in comune l’origine nazionale o etnica,<br />

il retaggio culturale o le convinzioni religiose (par. 3 2.4), il diritto di diffondere, avere accesso<br />

e scambiare informazioni, nella madrelingua (par. 32.5), di costituire e mantenere organizzazioni<br />

o associazioni all’interno del proprio Paese e di partecipare ad organizzazioni internazionali<br />

non governative (par. 32.6).<br />

Vengono quindi definiti gli impegni degli Stati partecipanti, ai quali si richiede di tutelare<br />

l’identità etnica, culturale, linguistica e religiosa delle minoranze nazionali, di creare le condizioni<br />

per la sua promozione adottando anche, previa consultazione delle minoranze interessate, le<br />

necessarie misure, che devono essere anche “conformi ai principi di uguaglianza e non discriminazione”<br />

(par. 33) e di adoperarsi per assicurare in concreto la possibilità dell’istruzione della<br />

o nella madrelingua, nonché, “laddove possibile e necessario”, l’uso di tale lingua nei rapporti<br />

con le pubbliche autorità (par. 34).<br />

Con riguardo alla vita pubblica gli Stati dovranno inoltre rispettare il diritto delle persone<br />

appartenenti a minoranze nazionali di partecipare effettivamente agli affari pubblici, anche per<br />

le questioni relative alla tutela e alla promozione della loro identità.<br />

A tale proposito si indica in particolare, come uno dei mezzi pubblici per conseguire le<br />

finalità, “la costituzione di amministrazioni locali o autonome adeguate, rispondenti ai fattori<br />

specifici storici e territoriali relativi a tali minoranze e conformi alle politiche dello Stato” (par.<br />

35).<br />

Viene anche riconosciuta la particolare importanza di rafforzare la cooperazione tra gli<br />

75


Stati sulle questioni relative a minoranze nazionali (par. 36) e saranno pienamente rispettati gli<br />

impegni assunti in base alle convenzioni esistenti sui diritti dell’uomo e agli altri pertinenti strumenti<br />

internazionali, valutando di aderire alla Convenzione non ancora sottoscritta, comprese<br />

quelle che prevedono il diritto di ricorso da parte dei singoli (par. 38).<br />

Ulteriori impegni vengono assunti per combattere l’odio razziale, etnico o religioso ed<br />

ogni altra forma di discriminazione e persecuzione, che vengono fermamente condannati, e per<br />

tutelare le persone o i gruppi che possono esserne vittime (par. 40).<br />

Al meccanismo della dimensione umana deciso a Vienna, ritenuto un valido strumento<br />

di cooperazione e di ausilio per la soluzione delle inerenti questioni, vengono apportati taluni ritocchi,<br />

per accrescere l’efficacia delle relative procedure.<br />

Ma è nella terza riunione della Conferenza sulla Dimensione Umana, che ha avuto luogo<br />

a Mosca dal 10 settembre al 4 ottobre 1991, cioè dopo l’adozione della Carta di Parigi per<br />

una nuova Europa e la Riunione di Esperti sulle minoranze nazionali tenutasi a Ginevra, che il<br />

“meccanismo” e stato notevolmente rafforzato ed ampliato, per ridurre i tempi delle procedure e<br />

per favorire la soluzione di questioni o di specifiche situazioni.<br />

Infatti, oltre a fissare i tempi per la risposta alle richieste di informazioni ed alle osservazioni<br />

(dieci giorni) e per gli incontri bilaterali (nel più breve tempo possibile e di regola entro una<br />

settimana), si prevede anche l’intervento di missioni di “esperti” o di “relatori” della CSCE, tratti<br />

da un elenco di eminenti personalità appositamente costituito, che operano secondo presupposti<br />

e procedure diversamente definiti. Nel caso di una minaccia particolarmente grave<br />

all’attuazione delle disposizioni della dimensione umana l’avvio della procedura per l’invio di<br />

una missione di relatori prescinde dall’esaurimento delle prime due fasi del meccanismo o delle<br />

altre procedure, ma deve comunque avere l’appoggio di almeno altri nove Stati.<br />

Il documento conclusivo di Mosca affronta inoltre molteplici questioni nel campo della<br />

giustizia, della libertà personale, dei diritti dell’uomo e delle altre libertà fondamentali, toccando<br />

anche il tema delle minoranze nazionali (par. 37), per le quali vengono confermate le disposizioni<br />

e gli impegni assunti in tutti i documenti CSCE, e in particolare il Documento della Riunione<br />

di Copenaghen della Conferenza sulla Dimensione Umana ed il rapporto della Riunione di<br />

esperti sulle minoranze nazionali di Ginevra, di cui viene chiesta la piena e pronta attuazione.<br />

76


CARTA DI PARIGI PER UNA NUOVA EUROPA<br />

Anche la Carta di Parigi per una nuova Europa riserva particolare attenzione alle minoranze<br />

nazionali.<br />

Adottata a conclusione del Vertice dei Capi di Stato e di <strong>Governo</strong> degli Stati partecipanti<br />

alla CSCE tenutosi a Parigi dal 19 al 21 novembre 1990 dopo i profondi mutamenti verificatisi in<br />

Europa a seguito degli avvenimenti del 1989, la Carta costituisce un documento fondamentale<br />

nel percorso della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, riconfermando la<br />

piena validità dei Dieci Principi dell’Atto Finale di Helsinki e segnando l’avvio, sulla base di essi<br />

e di tutti gli altri impegni CSCE, di una nuova fase delle relazioni tra i Paesi partecipanti, fondata<br />

sul rispetto e sulla cooperazione, verso l’obiettivo di “una democrazia basata sui diritti dell’uomo<br />

e sulle libertà fondamentali, la prosperità attraverso la libertà economica e la giustizia sociale<br />

nonché una uguale sicurezza” per tutti i Paesi partecipanti.<br />

In tale quadro gli Stati partecipanti, nel definire i precetti in tema di diritti dell’uomo, democrazia<br />

e stato di diritto, hanno anche affermato che “l’identità etnica, culturale, linguistica e<br />

religiosa delle minoranze nazionali sarà tutelata e che le persone appartenenti a minoranze nazionali<br />

hanno il diritto di esprimere liberamente, preservare e sviluppare tale identità senza discriminazioni<br />

di alcun genere ed in piena uguaglianza di fronte alla legge”.<br />

In particolare, nel capitolo dedicato agli “Orientamenti per il futuro”, gli Stati partecipanti,<br />

decisi a promuovere “il prezioso contributo delle minoranze nazionali alla vita delle nostre società”,<br />

si sono impegnati a migliorarne ulteriormente le condizioni riaffermando la “profonda convinzione<br />

che le relazioni amichevoli fra i nostri popoli, nonché la pace, la giustizia, la stabilità e<br />

la democrazia, richiedono che venga tutelata l’identità etnica, culturale, linguistica e religiosa<br />

delle minoranze nazionali e che vengano create le condizioni per la promozione di tale identità”.<br />

Essi hanno anche ribadito che le questioni relative alle minoranze nazionali possono<br />

essere risolte in modo soddisfacente soltanto in un contesto politico democratico, riconoscendo<br />

inoltre che i diritti delle persone ad esse appartenenti devono essere pienamente rispettati quale<br />

parte dei diritti universali dell’uomo.<br />

Nell’intento di conseguire una maggiore cooperazione in materia e una migliore tutela<br />

delle minoranze nazionali, della cui “urgente esigenza” gli Stati partecipanti si sono dichiarati<br />

consapevoli, è stata altresì decisa la convocazione di una riunione di Esperti sulle minoranze<br />

nazionali, da tenersi a Ginevra dal 10 al 19 luglio 1991, con lo scopo di discutere approfonditamente<br />

il problema delle minoranze nazionali e dei diritti delle persone che vi appartengono, tenendo<br />

anche conto della diversità delle situazioni e dei contesti giuridici, storici, politici ed economici,<br />

e di avere uno scambio di vedute sull’esperienza pratica, esaminando anche<br />

l’attuazione degli impegni in materia, e i possibili miglioramenti del relativo standard, nonché<br />

nuove misure per migliorare l’attuazione stessa.<br />

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RAPPORTO DELLA RIUNIONE DI GINEVRA DELLA C.S.C.E. DI ESPERTI SULLE MINO-<br />

RANZE NAZIONALI<br />

Come deciso a Parigi, la riunione degli Esperti sulle minoranze nazionali si è tenuta a<br />

Ginevra dal l° al 19 luglio 1991, e ad essa hanno partecipato anche rappresentanti delle Nazioni<br />

Unite e del Consiglio d’Europa.<br />

Secondo le finalità prefissate, sui problemi delle minoranze nazionali e dei diritti delle<br />

persone appartenenti a tali minoranze è stato svolto un dibattito molto approfondito, che ha rispecchiato<br />

il quadro di diversità delle situazioni e degli antecedenti giuridici, storici, politici ed<br />

economici dei vari Paesi, e sono state inoltre esaminate diverse proposte per il miglioramento<br />

dell’attuazione degli impegni in materia.<br />

A conclusione dei lavori è stato adottato un Rapporto riepilogativo, che è stato poi trasmesso,<br />

per la programmata terza riunione di Mosca, alla Conferenza sulla dimensione umana,<br />

che, come detto in tale sede lo ha espressamente richiamato auspicandone l’attuazione.<br />

Nel Rapporto si afferma che il rispetto ed il pieno esercizio dei diritti dell’uomo e delle libertà<br />

fondamentali, inclusi quelli delle persone appartenenti alle minoranze nazionali, sono “il<br />

fondamento della Nuova Europa” e si sottolinea “la costante importanza di un riesame approfondito<br />

dell’attuazione” dei relativi impegni.<br />

Quanto al rispetto del diritto delle persone appartenenti a minoranze nazionali di partecipare<br />

agli affari pubblici, viene evidenziata a tal fine l’esigenza di un loro effettivo coinvolgimento<br />

allorché vengano discusse questioni relative alla situazione delle minoranze nazionali, come<br />

pure l’importanza di una appropriata partecipazione democratica ad organi decisionali o consultivi,<br />

e si riaffermano il principio della non discriminazione ed il diritto delle persone appartenenti<br />

alle minoranze nazionali di esprimere liberamente, preservare e sviluppare la propria identità<br />

etnica, linguistica o religiosa e di mantenere e sviluppare la propria cultura in tutti i suoi aspetti,<br />

al riparo da ogni tentativo di non voluta assimilazione (par. III).<br />

Si indicano quindi, nel paragrafo IV, le azioni positive che gli Stati devono attuare per<br />

assicurare in concreto la piena uguaglianza e la pari opportunità, per tutelare l’identità etnica,<br />

culturale, linguistica e religiosa delle minoranze nazionali nel loro territorio e per creare le condizioni<br />

per la promozione di tale identità.<br />

Di notevole rilievo in tale contesto la decisione di segnalare anche una lunga serie di<br />

specifiche soluzioni adottate con risultati positivi da alcuni Stati e che singolarmente o in associazione<br />

possono essere utili per migliorare la situazione delle minoranze.<br />

Vengono in particolare citate concretamente - le soluzioni che prevedano:<br />

- organi consultivi decisionali nei quali siano rappresentate le minoranze, in particolare per<br />

quanto riguarda l’educazione, la cultura e la religione;<br />

- organi ed assemblee elettivi per le questioni delle minoranze nazionali;<br />

- amministrazioni locali ed autonome, nonché autonomia su una base territoriale, inclusa<br />

l’esistenza di organi consultivi, legislativi ed esecutivi scelti mediante elezioni libere e periodiche;<br />

- amministrazione autonoma da parte di una minoranza nazionale degli aspetti concernenti la<br />

propria identità in situazioni in cui non si applica l’autonomia su base territoriale;<br />

- forme di governo decentralizzate o locali;<br />

- accordi bilaterali e multilaterali ed altre intese concernenti le minoranze nazionali;<br />

- per le persone appartenenti a minoranze nazionali, opportunità di adeguati livelli di educazione<br />

nella loro madrelingua con il dovuto riguardo al numero, ai modelli di insediamento,<br />

geografico ed alle tradizioni culturali delle minoranze nazionali;<br />

- stanziamenti per l’insegnamento delle lingue delle minoranze alla popolazione in generale,<br />

nonché inserimento delle lingue delle minoranze in istituzioni per la formazione degli insegnanti,<br />

in particolare nelle regioni abitate da persone appartenenti a minoranze nazionali;<br />

- nei casi in cui l’insegnamento di una particolare disciplina non sia assicurato nel loro territorio<br />

nella lingua della minoranza a tutti i livelli, adozione delle misure necessarie al fine di trovare<br />

i mezzi per il riconoscimento dei titoli di studio rilasciati all’estero per un corso di studio<br />

portato a termine in tale lingua;<br />

- creazione di agenzie governative di ricerca per riesaminare la legislazione e diffondere le informazioni<br />

connesse con la parità dei diritti e la non-discriminazione;<br />

78


- fornitura di assistenza finanziaria e tecnica alle persone appartenenti alle minoranze nazionali<br />

che lo desiderino per consentire loro di esercitare il proprio diritto di creare e conservare<br />

le proprie istituzioni, organizzazioni e associazioni educative, culturali e religiose;<br />

- assistenza governativa per affrontare le difficoltà locali relative a prassi discriminatorie (per<br />

esempio, un servizio di consultazione per i cittadini);<br />

- incoraggiamento degli sforzi per migliorare le relazioni di base nell’ambito di una comunità<br />

fra le comunità minoritarie, fra le comunità maggioritarie e minoritarie, e fra le comunità limitrofe<br />

al fine di contribuire a prevenire l’insorgere di tensioni locali e affrontare pacificamente<br />

eventuali conflitti;<br />

- incoraggiamento dell’istituzione di commissioni miste e permanenti, sia interstatali che regionali,<br />

per agevolare la continuazione del dialogo tra le regioni confinanti interessate.<br />

Viene inoltre riaffermato, nella parte V, l’impegno a rispettare il diritto delle persone appartenenti<br />

a minoranze nazionali di esercitare godere dei propri diritti singolarmente o in comune con<br />

altri e di creare e conservare proprie organizzazioni ed associazioni, anche educative, culturali<br />

e religiose, con l’impegno a non ostacolarne l’esercizio, riconoscendo al riguardo il “ruolo rilevante<br />

e vitale” svolto da persone, da organizzazioni non governative e da gruppi religiosi e di<br />

altro genere nel promuovere la comprensione transculturale e nel migliorare le relazioni a tutti i<br />

livelli delle società, anche al di là delle frontiere.<br />

Altri aspetti rilevanti ai fini di tutela vengono trattati nella parte VI, concernente in particolare<br />

i fenomeni di odio razziale, etnico e religioso e di discriminazione, e nella parte VII, ove si<br />

prevedono impegni degli Stati per assicurare libere comunicazioni tra le persone appartenenti a<br />

minoranze nazionali, l’accesso ai “media” senza discriminazioni, liberi contatti sia all’interno dello<br />

Stato che al di là delle frontiere, nonché per incoraggiare accordi di cooperazione transfrontaliera<br />

a livello nazionale, regionale e locale.<br />

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DOCUMENTO CONCLUSIVO DEL VERTICE DI HELSINKI (9-10 LUGLIO 1992)<br />

“LE SFIDE DEL CAMBIAMENTO”<br />

Il Vertice dei Capi di Stato o di <strong>Governo</strong> tenutosi ad Helsinki il 9 e 10 luglio 1992 ha segnato<br />

ulteriori progressi nel campo della dimensione umana e della protezione delle minoranze<br />

nazionali.<br />

In quella sede, infatti, è stato ulteriormente ritoccato il “meccanismo della dimensione<br />

umana”, per adeguarlo al nuovo assetto delle strutture e delle istituzioni della CSCE e, con più<br />

specifico riguardo alle minoranze nazionali, è stata decisa l’istituzione di un Alto Commissario<br />

per le Minoranze Nazionali, in funzione di prevenzione di conflitti attraverso un sistema di preallarme<br />

e di gestione preventiva di situazioni di crisi.<br />

L’Alto Commissario ha in particolare il compito di fornire un “preallarme” e, se del caso,<br />

un’“azione tempestiva” quanto più sollecitamente possibile in relazione a tensioni concernenti<br />

questioni relative a minoranze nazionali capaci di trasformarsi in un conflitto nell’area CSCE,<br />

che pregiudichino la pace, la stabilità o le relazioni fra gli Stati partecipanti, e di richiedere<br />

l’attenzione e l’azione del Consiglio della CSCE, organo decisionale centrale e di governo, o del<br />

Comitato degli Alti Funzionari (CSO).<br />

In tale contesto gli Stati partecipanti hanno nuovamente ribadito, “nei termini più energici”,<br />

la loro determinazione ad attuare in maniera sollecita e fedele a tutti gli impegni CSCE,<br />

compresi quelli contenuti nei Documenti conclusivi di Vienna e Copenaghen e nel Rapporto degli<br />

Esperti sulle Minoranze Nazionali di Ginevra, riguardanti questioni relative alle minoranze<br />

nazionali e ai diritti delle persone ad esse appartenenti (p. 23), impegnandosi in tale contesto ad<br />

intensificare gli sforzi per assicurare il libero esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali,<br />

incluso il diritto di partecipare pienamente, secondo le procedure decisionali, democratiche<br />

di ciascuno Stato, alla vita politica, economica, sociale e culturale dei loro Paesi, anche attraverso<br />

la partecipazione democratica agli organi decisionali e consultivi a livello nazionale, regionale<br />

e locale, tramite, tra l’altro, i partiti politici e le associazioni (p. 24).<br />

Si è inoltre deciso (p. 25-27) che da parte degli Stati si continuino ad esplorare, con<br />

sforzi unilaterali, bilaterali e multilaterali, nuove vie per una più efficace attuazione dei loro impegni,<br />

compresi quelli relativi alla tutela e alla creazione di condizioni atte a promuovere<br />

l’identità etnica, culturale, linguistica e religiosa delle minoranze nazionali, affrontando le questioni<br />

relative alle minoranze nazionali in maniera costruttiva, con mezzi pacifici e attraverso il<br />

dialogo fra tutte le parti interessate, condannando ogni tentativo di reinsediamento forzoso di<br />

persone finalizzato a modificare la composizione etnica di zone nei loro territori.<br />

80


DOCUMENTO DEL VERTICE DI BUDAPEST<br />

“VERSO UNA VERA PARTNERSHIP IN UNA NUOVA ERA”<br />

Il successivo Vertice di Budapest, conclusosi con l’adozione del documento del 6 dicembre<br />

1994 “Verso una vera partnership in una nuova era”, ha portato al cambiamento della<br />

denominazione della CSCE in Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa<br />

(OSCE), in relazione al mutamento sostanziale e all’ampliamento del ruolo dell’Organismo determinati<br />

dalla nuova era di sicurezza e di cooperazione in Europa.<br />

In tale sede i Capi di Stato e di <strong>Governo</strong> dei Paesi partecipanti, riunitisi, alla vigilia del<br />

cinquantesimo anniversario della Seconda Guerra Mondiale e del ventesimo anniversario della<br />

firma dell’Atto Finale di Helsinki e nella ricorrenza del quinto anniversario della caduta del muro<br />

di Berlino, “per valutare insieme il recente passato, per considerare il presente e per guardare al<br />

futuro” (p. 1) hanno sottolineato come la CSCE sia stata uno strumento efficace “per abbattere<br />

le barriere e gestire il cambiamento”, con sviluppi incoraggianti (p. 4), rilevando però che “il diffondersi<br />

delle libertà è stato accompagnato da nuovi conflitti e dal risveglio di antiche ostilità” e<br />

che “i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali vengono tuttora conculcati” e persistono<br />

l’intolleranza e la discriminazione nei confronti delle minoranze.(p. 5)<br />

Di qui la ribadita esigenza di una azione risoluta da parte degli Stati partecipanti e di<br />

una cooperazione per assicurare il pieno rispetto dei principi e degli impegni CSCE e una effettiva<br />

solidarietà al fine di alleviare le sofferenze, con la conseguente decisione, tra le altre, di potenziare<br />

il quadro della cooperazione e del dialogo nel campo della dimensione umana e di ampliare<br />

il quadro operativo della CSCE, potenziando in particolare l’Ufficio per le Istituzioni Democratiche<br />

e i Diritti dell’Uomo (ODIHR) e rafforzandone il ruolo, anche ai fini di una maggiore<br />

cooperazione con altre organizzazioni ed istituzioni internazionali, che operano nel campo della<br />

dimensione umana. Con specifico riguardo alle minoranze nazionali è stata inoltre confermata<br />

la determinazione di promuovere costantemente l’attuazione delle disposizioni dell’Atto Finale di<br />

Helsinki e di tutti gli altri documenti CSCE relativi alla tutela dei diritti delle persone appartenenti<br />

alle minoranze nazionali, accogliendo con favore le iniziative internazionali volte ad una migliore<br />

tutela dei diritti delle persone appartenenti a tali minoranze, tra le quali la Convenzione quadro<br />

la protezione delle minoranze nazionali che è stata aperta a firma anche agli Stati non membri<br />

(VIII - p. 21-22).<br />

81


GLI INTERVENTI DELL’UNIONE EUROPEA<br />

83


PREMESSA<br />

La difesa e la promozione dei diritti umani e delle libertà fondamentali e lo sviluppo delle<br />

culture degli Stati membri rappresentano obiettivi imprescindibili per la Comunità Europea.<br />

L’impegno per il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ha costituito infatti<br />

uno dei compiti centrali del Parlamento e della Comunità europea, che lo ha anche posto<br />

come condizione preliminare, essenziale per poter entrare a far parte della Comunità e per la<br />

conclusione di accordi di cooperazione con i Paesi terzi.<br />

Il Parlamento Europeo ha anche previsto un sistema di monitoraggio delle situazioni<br />

concernenti i diritti dell’uomo nel mondo attraverso relazioni annuali presentate dalla competente<br />

Commissione politica, prendendo posizioni nette e decise in presenza di violazioni.<br />

La cultura, poi, ha assunto nel tempo un ruolo sempre più importante nell’elaborazione<br />

e nell’attuazione delle politiche comunitarie, nel convincimento che essa è uno strumento fondamentale<br />

per favorire la cooperazione e la pace e che per progredire verso l’Unione europea<br />

l’integrazione economica deve essere accompagnata da un incisivo sviluppo delle politiche culturali.<br />

Nel Trattato di Maastricht è stata anche inserita una specifica norma sulla cultura, l’art.<br />

128, che impegna la Comunità a contribuire “al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri<br />

nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale<br />

comune”.<br />

Nel quadro di tali obiettivi la Comunità europea è intervenuta anche a favore della tutela<br />

delle minoranze.<br />

LE RISOLUZIONI DEL PARLAMENTO EUROPEO<br />

Si è già avuto modo di accennare come negli anni ‘80 andasse sempre più maturando<br />

presso gli Organismi europei la consapevolezza che per una effettiva tutela internazionale delle<br />

minoranze fossero necessarie previsioni volte non soltanto a formulare principi fondamentali sui<br />

diritti delle minoranze, ma anche a tradurre i principi stessi in concrete misure attuative e di garanzia<br />

da parte degli Stati.<br />

Nella medesima direzione si è mossa la Comunità Europea.<br />

E’ in particolare con la Risoluzione del Parlamento Europeo del 16 ottobre 1981 su “una<br />

Carta delle lingue e culture regionali e una Carta dei diritti delle minoranze etniche” e con la<br />

contemporanea Raccomandazione 928 (1981) dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio<br />

d’Europa “sui problemi dell’educazione e della cultura delle lingue minoritarie in Europa”, che si<br />

inizia l’elaborazione dei progetto della Carta Europea delle Lingue regionali e/o minoritarie,<br />

strumento che è stato poi adottato il 5 novembre 1992 e che, in quanto convenzione, è giuridicamente<br />

impegnativo per gli Stati contraenti.<br />

Con la Risoluzione del 1981, infatti, il Parlamento Europeo muoveva dalla considerazione<br />

che l’identità culturale è uno dei bisogni psicologici non materiali più importanti e che per<br />

la salvaguardia di un patrimonio linguistico e culturale è imprescindibile creare e consolidare le<br />

condizioni idonee e necessarie per il suo continuo sviluppo.<br />

Sulla base di tali considerazioni e nell’intento di consolidare la coesione dei popoli europei<br />

e di preservarne le lingue così da arricchirne la multiculturalità, con tale Risoluzione il Parlamento<br />

Europeo invitava i governi nazionali e i poteri regionali e locali ad adottare una politica<br />

di tutela delle minoranze che avesse una comune ispirazione e tendesse agli stessi fini, con misure<br />

nei campi dell’istruzione, dell’informazione, della vita pubblica e dei rapporti sociali.<br />

In particolare, per quanto concerne il settore dell’istruzione, si richiedeva di consentire e<br />

promuovere l’insegnamento delle lingue e culture minoritarie nell’ambito dei programmi ufficiali,<br />

dalla scuola materna fino all’università, nonché nelle lingue minoritarie, in particolare nella scuola<br />

materna, come pure l’insegnamento della letteratura e della storia delle comunità interessate.<br />

Nel campo dei mezzi di comunicazione di massa si invitava a permettere e a rendere<br />

possibile l’accesso alla radio e alla televisione locali, a favorire la formazione di operatori culturali<br />

specializzati e a fare in modo che le minoranze per le loro manifestazioni culturali fruissero,<br />

nelle dovute proporzioni, di aiuti organizzativi e finanziari equivalenti a quelli di cui disponevano<br />

le maggioranze.<br />

85


Quanto al campo della vita pubblica e dei rapporti sociali, si invitava ad attribuire in materia<br />

una responsabilità diretta ai poteri locali, a “favorire al massimo la corrispondenza tra regioni<br />

culturali e disegno geografico dei poteri locali” e a garantire la possibilità di usare la propria<br />

lingua nei rapporti con i rappresentanti dello Stato e dinanzi agli organi giudiziari.<br />

La Commissione Europea veniva inoltre invitata a prevedere, nel quadro<br />

dell’educazione linguistica, progetti-pilota destinati a verificare i metodi di una educazione plurilingue,<br />

ad includere nei propri programmi relativi ai settori dell’informazione e della cultura iniziative<br />

volte a dare vita ad una politica culturale europea che tenesse conto delle aspettative<br />

delle minoranze etniche e linguistiche europee, e a riesaminare tutta la normativa e tutte le<br />

prassi comunitarie che operavano discriminazioni nei confronti delle lingue delle minoranze.<br />

Si raccomandava anche che da parte del Fondo regionale fossero destinati finanziamenti<br />

a progetti rivolti a sostenere le culture regionali e popolari, nonché a progetti economici<br />

regionali, al fine di favorire lo sviluppo economico delle aree interessate.<br />

L’esigenza di prevedere misure specifiche per la tutela delle lingue e delle culture delle<br />

minoranze veniva nuovamente riproposta dal Parlamento Europeo con la Risoluzione del “1<br />

febbraio 1983 “sulle misure a favore delle lingue e delle culture di minoranza”, con l’invito ad intensificare<br />

gli sforzi in tale settore, ed ancora, più diffusamente, con la Risoluzione del 30 ottobre<br />

1987 “sulle lingue e culture delle minoranze etniche e regionali nella Comunità Europea”.<br />

Con tale ultima Risoluzione, richiamandosi ai principi sui diritti delle minoranze sanciti<br />

dalle Nazioni Unite e dal Consiglio d’Europa, il Parlamento Europeo invitava alla completa applicazione<br />

dei principi e delle misure contenute nelle precedenti Risoluzioni e sottolineava la<br />

necessità che gli Stati membri riconoscessero le loro minoranze linguistiche nei rispettivi ordinamenti<br />

giuridici così da creare la premessa per il mantenimento e lo sviluppo delle culture e<br />

delle lingue regionali e minoritarie, sollecitando gli Stati che avevano già previsto nella propria<br />

Costituzione principi generali di tutela delle minoranze a provvedere tempestivamente, con<br />

norme organiche, all’attuazione concreta di tali principi.<br />

Si raccomandava, inoltre, l’adozione di una serie di misure concrete volte a consentire e<br />

favorire l’uso e lo sviluppo delle lingue regionali e minoritarie nei diversi settori della vita pubblica,<br />

culturale, sociale ed economica.<br />

In particolare, per quanto concerne l’istruzione, si richiedeva tra l’altro di organizzare ufficialmente,<br />

nelle zone linguistiche interessate, l’insegnamento nelle lingue regionali e minoritarie<br />

equiparato con quello nella lingua nazionale, dalla formazione prescolare all’università e alla<br />

formazione permanente, e di riconoscere ufficialmente i corsi, le classi e le scuole istituiti da associazioni<br />

abilitate all’insegnamento, che utilizzassero per l’insegnamento una lingua regionale<br />

o minoritaria.<br />

Si invitava anche a dedicare particolare attenzione alla formazione di personale insegnante<br />

nelle lingue regionali o minoritarie e ad assicurare inoltre gli strumenti pedagogici necessari<br />

per la realizzazione degli interventi nel campo dell’istruzione.<br />

Quanto ai rapporti amministrativi e giuridici si raccomandava di garantire, nelle aree di<br />

insediamento, l’impiego delle lingue regionali e minoritarie negli enti locali e negli uffici periferici<br />

dell’autorità centrale e di rivedere la legislazione nazionale e le prassi discriminanti nei confronti<br />

delle lingue delle minoranze, come pure di riconoscere ufficialmente i patronimici e i toponimi<br />

esistenti nelle lingue regionali o minoritarie, consentendo inoltre nelle liste elettorali la denominazione<br />

di località ed altre indicazioni in tali lingue.<br />

Con riguardo al campo dei mezzi di comunicazione di massa si esortava a consentire<br />

l’accesso alle emittenti pubbliche e private e ad assicurare ai gruppi minoritari, per i loro programmi,<br />

sostegni organizzativi e finanziari analoghi a quelli della maggioranza, raccomandando<br />

anche di sostenere la formazione dei giornalisti e del personale operante nel settore.<br />

Nel campo delle attività culturali si richiedeva di garantire la partecipazione diretta dei<br />

rappresentanti di gruppi che utilizzano lingue regionali o minoritarie alla gestione della cultura e<br />

alle attività collaterali, e di creare fondazioni o istituti per lo studio delle lingue regionali o minoritarie<br />

in grado, tra l’altro, di elaborare gli strumenti didattici necessari alla loro introduzione nella<br />

scuola nonché di redigere un “inventario generale” delle lingue regionali o minoritarie interessate,<br />

assicurando il necessario sostegno materiale e finanziario per la realizzazione delle relative<br />

misure.<br />

Per quanto concerne la realtà socioeconomica, si raccomandava di prevedere l’impiego<br />

delle lingue regionali o minoritarie nelle imprese pubbliche e di riconoscere l’impiego di tali lin-<br />

86


gue nei sistemi di pagamento (assegni postali e attività bancarie), nonché nella toponomastica,<br />

nelle iscrizioni dei cartelli stradali e nella segnaletica stradale.<br />

Un riferimento specifico veniva inoltre rivolto alle lingue regionali e minoritarie utilizzate<br />

in più Stati membri, e in particolare nelle zone di confine, per le quali si raccomandava sia di<br />

provvedere a meccanismi appropriati di cooperazione transfrontaliera nell’ambito della politica<br />

culturale e linguistica, sia di incentivare tale cooperazione.<br />

La successiva Risoluzione A3-0396/92 del 21 gennaio 1993 “sulla Comunicazione della<br />

Commissione concernente le nuove prospettive per l’azione della Comunità nel settore culturale”,<br />

interviene dopo l’adozione del Trattato di Maastricht, che introduce la specifica disposizione<br />

di cui all’art. 128 finalizzata allo sviluppo delle culture degli Stati membri.<br />

Tale Risoluzione si occupa pertanto, in particolare della valorizzazione della cultura europea<br />

nelle sue molteplici espressioni di politiche culturali adeguate, anche a livello comunitario<br />

secondo il principio di sussidiarietà, sottolineando che sempre di più la cultura costituisce un fattore<br />

fondamentale di coesione sociale e di crescita della soggettività e che il cammino verso<br />

l’Unione Europea passa “attraverso la manifestazione e la promozione dell’identità culturale europea,<br />

in quanto unità composta tanto più evidente quanto maggiore è la forza ed efficace la<br />

promozione delle diverse culture europee, nazionali, regionali o delle minoranze”.<br />

In tale ampio contesto, quindi, l’attenzione è rivolta anche alle culture delle minoranze e<br />

in particolare alle lingue regionali o minoritarie, la cui difesa e valorizzazione viene considerata<br />

“una premessa metodologica essenziale per ogni politica culturale davvero consapevole di un<br />

approccio finalizzato a mettere in risalto la diversità culturale dell’Europa”.<br />

Ma con la Risoluzione A3-0056/93 sui “diritti dell’uomo nel mondo e sulla politica comunitaria<br />

dei diritti umani per gli anni 1991-1992” del 12 marzo 1993 il Parlamento Europeo amplia<br />

ulteriormente i temi di protezione delle minoranze nazionali, non più specificamente attinenti agli<br />

aspetti della lingua e della cultura, bensì riferiti al più ampio quadro dei diritti dell’uomo e delle<br />

libertà fondamentali.<br />

Nella Risoluzione del 1993, quindi, si sottolinea innanzitutto che il rispetto dei diritti u-<br />

mani e delle libertà fondamentali deve essere preso sempre più in considerazione nelle posizioni<br />

del Parlamento Europeo sugli accordi con i Paesi terzi e nella cooperazione internazionale<br />

e si chiede, conseguentemente, che i diritti umani rappresentino sempre una parte esplicita del<br />

mandato per negoziare con tali Paesi e che tutti gli accordi con essi contengano un meccanismo<br />

appropriato che possa diventare immediatamente operativo non appena si verifichino palesi<br />

violazioni dei diritti dell’uomo.<br />

Si sottolinea inoltre il ruolo primario del Consiglio d’Europa per quanto concerne i diritti<br />

umani nell’Europa ampliata evidenziando che i criteri dallo stesso fissati “hanno costituito un<br />

punto di riferimento per i Paesi di recente democratizzazione dell’Europa centrale e orientale”<br />

(76).<br />

Si sottolinea anche il crescente impegno della CSCE sul tema della dimensione umana<br />

ricordando che nel documento di Copenaghen del giugno 1990 sono stati affermati molti importanti<br />

diritti, soprattutto in merito a quelli delle minoranze (79), e si considera il meccanismo di<br />

intervento della diplomazia preventiva come definito nella Conferenza di Helsinki del 1992, un<br />

utile strumento per allentare le tensioni e scoraggiare i conflitti, (92) pur rilevando l’opportunità<br />

di un coordinamento con le altre iniziative intergovernative.<br />

Alle minoranze è riservata una specifica parte della Risoluzione, nella quale si rileva<br />

che il problema della crescente tensione tra etnie e nazionalità si sta sviluppando in modo evidente<br />

sia in Europa che nel resto del mondo, e si ricorda che le garanzie giuridiche e politiche a<br />

tutela delle minoranze etniche, nazionali, religiose, linguistiche ed i diritti umani connessi “devono<br />

essere assicurate in modo tale che nessun svantaggio insuperabile derivi dal fatto di appartenere<br />

ad una minoranza” qualunque sia la soluzione che nei diversi casi si dà al problema della<br />

sovranità nazionale e delle frontiere (97), e che la previsione di adeguate garanzie per le minoranze<br />

è tra le condizioni indispensabili per il riconoscimento di nuovi Stati e per stabilire relazioni<br />

di cooperazione con essi (98).<br />

Si appoggia inoltre la nomina dell’Alto Commissario per le Minoranze nazionali in seno<br />

alla CSCE (100) e si afferma che i problemi relativi alle minoranze sono di legittimo interesse<br />

internazionale, riconoscendo il ruolo guida del Consiglio d’Europa nel campo dei diritti umani<br />

(101).<br />

L’adozione, da parte della Assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1992,<br />

87


della Dichiarazione sui diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali o etniche, religiose<br />

o linguistiche è accolta con grande favore (102), ma attesa la mancanza, nonostante<br />

questa importante dichiarazione, di uno strumento internazionalmente vincolante per quanto riguarda<br />

la tutela delle minoranze, si ravvisa la necessità “di concepire un sistema internazionale,<br />

che possibilmente trovi ispirazione nella CSCE, per una attiva protezione delle minoranze (103).<br />

Nel ricordare al riguardo che da parte del Consiglio d’Europa è stata adottata la “Carta<br />

Europea per le Lingue regionali e/o minoritarie” sotto forma di convenzione, e quindi internazionalmente<br />

vincolante, aperta alla firma del 5 novembre 1992, si sollecitano gli Stati ad aderirvi<br />

senza indugio e ad accelerare, in sede di Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, la stipula<br />

di un protocollo interlocutorio relativo alla Convenzione sulla tutela dei diritti umani delle minoranze<br />

(107), stipula alla quale poco tempo dopo si perverrà con l’adozione della Convenzionequadro<br />

per la protezione delle minoranze nazionali, aperta alla firma il 10 febbraio 1995.<br />

Si decide, infine, un ulteriore rafforzamento dell’azione del Parlamento europeo nel<br />

campo dei diritti umani, anche in relazione al suo potere di non concedere il parere conforme<br />

per accordi con Paesi terzi in presenza di gravi violazioni dei diritti umani (149 e 150) e di attuare<br />

un maggior coordinamento con altri organismi nazionali ed internazionali operanti nel settore,<br />

sia all’interno che all’esterno della Comunità europea (158).<br />

Sulle minoranze linguistiche e culturali il Parlamento Europeo torna ancora con la Risoluzione<br />

A3-0042/94 del 9 febbraio 1994 per esortare ad una azione di protezione e promozione<br />

della diversità linguistica quale “fattore chiave nella realizzazione di una Europa pacifica e democratica”.<br />

Si considera infatti che la Comunità europea ha la responsabilità di sostenere gli Stati<br />

per quanto attiene allo sviluppo delle loro culture e alla salvaguardia delle loro varie identità nazionali<br />

e regionali, “in particolare delle lingue autoctone e delle minoranze”, e deve garantire<br />

una tutela giuridica, con le necessarie risorse finanziarie, anche delle lingue e culture meno diffuse<br />

in quanto parte della cultura e del patrimonio europeo dell’Unione, ed inoltre che “numerose<br />

lingue meno diffuse si trovano in una difficile situazione, dato il rapido crollo del numero di<br />

parlanti”, ciò che “mette a repentaglio il benessere di gruppi specifici di popolazione e riduce<br />

considerevolmente il potenziale di creatività dell’Europa nel suo complesso”.<br />

Mosso da tali considerazioni, il Parlamento Europeo sollecita la piena applicazione dei<br />

principi e delle proposte contenute nelle precedenti Risoluzioni, ribadendo la necessità che gli<br />

Stati membri riconoscano le proprie minoranze linguistiche e adottino le misure giuridiche ed<br />

amministrative necessarie per la conservazione e lo sviluppo delle lingue minoritarie (1 e 2).<br />

Secondo il Parlamento europeo, inoltre, tutte le lingue e culture meno diffuse debbono<br />

essere protette da uno status giuridico adeguato, che dovrebbe implicare, quanto meno, il loro<br />

uso e la promozione negli ambiti dell’insegnamento, della giustizia, dell’amministrazione pubblica,<br />

dei mezzi di informazione, della toponomastica e degli altri settori della vita pubblica e culturale,<br />

ed i cittadini di uno Stato membro che usano una lingua o hanno una cultura diversa da<br />

quella predominante all’interno dello Stato, o in una sua parte o regione, non debbono subire<br />

alcuna discriminazione, e in particolare “nessun tipo di emarginazione sociale che renda loro<br />

difficile l’accesso o la permanenza in un posto di lavoro” (3-5).<br />

Un ulteriore invito viene rivolto agli Stati membri a firmare e ratificare la Carta europea<br />

delle lingue regionali o minoritarie, che ha la veste giuridica di Convenzione ed è uno “strumento<br />

tanto efficace quanto flessibile ai fini della salvaguardia e della promozione delle lingue meno<br />

diffuse” (6-7) e si esortano gli Stati stessi e le amministrazioni regionali e locali ad incoraggiare<br />

e sostenere le associazioni specializzate, in particolare i comitati nazionali presso l’Ufficio Europeo<br />

per le Lingue meno diffuse, “al fine di valorizzare le responsabilità dei cittadini e delle loro<br />

organizzazioni in ordine all’affermazione delle loro lingue” (8).<br />

Si chiede inoltre alla Commissione di contribuire all’esecuzione delle azioni intraprese<br />

dagli Stati nel settore e di tenere in debito conto le lingue e le culture meno diffuse<br />

nell’elaborazione dei vari aspetti della politica comunitaria, al fine di “provvedere pariteticamente<br />

alle esigenze specifiche di coloro che parlano lingue minoritarie, parallelamente a quelle degli<br />

utenti di lingue maggioritarie” nei programmi concernenti l’istruzione e la cultura, incoraggiando,<br />

tra l’altro, anche l’impiego di tali lingue nell’ambito della politica audiovisiva della Comunità (10).<br />

Vengono altresì sollecitati il sostegno finanziario delle organizzazioni europee rappresentative<br />

delle lingue meno diffuse e la previsione di stanziamenti di bilancio per i programmi<br />

88


comunitari, tenendo in debito conto il retaggio linguistico e culturale delle regioni negli stanziamenti<br />

dei Fondi Strutturali Europei, nonché le esigenze degli utenti di lingue minoritarie nei Paesi<br />

dell’Europa centrale e orientale nella messa a punto di programmi comunitari per la ricostruzione<br />

economica e sociale.<br />

Nel contempo si esorta a garantire che la Comunità europea non incoraggi le lingue<br />

meno diffuse a danno delle lingue nazionali principali ed anzi faccia in modo che non sia compromesso<br />

l’insegnamento della lingua principale nelle scuole (11).<br />

Si esorta, infine, ad applicare per analogia le raccomandazioni contenute nella Risoluzione<br />

alle lingue minoritarie autoctone non territoriali, come ad esempio la lingua degli zingari,<br />

rom, sinti e l’yiddish (13).<br />

89


GLI INTERVENTI DELL’INIZIATIVA CENTRO - EUROPEA<br />

91


PREMESSA<br />

Anche l’Iniziativa Centro Europea, sin dagli inizi della cooperazione tra i suoi Stati<br />

membri, si è occupata delle questioni riguardanti le minoranze, nella considerazione che il rispetto<br />

e la promozione dei loro diritti contribuiscono in modo essenziale alla pace ed alla stabilità<br />

nell’Europa Centrale ed Orientale.<br />

Per l’approfondimento di tali questioni già nel 1990 era stato costituito un Gruppo di lavoro<br />

ad hoc, che è stato successivamente trasformato in Gruppo permanente per le minoranze<br />

e che venne tra l’altro incaricato di elaborare posizioni comuni su taluni temi fondamentali, da<br />

presentare al Vertice di Vienna dei Capi di Stato e di <strong>Governo</strong> del Consiglio d’Europa, programmato<br />

per l’ottobre 1993.<br />

In tale contesto, la delegazione italiana all’interno del Gruppo di lavoro ad hoc presentò<br />

un progetto predisposto in forma di convenzione, e quindi giuridicamente vincolante per i Paesi<br />

firmatari, che si ispirava a numerosi documenti internazionali, e in particolare a quelli della<br />

CSCE adottati nella riunione di Copenaghen del 1990 e nella riunione degli Esperti di Ginevra<br />

del 1991, alle proposte formulate in quella sede dalla Pentagonale e dalla Esagonale alla proposta<br />

di convenzione elaborata dalla Commissione per la democrazia attraverso il Diritto ed alla<br />

Raccomandazione 1201 del 1993 dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa.<br />

Senonché, nell’annuale riunione dei Capi di <strong>Governo</strong> della CEI tenutasi a Budapest il 16<br />

e 17 luglio 1993, si ritenne di far predisporre dal Gruppo di Lavoro uno “strumento” accettabile<br />

per tutti gli Stati membri basato sui principi internazionalmente accettati, strumento che per decisione<br />

assunta in quella sede, sarebbe stato, un documento politico.<br />

Dopo un intenso lavoro, mirato anche ad armonizzare i contenuti del documento con il<br />

progetto di Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali elaborato in seno<br />

al Consiglio d’Europa con il quale si era a tal fine sviluppata una stretta cooperazione, nella riunione<br />

ministeriale tenutasi a Torino il 18-19 novembre 1994 il testo dello Strumento CEI per la<br />

Protezione dei Diritti delle Minoranze così predisposto dal Gruppo di Lavoro otteneva la favorevole<br />

accoglienza dei Ministri degli Esteri dei Paesi membri, i quali presero atto che entrambi i<br />

Documenti - lo Strumento CEI e la Convenzione-quadro del Consiglio d’Europa - erano basati<br />

sui diritti delle persone appartenenti alle minoranze nazionali da esercitarsi sia individualmente<br />

sia comunitariamente, considerando inoltre tali minoranze come parte integrante dello Stato e<br />

della società in cui vivono.<br />

Nella stessa riunione lo Strumento veniva aperto alla firma degli Stati membri, di quelli<br />

associati e degli altri Paesi interessati, presso il Ministero degli Affari Esteri dell’Italia, Stato depositario<br />

dello Strumento stesso, dove tutt’ora è a disposizione per la firma.<br />

LO STRUMENTO CEI PER LA TUTELA DEI <strong>DIRITTI</strong> DELLE MINORANZE<br />

Lo Strumento CEI per la protezione dei diritti delle minoranze, che si compone di 27 articoli<br />

preceduti da un preambolo, mira a garantire la protezione delle minoranze nazionali attraverso<br />

il riconoscimento dei diritti e la previsione di misure concrete per assicurarne l’effettivo<br />

esercizio, diritti che, in linea con gli orientamenti prevalentemente emersi nelle sedi europee,<br />

sono riferiti alle persone appartenenti alle minoranze e non alle minoranze stesse in quanto tali.<br />

Nel preambolo vengono evidenziati i principi e le considerazioni ai quali gli Stati si ispirano.<br />

Si riconosce innanzitutto che le questioni relative alle minoranze nazionali possono trovare<br />

soluzioni soddisfacenti soltanto in un quadro politico realmente democratico, che sia fondato<br />

sullo stato di diritto e che garantisca pieno rispetto per i diritti umani e per le libertà fondamentali,<br />

e uguali diritti e status per tutti i cittadini, e si ribadisce che le minoranze nazionali sono<br />

una parte integrante della società dello Stato in cui vivono e un fattore di arricchimento di ogni<br />

rispettivo Stato e società.<br />

Si afferma inoltre che la loro tutela riguarda soltanto i cittadini del rispettivo Stato, in<br />

piena parità di diritti e doveri con il resto della popolazione, ma si conferma anche che le questioni<br />

concernenti i diritti delle persone appartenenti alle minoranze nazionali sono “di legittimo<br />

interesse internazionale” e pertanto “non costituiscono esclusivamente un affare interno del ri-<br />

93


spettivo Stato” e che il rispetto di tali diritti, quale parte dei diritti umani universalmente riconosciuti,<br />

è un “fattore essenziale per la pace, la giustizia, la stabilità e la democrazia negli Stati”.<br />

Si sottolinea che le relazioni di buon vicinato sono un rimedio molto efficace “per conseguire<br />

la stabilità nella regione” e che è necessario “evitare ogni incoraggiamento alle tendenze<br />

separatiste delle minoranze nazionali”, affermando che la tutela internazionale dei diritti delle<br />

persone appartenenti alle minoranze nazionali prevista nello Strumento non consente attività<br />

contrarie ai principi fondamentali del diritto internazionale e in particolare della sovranità,<br />

dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica degli Stati.<br />

Si riconosce poi la particolare importanza di una crescente cooperazione costruttiva tra<br />

gli Stati della CEI sulle questioni concernenti le minoranze nazionali, tesa anche a promuovere<br />

la reciproca comprensione e fiducia, relazioni amichevoli e di buon vicinato, pace internazionale,<br />

sicurezza e giustizia, condannando infine il “nazionalismo aggressivo”, l’odio razziale ed etnico,<br />

l’antisemitismo, la xenofobia, la discriminazione contro ogni persona o gruppo e la persecuzione<br />

per motivi religiosi e ideologici.<br />

Sulla base di questi principi, gli Stati che sottoscrivono lo Strumento riconoscono innanzitutto,<br />

all’art. I, “l’esistenza delle minoranze”, che considerano “parte integrante della società in<br />

cui vivono”, e si impegnano a garantire le condizioni idonee per la promozione della loro identità.<br />

Ai fini dell’applicazione dello Strumento, viene poi data la definizione del termine “minoranza<br />

nazionale”, inteso come “un gruppo che ha una consistenza numerica minore rispetto al<br />

resto della popolazione di uno Stato, i cui membri, cittadini di questo Stato, hanno caratteristiche<br />

etniche, religiose o linguistiche differenti da quelle del resto della popolazione, e sono animati<br />

dalla volontà di salvaguardare la propria cultura, le proprie tradizioni, la propria religione e<br />

lingua”.<br />

Nel ricondurre poi l’appartenenza ad una minoranza nazionale alla libera scelta individuale,<br />

dalla quale nessun pregiudizio deve derivare (art. 2), gli Stati riconoscono alle persone<br />

appartenenti alle minoranze nazionali il diritto di esercitare sia individualmente che in comune<br />

con altri i diritti previsti nello Strumento, come pure i diritti umani e le libertà fondamentali, senza<br />

alcuna discriminazione e in piena uguaglianza davanti alla legge (art. 3).<br />

Viene in particolare garantito il diritto di esprimere, preservare e sviluppare la propria<br />

identità etnica, culturale, linguistica o religiosa e di mantenere e sviluppare la propria cultura in<br />

tutti i suoi aspetti (art. 4), stabilendo anche che non è da considerare come atto discriminatorio<br />

l’adozione di misure speciali in favore delle persone appartenenti alle minoranze nazionali volte<br />

a promuoverne l’uguaglianza con il resto della popolazione o a tenere in debito conto le loro<br />

specifiche condizioni (art. 5), e che da parte degli Stati firmatari dovranno essere assunte concrete<br />

misure per assicurare protezione contro ogni atto che costituisca incitamento alla violenza<br />

nei confronti di persone o gruppi per motivi di ostilità, odio o discriminazione nazionale, razziale,<br />

etnica o religiosa (art. 6).<br />

Una specifica previsione poi, contenuta nell’art. 7, riguarda i Rom, di cui gli Stati firmatari<br />

riconoscono “i particolari problemi” impegnandosi ad “adottare tutte le misure giuridiche in materia<br />

amministrativa o scolastica” previste nello Strumento al fine di preservarne e svilupparne<br />

l’identità, nonché a favorire con specifiche misure l’integrazione sociale dei loro appartenenti e<br />

ad eliminare ogni forma di intolleranza nei loro confronti.<br />

Si stabilisce inoltre che gli Stati debbano astenersi dall’adottare od incoraggiare politiche<br />

miranti all’assimilazione forzata delle persone appartenenti alle minoranze, proteggendole,<br />

anche da qualsiasi azione a ciò finalizzata (art. 8), e che eventuali modifiche delle suddivisioni<br />

amministrative, giudiziarie o elettorali dovranno rispettare i diritti di tali persone ed il loro esercizio<br />

e dovranno in ogni caso essere precedute dalla consultazione, secondo la legislazione nazionale,<br />

“con le popolazioni direttamente interessate” (art. 9).<br />

Si prevede in tal modo il coinvolgimento anche della minoranza nazionale interessata,<br />

qui presa in considerazione in quanto tale, in scelte di fondamentale portata per le alterazioni<br />

che queste potrebbero comportare nell’assetto esistente e per le connesse implicazioni, anche<br />

sotto il profilo della sopravvivenza stessa della minoranza.<br />

Ampio spazio lo Strumento dedica alla protezione della lingua e della cultura delle minoranze.<br />

Quanto alla lingua, alle persone appartenenti alle minoranze si riconosce in primo luogo<br />

il diritto all’uso “liberalmente sia in pubblico che in privato, sia oralmente che per iscritto” (art.<br />

94


10), nonché al riconoscimento e alla registrazione ufficiale del proprio nome e cognome nella<br />

propria lingua, oltreché, ovviamente, al relativo uso (art. 11).<br />

Il diritto all’uso della lingua madre è riconosciuto anche nell’esercizio della libertà di religione,<br />

pure espressamente affermata (art. 14).<br />

Per quanto concerne i rapporti con la pubblica amministrazione è previsto, “quando<br />

possibile”, il diritto all’uso orale e scritto della propria lingua nei contatti con le pubbliche autorità<br />

nell’area di insediamento allorché gli appartenenti ad una minoranza raggiungono “un numero<br />

considerevole” secondo le risultanze dell’ultimo censimento o di altri metodi di valutazione (art.<br />

12).<br />

Vengono in tal modo rimesse alla discrezionalità degli Stati sia la valutazione della congruità<br />

della consistenza numerica, sia la determinazione di altre condizioni ritenute necessarie<br />

ai fini del riconoscimento del diritto.<br />

Non è previsto, inoltre, un parallelo obbligo di usare la lingua della minoranza da parte<br />

delle pubbliche autorità locali, le quali “possono rispondere, per quanto possibile” in tale lingua.<br />

Per quanto riguarda, poi, le aree in cui le persone appartenenti ad una minoranza costituiscono<br />

la maggioranza della popolazione, l’art. 15 impegna gli Stati a promuovere la conoscenza<br />

della lingua della minoranza tra i funzionari degli uffici amministrativi locali e statali decentrati<br />

e stabilisce che “sforzi devono essere compiuti per reclutare se possibile” funzionari che<br />

in aggiunta alla lingua ufficiale, abbiano una conoscenza sufficiente della lingua della minoranza.<br />

Spazi di flessibilità sono pure previsti nell’art. 13, che dà facoltà agli Stati di consentire,<br />

ove necessario attraverso accordi bilaterali con altri Stati interessati e in particolare con quelli<br />

confinanti, il ripristino della toponomastica locale e delle indicazioni topografiche in forma bilingue<br />

o plurilingue nelle zone in cui il numero delle persone appartenenti ad una minoranza raggiunge<br />

“un livello significativo”. Anche in tale caso; infatti, sono rimesse agli Stati sia la valutazione<br />

della congruità della soglia ai fini dell’adozione della misura di tutela, sia la determinazione<br />

in ordine all’adozione della misura stessa.<br />

Relativamente al campo della cultura e dell’educazione viene riconosciuto il diritto di<br />

stabilire e conservare propri istituti, organizzazioni ed associazioni culturali, che possono richiedere<br />

contributi privati e sovvenzioni pubbliche in base alla legislazione nazionale (art. 16), nonché<br />

proprie scuole private ed istituti di istruzione, ed eventualmente di ottenerne il riconoscimento<br />

secondo la legislazione nazionale in materia, con possibilità di richiedere finanziamenti<br />

anche pubblici (art. 17).<br />

Viene inoltre garantito il diritto di apprendere la propria lingua e di ricevere una istruzione<br />

in tale lingua e si stabilisce che quando in un’area il numero delle persone appartenenti ad<br />

una minoranza nazionale raggiunga un livello significativo, sforzi debbono essere compiuti “per<br />

assicurare adeguati tipi e livelli di istruzione pubblica”, prevedendo anche un adeguato insegnamento<br />

della storia e della cultura delle minoranze nazionali nell’ambito dei programmi relativi<br />

a tali discipline (art. 18).<br />

Per quanto concerne il campo dell’informazione, viene garantito il diritto di avvalersi dei<br />

mezzi di comunicazione di massa nella lingua della minoranza, con possibilità anche di sostegni<br />

finanziari, prevedendo però che il diritto al libero accesso al mezzo radio-televisivo di proprietà<br />

pubblica, compresa la produzione di programmi in tale lingua, sia garantito dagli Stati “è quando<br />

opportuno e possibile” (art. 19).<br />

Viene inoltre riconosciuto il diritto di partecipare senza alcuna discriminazione alla vita<br />

politica, sociale e culturale della società del proprio Paese, con l’impegno, per gli Stati, a promuovere<br />

le condizioni che permettano il concreto esercizio dei relativi diritti (art. 20) e a consentire<br />

la costituzione di partiti politici (art. 21), come pure a rispettare il diritto di partecipare effettivamente<br />

alla vita pubblica, in particolare ai processi decisionali ,sulle questioni di diretto interesse.<br />

A tale riguardo gli Stati «prendono nota» degli impegni assunti per tutelare e creare le<br />

condizioni per la promozione dell’identità etnica, culturale, linguistica e religiosa minoranze nazionali<br />

con l’adozione di misure adeguate alle specifiche situazioni di tali minoranze come previsto<br />

nei documenti della CSCE (art. 22).<br />

Si garantisce inoltre il diritto, nel rispetto dell’integrità territoriale dello Stato, di tenere<br />

contatti liberi e senza ostacoli oltre frontiera con i cittadini con i quali sono in comune le caratteristiche<br />

etniche, religiose o linguistiche o l’identità culturale nel quadro anche di una promozione<br />

globale degli accordi transfrontalieri a livello nazionale, regionale e locale (art. 23).<br />

95


La previsione contenuta nell’art. 24 mira poi a garantire la possibilità di un effettivo rimedio<br />

di giustizia contro ogni violazione dei diritti previsti nello Strumento che siano stati sanciti<br />

nella legislazione nazionale, mentre con i successivi articoli, oltre a prevedere garanzie di tutela,<br />

con adeguate misure, per le persone che non appartengono alla minoranza nazionale nelle<br />

aree in cui questa costituisce la maggioranza della popolazione (art. 25), si sancisce il principio<br />

della intangibilità dei principi fondamentali del diritto internazionale, e in particolare<br />

dell’uguaglianza sovrana, dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica, e del rispetto dei<br />

diritti altrui da parte delle persone appartenenti alle minoranze nazionali nell’esercizio dei propri<br />

diritti (art. 26).<br />

Lo Strumento CEI si conclude con la clausola di salvaguardia (art. 27) delle disposizioni<br />

delle leggi nazionali o di accordi internazionali più favorevoli per le minoranze nazionali o per le<br />

persone che vi appartengono, previsione che, in presenza di siffatte disposizioni, vincolanti per<br />

gli Stati in quanto contenute nelle rispettive legislazioni o in accordi internazionali che essi abbiano<br />

sottoscritto e che siano anche giuridicamente impegnativi, ha l’effetto di poter assicurare<br />

ulteriori misure di tutela.<br />

96


IL CONTRIBUTO DELL’UNIONE FEDERALISTA<br />

DEI GRUPPI ETNICI EUROPEI (U.F.G.E.E.)<br />

97


PREMESSA<br />

Il progetto di Convenzione per la tutela dei gruppi etnici in Europa dell’Unione Federalista<br />

dei Gruppi Etnici Europei (UFGE), approvato dall’Assemblea dei Delegati in occasione del<br />

35° Congresso tenutosi a Danzica il 12.5.1994, è una stesura aggiornata del progetto di Convenzione<br />

allegato alla Dichiarazione di Cottbus del 28.5.1992 alla luce degli sviluppi intervenuti,<br />

sul piano dialettico ed operativo, nel dibattito internazionale sulla tutela delle minoranze nazionali.<br />

In linea con il compito statutario dell’Unione Federalista, di rappresentare gli interessi<br />

delle organizzazioni dei gruppi etnici e dei loro appartenenti e di contribuire alla formazione di<br />

un diritto dei gruppi etnici internazionalmente riconosciuto, il progetto nasce dalla constatazione<br />

dei positivi sviluppi intervenuti e delle prospettive ulteriori, in particolare a seguito delle decisioni<br />

dei Capi di Stato e di <strong>Governo</strong> del Consiglio d’Europa assunte a Vienna nel Vertice del 9 ottobre<br />

1993, e dalla connessa volontà di fornire un contributo costruttivo per ulteriori passi in avanti<br />

verso una tutela globale dei gruppi etnici.<br />

Era stata adottata, infatti, la Carta Europea delle Lingue regionali o minoritarie ed era in<br />

corso di elaborazione, da parte dell’apposito CAHMlN, il progetto di convenzione per la protezione<br />

delle minoranze nazionali, deciso a Vienna, da aprirsi anche alla firma degli Stati non<br />

membri del Consiglio d’Europa, ed inoltre, nello stesso Vertice di Vienna era stato anche deciso<br />

di avviare i lavori per la predisposizione di un protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea<br />

sui Diritti dell’Uomo nel campo culturale con disposizioni di garanzia dei diritti individuali, in particolare<br />

per le persone appartenenti alle minoranze nazionali.<br />

Si erano quindi creati nuovi presupposti per ulteriori sviluppi positivi, per i quali l’UFGE<br />

intendeva dare un contributo costruttivo con un progetto aggiornato della Dichiarazione di Cottbus<br />

volto ad una tutela giuridica globale dei gruppi etnici in Europa, riferita anche ai diritti collettivi,<br />

che negli strumenti da elaborare non sarebbero stati considerati.<br />

PROGETTO DI CONVENZIONE PER LA TUTELA DEI GRUPPI ETNICI IN EUROPA<br />

DELL’UNIONE FEDERALISTA DEI GRUPPI ETNICI IN EUROPA<br />

Il progetto, intitolato “Tutela dei gruppi etnici in Europa”, è composto da due parti, formalmente<br />

distinte ma fra loro complementari, nell’ottica di una tutela generale dei diritti dei<br />

gruppi etnici e delle persone che vi appartengono.<br />

La prima parte, riguardante i “Diritti fondamentali delle persone appartenenti a gruppi<br />

etnici in Europa”, viene proposta come progetto di Protocollo aggiuntivo alla Convenzione Europea<br />

sui Diritti dell’Uomo”; mentre la seconda, concernente i “Diritti di autonomia dei gruppi etnici<br />

in Europa”, è proposta come progetto di discussione per una Convenzione Speciale.<br />

Nell’elaborazione del progetto si è tenuto conto dei documenti e delle dichiarazioni<br />

dell’O.N.U., della CSCE e degli Organismi europei in materia di tutela delle minoranze nazionali,<br />

come pure di una serie di dichiarazioni di principio emerse nell’ambito di conferenze su problematiche<br />

specifiche.<br />

I diritti fondamentali delle persone appartenenti ai gruppi etnici in Europa. Progetto di<br />

protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea sui diritti dell’Uomo<br />

Tale documento, proposto come Protocollo aggiuntivo alla CEDU, è quello più immediatamente<br />

collegato allo stato del dibattito europeo in materia e agli indirizzi adottati a Vienna e<br />

seguiti dall’apposito Comitato per l’elaborazione del progetto di Convenzione-quadro per la protezione<br />

delle minoranze nazionali.<br />

Esso, pur mantenendosi nei limiti del principio di tutela individuale e dell’autonomia culturale,<br />

mira ad assicurare alle persone appartenenti ai gruppi etnici il massimo livello dì riconoscimento<br />

e tutela dei diritti attraverso una formulazione molto precisa, che riduce al minimo, il<br />

margine di discrezionalità degli Stati contraenti sia per ciò che è intendersi con l’espressione<br />

“gruppo etnico”, definizione non contenuta nella Convenzione-quadro per la protezione delle<br />

minoranze nazionali, sia per quel che concerne le misure da adottare e le condizioni alle quali<br />

tali misure vanno adottate.<br />

99


Oltre all’introduzione, che non ne è parte integrante, il documento, costituito da 23 articoli<br />

è articolato in sei parti, precedute da un Preambolo, e correlato da numerosi fonti giuridiche<br />

e politiche.<br />

La Parte I, che comprende tre articoli, riconduce la tutela internazionale dei diritti delle<br />

persone appartenenti a gruppi etnici alla tutela internazionale dei diritti dell’uomo quale sua<br />

componente essenziale, rientrante, come “fattore essenziale per la pace, la giustizia, la stabilità<br />

e la democrazia”, nell’ambito della cooperazione internazionale e, in quanto questione di legittimo<br />

interesse internazionale, di non esclusivo affare interno dello Stato (art. 1).<br />

Viene poi fornita, all’art. 2, la definizione di “gruppo etnico”, nella cui espressione si mira<br />

a ricomprendere lo spettro più ampio possibile di realtà minoritarie, escludendo però esplicitamente<br />

dal concetto sia i lavoratori migranti, sia altri immigranti, gruppi di rifugiati e individui in<br />

cerca di asilo, i cui diritti formano oggetto di specifica disciplina.<br />

L’art. 3 afferma il principio dell’appartenenza volontaria, impegnando gli Stati contraenti<br />

a creare i presupposti per tale libera scelta individuale e ribadendo il principio, già enunciato<br />

all’art. 1, che i diritti riconosciuti alle persone appartenenti a gruppi etnici possono essere esercitati<br />

sia “individualmente” che in associazione con altri membri del gruppo”; formula, questa, in<br />

sintonia con gli altri documenti elaborati in sedi istituzionali europee, che consente di sorvolare<br />

circa il riconoscimento di quei diritti di natura collettiva che formano invece oggetto di tutela nel<br />

secondo progetto per una Convenzione speciale.<br />

Nella Parte II vengono formulati i diritti fondamentali generali riconosciuti alle persone<br />

appartenenti ai gruppi etnici, premessa dei diritti che vengono sviluppati nella Parte III e che si<br />

configurano più concretamente come misure di tutela.<br />

In sostanza, alle persone appartenenti ai gruppi etnici viene riconosciuto il diritto al rispetto,<br />

alla evoluzione e allo sviluppo della loro identità etnica, culturale e linguistica, al riparo<br />

da ogni tentativo di assimilazione. Componenti essenziali di tale diritto sono il diritto alla patria,<br />

ed in particolare alla tutela dei loro insediamenti e condizioni di vita tradizionali, il diritto al libero<br />

sviluppo economico, il diritto alla protezione da qualsiasi minaccia alla loro identità, con divieto<br />

di politiche di assimilazione forzata e di svantaggiose modifiche intenzionali nella composizione<br />

demografica dei loro insediamenti, anche tramite modifiche delle unità amministrative (art. 4).<br />

Viene inoltre garantito il diritto alla non discriminazione e alla effettiva parità di trattamento,<br />

nonché alla parità di opportunità (art. 5), da assicurare mediante misure di tutela speciali,<br />

con particolare riferimento al diritto alla lingua, alla scuola e all’educazione, ad avere proprie<br />

organizzazioni, ai liberi contatti e alla libera circolazione, alla libertà d’informazione, all’accesso<br />

proporzionale agli uffici pubblici, alla rappresentanza politica, ad adeguate forme di economia,<br />

la cui omissione è “da considerare e da trattare come atto di discriminazione illegittimo”.<br />

I contenuti di questi diritti vengono esplicitati nella Parte III, in relazione alle misure di tutela<br />

specifiche.<br />

In particolare, il diritto alla lingua (art. 6) si estrinseca nel diritto al suo uso orale e scritto<br />

in privato e in pubblico, come pure nei rapporti con la pubblica amministrazione, ivi compresa<br />

quella giudiziaria, alla sua parificazione nei territori di insediamento negli atti ufficiali e in quelli<br />

destinati ad uso pubblico, nonché nei diritti concernenti l’onomastica e la toponomastica.<br />

Al diritto alla lingua è collegato anche il diritto alla scuola (art. 7), nel senso che, ferma<br />

restando l’obbligatorietà dell’apprendimento della lingua ufficiale dello Stato, è previsto il diritto<br />

all’insegnamento della e nella lingua del gruppo etnico nelle scuole di ogni ordine e grado,<br />

nell’università e nell’ambito dell’istruzione permanente, tramite un adeguato numero di scuole<br />

statali o di altro tipo, da dislocarsi tenendo conto della distribuzione geografica delle persone<br />

appartenenti ai gruppi etnici. Il diritto all’insegnamento della e nella lingua materna, il cui finanziamento<br />

fa carico agli Stati contraenti, viene garantito anche se al di fuori degli insediamenti<br />

delle persone appartenenti a gruppi etnici non vi sia il numero minimo necessario di scolari per<br />

la formazione di una classe.<br />

E’ parimenti garantito il diritto di istituire e gestire propri istituti di istruzione e formazione<br />

e si prevede che l’insegnamento sia impartito in linea di massima da personale docente di madrelingua.<br />

Con riguardo alle scuole nella lingua dei gruppi etnici si riconosce alle persone appartenenti<br />

a tali gruppi il diritto di partecipare alla nomina degli insegnanti ed all’impostazione<br />

dei programmi didattici, che potranno essere adeguati alle loro esigenze particolari, comprendendo<br />

l’insegnamento anche della storia e della cultura del gruppo etnico.<br />

Vengono inoltre garantiti il diritto di costituire e mantenere organizzazioni ed associa-<br />

100


zioni proprie, compresi i partiti politici, che lo Stato contribuirà a finanziare nella stessa misura<br />

delle altre simili organizzazioni (art. 8); il diritto ai liberi contatti tra persone appartenenti allo<br />

stesso gruppo sia all’interno dello Stato che oltre frontiera con i cittadini degli altri Stati con i<br />

quali sono in comune l’origine nazionale o etnica o il retaggio culturale, ed i connessi diritti alla<br />

libera circolazione ed alla cooperazione transfrontaliera in vari campi (art. 9); il diritto<br />

all’informazione, che si estrinseca nel diritto di diffondere, scambiare e ricevere informazioni nella<br />

madrelingua, da realizzarsi sia attraverso un accesso equiparato ai mass media statali o comunque<br />

pubblici, sia mediante mezzi di comunicazione propri sostenuti con finanziamenti pubblici,<br />

sia inoltre attraverso la ricezione di programmi radiofonici e televisivi nella lingua del gruppo<br />

etnico trasmessi dall’estero (art. 10).<br />

Tra le garanzie viene anche incluso, senza alcuna condizione restrittiva relativa alla<br />

consistenza del gruppo etnico, il diritto all’accesso proporzionale negli uffici pubblici, da realizzarsi<br />

attraverso accordi di transizione per ovviare a disagi socia1i nonché il diritto alla rappresentanza<br />

politica, al fine di garantire agli appartenenti a gruppi etnici la partecipazione in piena<br />

uguaglianza alla gestione degli affari pubblici, in particolare anche alle decisioni relative a territori<br />

di loro insediamento o a materie che li riguardino.(art. 19912).<br />

L’art. 13 riconosce, infine, alle persone appartenenti ai gruppi etnici, senza pregiudizio<br />

per l’integrità territoriale degli Stati contraenti e in rapporto alla quota rappresentata nell’ambito<br />

della popolazione totale, il diritto all’autonomia, per tutelare gli specifici diritti civili e politici e i<br />

generali diritti dell’uomo e le libertà fondamentali da non giustificate decisioni della maggioranza;<br />

diritto all’autonomia che si configura, in relazione alle diverse situazioni, come “autonomia<br />

territoriale e/o culturale” ed “autoamministrazione locale (autonomia locale)” e che nei suoi presupposti<br />

e contenuti viene ulteriormente sviluppato nel progetto di discussione per una Convenzione<br />

speciale con riferimento ai diritti dei gruppi etnici.<br />

Sanciti i diritti, la parte IV del progetto di Protocollo aggiuntivo tratta della relativa garanzia<br />

e tutela giuridica, riconoscendo in primo luogo, in caso di violazione, il diritto di ricorso, singolarmente<br />

o assieme ad altri, ad una istanza nazionale e dopo l’espletamento delle vie legali<br />

nazionali alla Commissione Europea per i diritti dell’uomo (art. 14).<br />

Alle persone appartenenti a gruppi etnici viene inoltre riconosciuto il diritto alla condeterminazione,<br />

cioè il diritto di partecipare in ambito nazionale alla realizzazione dei diritti e delle<br />

libertà sanciti dal Protocollo attraverso accordi comuni, nonché alla organizzazione delle questioni<br />

che le riguardino tramite la creazione di un proprio organo di rappresentanza presso il<br />

Consiglio d’Europa (art. 15).<br />

Per la tutela dei diritti civili e dei gruppi etnici nei riguardi delle istituzioni politiche e amministrative<br />

è poi riconosciuto il diritto all’istituzione di un “Ombudsman”, in sostanza un difensore<br />

civico, anch’egli appartenente al gruppo etnico (art. 16).<br />

La parte V tratta del meccanismo di controllo, definendo un quadro che fornisce un ampio<br />

spettro di garanzie contro qualsiasi violazione dei diritti sanciti, che prevede all’art. 18 la<br />

possibilità di ricorsi individuali ed interstatali.<br />

Gli adempimenti formali a cui gli Stati aderenti e gli organismi di controllo sono tenuti<br />

vengono dettagliatamente disciplinati dall’art. 19, che fa obbligo agli Stati contraenti di presentare<br />

alla Commissione europea per i diritti dell’uomo, attraverso il Segretario generale del Consiglio<br />

d’Europa, un primo rapporto entro un anno dall’entrata in vigore per ciascuno Stato e rapporti<br />

biennali successivamente, sull’attuazione data al Protocollo, prevedendo anche il diritto, da<br />

parte di chi è legittimato a rappresentare gli interessi dei gruppi etnici, di segnalare al Segretario<br />

Generale del Consiglio d’Europa eventuali situazioni di difficoltà nell’adempimento del Protocollo<br />

stesso, nonché all’art. 20, una procedura di composizione amichevole delle controversie.<br />

Le disposizioni finali contenute nella Parte VI riguardano l’adesione al Protocollo e stabiliscono<br />

che all’atto della sottoscrizione gli Stati dichiarino per quali gruppi etnici esso trova applicazione,<br />

con diritto, per le persone appartenenti a gruppi etnici ingiustamente esclusi, di richiedere<br />

un accertamento del Consiglio d’Europa.<br />

In definitiva, il quadro che il progetto UFGE per un Protocollo aggiuntivo alla Convenzione<br />

europea per i diritti dell’Uomo viene a configurare è quello di una tutela capillare dei gruppi<br />

etnici, ai quali, pur nel rispetto formale degli orientamenti emersi in materia nell’ambito delle<br />

istituzioni europee, relativamente soprattutto all’attribuzione dei diritti riconosciuti alla sfera personale<br />

e non collettiva, viene previsto il massimo delle garanzie, con il limite della salvaguardia<br />

101


dell’integrità territoriale degli Stati e del rispetto, nel godimento dei diritti sanciti,<br />

dell’ordinamento giuridico del proprio Stato e dei diritti di tutti gli altri cittadini.<br />

I Diritti d’autonomia dei gruppi etnici in Europa - Progetto di discussione per una Convenzione<br />

Speciale<br />

Questa seconda parte del Progetto dell’UFGE, che integra la prima parte concernente i<br />

diritti fondamentali delle persone appartenenti a gruppi etnici, mirava a disciplinare, nella prospettiva<br />

di una soluzione globale della tutela dei gruppi etnici in Europa, quegli aspetti che non<br />

avrebbero potuto trovare una regolamentazione nel Protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea<br />

sui Diritti umani e nella Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze, soprattutto<br />

con riguardo alle questioni dei diritti collettivi e di autonomia, per la cui disciplina l’UFGE ha<br />

perciò ritenuto di proporre alle competenti istanze europee ed internazionali un progetto di discussione<br />

per un ulteriore strumento in forma di Convenzione Speciale.<br />

Il progetto, che si compone del Preambolo e di quattro Parti per complessivi venti articoli,<br />

si fonda infatti sul principio del diritto dei gruppi etnici all’autonomia, nel cui ambito si sviluppano<br />

i diritti riconosciuti nel progetto stesso e che sono in questa sede riferiti ai gruppi etnici.<br />

L’autonomia viene definita (art. 1) come “strumento di tutela dei gruppi etnici che, senza<br />

pregiudizio per l’integrità territoriale degli Stati, deve garantire un massimo grado di autodeterminazione<br />

interna e nello stesso tempo un corrispondente minimo grado di dipendenza dalla<br />

maggioranza nazionale” allo scopo di tutelare le persone appartenenti a gruppi etnici da esclusioni,<br />

per mezzo di decisioni della maggioranza, non giustificate in base a quanto previsto dal<br />

Protocollo e di garantire loro l’esercizio degli specifici diritti civili e politici, nonché dei diritti e delle<br />

libertà fondamentali dell’uomo spettanti alla generalità.<br />

Anche in questo progetto si fornisce la definizione di “gruppo etnico” (art. 2) riprendendo<br />

tutti gli elementi fissati nel progetto di Protocollo aggiuntivo, ma prevedendo anche che nel garantire<br />

i diritti di autonomia devono essere considerate le “condizioni di base speciali dei gruppi<br />

etnici, che nei loro insediamenti costituiscono: a) la maggioranza della popolazione; b) una parte<br />

sostanziale, però non la maggioranza della popolazione; c) né la maggioranza né una parte<br />

sostanziale della popolazione”, e che inoltre “sono da considerare appartenenti ai gruppi etnici<br />

quelle persone che appartengono a gruppi etnici compattamente insediati ma che risiedono lontano<br />

da essi e in un insediamento sparso e isolato”.<br />

Vengono poi enunciati, all’art. 3, i principi fondamentali stabilendo che i diritti, fissati nella<br />

Convenzione, alla tutela e conservazione e alla promozione ed allo sviluppo “del gruppo etnico<br />

come tale” vengono esercitati in comune dagli appartenenti ad un gruppo etnico, e ribadendo<br />

il principio, pure affermato nel progetto di Protocollo aggiuntivo, che tale appartenenza è una<br />

questione di scelta individuale da cui non deve derivare alcun pregiudizio, con obbligo per gli<br />

Stati di creare le condizioni perché tale scelta possa essere fatta in piena libertà.<br />

La disciplina dei diritti all’autonomia dei gruppi etnici occupa l’intera Parte II del documento,<br />

costituita da dieci articoli.<br />

In particolare, in relazione alle diverse “condizioni di base speciali” precedentemente<br />

definite, vengono individuate tre forme fondamentali di autonomia: a) autonomia territoriale (artt.<br />

4 e 5); b) autonomia culturale (artt. 7 e 8); c) autonomia locale o autoamministrazione locale<br />

(artt. 9 e 10).<br />

Il diritto ad uno “status speciale territorialmente limitato”, definito “autonomia territoriale”<br />

con legislazione, governo, amministrazione e giurisdizione autonoma per la gestione dei propri<br />

affari, è riservato ai gruppi etnici che nelle regioni di insediamento costituiscono la maggioranza<br />

della popolazione e comporta l’istituzione di organi legislativi, esecutivi e giurisdizionali propri, la<br />

cui composizione rispecchierà, proporzionalmente, quella della popolazione.<br />

Tale forma di autonomia deve comprendere le competenze ritenute dai gruppi etnici necessarie<br />

per la gestione dei propri affari, da denominarsi nella legislazione statale “competenze<br />

della sfera autonoma”, di cui viene individuato un elenco a titolo esemplificativo che tocca i diversi<br />

campi di attività, tra i quali l’istruzione, l’informazione, la sanità e la previdenza sociale, il<br />

settore economico e finanziario, la polizia locale, l’imposizione fiscale per scopi locali.<br />

Viene comunque affermato che l’esercizio dei diritti sanciti nella Convenzione non può<br />

pregiudicare il godimento dei diritti delle persone appartenenti alla popolazione che all’interno<br />

dell’autonomia territoriale formano la minoranza numerica.<br />

102


Per i gruppi etnici che nei territori di insediamento non costituiscono la maggioranza della<br />

popolazione e per quelli che per qualsiasi motivo “non ritengano conveniente l’istituzione di<br />

una autonomia territoriale” viene garantito (artt. 7 e 8) il diritto all’“autonomia culturale nella forma<br />

giuridica di diritto pubblico che a loro sembra più appropriata”, da esercitarsi attraverso unità<br />

associative dotate di organi eletti democraticamente e liberamente, per tutte le questioni essenziali<br />

per la conservazione, la tutela e lo sviluppo della identità dei gruppi etnici, stabilendo anche<br />

per tale forma di autonomia un ampio quadro di ambiti di competenza.<br />

Il terzo tipo di autonomia previsto dal progetto concerne il diritto ad una autodeterminazione<br />

locale denominata “autonomia locale” o “autoamministrazione locale” (artt. 9 e 10), che<br />

viene riconosciuto ai gruppi etnici che nei territori di insediamento non costituiscono la maggioranza<br />

della popolazione, nonché agli appartenenti a gruppi etnici insediati lontano da questi in<br />

modo sparso.<br />

Tale forma di autonomia prevede la creazione di unità amministrative in cui gli appartenenti<br />

ai gruppi etnici costituiscono la maggioranza locale della popolazione (come singole circoscrizioni,<br />

comuni o unità amministrative ad essi subordinate), alle quali è attribuito, oltre alle<br />

competenze legate per legge, l’esercizio degli affari propri del gruppo etnico, in una accezione<br />

più limitata, quanto a settori e ambiti di competenza, rispetto alle altre forme di autonomia, ma<br />

tale comunque da fornire un ampio spettro di garanzie per la tutela e lo sviluppo del gruppo.<br />

Nella sfera dell’autonomia locale rientrano, in particolare, la regolamentazione del bilinguismo<br />

nell’ambito dell’ autoamministrazione locale, l’uso di nomi e simboli propri, la regolamentazione<br />

degli usi e delle feste locali, la tutela dei monumenti locali, la polizia di sicurezza e<br />

stradale, l’ispezione sanitaria e dell’edilizia a livello locale, nonché il diritto di fondare e mantenere<br />

istituzioni per l’insegnamento locale, per i mass-media, per la cura della tradizione, per<br />

l’istruzione e per l’esercizio di attività economiche; è inoltre prevista la partecipazione a tutti gli<br />

altri affari amministrativi secondo la loro quota di popolazione.<br />

I diritti alle delineate forme di autonomia trovano poi completamento nell’ulteriore diritto,<br />

pure riconosciuto ai gruppi etnici, che i loro interessi siano presi in considerazione anche nella<br />

suddivisione del territorio statale in circoscrizioni politiche, amministrative, giudiziarie ed elettorali,<br />

da stabilirsi in accordo con i gruppi etnici direttamente interessati (art. 11).<br />

Le risorse finanziarie necessarie all’esercizio delle competenze degli enti collettivi<br />

dell’autonomia territoriale e culturale devono essere assicurate dallo Stato e, per quanto concerne<br />

l’autonomia territoriale, da una quota fissa delle spese pubbliche in proporzione alla media<br />

della consistenza numerica della popolazione e dell’estensione del territorio, con garanzia<br />

comunque di una quota adeguata delle tasse ed imposte riscosse nel proprio territorio, da integrarsi<br />

nel caso che il gettito risulti inferiore alla quota fissa determinata in base al criterio proporzionale<br />

(art. 12).<br />

Gli Stati contraenti sono tenuti all’attuazione dei diritti sanciti nella Convenzione, inserendoli<br />

in modo adeguato nel loro ordinamento giuridico ed emanando le norme legislative necessarie<br />

a renderli concretamente esercitabili, nel quadro del diritto dei gruppi etnici alla condeterminazione,<br />

ovvero del diritto di partecipare al processo di attuazione interna nell’ambito di<br />

commissioni paritetiche composte da rappresentanti dello Stato e dei gruppi etnici, le cui decisioni,<br />

prese all’unanimità, sono vincolanti. Ai gruppi etnici viene altresì riconosciuto il diritto di<br />

partecipare, per mezzo di propri organi collettivi, all’elaborazione di delibere di organismi internazionali<br />

relative a questioni che per essi rivestono un particolare interesse (art. 14).<br />

Le parti IV (artt. 15-17) e V (artt. 18-20) del progetto riguardano il meccanismo di controllo<br />

e le disposizioni finali e sono praticamente sovrapponibili alle corrispondenti parti del progetto<br />

per un Protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea sui Diritti dell’Uomo.<br />

103


LE MINORANZE IN EUROPA<br />

105


CLASSIFICAZIONE E NORMATIVA<br />

In questo capitolo sono riportati i dati relativi alle minoranze presenti in 32 Paesi europei qui sotto<br />

indicati, la relativa consistenza numerica e le norme di tutela giuridica.<br />

Albania, Armenia, Austria, Azerbaijan, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia,<br />

Germania, Irlanda, Liechtenstein, Lituania, Malta, Norvegia, Polonia, Regno Unito, Rep. Ceca,<br />

Rep. della Moldavia, Rep. di Macedonia, Romania, Russia, San Marino, Serbia e Montenegro<br />

(ex Repubblica di Jugoslavia), Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Ucraina e Ungheria.<br />

107


DENOMINAZIONE DELLE MINORANZE, CONSISTENZA NUMERICA E NORME DI TUTELA GIURIDICA<br />

Paese: ALBANIA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

GRECI<br />

MACEDONI<br />

MONTENEGRINI<br />

ROM<br />

58.758 Distretti di Saranda, Delvina<br />

e Gjirokastra<br />

democratizzazione dell’Albania<br />

I cambiamenti legati al processo di<br />

4.878 Area di Prespa<br />

verificatisi nello scorso decennio<br />

2.000 circa Area di Vraka<br />

hanno avuto profonde ripercussioni<br />

Dati statistici non disponibili per anche sulla situazione della minoranza<br />

nazionale greca, con so-<br />

l’assenza di un censimento di questa<br />

popolazione<br />

stanziali miglioramenti. Questa<br />

Periferia di Tirana<br />

minoranza ora gode di tutti i diritti<br />

previsti dalle norme europei più<br />

liberali e nel rispetto dei valori su<br />

cui si basa una società democratica<br />

e pluralista.<br />

A partire dagli anni ’90, il numero<br />

complessivo degli appartenenti alla<br />

minoranza greca si è ridotto notevolmente.<br />

A causa dell’apertura<br />

delle frontiere, dell’arretratezza e<br />

delle numerose difficoltà economiche<br />

incontrate nel periodo di transizione<br />

in Albania, gran parte della<br />

popolazione presente nelle regioni<br />

meridionali del paese ha trovato<br />

opportunità di lavoro in Grecia,<br />

dove si è trasferita per vivere.<br />

Nel campo dell’istruzione, i bambini<br />

arumeni godono del diritto allo<br />

studio garantito dal Ministero<br />

dell’Istruzione e della Scienza albanese,<br />

avendo accesso altresì<br />

alle borse di studio offerte sia dal<br />

Ministero dell’Istruzione e della<br />

Scienza albanese che dalla Romania<br />

e dalla Grecia.<br />

ARUMENI (VALACCHI)<br />

Assenza di dati statistici recenti. In<br />

base all’ultimo censimento della<br />

popolazione risalente al 1955 gli<br />

appartenenti a questa minoranza<br />

erano circa 4.249<br />

Città principali<br />

*<br />

I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali.<br />

108


Paese: ARMENIA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

AZERI 84.860<br />

CURDI E YEZIDI 56.127<br />

RUSSI 51.555<br />

UCRAINI 8.341<br />

SIRIANI 5.963<br />

GRECI 4.650<br />

ALTRE NAZIONALITA’ 9.664<br />

12. E' accertato che non esistono<br />

paesi monoetnici nel mondo, e<br />

l'Armenia non costituisce un'eccezione.<br />

Nel corso dei secoli<br />

genti appartenenti a varie minoranze<br />

nazionali hanno vissuto sul<br />

territorio dell'Armenia e continuano<br />

a risiedervi anche al giorno<br />

d'oggi; esse non sono mai state<br />

oggetto di discriminazione. Le<br />

16. Il principale fondamento della<br />

politica di stato in tema di tutela dei<br />

diritti delle persone appartenenti alle<br />

minoranze nazionali è la Costituzione<br />

della Repubblica d'Armenia. In<br />

seguito all'evoluzione della vita pubblica<br />

e dei valori sociali, la Costituzione<br />

ha il compito di proteggere i<br />

diritti e le libertà dell'individuo.<br />

6. L'articolo 4 della Costituzione della<br />

Repubblica d'Armenia stabilisce<br />

che "Lo Stato garantisce la tutela dei<br />

diritti e delle libertà dell'uomo in base<br />

alla Costituzione e alle leggi e in accordo<br />

con i principi e le norme del<br />

diritto internazionale".<br />

7. Il Capitolo 2 della Costituzione fa<br />

riferimento ai diritti e alle libertà fondamentali<br />

dell'uomo e del cittadino.<br />

La Costituzione stabilisce che ciascuno<br />

è uguale agli altri di fronte alla<br />

legge e che deve avere uguali opportunità<br />

di godere di diritti, libertà e<br />

responsabilità, previsti dalla Costituzione<br />

e da altri atti legislativi.<br />

17. Il Presidente della Repubblica<br />

d'Armenia ha ufficialmente dichiarato<br />

che l'Armenia è la patria non<br />

solo della popolazione originaria,<br />

ma anche delle minoranze nazionali<br />

che insistono sul suo territorio.<br />

18. Nel Trattato istitutivo della Comunità<br />

degli Stati Indipendenti,<br />

siglato da Russia, Ucraina e Bielorussia<br />

in data 8 dicembre 1991 a<br />

Minsk, con il quale è stata formalmente<br />

disciolta l'URSS, è previsto<br />

che le parti proteggano le minoranze<br />

nazionali che insistono sui<br />

rispettivi territori con l'obiettivo di<br />

esprimere, preservare e sviluppare<br />

le loro identità etniche, culturali,<br />

linguistiche e religiose. I Capi di<br />

stato della CSI hanno siglato la<br />

"Convenzione per la tutela dei diritti<br />

delle persone appartenenti a minoranze<br />

nazionali" nel 1994 a Mosca.<br />

L'Assemblea Nazionale della<br />

Repubblica d'Armenia ha ratificato<br />

tale Convenzione in data 11 ottobre<br />

1995.<br />

19. L'assenza di una legge sulle<br />

minoranze nazionali è una lacuna<br />

nella legislazione della Repubblica<br />

d'Armenia. Pertanto non esiste la<br />

definizione dell'espressione "minoranze<br />

nazionali", ma in pratica essa<br />

sta ad indicare i cittadini della<br />

Repubblica d'Armenia che vi risiedono<br />

permanentemente e che differiscono<br />

dalla popolazione di base<br />

per la propria origine etnica. Tale<br />

accezione coincide con la definizione<br />

data al termine nella "Convenzione<br />

per la tutela dei diritti delle<br />

persone appartenenti alle minoranze<br />

nazionali", secondo la quale<br />

le persone appartenenti alle minoranze<br />

nazionali sono persone residenti<br />

permanentemente nei territori<br />

delle Parti contraenti, ne hanno la<br />

cittadinanza, ma differiscono dalla<br />

popolazione di base della Parte<br />

contraente di appartenenza per<br />

origine etnica, lingua, cultura, religione<br />

e tradizioni.<br />

22. Nel 1998 è stata istituita la<br />

Commissione per i Diritti Umani,<br />

alle dipendenze del presidente della<br />

Repubblica d'Armenia; tale iniziativa<br />

è stata considerata un passo<br />

importante e necessario in direzione<br />

dell'istituzione della figura<br />

del Difensore civico. La Commissione<br />

si occupa del dibattito relativo<br />

alla violazione di diritti, nonché<br />

della loro reintroduzione adottando<br />

anche misure volte a prevenire le<br />

* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali.<br />

109


minoranze nazionali costituiscono<br />

circa il 3% della popolazione<br />

della Repubblica d'Armenia.<br />

violazioni dei diritti umani. La<br />

Commissione ha preparato la Legge<br />

sui Difensori civici della Repubblica<br />

d'Armenia, che è stata successivamente<br />

sottoposta all'Assemblea<br />

Nazionale della Repubblica<br />

d'Armenia. La Commissione è<br />

costituita da 17 membri, in rappresentanza<br />

di organismi statali, organizzazioni<br />

non governative,<br />

giornalisti indipendenti e avvocati.<br />

110


111<br />

23. L'istituzione del Consiglio di<br />

coordinamento per le minoranze<br />

nazionali della Repubblica d'Armenia<br />

è un passo importante nella<br />

sfera della tutela delle minoranze<br />

nazionali. L'obiettivo del Consiglio,<br />

istituito ufficialmente il 15 giugno<br />

2000 per decreto del Presidente<br />

della Repubblica d'Armenia, è garantire<br />

la tutela delle minoranze<br />

nazionali, attivarne i rapporti intercomunitari<br />

ed infine rendere più<br />

efficace l'intervento dello stato in<br />

tema di istruzione, cultura, problemi<br />

giuridici e di altro tipo. E' importante<br />

sottolineare che il decreto del<br />

Presidente è successivo alla prima<br />

conferenza dei rappresentanti delle<br />

minoranze nazionali, tenutasi il 12<br />

marzo 2000. Il Consiglio di coordinamento<br />

prelude all'istituzione di<br />

uno speciale organismo statale in<br />

materia di minoranze nazionali. Il<br />

Presidente e il Primo Ministro della<br />

Repubblica d'Armenia hanno tenuto<br />

varie riunioni con il Consiglio di<br />

coordinamento per dibattere l'istituzione<br />

di un centro culturale destinato<br />

alle minoranze nazionali.<br />

24. Benchè nella Repubblica d'Armenia<br />

non esista una legge sulle<br />

minoranze nazionali, esistono altre<br />

leggi che danno origine e garantiscono<br />

i diritti delle minoranze nazionali.<br />

La legge sulla lingua della<br />

Repubblica d'Armenia costituisce il<br />

quadro di riferimento generale della<br />

politica linguistica della Repubblica<br />

d'Armenia in quanto regolamenta<br />

lo status della lingua nonché<br />

le relazioni linguistiche tra lo<br />

Stato e altri organismi amministrativi<br />

da un lato, e le imprese, gli uffici<br />

e le organizzazioni, dall'altro. In<br />

base a tale legge, l'armeno è dichiarato<br />

lingua ufficiale, da utilizzare<br />

in tutti gli ambiti della Repubblica<br />

d'Armenia. La legge sulla lingua<br />

stabilisce anche che la Repubblica<br />

d'Armenia garantisce la libertà di<br />

impiegare le lingue delle minoranze<br />

nazionali che insistono sul proprio<br />

territorio. L'articolo 2 della legge<br />

stabilisce che "Nelle comunità<br />

delle minoranze nazionali della<br />

Repubblica d'Armenia l'istruzione e<br />

gli studi a livello generale possono<br />

essere organizzati nelle rispettive<br />

lingue madri, coerentemente con i<br />

programmi scolastici statali e con<br />

l'obbligo dello studio dell'armeno".<br />

Esistono anche leggi sull'istruzione,<br />

la libertà di coscienza, le organizzazioni<br />

religiose, ecc.


Paese: AUSTRIA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

CROATI<br />

SLOVENI<br />

UNGHERESI<br />

CECHI<br />

SLOVACCHI<br />

ROM (Sinti, Rom del Burgenland,<br />

Lovara, Kalderash e Arlije)<br />

30.000 Burgenland (Austria meridionale)<br />

e Vienna<br />

50.000 Carinzia e Stiria<br />

Da 20.000 a 30.000 Regioni di<br />

Oberwart (Obertwart, Unterwart,<br />

Siget in der Wart) e<br />

Oberpullendorf (Oberpullerndorf,<br />

Mittelpullendorf)<br />

Città di Eisenstadt,<br />

Frauenkirchen, Graz e Vienna<br />

Da 15.000 a 20.000 La comunità<br />

più numerosa risiede a Vienna<br />

Da 5.000 a 10.000 Vienna e Austria<br />

meridionale<br />

25.000 circa<br />

Non esistono stime precise sulla<br />

loro consistenza numerica<br />

Principali città austriache<br />

- Art. 8 della Costituzione Federale (B-<br />

VG), Gazzetta delle Leggi Federali N.<br />

1/1920;<br />

- Artt. Da 66 a 68 del Trattato di Saint-<br />

Germain-en-Laye del 10/09/1919,<br />

Gazzetta delle Leggi Statali N.<br />

303/1920;<br />

in base all’Art. 149,§ 1 del B-VG, le<br />

disposizioni summenzionate sono di<br />

rilevanza costituzionale.<br />

- Art. 7 del Trattato Statale per la Ricostituzione<br />

di un’Austria Indipendente<br />

e Democratica (Trattato Statale di<br />

Vienna, Gazzetta delle Leggi Federali<br />

N. 152/1955);<br />

in base all’Art. II, § 3<br />

dell’Emendamento al B-VG, Gazzetta<br />

delle Leggi Federali N. 59/1964, l’Art.,<br />

§ 2-, ha valore costituzionale;<br />

- Art. 1 della Legge sull’Istruzione per<br />

le Minoranze in Carinzia (Minderheiten-Schulgesetz<br />

für Kärnten), Gazzetta<br />

delle Leggi Federali N. 101/1959;<br />

- Sezione 1 della Legge sull’Istruzione<br />

per le Minoranze nel Burgenland<br />

(Minderheiten-Schulgesetz für Burgenland),<br />

Gazzetta delle Leggi Federali<br />

N. 641/1994.<br />

- Legge sulle Minoranze, Gazzetta<br />

Federale N. 396/1976;<br />

- Legge in materia di Istruzione per<br />

le Minoranze in Carinzia, Gazzetta<br />

Federale N. 101/1959;<br />

- Legge in materia di Istruzione per<br />

le Minoranze nel Burgenland, Legge<br />

Federale N. 641/1994;<br />

Ordinanze emanate in virtù della<br />

Legge sulle Minoranze:<br />

- Ordinanza del <strong>Governo</strong> Federale<br />

disciplinante i Consigli Consultivi<br />

per le Minoranze, Gazzetta delle<br />

Leggi Federali N. 38/1977;<br />

- Ordinanza del <strong>Governo</strong> Federale<br />

del 31 maggio 1977 che definisce<br />

le aree interessate dalla topinomastica<br />

bilingue tedesco-sloveno,<br />

Gazzetta delle Leggi Federali N.<br />

306/1977;<br />

- Ordinanza del <strong>Governo</strong> Federale<br />

del 31 maggio 1977 che definisce i<br />

tribunali, le autorità amministrative<br />

ed altri dipartimenti dove è ammesso<br />

lo sloveno come lingua ufficiale<br />

oltre al tedesco, Gazzetta<br />

delle Leggi Federali N. 307/1977;<br />

- Ordinanza del <strong>Governo</strong> Federale<br />

del 31 maggio 1977 sulla topomastica<br />

in sloveno, Gazzetta delle<br />

Leggi Federali N. 308/1977;<br />

- Ordinanza del <strong>Governo</strong> Federale<br />

del24 aprile 1990 che definisce i<br />

tribunali, le autorità amministrative<br />

ed altri dipartimenti in cui è ammesso<br />

il croato come lingua ufficiale<br />

oltre al tedesco, Gazzetta delle<br />

Leggi Federali N. 307/1977;<br />

- Ordinanza topografica per il Bungerland,<br />

Gazzetta delle Leggi Federali<br />

vol. II N. 170/2000;<br />

(Ordinanza per la regolamentazione<br />

dell’uso dell’ungherese come<br />

lingua ufficiale; è stata emanata<br />

dal <strong>Governo</strong> Federale il 14 giugno<br />

2000 ed entrerà in vigore il 1° ottobre<br />

2000).<br />

* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali.<br />

112


Paese: AZERBAIJAN<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

AZERBAIGIANI 7.205.500<br />

LESGHI 178.000<br />

RUSSI 141.700<br />

ARMENI 120.700<br />

TALISH 76.800<br />

AVARI 50.900<br />

TURCHI MESKHETIAN 43.400<br />

TATARI 30.000<br />

UCRAINI 29.000<br />

TSAKHURI 15.900<br />

GEORGIANI 13.100<br />

TATI 10.900<br />

EBREI 8.900<br />

UDI 4.200<br />

CURDI 13.100<br />

ALTRE NAZIONALITA’ 9.500<br />

L’Art. 25 della Costituzione della<br />

Repubblica dell’Azerbaijan garantisce<br />

il diritto all’uguaglianza. Il<br />

comma III del precitato articolo<br />

recita come segue: ”Lo Stato garantisce<br />

l’uguaglianza dei diritti e<br />

delle libertà di ognuno a prescindere<br />

dalla razza, dalla nazionalità,<br />

dalla religione, dalla lingua, dal<br />

sesso, dall’origine, dal patrimonio,<br />

dallo status ufficiale, dal credo,<br />

dall’appartenenza a partiti politici,<br />

sindacati ed altre organizzazioni di<br />

volontariato. E’ fatto divieto di limitare<br />

i diritti e le libertà degli esseri<br />

umani e dei cittadini per motivi<br />

fondati sulla razza, la nazionalità,<br />

la religione, la lingua, il sesso,<br />

l’origine, il credo, l’appartenenza<br />

politica e sociale”.<br />

Il Presidente della Repubblica<br />

dell’Azerbaijan ha firmato in data<br />

16 settembre 1992 il Decreto “Sulla<br />

tutela dei diritti e delle libertà e<br />

sulla partecipazione dello Stato<br />

alla promozione delle lingue e culture<br />

delle minoranze nazionali, dei<br />

popoli di scrsa consistenza numerica<br />

e dei gruppi etnici presenti nella<br />

Repubblica del’Azerbaijan”.<br />

* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali.<br />

113


Paese: BULGARIA<br />

GRUPPI ETNICI CONSISTENZA NUMERICA TUTELA GIURIDICA<br />

COSTITUZIONALE<br />

LEGGE NAZIONALE<br />

Bulgari<br />

Dai dati emersi dal censimento effettuato Assente<br />

Assente<br />

nel 2001, i turchi costituiscono la maggioranza<br />

in due dei 28 distretti della Bulgaria<br />

(Kurdjali e Razgrad), mentre tutti i restanti<br />

gruppi etnici sono in minoranza. I turchi<br />

costituiscono la maggioranza anche in alcuni<br />

comuni della Bulgaria nord-orientale,<br />

in particolare, nei distretti di Shoumen, Silistra,<br />

Tuturgovishte, Dobrich e Rousse,<br />

nonché in quelli di Burgas e Haskovo. I<br />

musulmani, di lingua bulgara, insistono<br />

prevalentemente nella regione che ospita<br />

la catena montuosa Rodopi Planina, nelle<br />

regioni dello Smolyan (dove rappresentano<br />

oltre il 50 % della popolazione e dove pertanto<br />

i cristiani bulgari sono in minoranza).<br />

In misura minore, gli stessi sono presenti<br />

anche nei distretti di Kurdjali, Blagoevgrad,<br />

Pazardjik e Plovdiv, nonché in vari insediamenti<br />

nei distretti di Lovech e Veliko<br />

Turnovo.<br />

Turchi<br />

Nel censimento del 2001 è previsto, per la prima volta,<br />

come indicatore, anche, il gruppo etnico.<br />

Greci<br />

Armeni<br />

Tatari<br />

Valacchi<br />

Tatari<br />

Ebrei<br />

Albanesi<br />

Rumeni<br />

Gagauzi<br />

114


Paese: CIPRO<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

GRUPPI ETNICI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

Greci ciprioti 621.800<br />

Turchi ciprioti 89.200<br />

Armeni 2.500<br />

Maroniti 4.500<br />

Latini 700<br />

Altro 22.300<br />

In forza dell'art. 2 (commi 1 e 2) della<br />

Costituzione tutti i cittadini ciprioti devono<br />

appartenere alla Comunità greca,<br />

se sono di origine greca, condividono le<br />

tradizioni culturali greche o appartengono<br />

alla Chiesa ortodossa di rito greco,<br />

oppure alla comunità turca, se sono<br />

di origine turca, condividono le tradizioni<br />

culturali turche o sono musulmani. I<br />

citati gruppi religiosi, formati da Armeni,<br />

Maroniti e Latini, hanno avuto tre mesi<br />

di tempo per esercitare l'opzione e<br />

hanno scelto di appartenere alla comunità<br />

greca, perché sono cristiani, anche<br />

se di confessione diversa.<br />

* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali.<br />

115


Paese: CROAZIA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

MINORANZE<br />

ITALIANI<br />

CECHI<br />

SLOVACCHI<br />

UNGHERESI<br />

RUTENI<br />

UCRAINI<br />

SERBI<br />

TEDESCHI<br />

AUSTRIACI<br />

EBREI<br />

SLOVENI<br />

ALBANESI<br />

MUSSULMANI<br />

ROM<br />

MONTENEGRINI<br />

MACEDONI<br />

21.303 Istria, contea di Promosko-<br />

Goranska, comuni di Buje, Pula,<br />

Rovinj, Rijeka e Pakrac<br />

13.086 Daruvar, Grubisno Polije,<br />

Zagabria, Pakrac, Bjelovar, Kutina,<br />

Rijeka<br />

5.606 Ilok, Nasice, Osijek, Zagabria<br />

22.355 Beli Manastir, Osijek, Vukovar,<br />

Vinkovci, Zagabri, Bjelovar,<br />

Daruvar, Rijeka, Pula, Dakovo,<br />

Split<br />

3.253 Vukovar, Vinkovci, Zagabria,<br />

Slavonski Brod<br />

2.494 Vukovar, Slavonski Brod,<br />

Novaska, Zagabria, Vinkovci<br />

581.663 Zagabria, Knin, Osijek,<br />

Vukovar, Karlovac, Rijeka, Sisak,<br />

Benkovac, Petrinja, Beli Manastir,<br />

Glina, Pakrac, Vrginmost, Daruvar,<br />

Vojnic, Vrbovsko, Lipik<br />

2.635 Beli Manastir, Zagabria, Osijek,<br />

Vukovar, Slavonski Brod, Rijeka,<br />

Pakrac<br />

214 Zagabria<br />

600 Zagabria, Split, Osijek, Rijeka<br />

22.376 Rijeka, Zagabria, Split, Pula,<br />

Cakovec, Opatija, Buje<br />

12.032 Zagabria, Rijeka, Bjelovar,<br />

Zadar, Osijek<br />

43.469 Zagabria, Dubrovnik, Split,<br />

Zupanja, Labin, Pula, Rijeka, Sisak<br />

6.695 Cakovec, Zagabria, Pula,<br />

Rijeka, Varazdin, Osijek, Slavonski<br />

Brod<br />

9.724 Zagabria, Split, Dubrovnik,<br />

Pula, Rijeka, Osijek<br />

6.280 Zagabria, Split, Pula, Rijeka,<br />

Osijek, Zadar<br />

ALTRI 294.124<br />

Tutti i cittadini della Repubblica di<br />

Croazia che hanno dichiarato di<br />

non essere di nazionalità croata in<br />

occasione dell’ultimo censimento<br />

della popolazione risalente al 1991<br />

e che non appartengono alle minoranze<br />

sopra elencate non sono<br />

organizzate in minoranze nazionali.<br />

Hanno una scarsa consistenza<br />

numerica e sono generalmente<br />

presenti ovunque sul territorio della<br />

Repubblica di Croazia, come ad<br />

esempio i Bulgari (458), i Polacchi<br />

(679) ed i Turchi (320).<br />

In alcuni paesi dell’Istria (Susnjevica,<br />

Zejane) è, inoltre, presente un<br />

gruppo etnico composto da Istriano-Romeni<br />

i quali hanno conservato<br />

un idioma appartenente ad un<br />

gruppo separato.<br />

L’Art. 170 della Costituzione delle<br />

ex Repubblica di Jugoslavia e le<br />

norme costituzionali delle Repubblica<br />

Socialista della Croazia garantivano<br />

la libertà di espressione<br />

della nazionalità, ma consentivano<br />

anche ai cittadini di dichiarare la<br />

nazionalità jugoslava.<br />

* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali.<br />

116


COMUNITA’ LINGUISTICHE<br />

SERBOCROATI 466.968<br />

N.B.: La lingua serbocroata è una<br />

creazione artificiale.<br />

Nonostante la popolazione sia stata<br />

sottoposta a forti pressioni affinché<br />

la accettasse, ha dichiarato<br />

come propria lingua madre il croato.<br />

SERBI 207.300<br />

MACEDONI 5.462<br />

SLOVENI 19.341<br />

ALBANESI 12.735<br />

CECHI 10.378<br />

UNGHERESI 19.684<br />

ROM 7.657<br />

RUTENI 2.845<br />

SLOVACCHI 5.265<br />

ITALIANI 26.580<br />

UCRAINI 1.430<br />

ALTRE LINGUE 11.480<br />

117


Paese: DANIMARCA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

In occasione della ratifica, la Danimarca<br />

ha dichiarato che la Convenzione<br />

quadro verrà applicata<br />

alla minoranza tedesca nello Jutland<br />

meridionale. Tale dichiarazione<br />

riflette il fatto che il confine tra il<br />

Regno di Danimarca e la Repubblica<br />

Federale di Germania non<br />

delimita le zone abitate dai due<br />

popoli. Nelle regioni a nord e a sud<br />

del confine (fissato fin dai referendum<br />

del 1920), cioè lo Jutland Meridionale<br />

in Danimarca e lo Schleswig<br />

in Germania, i Danesi e i Tedeschi<br />

convivono nelle aree tradizionali<br />

di insediamento. I membri<br />

della minoranza tedesca in Danimarca<br />

sono cittadini della Danimarca<br />

e i membri della minoranza<br />

danese in Germania sono cittadini<br />

tedeschi<br />

Groenlandesi (Inuit) 56.124<br />

Abitanti isole Faer Oer 45.400<br />

Tedeschi 15.000-20.000<br />

Rom 1.500<br />

123.024<br />

A seguito della seconda guerra<br />

mondiale è stato possibile dare<br />

una soluzione al problema delle<br />

minoranze, grazie all'opinione,<br />

condivisa dai governi danese e<br />

tedesco, che il confine era fisso.<br />

Da allora tale posizione è stata<br />

sostenuta dalle maggioranze e<br />

minoranze a nord e a sud del confine.<br />

Tale identità di vedute ha<br />

permesso di trovare delle soluzioni<br />

pratiche basate sulle Dichiarazioni<br />

di Copenhagen-Bonn (per la tutela<br />

e la promozione delle minoranze<br />

nazionali nella regione di confine<br />

tra Danimarca e Germania) del<br />

1955, che hanno dimostrato il loro<br />

valore nei 44 anni di applicazione<br />

La Danimarca ha ratificato la<br />

Convenzione quadro per la Protezione<br />

delle Minoranze Nazionali<br />

(Consiglio d'Europa) il 22<br />

settembre 1997. La Convenzione<br />

Quadro è entrata in vigore in<br />

Danimarca il 1° febbraio 1998.<br />

prima della ratifica, il 27 novembre<br />

1996, il Ministro danese degli<br />

Affari Esteri ha presentato una<br />

proposta di risoluzione parlamentare<br />

per la ratifica della Convenzione<br />

quadro da parte della<br />

Danimarca. Il 22 aprile 1997 il<br />

Parlamento ha dato l'approvazione<br />

per la ratifica.<br />

* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa“ di Christoph Pan e Beate Sibille Pfeil.<br />

118


Paese: ESTONIA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * TUTELA GIURIDICA<br />

COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

RUSSI<br />

- I n b as e al l’ art ic ol o 49 d el l a<br />

409.111 Contee di Harjumaa,<br />

Ida-Virumaa, Tartumaa e<br />

Jogevamaa<br />

INGRI (Finni-Ingri)<br />

13.317 Contee di Harjumaa,<br />

Ida-Virumaa, Laane-Virumaa e<br />

Tarturnaa<br />

TEDESCHI 1.288<br />

SVEDESI 400<br />

EBREI 2.423<br />

LETTONI 2.691<br />

UCRAINI 36.929<br />

BIELORUSSI 21.589<br />

TATARI 3.271<br />

POLACCHI 2.355<br />

LITUANI 2.221<br />

ROM 1.500<br />

C os t it u zi on e d el l’ Es t on i a<br />

(RT 19 9 2, 2 6, 3 49) c hi u nq u e<br />

h a i l d iri tt o d i pr es er var e l a<br />

pr op ri a i d ent it à n az i on al e.<br />

- L’art. 50 della stessa sancisce, i-<br />

noltre, che le minoranze nazionali<br />

hanno il diritto, nell’interesse della<br />

cultura nazionale, di creare istituzioni<br />

autonome nelle condizioni e secondo<br />

la procedura previste dalla<br />

Legge sull’autonomia culturale delle<br />

minoranze nazionali.<br />

- Legge sull’autonomia delle minoranze<br />

nazionali del 12 febbraio 1925.<br />

E’ stata la prima legge adottata in<br />

questa specifica materia, con la quale<br />

è stato riconosciuto a tutti i gruppi etnici<br />

presenti in Estonia il diritto di preservare<br />

la propria identità etnica, la<br />

propria cultura ed il proprio credo.<br />

In virtù delle disposizioni in essa contenute,<br />

ai tedeschi, ai russi, agli svedesi,<br />

agli ebrei e ad altri gruppi con<br />

una consistenza numerica superiore a<br />

3.000 appartenenti, residenti in Estonia,<br />

è stato concesso il diritto di creare<br />

una propria autonomia culturale che<br />

prevede:<br />

l’organizzazione,<br />

l’amministrazione ed il controllo di istituti<br />

di istruzione pubblici e privati di<br />

madre lingua; provvedere ad altre esigenze<br />

culturali legate alla realtà minoritaria<br />

di appartenenza nonché alla<br />

creazione di apposite istituzioni ed<br />

organizzazioni.<br />

- Il 26 ottobre 1993 è stata approvata<br />

la nuova Legge sull’autonomia culturale<br />

delle minoranze nazionali (RT I<br />

1993, 71, 1001). Pur mantenendo gli<br />

stessi concetti di base della legge precedente,<br />

essa fornisce anche le corrispondenti<br />

garanzie ed orientamenti.<br />

La Sezione 1 della citata legge definisce<br />

come minoranza nazionale quei<br />

cittadini che risiedono sul territorio<br />

estone, mantengono antichi, durevoli<br />

e solidi legami con l’Estonia e sono<br />

distinti dagli estoni sulla base delle<br />

loro caratteristiche etniche, culturali,<br />

religiose o linguistiche e sono motivati<br />

dal desiderio di salvaguardare le proprie<br />

tradizioni culturali, la propria religione<br />

o la propria lingua, come fondamento<br />

della loro identità comune.<br />

La Sezione 2 della stessa legge prevede,<br />

inoltre, il diritto di creare istituzioni<br />

per l’autonomia culturale. Tale<br />

diritto può essere esercitato da tutti i<br />

gruppi minoritari riconosciuti dalla legge<br />

del 1925 (tedeschi, russi, svedesi<br />

ed eberi) e da altri gruppi etnici con<br />

più di 3.000 appartenenti.<br />

* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />

119


Paese: FINLANDIA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

Tatari<br />

Sami<br />

6.400 persone circa<br />

I Sami sono una popolazione<br />

indigena; la maggior parte di<br />

essi, circa 4.000 persone, vivono<br />

nel territorio nativo localizzato<br />

nella Lapponia settentrionale, e<br />

circa 2.400 Sami vivono in altre<br />

parti del paese<br />

Rom In Finlandia vivono circa 10.000<br />

Rom. I Rom sono distribuiti in<br />

tutta la Finlandia, anche se la<br />

maggior parte di loro vive nelle<br />

maggiori città della Finlandia<br />

meridionale. Vi si sono stabiliti<br />

da circa 500 anni<br />

Ebrei<br />

1.300 persone circa. La comunità<br />

degli Ebrei che insiste in Finlandia<br />

è costituita da circa 1.300<br />

persone. Per la maggior parte<br />

vivono a Helsinki, Turku e Tampere.<br />

Non sono disponibili informazioni<br />

precise in merito al<br />

momento del loro arrivo in Finlandia,<br />

ma nel 1850 assommavano<br />

a 200 persone<br />

900 persone circa Tatari sono<br />

una minoranza islamica di ceppo<br />

turco. I predecessori di questo<br />

gruppo sono immigrati in Finlandia<br />

tra il 1870 e il 1920. In Finlandia<br />

vivono circa 900 Tatari,<br />

distribuiti soprattutto nel distretto<br />

della capitale<br />

Vecchi Russi<br />

Attualmente in Finlandia vivono<br />

circa 20.000 persone di lingua<br />

russa, dei quali circa 5.000 sono<br />

Vecchi Russi. I Vecchi Russi<br />

sono discendenti dei Russi immigrati<br />

in Finlandia tra la fine del<br />

19° e l'inizio del 20° secolo.<br />

Finlandesi di lingua svedese 293.691 persone al 31.12.1997,<br />

ovvero il 5,71% della popolazione.<br />

(3) I Finlandesi di lingua<br />

svedese costituiscono la minoranza<br />

più consistente della Finlandia.<br />

I Finlandesi di lingua<br />

svedese sono una minoranza<br />

linguistica. Per la maggior parte<br />

vivono sulle coste meridionali,<br />

sud-orientali e orientali delle isole<br />

Aland.<br />

Altri<br />

Tra la fine del 1997 e l'inizio del<br />

1998 in Finlandia si trovavano<br />

80.600 stranieri. I quattro gruppi<br />

più consistenti erano costituiti da<br />

Russi (14.316), Estoni (9.689),<br />

Svedesi (7.507) e Somali<br />

(5.238). Circa 20.000 Finlandesi<br />

originari di detta regione si sono<br />

trasferiti in Finlandia tra il 1990 e<br />

il 1997.<br />

Il concetto di "minoranza nazionale"<br />

non viene usato nella legislazione<br />

finlandese. L'articolo 14,<br />

comma 3 della Costituzione della<br />

Finlandia garantisce a "gruppi"<br />

diversi il diritto di mantenere e<br />

sviluppare le proprie lingue e<br />

culture. La Costituzione non definisce<br />

in maggiore dettaglio tali<br />

"gruppi". Secondo una legge governativa<br />

(HE 309/1993 vp) i<br />

"gruppi" cui fa riferimento la Costituzione<br />

comprendono i Sami, i<br />

Rom e, inoltre, minoranze nazionali<br />

ed etniche, quali gli Ebrei e i<br />

Tatari.<br />

In pratica si ritiene che la Convenzione<br />

quadro riguardi i Sami, i Rom, gli Ebrei, i<br />

Tatari e i cosiddetti Vecchi Russi ed inoltre,<br />

de facto, anche i Finlandesi di lingua<br />

Svedese. Per quanto riguarda la legislazione<br />

finlandese, tuttavia, esistono definizioni<br />

delle minoranze nelle seguenti<br />

leggi: legge sul parlamento Sami, legge<br />

sull'uso della lingua Sami nei rapporti<br />

con le autorità, la legge Skolt (253/1995)<br />

ed infine la legge per il miglioramento<br />

delle condizioni di vita della popolazione<br />

Rom (713/1975), rimasta in vigore dal<br />

1976 al 1981.<br />

* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali.<br />

120


Paese: GERMANIA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

SORABI<br />

60.000 Sassonia e Brandeburgo I cittadini tedeschi appartenenti alle<br />

DANESI<br />

50.000 Regione dello Schleswig,<br />

Land di Schleswin-Holstein<br />

minoranze tutelate ai sensi della<br />

Convenzione-quadro per la Tutela<br />

SINTI-ROM<br />

70.000 Capitali degli antichi Länder<br />

della Germania (gli 11 Stati Federali<br />

della Republica Federale Tedesca<br />

prima dell’unificazione), tra<br />

cui Berlino e dintorni, sobborghi di<br />

delle Minoranze Nazionali godono<br />

di tutti i diritti e le libertà riconosciuti<br />

dalla Costituzione della Repubblica<br />

Federale Tedesca. Agli stessi<br />

si applica anche il divieto di discriminazione<br />

Amburgo e di Kiel, regione del Reno/Rhur<br />

previsto dall’art. 3,<br />

con Düsseldorf e Colonia,<br />

agglomerati del Reno/Main e del<br />

comma 3, prima frase, della Costituzione.<br />

Reno/Neckar, nonché alcune città<br />

di media e piccole dimensioni della<br />

Frisia Orientale, dell’Hesse Settenarionale,<br />

del Palatinato, del Baden<br />

e della Baviera.<br />

FRISONI 12 . 00 0 Fr is i a or i en t al e,<br />

c om pr en d en t e i l S at erl an d ,<br />

l e vi c i n an z e di O l d en b ur g,<br />

c on i p a es i d i Str üc kl in g en ,<br />

R ams l oh , Sc h arr el e S e-<br />

d els b er g ;<br />

Fris i a s et t en tri on al e, c om -<br />

pr en d en t e il d is tr et t o d el<br />

N or df ri es l an d s u ll a c os t a<br />

oc c i d ent al e d el L an d<br />

Sc hl es w i g-H ols t ei n (c on l e<br />

is ol e d i S yl t , F öh r , A mr u m<br />

e H el g ol an d );<br />

Frisia occidentale (regioni confinanti<br />

con la provincia olandese del<br />

Friesland).<br />

Legge federale di ratifica della Convenzione-quadro<br />

per la tutela delle<br />

minoranze nazionali del 22 luglio<br />

1997.<br />

* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali e dalla pubblicazione<br />

“Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />

121


Paese: IRLANDA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

VIAGGIATORI<br />

24.000 Centri urbani<br />

DISTRIBUZIONE SECONDO LA LINGUA D’USO<br />

MAGGIORANZA: IRLANDESI 3.557.336<br />

MONOLINGUI INGLESE<br />

MINORANZA: PARLANTI IRLAN-<br />

DESE GAELICO<br />

360.000 Alcune aree del paese<br />

ufficialmente definite come distretti<br />

parlanti la lingua gaelica (i Gaeltacht)<br />

Il diritto irlandese non prevede alcuna<br />

definizione giuridica del termine<br />

“minoranza nazionale”.<br />

L’Irlanda non ha fatto alcuna dichiarazione<br />

sull’applicazione della<br />

Convenzione-quadro sulle minoranze<br />

nazionali ad una particolare<br />

minoranza o comunità minoritaria.<br />

L’Irlanda ha sempre sostenuto che<br />

il riconoscimento e la tutela delle<br />

minoranze nazionali quale parte<br />

integrante della tutela internazionale<br />

dei diritti umani non sia materia<br />

di esclusiva competenza dello Stato<br />

interessato. A tale proposito,<br />

l’Irlanda fa notare come nel Commento<br />

Generale 23(50) del Comitato<br />

ONU per i Diritti Umani riferito<br />

all’art. 27 (diritti delle minoranze<br />

etniche, religiose e linguistiche) del<br />

Patto Internazionale sui Diritti Civili<br />

e Politici, si specifichi che<br />

l’esistenza/il riconoscimento non<br />

dipende da una decisione dello<br />

Stato, ma sia piuttosto da riferire a<br />

dei criteri oggettivi.<br />

L’Irlanda ha, altresì, preso atto del<br />

diritto (previsto all’art. 3 della Convenzione-quadro)<br />

riconosciuto agli<br />

individui e/o gruppi di individui di<br />

scegliere liberamente se essere<br />

trattati o meno come una minoranza<br />

riconosciuta.<br />

Legge sulla parità di status del<br />

2000. Questa norma definisce<br />

la comunità di Viaggiatori come:“la<br />

comunità di persone<br />

che vengono comunemente<br />

chiamate Viaggiatori e che sono<br />

identificate (da se stesse e<br />

da altri) come persone con una<br />

storia, una cultura e tradizioni<br />

comuni, caratterizzate altresì<br />

da uno stile di vita storicamente<br />

nomade sull’Isola di Irlanda”.<br />

* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />

122


Paese: ITALIA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

Ladini 48.164<br />

Sloveni<br />

80.000 x<br />

Albanesi 70.479<br />

Greci 22.903<br />

Francofoni<br />

126.990 xi<br />

Catalani 18.000<br />

Croati 1.650<br />

Francoprovenzali 81.642-91.642<br />

Friulani 541.242<br />

Sarda<br />

531.549 (+55 paesi, in attesa dei dati)<br />

Occitani 48.161<br />

Altoatesina 291.873<br />

Carinziana 2.623<br />

Cimbra 315<br />

Mochena 697<br />

Walser 1.215<br />

Totale 1.867.503 – 1.877.503 circa<br />

Artt. 2 e 3 della Costituzione.<br />

Art. 6 della Costituzione che recita:<br />

“La Repubblica tutela con apposite<br />

norme le minoranze linguistiche”.<br />

A norma degli Statuti speciali<br />

delle Regioni Trentino-Alto A-<br />

dige, Valle d’Aosta e Friuli-<br />

Venezia Giulia, con decreti<br />

legislativi, sono molteplici le<br />

norme di attuazione emanate.<br />

Esiste una vasta produzione<br />

normativa regionale sia<br />

nell’ambito degli Statuti che nel<br />

contesto della disciplina regionale<br />

in materia di competenza,<br />

soprattutto nel settore dei beni<br />

culturali e delle attività di promozione<br />

culturale ed educativa.<br />

Legge-quadro 15 dicembre<br />

1999, n. 482 recante “Norme<br />

in materia di tutela delle minoranze<br />

linguistiche storiche”.<br />

Legge 23 febbraio 2001, n. 38<br />

recante Norme a tutela della<br />

minoranza linguistica slovena<br />

della regione Friuli-Venezia<br />

Giulia”.<br />

* I dati sono stati desunti a seguito della delimitazione territoriale adottata dall’Organismo competente, in base alla normativa vigente.<br />

Gli stessi dati rivestono carattere di stima e quindi sono da ritenersi puramente indicativi.<br />

x Il dato risale al 1° Rapporto del Ministero dell’Interno del 1994 ed è puramente indicativo. Si è in attesa, quindi, delle delimitazioni territoriali<br />

previsti dalla legge n. 38/2001.<br />

xi In Valle d’Aosta circa 122.000; in Piemonte 4.990 circa.<br />

123


Paese: LIECHTENSTEIN<br />

MINORANZE PRESENTI<br />

NON ESISTONO<br />

Il Liechtenstein ha ratificato<br />

la Convenzione<br />

quadro per la protezione<br />

delle minoranze nazionali<br />

il 18 novembre 1997, inserendo<br />

la seguente dichiarazione<br />

nello strumento<br />

di ratifica: Il Principato<br />

del Liechtenstein<br />

dichiara che, in particolare,<br />

gli articoli 24 e 25 della<br />

Convenzione quadro per<br />

la protezione delle minoranze<br />

nazionali del 1°<br />

Febbraio 1995 vanno<br />

presi in considerazione<br />

tenendo conto del fatto<br />

che sul territorio del Principato<br />

non insistono minoranze<br />

nazionali, nel<br />

senso previsto dalla Convenzione<br />

quadro. Il Principato<br />

del Liechtenstein<br />

considera la propria ratifica<br />

della Convenzione<br />

quadro quale atto di solidarietà<br />

in vista degli o-<br />

biettivi della Convenzione.<br />

CONSISTENZA NUMERICA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

COSTITUZIONALE<br />

La Costituzione prevede che il tedesco<br />

sia la lingua nazionale e ufficiale<br />

del Liechtenstein. A livello generale, e<br />

per uso colloquiale, viene parlato un<br />

dialetto germanico, con caratteristiche<br />

alemanne.<br />

LEGGE NAZIONALE<br />

124


Paese: LITUANIA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * TUTELA GIURIDICA<br />

COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

Legge sulle<br />

Popolazione 3.653.000 Art. 25 e 26: la libertà di opinione,religione<br />

e coscienza è riconosciuta<br />

a tutti. La libertà di cultura,<br />

scienza, ricerca e insegnamento è<br />

riconosciuta a tutti<br />

Art 29: prevede il principio<br />

dell’uguaglianza e il divieto di discriminazione<br />

Artt. 35 e 36: la libertà di riunione e<br />

associazione è riconosciuta solo ai<br />

cittadini<br />

art. 37: “I cittadini che appartengono<br />

a comunità nazionali hanno il<br />

diritto di sviluppare la propria lingua<br />

e cultura e i propri costumi”.<br />

Art. 45: alle minoranze nazionali è<br />

riconosciuto il diritto di mantenere<br />

istituti di istruzione e di altro tipo, in<br />

autonomia amministrativa e con il<br />

sostegno dello Stato.<br />

Capitolo 2 della Costituzione (parte<br />

riguardante i diritti fondamentali):<br />

distinzione tra i diritti di tutti gli individui<br />

e i diritti dei cittadini.<br />

Art. 117, commi 2 e 3 della Costituzione:<br />

benché la lingua usata in<br />

tribunale sia il lituano (legge sulla<br />

lingua dei pubblici uffici del 1995 e<br />

art. 8 della legge sui tribunali del<br />

1994), i partecipanti ad un processo<br />

che non padroneggiano tale<br />

lingua hanno diritto all’intervento di<br />

un interprete.<br />

minoranze del<br />

1989 (parzialmente modificata<br />

nel gennaio 1991):<br />

Artt. 1 e 2: alle minoranze nazionali<br />

che insistono sul territorio<br />

nazionale della Lituania è<br />

riconosciuto il diritto al riconoscimento<br />

e alla promozione<br />

dell’identità etnica, nonché alla<br />

tutela dalla discriminazione<br />

Art. 2, comma 2: particolari<br />

misure di tutela nei settori<br />

dell’istruzione, dei media e<br />

dell’accesso ai pubblici uffici.<br />

Prevede il diritto<br />

all’insegnamento nella lingua<br />

di minoranza a tutti i livelli del<br />

sistema scolastico. Autorizza<br />

espressamente le organizzazioni<br />

sociali e culturali delle<br />

minoranze; inoltre le minoranze<br />

possono creare istituzioni<br />

formative e culturali che devono<br />

essere sostenute dallo Stato.<br />

Prevede espressamente il<br />

diritto ad intrattenere contatti<br />

con persone della medesima<br />

appartenenza etnica, ma residenti<br />

all’estero. Garantisce il<br />

diritto all’uso della lingua madre<br />

per la stampa, per i prodotto<br />

editoriali e l’informazione.<br />

Art. 3: prevede l’obbligo di creare<br />

le condizioni per la formazione<br />

degli insegnanti necessari<br />

a provvedere a tale tipo di<br />

insegnamento nelle lingue di<br />

minoranza.<br />

Art. 4: particolari misure di tutela<br />

per quanto riguarda<br />

l’impiego della lingua di minoranza<br />

nei rapporti con gli uffici<br />

pubblici, le autorità e le organizzazioni<br />

locali, nei territori<br />

dove le minoranze sono presenti<br />

in maniera compatta<br />

Art. 5: particolari misure di tutela<br />

per quanto riguarda i toponimi.<br />

Le scritte “informative”,<br />

alle quali appartengono anche<br />

le denominazioni topografiche,<br />

possono essere espresse nella<br />

lingua della minoranza interessata<br />

(lingua locale), nelle parti<br />

della Lituania dove le minoranze<br />

nazionali insistono in maniera<br />

compatta, a condizione<br />

che venga aggiunta anche la<br />

lingua diStato.<br />

Art. 6: i monumenti appartenenti<br />

alla cultura delle minoranze<br />

nazionali sono considerati<br />

parte del patrimonio nazionale<br />

della Lituania e in quanto<br />

* I dati sono stati desunti a seguito della delimitazione territoriale adottata dall’Organismo competente, in base alla normativa vigente.<br />

Gli stessi dati rivestono carattere di stima e quindi sono da ritenersi puramente indicativi.<br />

125


Lituani 3.000.222 tali sono protetti<br />

Art. 7: prevede l’istituzione di<br />

scuole private per le minoranze<br />

con il sostegno dello Stato<br />

Art. 9: prevede la libertà di associazione<br />

per gli appartenenti<br />

alle minoranze nazionali<br />

Art. 10: prevede il diritto alla<br />

creazione di organismi propri.<br />

Al comma 1 stabilisce che il<br />

parlamento e i consigli comunali<br />

possano costituire dei comitati<br />

pubblici delle minoranze.<br />

Al comma 2 stabilisce che il<br />

Consiglio dei Ministri istituisca<br />

un comitato per le minoranze,<br />

al fine di dare espressione alle<br />

esigenze sociali e culturali delle<br />

minoranze etniche.<br />

Minoranze:<br />

Regolamento sui nomi delle<br />

persone del 1991: nei documenti<br />

ufficiali i nomi e i cognomi<br />

devono essere scritti in<br />

caratteri latini (caratteri della<br />

lingua lituana); tuttavia i cittadini<br />

di nazionalità diversa da<br />

quella lituana, con istanza<br />

scritta, possono richiedere che<br />

il proprio nome venga scritto in<br />

accordo con la pronuncia, ovvero<br />

con o senza le desinenze<br />

proprie del lituano. Anche i<br />

nomi di persone, a cui sia stata<br />

concessa la cittadinanza, possono<br />

essere usati in accordo<br />

con la forma originaria, utilizzando,<br />

però, i caratteri latini.<br />

Art. 18 della legge sulla lingua<br />

dei pubblici uffici del 1995:<br />

stabilisce che i nomi e gli indirizzi<br />

delle comunità o organizzazioni<br />

etniche possono essere<br />

usati nelle lingue di minoranza,<br />

ma solo accanto alla<br />

lingua usata nei pubblici uffici.<br />

Art 4 della legge sulla radio e<br />

la televisione del 1996:<br />

l’emittente di stato deve tenere<br />

conto anche delle varie nazionalità.<br />

Art. 9 della legge sul processo<br />

amministrativo del 1999: stabilisce<br />

che la lingua da usare sia<br />

il lituano, ma per chi non lo<br />

padroneggia è previsto un servizio<br />

di traduzione a spese dello<br />

Stato.<br />

Art. 31 della legge per la diffusione<br />

delle informazioni al<br />

pubblico: stabilisce che nella<br />

concessione delle licenze si<br />

tenga conto, fra l’altro delle<br />

esigenze delle minoranze nazionali.<br />

Art. 34 della legge per la diffusione<br />

delle informazioni al<br />

pubblico: prevede che le trasmissioni<br />

radiotelevisive in lingua<br />

diversa dal lituano siano<br />

tradotte in lituano o vengano<br />

completate con sottotitoli in<br />

lituano.<br />

126


Russi 300.000<br />

Polacchi 250.000<br />

Bielorussi 45.000<br />

Ucraini 35.000<br />

Ebrei 6.000<br />

Tatari 5.000<br />

Lettoni 4.000<br />

Rom 2.718<br />

Tedeschi 2.060<br />

Karaime 3.000<br />

127


Paese: MALTA<br />

MINORANZE PRESENTI<br />

CONSISTENZA NUMERICA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

COSTITUZIONALE<br />

LEGGE NAZIONALE<br />

All'atto della ratifica della Convenzione<br />

quadro Malta ha reso<br />

nota la seguente Dichiarazione:<br />

Malta dichiara che sul proprio<br />

territorio non esistono minoranze<br />

nazionali nel senso previsto<br />

dalla Convenzione quadro per la<br />

protezione delle minoranze nazionali.<br />

Ratificando la Convenzione<br />

quadro, Malta intende fare<br />

un atto di solidarietà ai fini degli<br />

obiettivi della Convenzione<br />

128


Paese: NORVEGIA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

SAMI (LAPPONI)<br />

40.000-60.000 Contee di Finnmark<br />

e Troms<br />

FINNI (Kven e Skog)<br />

12.000-20.000 Provincia sudorientale<br />

Hedmark<br />

ROM/VIAGGIATORI<br />

5.000 Area di Oslo<br />

EBREI 1.000<br />

- Nel corso degli anni ’70 e ’80<br />

erano state adottate varie misure<br />

in favore della minoranza<br />

Rom, le quali tra l’altro avevano<br />

previsto la creazione di un<br />

apposito Ufficio per gli Zingari<br />

con sede ad Oslo. Tali interventi,<br />

tuttavia, sono stati gradualmente<br />

eliminati all’inizio<br />

degli anni ’90, sia perché il loro<br />

costo è risultato essere troppo<br />

elevato sia per l’inadeguatezza<br />

dei risultati conseguiti.<br />

- Nel Rapporto sulle misure di<br />

attuazione della Convenzione<br />

n. 169 sui Popoli Indigeni e<br />

Tribali nei Paesi Indipendenti, i<br />

Sami non si definiscono minoranza<br />

ma popolo autoctono.<br />

* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />

129


Paese: POLONIA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

La Polonia è attualmente abitata<br />

da rappresentanti di 13 minoranze<br />

nazionali ed etniche, che assommano<br />

a circa 1 milione di persone<br />

(circa il 2-3% di tutti gli abitanti).<br />

Parte degli appartenenti alle minoranze<br />

nazionali ed etniche vivono<br />

in comunità, altri sono distribuiti a<br />

pioggia. nel dopoguerra non sono<br />

stati raccolti dati concernenti il numero<br />

delle persone appartenenti<br />

alle minoranze nazionali; pertanto<br />

tutti i dati citati sono stime. Le informazioni<br />

complete sulla struttura<br />

nazionale provengono da censimenti<br />

effettuati prima della Guerra<br />

(1921 e 1931). Nel 1998 l'Ufficio<br />

Centrale di Statistica ha deciso di<br />

inserire la categoria "nazionalità"<br />

nel censimento generale preliminare.<br />

Nel 1999 il Parlamento ha votato<br />

la legge del 2 dicembre sul censimento<br />

nazionale generale della<br />

popolazione e delle abitazioni, che<br />

stabiliva che il censimento doveva<br />

essere effettuato nel maggio 2002.<br />

Il questionario conteneva, fra l'altro,<br />

due domande concernenti la<br />

nazionalità: a quale nazionalità<br />

appartiene la persona e quale lingua/lingue<br />

viene/vengono parlata/parlate<br />

più spesso a casa.<br />

Le norme costituzionali riguardanti<br />

i diritti linguistici sono attuate rispetto<br />

alla comunità casciuba<br />

(gruppo etnico che coltiva le proprie<br />

tradizioni regionali e usa la<br />

propria lingua, che è diversa dal<br />

polacco; la consistenza numerica è<br />

di circa 350-500.000 persone.<br />

Bielorussi<br />

(appartenenti quasi esclusivamente<br />

alla Chiesa Ortodossa Polacca)<br />

Cechi<br />

Karaime<br />

Lituani<br />

Lemks<br />

200.000-300.000 Voivodato: Podlaskie<br />

3.000 Voivodati: Bassa Slesia, Lubelskie,<br />

Lodzkie<br />

200 distribuzione a pioggia<br />

20-25.000 Voivodato Podlaskie<br />

60-70.000 Voivodati: Malopolskie,<br />

Podkarpackie, Dolnoslaskie, Warminsko-Mazurskie,<br />

Lubuskie<br />

Tedeschi<br />

300-500.000 Voivodati: Oploskie,<br />

Staskie, Warminsko-Mazurskie,<br />

Kujawsko-Pomorskie<br />

Armeni<br />

5-8.000 Voivodati: Bassa Slesia,<br />

Malopolskie<br />

Rom<br />

20-30.000 Voivodati: Malopolskie,<br />

a pioggia<br />

Russi 10-15.000 Voivodati: Podlaskie,<br />

Warmia e Mazury<br />

Slovacchi<br />

10-20.000 Voivodato Malopolskie<br />

Tatari<br />

5.000 Voivodato Podlaskie<br />

Ucraini<br />

200-300.000 Voivodati: Bassa Slesia,<br />

Lubelskie, Lubuskie, Malopolskie,<br />

V. Subcarpatico, Warmia e<br />

Mazury, V. Pomerania occidentale<br />

Casciubi 300.000-500.000<br />

Greci 4000-5000<br />

Ebrei<br />

8-10.000 a pioggia<br />

* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali e dalla pubblicazione<br />

“Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />

130


Paese: REGNO UNITO<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

Scozzesi 63.000<br />

Irlandesi 140.000<br />

Gallesi 543.000<br />

Rom 90.000<br />

Cornici 1000<br />

Gallesi Isola di Man 300<br />

Non esiste una definizione giuridica<br />

di minoranza nazionale.<br />

Viene definito il gruppo razziale<br />

di cui alla legge del 1976 sui<br />

Rapporti razziali: "gruppo di persone<br />

definite per mezzo del colore,<br />

razza, nazionalità (compresa<br />

la cittadinanza) o delle origini<br />

etniche o nazionali". Tale definizione<br />

comprende le comunità<br />

minoritarie etniche (o minoranze<br />

visibili), gli scozzesi, gli irlandesi<br />

e gallesi, gli zingari e la comunità<br />

dei nomadi dell'Irlanda del<br />

Nord. E' importante notare che<br />

l'appartenenza ad una comunità<br />

minoritaria etnica non esclude il<br />

senso di appartenenza alle unità<br />

costitutive del Regno Unito.<br />

La legge del 1998 sulla criminalità<br />

e i disordini ha rafforzato<br />

l'efficacia della legge penale<br />

contro i reati con aggravante<br />

razziale. La legge del 1976 tutela<br />

gli appartenenti alle minoranze<br />

etniche dalla discriminazione.<br />

Secondo tale legge la discriminazione<br />

è illegale nell'istruzione,<br />

formazione e questioni attinenti;<br />

nella fornitura di beni, strutture,<br />

servizi e locali, nonché nell'utilizzo<br />

e nella gestione di ambienti.<br />

Detta legge prevede che le<br />

persone abbiano diritto di accedere<br />

direttamente ai Tribunali<br />

civili e a quelli del lavoro per<br />

tutelarsi dalla discriminazione<br />

illegale. La citata legge ha istituito<br />

la Commissione per l'uguaglianza<br />

razziale, indipendente<br />

dal <strong>Governo</strong>, che opera per l'eliminazione<br />

della discriminazione<br />

e la promozione delle pari<br />

opportunità.<br />

* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />

131


Paese: REPUBBLICA CECA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

MINORANZE<br />

SLOVACCHI<br />

POLACCHI<br />

TEDESCHI<br />

ROM<br />

UNGHERESI<br />

UCRAINI<br />

RUSSI<br />

RUTENI<br />

BULGARI<br />

GRECI<br />

314.877 Distretti di Sokolov, Cheb,<br />

Cesky Krumlov, Karvina, Bruntal,<br />

città di Praga<br />

59.383 Zone confinanti con la Polonia;<br />

Distretti di Frydek-Mistek e Karvina<br />

48.556 Regioni a ridosso dei confini<br />

meridionale, settentrionale ed<br />

occidentale (distretti di Jihlava e<br />

Viyskov);<br />

Distretti di Sokolov, Karlovy Vary,<br />

Chomutov e Teplice;<br />

in Moravia, distretto di Opava<br />

32.903 Sull’intero territorio delle<br />

Terre Ceche, con le maggiori concentrazioni<br />

nelle città industriali<br />

della Boemia settentrionale e della<br />

Moravia settentrionale, nonché a<br />

Praga<br />

19.932 Praga, Boemia centrale,<br />

Moravia settentrionale<br />

8.220 Praga, Boemia centrale, Moravia<br />

settentrionale<br />

5.062 su tutto il territorio nazionale<br />

1.926 su tutto il territorio nazionale<br />

3.487 su tutto il territorio nazionale<br />

3.379 su tutto il territorio nazionale,<br />

con le maggiori concentrazioni nelle<br />

città di Krnov e Brno<br />

1.043 su tutto il territorio nazionale<br />

413 Cfr. minoranza tedesca<br />

ROMENI<br />

AUSTRIACI<br />

VIETNAMITI 421<br />

EBREI<br />

218 su tutto il territorio nazionale<br />

ALTRI<br />

9.860<br />

(di cui cecoslovacchi)<br />

3.464<br />

SECONDO L’APPARTENENZA REGIONALE<br />

BOEMI 9.270.615<br />

MORAVI 373.294<br />

Provvedimenti legislativi aventi<br />

rilevanza costituzionale:<br />

- Legge 121/1920, che recepisce la<br />

legge costituzionale della Repubblica<br />

Cecoslovacca;<br />

- Legge 508/1921, Trattato tra le<br />

principali potenze alleate ed associate<br />

e la Cecoslovacchia firmato a<br />

Saint- Gennain-en Laye il<br />

10/9(1919;<br />

- Legge 144/1968 sullo status delle<br />

minoranze nazionali nella Repubblica<br />

Socialista Cecoslovacca;<br />

- Legge 23/1991, che recepisce la<br />

Carta dei Diritti e delle Libertà<br />

Fondamentali quale legge costituzionale<br />

della Repubblica Federativa<br />

Ceca e Slovacca;<br />

- Legge 2/1993, Risoluzione del<br />

Consiglio Nazionale Ceco del 16<br />

dicembre 1992 sulla dichiarazione<br />

della Carta dei Diritti e delle Libertà<br />

Fondamentali quale parte integrante<br />

dell’ordine costituzionale della<br />

Repubblica Ceca<br />

Nel 1968, dopo la creazione della<br />

Federazione Cecoslovacca, il Parlamento<br />

ha adottato una legge costituzionale<br />

sullo status delle minoranza.<br />

L’elenco delle minoranze<br />

nazionali in essa presentato includeva<br />

anche la minoranza nazionale<br />

tedesca, oltre a quella ungherese,<br />

polacca, ucraina (rutena) già<br />

previste. Altre minoranze, tra cui i<br />

Rom non sono state riconosciute.<br />

In base alla costituzione ed alla<br />

legge summenzionata, all’epoca la<br />

Cecoslovacchia comprendeva due<br />

nazioni (nel significo etnico del<br />

termine) e quattro gruppi etnici descritti<br />

con un termine diverso da<br />

nazione, ossia con quello di gruppo<br />

etnico. Le stesse minoranze<br />

non sono state e continuano a non<br />

essere descritte come nazionali,<br />

ma piuttosto con l’aggettivo “etnico”.<br />

La tradizione della doppia etnicità<br />

è stato mantenuto<br />

nell’attuale Repubblica Ceca, nonostante<br />

l’ordinamento interno del<br />

paese non riconosca il termine di<br />

nazione (etnica) costituente lo Stato.<br />

Il termine nazione viene generalmente<br />

associato alla lingua, alla<br />

cultura ed alla patria potestà.<br />

Nel 1991, la legge costituzionale<br />

sullo status delle minoranze nazio-<br />

- Legge 122/1920, basata<br />

sull’art. 129 della Costituzione<br />

che stabilisce i principi dei diritti<br />

linguistici nella Repubblica Cecoslovacca;<br />

* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali e dalla pubblicazione<br />

“Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />

132


SLESIANI 11.248 nali del 1968 è stata sostituita dalla<br />

Carta dei Diritti e delle Libertà<br />

Fondamentali che, agli artt. 24 e<br />

25, definisce la tutela dei diritti delle<br />

minoranze nazionali. Dopo lo<br />

scioglimento della Federazione<br />

Cecoslovacca, la Carta è stata inserita<br />

nell’ordinamento costituzionale<br />

della Repubblica Ceca a decorrere<br />

dal 1° gennaio 1993.<br />

133


Paese: REPUBBLICA DELLA MOLDAVIA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

UCRAINI 600.366<br />

RUSSI 562.062<br />

GAGAUZI<br />

153.458 La maggioranza risiede<br />

nella regione occupata dall’Unità<br />

Territoriale Amministrativa della<br />

Gagauzia (Gagauz-Yeri), entità<br />

politica autonoma.<br />

BULGARI 88.419<br />

EBREI 65.672<br />

BIELORUSSI 19.608<br />

ROM 11.571<br />

TEDESCHI 7.335<br />

POLACCHI 4.739<br />

I dati demografici sopra indicati si<br />

riferiscono al censimento della popolazione<br />

condotto nel 1989,<br />

quando il paese era ancora parte<br />

dell’Unione Sovietica.<br />

La Repubblica di Moldova comprende,<br />

oltre alla Gagauzia, anche<br />

un’altra regione autonoma costituita<br />

dalla Transdniestria, dove sono<br />

presenti varie minoranze etniche,<br />

fra cui ucraini, russi, bulgari, gagauzi<br />

ed altre.<br />

* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />

134


Paese: REPUBBLICA DI MACEDONIA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

Albanesi 442.914<br />

Turchi 77.252<br />

Rom 43.732<br />

Valacchi 8.467<br />

Serbi 39.260<br />

Altri 34.960<br />

La Costituzione della Repubblica di<br />

Macedonia non prevede l'uso del<br />

termine minoranze nazionali; con<br />

gli emendamenti costituzionali del<br />

2004 è stato eliminato anche il<br />

termine nazionalità.<br />

Il IV emendamento alla Costituzione<br />

prevede che la Repubblica di<br />

Macedonia costituisca uno stato<br />

indipendente e sovrano in cui i cittadini,<br />

sia macedoni sia appartenenti<br />

al popolo albanese, turco,<br />

valacco, serbo, rom, bosniaco si<br />

assumano la responsabilità del<br />

presente e del futuro della loro patria.<br />

L'articolo 8 della Costituzione<br />

prevede la libera espressione dell'affiliazione<br />

etnica, che è uno dei<br />

valori fondamentali dell'ordine costituzionale<br />

della Repubblica di<br />

Macedonia, unitamente a quello<br />

della rappresentazione adeguata<br />

ed equa dei cittadini appartenenti<br />

ad altre comunità presso gli organi<br />

delle autorità statali e di altre pubbliche<br />

istituzioni, a tutti i livelli.<br />

* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />

135


Paese: ROMANIA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

20.350.980 In 38 distretti la popolazione<br />

Romeni<br />

di origine etnica rumena<br />

costituisce la maggioranza. Nei<br />

distretti di Covasna e Harghita la<br />

popolazione di origine etnica magiara<br />

costituisce la maggioranza.<br />

Magiari e Szekel 1.620.199<br />

Rom 409.723<br />

Tedeschi, Svevi e Sassoni 119.436<br />

Ucraini 66.833<br />

Russi-Lipovani 38.688<br />

Serbi 29.080<br />

Tatari 24.649<br />

Slovacchi 20.672<br />

Bulgari 9.935<br />

Ebrei 9.107<br />

Croati 4.180<br />

Cechi 5.800<br />

Polacchi 4.247<br />

Greci 3.897<br />

Armeni 2.023<br />

Valacchi 200.000-250.000<br />

Turchi 32.596<br />

Carasciovani 207<br />

Macedoni 731<br />

Altri 8.420<br />

I Trattati politici fondamentali<br />

conclusi dalla Romania con<br />

l'Ungheria (1996) e l'Ucraina<br />

(1997), contengono articoli separati<br />

sulla tutela delle persone<br />

appartenenti alle minoranze nazionali<br />

e prevedono che le Parti<br />

contraenti diano attuazione alle<br />

norme e agli standard previsti<br />

dalla Convenzione quadro per la<br />

protezione delle minoranze nazionali.<br />

* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali e dalla pubblicazione<br />

“Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />

136


Paese: RUSSIA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

Nel soddisfare le varie esigenze<br />

delle minoranze nazionali, nella<br />

pratica si è arrivati ad individuare<br />

due gruppi di entità nella composizione<br />

etnica della Federazione<br />

Russa: nazioni insediate o che vivono<br />

sul territorio della Russia da<br />

un lungo periodo di tempo, che<br />

possono essere chiamati, in un<br />

certo senso, popoli indigeni e<br />

gruppi etnici di origine relativamente<br />

più recente, le cui etnie "madri"<br />

vivono fuori dalla Federazione<br />

Russa (la Comunità di Stati Indipendenti<br />

e i Paesi Baltici, Bulgaria,<br />

Ungheria, Germania, Corea, Polonia,<br />

Finlandia e altri stati); infine vi<br />

sono anche gruppi che non hanno<br />

uno stato corrispondente (Assiri,<br />

Karaiti, Curdi e Rom)<br />

L'articolo 26 della Costituzione della<br />

Federazione Russa stabilisce<br />

quanto segue: "Ciascuno ha il diritto<br />

di determinare e dichiarare la<br />

propria nazionalità. Nessuno può<br />

essere obbligato a determinare o<br />

dichiarare la propria nazionalità".<br />

La legislazione in vigore non<br />

contiene alcuna definizione del<br />

concetto di "minoranza nazionale",<br />

pertanto non esiste un<br />

elenco di gruppi riconosciuti<br />

quale minoranza nazionale<br />

Anche se non riconosciute, vivono<br />

in Russia le seguenti minoranze:<br />

Aguli 18.000<br />

Assiri 9.600<br />

Avari 544.000<br />

Balkari 78.000<br />

Baskiri 1.345.000<br />

Bielorussi 1.206.000<br />

Calmucchi 166.000<br />

Careliani 125.000<br />

Cazacchi 636.000<br />

Ceceni 899.000<br />

Circassi (Adyghei) 174.000<br />

Ciuviassi 1.774.000<br />

Darghini 353.000<br />

Estoni 46.000<br />

Ebrei 548.000<br />

Finni 47.000<br />

Gagauzi 10.000<br />

Georgiani 131.000<br />

Greci 92.000<br />

Ingri 1.100<br />

Ingusci 215.000<br />

Kabardini 386.000<br />

Karaciai 150.000<br />

Komi 336.000<br />

Komi-Permiacchi 147.000<br />

Kumycchi 277.000<br />

Laki 106.000<br />

Lezghini 257.000<br />

Lettoni 47.000<br />

Lituani 70.000<br />

Mari 644.000<br />

Mordvini 1.073.000<br />

Nogai 74.000<br />

Osseti 402.000<br />

Rom 153.000<br />

Rutuli 20.000<br />

Sami 1.800<br />

Tabasarani 94.000<br />

Tatari 5.543.000<br />

Tati 19.000<br />

Tsakhuri 6.500<br />

Tedeschi 842.000<br />

* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />

137


Ucraini 4.363.000<br />

Udmurti 715.000<br />

Vepsi 12.000<br />

24.156.000<br />

138


Paese: SAN MARINO<br />

MINORANZE PRESENTI<br />

Benché San Marino non ospiti minoranze<br />

etniche sul proprio territorio,<br />

in anni recenti ha sperimentato<br />

il fenomeno dell'immigrazione. Un<br />

consistente numero di persone,<br />

relativamente alle dimensioni della<br />

popolazione locale, si reca a lavorare<br />

a San Marino, in particolare<br />

dall'Europa orientale o dal Magreb.<br />

Per la maggior parte si tratta<br />

di lavoratori stagionali, in quanto,<br />

in primavera ed estate si creano<br />

molti posti di lavoro nel settore del<br />

turismo. Alcuni di questi lavoratori<br />

stagionali, che normalmente sono<br />

impiegati nel settore della ristorazione<br />

o come commessi, potrebbero<br />

prendere in conoiderazione l'ipotesi<br />

di fermarsi permanentemente<br />

a San Marino.<br />

Attualmente, anche in considerzione<br />

del loro numero limitato, non<br />

esistono problemi di coesistenza<br />

con la comunità indigena.<br />

CONSISTENZA NUMERICA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

COSTITUZIONALE<br />

LEGGE NAZIONALE<br />

139


Paese: SERBIA E MONTENEGRO<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

ALBANESI<br />

BOSNIACI/MUSSULMANI<br />

BULGARI<br />

BUNJEVCI<br />

CROATI<br />

UNGHERESI<br />

TEDESCHI<br />

RUMENI<br />

1.714.768 Regioni del Kossovo e<br />

di Mentohija; Serbia Centrale; Serbia<br />

meridionale (comuni di Presvo<br />

e Bujanovac); comune di Medvedja<br />

al confine con il Kossovo; città di<br />

Belgrado (presenza esigua) Vojvodina;<br />

Repubblica del Montenegro<br />

(maggiore concentrazione nel comune<br />

di Ulcinj, altri gruppi presenti<br />

nei comuni di Plav, Bar e nella capitale<br />

Podgorica)<br />

327.339 Sandzak (regione comprendente<br />

parte della Serbia e del<br />

Montenegro, confinante con la Bosnia)<br />

con le maggiori concentrazioni<br />

nei comuni di Tutin, Snjenica<br />

e Novi Pazar; Serbia centrale;<br />

Kossovo; Vojvodina;<br />

Montenegro<br />

26.922Serbia orientale confinante<br />

con la Bulgaria (comuni di Dimitrovgrad<br />

e Bosilegrad); Serbia meridionale<br />

(comuni di Pirot, Babusnica<br />

e Surdulica); Vojvodina (villaggio<br />

di Ivanovo in Banat); Kossovo;<br />

Montenegro<br />

21.434 Vojvodina (la comunità più<br />

numerosa è presente nei comuni di<br />

Subotica nel Backa settentrionale<br />

e di Sombor, mentre gruppi meno<br />

consistenti risiedono a Bajmok,<br />

Gornji e Donji Tavankut, Djurdjin,<br />

Kelebija, Mala Bosna, Novi Zednik,<br />

Palic)<br />

111.650 Repubblica di Serbia; Repubblica<br />

del Montenegro; Kossovo<br />

(principalmente nel comune di Janjevo);<br />

Vojvodina; Le comunità di<br />

croati più numerose risiedono nei<br />

seguenti comuni: Subotica, Sombor,<br />

Sid, Indjia, Apatin, Ruma, Bac,<br />

Kula, Sremski Karlovci, Backa Palanka,<br />

Beocin, Irig e Novi Sad<br />

344.147 Vojvodina (la maggiore<br />

presenza si riscontra nelle seguenti<br />

città: Ada, Backa Topola, Becej,<br />

Kanjiza, Mali Idjos, Senta, Coka,<br />

Banat, Srem, Subotica; gruppi numericamente<br />

più esigui sono presenti<br />

nei comuni di Nova Crnja,<br />

Becej, Zitiste e Srbobran)<br />

5.387 Vojvodina (comuni di Apatin,<br />

Zrenjanin, Pancevo Vrbas, Subotica,<br />

Kula, Sombor, Sremska Mitrovica,<br />

Odzaci, Novi Sad, Backa Palanka<br />

e Bela Crkva); città di Belgrado;<br />

Repubblica del Montenegro<br />

42.364 Vojvodina (principlamente<br />

nella zona di Banat e nei comuni di<br />

Alibunar, Vrsac, Pancevo, Zrenjanin);<br />

Serbia centrale;<br />

Montenegro; Kossovo<br />

Legge della Repubblica del Montenegro<br />

sull’elezione di consiglieri<br />

e deputati. Tale legge consente ai<br />

comuni con una popolazione costituita<br />

in prevalenza da albanesi di<br />

creare una circoscrizione elettorale<br />

separata in seno alla singola circoscrizione<br />

repubblicana, fissando<br />

all’1% la soglia dei voti necessari<br />

per l’ingresso in Parlamento.<br />

Firma dell’Accordo intergovernativo<br />

sulla normalizzazione dei rapporti<br />

tra la Repubblica di Croazia e<br />

la ex Repubblica di Jugoslavia, che<br />

all’art. 8 prevede, indirettamente, il<br />

riconoscimento dello status di minoranza<br />

nazionale ai Croati in Jugoslavia.<br />

* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali.<br />

140


RUTENI<br />

ROM<br />

SLOVACCHI<br />

UCRAINI<br />

VALACCHI<br />

MONTENEGRINI<br />

TURCHI<br />

TSINTSARS (appellativo dai<br />

Serbi agli Arumeni)<br />

GORANTSI<br />

MACEDONI<br />

CECHI<br />

EBREI<br />

POLACCHI<br />

SLOVENI<br />

RUSSI<br />

HASHKALIS/EGIZIANI<br />

18.099 Vojvodina (comuni di Kula,<br />

Vrbas, Zabalj, Sid, Sremska Mitrovica,<br />

Novi Sad); Serbia Centrale;<br />

Montenegro; le comunità più numerose<br />

sono presenti nelle aree di<br />

Backa, e Srem, mentre altri importanti<br />

insediamenti sono localizzati<br />

a Ruski Krstur, Kucura e Bikic<br />

143.519 Montenegro (comuni di<br />

Andrijevica, Pluzine, Pljevlja, Savnik,<br />

insediamenti di Vrela Ribnicka<br />

e Konik presso Podgorica, insediamento<br />

di Niksic presso Pod<br />

Trejesom e di Cetinje presso Zabrdje;<br />

Serbia centrale;<br />

Vojvodina; Kossovo; le maggiori<br />

concentrazioni sono presenti nel<br />

bacino meridinale del fiume Morava<br />

e nella zona di Nis, in particolare<br />

nei comuni di Surdulica, Bujanovac,<br />

Bojnik, Vladicin Han<br />

66.863 Vojvodina (comuni di Backi<br />

Petrovac, Kovacica, Bac, Stara<br />

Pazova, Backa Palanka, Novi Sad)<br />

4.565 Vojvodina (comuni di Vrbas,<br />

Kula, Sremska Mitrovica, Indjija,<br />

Bac e Novi Sad)<br />

17.810 Serbia nord-orientale; Montenegro;<br />

Kossovo; Vojvodina<br />

519.757 Repubblica federativa del<br />

Montenegro<br />

11.264 Kossovo e Metohija<br />

- Aree urbane<br />

- Kossovo e Mettohija<br />

- Karacevo e Jabuka<br />

- Dintorni di Kovin<br />

- Aree urbane<br />

- Aree urbane<br />

- Aree urbane<br />

- Vojvodina<br />

80.000 Kossovo ed altre zone del<br />

paese<br />

141


Paese: SLOVACCHIA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

UNGHERESI 520.528<br />

ROM 89.920<br />

CECHI 46.968<br />

RUTENI<br />

24.201<br />

Poiché i Ruteni sono considerati in<br />

Slovacchia come gruppo a parte,<br />

sono qui indicati separatamente<br />

dagli Ucraini<br />

UCRAINI 10.814<br />

TEDESCHI 5.405<br />

CROATI 890<br />

EBREI 218<br />

POLACCHI 2.602<br />

BULGARI 1.179<br />

- Legge costituzionale N. 23/1991,<br />

che introduce la Carta dei Diritti<br />

Fondamentali e delle Libertà Fondamentali<br />

(in particolare arrt. 24,<br />

25, 37);<br />

- Costituzione della Rep. Slovacca<br />

(artt. 6, 12, 33, 34, 47).<br />

- Decreto del Ministero degli Affari<br />

Esteri N. 95/1974 relativo<br />

alla Convenzione Internazionale<br />

sulla Eliminazione di ogni Forma<br />

di Discriminazione Razziale;<br />

- Decreto del Ministero degli Affari<br />

esteri N. 120/1976 relativo al<br />

Patto sui Diritti Civili e Politici ed<br />

al Patto Internazionale sui Diritti<br />

Economici, Sociali e Culturali;<br />

- Legge N. 468/1991 sul funzionamento<br />

del Servizio radiotelevisivo<br />

e successive modifiche<br />

(art. 9 comma 2 lettera c/);<br />

- Legge del Consiglio Nazionale<br />

Slovacco N. 254/1991 sulla Televisione<br />

slovacca (art. 3, comma<br />

3, capoverso 6, lettera j/);<br />

-Legge del Consigli Nazionale<br />

Slovacco N. 255/1991 sulla Radio<br />

slovacca (art. 6, lettera d/);<br />

Legge del Consiglio Nazionale<br />

Slovacco N. 36/1978 sui teatri<br />

emendata con Legge del Consiglio<br />

Nazionale Slovacco N.<br />

115/1989 (art. 31, lettera f/);<br />

- Legge N. 29/1984 sulla Rete<br />

delle Scuole Primarie e Secondarie<br />

e successive modifiche<br />

(art. 3, comma 1);<br />

- Decreto del Ministero<br />

dell’Istruzione, della Gioventù e<br />

dello Sport N.293/1991 relativo<br />

ai Provveditorati agli Studi;<br />

- Ordinanza del <strong>Governo</strong> della<br />

Repubblica Slovacca N.<br />

282/1994 sull’Utilizzo dei libri di<br />

testo;<br />

- Decreto del Ministero<br />

dell’Istruzione N. 280/1994 relativo<br />

alle scuole private;<br />

- Legge del Consiglio Nazionale<br />

della Repubblica Slovacca N.<br />

279/1993 sulle Strutture scolastiche<br />

e successive modifiche;<br />

- Decreto del Ministero<br />

dell’Istruzione N. 353/1994 relativo<br />

alle strutture adibite all’uso<br />

per l’istruzione in età prescolare;<br />

- Legge del Consiglio Nazionale<br />

Slovacco N. 542/1990<br />

sull’Amministrazione statale e<br />

l’Autonomia delle scuole e successive<br />

modifiche;<br />

- Decreto del Ministero<br />

dell’Istruzione e del Ministero<br />

della Salute N. 536/1990 relativo<br />

alla creazione ed al funzionamento<br />

delle scuole religiose;<br />

- Ordinanza del <strong>Governo</strong> della<br />

Repubblica Slovacca N.<br />

113/1991 relativa alla conces-<br />

* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />

142


MORAVI, SLESIANI 6.361 sione di sussidi statali alle scuole<br />

private;<br />

- Legge N. 175/1990 (art. 10,<br />

comma 1, lettera a/);<br />

- Legge N. 84/1990 sul Diritto di<br />

riunione modificato con - Legge<br />

N. 83/1990 sull’Associazione di<br />

Cittadini e successive modifiche<br />

(art. 4);<br />

- Legge N. 85/1990 sul Diritto di<br />

voto (art. 1, comma 4);<br />

- Legge N. 256/1992 sulla Protezione<br />

dei dati personali nei<br />

Sistemi di Informazione ((art.<br />

16);<br />

- Legge del Consiglio Nazionale<br />

della Repubblica Slovacca sui<br />

nomi ed i cognomi N. 300/1993<br />

(art. 2, comma 1, art. 4, comma<br />

ed art. 14);<br />

- Legge del Consiglio Nazionale<br />

della Repubblica Slovacca sui<br />

Registri N. 154/1994 (art. 16,<br />

art. 19, commi 3 e 5);<br />

- Legge del Consiglio Nazionale<br />

della Repubblica Slovacca N.<br />

191/1994 sulla toponomastica<br />

nella lingua delle minoranze nazionali;<br />

- Legge sulla procedura civile N.<br />

70/1992;<br />

- Codice civile N. 40/1964 e<br />

successive modifiche;<br />

- Legge N. 141/1961 sui procedimenti<br />

penali (Procedura penale)<br />

(art. 2, comma 14);<br />

- Codice penale N. 140/1961 e<br />

successive modifiche (artt. 196,<br />

198 e 259);<br />

- Codice del lavoro N. 65/1965 e<br />

successive modifiche;<br />

Legge del Consiglio Nazionale<br />

della Repubblica Slovacca, sui<br />

Procedimenti innanzi ad essa e<br />

sulla posizione dei giudici, modificata<br />

con Legge del Consiglio<br />

Nazionale della Repubblica Slovacca<br />

N. 293/1995 (art. 23);<br />

- Legge sui Tribunali ed i Giudici<br />

N. 335/1991 (art. 7, comma 3);<br />

- Decreto del Ministero<br />

dell’Istruzione, della Gioventù e<br />

dello Sport N. 280/1991 relativo<br />

al completamento dei corsi di<br />

studio nelle scuole secondarie e<br />

di preparazione nelle scuole professionali,<br />

e successive modifiche<br />

(art. 10).<br />

143


Paese: SLOVENIA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

Magiari 8.503<br />

Italiani 3.064<br />

Rom 2.293<br />

Tedeschi (inclusi vecchi austriaci) 745<br />

Le comunità nazionali italiane ed<br />

ungheresi vivono in zone relativamente<br />

compatte, che vengono definite<br />

zone etnicamente miste. La<br />

comunità italiana è insediate in tre<br />

comuni costieri lungo il confine con<br />

l'Italia (Capodistria, Isola e Pirano).<br />

La comunità nazionale ungherese<br />

è insediata nella regione lungo il<br />

confine tra la repubblica di Slovenia<br />

e la repubblica di Ungheria<br />

(comuni di Dobrovnik, Hodo, Lendava,<br />

Moravske Toplice e Alovci)<br />

La parte principale della comunità<br />

Rom nella repubblica di Slovenia è<br />

insediata a Prekmurje e nella regione<br />

di Dolenjsko, nella Slovenia<br />

centrale.<br />

La tutela dei diritti delle comunità<br />

nazionali autoctone e della comunità<br />

Rom in Slovenia è garantita<br />

dalla legislazione della repubblica<br />

di Slovenia a due livelli: tutela dei<br />

diritti individuali dei membri delle<br />

comunità minoritarie e garanzia di<br />

diritti speciali per le comunità minoritarie<br />

(art. 64 della Costituzione) e<br />

la comunità Rom (art. 65 della Costituzione).<br />

Secondo la Costituzione<br />

le comunità nazionali autoctone<br />

italiana e ungherese godono dello<br />

speciale diritto all'uso dei propri<br />

simboli nazionali, all'uso della propria<br />

lingua nell'istruzione, alle proprie<br />

attività economiche, culturali e<br />

di ricerca, ad attività nel settore dei<br />

mass media e dell'editoria ed infine<br />

godono del diritto a mantenere<br />

contatti con le proprie nazioni di<br />

origine. La Costituzione vincola lo<br />

Stato a sostenere, concretamente<br />

e moralmente l'esercizio di tali diritti.<br />

La Costituzione garantisce ad<br />

entrambe le comunità nazionali il<br />

diritto alla partecipazione diretta al<br />

processo decisionale congiunto<br />

relativo a questioni pubbliche a<br />

livello locale e nazionale. Presso<br />

l'Assemblea Nazionale è attiva una<br />

commissione speciale per le comunità<br />

nazionali. Al fine di vedere<br />

realizzati i propri interessi i membri<br />

delle minoranze nazionali danno<br />

vita a comunità nazionali autogovernate,<br />

che sono enti di diritto<br />

pubblico e che in quanto tali rappresentano<br />

politicamente le minoranze<br />

nazionali e fungono da interlocutori<br />

dello Stato e delle comunità<br />

locali. La Costituzione stabilisce<br />

che le leggi e i regolamenti che<br />

hanno un'influenza sull'esercizio<br />

dei diritti sanciti costituzionalmente<br />

delle comunità nazionali possono<br />

entrare in vigore solo con il consenso<br />

dei rappresentanti delle comunità<br />

nazionali.<br />

L'esercizio dei diritti previsti dalla<br />

Costituzione è garantito per legge<br />

relativamente agli insediamenti<br />

autoctoni di entrambe le comunità,<br />

indipendentemente dal numero di<br />

appartenenti. In forza del principio<br />

territoriale, i diritti speciali vengono<br />

esercitati nelle zone etnicamente<br />

miste, abitate dalle comunità etniche.<br />

Al di fuori di dette zone i diritti<br />

speciali delle minoranze nazionali<br />

vengono attuati solo eccezionalmente,<br />

come previsto dalla legge.<br />

La Costituzione stabilisce che lo<br />

status e i diritti speciali della comunità<br />

Rom che vive in Slovenia<br />

siano determinati per legge.<br />

Per la loro situazione specifica,<br />

che è dovuta al tradizionale stile di<br />

vita, le misure adottate dalla comunità<br />

maggioritaria sono volte<br />

all'assistenza dei Rom e riguardano<br />

prevalentemente le codizioni di<br />

vita elementari: garanzia dell'abitazione<br />

e dei mezzi di sussistenza.<br />

In tal modo le condizioni per un<br />

reale miglioramento della situazione<br />

dei Rom (mantenimento dell'identità,<br />

istruzione, occupazione e<br />

partecipazione alla vita pubblica e<br />

politica) sono in via di graduale<br />

miglioramento. Le disposizioni nel<br />

settore dell'istruzione tengono conto<br />

delle specifiche esigenze dei<br />

bambini Rom e sono volte a garantirne<br />

l'integrazione nella società in<br />

senso più ampio, pur preservandone<br />

l'identità e la cultura. Nelle<br />

zone di antico insediamento dei<br />

Rom, la comunità Rom ha il diritto<br />

ad essere rappresentata negli organismi<br />

di autogoverno locale.<br />

Sono garantite le attività culturali e<br />

lo sviluppo dei servizi per l'accesso<br />

alle informazioni. Per la specifica<br />

situazione della comunità Rom, il<br />

<strong>Governo</strong> della Repubblica di Slovenia<br />

ha adottato, nel 1995, un<br />

programma di misure articolato per<br />

l'assistenza ai Rom. Il programma<br />

mira al miglioramento della situazione<br />

dei Rom e prevede l’attività<br />

di vari organismi governativi in que<br />

sto settore. La Costituzione, oltre a<br />

sancire i diritti umani in generale,<br />

prevede anche diritti speciali per le<br />

comunità nazionali autoctone di<br />

italiani e ungheresi e per la comunità<br />

Rom; tali diritti vengono coerentemente<br />

attuati dall'intero sistema<br />

giuridico della Repubblica<br />

*<br />

I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />

144


145<br />

di Slovenia e dalla politica governativa.<br />

Pertanto la Repubblica di<br />

Slovenia, all'atto della ratifica della<br />

Convenzione quadro, ha dichiarato<br />

di volerne applicare le disposizioni<br />

in favore dei membri di dette comunità.


Paese: SPAGNA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

CATALANI<br />

4.194.202 Circa 3.700.000 in Catalogna<br />

e circa 500.000 nelle isole<br />

Baleari<br />

VALENZIANI<br />

2.005.720 Regione valenziana<br />

GALIZIANI<br />

1.514.609 Galizia<br />

GITANI (ROM)<br />

600.000-650.000 disomogenei sul<br />

territorio nazionale, con la maggior<br />

presenza nelle collettività atonome<br />

dell’Andalusia (45%), di Valencia e<br />

Murcia e nelle principali città, come<br />

Madrid, Barcellona, Siviglia, Granada,<br />

Valenzia e Saragozza.<br />

BASCHI<br />

586.741 Paesi Baschi e Navarra<br />

OCCITANI (ARANESI) 4.000<br />

Costituzione spagnola (Preambolo,<br />

artt. 9.2 e 14)<br />

La Costituzione spagnola non riconosce<br />

formalmente né definisce le<br />

minoranze etniche. Come dichiarato<br />

nel Preambolo, essa riconosce e<br />

tutela tutti i popoli della Spagna e<br />

le rispettive culture, tradizioni, lingue<br />

e reciproca solidarietà.<br />

Non esiste, inoltre, alcuna istituzione<br />

o agenzia statale o governativa<br />

competente in materia di minoranze.<br />

* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali e dalla pubblicazione<br />

“Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />

146


Paese: SVEZIA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

FINNI 516.000<br />

La consistenza numerica del gruppo<br />

finnico in Svezia, da poco dichiarato<br />

minoranza nazionale, è<br />

calcolata fra le 75.000 e le 225.000<br />

unità, numero nel quale dovrebbero<br />

essere compresi anche circa<br />

30.000 careliani (Associazione dei<br />

careliani 1996: 626). Le autorità<br />

svedesi qualche tempo fa parlavano<br />

di 25.000 finni, oltre ai quali andavano<br />

considerati i circa 190.000<br />

finni temporaneamente immigrati<br />

per motivi di lavoro con le loro famiglie<br />

(Consiglio d’Europa 1994°:<br />

126). Ora invece il governo ritiene<br />

che vi siano circa 450.000 finni di<br />

prima o seconda generazione in<br />

Svezia, di cui la metà usa il finno.<br />

La maggior parte dei finni è immigrata<br />

dopo la seconda guerra<br />

mondiale. Il culmine si è raggiunto<br />

nel 1970, poi il numero degli immigrati<br />

è regredito (Rapporto svedese<br />

2001: 42 e seg.). Vi sono inoltre<br />

i circa 66.000 finni tornedali, riconosciuti<br />

come minoranza a parte e<br />

denominati dalla valle del fiume<br />

Torne, il quale scorre non lontano<br />

dalla frontiera fra Svezia e Finlandia.<br />

Circa 50.000 di questi parlano<br />

il dialetto finnico tornedale [chiamato<br />

Meänkieli], mentre 16.000<br />

parlano il finno standard o perché<br />

vivono in zone nelle quali esso è<br />

parlato in maggioranza o perché<br />

sono insediati nella valle da poco<br />

tempo (Rapporto svedese 2001:<br />

43) (Fonte: “Le minoranze in Europa”<br />

di Christoph Pan e Beate Sibylle<br />

Pfeil)<br />

ROM 35.000-40.000<br />

Di questi circa 2.500 sono chiamati<br />

Rom svedesi, immigrati in Svezia<br />

alla fine del XIX secolo, 3.200 sono<br />

detti Rom Finni, giunti nel paese<br />

all’inizio del XVI secolo e poi transitati<br />

nell’attuale Finlandia ed infine<br />

circa 10.000 Rom non nordici,<br />

provenienti da paesi dell’Est, tra<br />

cui la Polonia tra la fine degli anni<br />

’60 e l’inizio degli anni ’70. A questi<br />

si aggiunge un altro gruppo originario<br />

della ex Jugoslavia insediatosi<br />

di recente.Attualmente si stima<br />

che il numero dei Viaggiatori ammonti<br />

a circa 20.000 unità.<br />

* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali e dalla pubblicazione<br />

“Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />

147


EBREI<br />

25.000 Città di Stoccolma,<br />

Gothenburg e Malmö. Altre comunità<br />

indipendenti sono presenti località<br />

come Borås, Västerås, Helsingborg,<br />

Lund e Norrköpin.<br />

SAMI<br />

15.000-20.000 (Stime ufficiali)<br />

20.000-25.000 (Stima non ufficiale<br />

riportata nel testo “Minoranze in<br />

Europa” a cura di Christoph Pan e<br />

Beate Sibylle Pfeil. E’ presente<br />

lungo la fascia costiera centrale e<br />

settentrionale, nonché nell’area di<br />

Stoccolma.<br />

STRANIERI 595.000<br />

148


Paese: SVIZZERA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

MINORANZE<br />

VIAGGIATORI (Jenis, Sinti) 25.000-30.000<br />

In Svizzera la Convenzione-quadro<br />

può essere applicata anche ad altri<br />

gruppi minoritari della popolazione,<br />

come i viaggiatori.<br />

La comunità nomade conta da<br />

25.000 a 30.000 appartenenti. Gli<br />

Jenis formano il gruppo più numeroso<br />

di viaggiatori di nazionalità<br />

svizzera, sebbene ne esistano altri<br />

sul territorio, in genere appartenenti<br />

al gruppo Sinti (Manouche). La<br />

maggior parte dei viaggiatori è divenuta<br />

stanziale, in particolare a<br />

seguito dell’azione “Enfants de la<br />

grande route”. Il nomadismo resta,<br />

comunque, uno degli elementi che<br />

costituiscono l’identità culturale di<br />

queste popolazioni; esso è direttamente<br />

correlato allo svolgimento<br />

delle loro varie e redditizie occupazioni.<br />

Si stima che attualmente<br />

siano circa 4.000 o 5.000 i viaggiatori<br />

che conducono una vita nomade<br />

o seminomade.<br />

Non esistono specifiche norme a<br />

tutela delle minoranza. Le minoranze,<br />

tuttavia, sono indirettamente<br />

tutelate dal sistema politico e dalla<br />

garanzia di non discriminazione dei<br />

loro diritti costituzionali. Inoltre,<br />

alcune libertà costituzionali assumono<br />

particolare importanza in<br />

materia di tutela delle minoranze,<br />

come ad esempio la libertà linguistica<br />

e la libertà di coscienza e di<br />

credo.<br />

Infine, occorre notare che anche<br />

alcune costituzioni cantonali fanno<br />

riferimento al concetto di minoranza.<br />

La Costituzione di Berna, ad<br />

esempio, prevede che sia tenuto<br />

conto delle esigenze proprie delle<br />

minoranze linguistiche, culturali e<br />

regionali e che, a tal fine, sia prevista<br />

la possibilità di assegnare a<br />

quest’ultime specifiche competenze.<br />

Dal momento che la Convenzione-quadro<br />

non contiene una definizione<br />

di minoranza nazionale,<br />

la Svizzera ha presentato una<br />

dichiarazione al momento del<br />

deposito dello strumento di ratifica,<br />

in cui fornisce la propria interpretazione<br />

del concetto di minoranza<br />

nazionale. In sostanza,<br />

la dichiarazione si basa sulle<br />

proposte presentate dai gruppi di<br />

lavoro a livello internazionale e<br />

recita come segue: ”La Svizzera<br />

dichiara che sul proprio territorio<br />

le minoranze nazionali, nel significato<br />

della Convenzione-quadro,<br />

sono gruppi di individui numericamente<br />

inferiori al resto della<br />

popolazione del paese o di un<br />

cantone, i cui appartenenti sono<br />

cittadini svizzeri, con antichi, durevoli<br />

e solidi legami con la Svizzera<br />

e sono guidati dalla volontà<br />

di preservare insieme ciò che<br />

costituisce la propria identità<br />

comune, in particolare la propria<br />

cultura, le proprie tradizione, la<br />

propria religione o la propria lingua”.<br />

Da tale definizione appare che la<br />

Convenzione-quadro possa applicarsi<br />

in Svizzera non solo alle<br />

minoranze linguistiche, ma anche<br />

ad altri gruppi minoritari della<br />

popolazione, come gli appartenenti<br />

alla comunità ebrea ed i<br />

viaggiatori. Ogni appartenente<br />

ad una minoranza nazionale ha il<br />

diritto di scegliere liberamente se<br />

essere trattato o meno come<br />

tale. Ogni persona interessata è<br />

autorizzata a decidere se desidera<br />

o meno godere della tutela<br />

prevista dalla Convenzionequadro.<br />

Ciò, tuttavia, non implica<br />

il fatto che un individuo sia libero<br />

di scegliere arbitrariamente di<br />

appartenere ad una qualsiasi<br />

delle minoranze nazionali. La<br />

formulazione data dalla Convenzione-quadro<br />

(“ogni appartenente<br />

ad una minoranza nazionale”)<br />

mostra che non si tratta di riconoscere<br />

un diritto di libera scelta,<br />

ma piuttosto che il desiderio di<br />

essere identificato con una minoranza<br />

nazionale debba basarsi<br />

su prove oggettive.<br />

Giova notare che la dichiarazione<br />

fatta dalla Svizzera al momento<br />

della ratifica della Convenzione-quadro<br />

stabilisce una<br />

correlazione tra lo status di minoranza<br />

nazionale e la cittadinanza.<br />

Di conseguenza, un individuo<br />

privo della cittadinanza<br />

* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />

149


svizzera non può invocare la<br />

speciale tutela concessa ad ogni<br />

appartenente ad una minoranza<br />

nazionale; in simili casi, tuttavia,<br />

l’individuo è tutelato dall’articolo<br />

27 del Patto delle Nazioni Unite<br />

sui Diritti Civili e Politici.<br />

EBREI 18.000<br />

COMUNITA’ LINGUISTICHE<br />

SVIZZERI TEDESCHI 4.131.027<br />

ROMANDI 1.155.683<br />

ITALIANI 229.090<br />

ROMANCI 38.454<br />

150


Paese: UCRAINA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

RUSSI 11.355.582<br />

EBREI 487.005<br />

RUMENI/MOLDAVI 459.350<br />

BIELORUSSI 440.045<br />

BULGARI 233.800<br />

POLACCHI 219.179<br />

UNGHERESI 163.111<br />

TATARI/TATARI DI CRIMEA 133.682<br />

GRECI 98.594<br />

ARMENI 54.200<br />

ROM 47.917<br />

TEDESCHI 37.849<br />

AZERI 36.961<br />

GAGAUZI 31.967<br />

GEORGIANI 23.540<br />

CIUVASSI 20.395<br />

UZBECHI 20.333<br />

MORDVINI 19.332<br />

LITUANI 11.278<br />

CAZACHI 10.505<br />

CECHI 9.122<br />

SLOVACCHI 7.943<br />

KARAIME 1.404<br />

ALTRI 109.887<br />

Secondo la Costituzione ucraina il<br />

“popolo ucraino” si compone “dei<br />

cittadini dell’Ucraina di ogni nazionalità.<br />

Riconoscendo la sovranità e<br />

la potestà del popolo ucraino nella<br />

sua multietnicità la Costituzione<br />

definisce implicitamente le componenti<br />

strutturali della società ucraina<br />

– la nazione ucraina, le minoranze<br />

nazionali e le popolazioni<br />

indigene – affidando allo Stato il<br />

compito di promuovere lo sviluppo<br />

della loro identità etnica, culturale,<br />

linguistica e religiosa (art. 11 ).<br />

La legislazione nazionale non<br />

contiene l’elenco dei gruppi di<br />

cittadini appartenenti alle minoranze<br />

nazionali. All’art. 3<br />

della legge sulle minoranze<br />

nazionali in Ucraina si afferma<br />

che “In Ucraina i gruppi di cittadini<br />

di altra nazionalità e-<br />

sprimono tra loro il senso comune<br />

di autoconsapevolezza,<br />

di comunità e di appartenenza<br />

a minoranze nazionali”.<br />

In base ai dati raccolti attraverso<br />

il censimento del 1989,<br />

le nazionalità presenti sul territorio<br />

del paese sono 130.<br />

L’ordinamento nazionale prevede<br />

che “i cittadini appartenenti<br />

a minoranze nazionali<br />

sono liberi di scegliere come<br />

esercitare i diritti riconosciuti<br />

loro dalle leggi vigenti sia individualmente<br />

che attraverso<br />

propri organismi statali ed associazioni<br />

pubbliche” (art. 13<br />

della Legge dell’Ucraina)<br />

* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />

151


Paese: UNGHERIA<br />

TUTELA GIURIDICA<br />

MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />

BULGARI 3.000-3.500<br />

ROM 400.000-600.000<br />

GRECI 4.000-4.500<br />

CROATI 80.000-90.000<br />

POLACCHI 10.000<br />

TEDESCHI 200.000-220.000<br />

ARMENI 3.500-10.000<br />

RUMENI 25.000<br />

RUTENI 6.000<br />

SERBI 5.000-10.000<br />

SLOVACCHI 100.000-110.000<br />

SLOVENI 5.000<br />

UCRAINI 2.000<br />

Con Decreto Governativo<br />

34/1990 (VIII.30.), l’Ungheria<br />

ha istituito l’Ufficio per le Minoranze<br />

Etniche e Nazionali, a-<br />

vente il compito specifico di<br />

coordinare tutte le attività del<br />

<strong>Governo</strong> connesse alle tematiche<br />

afferenti i gruppi minoritari<br />

presenti nel paese. Si tratta di<br />

un organismo pubblico indipendente,<br />

competente per<br />

l’intero territorio nazionale ed<br />

operante sotto la supervisione<br />

del Ministro della Giustizia.<br />

- Legge sulle Minoranze del<br />

1993.<br />

Secondo le disposizioni della<br />

citata legge, ogni individuo ha<br />

il diritto esclusivo ed inalienabile<br />

di scegliere di appartenere<br />

ad un gruppo o minoranza etnico/a<br />

o nazionale e di dichiararlo.<br />

Analogamente, il diritto<br />

all’identità nazionale o etnica e<br />

la scelta di appartenere ad una<br />

minoranza non escludono il<br />

riconoscimento di una o più<br />

affiliazioni. Tale legge, inoltre,<br />

stabilisce che, nel censimento<br />

nazionale, i cittadini appartenenti<br />

a minoranze nazionale o<br />

etniche hanno il diritto alla<br />

riservatezza della loro dichiarazione<br />

di appartenenza a simili<br />

gruppi.<br />

* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />

152


L’INTEGRAZIONE: ASPETTI GENERALI<br />

153


NATURA E CONCETTO DI INTEGRAZIONE<br />

Il nostro mondo, duramente provato da varie esperienze avverte oggi, ancora di più,<br />

che le istanze di realizzazione della civile convivenza, che è la base della democrazia, devono<br />

penetrare, addirittura, negli animi e trasformarsi in intima convinzione, per non usare termini più<br />

sonori, ma forse meno efficaci, come quelli di ideale o di fede.<br />

L’uomo contemporaneo deve capire che, in un mondo globalizzato, come il nostro attuale,<br />

la civica convivenza e la cooperazione sociale dipendono soprattutto dalle capacità di rispetto<br />

e tolleranza reciproche insite in ciascuno di noi (certamente educato a determinati valori).<br />

L’uomo contemporaneo deve cioè convincersi che l’autorità non può essere delegata<br />

completamente alle istituzioni, ma che risiede anche in ciascuno di noi ed implica, soprattutto<br />

responsabilità e dovere di contribuire al benessere comune.<br />

Oggi nel nostro mondo così globalizzato ed interessato da continui e sempre più forti<br />

flussi migratori dal sud e oriente del mondo, verso nord e occidente, la responsabilità per la civica<br />

convivenza ed il dovere di contribuire al benessere comune passano attraverso i concetti di<br />

accoglienza dell’altro e del diverso.<br />

E’ un processo di continua integrazione che non è una terza via tra assimilazione e inserzione;<br />

si tratta di un processo specifico capace di suscitare la partecipazione alla società nazionale<br />

di elementi diversi accettandone la permanenza di specificità culturali, sociali e morali.<br />

E’ l’insieme della società che si arricchisce con questa complessa varietà grazie<br />

all’integrazione.<br />

Integrazione è un termine ricco di implicazioni che contempla non solo il riconoscimento<br />

allo straniero dei diritti primari politici al lavoro, alla casa, all’istruzione, ma anche una sostanziale<br />

accettazione, una condizione di parità nel rispetto della differenza.<br />

L’integrazione è quindi un processo specifico in divenire che non deve negare le differenze<br />

ma nemmeno esaltarle: è sulla rassomiglianza e sulle convergenze che una politica di integrazione<br />

deve mettere l’accento.<br />

In questa prospettiva, l’integrazione non è un obbligo esclusivo degli stranieri, ma è la<br />

via che tutta la società (autoctoni e stranieri) deve percorrere se si accettano le dinamiche della<br />

relazione interculturale che produce sempre nuove identità.<br />

L’incontro, il conf ronto e lo scambio ci cambiano e ci f anno ev olvere<br />

tutti: autoctoni ed immigrati.<br />

L’INTEGRAZIONE DIFFICILE DEGLI IMMIGRATI IN EUROPA<br />

Studi approfonditi hanno evidenziato come il fenomeno immigratorio dal punto di vista<br />

sociale non si presenti monodimensionale e unitario, ma correlato ad almeno quattro differenti<br />

processi o dinamiche:<br />

l’integrazione sociale comprendente l’acquisto di status e ruoli all’interno del paese ospitante;<br />

l’inclusione sociale, in tema di protezione;<br />

<br />

<br />

l’adattamento culturale;<br />

la responsabilizzazione degli immigrati nei confronti del Paese di origine.<br />

Tale considerazione consente una visione maggiormente prospettica e a più ampio<br />

raggio del fenomeno migratorio ed evidenziano che se da un lato gli immigrati spesso hanno<br />

difficoltà di inserimento sociale e di acquisizione di status, dall’altro c’è la tendenza a realizzarsi,<br />

sviluppando forme autonome d’imprenditorialità ed altre forme di autorganizzazione tese a sopperire<br />

alla presenza della parte pubblica.<br />

Da tutto ciò si evidenzia una mancanza di linearità e coerenza degli itinerari<br />

d’integrazione degli immigrati con situazioni di stallo prolungate, di regressioni improvvise e forti<br />

dislivelli nel grado d’inserimento nei differenti contesti sociali.<br />

155


L’IMMIGRAZIONE TRA CITTADINANZA NEGATA E INCERTEZZA DELLA SITUAZIONE<br />

IMMIGRATORIA IN EUROPA<br />

Al di là delle strategie politiche in tema di immigrazione, da parte dei governi dei singoli<br />

Stati, si evidenziano aree d’emarginazione e sofferenze comuni agli immigrati extracomunitari in<br />

Europa.<br />

Questo deficit non è senza conseguenze sia sui percorsi di vita degli immigrati, sia<br />

sull’impatto che la gestione dei processi migratori produce sulle società ospiti.<br />

Le conseguenze sono sia di ordine pubblico che di convivenza sociale e civile.<br />

Manca in sostanza un regime ordinario di gestione dei processi d’integrazione.<br />

D’altra parte gli immigrati, nel corso del processo d’inserimento nei paesi europei sperimentano<br />

oggi forme di spaesamento e di sofferenza che vanno spesso ben al di là del sopportabile,<br />

dando luogo spesso a fenomeni altalenanti di inserimento e d’emarginazione.<br />

Nonostante queste avverse condizioni gli immigrati mostrano tuttavia una marcata attitudine<br />

a non scoraggiarsi ed all’inserimento.<br />

In particolare si indicano alcuni fattori che favoriscono tutto ciò:<br />

un buon livello culturale;<br />

l’acquisizione di tratti delle culture europee sin dal periodo di residenza in patria;<br />

un notevole senso di autocontrollo;<br />

<br />

<br />

un ottimismo di fondo;<br />

la capacità di assorbire più culture differenti.<br />

Da ciò emerge che, complessivamente, il processo d’integrazione degli immigrati non è<br />

lineare né scontato, ma dipende da una molteplicità di fattori non ancora sufficientemente elaborati<br />

da chi opera e decide in questo contesto.<br />

PROSPETTIVE DI SVILUPPO DELL’INTEGRAZIONE<br />

Le prospettive degli sviluppi futuri dei flussi immigratori nei paesi europei richiedono una<br />

messa a punto di nuove strategie e politiche che tengano conto della nuova composizione sociale<br />

dei flussi stessi e della fenomenologia dell’integrazione.<br />

Appare evidente, dall’esame della situazione, come l’integrazione sia un processo già in<br />

atto dovuto anche spesso al buon grado di livello intellettuale degli immigrati stessi. Buon grado<br />

presente sia a livello individuale che a livello collettivo, grazie anche alla creazione di organizzazioni<br />

che favoriscono l’integrazione tramite la sperimentazione di attività imprenditoriali.<br />

In tale ottica mal si presenta una politica tesa alla “ghettizzazione degli immigrati”, vanno<br />

invece favorite tutte le opportunità tese all’integrazione degli immigrati stessi.<br />

Si riscontra una miriade di nuove esperienze, in tal senso, a livello locale segnalando<br />

altresì l’opportunità della creazione di un ambiente favorevole sul piano giuridico, dei finanziamenti<br />

della sensibilizzazione dell’opinione pubblica, ecc..<br />

Tutto ciò richiede una parziale riorganizzazione della società su diversi livelli:<br />

quello assistenziale;<br />

quello educativo;<br />

quello dell’assetto urbano;<br />

quello della rappresentanza politica;<br />

quello delle diversità culturali e religiosi.<br />

MISURE DI INTEGRAZIONE<br />

Con legge n. 189/2002 di riforma del testo unico sull’immigrazione, è stata introdotta la<br />

figura del contratto di soggiorno per lavoro, fondante l’integrazione del cittadino straniero sul reale<br />

inserimento nel mondo del lavoro.<br />

Lo scopo è quello d’inserire l’immigrato in un circuito di legalità, evitandone lo scivolamento<br />

nel mondo della criminalità organizzata.<br />

156


Ma sono altri i fattori di integrazione, oltre a quello del lavoro, atteso che gli immigrati<br />

non possono essere considerati come mera forza-lavoro, ma come cittadini a tutti gli effetti, titolari<br />

di diritti inalienabili, di relazioni affettive e familiari e di una cultura “altra” ma, proprio per<br />

questo, ricca di motivi di interesse.<br />

In tal senso, occorre sottolineare come la legge di riforma abbia mantenuto sostanzialmente<br />

inalterate le norme riguardanti l’integrazione sociale degli stranieri immigrati.<br />

In tal senso, la normativa sull’immigrazione, recependo la costituzione e le convenzioni<br />

internazionali, promuove la valorizzazione delle multiculturalità ma anche il rispetto per i principi<br />

ed i valori condivisi: rispetto per i diritti e la dignità dell’uomo, valutazione positiva del pluralismo,<br />

accettazione di tutta una serie di responsabilità.<br />

La normativa sull’integrazione si è preoccupata, infatti, di assicurare agli stranieri presenti<br />

nel nostro Paese basi di partenza equiparabili a quelle degli italiani nell’accesso a beni e<br />

servizi essenziali e, più in generale, a condizioni di vita decorose.<br />

Ad esempio, la L. 189/2002, in tema di centri di accoglienza e di accesso all’abitazione<br />

ha inserito all’art. 40, co. 1 del T.U., l’importante specificazione che l’accesso alle misure<br />

d’integrazione sociale è riservato agli stranieri extracomunitari che dimostrino di essere in regola<br />

con le norme di soggiorno in Italia.<br />

Altri diritti riconosciuti agli immigrati regolarizzati sono in materia previdenziale, di maternità<br />

e d’infanzia, di alloggio, di assistenza sociale e di diritto allo studio.<br />

Viceversa, l’assistenza sanitaria ed il diritto-dovere all’istruzione obbligatoria sono riconosciuti<br />

a tutti, anche se irregolari, in quanto presenti a qualunque titolo sul territorio.<br />

In particolare, l’art. 42, co. 1 del T.U. delinea l’azione dello Stato e degli Enti pubblici territoriali,<br />

in collaborazione con le associazioni di settore e con le autorità e gli enti pubblici e privati<br />

dei paesi d’origine, azione tesa a rendere effettiva un’armonica integrazione sociale.<br />

In particolare, Stato ed altri Enti pubblici sono chiamati a favorire:<br />

1. attività e collaborazione con scuole ed istituti culturali stranieri legalmente funzionanti nel<br />

nostro Paese;<br />

2. diffusione di tutte quelle informazioni tese all’inserimento degli immigrati (diritti-doveri, opportunità<br />

d’integrazione, ecc.);<br />

3. conoscenza e valorizzazione del panorama culturale-etnico-religioso degli stranieri, anche<br />

attraverso la raccolta presso biblioteche scolastiche ed universitarie di libri, periodici, materiale<br />

audiovisivo prodotti nella lingua originale dei paesi stranieri;<br />

4. realizzazione di convenzioni con associazioni registrate presso la Presidenza del Consiglio<br />

dei Ministri e il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali per l’inserimento di stranieri regolarmente<br />

soggiornanti in qualità di mediatori interculturali;<br />

5. organizzazione di corsi di formazione ispirati a criteri di convivenza multiculturale e destinati<br />

agli operatori di organi ed uffici pubblici e di enti privati che hanno rapporti abituali con stranieri,<br />

o che esercitano competenze rilevanti in materia di immigrazione.<br />

E’ prevista, inoltre, un’azione coordinata tra Stato, Enti pubblici locali ed associazioni<br />

coinvolte, tesa alla formazione culturale, all’informazione, alla mediazione interculturale, alla<br />

prevenzione o rimozione di comportamenti discriminatori.<br />

A livello locale, l’art. 3, co. 6 del T.U. prevede i Consigli territoriali per l’immigrazione, in<br />

cui sono rappresentati le competenti amministrazioni territoriali dello Stato, gli enti e le associazioni<br />

attivi localmente nel soccorso e nell’assistenza agli immigrati, le organizzazioni dei lavoratori<br />

e dei datori di lavoro.<br />

A livello centrale, con funzione di coordinamento dei Consigli territoriali degli enti e delle<br />

associazioni di rilievo nel settore è prevista la Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e<br />

delle loro famiglie, presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da un Ministro da lui delegato.<br />

La Consulta raccoglie ed elabora dati ed informazioni al fine di predisporre un documento<br />

programmatico triennale sulla condizione degli immigrati e dello stato d’applicazione della<br />

normativa in materia d’immigrazione.<br />

Della Consulta fanno parte, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri:<br />

almeno 10 rappresentanti d’associazioni ed enti presenti nell’organismo nazionale di coordinamento<br />

istituito presso il C.N.E.L. e/o impiegati nel settore dell’immigrazione;<br />

almeno 6 esponenti di associazioni più rappresentative di stranieri extracomunitari operanti<br />

sul territorio;<br />

157


4 rappresentanti di associazioni sindacali dei lavoratori;<br />

3 rappresentanti di associazioni sindacali dei datori di lavoro;<br />

8 rappresentanti delle autonomie locali;<br />

8 esperti designati dai seguenti Ministeri: lavoro e politiche sociali, istruzione, interno, giustizia,<br />

affari esteri, finanze e dal Dipartimento delle pari opportunità;<br />

due rappresentanti del C.N.E.L.;<br />

esperti in problematiche dell’immigrazione (in numero non superiore a dieci unità).<br />

L’art. 42, co. 6 del T.U. attribuisce inoltre alle Regioni la facoltà d’istituire consulte regionali<br />

per i problemi dei lavoratori stranieri e delle loro famiglie.<br />

Il C.N.E.L., nell’ambito delle proprie attribuzioni svolge attività di studio e di ricerca tesa<br />

all’inserimento degli immigrati nella vita pubblica ed alla circolazione delle informazioni<br />

sull’applicazione della normativa in materia.<br />

Nell’ambito del C.N.E.L. (art. 42, co. 3 T.U.) è poi previsto un ulteriore organismo nazionale<br />

di coordinamento finalizzato ad elaborare iniziative idonee alla rimozione degli ostacoli che<br />

impediscono l’effettivo esercizio dei diritti e dei doveri dello straniero.<br />

Tale organismo opera in sinergia con la Consulta dei problemi degli stranieri immigrati e<br />

delle loro famiglie, con i Consigli territoriali per l’immigrazione, con i centri di osservazione, informazione,<br />

assistenza legale contro le discriminazioni razziali, etniche, nazionali e religiose,<br />

con le istituzioni e gli altri organismi impegnati nelle politiche d’immigrazione a livello locale, al<br />

fine di accompagnare e sostenere lo sviluppo dei processi locali d’accoglienza e d’integrazione<br />

dei cittadini stranieri, la loro rappresentanza e partecipazione alla vita pubblica.<br />

Inoltre lo Stato e gli altri Enti pubblici sono chiamati ad adottare, nelle materie di propria<br />

competenza, programmi annuali e pluriennali indicanti le iniziative pubbliche, private prioritarie<br />

per il finanziamento da parte del Fondo nazionale per le politiche migratorie.<br />

Tale fondo, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ex art. 45 del T.U. è<br />

costituito dalle somme derivanti da contributi e donazioni di privati, enti, organizzazioni anche<br />

internazionali, da organismi dell’Unione Europea ed è destinato al finanziamento di diverse iniziative<br />

in ambito migratorio.<br />

Il nostro ordinamento tutela le differenze come valore e ricchezza, riconoscendo i diritti<br />

inviolabili dell’uomo ed affermando il diritto di tutti all’uguaglianza di trattamento.<br />

L’art. 43 del T.U., già profila come discriminazione ogni azione od omissione che direttamente<br />

od indirettamente sia causa di distinzione, esclusione, restrizione e preferenza basate<br />

su razza, colore, etnia, convinzione o pratica religiosa.<br />

L’illiceità del comportamento si manifesta allorché viene lesa la parità del soggetto immigrato<br />

nei confronti degli altri cittadini in tema di diritti umani e libertà fondamentali nei vari<br />

campi della vita pubblica (politica, economica, sociale e culturale).<br />

Non occorre dunque l’elemento soggettivo per il perfezionarsi della fattispecie discriminatoria,<br />

è sufficiente il fatto, cioè la dimostrazione dell’oggettiva disparità di trattamento.<br />

Principio base della tutela ex artt. 43 e 44 del T.U. è che lo status riconosciuto al cittadino<br />

straniero non può mai essere inferiore a quello riconosciuto al cittadino italiano o comunitario.<br />

Altra fonte in tema di lotta alla discriminazione è la direttiva del Consiglio dell’U.E. n.<br />

2000/43/CE del 29 luglio 2000 che si propone l’attuazione del principio di parità di trattamento,<br />

stabilendo un quadro per la lotta alla discriminazione fondata sulla razza e sull’origine etnica.<br />

La direttiva ha il fine di assicurare lo sviluppo di società democratiche e tolleranti che<br />

consentano la partecipazione attiva di tutte le persone, in omaggio a quel diritto all’uguaglianza<br />

dinanzi alla legge ed alla protezione contro le discriminazioni riconosciuto, fra gli altri, dalla Dichiarazione<br />

dei Diritti dell’Uomo, dalla Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le<br />

forme di discriminazione razziale, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti<br />

dell’Uomo e delle libertà fondamentali.<br />

L’adeguamento degli Stati membri dovrà avvenire entro il 19 luglio 2003.<br />

La tutela prevista dal Testo Unico sull’immigrazione è già allineata alla direttiva.<br />

Un’altra forma di tutela è prevista dall’art. 44 del T.U. che prevede che il soggetto discriminato<br />

sia da un privato che da una P.A. possa, anche senza l’assistenza di un legale, presentare<br />

ricorso al Tribunale del luogo del suo domicilio per ottenere, in via d’urgenza,<br />

158


l’emanazione di un provvedimento che ordini la cessazione del comportamento pregiudizievole,<br />

la rimozione dei relativi effetti e l’eventuale riconoscimento del danno anche non patrimoniale.<br />

Un’altra misura di tutela è prevista dall’art. 44, co. 10 del T.U., secondo cui le rappresentanze<br />

locali delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale<br />

possono ricorrere contro atti o comportamenti discriminatori di carattere collettivo anche laddove<br />

non sono direttamente ed immediatamente individuabili i singoli lavoratori lesi dalle discriminazioni.<br />

Nel caso di accoglimento del ricorso, il giudice, nella sentenza che accerta la discriminazione,<br />

ordina al datore di lavoro di definire un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.<br />

Per rafforzare le norme contro la discriminazione, l’art. 44, co. 12 del T.U. predispone<br />

centri d’osservazione, d’informazione e d’assistenza legale per gli stranieri vittime di discriminazioni<br />

da realizzarsi a cura delle regioni in collaborazione con Provincia, Comune, associazioni<br />

d’immigrati e volontariato sociale.<br />

POLITICHE CULTURALI E SOCIETA’ MULTICULTURALE<br />

La diversità culturale, in tutte le sue forme, mette seriamente in discussione le tradizionali<br />

formulazioni delle politiche culturali e dell’istruzione nonché la nostra concezione di interesse<br />

pubblico che tali politiche devono sostenere. In molti paesi il paesaggio culturale non si è e-<br />

voluto in maniera tale da riflettere le realtà di un ambiente sociale modificato. Questa spaccatura<br />

rischia di delegittimare le istituzioni culturali e la politica pubblica che le sostiene. Il passaggio<br />

dalla omogeneità alla diversità come nuova norma sociale impone un ripensamento dei processi,<br />

dei meccanismi e dei rapporti necessari ai fini di uno sviluppo democratico delle politiche in<br />

diversi settori, soprattutto nell’area del Mediterraneo.<br />

Il “pluralismo culturale” non è sufficiente per la creazione di una società solidale. Esiste<br />

la necessità di attuare una piattaforma di politiche che, affrontando la complessa rete di fattori<br />

socio-culturali, abbia l’obiettivo di risolvere i problemi derivanti dalla diversità culturale: politiche<br />

culturali che promuovano il rispetto reciproco e la solidarietà sulla base di bisogni comuni.<br />

Le politiche dell’istruzione svolgono un ruolo fondamentale nel promuovere i valori della<br />

libertà individuale, delle istituzioni democratiche e della risoluzione pacifica dei conflitti: esse<br />

dovrebbero costituire un mezzo per trasformare le condizioni socio-culturali e per promuovere la<br />

comprensione reciproca.<br />

Ovviamente nell’era della globalizzazione la diversità culturale e le società multiculturali<br />

sono un fatto scontato. Benché le migrazioni di popolazioni da paesi in via di sviluppo a paesi<br />

sviluppati stiano aumentando, esistono migrazioni imponenti anche all’interno dei paesi in via di<br />

sviluppo, pertanto gli Stati, le società civili e le organizzazioni internazionali rivestono ruoli e-<br />

gualmente importanti nel dialogo multiculturale e interculturale. Attualmente l’identità culturale si<br />

è molto accentuata ed è pertanto molto importante allontanarsi dai conflitti culturali e avvicinarsi<br />

a delle modalità negoziali di dialogo interculturale.<br />

IL GRADO DI INSERIMENTO DEGLI IMMIGRATI NELLE DIVERSE AREE ITALIANE<br />

In linea di massima, si può affermare che, in merito al grado di inserimento degli immigrati<br />

nel tessuto socio-economico del Paese, si riscontrano essenzialmente due realtà: l’area<br />

settentrionale e quella meridionale-insulare, ancora marcatamente distinte fra loro, mentre il<br />

Centro (tradizionalmente zona d’insediamento stabile, e infatti la provincia della Capitale vede<br />

ancora oggi il maggiore insediamento di stranieri rispetto a tutte le altre province italiane) va visto<br />

essenzialmente come area di passaggio e smistamento verso il più promettente Nord Italia.<br />

Ancora si registrano, infatti, consistenti flussi migratori sulle coste meridionali del Paese,<br />

dove, accanto alle tradizionali rotte mediterranee (Albania ed ex Jugoslavia) si stanno affermando<br />

quelle provenienti dall’Africa meridionale (Libia ed Egitto) e dal Medio Oriente (Turchia).<br />

Dal Meridione, zona di primo ingresso, gli immigrati puntano essenzialmente a Nord:<br />

anzitutto il Nord-Ovest, direttrice tradizionale di migrazione e conosciuta fin da quando gli stessi<br />

italiani del meridione vi si riversavano in massa per ragioni di lavoro e poi verso la nuova diret-<br />

159


trice del Nord-Est, nuovo polo d’attrazione costituito dalle regioni orientali del settentrione italiano,<br />

la cui economia, basata sulla piccola e media impresa, ne ha fatto uno dei centri di reddito<br />

più ricchi d’Europa, innalzando di conseguenza la richiesta di manodopera nel locale mercato<br />

occupazionale.<br />

Emerge, da tutto ciò, come gli immigrati che dal Sud Italia vanno cercando una sistemazione<br />

più sicura al nord, non fanno altro che ripercorrere i medesimi itinerari che i nostri connazionali<br />

tracciarono per le medesime ragioni al tempo delle consistenti migrazioni interne, riproponendo<br />

ancor oggi (sebbene in forme e con diversi protagonisti) l’antico ed irrisolto problema<br />

della “questione meridionale”.<br />

Ciò posto, non mancano situazioni locali di felice eccezione: al Centro, infatti, abbiamo il<br />

Lazio, una realtà in grado di offrire ancora reali possibilità d’insediamento stabile, ma vi sono<br />

anche le Marche e la Toscana ad offrire e costituire per diversi immigrati luoghi di radicamento<br />

ormai definitivo nel nostro Paese.<br />

LA SITUAZIONE MIGRATORIA AL NORD<br />

Il Nord, con oltre la metà delle presenze (54,8%) risulta essere l’area a più intenso insediamento<br />

di immigrati: i circa 925.000 soggiornanti si distribuiscono per il 56,9% nel nordovest<br />

(526.698) e per il 43,1% nel nord-est (398.278).<br />

Si conferma in tal modo la grande capacità di attrazione che tutta l’area esercita sugli<br />

immigrati, in vista di un progetto migratorio a medio e lungo termine che trova evidentemente<br />

qui più che altrove le condizioni più probabili e favorevoli di riuscita.<br />

Occorre peraltro distinguere che, mentre per il nord-ovest si tratta per lo più di migrazione<br />

direttamente proveniente dall’estero, nell’area nord-orientale giungono in misura relativamente<br />

maggiore stranieri che hanno già fatto ingresso nel Paese, probabilmente da qualche regione<br />

meridionale, e che una successiva migrazione interna indirizza verso questo più promettente<br />

territorio nord-orientale.<br />

La comunità più presente risulta essere il Marocco, con una media di un soggiornante<br />

ogni sette e sempre prima in tutte le regioni, tranne che in Trentino (Germania) e Friuli (USA,<br />

soprattutto per la presenza della base militare di Aviano).<br />

La presenza femminile (336.000), poco più del 44% di tutti i soggiornanti, incide per<br />

quasi due punti percentuali in meno rispetto alla media nazionale, con una leggera flessione<br />

della presenza soprattutto nel nord-est (43,8%), mentre in tutta l’area risulta essere notevole la<br />

presenza di stranieri in giovane età; sono circa 170.000 i minori residenti, il 61,1% di tutti quelli<br />

presenti in Italia ed un quinto di tutti i residenti stranieri del nord, con un’incidenza maggiore di<br />

un punto e mezzo nel nord-est ed un tasso di scolarizzazione (55,8% nel nord-ovest e 56,6%<br />

nel nord-est) generalmente superiore alla media italiana (53%).<br />

Quanto all’appartenenza religiosa, nel nord-ovest un immigrato su tre è cattolico, uno su<br />

quattro è di un’altra confessione cattolica, oltre uno su tre è musulmano, mentre uno su dodici<br />

appartiene ad altre religioni.<br />

Nel nord-est, invece, è cattolico uno straniero su cinque, è altro cristiano ma non cattolico<br />

oltre uno su quattro, è musulmano ancora uno ogni quattro, mentre oltre un quarto si riconosce<br />

in altre religioni.<br />

Dai dati, globalmente si evince un più antico e tradizionale insediamento nel nord-ovest,<br />

ma anche la tendenza ad un rapido allineamento della zona nord-orientale, in termini di stabilità<br />

dell’insediamento, rispetto alla maggiormente assestata zona nord occidentale.<br />

DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ALLOGGIO E ASSISTENZA SOCIALE<br />

La casa è un bene essenziale per tutti perché soddisfa alcune delle fondamentali esigenze<br />

della persona.<br />

Tuttavia la Costituzione non prevede un vero e proprio riconoscimento di un diritto alla<br />

casa, ma si ritiene che ciò rientri nella previsione dell’art. 2 laddove si fa riconoscimento ai diritti<br />

inviolabili dell’Uomo. Quello della casa è un ambito che coinvolge la salute, la dignità, l’unità<br />

familiare e l’infanzia.<br />

160


Il delicato tema dell’accesso all’abitazione per gli immigrati s’innesta sul più ampio tema<br />

delle politiche d’integrazione. Purtroppo la situazione abitativa degli immigrati nel nostro Paese<br />

è contraddistinta da una situazione di povertà, che si manifesta spesso in forme estreme.<br />

La legge, all’art. 7, comma 2 bis T.U., prevede l’obbligo di denuncia all’autorità di pubblica<br />

sicurezza da parte di chiunque dà alloggio ovvero cede un immobile in godimento ad uno<br />

straniero.<br />

Il T.U. sull’immigrazione, all’art. 43, comma 2, lett. c), vieta il comportamento discriminatorio<br />

da parte di chi impone allo straniero condizioni più svantaggiose o si rifiuta di fornire<br />

l’accesso all’alloggio allo straniero regolarmente soggiornante in ragione della sua condizione di<br />

straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità. Contro<br />

questo tipo di atti di discriminazione è prevista una specifica tutela giurisdizionale: l’azione civile<br />

contro la discriminazione ex art. 44 del T.U.<br />

Uno dei requisiti di validità per la stipula del contratto di soggiorno per lavoro subordinato<br />

ex L. 189/2002 è la garanzia da parte del datore di lavoro di un alloggio a beneficio del lavoratore<br />

che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale<br />

pubblica.<br />

Questo è altresì uno dei requisiti indispensabili affinchè uno straniero possa ottenere<br />

per un proprio congiunto ex art. 29 T.U. un permesso di soggiorno per motivo familiare.<br />

Accesso all’abitazione<br />

In base alla L. 189/2002, l’efficacia dell’art. 40 del T.U. co. 1 bis l’accesso alle misure<br />

d’integrazione da parte di stranieri non comunitari è condizionato dalla regolarità degli stessi<br />

con le norme di soggiorno.<br />

Infatti solo la titolarità della carta di soggiorno o del permesso di soggiorno almeno<br />

biennale e lo svolgimento di una regolare attività lavorativa autonoma o subordinata danno il diritto<br />

all’immigrato di accedere in parità con i cittadini italiani all’edilizia residenziale pubblica e a<br />

tutte quelle operazioni connesse con l’assegnazione di un alloggio pubblico (art. 40 c. 6 T.U.).<br />

In base alla L. 189/2002 è stabilita la durata biennale del soggiorno parificando in tal<br />

modo i cittadini stranieri agli italiani nell’accesso agli alloggi pubblici.<br />

In attesa dell’assegnazione dell’alloggio pubblico in via definitiva lo straniero può accedere<br />

ad altre forme di alloggio alternativo quali alloggi sociali, collettivi o privati predisposti dalle<br />

regioni, dai comuni, dal volontariato sotto forma di pensionato con sistemazione a pagamento<br />

secondo quote calmierate (art. 40 c. 4 T.U.).<br />

Centri di accoglienza<br />

I centri di accoglienza sono strutture particolari di sostegno agli stranieri regolarmente<br />

soggiornati che offrono loro temporanea assistenza alloggiativa ed alimentare, e talora di apprendimento<br />

della lingua e di formazione professionale in attesa dell’integrazione e del raggiungimento<br />

dell’autonomia personale.<br />

I centri di accoglienza sono predisposti dalle regioni in collaborazione con gli altri enti<br />

pubblici locali e con le organizzazioni di volontariato (art. 40 c. 1 e 3 T.U.).<br />

Sempre in base all’art. 40 del T.U. il soggiorno deve essere temporaneo.<br />

Assistenza sociale<br />

Anche gli stranieri titolari di carta di soggiorno nonché i minori iscritti nel loro titolo di<br />

soggiorno sono equiparati ai cittadini italiani nella fruizione di provvidenza e prestazioni anche<br />

economiche di assistenza sociale.<br />

La Legge n. 488/1999 ha inoltre introdotto per le donne straniere titolari di carta di soggiorno<br />

la possibilità di ottenere l’assegno di maternità corrisposto dai comuni alle donne che<br />

non beneficiano di alcuna tutela economica della maternità per ogni figlio nato dal 1° luglio 2000<br />

o per ogni minore adottato o in affidamento preadottivo.<br />

IMMIGRAZIONE E ISTRUZIONE<br />

Nel suo essere luogo di formazione, scambio, interazione e trasmissione di modelli culturali,<br />

la scuola gioca anche un ruolo strategico nell’integrazione degli immigrati, ponendo le ba-<br />

161


si di un’armonica convivenza e conferendo le abilità relazionali necessarie alla crescita e<br />

all’inserimento sociale.<br />

E’ da riscontrare un aumento progressivo del numero di alunni e studenti stranieri, segno<br />

di una tendenza al ricongiungimento dei nuclei familiari, di un accresciuto benessere socioeconomico<br />

e di un’anzianità d’insediamento.<br />

Le più recenti politiche educative, richiamando espressamente i diritti dell’uomo e del<br />

bambino, hanno teso al riconoscimento del valore delle culture originarie e a promuovere la cultura<br />

dei popoli.<br />

La normativa prevede, tra i suoi punti qualificanti:<br />

l’obbligo scolastico per tutti i minori stranieri presenti sul territorio a prescindere dalla regolarità<br />

della loro posizione rispetto alle norme sul soggiorno;<br />

la promozione di iniziative volte all’accoglienza, alla tutela della cultura e della lingua<br />

d’origine;<br />

l’effettività del diritto allo studio;<br />

la parità di trattamento in materia d’accesso all’istruzione universitaria.<br />

Istruzione degli stranieri. Educazione interculturale<br />

L’art. 38 del T.U. stabilisce la completa equiparazione di minori italiani e stranieri in materia<br />

d’istruzione di accesso ai servizi educativi e di partecipazione alla vita della comunità scolastica.<br />

Inoltre è previsto l’assoggettamento dei minori stranieri all’obbligo scolastico, a prescindere<br />

dalla regolarità della loro posizione in ordine al loro soggiorno (art. 45, co. 1 del d.P.R. n.<br />

394/99).<br />

L’iscrizione dei minori stranieri avviene nei modi e nelle condizioni previste per i minori<br />

italiani.<br />

L’iscrizione del minore straniero avviene nella classe corrispondente all’età anagrafica,<br />

tuttavia il collegio dei docenti può deliberare l’iscrizione ad una classe diversa tenendo conto sia<br />

dell’ordinamento degli studi del Paese di provenienza, sia della competenza, dell’abilità e dei<br />

livelli di preparazione dell’alunno e del titolo di studio eventualmente posseduto dallo stesso<br />

(art. 45, co. 2 d.P.R. n. 394/99).<br />

Onde favorire l’integrazione in modo omogeneo è prevista, da parte del collegio dei docenti<br />

un’equa ripartizione degli alunni stranieri nelle varie classi (art. 45, co. 3 d.P.R. n. 394/99)<br />

ed è previsto altresì l’ausilio di mediatori culturali qualificati per le comunicazioni scuola/famiglia<br />

(art. 45, co. 5 d.P.R. n. 394/99).<br />

Come è prevista l’incentivazione della conoscenza della lingua italiana, così sono previste<br />

azioni di promozione, accoglienza ed integrazione della cultura e delle lingue d’origine ed<br />

attività interculturali comuni in base all’art. 38 del T.U.<br />

Tali iniziative sono realizzate sulla base di una rilevazione dei bisogni locali e di una<br />

programmazione territoriale integrata anche in convenzione con le associazioni degli stranieri,<br />

con le rappresentanze diplomatiche o consolari dei paesi d’appartenenza e con le organizzazioni<br />

di volontariato.<br />

Peraltro l’attività d’integrazione di cui all’art. 38 del T.U. non è ad esclusivo beneficio dei<br />

minori alunni stranieri ma è prevista altresì anche a favore degli stranieri adulti regolarmente<br />

soggiornanti, art. 38, co. 5 T.U.<br />

Sono previste infatti convenzioni tra le Regioni e gli enti locali, attivazione di corsi<br />

d’alfabetizzazione primaria e secondaria, organizzazione di corsi in lingua italiana e tutte le altre<br />

iniziative di studio previste dall’ordinamento vigente anche nel quadro di accordi di collaborazione<br />

internazionale in vigore per l’Italia (art. 38, co. 5 T.U. e art. 45, co. 7, d.P.R. n. 394/99).<br />

Sono previsti anche programmi culturali varati dalle Regioni per i diversi gruppi nazionali<br />

presso le scuole superiori o gli istituti universitari e altresì sono previsti specifici insegnamenti<br />

integrativi nella lingua e cultura d’origine (art. 38, co. 6 T.U.).<br />

Permesso di soggiorno per motivi di studio<br />

Lo straniero che desideri seguire in Italia corsi universitari, di studio superiore o di formazione<br />

professionale presso istituti riconosciuti o qualificati, può ottenere, in base ad un valido<br />

visto per studio, un permesso di soggiorno a tempo indeterminato.<br />

In base al D.M. 12 luglio 2000 (all. A, n. 16), per l’ottenimento del visto occorrono:<br />

162


documentazione del corso di studio o formazione professionale;<br />

adeguate garanzie circa i mezzi di sostentamento;<br />

polizza assicurativa per cure mediche e ricoveri ospedalieri;<br />

età maggiore di quattordici anni.<br />

Ciò posto, v iene rilasciato il permesso di soggiorno per motivi di studio<br />

della durata non superiore ad un anno ma rinnov abile.<br />

Va sottolineato lo stretto legame tra permesso di soggiorno e corso di studi sicché il<br />

permesso stesso non può essere utilizzato per la frequenza di un corso diverso da quello originario.<br />

Fa eccezione l’ipotesi di un rilascio del permesso per corsi superiori e il soggetto intenda<br />

proseguire per un corso universitario, in tal caso, se sussistono i requisiti richiesti, può essere<br />

consentito l’ulteriore permanenza.<br />

Le istanze di rilascio del permesso di soggiorno per motivi di studio dovranno essere il<br />

più possibile dettagliate ed essere corredate della documentazione relativa al corso di studio, la<br />

frequenza del quale è posta alla base della concessione del visto d’ingresso in favore dello<br />

straniero.<br />

Lo studente straniero può altresì svolgere concomitante attività lavorativa purché non<br />

superi le 1040 ore annuali.<br />

Il permesso di soggiorno per motivi di studio può essere convertito in permesso per motivi<br />

di lavoro entro i limiti delle quote di stranieri ammessi in Italia con decreto di programmazione<br />

annuale (art. 6, co. 1 T.U.) tenendo conto degli orientamenti comunitari in materia, in particolare<br />

riguardo all’inserimento di una quota di studenti stranieri, stipulando apposite intese con gli<br />

atenei stranieri, per la mobilità studentesca, nonché organizzando attività d’orientamento e<br />

d’accoglienza (art. 39, co. 2 T.U.).<br />

Accesso ai corsi delle Università<br />

In materia d’accesso all’istruzione universitaria, l’art. 39 T.U., 1° co. prevede parità di<br />

trattamento tra italiani e stranieri, pur con taluni limiti, in particolare quello che prevede in base<br />

alla L. 189/2002 il regolare soggiorno sul territorio da almeno un anno.<br />

L’accesso all’istruzione universitaria degli studenti stranieri residenti all’estero è disciplinato<br />

annualmente con decreto del Ministro degli Affari Esteri, di concerto con il Ministro<br />

dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e con il Ministro dell’Interno, che determina il numero<br />

massimo dei visti d’ingresso e dei permessi di soggiorno da rilasciare (art. 39, co. 4 del<br />

T.U.).<br />

Lo schema del decreto è trasmesso al Parlamento per l’acquisizione del parere delle<br />

commissioni competenti per materia che si esprimono entro i successivi trenta giorni.<br />

Gli studenti stranieri accedono, a parità di trattamento con gli studenti italiani, ai servizi<br />

ed interventi per il diritto allo studio.<br />

Le Università, nella loro autonomia e viste le loro disponibilità finanziarie, assumono iniziative<br />

volte alla promozione dell’accesso degli stranieri ai corsi universitari.<br />

NUOVI MESTIERI NELL’OTTICA DELL’INTEGRAZIONE<br />

Vengono da ogni angolo del mondo: colombiani, curdi, messicani, nigeriani; svolgono<br />

un lavoro che è quasi una missione: il mediatore linguistico per gli immigrati.<br />

Sono dunque tanti gli immigrati attivi nei comuni, presso i tribunali, nelle scuole e nelle<br />

strutture sanitarie; si tratta appunto di un nuovo mestiere: quello di mediatore linguistico e interculturale,<br />

il simbolo dell’integrazione, il ponte fra le diverse etnie.<br />

Mestiere e non ancora professione, perché manca un albo ed i percorsi formativi non<br />

sono omogenei così come non è omogenea la retribuzione.<br />

Secondo un sondaggio della CARITAS ed una ricerca condotta dal CISP per conto del<br />

Ministero del Welfare sarebbero circa 1000 tali esperienze tra agenzie e singoli lavoratori, ma il<br />

dato è approssimato per difetto perché i mediatori, già oggi, sono almeno il doppio.<br />

163


Anche il tipo di prestazione è variabile: nella scuola, per esempio, ci vuole il mediatore/interprete,<br />

che aiuti un nuovo alunno straniero, giunto magari da fuori ad anno scolastico già<br />

cominciato, ed il mediatore/ animatore.<br />

La CIES, la più grossa agenzia nazionale con almeno 300 mediatori in servizio in tutta<br />

Italia, più di 400 formati e 500 in banca-dati, aiuta a tracciare il profilo del mediatore culturale:<br />

non è un italiano né un dipendente pubblico perché la sua funzione è rigorosamente di terza<br />

parte, di equidistanza fra straniero ed istituzione.<br />

Il mediatore non può essere un sindacalista né un portavoce di istanze, perché deve<br />

essere solo un ponte di comunicazione, né può essere pagato dall’utente straniero perché il suo<br />

servizio ha un carattere sociale e va finanziato dalla collettività.<br />

Non può essere un rancoroso né un egocentrico, perché il suo profilo psicologico prevede<br />

una grande capacità d’ascolto.<br />

Funzione del mediatore linguistico-culturale è quella di favorire l’incontro e la comunicazione<br />

fra italiani ed immigrati, specie negli “avamposti pubblici” prevenendo o risolvendo i conflitti.<br />

Il suo bagaglio culturale include una profonda conoscenza delle leggi e della cultura italiana,<br />

un’istruzione medio-alta e la conoscenza di una terza lingua “veicolare” (inglese, francese,<br />

spagnolo) oltre all’italiano e a quella del paese d’origine; è un professionista tenuto al segreto<br />

d’ufficio e il suo ciclo di formazione ideale, fra base e specializzazione, è di circa 400 ore.<br />

E’ in corso di predisposizione un disegno di legge sulle professioni sociali, tra cui appunto<br />

quella di mediatore culturale.<br />

Sarebbe auspicabile aprire l’Università alle culture straniere e consentire anche a studenti<br />

italiani, laureati in scienze sociologiche e di comunicazione, di accedere a tale professione.<br />

IMMIGRATI E COMUNICAZIONE<br />

La considerazione dell’immigrato nei paesi di insediamento, assai poco spesso è frutto<br />

di quello che fa veramente, mentre invece è frutto assai spesso dell’immagine stereotipata che<br />

la popolazione locale si è fatta di lui spesso in maniera pregiudiziale.<br />

Ciò è frutto di una ricerca di sociologi e antropologi che pone le premesse per lo sviluppo<br />

di un progetto recentemente avviato in Italia con il supporto della Commissione Europea (iniziativa<br />

comunitaria EQUAL).<br />

L’organizzazione Internazionale per le migrazioni, l’Archivio dell’Immigrazione e la Caritas<br />

di Roma / Dossier Statistico Immigrazione hanno infatti proposto un progetto sul tema<br />

“L’immagine degli immigrati tra media e società civile e mondo del lavoro”.<br />

Sinteticamente il progetto si propone di:<br />

istituire un archivio delle comunità immigrate, che raccoglie le varie espressioni della loro<br />

ricchezza culturale;<br />

creare un’agenzia di informazione destinata a favorire le notizie riguardanti l’immigrazione e<br />

imperniata sull’apporto di corrispondenti immigrati sia a livello centrale che territoriale;<br />

<br />

<br />

promuovere una migliore interazione tra operatori del sociale ed immigrati;<br />

offrire istanze formative di alto livello a beneficio di operatori immigrati e italiani nel settore<br />

del giornalismo e della sensibilizzazione delle competenze interculturali.<br />

A livello internazionale, il progetto si propone di creare collegamenti con quanto, nello<br />

stesso campo, svolto in altri paesi dell’Unione tramite traduzione del materiale di lavoro.<br />

A livello nazionale uno dei partner è RAI NEWS 24 che ha il compito di supportare e<br />

promuovere iniziative e progetti, mentre il CENSIS è chiamato ad approfondire la collocazione<br />

degli immigrati nel sistema della comunicazione.<br />

I partner a dimensione territoriale in buona parte associazioni di immigrati, dei quali si è<br />

inteso valorizzare la partecipazione saranno di sostegno per il conseguimento degli obiettivi<br />

prima esposti.<br />

Il tema “immigrato e comunicazione” viene in questa sede trattato sotto diversi aspetti:<br />

<br />

come viene presentato l’immigrato nelle televisioni a carattere nazionale in base a una ricerca<br />

del CENSIS;<br />

164


censimento di tutte le testate ed emittenti che si occupano del COSPE;<br />

riflessione approfondita sull’argomento in base alle notizie fornite dal mondo migrante;<br />

l’immigrato nella televisione italiana.<br />

Secondo una prima indagine del CENSIS l’immagine tipo dell’immigrato rappresentato<br />

in televisione non pecca di razzismo ma è certamente distratta, ai confini della cronaca nera e<br />

ciò non favorisce adeguatamente il processo d’integrazione e reciproca conoscenza.<br />

Il periodo di rilevazione è nell’estate del 2001. Sono state riscontrate queste linee nella<br />

rappresentazione degli immigrati in televisione:<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

per fasce d’età: vi è una maggiore presa in considerazione dei minori rispetto agli adulti;<br />

quanto al sesso la presenza maschile è preponderante rispetto a quella femminile con ciò<br />

non tenendo conto che le maggior parte degli immigrati è di sesso femminile;<br />

il ruolo affidato all’immigrato è in prevalenza negativo per lo più protagonista di incidenti, di<br />

atti criminosi ed inconvenienti vari con la burocrazia;<br />

l’immigrato viene considerato più come rappresentante di una categoria che come individuo;<br />

le trasmissioni che più trattano degli immigrati sono i telegiornali (95,4%) con notizie in gran<br />

parte di cronaca nera;<br />

l’argomento trattato in prevalenza è criminalità/illegalità (56,7%) seguito da assistenza/solidarietà<br />

(13,4%) e da “immigrazione”, affrontato peraltro per fatti legati alla cronaca,<br />

mentre ricorrono più raramente argomenti quotidiani come lavoro, sport e spettacoli o riflessioni<br />

di tipo giuridico, etico, sociale e storico;<br />

a dare più spazio all’immigrazione sono le tre reti RAI (63,1%), contro il 32,1% di Mediaset<br />

e il 4,8% di Telemontecarlo;<br />

gli immigrati non hanno spazio per esprimersi in prima persona: per lo più o sono citati o<br />

consultati come immigrati o esperti oppure sono semplicemente ospiti della trasmissione o<br />

come diretti interessati o come testimoni;<br />

le trasmissioni degli o per gli immigrati.<br />

Gli immigrati, nei programmi a loro dedicati possono avere due tipi di inclusione che,<br />

allo stato attuale, influiscono pressochè in egual misura:<br />

<br />

<br />

Un’inclusione assistita, promossa da volontari e/o operatori che lavorano nel campo dei<br />

servizi d’accoglienza e all’immigrazione, che offrono spazi di programmazione, in radio e televisione<br />

oppure favoriscono l’avvio di testate senza particolare riflessione sugli obiettivi, sui<br />

potenziali destinatari e sull’organizzazione dell’offerta.<br />

Un’inclusione garantita, che deriva da una più articolata riflessione circa le opportunità di un<br />

migliore coinvolgimento sociale degli immigrati e delle loro prospettive culturali anche grazie<br />

alla partecipazione delle istituzioni nella logica di un servizio pubblico.<br />

Dall’indagine COSPE risulta che in Italia operano 16 emittenti televisive e 44 radio che<br />

hanno almeno un’esperienza di iniziativa linguistica nel loro palinsesto, a cui si aggiungono 31<br />

testate editoriali dedicate agli immigrati o al tema dell’immigrazione.<br />

La radio risulta quindi essere lo strumento privilegiato seguito dalla carta stampata,<br />

mentre, scarsamente rilevante risulta essere la TV.<br />

Per quanto riguarda, più in dettaglio, l’analisi di quanto viene prodotto per gli immigrati il<br />

COSPE ha censito 117 prodotti di cui 70 programmi radio, 16 televisivi e 31 editoriali.<br />

I primi tentativi risalgono all’inizio degli anni ’90, la maggior parte però è collocata più<br />

nella seconda metà di quegli anni e sono numerose anche le iniziative più recenti.<br />

Tutto ciò mostra un crescente interesse alle iniziative multilinguistiche e multiculturali.<br />

A livello geografico le regioni più vitali sono la Toscana, il Lazio, la Lombardia e l’Emilia<br />

Romagna alle quali spetta una quota del 50%, mentre seguono a distanza Piemonte, Veneto,<br />

Puglia e Sicilia.<br />

a) Programmi radiotelevisivi<br />

Si tratta per lo più di programmi lunghi del tipo contenitore a cadenza settimanale e con fascia<br />

oraria prevalentemente serale. In parte sono programmi a produzione interna (2/3) mentre per il<br />

restante si ricorre a soggetti esterni (associazione di volontariato, sindacati, enti locali).<br />

165


Oltre al programma tipo contenitore vi sono anche TG (26,7%), programmi di approfondimento<br />

rubrica (9,3%), trasmissioni musicali (7 %), di servizio (4,7%) e talk-show (3,5%), comunque il<br />

programma-contenitore è quello che meglio si appresta all’integrazione degli immigrati.<br />

b) Carta stampata<br />

La produzione editoriale destinata agli immigrati è ampia e variegata: abbiamo bollettini di servizio,<br />

riviste di comunità, monografie colte, guide alla legislazione e servizi, riviste di approccio<br />

antropologico ed etnografico.<br />

L’attenzione è centrata sugli immigrati di nuovo arrivo piuttosto che su quelli già residenti.<br />

La tiratura si aggira su una quota tra le 1.000 e le 5.000 copie, in gran parte si tratta di periodici<br />

a cadenza mensile.<br />

Editori di queste testate sono i privati cittadini (16%), l’associazionismo, il volontariato, il sindacato<br />

(15%), gli enti locali (6,5%) e le vere e proprie case editrici (13%).<br />

La logica di queste attività non è tanto quella di mercato ma quella di servizio per fini di<br />

studio o etnico-culturali.<br />

In buona parte le iniziative sono supportate da intenti e tematiche quali il ruolo degli<br />

immigrati nella società, la solidarietà sociale e lo spirito di servizio.<br />

Sia per quanto riguarda i programmi televisivi che la carta stampata scarsi risultano essere<br />

i finanziamenti pubblici e per gran parte si fa leva sul volontariato.<br />

La lingua usata è in gran parte l’italiano ma spesso si ricorre anche ad una lingua straniera,<br />

in genere quella della fascia di immigrati di riferimento.<br />

Secondo il COSPE l’offerta mediale multiculturale costituisce un elemento importante di<br />

prima accoglienza per gli immigrati ed anche un primo ma importante passo verso la costruzione<br />

di una società multietnica in cui le diverse nazionalità abbiano pari diritto di cittadinanza.<br />

Il protagonismo per una nuova immagine dell’immigrazione<br />

I problemi di impatto del fenomeno migratorio con i residenti possono essere attuati anche<br />

mediante il corretto intervento dei mass-media che possono influire positivamente o negativamente<br />

sulla percezione collettiva della presenza immigrato.<br />

Il giornalista è, anche se non unico, la figura professionale-chiave di questo processo e,<br />

accanto a lui i politici nazionali ed internazionali, gli enti locali, il mondo associativo e in particolare<br />

le grandi agenzie di sensibilizzazione e gli istituti di ricerca.<br />

Valido, ai fini di una nuova strategia, è l’apporto che può essere fornito dalle associazioni<br />

degli immigrati.<br />

Occorre, poi, tener presente la componente intellettuale dell’immigrazione straniera che<br />

presenta caratteristiche meritevoli di attenta considerazione.<br />

E’ auspicabile altresì la formazione dei giornalisti immigrati.<br />

LA COMPONENTE FEMMINILE NELL’AMBITO DELLA FENOMENOLOGIA MIGRATORIA<br />

Di fronte all’imponente manifestarsi, nell’ultimo decennio più marcatamente, di fenomeni<br />

migratori (soprattutto via mare) dal sud e dall’est del mondo verso nord ed occidente, siamo abituati,<br />

a livello dell’immagine informativa che ci viene trasmessa dai media (giornali, televisione,<br />

ecc.) ad osservare e soffermarci sulla sola componente maschile del fenomeno migratorio di cui<br />

sopra; infatti sia nelle immagini trasmesse in TV nei notiziari, che nelle interviste ai quotidiani è<br />

quasi sempre l’elemento maschile ad essere evidenziato.<br />

Tale predominanza dell’elemento migratorio maschile trova risonanza ed elaborazione<br />

di soluzioni nelle più varie sedi da quella politica a quella statistica a quella istituzionale in senso<br />

lato.<br />

In effetti, quindi, si evidenzia come, in sede di valutazione della fenomenologia dei flussi<br />

migratori la conoscenza e la valutazione della presenza femminile vadano, senz’altro, approfonditi.<br />

Dalle statistiche emerge peraltro una certa consistenza quantitativa della componente<br />

femminile, ma risultano di difficile individuazione e definizione i caratteri e le dinamiche delle<br />

stesse.<br />

166


A monte del fenomeno migratorio femminile, mentre se ne evidenziano, da un lato, tematiche<br />

quali il ricongiungimento familiare o la collaborazione domestica, restano oscuri<br />

dall’altro, altri non meno importanti fattori dal punto di vista umano e sociale quali condizioni di<br />

vita estremamente critiche (donne capofamiglia) o discriminazione di genere.<br />

Un altro livello di riflessione da approfondire, in seno alla tematica della componente<br />

femminile nella fenomenologia immigratoria, riguarda l’accesso all’erogazione di alcuni servizi<br />

sociali fondamentali come sanità ed istruzione.<br />

Non bisogna, poi, per arricchire il quadro, mancare di menzionare e sottolineare come<br />

l’elemento femminile costituisca un forte fattore di potenzialità nel facilitare l’integrazione sociale<br />

ed economica della popolazione immigrata.<br />

L’elemento femminile, in quanto risultante più esposto al cambiamento (mutamento di<br />

abitudini domestiche, di educazione della prole, ecc.) tende ad inserirsi più rapidamente nei paesi<br />

ospitanti, svolgendo in tal modo un ruolo decisivo di mediazione culturale fra paese ospitante<br />

e paese d’origine.<br />

Si evince, infatti, come all’interno delle comunità di immigrati la presenza femminile favorisca<br />

da un lato l’interscambio tra persone e culture, dall’altro come madri visto che entrano in<br />

rapporto per i figli con le strutture educative e socio-sanitarie del paese ospitante, mentre il marito<br />

è impegnato nel lavoro.<br />

Si consideri, infine, la maggiore flessibilità ed adattabilità rispetto ai maschi ad affrontare<br />

situazioni difficili di questa componente femminile oltre che alla propensione ad organizzarsi<br />

in gruppo per promuovere azioni socialmente rilevanti di vario tipo.<br />

L’IMPEGNO DELLA CHIESA PER L’INSERIMENTO DEGLI STRANIERI<br />

Anche la Chiesa è fortemente impegnata in prima linea nelle tematiche dell’integrazione<br />

dello straniero e dell’immigrato.<br />

Secondo la Fondazione Migrantes, problemi sociali, antropologici, culturali, economici e<br />

politici complicano l’accoglienza degli immigrati.<br />

L’istituzione della Giornata nazionale delle migrazioni si rivolge alle comunità cristiane<br />

affinché gli immigrati trovino in Italia una continuazione di vita religiosa.<br />

Sarebbe auspicabile incrementare il dialogo interreligioso che, come afferma Papa Giovanni<br />

Paolo II, è veicolo di pace.<br />

In tal senso, la Fondazione Migrantes facendo proprio il tema “Accoglietevi come Cristo<br />

ha accolto voi”, sta svolgendo un lavoro per rendere le parrocchie palestre di ospitalità.<br />

Migrantes prima di tutto cerca di creare una mentalità di comunione tra le varie etnie e<br />

successivamente le parrocchie ospitano le varie comunità, perché solo attraverso la conoscenza<br />

reciproca si superano i problemi di integrazione.<br />

Maggiori difficoltà si incontrano con i nomadi perché è una cultura che difficilmente si<br />

integra.<br />

Occorre un lavoro integrato con le autorità civili rendendo vivibili i campi, mandando i<br />

bambini a scuola, regolando la vita sociale; con gli altri immigrati invece si evidenzia che, ove<br />

svolgano attività lavorative, l’integrazione si profila in modo positivo.<br />

167


LINEE DI INTERVENTO SULL’INFORMAZIONE<br />

E LA COMUNICAZIONE DEI 32 PAESI EUROPEI<br />

IN APPLICAZIONE ALLA CONVENZIONE-QUADRO<br />

PER LA PROTEZIONE DELLE MINORANZE NAZIONALI<br />

169


SCHEDE ILLUSTRATIVE DEI 32 PAESI EUROPEI<br />

ALBANIA<br />

Allo scopo di preservare e consolidare l'identità culturale delle minoranze nazionali e al<br />

fine di tenerle costantemente informate relativamente agli sviluppi politici, sociali, economici e<br />

culturali riguardanti non solo l'Albania, ma anche il contesto internazionale, la legislazione albanese<br />

contempla per le stesse la piena possibilità di accedere ai media sia stampati che elettronici,<br />

nella loro lingua madre.<br />

La libertà di espressione, come contemplata dalla Convenzione quadro, è un diritto costituzionale<br />

fondamentale in Albania. L'articolo 22 della Costituzione garantisce a tutti, comprese<br />

le minoranze nazionali, la libertà di espressione, la libertà di stampa e dei mezzi radiotelevisivi<br />

e proibisce la censura preventiva in relazione ai mezzi di comunicazione.<br />

La legge n. 7756 dell'11/10/93 denominata "Legge sulla stampa", emendata con legge<br />

n. 8239 del 3/9/97 è costituita da un unico articolo che stabilisce quanto segue: "La stampa è<br />

libera. La libertà di stampa è protetta per legge".<br />

In forza delle disposizioni della succitata legge, gli appartenenti alle minoranze nazionali<br />

godono, senza alcun ostacolo, del diritto di dar vita a media della carta stampata nella propria<br />

lingua d'origine, come tutti i cittadini albanesi. La stampa delle minoranze nazionali, come tutta<br />

la stampa albanese, non è soggetta alla censura preventiva.<br />

Le minoranze greca, macedone, montenegrina e arumena hanno accesso a riviste e<br />

quotidiani nelle rispettive lingue.<br />

La legge n. 8410 del 30/9/98 intitolata "Le radio e televisioni pubbliche e private della<br />

Repubblica di Albania" garantisce l'accesso delle minoranze nazionali ai media elettronici. Detta<br />

legge stabilisce la libertà dell'attività radiotelevisiva, nonché l'indipendenza editoriale (articoli 4 e<br />

5). L'articolo 39 della citata legge proibisce "la trasmissione di programmi che incitino alla violenza,<br />

alla guerra di aggressione, all'odio razziale e basato sulla nazionalità." ecc., mentre l'articolo<br />

36 stabilisce che " i programmi radiotelevisivi pubblici e privati devono rispettare la dignità<br />

personale e i diritti umani fondamentali, nonché l'imparzialità, completezza, veridicità e il pluralismo<br />

dell'informazione, i diritti di bambini e adolescenti, l'ordine pubblico e la sicurezza nazionale,<br />

la lingua e cultura albanesi, i diritti umani e costituzionali delle minoranze nazionali in adempimento<br />

alle convenzioni internazionali siglate dall'Albania ed infine la diversità religiosa in Albania."<br />

L'articolo 37, poi, afferma che: "L'uso della lingua albanese è obbligatorio per tutti i programmi,<br />

ad eccezione di lavori di tipo musicale con testi in lingua straniera, di programmi per<br />

l'insegnamento delle lingue straniere, di programmi specificatamente destinati alle minoranze<br />

nazionali e dei programmi di enti radiotelevisivi titolari di licenza per la trasmissione nella lingua<br />

delle minoranze."<br />

Su tale base, viene garantita, agli appartenenti alle minoranze nazionali di poter fondare<br />

stazioni radiotelevisive locali, con l'uso della lingua madre. L'emissione delle licenze è di competenza<br />

del Consiglio Nazionale Radiotelevisivo, le stesse devono essere richieste a norma di<br />

legge e conformemente agli standard internazionali riconosciuti.<br />

In base all'articolo 69 della legge 8410, la ART (l'emittente radiotelevisiva albanese), è<br />

tenuta a garantire la trasmissione di notiziari destinati anche alle minoranze nazionali, sia dalle<br />

sedi centrali che da quelle regionali. Nonostante sia esplicitamente contemplato detto obbligo<br />

nei confronti della ART, la legge non stabilisce concretamente, né in termini nominali né percentuali,<br />

l'entità e l'estensione del volume dei notiziari obbligatori destinati alle minoranze nazionali,<br />

all'interno del tempo di programmazione. Si sottolinea che uno dei 15 membri del Consiglio di<br />

Amministrazione della Art, eletto dal Parlamento in base alla legge sui media elettronici (art.<br />

88), è il rappresentante delle minoranze nazionali e pertanto dovrebbe normalmente rispettare<br />

le percentuali in termini di volume e tempo che devono essere dedicate alle informazioni sulle<br />

minoranze nazionali all'interno dei programmi ART.<br />

Tuttavia, l'attività delle minoranze in tutte le sfere della vita, le loro conquiste e i loro<br />

problemi hanno assunto una collocazione importante e vengono ampiamente trattati all'interno<br />

dei principali programmi della ART, sia nei notiziari, che in altri programmi di carattere culturale,<br />

economico e sociale.<br />

171


Le minoranze greca, macedone e montenegrina hanno accesso a programmi radiotelevisivi<br />

nelle rispettive lingue; nel 2000 i media hanno dato risalto alla situazione dei Rom e degli<br />

arumeni.<br />

ARMENIA<br />

La Costituzione della Repubblica d' Armenia, all'articolo 24, conferma uno dei principali<br />

diritti umani. In base al citato articolo, ciascuno ha il diritto di esprimere la propria opinione.<br />

Nessuno può essere obbligato a ritrattare o modificare la propria opinione; quindi si afferma che<br />

ognuno ha diritto alla libertà di parola, ivi compreso il diritto di ricercare, ricevere e divulgare informazioni<br />

e idee attraverso qualsiasi mezzo di informazione, indipendentemente dalla posizione<br />

dei confini di stato.<br />

Nella Repubblica d'Armenia sono in vigore la legge sui mass media e quella sulla radio<br />

e la televisione, adottate il 9 ottobre 2000. Detta legge definisce lo status delle società radiotelevisive,<br />

lo strumento giuridico necessario all'istituzione, la licenza e la gestione e altri elementi.<br />

L'articolo 5 della Legge sulla radio e la televisione stabilisce che la lingua per la diffusione<br />

dei programmi è l'armeno, ad eccezione dei casi previsti dalla legge medesima. I programmi<br />

televisivi, i lungometraggi e i documentari, i cartoni animati nonché episodi di programmi<br />

armeni in lingua straniera vengono trasmessi con traduzione/interpretazione simultanea in<br />

armeno. Per quanto riguarda le minoranze nazionali, la TV pubblica trasmette un'ora di programmi<br />

settimanali, mentre la radio trasmette giornalmente per la durata di un'ora.<br />

L'articolo 8 della Legge sulle diffusioni radiotelevisive stabilisce che, in territorio armeno, gli<br />

indirizzi di dichiarazioni scritte, ricevute e trasmesse dagli enti devono essere in armeno, mentre<br />

il testo può essere in qualsiasi lingua o alfabeto, fatta salva la disponibilità tecnica. L'articolo 10<br />

della citata legge definisce i principi ispiratori dell'attività per quanto riguarda le emissioni radiotelevisive:<br />

a) Uguali diritti per gli utenti dei servizi di diffusione radiotelevisiva;<br />

b) garanzia della riservatezza e della libertà della diffusione dei programmi sia per l'aspetto dei<br />

mezzi tecnici che per quanto riguarda le reti di trasmissione;<br />

c) tutela statale delle postazioni orbitali dei satelliti e della banda di radiofrequenze tramite sistemi<br />

tecnici e reti di trasmissione.<br />

Per quanto riguarda la stampa vale vengono pubblicati 10 riviste e quotidiani in russo. Segue<br />

l'elenco delle pubblicazioni delle minoranze nazionali, accreditate presso il Ministero della<br />

Giustizia e di altri mass media, facenti capo alle medesime minoranze.<br />

La radio trasmette programmi in georgiano, curdo, russo e yezidi. Gli appartenenti a matrimoni<br />

misti hanno la possibilità di ascoltare programmi radiofonici in arabo, azero, inglese, francese,<br />

persiano e turco.<br />

AUSTRIA<br />

Per quanto riguarda le sovvenzioni alla stampa, si richiama l'articolo 2 comma 2 della<br />

Legge per la promozione della stampa del 1985, che facilita l'accesso alle misure di sostegno,<br />

per i media delle minoranze. La citata legge prevede una tiratura minima di 5.000 copie e l'impiego<br />

di almeno due giornalisti a tempo pieno per quanto riguarda i settimanali, ma tali requisiti<br />

non vengono applicati per i settimanali pubblicati in una lingua minoritaria.<br />

ORF (Compagnia radiotelevisiva austriaca)<br />

La ORF è un organismo radiotelevisivo istituito in base al diritto pubblico.<br />

I programmi televisivi della ORF<br />

In base all'articolo 2 comma 1 paragrafo 2 della Legge sulle trasmissioni radiotelevisive,<br />

la ORF, nella progettazione dei programmi, mira anche ad incoraggiare la conoscenza e la<br />

comprensione della coesistenza democratica. Per quanto riguarda le minoranze nazionali, tale<br />

requisito è soddisfatto in particolare dal programma "Heimat, fremde Heimat" (Patria, patria<br />

172


straniera). Esso è una rubrica settimanale di immigrazione su e per gli immigrati e le minoranze<br />

nazionali che vivono in Austria. Scopo del programma è promuovere la coesistenza, la diversità<br />

culturale e l'integrazione e viene trasmesso in tedesco ed eventualmente in altre lingue, con<br />

sottotitoli in tedesco.<br />

Esistono anche programmi in croato, sloveno e ungherese.<br />

Il progresso tecnico dà maggiori opportunità alle persone appartenenti alle minoranze<br />

nazionali che insistono in Austria di guardare programmi nella loro lingua d'origine.<br />

L'Ufficio Editoriale per le Minoranze della ORF<br />

Con l'introduzione dei programmi televisivi per le minoranze nazionali, presso il Centro<br />

di Trasmissione della ORF è stato istituito un Ufficio editoriale per le minoranze.<br />

La varietà di formazione culturale del personale addetto permette di adottare un approccio<br />

differenziato. Il personale è costituito da croati, serbi, turchi, curdi, armeni e da appartenenti<br />

ad altre minoranze nazionali che insistono in Austria. A livello internazionale, l'Ufficio editoriale<br />

per le minoranze ha partecipato, fin dal 1997, a vari progetti di scambio del Gruppo EBU<br />

per i programmi interculturali.<br />

Programmi radiofonici della ORF<br />

La ORF trasmette programmi radiofonici nelle seguenti lingue minoritarie: croato, ungherese,<br />

sloveno e, in passato, lingua Rom. Inoltre trasmette anche programmi per e sulle minoranze<br />

etniche.<br />

La Homepage della ORF<br />

Dal 15 maggio 2000, la ORF ha attivato l'indirizzo Internet "volksgruppen.orf.at" attraverso<br />

il quale è possibile accedere ad informazioni sulle minoranze nazionali in tedesco, croato,<br />

ungherese. Il medesimo servizio è offerto anche in sloveno.<br />

Le campagne e i progetti dell'Ufficio Editoriale per le Minoranze della ORF<br />

Al fine di tutelare le minoranze etniche l'Ufficio per le minoranze ha avviato varie iniziative<br />

e manifestazioni negli ultimi anni.<br />

Premi<br />

Negli ultimi anni l'Ufficio editoriale per le minoranze ha ricevuto molti premi e riconoscimenti.<br />

Dal Memorandum del 24 giugno 1997 si deduce chiaramente che tutte le minoranze<br />

nazionali concordano sull'esigenza di definire in maniera più precisa il mandato pubblico della<br />

ORF in merito alla diffusione dei programmi educativi e culturali nelle lingue minoritarie. Le<br />

stesse minoranze, inoltre, ritengono che sia un fattore importante inviare un membro del Consiglio<br />

consultivo per le minoranze nazionali alle riunioni della Commissione dei Radioascoltatori e<br />

Telespettatori, come previsto dall'articolo 15, comma 3 della Legge sulle trasmissioni radiotelevisive.<br />

Un ulteriore obiettivo prevede la creazione di uno speciale programma televisivo per i<br />

Rom, da trasmettere quattro volte l'anno, nonché l'apertura di un ufficio editoriale ungherese<br />

presso il centro ORF del Burgenland. Il Memorandum contiene anche suggerimenti in merito<br />

alla creazione di un'unità speciale all'interno dell'ufficio editoriale per le minoranze della ORF a<br />

Vienna, che si occupi esclusivamente di problematiche relative alle minoranze nazionali; vengono<br />

altresì formulate proposte in merito ad una adeguata durata delle trasmissioni nelle lingue<br />

di minoranza.<br />

Radio private<br />

Esistono varie radio private che trasmettono esclusivamente o parzialmente nelle lingue<br />

minoritarie. Esse ricevono anche sovvenzioni dalla Cancelleria Federale.<br />

Riunione di esperti<br />

In data 15 novembre 1999, la Cancelleria Federale, in cooperazione con l'Unità di lavoro<br />

per gli studi interculturali e l'Istituto per gli studi sui media e la comunicazione dell'Università<br />

173


di Klagenfurt ha organizzato una riunione di esperti dal titolo "I media in un ambiente multilingue<br />

e modelli a livello europeo nel campo della promozione della stampa nelle lingue minoritarie".<br />

L'Associazione europea per la trasmissione di programmi sui gruppi etnici<br />

Il compito dell’Associazione europea per la trasmissione di programmi sui gruppi etnici<br />

(EEBA), con sede a Klagenfurt, è quello di contrastare i pericoli imminenti che incombono sui<br />

paesi europei di piccole dimensioni e sulle minoranze nazionali a seguito della rivoluzione che<br />

ha cambiato il settore delle comunicazioni a livello mondiale. La EEBA si prefigge l'obiettivo di<br />

incoraggiare, promuovere e facilitare la cooperazione fra giornalisti impegnati nella tutela del<br />

patrimonio etnico-culturale, fornire informazioni in merito a tematiche relative alla tutela delle<br />

minoranze nazionali ed infine promuovere un maggiore livello di comprensione da parte del<br />

pubblico a favore delle culture autoctone a rischio.<br />

La carta stampata<br />

La pubblicazione di riviste e giornali è fondamentalmente accessibile a tutte le minoranze<br />

nazionali. In pratica, tuttavia, la pubblicazione regolare è ostacolata da mancanza di personale.<br />

Nonostante il Fondo per l'assistenza alle minoranze della Cancelleria Federale eroghi delle<br />

sovvenzioni, questi gruppi spesso non sono in grado di finanziare periodici e quotidiani. Questa<br />

è probabilmente la principale ragione per la mancanza di quotidiani nelle lingue di minoranza.<br />

Esistono riviste e pubblicazioni nelle seguenti lingue minoritarie: croato, sloveno, ungherese,<br />

ceco, slovacco e rom.<br />

AZERBAIGIAN<br />

L'articolo 47 della Costituzione della Repubblica d'Azerbaigian prevede il diritto universale<br />

alla libertà di pensiero e di convinzioni. Inoltre "nessuno può essere obbligato ad esporre<br />

pubblicamente i propri pensieri o convinzioni o a rinnegarle".<br />

L'articolo 50 della Legge Fondamentale del paese garantisce a ciascuno il diritto di "ricercare,<br />

acquisire, trasmettere, redigere e divulgare informazioni attraverso metodi legali". Allo<br />

stesso tempo garantisce "la libertà dei media" e "proibisce la censura del governo nei confronti<br />

dei mass media, compresa la stampa".<br />

La Legge della Repubblica d'Azerbaigian relativa ai mass media del 12 luglio 1999 opera<br />

in Azerbaigian per dare attuazione ad un inalienabile diritto dell'uomo: la libertà di parola. In<br />

base all'articolo 6 di detta legge "i mass media si servono della lingua di Stato nel territorio della<br />

Repubblica d'Azerbaigian. I cittadini della Repubblica d'Azerbaigian, nel redigere e divulgare le<br />

informazioni di massa, possono servirsi di altre lingue, parlate dalla popolazione della Repubblica<br />

d'Azerbaigian, nonché di altre lingue con un'ampia diffusione a livello mondiale".<br />

L'articolo 10 della succitata legge prevede l'inammissibilità dell'abuso della libertà dei<br />

mass media. In particolare non è permesso l'uso dei mass media a fini di violenza e crudeltà, e<br />

per fomentare la discordia o l'intolleranza a livello nazionale, razziale o sociale.<br />

Secondo l'articolo 14 della presente legge, tutti i cittadini della Repubblica d'Azerbaigian<br />

hanno il diritto di fondare un mezzo di comunicazione.<br />

Il 20 luglio 2001 il Presidente della Repubblica d'Azerbaigian ha emanato due decreti,<br />

intitolati rispettivamente "Istituzione del Consiglio nazionale per la stampa, la TV, la radio e<br />

Internet" e "Miglioramento dell'attenzione dello Stato nei confronti dei mass media".<br />

Il 27 dicembre 2001 il Presidente ha emanato un ulteriore decreto intitolato "Misure integrative<br />

per il miglioramento dell'attenzione dello Stato nei confronti dei mass media".<br />

In Azerbaigian i programmi radiotelevisivi, i libri, le riviste e i quotidiani si servono delle<br />

lingue delle varie minoranze nazionali che vivono nel paese. In particolare vengono usate le seguenti<br />

lingue: curdo, lezgi, talish, georgiano, russo, avaro, tat.<br />

174


BULGARIA<br />

Nella Repubblica di Bulgaria, tutte le persone, comprese quelle appartenenti alle minoranze<br />

nazionali, hanno diritto alla libertà di opinione, nonché a ricevere e comunicare informazioni<br />

e idee nella propria lingua madre.<br />

Aspetti giuridici<br />

Il diritto alla libertà di opinione è garantito dall’art. 39, comma 1 della Costituzione che<br />

stabilisce che: "Tutti hanno diritto ad esprimere opinioni o a divulgarle per iscritto o oralmente,<br />

con suoni o immagini, e comunque con ogni altro mezzo." Il secondo comma stabilisce: "Tale<br />

diritto non può essere esercitato a scapito dei diritti e della reputazione di terzi, oppure al fine di<br />

incitare ad un cambiamento violento dell'ordine costituito in virtù della costituzione, oppure al<br />

fine di istigare al crimine o ad un senso di inimicizia o violenza nei confronti di chiunque".<br />

L’articolo 40, comma 1 recita: "La stampa e altri mezzi di informazione di massa devono<br />

essere liberi e non soggetti alla censura"; il secondo comma dello stesso articolo afferma: "Un'ingiunzione<br />

a sospendere l'attività, o un sequestro di materiale stampato o di altri mezzi di informazione<br />

sono permessi solo in forza di un atto dell'autorità giudiziaria ed in caso di offesa al<br />

pudore o di incitamento al cambiamento violento dell'ordine istituito in forza della costituzione, di<br />

istigazione al crimine, o di incitamento alla violenza nei confronti di chiunque. Una eventuale ingiunzione<br />

sospensiva perde di efficacia se non è seguita da un sequestro entro 24 ore".<br />

Infine l’articolo 41, comma 1 dispone: "Tutti hanno diritto a richiedere, ottenere e divulgare<br />

informazioni. Tale diritto non può essere esercitato a detrimento dei diritti e della reputazione<br />

di altri, oppure a detrimento della sicurezza nazionale, dell'ordine pubblico e di una sana<br />

morale pubblica."<br />

Con sentenza n. 2 del 14 novembre 1996, la Corte Costituzionale ha stabilito che "non<br />