DIRITTI UMANI: - Governo Italiano
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GIUSEPPE MARIO SCALIA<br />
<strong>DIRITTI</strong> <strong>UMANI</strong>:<br />
tutela, integrazione e comunicazione delle diversità culturali<br />
ROMA, 2010
PRESENTAZIONE<br />
La cultura va accettata e salvaguardata, giacché la perdita di alcune delle<br />
sue componenti sarebbe una grave sconfitta per tutti, un impoverimento<br />
come se, ad esempio, sostituissimo le tessere di un mosaico, brillante, di<br />
grande contenuto espressivo ed artistico con una lastra monocolore sia<br />
pure di materiale preziosissimo.<br />
Da questa nuova consapevolezza ne deriva che l’Europa deve realizzare<br />
la sua vita e dialettica interna. Il primo punto è costituito dalla possibilità<br />
di un dialogo che, per definizione, si situa nell’incontro fra due o più linguaggi<br />
culturali diversi. Se usiamo il termine dialogo infatti, ricordando<br />
che, derivato dal greco “dialegomai” esso significa trascorrere, passare<br />
nel diverso, vale a dire: dialogare è collegare fra loro due eventi o realtà<br />
che necessitano di essere messe a confronto. Nel gioco misterioso del<br />
linguaggio, l’evento A acquisisce un po’ dell’evento B, del suo significato,<br />
della sua risonanza, del rimando a colori e a sapori diversi, a un nuovo<br />
modo di porgersi che coglie il suo essere più profondo e irripetibile, ma<br />
anche irrinunciabile.<br />
L’evento B a sua volta riceve del punto di vista A un po’ più di chiarezza,<br />
di lucidità su se stesso, dove si fanno avanti dubbi o almeno istanze critiche<br />
che scuotono la monolitica convinzione della sua propria superiorità.<br />
Nel dialogo non ci sono né vinti, gli immigrati, né vincitori, i popoli che li<br />
accolgono. Il senso patriarcale della famiglia, la fedeltà o il dubbio in ambito<br />
religioso, l’apertura e modalità dell’umano che le nostre società a-<br />
vanzate tendono a negare così come si ritraggono infastidite di fronte alla<br />
morte, al dolore o al sacrificio, sono elementi e valori collegati a uno sviluppo<br />
più arcaico di quello attuale. Nello stesso tempo gli immigrati devono<br />
prendere coscienza della differenza tra persone e ospiti, senza temere<br />
il problema di un nuovo valore assegnato alla persona.<br />
Assistiamo ad atroci fraintendimenti perché gli immigrati a volte non hanno<br />
interiorizzato il concetto di persona; valga per tutti l’esempio di una<br />
ragazza uccisa dal padre perché aveva acquisito un modello di vita troppo<br />
aperto e autonomo rispetto alla pesante autorità paterna.<br />
Dobbiamo dire che si devono porre in atto comportamenti, strategie, forme<br />
che possono operare la mediazione fra diverse tradizioni, soprattutto<br />
in campo morale: le più delicate. È infatti la tradizione che ci permette di<br />
comprendere il significato così come si presenta al soggetto, di cogliere<br />
la distorsione a cui esso è sottoposto e in qual misura si possa dire che la<br />
conoscenza è oggettiva oppure soggettivamente filtrata.<br />
Gli studiosi Karl Otto Apel e Jürgen Habermas hanno avanzato la pretesa<br />
critica di delineare un momento di espressione oggettiva dell’attività umana,<br />
di individuare che cosa c’è alla base di questa attività che cambia di<br />
direzione e si chiedono quale sia il significato contenuto nelle oggettivazioni<br />
di tale agire.<br />
Il sociologo è in grado di analizzare le intenzioni che stanno alla base delle<br />
oggettivazioni prodotte. Gli specialisti del mondo sociale possono riuscire<br />
a mostrare agli operatori sociali i motivi, le cause per cui ciò che si<br />
pensa potrebbe essere errato, potrebbe costituire un sistema di copertura<br />
di interessi che non vengono alla luce.<br />
L’insistenza sulla mediazione fra le diverse tradizioni diviene ancor più<br />
precisa se esaminata per mezzo degli strumenti propri dei progetti che<br />
I
segnano le diverse modalità culturali delle minoranze, in particolare del<br />
linguaggio.<br />
Lo studio del linguaggio parlato dalle minoranze linguistiche costituisce<br />
un primo importante punto, unito successivamente al carattere<br />
dell’espressione artistica, espressione tipica delle comunità minoritarie,<br />
soprattutto a livello giovanile. Quanto più sarà utile ogni altra iniziativa o<br />
attività che consenta di attuare nella società civile, quei principi di uguaglianza<br />
che favoriscono la formazione di una identità sicura. È importantissimo<br />
mantenere il rispetto da entrambe le parti che compiono delle<br />
scelte. Il filosofo Gadamer, nel nostro secolo ha rivalutato l’esperienza<br />
del linguaggio, dove le domande della ricerca sono: “E’ sempre possibile<br />
comprendere come si produce comprensione o come si produca verità?”<br />
Altrettanto condizionante la domanda strategica di Habermas: “Come e<br />
perché si produce una comunicazione distorta? Come e perché si producano<br />
errore e dominio?”<br />
La vita è il mondo dell’esperienza comune, quello in cui le cose e le persone<br />
si offrono nella loro presenza immediatamente intuibile. Si tratta<br />
cioè della presenza della vita non solo come ambiente naturale, ma anche<br />
come ambiente storico-culturale, il mondo sociale in cui vengono innanzi<br />
forme di vita già elaborate, culturalmente già preformate. Si tratta di un<br />
mondo storico; è il flusso in cui si trovano diverse comunità e gruppi che<br />
elaborano le loro credenze, relative e proprie di ogni comunità così come<br />
di ogni individuo che vive e appartiene alla propria comunità storica. Dialogare<br />
in questo ambito è veramente mettere in atto una forma nuova di<br />
linguaggio.<br />
Si deve tenere, altresì, presente che è necessaria un’attenzione ancora<br />
più consapevole e approfondita dei problemi che il multiculturalismo presenta.<br />
Direi che oggi non è il problema centrale il multiculturalismo, ma<br />
problema centrale è il discorso sull’identità, dove i giovani faticano ad<br />
emanciparsi dalla famiglia d’origine, a costruirsi una identità forte attraverso<br />
mezzi autonomi e si trovano sprovveduti di fronte ad una società<br />
che richiede mezzi ben più onerosi per garantirsi un’esistenza decorosa.<br />
Nella pratica scolastica ciò si traduce in una ripresa consapevole di tutte<br />
quelle culture che, anche quelle su cui lo Stato ha esteso la tutela prevista<br />
dall’art. 6 della Costituzione, possano aiutare i giovani ad una emancipazione<br />
e ad un inserimento nel sociale.<br />
Il legislatore ha sempre posto un’attenzione sul territorio nazionale, elaborando<br />
una serie di facilitazioni che permettano ai gruppi di partecipare,<br />
ad un tempo, agli stessi valori, agli interessi, alle memorie individuali e<br />
collettive comuni ed ai riferimenti giuridico-istituzionali.<br />
Gli alunni stranieri in un contesto del genere, così pianificato, possono<br />
partecipare ad una integrazione fondata sul “dialogo interculturale e la<br />
convivenza democratica”, dove la scuola italiana sembra ormai fare proprio<br />
il principio della strutturazione dei gruppi sociali sia nel contesto nazionale,<br />
sia anche proiettandosi nella prospettiva europea e successivamente<br />
mondiale.<br />
Nello stesso tempo non sarebbe possibile pensare che l’apporto degli immigrati<br />
ponesse in discussione le strutture e le idealità europee nei loro<br />
valori più alti, di rispetto della persona e delle istituzioni. L’esercizio<br />
dell’agire democratico, non a caso stratificato fin dall’educazione classica<br />
greca, in opere che furono alla base di una mentalità dove – se pensiamo<br />
II
alla Repubblica di Platone – lo Stato si presenta come palestra dell’uomo<br />
politico: nello Schiavo di Menone appare l’uomo come fonte di razionalità<br />
argomentante e capace di cogliere il vero matematico.<br />
Nella grandezza della riflessione storica greca – si pensi al capolavoro di<br />
Tucidide “La guerra del Peloponneso” – dove è descritto e analizzato il<br />
comportamento dell’essere umano in tempi di crisi e di difficoltà. L’analisi<br />
della peste ad Atene è rimasta a modello di tutte le situazioni similari,<br />
passando da Boccaccio a Camus. Se questo è il quadro forte ed incisivo<br />
della individuazione dei temi, propri di una imperitura grandezza<br />
dell’umanità accanto pur sempre al rischio della sua caduta, non possiamo<br />
dimenticare la presenza costruttiva dell’Illuminismo che ci fa rabbrividire<br />
di fronte alla cultura attuale di alcune minoranze etniche che non rispettano<br />
né colgono in modo equilibrato la figura della donna, soggetto di<br />
diritti e doveri, persona umana che deve costituirsi in una parità assoluta<br />
con il genere maschile.<br />
Sottolineato quindi, il valore imprescindibile di tutti gli esseri umani, il lavoro<br />
che qui introduciamo sa recuperare criticamente il tema delle minoranze,<br />
ma non tradendole con una demagogia facile. Le minoranze per<br />
potersi guadagnare l’appartenenza al gruppo sociale devono giustificare<br />
sé stesse rispettando la legge dello Stato e i doveri del momento storico<br />
in cui essi vivono.<br />
Il volume si presenta come un utilissimo strumento di indagine e, mi si<br />
permetta, anche come un commovente appello ad un sentire alto e nobile,<br />
in cui riecheggiano echi dell’ambiente che ha prodotto Dante Alighieri fino<br />
agli estensori della preziosa Carta Costituzionale Italiana.<br />
Sen. Francesco Rutelli<br />
Senatore della Repubblica<br />
III
PREMESSA<br />
Una delle costanti che ha caratterizzato il lungo processo di costruzione dell’Unione europea<br />
è l’attenzione che, in relazione alla contiguità dei confini dei singoli Stati, è stata posta alla<br />
condizione delle minoranze etniche.<br />
La riflessione su questo tema, intensificatasi in modo particolare nell’ultimo ventennio, si<br />
è concretizzata nell’elaborazione, sia in ambito CEE e, poi UE, che nel più vasto contesto della<br />
CSCE (ora OSCE) e, più di recente nel quadro della ICE, di una serie di direttive, raccomandazioni<br />
e progetti di convenzioni (o carte) europee dei diritti delle minoranze. Sembra, ora, essere<br />
giunta ad una fase di grande maturità, dato che la presa di coscienza del valore della multiculturalità<br />
tende a tradursi in norme e comportamenti che tutelano tale peculiarità: ciò segna in molte<br />
realtà una vera e propria inversione di tendenza nei confronti delle politiche tendenzialmente<br />
omologatrici.<br />
Occorre promuovere la consapevolezza che la struttura estremamente composita della<br />
società europea è un grande patrimonio comune. Esso, nella dialettica delle sue componenti,<br />
alimenta una vitalità culturale ineguagliabile. Come tale, essa va accettata e salvaguardata,<br />
giacché la perdita di alcune delle sue componenti, lungi dall’essere una vittoria per le culture<br />
maggioritarie, sarebbe una grave sconfitta per tutti, allo stesso modo come sostituendo le tessere<br />
di un mosaico con una lastra monocolore, sia pure di materiale preziosissimo, si farebbe<br />
scempio del suo contenuto espressivo ed artistico.<br />
Occorre vigilare e dotarsi di strumenti tali da impedire che alcune tragiche esperienze del<br />
passato più o meno recente abbiano a ripetersi.<br />
In questa prospettiva, l’impegno di ogni Stato dovrebbe essere quello di promuovere e<br />
realizzare una serie di iniziative concrete a sostegno dell’identità culturale ed etnica di tutte le<br />
comunità minoritarie presenti sul suo territorio. Tali azioni vanno mirate, tra l’altro, alla promozione<br />
della conoscenza reciproca delle culture di minoranza tra loro e di queste con la maggioritaria,<br />
in un rapporto non più gerarchico di subalternità/dominanza, ma paritetico ed inteso come<br />
interesse reciproco.<br />
Funzionali a tale scopo sarebbero progetti che consentano:<br />
a) lo sviluppo e la diffusione delle scuole di madre-lingua presso ogni comunità, nonché di programmi<br />
di studio e di ricerca sulla cultura delle minoranze;<br />
b) il sostegno e la promozione dell’arte nelle forme ed espressioni tipiche di ciascuna comunità;<br />
c) gli scambi culturali tra diverse comunità minoritarie, soprattutto a livello giovanile;<br />
d) ogni altra iniziativa o attività che consenta l’attuazione quanto più completa possibile dei<br />
principi di uguaglianza tra tutti i cittadini sanciti da ciascuna delle Carte Costituzionali dei<br />
singoli Stati e dalle diverse Convenzioni internazionali;<br />
e) l’attivazione di tutti gli strumenti indicati a salvaguardia dei diritti delle minoranze.<br />
Tali iniziative dovrebbero mirare alla costruzione di ponti di collegamento e di scambio<br />
reciproco tra le varie ‘isole’ che costituiscono quel variegato arcipelago linguistico e culturale<br />
che è l’Europa.<br />
In questo contesto, l’identità culturale di ciascuna comunità deve essere vista in un rapporto<br />
dialettico con tutte le altre componenti della realtà, come strumento, quindi, di apertura<br />
verso le altre culture, maggioritarie o minoritarie che siano, e di fecondo confronto con esse,<br />
senza perdita della propria peculiarità creativa.<br />
Ancora una volta va affermato che, se non si riesce a salvaguardare – anche attraverso<br />
semplici momenti di discussione – il valore della “diversità”, una parte dell’umanità ne riceverà<br />
un danno: il danno che ne viene dal non rispetto di una parte della stessa.<br />
Prof.Giuseppe Vedovato<br />
PROFESSORE EMERITO DI RELAZIONI INTERNAZIONALI ALLA “SAPIENZA” IN ROMA,<br />
GIA’ DEPUTATO E SENATORE DELLA REPUBBLICA ITALIANA<br />
PRESIDENTE ONORARIO DELL’ASSEMBLEA PARLAMENTARE DEL CONSIGLIO D’EUROPA<br />
1
INTRODUZIONE<br />
Uno dei fenomeni più macroscopici che ha investito la società italiana contemporanea è<br />
costituito certamente dalla crescita costante, soprattutto nell’ultimo decennio, del numero degli<br />
immigrati; esso pone una serie di problemi ai diversi livelli istituzionali, risolvibili mediante opportuni<br />
interventi legislativi mirati ed attraverso una serie di iniziative e interventi di carattere gestionale<br />
altrettanto puntuali, ma non necessariamente legati, almeno allo stato attuale, ad una<br />
specifica attività legislativa.<br />
La consistenza del numero degli immigrati ed, in particolare, la consistenza di alcuni<br />
gruppi caratterizzati dall’unitarietà della provenienza e, conseguentemente, dall’omogeneità culturale,<br />
fa sì che, soprattutto in alcune zone, la società italiana dei nostri giorni vada definendosi<br />
sempre più come una società multiculturale, caratterizzata cioè dalla coesistenza di popolazioni<br />
di diversa origine, cultura e, spesso, religione, con le quali la componente autoctona, ancorché<br />
ampiamente maggioritaria, deve tuttavia quotidianamente confrontarsi.<br />
Va, tuttavia, sottolineato che nel nostro Paese la multiculturalità non è un fenomeno<br />
nuovo.<br />
Nonostante che a livello di opinione pubblica se ne sia presa coscienza solo in tempi relativamente<br />
recenti, la società italiana è costituita, praticamente ab inizio, da una pluralità di<br />
soggetti etnicamente e culturalmente diversi che, prima e dopo l’Unità, hanno convissuto in<br />
rapporto più o meno dialettico tra loro, all’ombra dell’elemento “italiano” dominante, senza mai<br />
esserne completamente soffocati. Anzi, essi sono riusciti a svilupparsi, in alcuni casi, e, nonostante<br />
la mancanza quasi totale, fino a tempi recenti, di istituzioni educative specifiche, a dimostrare<br />
una grande vitalità culturale, con produzioni letterarie di grande rilievo.<br />
È evidente che non si vuole, qui, accennare alle realtà regionali, o, più genericamente<br />
locali, anche abbastanza diversificate che, ad un secolo dall’unificazione, continuano positivamente<br />
a caratterizzare il nostro Paese, quanto piuttosto a quelle popolazioni autoctone o di antica<br />
immigrazione, che vengono correttamente raggruppate sotto la denominazione di “minoranze<br />
linguistiche”.<br />
Tra i Paesi dell’Unione europea, l’Italia è il paese che registra sul suo territorio il più alto<br />
numero di minoranze linguistiche.<br />
Secondo un recente rapporto del Ministero dell’Interno, sono presenti sul territorio italiano<br />
sedici minoranze linguistiche.<br />
A tali popolazioni si riferisce l’art. 6 della Costituzione italiana, che recita: “La Repubblica<br />
tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”.<br />
Si tratta di un’enunciazione di principio che, per il fatto di essere stata posta tra quelli<br />
fondamentali della Carta fondamentale, assume rilevanza particolare: testimonia della profonda<br />
consapevolezza che, già alla fondazione dell’Italia repubblicana, i Costituenti avevano della<br />
struttura multiculturale della società italiana.<br />
Tale articolo ha trovato applicazione totale con l’approvazione della legge – quadro 15<br />
dicembre 1999 n. 482, recante “Norme di tutela delle minoranze linguistiche storiche”.<br />
In ambito scolastico, anche in seguito al dibattito avviato negli ultimi decenni proprio sulla<br />
necessità di estendere l’applicazione dell’art. 6 della Costituzione a tutte le minoranze linguistiche<br />
esistenti sul territorio della Repubblica, è andato progressivamente costituendosi, attraverso<br />
una serie di provvedimenti (si ricordano, per tutti, le possibilità offerte dall’applicazione dei<br />
cosiddetti “decreti delegati”) e circolari ministeriali, nonché attraverso la definizione dei nuovi<br />
programmi della scuola dell’obbligo, un’apertura che trova la sua massima espressione in una<br />
pronuncia del Consiglio nazionale della pubblica istruzione del 15.6.1993, che rileva:<br />
“(...) sarebbe quanto meno assurdo se la scuola italiana, su tutto il territorio nazionale,<br />
si impegnasse a studiare capire, considerare usi, costumi, storie, spiritualità assai remote dalla<br />
nostra, e non realtà straordinariamente più vicine, ricche di elementi di grande affinità, compartecipi<br />
da tempo di valori, interessi, riferimenti giuridico-istituzionali, memorie individuali e collettive<br />
comuni, come, appunto, la realtà delle minoranze linguistiche (...)“.<br />
Come risulta anche da una circolare del Ministero dell’Istruzione (n. 73 del 2 marzo<br />
1994), che pone all’attenzione di tutti gli organismi competenti sul territorio nazionale un documento,<br />
elaborato dal gruppo interdirezionale di lavoro per l’educazione interculturale e<br />
l’integrazione degli alunni stranieri dal titolo “Il dialogo interculturale e la convivenza democratica”,<br />
la scuola italiana sembra ormai fare proprio il principio della strutturazione multiculturale<br />
3
della società, sia nel contesto nazionale sia anche proiettandolo nella prospettiva europea e,<br />
successivamente mondiale.<br />
Il riconoscimento della strutturazione multiculturale della società italiana ha come diretta<br />
conseguenza la fine dell’assunto dogmatico proprio, fino a tempi recenti, anche della scuola<br />
dell’omogeneità linguistica, culturale ed etnica dell’Italia.<br />
Ciò si traduce, nella pratica scolastica, nella fine dell’emarginazione delle culture “altre”,<br />
anche di quelle di cui lo Stato ha esteso la tutela prevista dall’art. 6 della Costituzione.<br />
Il nuovo progetto educativo che la scuola italiana fa proprio si propone, infatti, come o-<br />
biettivo il rispetto dell’alterità culturale, nel quadro di un positivo confronto tra culture che, da un<br />
lato, siano la base di un processo di integrazione sociale che non implichi necessariamente<br />
l’omologazione culturale, e siano, dall’altro, fattore di crescita per l’elemento culturale dominante,<br />
attraverso il confronto dialettico con gli elementi “altri”.<br />
Queste riflessioni introduttive hanno ispirato il documento, che intende per ciò stesso<br />
configurarsi come un commentario sistematico di tutti quei strumenti di livello internazionale<br />
(carte, convenzioni etc.) elaborati per assicurare una dignità sostanziale alle minoranze.<br />
Esso contiene, altresì alcuni saggi di vario tipo riguardanti la ricchezza del patrimonio<br />
culturale prodotto dalle minoranze, nonché alcuni temi sull’integrazione.<br />
L’appendice estremamente ricca comprende le disposizioni sulla non discriminazione e<br />
sugli aspetti della comunicazione.<br />
Tabelle e dati statistici sulle minoranze in Europa e in Italia completano l’opera.<br />
Di ciò occorre dare una testimonianza. Anche per questo il volume – per la struttura e<br />
per i contenuti – si raccomanda come testo che può formare oggetto di dibattito per i giovani,<br />
con particolare riferimento all’ambito scolastico.<br />
Educare alla pace, educare alla tolleranza, significa anche mettere a disposizione del<br />
giovane i materiali che possono essere usati per costruire ragionamenti, per impostare strategie<br />
di comprensione reciproca, per valutare la realtà come complessità.<br />
Al termine di questa breve introduzione, non posso non esprimere il mio più vivo apprezzamento<br />
all’autore per il competente impegno, per la professionalità e per l’apprezzabile<br />
sforzo di analisi che hanno consentito un sostanziale approfondimento delle tematiche affrontate<br />
in questo documento di studio.<br />
Prof. Christoph Pan<br />
Direttore dell’Istituto dei Gruppi Etnici di Bolzano<br />
4
I CONCETTI - BASE<br />
5
LA LINGUA<br />
La lingua può essere definita come lo specchio della cultura di un popolo.<br />
In sintesi, può essere considerata il simbolo dell'identità etnica e culturale. Ad esempio,<br />
prendendo in esame la cultura dei Greci, notiamo come la lingua è ricca di vocaboli, con moltissime<br />
sfumature diverse, cui corrisponde un mondo filosofico tra i più spirituali dell'area occidentale.<br />
Quello latino, diversamente, essendo più sensibile al discorso immediato, materialistico,<br />
corrisponde ad una lingua che ha meno termini e non si perde in tante sfumature.<br />
L'italiano, a sua volta, è una lingua che è frutto di una evoluzione artificiale, in quanto è<br />
il prodotto di un ceto intellettuale.<br />
In J. Burckhardt, "al sommo di ogni cultura sta il miracolo intellettuale: le lingue, l'intimo<br />
e irreversibile impulso dello spirito a esprimere con parole il pensiero. Esse sono la più specifica<br />
manifestazione dello spirito dei popoli. Arte e poesia sono l'unica manifestazione terrena durevole.<br />
La poesia crea nuove realtà e giova più della storia alla conoscenza della natura dell'umanità.<br />
La storia trova nella poesia una delle sue fonti più importanti e spesso è l'unica cosa che<br />
se ne è conservata" 1 .<br />
La lingua non è solo un mezzo per comunicare, ma riflette un modo di ragionare, cioè la<br />
struttura mentale, di un popolo; essa, educando l'anima, ne delinea le peculiarità.<br />
A tal riguardo c’è chi ha sottolineato la particolare situazione in cui si vengono a ritrovare<br />
le genti d’Europa: “Cittadini di una terra multiforme, gli Europei non possono che essere in<br />
ascolto del grido polifonico delle lingue umane.<br />
L’attenzione all’altro che parla la propria lingua è preliminare se si vuole costruire una<br />
solidarietà che abbia un contenuto più concreto dei discorsi propagandistici” 2 .<br />
E ciò in considerazione del fatto che “ogni lingua costituisce un certo modello<br />
dell’universo, un sistema semiotico di comprensione del mondo, e se abbiamo 4.000 modi diversi<br />
di descrivere il mondo, questo ci rende più ricchi. Dovremmo preoccuparci della preservazione<br />
delle lingue così come ci preoccupiamo dell’ecologia” 3<br />
1<br />
2<br />
3<br />
J. Burckhardt, Considerazioni sulla storia universale, cap. 2 (Sulle tre potenze).<br />
Claude Hagège, Le souffle de la langue, Odile Jacob, 1992, pag. 273.<br />
Vjacelav V. Ivanov, Reconstructing the Past, in “Intercom” (University of California, Los Angeles),<br />
1992, pag. 4.<br />
7
LA CULTURA<br />
"La cultura è intesa come la somma complessiva di quelle manifestazioni dello spirito<br />
che avvengono spontaneamente e non rivendicano a sé nessuna validità universale e coercitiva.<br />
Ha un'azione costantemente modificatrice e disgregatrice sull'istituzione Stato e sull'istituzione<br />
Religione” 4 .<br />
Jacques Maritain ha proposto, tuttavia, questa definizione della cultura: "... la cultura, o<br />
la civiltà, consiste nell'espansione della vita propriamente umana, comprendente non solo lo<br />
sviluppo materiale necessario e sufficiente per permetterci di condurre un'esistenza retta quaggiù,<br />
ma anche e soprattutto quello sviluppo morale, quello sviluppo delle attività speculative e<br />
delle attività pratiche (artistiche ed etiche) che merita di essere propriamente chiamato uno sviluppo<br />
umano" 5 .<br />
Ma quale rapporto c'è tra la "cultura" e l'uomo?<br />
Si può immaginare la cultura come una specie di entità sociale a sé stante, diversa dall'individuo?<br />
Certamente no.<br />
La cultura non è una realtà oggettiva, indipendente dagli individui.<br />
Certo, la cultura di un popolo o di un'epoca contiene di più che non quella di un individuo<br />
determinato; e tuttavia la cultura non è nulla se non è vissuta dagli uomini come persone,<br />
come collettività.<br />
In altri termini, possiamo parlare di cultura solo nella misura in cui gli uomini, nel loro a-<br />
gire e nell'esercizio del pensiero o del lavoro, acquistano una familiarità, una sicurezza, una<br />
nuova spontaneità, che li inclinano verso i beni della cultura, in modo tale che questi beni si<br />
presentino a loro come propri beni, nei quali essi si riconoscono e coi quali si trovano ad avere<br />
un legame di parentela.<br />
La cultura è viva se la verità e i valori di cui essa è essenzialmente costituita sono elementi<br />
vitali della persona, cioè se essa è vissuta nella quotidianità di ognuno.<br />
Molto spesso la cultura si concreta nella conservazione delle cose belle, della natura,<br />
del paesaggio.<br />
a. La difficile ricerca degli eventi “culturali”<br />
Nella società contemporanea è assai facile - mancando un tempo dedicato espressamente<br />
allo sviluppo della intelligenza individuale, del sapere, mentre molto tempo ciascuno dedica<br />
al proprio corpo - che alcuni fatti ci vengano propinati sotto l'etichetta di "cultura". Il più delle<br />
volte essi sono "pseudocultura".<br />
Ci accorgiamo che questo mondo artificiale, che si è andato umanamente mettendo insieme,<br />
ci ha imposto dei ritmi, oltre che dei canali e dei sistemi di distribuzione, che sono molto<br />
pericolosi: queste macchine, che chiamiamo le città, dove siamo costretti a vivere come polli in<br />
batteria, questa sopravvivenza meccanizzata, dove chiunque potrebbe da un momento all'altro,<br />
chiudendo una valvola, sopprimere tutti, dove all'uomo - come singolo - è tolta ogni possibilità di<br />
iniziativa.<br />
Noi abbiamo molti diritti sulla carta, e li proclamiamo; di fatto siamo privati di ogni potere.<br />
Di questa oppressione materiale non è difficile accorgersi, ma, parallelamente, esiste<br />
una oppressione spirituale di cui forse non ci accorgiamo per nulla.<br />
Tutti hanno diritto al sapere, ma i mezzi per farlo crescere, i tempi perché esso si configuri<br />
sono quelli che sono.<br />
b. La cultura non è costituita solo dalla scienza<br />
A seguito di pregiudizi radicati da secoli nella nostra cultura moderna siamo convinti<br />
(nulla di più falso!) che ci sia un unico sapere possibile: quello esente da ogni metafisica, e che<br />
4<br />
5<br />
J. Burckhardt, op. cit., v. nota 1.<br />
"Cultura e istituzioni per la cultura”, a cura dell'Istituto "Max Weber", Roma, 1995.<br />
8
nell'ordine di tale sapere ci sia un solo tipo di conoscenza incrollabile autenticamente capace di<br />
prove: la scienza, la scienza matematica, la scienza dei fenomeni della natura....<br />
Un fatto è da tutti riconosciuto: "la società in quanto tale non ha nulla da dirci sui problemi<br />
che maggiormente ci preoccupano e sulla concezione del mondo dell'uomo e forse di<br />
Dio... tutto ciò rimane del tutto al di fuori del dominio della scienza..." (J. Maritain).<br />
Riflettiamo sui richiami molto pertinenti che fa la scrittrice Serena Foglia nel suo libro<br />
"Mille e ancora mille": Moltmann sottolinea il fatto che "le scienze e la futurologia ci mettono a<br />
disposizione una varietà di possibili e pianificabili futuri, ma abbiamo noi una qualche rappresentazione<br />
di un futuro desiderabile? (...). La ragione umana deve di nuovo farsi creativa e noi<br />
dobbiamo elaborare progetti di un futuro desiderabile" (da "L'esperimento speranza", Queriniana,<br />
Brescia, 1976, pag. 41).<br />
Perché ciò avvenga - egli dice - bisogna sviluppare una teologia della speranza che,<br />
fondata sulla storia biblica e orientata verso il regno promesso, sia "in grado di far svolgere alla<br />
speranza cristiana il suo ruolo di responsabilità nelle rivolte e nelle repressioni dell'epoca moderna".<br />
"Guardando alla realtà contemporanea Moltmann non può esimersi dal sottolinearne gli<br />
aspetti negativi: la società tecnocratica, essendo strutturata secondo il modello del sistema<br />
chiuso, tesse intorno all'uomo una rete sempre più fitta di condizionamenti. Diventa perciò sempre<br />
più difficile conservare negli uomini la speranza, ... l'entusiasmo ... nel progresso della tecnica,<br />
sorretto dall'industrializzazione e dalla fiducia che si potesse costruire il Regno dell'Uomo,<br />
si è dissipato lasciando il posto alla tristezza apocalittica, alla nostalgia romantica del passato,<br />
alla fuga dal mondo predicata dai figli dei fiori e tragicamente diffusa dalla droga, ..." (op. cit.,<br />
pag. 58).<br />
E poiché "su nessuna carta geografica c'è il paese di Utopia dove scorre latte e miele, o<br />
dove pace e giustizia si baciano e in nessun angolo della Terra esiste il nuovo mondo, dove<br />
volgere lo sguardo, dove emigrare?”<br />
Quante volte l'Utopia, però, ha cercato di cambiare, di recente, il corso della cultura<br />
umana? Tutte le volte che nasce e si afferma nelle coscienze dei singoli la convinzione che<br />
l'Assoluto (che è la voglia dell'Eden) si può realizzare con facilità su questa Terra e gli uomini<br />
senza cultura sono indotti, purtroppo, a seguire facilmente ciò che dicono i falsi profeti (S. Foglia).<br />
Piero Citati ricorda come "il consumismo sia soltanto uno dei tanti esempi di ricerca dell'Assoluto<br />
che la storia incessantemente ci propone; il più recente, quello i cui effetti devastanti<br />
e il cui sanguinoso terrore sono ancora ben presenti alla memoria dei contemporanei".<br />
Piero Citati indica chi può svolgere la funzione di anticorpo, di antidoto "per impedire,<br />
rallentare, contenere le devastazioni che derivano dall'inverarsi dell'Utopia"; egli ne elenca alcuni:<br />
"I liberali o gli artisti o i filosofi o gli osservatori disinteressati, tutti coloro che scrivono pensieri<br />
puri, che l'utilità non contamina .... Chi investe nella storia delle mete assolute finisce per<br />
non capirle. Per capire ciò che è accaduto, ciò che accade o sta per accadere, bisogna conservare<br />
nella mente una specie di distanza ironica, uno specchio lucido e disinteressato, che permette<br />
agli scienziati di riflettersi senza venire offuscati".<br />
c. La cultura insegna ad essere tolleranti e disponibili al colloquio<br />
La cultura senza libertà non ha mai prodotto menti libere e di ampie vedute; però, può<br />
produrre astuti avvocati (Stuart Mill).<br />
La società, intesa come insieme di persone che condividono valori e comportamenti,<br />
non può permettersi di mandare al potere astuti avvocati. Essa deve essere rappresentata da<br />
persone colte, cioè capaci di modificare il loro giudizio quando la realtà da governare lo richieda,<br />
ma devono avere appreso dalla cultura che occorre essere tolleranti e disponibili al colloquio.<br />
Se c'è mancanza di tolleranza e di disponibilità al colloquio si può essere certi che chi è<br />
al potere, prima o poi, è destinato a cadere, in quanto altri avranno smascherato la loro corruzione,<br />
o semplicemente la loro intolleranza.<br />
L’intolleranza e l'indisponibilità al colloquio, a ben rifletterci, sono caratteri propri dei regimi<br />
totalitari.<br />
9
La storia, comunque, ci insegna che i regimi totalitari - preoccupati soltanto di perpetuare<br />
se stessi - non tollerano le critiche; e siccome la critica proviene da chi ragiona degli avvenimenti<br />
e delle cause che le hanno prodotte (la c.d. "opposizione"), il regime totalitario (sia esso di<br />
sinistra o di destra) si orienta per sua natura a soffocare il dissenso.<br />
Una società in cui non sia data la possibilità al dissenso di manifestarsi non è in grado<br />
di salvare la cultura, né tantomeno di accrescerla.<br />
d. La cultura evita la creazione del radicamento dei dogmatismi. Il dogmatismo riduce<br />
la percezione dei fondamentali valori umani<br />
Stuart Mill, nel suo saggio "Della libertà di pensiero e di discussione" (1859) formula<br />
questa considerazione che possiamo condividere: "Qual è, ..., la ragione per cui, complessivamente,<br />
nell'umanità esiste una prevalenza di opinioni razionali e comportamenti razionali?”<br />
Se questa prevalenza esiste veramente - e dove esiste, altrimenti le relazioni umane<br />
sarebbero, e sarebbero sempre state, in condizioni quasi disperate - ciò è dovuto ad una qualità<br />
della mente umana, fonte di tutto ciò che di rispettabile è nell'uomo come essere sia intellettuale<br />
sia morale, vale a dire la facoltà di correggere i propri errori.<br />
Continuando nel suo ragionamento Mill ci avverte: "L'uomo è capace di rettificare i propri<br />
sbagli, attraverso la discussione e l'esperienza. Non attraverso la sola esperienza. La discussione<br />
è necessaria, per mostrare come l'esperienza deve essere interpretata".<br />
In effetti, è vero che "pratiche ed opinioni sbagliate cedono gratuitamente il passo a fatti<br />
e argomenti; ma non bisogna mai dimenticare che fatti e argomenti, per produrre un qualsiasi<br />
effetto sulla mente, devono essere portati al suo cospetto”.<br />
Se occorre riconoscere che "pochissimi fatti possono raccontare la loro storia, senza<br />
commenti che ne chiariscano il significato", c'è un metodo perché il giudizio dell'individuo, fin da<br />
piccolo, sia posto nella condizione per discernere ciò che è bene da ciò che è male: il metodo è<br />
quello di tenere costantemente presenti tutti i mezzi per correggerlo.<br />
Chi ha il compito di insegnare alla persona umana in evoluzione i mezzi che hanno la<br />
capacità di modificare il suo giudizio su un fatto, su un individuo?<br />
Il compito è di chi, in quanto appartenente a una generazione, ci ha preceduto: il padre<br />
e la madre, il maestro e, poi, gli insegnanti, il docente universitario, il datore di lavoro o il maestro-artigiano,<br />
....<br />
I luoghi della discussione, a seconda dei casi, sono - congiuntamente o disgiuntamente<br />
sotto il profilo del tempo - la propria casa, la propria scuola, l'aula universitaria, la stanza del<br />
proprio ufficio ....<br />
La nostra società, quindi, ha destinato una parte della propria ricchezza per rendere fisicamente<br />
possibile questa esigenza di confronto tra chi più sa, cioè chi è più colto, e chi meno<br />
sa, e, quindi, ha il dovere di apprendere.<br />
Si costruiscono a tale scopo gli edifici scolastici, i campus universitari, le biblioteche, i<br />
musei ....<br />
Tutti questi luoghi sono destinati, ogni giorno, a consentire la trasmissione della cultura,<br />
il suo perfezionamento, la sua evoluzione.<br />
e. La cultura è frutto dei tempi. L'identificazione della cultura come civiltà<br />
Ogni epoca storica, così come ogni complesso umano, producono cultura, che è costituita<br />
dal complesso dei modi in cui l'intelligenza umana si esprime: il romanzo è il prodotto dell'intelligenza<br />
di uno scrittore; il quadro o l'affresco è il prodotto dell'intelligenza di un pittore; il<br />
saggio su un determinato istituto giuridico è il prodotto dell'intelligenza di un giurista ...<br />
Vogliamo così far capire a chi legge che la cultura è qualcosa di complesso e di complicato;<br />
oltre che di immenso.<br />
La cultura, quindi, "non è solo scienza". Perché?<br />
"La scienza, d'altro canto, ha perduto gran parte del suo fascino e del suo alone salvifico<br />
(...). Le sue verità possono ben essere verificate, consacrate in formule standardizzate e a-<br />
perte al controllo intersoggettivo, ma sono "verità piccole", a breve o a medio raggio, che non<br />
hanno nulla da dire di fronte ai problemi umani non risolubili e non riducibili ad aggiustamenti<br />
tecnici in cui è sufficiente l'applicazione corretta della formula. I problemi propriamente umani<br />
10
sono problemi teoricamente non risolvibili. Sono tensioni permanenti di fronte a situazioni problematiche<br />
globali: la giustizia, l'amore, la libertà, la morte” 6 .<br />
E' difficile dire perché una civiltà muoia, cioè perché diventa sterile, incapace di creare;<br />
è ugualmente impossibile spiegare perché una civiltà riesca a influenzare un'altra civiltà.<br />
La cultura di un popolo, che si può sinteticamente chiamare "civiltà", è fatta di un insieme<br />
di segni; quelli tra di essi che sopravvivono alla morte di chi li ha creati contribuiscono a<br />
rendere influente la civiltà del popolo in cui si è nati e si è cresciuti.<br />
La civiltà che riesce a far parlare le intelligenze (libertà) è una civiltà degna di vivere più<br />
a lungo di altre.<br />
6<br />
E. Morin, La connaissance de la connaissance, Senil, Paris, 1986.<br />
11
LE MINORANZE<br />
Può intendersi per minoranza quella parte di una popolazione più ampia, storicamente<br />
stabilitasi su un determinato territorio, che mantenga una propria identità tale da distinguerla per<br />
cultura, lingua, caratteristiche etniche o razziali; diversamente, non sono considerate minoranze<br />
i lavoratori migranti.<br />
Il problema tuttora aperto è il riconoscimento dei diritti collettivi in aggiunta a quelli individuali.<br />
Alcuni Stati temono che l'affermazione di tali diritti collettivi, portando ad un riconoscimento<br />
delle minoranze ed al conseguente conferimento a queste ultime dello "status" di popolo,<br />
finirebbero per mettere in pericolo la loro integrità territoriale e, anche, sociale.<br />
Tuttavia, gli Stati hanno dovuto assumere provvedimenti di promozione dell'identità del<br />
gruppo, quali quelli rivolti ad assicurare specifiche istituzioni scolastiche, culturali e religiose.<br />
Le minoranze si distinguono, tra l'altro, anche:<br />
a) in minoranze circoscritte all'interno di uno Stato;<br />
b) in gruppi isolati o maggioritari nella propria regione;<br />
c) in minoranze collocate in territori di più Stati, ossia che travalicano le frontiere di due o più<br />
Stati.<br />
Nell'affrontare il tema dei diritti delle minoranze linguistiche, occorre non dimenticare<br />
mai che ciascuna minoranza ha una storia, una condizione politica e materiale diversa dalle altre.<br />
Alla base dei problemi posti dalle minoranze stanno i contrasti di volontà, che possono<br />
essere risolti attraverso una serie di strumenti istituzionali e giuridici internazionali (garanzie giuridiche<br />
o politiche, trattati sia contrattuali che esortativi, convenzioni e soluzioni costituzionali).<br />
a. Le minoranze linguistiche<br />
Approfondimenti richiede, comunque, il concetto di "minoranza linguistica" dovendo riconoscere<br />
che diversi possono essere i criteri per pervenire alla definizione di esso (ad es., il<br />
peso numerico; la provenienza geografica; la posizione di "potere" della minoranza nell'ambito<br />
territoriale in cui risiede; l'antropologico; il geodemografico).<br />
Ma nessuno di quelli ora richiamati, isolatamente preso, può considerarsi il criterio. Forse,<br />
occorre ricorrere ad alcuni o a tutti fra di essi nell'intento di pervenire ad una definizione che<br />
possa rilevarsi soddisfacente, anche perché è attraverso la lingua (romanzo, poesia, racconto,<br />
fiaba) che sovente transita "la cultura": una qualunque collettività di persone che vivano in un<br />
paese o in una località data, che abbiano una razza, una religione, una lingua e tradizioni proprie,<br />
e che siano unite da identità di tale razza, di tale religione, di tale lingua e di tali tradizioni<br />
in un sentimento di solidarietà, al fine di conservare le loro tradizioni, mantenere il loro culto,<br />
assicurare l'istruzione e l'educazione dei loro figli in conformità al genio della loro razza e di assistersi<br />
reciprocamente.<br />
Ma alcuni studiosi considerano questa definizione, fornita dalla Corte internazionale di<br />
giustizia, ancora poco soddisfacente.<br />
L'ONU, attraverso la specifica sottocommissione della Commissione dei diritti dell'Uomo,<br />
ha ritenuto di contribuire alla comprensione del fenomeno sottolineando che:<br />
il termine va applicato solo nel caso in cui le popolazioni non dominanti abbiano - e soprattutto<br />
desiderino conservare - tradizioni o caratteristiche etniche, religiose e linguistiche diverse<br />
da quelle del resto della popolazione;<br />
il numero degli appartenenti al gruppo in questione debba essere rilevante e sufficiente affinché<br />
essi possano conservare le loro caratteristiche;<br />
ci sia, da parte dei componenti delle minoranze, un atteggiamento di lealtà nei confronti dello<br />
Stato di cui fanno parte.<br />
Sembra dimostrare maggiore consapevolezza dell'origine della "minoranza linguistica",<br />
quella definizione datane che si fonda sulla storicità (tempo lungo) dell'insediamento e sui suoi<br />
rapporti mantenuti con il paese d'origine che è diverso da quello in cui vi è l'insediamento. A tal<br />
riguardo, secondo questa concezione è minoranza un qualunque gruppo che nel passato abbia<br />
costituito una nazione indipendente e organizzata in Stato distinto; che abbia fatto parte, sempre<br />
nel passato, di una nazione organizzata in Stato distinto e sia stata poi da esso separata;<br />
12
oppure che possa costituire ancora un gruppo regionale o disperso che, anche se ancora legato<br />
da sentimenti di solidarietà al gruppo dominante, non si è ad esso minimamente assimilato.<br />
C'è chi pone l'accento, poi, sulla dimensione geografica del fenomeno. Sulla base di tale<br />
criterio metodologico ci si può trovare di fronte a diversi gruppi:<br />
gruppi che abitano una intera regione geografica del Paese;<br />
gruppi che abitano la maggior parte di una regione del Paese;<br />
gruppi concentrati in una regione del Paese ma che non costituiscono la maggioranza della<br />
popolazione di quel territorio;<br />
gruppi i cui appartenenti abitano in una certa regione del Paese o sono distribuiti su tutto il<br />
territorio nazionale;<br />
gruppi i cui componenti sono dispersi su tutto il territorio del Paese;<br />
gruppi i cui appartenenti non abitano tutti nello stesso Paese, ma sono diffusi in Paesi diversi.<br />
Se si assume a minimo comune denominatore dell'analisi la dimensione storica, è possibile<br />
pervenire alla individuazione di diversi gruppi:<br />
gruppi che esistevano già sul territorio prima della creazione dello Stato;<br />
gruppi che appartenevano originariamente a vari Stati ma che, per vicende storiche diverse,<br />
si trovano ora sotto la giurisdizione dello Stato attuale (a seguito di cessioni o annessioni di<br />
territori);<br />
gruppi formatisi nel Paese in questione a seguito di fenomeni di immigrazione di un gruppo<br />
appartenente alla stessa etnia, alla stessa religione, alla stessa lingua e che al momento attuale<br />
sono considerati cittadini dello Stato.<br />
Altro criterio di analisi è quello statistico: esso si fonda sul rapporto numerico che contraddistingue<br />
il gruppo minoritario rispetto all'intera popolazione di uno Stato che il gruppo ospita<br />
o accoglie nel suo territorio.<br />
Rivedendo - come si è fatto - la validità di questo o di quel criterio da usare per la definizione<br />
di "minoranza linguistica" a fronte di quella che è la differenziata realtà di tale fenomeno,<br />
si finisce per concordare con le riflessioni svolte da F. Capotorti, il quale, consapevole di non<br />
potere ingabbiare la realtà in una formula che si sarebbe potuto rivelare inaccettabile nei fatti,<br />
scriveva: "allo stato attuale, sembrerebbe illusorio pensare che si possa formulare una definizione<br />
suscettibile di una generale adesione".<br />
Eppure, nonostante questo legittimo dubbio, il Capotorti offre all'attenzione dello studioso<br />
della cultura delle minoranze una definizione assai equilibrata di esse: "Un gruppo numericamente<br />
inferiore al resto della popolazione di uno Stato, in posizione non dominante, i cui<br />
membri - appartenenti allo Stato - possiedono dal punto di vista etnico religioso o linguistico caratteristiche<br />
che si differenziano da quelle del resto della popolazione e manifestano anche in<br />
maniera implicita un sentimento di solidarietà allo scopo di conservare la loro cultura, le loro<br />
tradizioni, la loro religione o la loro lingua".<br />
Dato che la salvaguardia fondamentale di una minoranza è da rinvenire nel grado di tutela<br />
che lo Stato ospitante offre alla lingua che essa usa, dato che per mezzo di essa diventa<br />
testimone della sua cultura, sembra utile riflettere su alcune asserzioni.<br />
In primo luogo, è esatto dire che "normalmente le comunità che si considerano nazione<br />
(o parte di una nazione residente in un altro Stato) non sono disposte a considerare il proprio<br />
idioma come un dialetto, ma lo considerano una lingua a pieno titolo.<br />
Il termine dialetto ha, per esse, una evidente connotazione riduttiva".<br />
In secondo luogo, occorrerà ricorrere al concetto di "sentimento di solidarietà" (Salvi) rispetto<br />
alla propria lingua (e alla propria cultura) per identificare in quali dei quattro livelli di approssimazione<br />
siano collocabili gli articolati fenomeni del "sentirsi minoranza linguistica" da parte<br />
di una comunità:<br />
Livello 0: mancanza di ogni specifica percezione della propria specificità culturale;<br />
Livello I: percezione di un sentimento di diversità della propria comunità rispetto al resto<br />
delle comunità ospitate nel territorio del Paese;<br />
Livello II: percezione di un sentimento di diversità e di opposizione tra la cultura della<br />
propria comunità e quelle ospitate nel resto del Paese;<br />
Livello III: percezione di un sentimento di diversità e di opposizione della cultura della<br />
propria comunità rispetto a quella delle altre comunità del Paese, aggravato da<br />
13
misure di ostilità, da parte del <strong>Governo</strong> del Paese stesso, sia sul piano storico<br />
sia anche sul piano dell'attualità.<br />
Nel definito I livello possiamo posizionare tutte le comunità culturali cui la nostra coscienza<br />
culturale fa normale riferimento: ad es., gli abitanti di un sobborgo di Roma avvertiranno<br />
la loro specificità culturale rispetto al resto degli abitanti della capitale, ma non per questo si<br />
considerano "minoranze linguistica". Eppure un poeta come il Belli, che ha scritto in romanesco,<br />
è conosciuto anche all'estero.<br />
Nel II livello si possono far rientrare una varietà di comunità che saranno di gran lunga<br />
numericamente inferiore a quelle che abbiamo ritenuto di dover far rientrare nel I livello.<br />
Si possono fare degli esempi in grado di fare comprendere questa categoria concettuale:<br />
la comunità polacca nella Repubblica Federale di Germania, oppure quella friulana in Italia.<br />
Nel III livello si possono catalogare, invece, un ristretto numero di gruppi minoritari.<br />
Qualche esempio riesce a rendere l'idea: i Corsi o gli Occitani in Francia sono minoranze che<br />
avvertono l'ostilità "culturale" della dirigenza francese, essendo questa orientata a negare le loro<br />
identità.<br />
14
LA NAZIONE<br />
Secondo R. Hartshorne per "nazione" si intende un gruppo umano residente in un'area<br />
determinata che si sente legato da vincoli di accettazione comune di particolari valori talmente<br />
importanti da richiedere che quell'area e quella popolazione siano organizzate in uno Stato distinto,<br />
in modo che quei valori siano preservati e perpetuati 7 .<br />
Quando un popolo ha coscienza della comunanza di sentimenti analoghi, affinità culturali<br />
e spirituali, più in particolare di avere un futuro comune, si ha una nazionalità.<br />
Occorre porre l'attenzione sui due aspetti che caratterizzano il ruolo della nazione nella<br />
formazione dello Stato; essi, peraltro, presentano una validità di carattere generale.<br />
In primo luogo, il fatto che, nell'ambito dei contesti sociali, la nazione occupa la posizione<br />
più elevata; essa è la forma la più ampia e la più complessa tra tutte le collettività umane.<br />
"Essa è la collettività-limite, quella che ingloba tutte le altre e non è inglobata da alcuna" (R.<br />
Bonnard).<br />
Così, allorché una società umana è giunta al tipo-nazione, essa non può evolversi nel<br />
senso di un rafforzamento della solidarietà che unisce i suoi membri, senza costituirsi in Stato.<br />
C'è l'orda, il clan, la tribù, la città, la nazione; ma al di sopra della nazione non c'è null'altro<br />
che lo Stato.<br />
Senza dubbio ciò non significa che lo Stato sia della stessa natura delle forme delle società<br />
politiche che lo precedono.<br />
E' in esso che si conclude l'evoluzione, ma ciò non pregiudica la sua natura che è assai<br />
differente da quella delle forme politiche che essa viene a rimpiazzare.<br />
Questa affermazione sembra essere sufficiente per respingere tutte le altre definizioni di<br />
Stato che pretendono di dissociarlo dall'elemento nazione da cui nasce. E si vedrà, in effetti,<br />
che definendo lo Stato come Potere istituzionalizzato, bisogna riguardare questo Potere come<br />
Potere nazionale, allo stesso modo come è nazionale l'idea del diritto che, allo stesso tempo, è<br />
incorporata nell'istituzione statale.<br />
Una seconda osservazione viene formulata: il ruolo fondamentale che gioca l'idea del<br />
fine sociale nel sentimento nazionale.<br />
E', in effetti, la rappresentazione di questo fine, che è l'agente decisivo della solidarietà<br />
che unisce i membri del gruppo.<br />
Senza dubbio il ricordo delle prove comuni, le tradizioni, giocano un ruolo importante.<br />
La nazione è continuare a essere ciò che si è stato, a vivere secondo la stessa legge<br />
che ha prodotto la forza delle generazioni precedenti; è dunque, anche attraverso la solidarietà<br />
che si pone, volgendo al passato, una rappresentazione del futuro.<br />
Senza dubbio ancora, la concordanza sugli interessi attuali, i vantaggi di una divisione<br />
del lavoro, l'identità dei bisogni e dei costumi creano tra gli individui un sentimento di interdipendenza<br />
estremamente vivace.<br />
Lo strumento più efficace della coscienza nazionale è una concezione del fine della vita<br />
comune perché "il divenire è ugualmente indispensabile a una collettività umana come a ciascun<br />
essere vivente".<br />
Una nazione - è stato detto - è un sogno delle cose a venire.<br />
Ora l'uomo si interessa al suo passato nella misura in cui egli consulta l'avvenire.<br />
Ogni giorno l'uomo compie i suoi sforzi che si inscriveranno nel tempo; ora, ciò che dà<br />
certezza è sapere che egli non affronta da solo il futuro da cui si attende un premio per il suo<br />
impegno.<br />
Grazie alla sua integrazione nella comunità nazionale, egli proietta, in qualche modo,<br />
nell'avvenire i quadri della sua sicurezza attuale.<br />
Più egli sente affermarsi in sé il senso nazionale e più diventa sicura l'ipoteca presa sull'avvenire.<br />
Occorre, d'altra parte, distinguere il concetto di nazionalismo da quello di nazionalitarismo.<br />
Il primo concetto può essere inteso come esaltazione della nazione, secondo questo concetto<br />
si afferma la tesi secondo la quale: solo io conto perché "nazione" e devo insegnare agli<br />
7<br />
M.A. Belasio, Aspetti demografici, struttura etnica, nazione, A.A. 1993/94, Istituto di Studi Europei<br />
A. De Gasperi - Roma.<br />
15
altri; ossia la mia nazionalità è superiore alle altre e, in tal modo, funge da molla culturale dell'imperialismo.<br />
Altro è il concetto di nazionalitarismo, inteso come il sentimento, nel senso buono di<br />
fondare una nazione, a cui si richiamava lo stesso Mazzini.<br />
Nell'affrontare il discorso delle culture nazionali in Europa si rischia di finire con il dividere<br />
qualcosa che ancora non è sentito e non esiste.<br />
Se, ad esempio, facciamo riferimento al nazionalismo nell'800, il Ghisò afferma senza<br />
ombra di dubbio "che ad esempio la Francia aveva fatto sì che le idee nate ovunque in Europa<br />
divenissero idee europee; distingueva nell'Europa le varie nazionalità..." 8 .<br />
Possiamo considerare il nazionalismo europeo più come un fenomeno politico, un desiderio<br />
di dichiarare la propria presenza, che considerarlo quale volontà, intesa in chiave culturale,<br />
di imporre la propria nazionalità sugli altri. In questo ambito, rimane difficile specificare cosa<br />
si intende per culture nazionali.<br />
In tutta l'epoca imperialista l'Europa è "una"; nel corso di tutto il XIX secolo, si poteva girare<br />
liberamente per l'Europa: non serviva, infatti, nessun passaporto o altra formalità burocratica.<br />
La libera circolazione era garantita anche durante le famose guerre coloniali: ad esempio,<br />
nessuno pensò di ostacolare il rientro di Bismarck dall'Austria, anche se quest'ultima venne<br />
sconfitta dagli stessi prussiani nel 1866.<br />
Altra testimonianza della quantità dei viaggi compiuti in quel periodo è data dall'archeologia<br />
alberghiera rinvenibile nelle località termali.<br />
L'Europa sviluppa un tipo di imperialismo e di colonialismo proprio, conseguente alla<br />
convinzione, da parte degli Stati europei, di essere gli unici detentori della legge del progresso,<br />
che "doveva", quindi essere imposta agli altri. A prescindere da parte di quale Stato dell'Europa<br />
avvenisse tale imposizione, era comunque la superiorità della civiltà europea che veniva portata<br />
all'attenzione di questi.<br />
Ovviamente esistevano ed esistono delle differenze fra le culture nazionali in Europa, le<br />
quali, pur avendo caratteristiche peculiari, in fondo derivano tutte dalla cultura europea, che pur<br />
se non univoca ma ricca di sfaccettature, si distingue per tre caratteristiche peculiari e qualificanti,<br />
che ancora oggi possiamo riscontrare in ogni manifestazione umana; esse sono la razionalità<br />
greca, il diritto romano e la carità cristiana.<br />
Diversamente, come abbiamo già visto, una cultura nazionale vera e propria sorge sulla<br />
base del dominio e sul soffocamento delle etnie e, quindi, si colloca all'opposto dell'etnia.<br />
In tal senso, la cultura nazionale può essere intesa come il prodotto di una attività sociale<br />
che mira ad essere unificante e di carattere sovraetnico.<br />
8<br />
Marongiu Buonaiuti C., Coscienza d'Europa attraverso i secoli, Roma 1987, Istituto di Studi Europei<br />
“A. De Gasperi” - Roma.<br />
16
LO STATO<br />
Nel tentativo di fornire la definizione di "Stato", gli studiosi di diritto costituzionale associano,<br />
nella stessa nozione, gli elementi materiali (tali sono la popolazione e il territorio) e l'elemento<br />
spirituale: la potenza di dominio o autorità statale.<br />
C'è, ad esempio, chi definisce "ciascuno Stato in concreto" come "una comunità di uomini,<br />
presenti su un proprio territorio e che possiedono una organizzazione da cui risulta per il<br />
gruppo incaricato di mantenere rapporti con i suoi membri un potere superiore di azione, di comando<br />
e di coercizione".<br />
Altri, ancora, ritengono che "lo Stato formi una unità giuridica perpetua; esso è un organismo<br />
sociale che, generalmente attraverso l'impiego di un potere unilaterale e attraverso l'esercizio<br />
della costrizione materiale di cui ha il monopolio, esercita certi poteri giuridici su una<br />
Nazione presente su un territorio".<br />
Ambedue queste definizioni presentano una caratteristica: quella di fondarsi sulla terminologia<br />
giuridica.<br />
Lo Stato non è, però, monopolio della scienza del diritto; esso appartiene in effetti come<br />
realtà e come nozione a un gran numero di discipline (alla scienza politica, alla storia, all'economia,<br />
alla sociologia, ...).<br />
Ma occorre ritornare sul concetto espresso poco fà: la necessità di ricorrere al linguaggio<br />
giuridico per definire lo Stato.<br />
Infatti, solo il linguaggio giuridico consente di fornire dello Stato una definizione che sia<br />
utilizzabile da tutti. Una definizione che, fondandosi sull'elemento essenziale dello Stato, possa<br />
essere messa in opera ogni volta che, nella particolare scienza o branca, si avrà avuto bisogno<br />
di ricorrere alla nozione di Stato.<br />
Ma, ancora una volta, non vi possono essere più definizioni possibili secondo il punto di<br />
vista sotto il quale ci si pone; non ve ne è che una ed è quella giuridica. Essa, quindi, deve risultare<br />
soddisfacente nell'ambito di quello scambio generale delle idee che caratterizza la cultura.<br />
Se, ad esempio, noi stiamo affrontando il tema dell'intervento dello Stato nel campo dell'economia,<br />
l'economista non potrà dire: lo Stato è il regolatore o il dispensatore della ricchezza<br />
sociale, senza sottintendere: lo Stato, quale risulta definito dalla scienza giuridica, è il regolatore<br />
o il dispensatore della ricchezza sociale.<br />
Ugualmente, se lo storico deve richiamarsi alla nozione di Stato mettendola in campo in<br />
questa o quell'episodio della vita, egli dovrà far riferimento alla definizione fornita dai giuristi che<br />
sono i soli competenti per stabilirlo.<br />
a. Lo Stato non è un organismo spontaneo<br />
E' possibile dimostrare che lo Stato è il risultato necessitato di tutte le tendenze che<br />
vengono alla luce, a un certo momento dato, dall'evoluzione dei gruppi nazionalistici (dalla Nazione<br />
può generarsi lo Stato...). Solamente, non bisogna prestare troppo attenzione al carattere<br />
di queste forze di cui lo Stato è un prodotto, un risultato.<br />
Esse non sono per nulla spontanee come lo è il movimento che spinge gli uomini a riunirsi<br />
in società; esse non sono ugualmente favorite dall'istituto o dai gusti di ciascuno, perché se<br />
gli uomini si lasciassero andare dietro alla loro inclinazione naturale, la vita collettiva non si o-<br />
rienterebbe verso la forma statale.<br />
Queste forze sono, al contrario, l'espressione di una meditata volontà; esse costituiscono<br />
una reazione agli impulsi naturali, una resistenza dell'intelligenza agli inviti che nascono nella<br />
parte più oscura dell'animo umano.<br />
Così, è ben evidente come lo Stato è di una essenza totalmente differente rispetto a<br />
quella del clan o della tribù, perché mentre queste qui nascono da una associazione spontanea<br />
di individui, lo Stato, al contrario, per formarsi, ha bisogno che ciascuno eserciti su lui stesso un<br />
controllo, rifletta sulle esigenze dell'ordine giuridico e finalmente pensi allo Stato come lo strumento<br />
di realizzazione del nostro destino temporale.<br />
In questo senso lo Stato è, innanzitutto, l'effetto di una volontà mirata ad evitare l'incontro<br />
con le insofferenze e le indifferenze dell'individuo portato a lasciarsi guidare dal suo istinto<br />
egoista.<br />
b. Lo Stato oggettivizza una disciplina di vita<br />
17
Se lo Stato non esiste che in ragione dello sforzo che esso suscita nello spirito di ciascuno,<br />
è nell'operazione intellettuale da cui nasce che dobbiamo cercare la sua essenza funzionale<br />
e, di conseguenza, gli elementi della sua definizione.<br />
Quale problema intende risolvere ciascuno quando il suo spirito pensa allo Stato?<br />
Al centro di ogni riflessione sullo Stato, all'origine e al fondo di tutti gli sforzi che la volontà<br />
umana applica alla concezione dello Stato, c'è l'idea di una disciplina di vita.<br />
Lo Stato è la forma attraverso la quale il gruppo si unifica sottomettendosi al diritto.<br />
Ciò è necessario alla durata della vita collettiva; esso riposa sull'acquiescenza dell'uomo<br />
che lo concepisce, come il simbolo di un'insieme di valori alla cui sottomissione la personalità<br />
umana ha una vocazione temporale.<br />
Allorché l'uomo comprende che solo un "potere", che trascende e libero da qualsiasi<br />
condizionamento rispetto alle singole volontà, può incarnare la disciplina necessaria alla vita<br />
della comunità; allorché si concepisce una disciplina in conformità agli obiettivi che persegue il<br />
gruppo e attorno ai quali si forma la comunione della generazione attuale con quelle del passato<br />
e quelle che sopraggiungeranno domani; allorché infine l'organizzazione politica del gruppo<br />
cessa di essere considerata dai suoi membri come un coordinamento effimero di forze instabili<br />
e di interessi divergenti, per essere compresa come un ordine durevole al servizio di valori universali<br />
che legano il capo e i soggetti, allora l'idea di Stato si fa strada e, con essa, la realtà dello<br />
Stato che esiste in questa idea.<br />
c. Dallo Stato come organizzazione allo "Stato culturale"<br />
Lo Stato non va considerato come un semplice fatto organizzatorio, ma è la qualificazione<br />
di un certo tipo di organizzazione e, poi, dei comportamenti umani che in essa si svolgono.<br />
Abbiamo diversi “Stati culturali”, che vengono qualificati a seconda di quello che ci<br />
sembra il tratto più determinante.<br />
Oggi, infatti, è in corso un dibattito sulla crisi dello "Stato sociale" e sul passaggio ad<br />
uno "Stato dei diritti", ma di certo c'è che ci troviamo in uno "Stato di provvidenza" più che in<br />
uno "Stato sociale", in quanto la protezione viene dall'alto e ciascuno sente di non essere determinante.<br />
Quando si afferma la pretesa di governare anche lo “Stato sociale”, si creano i presupposti<br />
per la nascita di uno "Stato dei diritti".<br />
Diversamente, lo "Stato culturale" va inteso come qualcosa di specifico, quale forma più<br />
alta dello Stato stesso.<br />
Il problema dello "Stato culturale" è importante per l'affermazione del diritto di partecipazione<br />
di tutte le comunità alla costruzione del nuovo tipo di organizzazione politica dell'Unione<br />
europea.<br />
Fino ad ora abbiamo un solo modello di Stato pluriculturale avanzato - sia ad economia<br />
capitalistica che a stato sociale - che sono gli Stati Uniti d'America. Però è molto difficile ipotizzare<br />
di poter usare tale modello per la costruzione dello “Stato delle Comunità Europee”, in<br />
quanto lo Stato americano è multiculturale e multietnico, costruito sul fatto che tutte le culture<br />
avevano diritto di accesso (immigrazione), la cultura non era determinante nella concessione<br />
del visto di entrata o per l'appartenenza a quel Paese; arrivando negli U.S.A., occorreva però<br />
rinunciare alla propria identità culturale, come identità forte (giuridico-politica).<br />
Gli U.S.A. si sono fondati sul principio dell'individualità in base al quale bisognava garantire<br />
l'eguaglianza di tutti, almeno a livello della legislazione costituzionale. L'individualismo è<br />
stato il cemento necessario cui si sono subordinate le culture, finendo, ovviamente, per spezzare<br />
l'identità culturale. Questo meccanismo è di difficile realizzazione in Europa.<br />
La società civile esprime la tendenza ad affermarsi in uno "Stato pluralista", che salvaguarda<br />
alcune sfere di autonomia della persona umana, attraverso soprattutto l'associazionismo.<br />
Questo tipo di società è composta, sì, dai cittadini, ma soprattutto dalle loro organizzazioni<br />
autonome, i cui diritti, libertà ed autonomie devono essere riconosciuti e tutelati dalla legge.<br />
18
IL RAPPORTO TRA STATO E CULTURA<br />
Avendo già analizzato vari tipi di Stato, possiamo quindi definire lo stesso come la continua<br />
qualificazione di una condizione esistenziale. Da ciò possiamo desumere che il nesso tra<br />
Stato e cultura è dato dalla rappresentazione e dal tipo di agire, in sostanza, dalla condizione<br />
esistenziale.<br />
Quindi, si può agevolmente affermare che esiste sempre il nesso tra Stato e cultura; a<br />
ben vedere anche lo "Stato di potenza" finisce per diventare un valore culturale e presenta, anch'esso,<br />
una dimensione culturale.<br />
Nello "Stato liberale" la cultura è il fondamento vero dello Stato; quest'ultimo non è l'organizzazione,<br />
ma è una serie di valori che poi vengono tradotti in organizzazione.<br />
In J. Burckhardt lo Stato è una potenza statica, mentre la cultura è l'elemento dinamico<br />
che opera sulle altre due potenze (cioè, sullo Stato e sulla religione).<br />
Lo Stato e la religione sono l'espressione dell'esigenza politica e di quella metafisica.<br />
La cultura corrisponde, invece, alle esigenze materiali e spirituali in senso più stretto e<br />
rappresenta, tra l'altro, l'insieme di tutto ciò che si è formato spontaneamente per promuovere la<br />
vita materiale come espressione della vita morale e spirituale. La cultura è intesa come mondo<br />
della libertà e del movimento.<br />
La O.S.C.E., fin dall'inizio del dibattito per la piena realizzazione degli obiettivi della sicurezza<br />
e della cooperazione, aveva individuato lo scambio culturale quale condizione ed elemento<br />
fondamentale per una efficace integrazione ed interscambio tra i Paesi europei.<br />
Lo "Stato culturale" può essere realizzato - si è detto - solo attraverso il dialogo fra tutti i<br />
gruppi e l'istituzionalizzazione delle consultazioni, sia per quelli rappresentati dall'autorità statale<br />
che per quelli minoritari, al fine di confrontare le posizioni dominanti, onde evitare qualsiasi situazione<br />
di prevaricazione, anche in quelle regioni dove i gruppi che hanno la rappresentanza<br />
statale costituiscono la minoranza.<br />
19
LA TUTELA DELLA CULTURA<br />
DELLE MINORANZE<br />
DEGLI STATI DELL’UNIONE EUROPEA<br />
21
a. Quali misure concrete può adottare lo Stato per tutelare la cultura delle minoranze?<br />
Non si può né si deve considerare la politica, sia nazionale che propria delle istituzioni<br />
comunitarie, da elaborare a favore delle minoranze linguistiche, avulsa dalla realtà 9 .<br />
Non si deve dimenticare, infatti, che azioni a sostegno risultano già avviate, e molte altre<br />
sono state concluse ed anche con successo. Ciò che non appare giusto accogliere del tutto<br />
- come qualsiasi evento umano - è che non si riesca ancora a porre un limite all'aspirazione di<br />
affermare, sotto il profilo giuridico, i diritti della minoranza sopra e al di fuori di quelli della maggioranza.<br />
Né appare ugualmente accettabile, oggi, che il limite di accoglimento delle aspirazioni<br />
della minoranza, in questo caso "linguistica", si sposti sempre più in avanti, finendo per determinare<br />
uno stato di permanente rivendicazione di "diritti" che tali di per sé non sono ma che alla<br />
coscienza del soggetto "minoritario" possono apparire o rappresentare come tali.<br />
Perché questo non accada e per evitare che l'aspirazione di giustizia sostanziale finisca<br />
per essere mortificata nei fatti, cioè nello svolgersi della vita quotidiana, è necessario recuperare<br />
questo senso del limite: esso si sostanzia di una serie di riflessioni fondate sulla fattibilità delle<br />
cose, delle azioni proponibili perché una "minoranza linguistica" si possa, oltre che nella coscienza<br />
collettiva anche in quella individuale, considerare adeguatamente tutelata.<br />
Anche in tal caso il ricorso al concetto di adeguatezza delle misure, degli interventi rappresenta<br />
un traguardo dell'intelligenza cui tendere.<br />
Recuperando, a questo punto dello studio, le linee-guida elaborate in termini di pratica<br />
operatività a livello di istituzioni comunitarie competenti nel settore, si possono sviluppare quelle<br />
tra esse che abbisognano dell'identificazione dei soggetti che le devono attuare, dei percorsi<br />
politici che si devono seguire, delle modalità di attuazione sull'intero territorio europeo.<br />
b. Le misure di ordine normativo<br />
Nel contesto delle misure di tale tipo il primo obiettivo (primario) politico da perseguire<br />
sarebbe quello di "costituzionalizzare" il principio, che è esigenza dello spirito umano, di tutela<br />
delle "minoranze linguistiche".<br />
Esempi, in Europa, di "costituzionalizzazione" dei diritti delle minoranze linguistiche sono<br />
da ritrovare nella carta fondamentale italiana e in quella belga, che ha subito, per tale aspetto,<br />
sostanziali modifiche anche in tempi relativamente recenti.<br />
Quale è il soggetto che si deve preoccupare di muovere questa idea verso la sua sustanziazione<br />
normativa?<br />
Si può immaginare che, a parte la creazione di uno o più movimenti culturali fondati su<br />
questo tema, l'interesse debba essere fatto proprio, all'interno di ciascuna classe o di direzione<br />
o di opposizione, dal "partito politico" operante in ciascuno Stato. E ciò indipendentemente dallo<br />
sforzo, anch'esso di tipo normativo, che si sta concretizzando nella realizzazione di uno (o più)<br />
strumento/i normativo/i (convenzione, accordo) di livello comunitario o similare.<br />
Conseguito questo primo obiettivo, ciascuno dei soggetti produttori di norme ordinarie<br />
(di livello nazionale, di livello subnazionale) dovrebbe risultare impegnato, nei rispettivi ordinamenti<br />
statali, a:<br />
costruire un sistema normativo di base che si configuri come esplicitatore del principio costituzionalmente<br />
posto;<br />
implimentazione del sistema normativo, dopo che siano poste in essere controlli di esecuzione<br />
della legislazione e dei programmi e progetti (annuali-pluriennali) di attuazione.<br />
In considerazione del fatto che l'attività normativa dovrà essere sostenuta dalla ricerca<br />
dottrinale sul tema specifico delle "minoranze", occorrerebbe sviluppare - non solo nell'area del<br />
diritto, ma anche in altri campi, ad es. in quello sociologico e biologico - una "dottrina della minoranza".<br />
In questo caso, i soggetti da coinvolgere, nel nostro Paese, sono:<br />
le Università degli studi (in particolare, gli Istituti di diritto pubblico delle Facoltà di Giurisprudenza);<br />
9<br />
“La tutela delle minoranze linguistiche. Riflessioni per un movimento culturale di sostegno”, a cura<br />
dell'Istituto "Max Weber", Roma, 1995.<br />
23
il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), il quale dovrebbe destinare una quota-parte del<br />
suo budget all'approfondimento del tema "minoranza".<br />
c. Le misure di ordine ricognitivo<br />
Alla base di un corretto uso dell'intervento legislativo si deve porre l'esigenza, per lo<br />
stesso legislatore (soggetto), di conoscere la dimensione, sia di tipo quantitativo che di tipo qualitativo,<br />
del fenomeno.<br />
Lo strumento principale di conoscenza è la statistica. E siccome il più importante dei<br />
problemi di ordine conoscitivo è avere certezza delle entità numeriche delle minoranze (non solo<br />
di quelle di antico insediamento) in Europa, si tratta di porre in essere da parte delle diverse<br />
istituzioni statali di indagine, ad es. in Italia l'ISTAT, un programma nazionale di verifica.<br />
L'occasione può essere fornita dai periodici censimenti della popolazione.<br />
Altro strumento di rilevazione del fenomeno, in grado di svolgere funzione promozionale<br />
di tempestiva conoscenza anche tra popolazione/etnia e gruppi minoritari sparsi sul territorio di<br />
altri Stati, potrebbe essere un "Annuario".<br />
Tale testo potrebbe essere elaborato, per ciascuno Stato appartenente all'UE, dal dicastero<br />
o agenzia nazionale competente (soggetto coordinatore).<br />
A livello di UE, della creazione di un "Annuario" europeo delle minoranze si potrebbe<br />
rendere promotore il Parlamento europeo.<br />
L'Annuario delle minoranze dovrebbe essere aggiornato annualmente oppure ogni<br />
biennio.<br />
d. Le misure di ordine analitico-investigativo<br />
Attualmente esiste il Bureau Europèen pour les langues moins répandues che opera in<br />
stretta cooperazione con le istituzioni europee, in particolare con il Parlamento europeo e la<br />
Commissione delle Comunità Europee.<br />
Collabora, inoltre, con il Consiglio d’Europa.<br />
Finalità del Bureau europeo per le lingue meno diffuse è la conservazione e la promozione<br />
delle lingue e delle culture regionali autoctone dell’Unione europea.<br />
Il Bureau si compone di comitati, che rappresentano le comunità linguistiche minoritarie<br />
degli Stati membri dell’Unione europea. I delegati di tali comunità formano il Consiglio, supremo<br />
organo decisionale. Il Segretariato generale del Bureau ha sede a Dublino, mentre a Bruxelles<br />
è in funzione un Centro di informazione. A Lussemburgo opera un Centro di animazione<br />
dell’insegnamento in lingue minoritarie.<br />
L’esistenza del Bureau si può considerare, certamente, un segnale positivo di attenzione<br />
al problema.<br />
La politica del Bureau è riassumibile in tre punti principali:<br />
ricerca di supporti giuridici e politici e di mezzi finanziari a livello europeo, statale e regionale,<br />
per la realizzazione di progetti relativi alle lingue meno diffuse;<br />
pubblicazione e diffusione di materiale informativo sulle lingue meno diffuse e scambio di informazioni<br />
e di esperienze tra gruppi attivi nella promozione di queste lingue;<br />
creazione di strutture a sostegno delle comunità linguistiche autoctone, come Mercator, la<br />
Segreteria europea di coedizione per l’Infanzia, e Euroskol.<br />
e. Le misure di ordine culturale<br />
Le misure di quest'ordine si possono articolare su tre azioni di intervento:<br />
e.1 l'azione educativa;<br />
e.2 l'azione di sostegno all'associazionismo;<br />
e.3 l'azione di scambio delle esperienze.<br />
24
e.1 L'azione educativa<br />
E' stato correttamente sottolineato che "è nell'educazione che si trasmettono i valori culturali<br />
e gli atteggiamenti, che si creano orientamenti di apertura o viceversa di intolleranza, che<br />
si pongono i presupposti per l'azione del cittadino adulto".<br />
D'altra parte, si è consapevoli del fatto che "la lotta per la protezione delle minoranze si<br />
vince o si perde precisamente sul terreno dell'educazione".<br />
Pertanto, una attenzione fondamentale va posta alla messa a punto di azioni positive di<br />
educazione all'interno e verso l'esterno del gruppo minoritario.<br />
Le azioni positive di educazione rivolta agli appartenenti al gruppo linguistico minoritario<br />
si possono indicare nelle seguenti:<br />
creare la figura professionale dell'insegnante attivo nelle minoranze (il soggetto pubblico da<br />
individuare è il Ministero dell’Istruzione e, a livello periferico, l'Assessorato regionale alla cultura<br />
e alla formazione);<br />
attivare una indagine (anche di livello europeo) sulle misure educative attuabili in un contesto<br />
di minoranza (aspetti organizzativi, didattici e culturali dell'educazione) - (il soggetto pubblico<br />
da individuare è, anche in tal caso, il Ministero dell’Istruzione e, a livello periferico, l'Assessorato<br />
regionale alla cultura e alla formazione);<br />
favorire la produzione di testi scolastici in lingua di minoranza (a livello centrale, il soggetto<br />
pubblico è il Garante per l'editoria e l'informazione: erogazione di contributi a sostegno delle<br />
case editrici);<br />
favorire la costituzione di supporti informatici all'insegnamento e all'apprendimento (floppy<br />
disk, CD-ROM, ...);<br />
costituire nelle scuole classi miste, cioè composte di giovani appartenenti alla minoranza e di<br />
giovani appartenenti alla maggioranza.<br />
Le azioni positive di educazione rivolte a chi sta fuori del gruppo minoritario si possono<br />
così individuare:<br />
promuovere corsi di lingua minoritaria per gli adulti parlanti altra lingua residenti in zona di<br />
minoranza;<br />
promuovere tutte quelle manifestazioni culturali che facciano capire alle persone parlanti la<br />
lingua diversa da quella di minoranza i problemi di quest'ultime (sensibilizzazione);<br />
trattare in maniera diffusa nei testi scolastici adottati nel sistema scolastico l'origine storica<br />
delle attuali minoranze e l'apporto che essi hanno dato alla cultura e all'economia del Paese<br />
ospitante.<br />
e.2 L'azione di sostegno all'associazionismo<br />
L'associazionismo tra minoranze può essere sostenuto in vari modi.<br />
Innanzitutto, è indispensabile coinvolgere a livello nazionale (oltre che europeo) i rappresentanti<br />
delle associazioni che si occupano della salvaguardia della lingua, delle tradizioni e<br />
dei costumi, della letteratura in lingua (poesia, narrativa), delle forme artistiche d'origine.<br />
In tale contesto, si possono indicare i punti di sostegno da promuovere:<br />
favorire la formazione di biblioteche specializzate in pubblicazioni in lingua di minoranza;<br />
favorire lo studio e il recupero di traduzioni locali e di espressioni artistiche in lingue locali<br />
(musica, teatro, ...);<br />
creare festivals nazionali/europei dedicati alla produzione di opere (musicali, teatrali, ...) in<br />
lingua di minoranza o collegate alle lingue di minoranza;<br />
sostenere la creazione e il mantenimento di musei delle tradizioni e delle manifestazioni artistiche<br />
(delle culture, in genere) delle minoranze.<br />
Il coinvolgimento delle organizations non profit in tali azioni può realizzarsi:<br />
affidando ad esse la gestione delle stesse;<br />
finanziando le attività in questione gestite da esse;<br />
creando strutture di collegamento tra pubblico (controllo e finanziamento) e privato (gestione).<br />
25
e.3 L'azione di scambio delle esperienze<br />
Per favorire, comunque, la vitalità dell'associazionismo e dei movimenti in cui le minoranze<br />
risultano, allo stato, organizzate si può ritenere utile:<br />
favorire gli scambi di informazioni e di iniziative tra le minoranze e tra esse e gli eventuali interessati<br />
(comprese le strutture pubbliche dei Governi);<br />
favorire gli scambi di persone (viaggi, soggiorni brevi o lunghi).<br />
Al riguardo, sembra interessante promuovere, a livello di singolo Stato, ogni tre anni,<br />
una Conferenza nazionale delle minoranze; ogni quattro/cinque anni, a livello sovranazionale,<br />
una Conferenza europea delle minoranze.<br />
f. Le misure di ordine culturale (in senso generale)<br />
La "visibilità" della cultura delle minoranze si può favorire a mezzo dei seguenti interventi,<br />
che puntano alla diffusione di essa su quelli che sono i supporti tecnici tradizionali (libro,<br />
film, videocassetta, trasmissione radio/ televisiva):<br />
favorire e sostenere l'editoria in lingua minoritaria, e, ove necessario, contribuire alla standardizzazione<br />
grafica di lingue scritte o non scritte in forma stabile;<br />
favorire, anche finanziariamente, la sopravvivenza di organi di stampa a diffusione locale<br />
che adoperino la lingua di minoranza;<br />
favorire l'accesso delle minoranze alla radio e alla televisione nazionale per un periodo di<br />
tempo non irrilevante (secondo le normative locali);<br />
favorire, anche finanziariamente, la creazione di emittenti locali, radio e televisive, in lingua<br />
di minoranza;<br />
favorire la produzione di trasmissioni in lingua di minoranza, da diffondere localmente attraverso<br />
le reti radio e televisive nazionali;<br />
favorire le coproduzioni internazionali, ove possibile, con specifico riferimento alle minoranze;<br />
favorire l'istituzione di premi letterari per studi sulle minoranze europee o per opere dell'ingegno<br />
scritte in una lingua di minoranza.<br />
g. Le misure di ordine socio-conomico<br />
Le azioni positive, da elaborare sia a livello europeo (ricorso al F.S.E. e al F.E.R.S.) e a<br />
livello nazionale (aiuti), possono consistere nel:<br />
favorire la ripresa economica delle minoranze particolarmente svantaggiate e isolate;<br />
sensibilizzare le maggioranze ai problemi delle minoranze interne (cooperazione, scambio<br />
culturale);<br />
permettere l'uso della lingua di minoranza nei tribunali, e, in rapporto a questo, costituire<br />
gruppi di interpreti qualificati;<br />
permettere l'uso delle lingue di minoranza nelle transazioni quotidiane con l'amministrazione<br />
e i servizi (poste, banca), e, in rapporto a queste, favorire la formazione di una sia pur limitata<br />
forma di bilinguismo nel personale dei servizi stessi;<br />
favorire le insegne stradali bilingui e la ricostituzione, ove necessario, di una toponomastica<br />
bilingue.<br />
26
LA COSTRUZIONE DELLA “NAZIONE” EUROPEA<br />
La coincidenza tra Stato e Nazione non è mai stata raggiunta, sebbene siano stati posti<br />
in essere vari tentativi a partire dal Congresso di Vienna.<br />
Certamente la prima cosa che ci si trova ad affrontare è il conflitto tra le nazionalità, che<br />
frappongono resistenza della loro fusione in un organismo più complesso e vasto.<br />
In atto, oltre ai problemi di assimilazione dei nuovi Paesi, soltanto la creazione dell'Unione<br />
Economica è stata più semplice.<br />
L'Europa comprende tre gruppi etnici:<br />
1) i gruppi etnici che vantano un proprio Stato;<br />
2) gli altri senza un proprio Stato;<br />
3) gli altri, infine, non riconosciuti giuridicamente come comunità, aventi, tuttavia, una cultura<br />
quale criterio politico essenziale.<br />
Nel quadro evolutivo della Storia europea, infatti, e precisamente della fine della Repubblica<br />
cristiana del Medioevo e alla affermazione dell'Impero e delle diverse nazionalità, i<br />
gruppi etnici costantemente custodiscono e difendono la loro cultura e la loro autonomia, ragion<br />
per cui ad ogni progetto di edificazione di una comunità politica europea corrisponde l'affermazione<br />
di una cultura espressamente codificata.<br />
27
LA MAPPA DELLE MINORANZE<br />
Il quadro della distribuzione delle minoranze in Europa è molto variegato. I gruppi etnici<br />
presenti nel nostro continente sono più di 200, e riguardano più di 100 milioni di persone.<br />
Esistono paesi in cui la loro presenza è molto scarsa, sia nella varietà delle stesse che<br />
nel numero dei componenti, mentre in altri paesi questa presenza è molto forte.<br />
Fra i Paesi con scarsa presenza di minoranze troviamo la Bulgaria, la Polonia, la Norvegia,<br />
l'Olanda ed il Portogallo.<br />
Mentre, fra quelli più interessati, possiamo citare, insieme all'Italia, la Romania - con<br />
ben 28 etnie censite - l'Ungheria, l'Ucraina, la Gran Bretagna, la Francia e la Spagna, per citare<br />
solo quelli con maggiore presenza.<br />
Si riporta un elenco, in ordine alfabetico, delle minoranze più consistenti in Europa:<br />
gli Albanesi sono presenti in Italia;<br />
gli Aragonesi e gli Aranesi sono presenti in Spagna;<br />
gli Armeni sono presenti in Turchia ed Ungheria;<br />
gli Asturiani sono presenti in Spagna;<br />
i Baschi sono presenti in Spagna e Francia;<br />
i Bretoni sono presenti in Francia;<br />
i Bulgari sono presenti in Romania e Ungheria;<br />
i Catalani sono presenti in Francia, Italia e Spagna;<br />
i Cechi sono presenti in Romania e Slovacchia;<br />
i Cimbri sono presenti in Italia;<br />
i Cornici sono presenti in Gran Bretagna;<br />
i Corsi sono presenti in Francia;<br />
i Croati sono presenti in Austria, Italia e Ungheria;<br />
i Danesi sono presenti in Germania;<br />
i Fiamminghi sono presenti in Francia;<br />
i Francesi sono presenti in Svizzera e Belgio;<br />
i Franco-Provenzali sono presenti in Italia;<br />
i Frisoni sono presenti in Olanda e Germania;<br />
i Friulani sono presenti in Italia;<br />
i Gaelici sono presenti in Gran Bretagna;<br />
i Galiziani sono presenti in Spagna;<br />
i Gallesi sono presenti in Gran Bretagna;<br />
i Greci sono presenti in Italia, Cipro, Ungheria ed Albania;<br />
i Greci Ortodossi sono presenti in Turchia;<br />
gli Irlandesi sono presenti in Irlanda e Gran Bretagna;<br />
gli Italiani sono presenti in Slovenia, Croazia e Svizzera;<br />
i Ladini sono presenti in Italia;<br />
i Lapponi sono presenti in Norvegia, Svezia e Finlandia;<br />
i Lussemburghesi sono presenti in Belgio;<br />
i Mocheni sono presenti in Italia;<br />
gli Occitani sono presenti in Italia e Francia;<br />
i Polacchi sono presenti in Germania, Ungheria, Slovacchia, Lituania, Bielorussia ed Ucraina;<br />
i Romanci sono presenti in Svizzera;<br />
i Rumeni (inclusi gli Arumeni sparsi in piccoli gruppi nelle varie regioni dell’Europa sud-est)<br />
sono presenti in Slovenia e Ungheria;<br />
i Ruteni sono presenti in Slovacchia e in alcune zone dei Paesi dell’Europa occidentale;<br />
i Sardi sono presenti in Italia;<br />
i Serbi sono presenti in Croazia, in Romania ed Ungheria;<br />
gli Sloveni sono presenti in Italia, Austria ed Ungheria;<br />
gli Slovacchi sono presenti in Romania, Austria ed Ungheria;<br />
i Sorabi sono presenti in Germania;<br />
28
gli Svedesi sono presenti in Finlandia ed Estonia;<br />
i Tedeschi sono presenti in Belgio, Danimarca, Francia, Italia, Romania, Svizzera, Polonia,<br />
Repubblica Ceca, Slovacchia, Ucraina, Russia, Croazia, Slovenia, Ungheria e Kazakistan;<br />
i Tornedalsfinski sono presenti in Svezia;<br />
i Turchi sono presenti in Romania e Cipro;<br />
i Musulmani sono presenti in Grecia;<br />
gli Ucraini sono presenti in Romania, Slovacchia, Polonia ed Ungheria;<br />
gli Ungheresi sono presenti in Slovacchia, Slovenia, Romania, Austria, Croazia, Jugoslavia<br />
ed Ucraina;<br />
i Valenziani sono presenti in Spagna;<br />
i Valloni sono presenti in Belgio;<br />
i Walser sono presenti in Italia;<br />
gli Zingari, di origine asiatica, sono presenti in molti Paesi europei ed in particolare in Italia,<br />
in Romania ed in Ungheria.<br />
Appare evidente, da questo elenco, la varietà e la quantità delle minoranze etniche e<br />
linguistiche presenti in Europa.<br />
Alcuni Stati hanno forti problemi a riconoscere la presenza di queste minoranze al proprio<br />
interno e variegato risulta essere il grado di tutela nei vari Stati. Sono pochissimi i paesi che<br />
finora hanno adottato provvedimenti giuridici volti alla tutela delle minoranze.<br />
In Belgio abbiamo comunità con pari dignità; in Finlandia esiste il bilinguismo con gli<br />
Svedesi; in Francia esistono scuole per l'insegnamento della lingua basca, catalana, bretone e<br />
corsa; in Grecia, il Trattato di Losanna del 1923 prevede la tutela linguistica-religiosa per i Musulmani.<br />
L'Italia si colloca, senza ombra di dubbio, fra i Paesi più avanzati in questo campo, tant'è<br />
che le disposizioni legislative che riguardano la minoranza sud-tirolese del Trentino-Alto Adige<br />
costituiscono il modello normativo più perfezionato e preso ad esempio dal gruppo di lavoro<br />
della Commissione per la democrazia attraverso il diritto che ha redatto il progetto di Convenzione<br />
europea per i diritti delle minoranze etniche.<br />
29
LA TUTELA INTERNAZIONALE<br />
DELLE MINORANZE IN EUROPA<br />
31
INTRODUZIONE<br />
I documenti di studio, qui di seguito riportati, costituiscono un contributo di riflessioni inteso<br />
a diffondere la conoscenza della legislazione a tutela delle minoranze etniche e linguistiche<br />
presenti nel nostro continente, ormai soggetto istituzionale unitario, sulla base di un percorso<br />
che intende recuperare i contenuti degli atti elaborati nelle sedi delle Organizzazioni mondiali ed<br />
europee più rappresentative.<br />
Tali documenti, raccolti e commentati e che, certamente, costituiscono solo il nucleo<br />
centrale degli strumenti esistenti, possono ben rappresentare un momento di valutazione delle<br />
questioni che, pur tra le difficoltà in cui ancora si dibattono le minoranze, hanno assunto una loro<br />
intrinseca rilevanza.<br />
Il nostro futuro prossimo, che può essere chiamato presente, sarà certamente un tempo<br />
caratterizzato dalla multietnicità, nel quale dovranno riuscire a convivere culture che è bene che<br />
conservino i loro tratti differenziali.<br />
Oggi, in Europa sembra più che mai viva l’idea di una coscienza comune tesa a considerare,<br />
nella società vivente, la plurietnia come un arricchimento ed un’opportunità. Il pur complesso<br />
processo di unificazione, considerato come un movimento più ampio di quello della Comunità<br />
europea, pur condizionato dalla tendenza all’omologazione, dovrà riscoprire i percorsi<br />
che portano a salvaguardare e perché no, a sviluppare le molteplicità culturali ed etniche presenti<br />
sul territorio.<br />
Le istituzioni, i gruppi e gli individui che lavorano in quest’ambito debbono essere posti,<br />
altresì, nelle condizioni di operare per una pacifica coesistenza interetnica, creando dialogo e<br />
cooperazione.<br />
Dall’incontro di culture differenti può radicarsi nella coscienza dell’individuo, della società<br />
di cui è parte integrante, la convinzione che le comunità minoritarie sono una occasione di<br />
progresso: conoscerne la storia, la lingua, le abitudini, le tradizioni aiuta certamente a comprendere<br />
i valori e le ricchezze insite nel patrimonio culturale di tali comunità. Aiuta al rispetto della<br />
loro dignità umana.<br />
Le leggi e le istituzioni non solo possono incoraggiare scelte di buona convivenza per<br />
assicurare un’esistenza civile tra le diverse culture; esse si debbono assumere l’impegno morale<br />
di diffondere e coltivare nella comunità, dalla più piccola alla più grande, quei valori che siano<br />
capaci di far percepire al cittadino la potenziale ricchezza del confronto.<br />
Uno degli obiettivi che questo lavoro intende perseguire è, appunto, quello di divulgare<br />
l’idea che, sostenuta dalla potenzialità innovativa delle norme, la cultura delle comunità minoritarie,<br />
intesa come circolazione di esperienze umane, come espressione dello spirito, va tutelata<br />
e valorizzata, in ogni tempo e in ogni luogo.<br />
33
PREAMBOLO<br />
La presenza, in molti Paesi europei, di numerosi gruppi e lingue minoritarie diversi ha<br />
richiamato nel tempo una attenzione sempre più profonda e diffusa verso il tema della loro protezione,<br />
nell’intento di promuovere legislazioni e politiche adeguate volte a preservarne e a tutelarne<br />
l’identità.<br />
Così, nel periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale, alcuni<br />
Stati rilanciarono quei principi di protezione delle minoranze già in parte realizzati negli anni<br />
precedenti, dando l’avvio, durante il lungo cammino di costruzione dell’Unione Europea, ad un<br />
processo di crescente approfondimento e maturazione delle problematiche relative alla tutela<br />
delle minoranze etniche e linguistiche.<br />
La riflessione su questo tema in ambito europeo e nel più vasto contesto della Conferenza<br />
per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (C.S.C.E. ora OSCE), intensificatasi in modo<br />
particolare negli ultimi decenni, si è concretizzata in una serie di risoluzioni, raccomandazioni,<br />
direttive e nell’adozione di convenzioni europee per la protezione dei diritti delle minoranze e<br />
delle loro peculiarità culturali e linguistiche, giungendo quindi ad una fase di più diffusa e radicata<br />
coscienza del valore della multiculturalità e della necessità di tutelarla anche attraverso strumenti<br />
giuridicamente vincolanti per gli Stati, con l’affermazione di principi e la previsione di impegni<br />
e misure concrete in forma pattizia.<br />
In tale contesto, uno dei problemi che si è posto con forza è stato quello di definire il<br />
concetto di minoranza e, quindi, di individuare, in una realtà multinazionale e diversificata, gli<br />
elementi di identificazione della stessa in quanto tale.<br />
Alla difficoltà di approccio concettuale ha corrisposto quella di pervenire ad una normativa<br />
comune di tutela delle minoranze, questione altrettanto complessa e di non agevole soluzione<br />
dal momento che una disciplina internazionale uniforme e unanimemente accettabile si<br />
doveva confrontare con l’esigenza di tenere conto di realtà storiche, giuridiche, sociali ed economiche<br />
sostanzialmente diverse.<br />
In ambito europeo, infatti, le situazioni differivano sensibilmente nei vari Stati ed anche<br />
le legislazioni nazionali presentavano nella materia differenziazioni sia per quantità che per contenuti<br />
ed ampiezza di tutela garantita, con quadri legislativi più o meno avanzati e norme diversificate<br />
in relazione alla specificità delle caratteristiche dei gruppi minoritari presenti sul territorio.<br />
Il cammino verso l’unificazione della normativa nel campo della protezione delle minoranze<br />
si è pertanto rivelato non sempre agevole, incontrando anche momenti di incertezza nello<br />
sforzo teso a superare i molteplici problemi derivanti dall’esistenza di quadri storici, culturali,<br />
normativi e sociali quanto mai diversificati nei diversi Stati, e i numerosi interventi realizzati nel<br />
tempo hanno tenuto presenti non soltanto le esigenze di garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali<br />
dell’uomo e di salvaguardia dell’identità delle minoranze, ma anche la necessità e<br />
l’opportunità di consolidare le condizioni per assicurare e mantenere la pace e la stabilità in Europa<br />
a fronte delle conseguenze che, sotto tale essenziale profilo, i contrasti interetnici sono suscettibili<br />
di innescare in mancanza di adeguate forme di protezione dei gruppi minoritari.<br />
La trattazione che segue si riferisce specificamente all’azione di tutela delle minoranze<br />
in Europa posta in essere dagli Organismi europei, e in particolare dal Consiglio d’Europa,<br />
dall’Unione Europea e nel più vasto contesto della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione<br />
in Europa, nonché nell’ambito dell’Iniziativa Centro-Europea.<br />
Nondimeno, per una migliore comprensione del processo che ha portato all’adozione di<br />
strumenti normativi di fondamentale importanza per la protezione delle minoranze in Europa, si<br />
ritiene utile fare un sia pur sintetico riferimento anche a talune delle principali iniziative assunte<br />
nel campo dalle Nazioni Unite.<br />
Qui di seguito si citano i documenti di maggiore rilievo sui quali seguiranno cenni di riferimento:<br />
34
Interventi dell'O.N. U<br />
la “Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale” (21<br />
dicembre 1965);<br />
l’art. 27 del “Patto internazionale sui diritti civili e politici” (16 dicembre 1966);<br />
la “Dichiarazione sui diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali o etniche, religiose<br />
e linguistiche” (18 dicembre 1992).<br />
Interventi del Consiglio d’Europa<br />
la “Carta europea delle lingue regionali o minoritarie”, adottata dal Comitato dei Ministri il 25<br />
giugno 1992;<br />
la “Proposta di Convenzione europea per la protezione delle minoranze” elaborata dalla Commissione<br />
Europea per la Democrazia attraverso il Diritto (c.d. Commissione di Venezia 8-9 febbraio<br />
1991);<br />
la “Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali” adottata dal Comitato dei<br />
Ministri il 10 novembre 1994;<br />
le Raccomandazioni dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.<br />
Interventi della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa<br />
l’Atto Finale della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa - Helsinki 1975;<br />
le Conferenze per la sicurezza e la cooperazione in Europa di Madrid del 1983, di Vienna nel<br />
gennaio 1989, di Copenaghen nel giugno 1990, di Parigi nel novembre 1990, di Ginevra nel luglio<br />
1991, di Mosca nell’ottobre 1991, di Helsinki nel luglio 1992 e di Budapest nel dicembre<br />
1994.<br />
Interventi del Parlamento europeo<br />
le Risoluzioni del Parlamento Europeo.<br />
Interventi dell’Iniziativa Centro-Europea<br />
lo “Strumento CEI” per la tutela dei diritti delle minoranze (novembre 1994).<br />
Il contributo dell ‘Unione federalista dei gruppi Etnici Europei (UF.G.E.).<br />
il Progetto di Convenzione per la tutela dei gruppi etnici in Europa (12 maggio 1994).<br />
35
GLI INTERVENTI DELL’ORGANIZZAZIONE<br />
DELLE NAZIONI UNITE<br />
37
PREMESSA<br />
L’azione delle Nazioni Unite nel campo della tutela delle minoranze nasce inizialmente<br />
con esplicito richiamo alla protezione universale dei diritti dell’uomo, fra i quali sono compresi<br />
quelli di appartenenza non discriminata a particolari gruppi etnici, religiosi, linguistici.<br />
Nei primi documenti ufficiali delle Nazioni Unite, quindi, le minoranze venivano sostanzialmente<br />
identificate come gruppi etnici, religiosi o linguistici e non si distingueva fra “prevenzione<br />
della discriminazione”, cioè opposizione a qualsiasi azione che negasse ad individui, o a<br />
gruppi di individui, il trattamento da loro stessi auspicato, e “protezione delle minoranze”, vale a<br />
dire la tutela dei gruppi minoritari, con un insieme di misure tese ad un trattamento speciale, finalizzato<br />
a garantirne la conservazione delle caratteristiche peculiari fondamentali.<br />
Ulteriori principi di rilievo anche per le minoranze etniche vengono poi affermati nella<br />
Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale,<br />
adottata dall’Assemblea Generale il 21 dicembre 1965 e aperta alla firma a New York il 7 marzo<br />
1966, che dà esecuzione ai principi enunciati nella Dichiarazione sull’eliminazione di ogni forma<br />
di discriminazione razziale proclamata il 20 novembre 1963 (Risoluzione n. 1904 [XVIII]<br />
dell’Assemblea Generale).<br />
Essa si fonda sullo Statuto delle Nazioni Unite basato sui principi della dignità e della<br />
uguaglianza di tutti gli esseri umani e sull’impegno degli Stati membri a sviluppare ed incoraggiare<br />
il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali senza discriminazioni di razza,<br />
sesso, lingua o religione, e mira ad assicurare nel più breve tempo l’adozione di concrete misure<br />
a tale scopo.<br />
Ciò sulla base della considerazione, riaffermata nel “Preambolo”, che la discriminazione<br />
per motivi fondati sulla razza, sul colore o sull’origine etnica costituisce un ostacolo alle relazioni<br />
pacifiche ed amichevoli tra i vari Paesi ed è suscettibile di turbare la pace e la sicurezza tra i<br />
popoli e l’armoniosa convivenza all’interno degli Stati, e che l’esistenza di barriere razziali è incompatibile<br />
con gli ideali di ogni società umana.<br />
Con tale Convenzione, pertanto, gli Stati contraenti si impegnano sia a condannare la<br />
discriminazione razziale ed ogni connessa propaganda ed organizzazione che si ispiri a teorie<br />
basate sulla superiorità di una razza, sia ad adottare anche una politica tesa ad eliminare ogni<br />
forma di discriminazione razziale con l’attuazione di un insieme di misure volte a garantire il<br />
pieno godimento dei diritti fondamentali senza distinzione di razza, colore od origine nazionale o<br />
etnica e a favorire la comprensione, la tolleranza e l’amicizia tra le nazioni ed i gruppi razziali ed<br />
etnici.<br />
Pressoché contemporaneamente, nel dicembre 1966, le Nazioni Unite portano inoltre a<br />
compimento un altro intervento in difesa dei diritti umani, il Patto internazionale sui Diritti civili e<br />
politici, di particolare importanza per la protezione delle minoranze perché vi riserva una disposizione<br />
direttamente mirata, l’art. 27, con il quale si perviene al riconoscimento del diritto specifico,<br />
fino a giungere poi, dopo un lungo periodo di approfondimenti ed elaborazioni alla “Dichiarazione<br />
dei diritti delle persone appartenenti alle minoranze nazionali o etniche, religiose o linguistiche”<br />
proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1992.<br />
39
L’ART. 27 DEL PATTO INTERNAZIONALE SUI <strong>DIRITTI</strong> CIVILI E POLITICI<br />
Senza dubbio il Patto internazionale sui Diritti civili e politici, adottato dall’Assemblea<br />
Generale dell’ONU il 16 dicembre 1966, e in particolare le previsioni contenute nell’articolo 27,<br />
rappresentano una tappa di grandissimo rilievo nel cammino per la tutela internazionale delle<br />
minoranze.<br />
Con la sua enunciazione di principio, infatti, l’art. 27 si pone come norma internazionale<br />
basilare in materia e ha, rispetto agli altri articoli del Patto, la peculiarità di essere specificamente<br />
previsto per le persone appartenenti a minoranze, disponendo che “in quegli Stati nei quali<br />
esistono minoranze etniche, religiose o linguistiche, gli individui appartenenti a tali minoranze<br />
non possono essere privati del diritto di avere una vita culturale propria, di professare e praticare<br />
la propria religione o di usare la propria lingua in comunanza con gli altri membri del proprio<br />
gruppo”.<br />
Con la disposizione, inoltre, contenuta nell’art. 28 del Patto, che istituisce un “Comitato<br />
dei diritti dell’uomo”, l’attenzione delle Nazioni Unite per i diritti civili e politici in genere, tra i quali<br />
anche quelli delle minoranze specificamente considerati nell’art. 27, manifesta quella concretezza<br />
e quell’approccio pragmatico che si riscontreranno poi in altri importanti strumenti di tutela<br />
adottati in ambito europeo, quali la Carta europea delle Lingue regionali o minoritarie e la Convenzione<br />
quadro per la protezione delle minoranze nazionali, che prevedono meccanismi di verifica<br />
simili.<br />
Composizione, funzionamento e compiti del Comitato dei Diritti dell’Uomo, che sostanzialmente<br />
svolge funzioni di verifica sull’applicazione del Patto e di interpretazione delle relative<br />
norme, sono disciplinati dagli articoli 28 - 42.<br />
Per quanto concerne la sua composizione, i membri sono eletti tra una lista di cittadini<br />
degli Stati aderenti di riconosciuta competenza nel campo dei diritti dell’uomo ed è significativo<br />
che sia previsto che nella elezione “debba tenersi conto di un’equa ripartizione geografica dei<br />
seggi e della rappresentanza sia delle diverse forme di civiltà, sia dei principali sistemi giuridici”<br />
(art. 31).<br />
Compito del Comitato è quello di esaminare i rapporti che gli Stati sono tenuti a presentare<br />
(art. 40), di ricevere e valutare le comunicazioni “nelle quali uno Stato parte asserisca che<br />
un altro Stato parte non adempie gli obblighi derivanti dal Patto” (art. 41), nonché, in base al<br />
Protocollo Facoltativo relativo al Patto, le comunicazioni individuali provenienti da singoli cittadini<br />
di uno Stato che lamentino pretese violazioni di taluno dei diritti affermati nel Patto.<br />
Di particolare rilievo è indubbiamente il meccanismo di verifica previsto dall’art. 40: gli<br />
Stati che hanno aderito al Patto presentano, entro un anno e, successivamente, ogni volta che il<br />
Comitato ne farà richiesta, rapporti sulle misure adottate per dare attuazione ai diritti riconosciuti<br />
dal Patto e sui progressi compiuti nel godimento di tali diritti; il Comitato studia i rapporti presentati<br />
e trasmette agli Stati i propri rapporti e le osservazioni generali ritenute opportune, con facoltà,<br />
per gli Stati interessati, di presentare i propri rilievi circa le osservazioni eventualmente<br />
formulate dal Comitato stesso.<br />
Il Comitato, quindi, è chiamato anche a redigere “osservazioni generali” (General comments)<br />
riguardanti singole norme o gruppi di norme contenute nel Patto, che vengono elaborate<br />
sulla base dei rapporti periodici degli Stati e che spesso contengono inviti, richieste e suggerimenti<br />
operativi rivolti ai Governi.<br />
Sicché, attraverso un sistema di flusso e riflusso (rapporti degli Stati - valutazione, rapporti<br />
ed osservazioni generali del Comitato - eventuali deduzioni degli Stati interessati), si va ad<br />
attivare un circuito virtuoso ed integrato di informazioni che consente non soltanto di valutare<br />
ciò che via via viene in concreto posto in essere dai singoli Stati in attuazione del Patto, ma di<br />
realizzare anche, conseguentemente, un adeguamento continuo, e quindi una crescita del livello<br />
degli interventi di tutela.<br />
40
Ed infatti un contributo importante per una corretta interpretazione dell’articolo 27 viene<br />
fornito proprio dal Comitato con il “General Comment n. 23(50)” formulato il 26 aprile 1994, che<br />
svolge una puntuale analisi del contenuto e della portata della disposizione normativa, la quale<br />
“stabilisce e riconosce un diritto conferito alle persone appartenenti a gruppi minoritari”, diritto<br />
che “è distinto e va ad aggiungersi a tutti gli altri diritti” di cui tali persone, come ogni altro individuo,<br />
sono già titolari in base al Patto (p. 1).<br />
Il Comitato ha in proposito evidenziato (p. 2) che in alcune comunicazioni presentate ai<br />
sensi del Protocollo Facoltativo il diritto garantito dall’art. 27 è stato confuso con il diritto dei popoli<br />
all’autodeterminazione sancito nell’art. 1 del Patto, così come in alcuni rapporti presentati<br />
dagli Stati ai sensi dell’art. 40.<br />
Il Comitato ha al riguardo chiarito come la Convenzione tracci una distinzione tra il diritto<br />
all’autodeterminazione e i diritti garantiti ai sensi dell’art. 27: il diritto all’autodeterminazione<br />
viene definito come diritto spettante ai popoli, è trattato in una parte separata (la Parte I) del<br />
Patto e non è un diritto riconoscibile ai sensi del Protocollo Facoltativo; l’art. 27 invece, riguarda<br />
i diritti riconosciuti agli individui in quanto tali, è incluso, così come gli articoli relativi - agli altri<br />
diritti personali riconosciuti agli individui, nella Parte III della Convenzione ed è riconoscibile ai<br />
sensi del Protocollo Facoltativo (p. 3.1).<br />
Nello stesso General Comment viene inoltre ribadito che il godimento dei diritti di cui<br />
all’art. 27 non pregiudica la sovranità e l’integrità territoriale degli Stati (p. 3.2), ma viene anche<br />
ulteriormente sottolineata l’attenzione specifica che si è ritenuto di attribuire con tale norma alla<br />
tutela delle minoranze.<br />
Ed infatti, la specificità di tutela che si è voluta attribuire nel Patto alle persone appartenenti<br />
a minoranze è ampiamente evidenziata nel General Comment, ove si sottolinea la distinzione<br />
operata dal Patto tra i diritti tutelati ai sensi dell’art. 27 e le garanzie previste dagli articoli<br />
2 e 26 del Patto stesso (p. 4).<br />
In particolare, la titolarità del diritto di cui all’art. 2, di godere dei diritti sanciti dal Patto<br />
senza alcuna discriminazione si applica a “tutti gli individui” presenti sul territorio o che sono<br />
sotto la giurisdizione dello Stato a prescindere dalla loro appartenenza ad una minoranza”, come<br />
pure il diritto di cui all’art. 26, che afferma la generale uguaglianza, formale e sostanziale, di<br />
tutti gli individui di fronte alla legge, indipendentemente dal fatto che tali individui appartengano,<br />
o non appartengano, alle minoranze specificate nell’art. 27.<br />
Ed in proposito il Comitato rileva come taluni Stati, che vantino di non porre in essere<br />
comportamenti discriminatori in base all’etnia, alla lingua o alla religione, erroneamente sostengano,<br />
solo per questo fatto, di non avere minoranze (p.4), e precisa che “l’esistenza di una minoranza<br />
etnica, religiosa o linguistica in uno Stato parte non dipende da una decisione di questo<br />
Stato, ma richiede di essere stabilita in base a criteri oggettivi” (p. 5.2).<br />
Chiarimenti sono stati forniti dal Comitato anche in merito al diritto di usare la propria<br />
lingua da parte delle persone appartenenti a minoranze linguistiche, diritto che va distinto dagli<br />
altri diritti linguistici previsti dal Patto e, in particolare, dal generale diritto alla libertà di espressione<br />
tutelato dall’ art. 19, spettante ad ogni individuo a prescindere dalla sua appartenenza o<br />
meno ad una minoranza, come pure dal diritto specifico di farsi assistere da un interprete, che<br />
l’art. 14, paragrafo 3 lett. f), del Patto prevede per gli imputati quando non siano in grado di<br />
comprendere o di parlare la lingua utilizzata nei tribunali, ma che non implica in alcun modo il<br />
diritto di utilizzare la lingua di propria scelta nei procedimenti penali (p. 5.3).<br />
La chiave interpretativa dell’art. 27 in un’ottica positiva per le minoranze emerge anche<br />
dal contenuto del paragrafo 6.2 del General Comment, nel quale viene precisato che sebbene i<br />
diritti previsti dall’art. 27 siano diritti individuali, essi dipendono, a loro volta, dalla capacità del<br />
gruppo minoritario di conservare la propria cultura, lingua o religione; potrebbero, quindi, essere<br />
necessarie “anche azioni positive da parte degli Stati”, volte a proteggere l’identità di una minoranza<br />
ed il diritto dei suoi membri di conservare e sviluppare la propria cultura e lingua e di praticare<br />
la propria religione, in comunanza con gli altri membri del gruppo.<br />
41
Sull’art. 27 del Patto il Comitato conclusivamente afferma (p. 9) che esso “fa riferimento<br />
ai diritti la cui protezione impone obblighi specifici agli Stati parte. La tutela di questi diritti è volta<br />
a garantire la sopravvivenza ed il costante sviluppo dell’identità culturale, religiosa e sociale<br />
delle minoranze interessate, così arricchendo il tessuto dell’intera società”. Di conseguenza,<br />
questi diritti devono essere tutelati in quanto tali e non dovrebbero essere confusi con altri diritti<br />
personali riconosciuti al singolo o alla generalità dalla Convenzione. Gli Stati parte hanno, pertanto,<br />
l’obbligo di garantire il pieno rispetto dell’esercizio di questi diritti e nei loro rispettivi rapporti<br />
dovrebbero indicare le misure che hanno adottato a tale scopo.<br />
42
LA DICHIARAZIONE SUI <strong>DIRITTI</strong> DELLE PERSONE APPARTENENTI A MINORANZE NA-<br />
ZIONALI O ETNICHE, RELIGIOSE E LINGUISTICHE<br />
Dopo l’adozione del Patto internazionale sui Diritti civili e politici e del suo art. 27, specificamente<br />
rivolto ai diritti delle persone appartenenti a minoranze, l’impegno dell’ONU nel campo<br />
della tutela di tali minoranze è ulteriormente proseguito portando, nel 1992, alla proclamazione<br />
della “Dichiarazione dei diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali o etniche,<br />
religiose e linguistiche” (Risoluzione 47/135) che si ispira appunto, come esplicitamente affermato<br />
nel Preambolo, alle disposizioni dell’art. 27 del Patto.<br />
Alla Risoluzione, adottata dall’Assemblea Generale il 18 dicembre 1992, si è giunti dopo<br />
una intensa attività di studi ed approfondimenti nell’ambito delle Nazioni Unite, e in particolare<br />
della Commissione dei Diritti dell’Uomo, che aveva anche istituito un gruppo di lavoro per la<br />
predisposizione di un progetto di dichiarazione sui diritti delle persone appartenenti a minoranze<br />
nazionali, etniche, religiose e linguistiche.<br />
La Dichiarazione si compone del Preambolo e di 9 articoli.<br />
Nel Preambolo si sottolinea innanzitutto l’importanza della promozione costante e della<br />
realizzazione dei diritti delle persone appartenenti alle minoranze nazionali o etniche, religiose e<br />
linguistiche, parte integrante dello sviluppo della società entro un quadro democratico di preminenza<br />
del diritto, come fattore di stabilità politica e sociale degli Stati nei quali esse vivono e di<br />
rafforzamento dell’amicizia e della cooperazione tra i popoli e gli Stati.<br />
Sulla base di tale fondamentale premessa, la Dichiarazione definisce conseguentemente<br />
gli obblighi di protezione delle minoranze facenti capo agli Stati ed enuncia i diritti spettanti<br />
alle persone appartenenti ad esse, prevedendo che il loro esercizio può avvenire sia individualmente<br />
che in comune con gli altri membri del proprio gruppo, senza discriminazione alcuna<br />
e senza pregiudizio per il fatto di esercitare o meno tali diritti.<br />
Con riguardo agli impegni degli Stati, definito all’art. 1 quello basilare della protezione<br />
dell’esistenza e dell’identità nazionale o etnica, culturale, religiosa e linguistica delle minoranze<br />
sui rispettivi territori e della promozione delle condizioni atte ad esprimere questa identità, si indicano,<br />
in successivi articoli, le misure che in concreto gli Stati devono adottare per assicurare<br />
l’esercizio dei diritti affermati nella Dichiarazione.<br />
I diritti spettanti agli appartenenti alle minoranze sono enunciati all’art. 2 e riguardano gli<br />
aspetti fondamentali delle peculiarità da tutelare.<br />
Così, viene affermato il diritto di usufruire della propria cultura, di praticare la propria religione<br />
e di utilizzare la propria lingua, liberamente e senza discriminazioni, nonché di partecipare<br />
effettivamente alla vita culturale, religiosa, sociale, economica e pubblica del Paese nel quale<br />
essi vivono.<br />
E’ altresì affermato il diritto di prendere parte attiva, sia a livello nazionale che,<br />
all’occorrenza, regionale, alle decisioni che riguardano la minoranza alla quale appartengono o<br />
che riguardano le regioni in cui vivono, come pure il diritto di creare e gestire proprie associazioni.<br />
Ed ancora, è previsto il diritto di stabilire e mantenere contatti liberi e pacifici con gli altri<br />
membri del gruppo e con persone appartenenti ad altre minoranze, e contatti al di là delle frontiere<br />
con cittadini di altri Stati con i quali sono legati dalla loro origine nazionale o etnica o dalla<br />
loro appartenenza religiosa o linguistica: diritto, questo, che riveste una valenza particolare per<br />
tutte quelle minoranze che, divise dal loro Stato-madre per vicende storiche o insediate in zone<br />
di frontiera, vogliano mantenere liberamente contatti transfrontalieri che permettano di promuovere<br />
e rafforzare la loro identità.<br />
Più volte la Dichiarazione ribadisce che l’esercizio dei diversi diritti enunciati deve avvenire<br />
senza alcuna discriminazione; ciò nell’evidente scopo di assicurare alle persone appartenenti<br />
alle minoranze le condizioni di piena eguaglianza davanti alla legge e rispetto al resto della<br />
popolazione dello Stato nel quale vivono.<br />
43
I diritti affermati nella Dichiarazione, così come previsto in altri documenti internazionali<br />
oggetto di esame in altra parte della trattazione, sono diritti individuali in quanto riconosciuti alle<br />
persone appartenenti alle minoranze e non alle minoranze in quanto tali; va però considerato al<br />
riguardo che il concreto esercizio di molti di questi diritti non potrà non avvenire in comunanza<br />
con gli altri membri del gruppo, ed anzi, lo stesso articolo 3 della Dichiarazione prevede espressamente<br />
che “le persone appartenenti alle minoranze possono esercitare i propri diritti, cioè<br />
quelli enunciati nella presente Dichiarazione, individualmente come pure in comune con gli altri<br />
membri del proprio gruppo, senza alcuna discriminazione”.<br />
Parallelamente ai diritti, vengono definiti gli strumenti che gli Stati devono adottare per<br />
garantirne il concreto esercizio, senza discriminazione alcuna: misure legislative ed altre misure<br />
per conseguire le finalità di protezione dell’esistenza e dell’identità delle minoranze; appropriate<br />
misure per permettere alle persone appartenenti alle minoranze di esprimere le proprie caratteristiche<br />
e sviluppare la propria cultura, lingua, tradizioni e costumi, come pure per assicurare<br />
“nella misura del possibile” l’opportunità di apprendere la propria lingua madre o di ricevere un<br />
insegnamento in tale lingua; iniziative nel campo dell’istruzione al fine di incoraggiare la conoscenza<br />
della storia, delle tradizioni, della lingua e della cultura delle minoranze che vivono sui<br />
loro territori, nonché misure adeguate per consentire la piena partecipazione al progresso e allo<br />
sviluppo economico del loro Paese.<br />
Ovviamente, al pari degli altri strumenti internazionali, anche nella Dichiarazione sui diritti<br />
delle persone appartenenti a minoranze la protezione prevista incontra il limite del rispetto<br />
dei diritti fondamentali degli Stati perché, come è affermato nell’art. 8, nessuna disposizione può<br />
essere interpretata come autorizzazione ad una qualunque attività contraria agli scopi e ai principi<br />
delle Nazioni Unite, ivi compresa l’uguaglianza sovrana, l’integrità territoriale e<br />
l’indipendenza politica degli Stati.<br />
La Dichiarazione dell’ONU rivela, dunque, la radicata coscienza, chiaramente esplicitata<br />
anche nel Preambolo, che per la tutela dei diritti delle persone appartenenti alle minoranze nazionali<br />
o etniche, religiose e linguistiche, è necessaria la previsione di strumenti ancora più mirati<br />
rispetto a quelli concernenti i diritti umani, che sono riferiti alla generalità delle persone e<br />
che, seppure ricomprendono in tale ambito anche gli appartenenti a gruppi minoritari, non garantiscono<br />
appieno la protezione degli aspetti che sono peculiari della identità delle minoranze<br />
in quanto tali.<br />
Con la Dichiarazione delle Nazioni Unite si è inteso quindi realizzare, nel contesto dei<br />
principi sui diritti umani e sulle libertà fondamentali e nel quadro delle azioni per promuoverne<br />
ed incoraggiarne il rispetto, una protezione mirata dei gruppi minoritari con l’enunciazione di diritti<br />
specifici e la previsione di corrispondenti obblighi degli Stati e di misure speciali, demandando<br />
però agli Stati stessi la scelta dei contenuti, della portata, e talora della necessità, di specifiche<br />
misure, onde permettere ad essi di tenere conto delle situazioni esistenti nei rispettivi territori.<br />
44
GLI INTERVENTI DEL CONSIGLIO D’EUROPA<br />
45
PREMESSA<br />
Il problema della tutela delle minoranze etniche e linguistiche ha costantemente formato<br />
oggetto di particolare attenzione da parte del Consiglio d’Europa, fin dalla sua costituzione, divenendo<br />
nel tempo uno dei più importanti impegni dell’Organismo.<br />
Già nel 1949, nel rapporto concernente l’organizzazione di una garanzia comune delle<br />
libertà essenziali e dei diritti fondamentali, presentato dalla Commissione sulle Questioni giuridiche<br />
ed amministrative (Doc. 77), veniva unanimemente riconosciuta l’importanza “del problema<br />
di una più ampia protezione dei diritti delle minoranze nazionali” e nel proposto progetto di<br />
risoluzione per definire le linee generali di una convenzione sui diritti umani, allora allo studio, si<br />
prevedeva espressamente anche il principio della non discriminazione fondata, tra l’altro, sulla<br />
lingua o sull’appartenenza ad una minoranza nazionale.<br />
Così, quando l’impegno del Consiglio d’Europa si concretizzò con la definitiva messa a<br />
punto della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,<br />
firmata a Roma il 4 novembre 1950, all’articolo 14 fu sancito tale principio, vietando<br />
ogni forma di discriminazione nel godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione<br />
che fosse fondata su elementi tra i quali la lingua o l’appartenenza ad una minoranza nazionale.<br />
Vi fu quindi, nel più generale contesto della garanzia dei diritti umani e delle libertà fondamentali,<br />
un riferimento specifico anche alle minoranze, ma non si andò oltre l’affermato principio<br />
del divieto di ogni forma di discriminazione, ritenuto di per sé sufficiente a garantire una<br />
adeguata protezione.<br />
La questione continuava però a tenere viva l’attenzione del Consiglio d’Europa e fu ripresa<br />
dall’Assemblea Parlamentare con la Risoluzione 136 del 29 ottobre 1957 sulla situazione<br />
delle minoranze nazionali in Europa, questa volta per affermare che, sebbene l’art. 14 della<br />
Convenzione sui Diritti Umani già fornisse alle persone appartenenti alle minoranze nazionali.<br />
soddisfacenti garanzie di protezione da ogni forma di discriminazione fondata su tale appartenenza,<br />
era pur tuttavia auspicabile assicurare alle minoranze il soddisfacimento dei loro interessi<br />
collettivi “in tutta la misura compatibile” con la salvaguardia degli interessi essenziali degli<br />
Stati di appartenenza.<br />
Ed ancora, a seguito del rapporto della Commissione giuridica consultiva sui diritti delle<br />
minoranze nazionali (Doc. 1299 del 26 aprile 1961, Relatore Lannung), l’Assemblea tornò ad<br />
insistere sul problema di uno specifico intervento per le minoranze nazionali invocando, con la<br />
Raccomandazione 285 del 1961, l’adozione di un’apposita disposizione, di cui proponeva il testo,<br />
da inserire in un secondo protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea sui Diritti<br />
dell’Uomo.<br />
L’approfondimento condotto da un comitato di esperti portò però ad escludere la necessità,<br />
sotto il profilo strettamente giuridico, di un ulteriore protocollo per la protezione delle minoranze.<br />
Un rilevante passo in avanti si ha nel 1981 con la Raccomandazione 928 riguardante i<br />
problemi dell’educazione e della cultura delle lingue minoritarie e dei dialetti in Europa, adottata<br />
dall’Assemblea Parlamentare il 7 ottobre: sulla considerazione della grande importanza “per il<br />
progresso dell’Europa e dell’idea europea di assicurare il rispetto e lo sviluppo equilibrato di tutte<br />
le culture europee, e delle identità linguistiche in particolare”, essa definiva i principi che a-<br />
vrebbero dovuto ispirare il trattamento scientifico, umano e culturale di ogni lingua - e cioè il rispetto<br />
dell’autenticità scientifica, il diritto dei bambini alla propria lingua ed il diritto delle comunità<br />
a sviluppare la propria lingua e cultura -, raccomandando al Comitato dei Ministri di esaminare<br />
la possibilità per gli Stati membri di realizzare, nei modi più appropriati, talune misure con riguardo<br />
all’aspetto scientifico, umano, culturale e politico.<br />
Si indicavano in particolare, per l’aspetto scientifico, la graduale adozione, ove del caso<br />
in aggiunta alla denominazione divenuta usuale, di forme corrette della toponomastica derivate<br />
dalla lingua originale di ciascun territorio, ancorché piccolo; sotto l’aspetto umano, la graduale<br />
47
adozione della lingua materna nell’istruzione dei bambini; con riguardo all’aspetto culturale, “il<br />
rispetto ed il sostegno ufficiale dell’uso, a livello locale, delle lingue minoritarie standardizzate e<br />
del loro impiego abituale nell’insegnamento superiore e da parte dei mezzi di comunicazione di<br />
massa locali”; ed infine, sotto l’aspetto politico, la possibilità, in tutti i territori aventi una lingua<br />
propria e un qualche livello di struttura amministrativa nell’ambito dello Stato di appartenenza, di<br />
adottare tale lingua come lingua ufficiale o co-ufficiale da parte dei pubblici poteri locali.<br />
Si manifestava con chiarezza, quindi, l’importanza attribuita alle lingue minoritarie ed al<br />
loro uso quale strumento essenziale, per le minoranze, per esprimere e mantenere la propria<br />
identità, importanza che veniva sottolineata in quello stesso periodo anche dal Parlamento Europeo<br />
con un documento di grande rilievo nella medesima materia, la Risoluzione su una Carta<br />
comunitaria delle lingue e culture regionali e una Carta dei diritti delle minoranze etniche, adottata<br />
il 16 ottobre 1981.<br />
Con sempre maggiore forza in ambito europeo andava pertanto maturando non soltanto<br />
l’esigenza di una normativa internazionale mirata per la protezione delle minoranze etniche e<br />
linguistiche che affermasse i principi fondamentali di tutela, ma anche la necessità di tradurre<br />
tali principi in misure attuative concrete da parte degli Stati, al fine di rendere effettiva la tutela<br />
stessa.<br />
Verso tale direzione ha perciò continuato a rivolgersi il successivo, crescente impegno<br />
del Consiglio d’Europa, che ha portato, dopo anni di intenso e complesso lavoro,<br />
all’approvazione di due strumenti di fondamentale importanza per la protezione delle minoranze,<br />
la “Carta europea delle Lingue regionali o minoritarie” e la “Convenzione quadro per la protezione<br />
delle minoranze nazionali”, entrambe adottate in forma di convenzione proprio per rendere<br />
più cogenti per gli Stati firmatari gli obblighi in esse previsti.<br />
La “Carta”, adottata dal Comitato dei Ministri il 25 giugno 1992, ha scopo prevalentemente<br />
culturale essendo volta alla protezione ed alla promozione delle lingue regionali o minoritarie,<br />
di cui mira a garantire l’uso in tutti i settori della vita civile mediante un insieme di specifiche<br />
misure di tutela e la previsione di impegni per gli Stati firmatari, con l’accettazione di un<br />
numero minimo di prescrizioni al momento della ratifica.<br />
48
LA CARTA EUROPEA DELLE LINGUE REGIONALI E/O MINORITARIE<br />
La definizione della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie ha richiesto un intenso<br />
impegno di studio e lavoro sviluppatosi nell’arco di circa un decennio.<br />
Il Rapporto esplicativo della Carta, che ne illustra diffusamente obiettivi e contenuti fornendo<br />
un approfondito ed analitico commentario alle singole disposizioni, spiega anche le ragioni<br />
di fondo e ripercorre i passaggi per giungere all’adozione dello strumento, nel 1992, da<br />
parte del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.<br />
Circa le ragioni, il Rapporto evidenzia che le numerose lingue regionali o minoritarie<br />
presenti in molti Paesi europei, a fronte di notevoli differenziazioni sia con riguardo alla loro situazione<br />
demografica che alla legislazione ed alla prassi seguita in materia dai singoli Stati,<br />
hanno però in comune, per buona parte, un livello più o meno alto di precarietà, dovuta “almeno<br />
in eguale misura da un lato all’influenza necessariamente unificante della civiltà moderna e in<br />
particolar modo dei mass media, e dall’altro ad un ambiente ostile o a politiche governative volte<br />
all’assimilazione” (par. 2).<br />
Di qui una sempre crescente preoccupazione, in ambito europeo, per la situazione e<br />
per la sorte di tali lingue e, parallelamente, il maturarsi di una progressiva presa di coscienza<br />
della necessità di andare oltre il pur fondamentale principio della non discriminazione sancito<br />
dalla Convenzione europea del 1950 per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali,<br />
realizzando un sistema di protezione positiva delle lingue regionali o minoritarie atto a<br />
preservarne l’esistenza e le peculiarità.<br />
Anche in tale direzione si mosse perciò la già citata Raccomandazione 285 del 1961<br />
dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, che con il progetto di norma proposto mirava<br />
a garantire alle persone appartenenti a minoranze il diritto, tra gli altri, a mantenere la propria<br />
cultura, ad usare la propria lingua, ad istituire proprie scuole e a ricevere l’insegnamento<br />
nella lingua di propria scelta.<br />
Ma l’idea di una apposita Carta con obiettivi e principi, obblighi per gli Stati e misure<br />
concrete di tutela specifica da attuare, prende soprattutto corpo con la Raccomandazione 928<br />
dell’Assemblea Parlamentare sui problemi dell’educazione e della cultura delle lingue minoritarie<br />
e dei dialetti d’Europa e con la Risoluzione del Parlamento Europeo su una Carta delle lingue<br />
e culture regionali e una Carta dei diritti delle minoranze etniche, entrambe approvate nel<br />
1981 ed entrambe volte all’adozione, da parte degli Stati, di politiche ed azioni positive di protezione<br />
delle diverse identità e patrimoni culturali, quale contributo importante per lo sviluppo<br />
dell’Europa e dell’idea europea e per la coesione dei popoli.<br />
Come evidenziato nel Rapporto esplicativo, la conseguente iniziativa, in ragione del<br />
ruolo da svolgere nel campo delle lingue e delle culture a livello locale e regionale, fu assunta<br />
dalla Conferenza Permanente sulle Autorità Locali e Regionali in Europa (CLRAE), che eseguì<br />
innanzitutto una ricognizione della situazione di tali lingue in ambito europeo ed organizzò anche,<br />
nel maggio 1984, una audizione pubblica dedicata allo specifico tema “Verso una Carta<br />
delle lingue regionali e minoritarie in Europa”, trattando gli argomenti dell’insegnamento delle<br />
lingue minoritarie, del loro accesso ai mezzi di comunicazione di massa, dei rapporti con la<br />
pubblica amministrazione e della partecipazione alla vita pubblica.<br />
Così, da una intensa attività preparatoria scaturì una prima bozza di Carta, alla cui redazione<br />
partecipò anche I ‘Assemblea Parlamentare e furono tenuti contatti con membri del<br />
Parlamento Europeo, atteso il forte interesse per il tema sempre concretamente dimostrato dai<br />
due Organismi.<br />
Il testo finale del progetto fu presentato dalla Conferenza Permanente nel 1988 e ciò<br />
che è di particolare rilievo per gli effetti connessi – venne proposto sotto forma di convenzione,<br />
destinata cioè, in quanto tale, ad avere natura di strumento giuridicamente impegnativo per gli<br />
Stati firmatari.<br />
L’iniziativa ebbe il sostegno dell’Assemblea Parlamentare, cui seguì l’istituzione, da parte<br />
del Comitato dei Ministri, di un Comitato ad hoc di esperti sulle lingue regionali o minoritarie<br />
49
(CAHLR) con il compito di elaborare una Carta tenendo presente il testo proposto dalla Conferenza<br />
Permanente sulle Autorità Locali e Regionali.<br />
Dopo approfonditi lavori, che naturalmente videro la partecipazione anche dei rappresentanti<br />
della Conferenza Permanente e dell’Assemblea Parlamentare e che inoltre si avvalsero<br />
dei pareri della Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto e di comitati specializzati<br />
operanti nell’ambito del Consiglio d’Europa, nel 1992 la bozza definitiva della Carta<br />
Europea delle Lingue Regionali o Minoritarie veniva presentata al Comitato dei Ministri, che il<br />
25 giugno dello stesso anno l’ha adottata, come proposto, in forma di convenzione, così traducendo<br />
gli impegni politici assunti dagli Stati nelle diverse sedi internazionali in impegni giuridicamente<br />
vincolanti.<br />
La Carta, aperta alla firma degli Stati membri dal 5 novembre 1992, è entrata in vigore il<br />
10 marzo 1998 dopo la prescritta ratifica di cinque Stati membri e, a partire da tale data, può<br />
aderirvi anche ogni Stato non membro su invito del Comitato dei Ministri (articoli 18-20).<br />
Essa si compone del Preambolo e di cinque Parti, per complessivi 23 articoli.<br />
La Convenzione ha principalmente uno scopo culturale, come evidenziato nelle “Considerazioni<br />
generali” del Rapporto esplicativo, essendo mirata a proteggere e a promuovere le<br />
lingue regionali o minoritarie, “in quanto costituiscono un elemento a rischio del patrimonio culturale<br />
europeo”(par. 10).<br />
Lo stesso Preambolo sottolinea questo aspetto facendo anche trasparire le preoccupazioni<br />
degli Stati membri del Consiglio d’Europa per la sopravvivenza di tali lingue, “certune delle<br />
quali, col passare del tempo, rischiano di scomparire”, ed espressamente richiama l’importanza<br />
attribuita dagli Stati stessi alla protezione ed alla promozione delle lingue regionali o minoritarie<br />
quale contributo “a mantenere e sviluppare le tradizioni e la ricchezza culturale dell’Europa” e<br />
“alla costruzione di una Europa fondata sui principi della democrazia e della diversità culturale,<br />
nel quadro della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale”, in conformità dei fini perseguiti<br />
dal Consiglio d’Europa.<br />
Protezione e promozione da conseguire, dunque, attraverso un sistema di garanzie e di<br />
concrete misure specifiche per assicurare il godimento del diritto di praticare una lingua regionale<br />
o minoritaria nella vita privata e pubblica, diritto definito “imprescrittibile” nel Preambolo,<br />
che si richiama al Patto Internazionale sui Diritti civili e politici dell’ONU e alla Convenzione Europea<br />
per la salvaguardia dei diritti umani del Consiglio d’Europa, e che fa riferimento all’attività<br />
svolta nel quadro della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa e, in particolare,<br />
all’Atto Finale di Helsinki del 1975 e al Documento della Riunione di Copenaghen deI 1990,<br />
di cui più diffusamente si dirà nel seguito della trattazione.<br />
In tale ottica la Carta, oltre a contenere una disposizione (art. 7 paragrafo 2) espressamente<br />
volta ad eliminare ogni “ingiustificato” comportamento discriminatorio che abbia lo scopo<br />
di scoraggiare l’uso di una lingua regionale o minoritaria o di metterne in pericolo il mantenimento<br />
o lo sviluppo, prevede anche misure positive di tutela tese ad assicurare, facilitare ed incoraggiare<br />
l’uso di tali lingue nei diversi contesti della vita sociale, sia in privato che in pubblico,<br />
e in particolare nell’insegnamento, nel campo giudiziario, amministrativo e dei servizi pubblici,<br />
nel campo dei mezzi di comunicazione di massa e nelle attività culturali, economiche e sociali.<br />
Il Rapporto esplicativo, che fornisce la chiave per una corretta interpretazione ed applicazione<br />
dei principi enunciati e delle disposizioni contenute nella convenzione, nelle “Considerazioni<br />
generali” spiega la filosofia di fondo che ha ispirato la Carta nel sottolineare<br />
“l’importanza della dimensione culturale e dell’uso della lingua regionale o minoritaria in tutti gli<br />
aspetti della vita di coloro che la parlano”: la Carta, che come detto ha precipuo scopo culturale,<br />
si prefigge di proteggere e promuovere le lingue regionali o minoritarie, non le minoranze linguistiche,<br />
e “non stabilisce alcun diritto individuale o collettivo riferito alle persone” che parlano tali<br />
lingue; “pur tuttavia — sottolinea il Rapporto esplicativo — i doveri delle Parti in relazione alla<br />
posizione di tali lingue e gli strumenti legislativi nazionali che dovranno essere introdotti in a-<br />
dempimento della Carta avranno ovviamente il loro effetto sulla situazione delle comunità interessate<br />
e sui singoli membri”(par. 11).<br />
50
Chiarisce inoltre il Rapporto esplicativo che l’affermazione dei principi di interculturalità<br />
e multilinguismo contenuta nel Preambolo è tesa ad eliminare eventuali equivoci circa gli scopi<br />
della Carta, la quale, lungi dal voler promuovere forme di segregazione dei gruppi linguistici, mira<br />
al contrario a rafforzare le relazioni tra i popoli e ad una migliore comprensione tra i vari<br />
gruppi di una stessa popolazione, e riconosce quindi, espressamente, nel Preambolo la necessità<br />
di conoscere la lingua ufficiale sottolineando che la protezione e la promozione delle lingue<br />
regionali o minoritarie non deve svolgersi a detrimento delle lingue ufficiali degli Stati e del loro<br />
apprendimento (paragrafi 14 e 29).<br />
Per meglio orientare nella comprensione, e quindi nell’applicazione della Carta, il Rapporto<br />
esplicativo fa precedere il commento delle singole disposizioni da chiarimenti anche sui<br />
concetti di base contenuti nella convenzione, sulla terminologia utilizzata e sulla filosofia di fondo<br />
che ha ispirato le scelte operate in merito (paragrafi 17-21). In sintesi, viene evidenziato che:<br />
- il concetto di lingua come usato nella Carta mette a fuoco essenzialmente la funzione culturale<br />
della lingua ed è per ciò che da essa non viene definita soggettivamente in modo tale da<br />
consacrare un diritto individuale, cioè il diritto di parlare “la propria lingua”, né si è inteso dare<br />
“una definizione socio-politica o etnica” del concetto di lingua; conseguentemente, la Carta<br />
“può astenersi dal definire il concetto di minoranze linguistiche, giacchè il suo scopo non è<br />
sancire i diritti dei gruppi minoritari etnici e/o culturali, bensì di proteggere e promuovere le<br />
lingue regionali o minoritarie in quanto tali”;<br />
- nell’espressione “lingue regionali o minoritarie”, preferita rispetto ad altre quali “lingue meno<br />
diffuse”, il termine “regionale sta ad indicare le lingue parlate in una parte limitata del territorio<br />
di uno Stato, nel quale peraltro possono essere parlate dalla maggioranza dei cittadini, mentre<br />
con il termine “minoritarie” si fa riferimento a situazioni nelle quali la lingua è parlata o da<br />
persone che non sono concentrate in una parte specifica del territorio di uno Stato, ovvero da<br />
un gruppo di persone che, pur se concentrato in una parte del territorio dello Stato, è numericamente<br />
inferiore rispetto alla popolazione di questa regione che parla la lingua della maggioranza;<br />
- entrambi gli aggettivi fanno perciò riferimento a criteri di fatto e non a nozioni giuridiche, e in<br />
ogni caso sono riferiti alla specifica situazione dei singoli Stati;<br />
- l’assenza, nella Carta, di una distinzione tra le diverse categorie di lingue regionali o minoritarie<br />
in base alle rispettive situazioni è il risultato di una scelta precisa che ha tenuto conto delle<br />
notevoli differenze delle situazioni linguistiche esistenti negli Stati europei e che ha perciò<br />
portato a limitarsi alla sola definizione di lingua regionale o minoritaria, pur permettendo agli<br />
Stati di adattare le proprie iniziative alla situazione di ciascuna lingua nei rispettivi territori;<br />
- si è parimenti preferito non specificare quali delle lingue europee avessero le caratteristiche<br />
rispondenti alla definizione di lingua regionale o minoritaria data dalla Carta: un siffatto elenco<br />
sarebbe stato, infatti, certamente messo in discussione sotto vari profili, e, comunque, a-<br />
vrebbe avuto un valore limitato tenuto conto dell’ampia discrezionalità lasciata alle Parti nello<br />
scegliere quali norme, in particolare della Parte III, applicare e a quali lingue applicarle.<br />
Oltre al Preambolo, la Carta si compone di cinque Parti.<br />
Nella Parte I (artt. 1-6) si danno innanzitutto le definizioni del concetto di “lingue regionali<br />
o minoritarie” e del relativo “territorio”, e si fissa la cornice degli impegni che gli Stati firmatari<br />
devono assumere, in ciò operando una distinzione tra la Parte Il e la Parte III.<br />
La Parte II (art.7) enuncia, infatti, una serie di principi generali comuni, che si applicano<br />
a tutte le lingue regionali o minoritarie come definite nella Parte I; le disposizioni della Parte III<br />
(artt. 8-14) prevedono invece misure specifiche da attuare nei diversi campi della vita civile, lasciando<br />
però agli Stati margini anche ampi di discrezionalità circa le disposizioni da applicare e<br />
le relative, numerose opzioni alternative da scegliere, così da tenere conto delle differenti situazioni<br />
delle lingue regionali o minoritarie esistenti sul territorio e delle implicazioni, sotto il profilo<br />
finanziario ed organizzativo, che l’adozione delle diverse misure di tutela comporta.<br />
51
A tale riguardo il Rapporto esplicativo, nell’evidenziare il carattere di flessibilità che per<br />
tali rilevanti ragioni si è ritenuto di conferire a molti punti della Carta, opportunamente sottolinea<br />
l’importanza che alle Parti sia data inoltre la possibilità (art. 3, par. 2) di integrare i propri impegni<br />
anche in ogni momento successivo, in relazione agli sviluppi della situazione giuridica o delle<br />
capacità finanziarie dei Paesi interessati.<br />
La Parte IV (artt. 15-17) contiene poi le disposizioni applicative e prevede anche un<br />
puntuale meccanismo di verifica in adempimento della Carta e degli impegni assunti, mentre la<br />
Parte V (artt. 18-23) reca le disposizioni finali.<br />
Le definizioni del concetto di “lingue regionali o minoritarie” e di “territorio di una lingua<br />
regionale o minoritaria” sono contenute nell’art. 1.<br />
In particolare, con l’espressione “lingue regionali o minoritarie” si intendono quelle “usate<br />
tradizionalmente in un territorio di uno Stato da cittadini di questo Stato che costituiscono un<br />
gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione e che sono “differenti dalla(e) lingua(e)<br />
ufficiale(i) di questo Stato”.<br />
Viene al riguardo esplicitamente precisato che l’espressione “non include i dialetti della<br />
lingua ufficiale o le lingue dei migranti”.<br />
La Carta, quindi, non si rivolge né alle varianti locali o ai diversi dialetti di una stessa<br />
lingua, né alle lingue usate dagli immigrati.<br />
Quanto alle varianti locali ed ai dialetti di una lingua, il Rapporto esplicativo chiarisce<br />
che la Carta non ha ritenuto di affrontare la relativa dibattuta questione, lasciando agli Stati il<br />
compito di determinare le condizioni in cui una forma di espressione va a costituire una lingua<br />
separata (par. 32).<br />
Circa le lingue dei migranti, il Rapporto evidenzia (par. 31) come la Carta non abbia lo<br />
scopo di risolvere i problemi dei recenti fenomeni immigratori, di cui non si occupa, bensì quello<br />
di tutelare soltanto le lingue storiche, così come dimostrano anche le espressioni “lingue regionali<br />
o minoritarie storiche d’Europa” e lingue “tradizionalmente usate”, rispettivamente indicate<br />
nel Preambolo e nella definizione data nell’art. 1, lett. a sub i.<br />
Tre sono quindi, come posto in evidenza nel Rapporto esplicativo, gli aspetti sottolineati<br />
nella definizione data dalla Carta per qualificare una lingua come regionale o minoritaria:<br />
- essere “tradizionalmente usata”;<br />
- essere diversa da quella parlata dal resto della popolazione;<br />
- avere una base territoriale, essere cioè usata tradizionalmente in una particolare area geografica;<br />
e ciò “per il fatto che, per la maggior parte, le misure di tutela che la Carta propugna<br />
richiedono la definizione di un ambito geografico di applicazione diverso da quello dello Stato<br />
nel suo complesso” (par. 33).<br />
Donde la definizione, nella lettera b) dell’art. 1, anche di “territorio nel quale la lingua regionale<br />
o minoritaria viene usata”, inteso come “l’area geografica in cui tale lingua è il modo di<br />
espressione di un numero di persone che giustifichi l’adozione delle differenti misure di protezione<br />
e di promozione” previste dalla Carta; una consistenza percentuale che però si è preferito<br />
non quantificare, demandandone la valutazione ai singoli Stati.<br />
Una ulteriore distinzione è operata con riguardo a quelle che vengono definite come<br />
“lingue sprovviste di territorio” (art. 1, lett. c), intese come lingue che “benché tradizionalmente<br />
praticate sul territorio dello Stato, non possono essere ricollegate ad un’area geografica particolare”.<br />
Per tali lingue, che in mancanza di una base territoriale non rientrano tra le lingue regionali<br />
o minoritarie come definite nella lettera a), i principi saranno applicati dalle Parti “mutatis mutandis”<br />
e “la natura e la portata” delle misure di tutela da attuare “saranno determinate in modo<br />
flessibile”, tenendo conto dei bisogni e dei voti e nel rispetto delle tradizioni e delle caratteristiche<br />
dei gruppi che le usano (art. 7 par. 5).<br />
52
Per l’applicazione delle norme di tutela è riconosciuto il ruolo determinante di ogni singolo<br />
Stato, al quale viene rimessa facoltà di scelte, sia pure entro certi ambiti.<br />
Ferma restando, infatti, l’applicazione dei principi e degli obiettivi contenuti nella Parte Il<br />
per tutte le lingue regionali o minoritarie praticate sul territorio che siano rispondenti alle definizioni<br />
date dalla Carta (art. 2, paragrafo 1), è previsto che ciascuno Stato debba specificare nello<br />
strumento di ratifica, di accettazione o di approvazione, ogni lingua regionale o minoritaria od<br />
ogni lingua ufficiale meno usata su tutto o su una parte del suo territorio, alla quale devono essere<br />
applicati i paragrafi scelti in conformità al paragrafo 2 dell’art. 2 (art.3, paragrafo 1).<br />
Per ogni lingua così specificata lo Stato si impegna ad applicare un minimo di trentacinque<br />
paragrafi o commi, scelti fra le disposizioni della Parte III (insegnamento; giustizia; autorità<br />
amministrative e servizi pubblici; mezzi di comunicazione di massa; attività ed attrezzature culturali;<br />
vita economica e sociale; scambi transfrontalieri), di cui almeno tre scelti in ciascuno degli<br />
articoli 8 (insegnamento) e 12 (attività e strutture culturali) ed uno in ciascuno degli articoli 9<br />
(giustizia), 10 (autorità amministrative e servizi pubblici), 11 (mass media) e 13 (vita economica<br />
e sociale).<br />
E’ comunque inoltre previsto, come già evidenziato, che ciascuno Stato possa poi, in<br />
ogni successivo momento, accettare ulteriori obbligazioni non precisate all’atto della ratifica o<br />
specificare altre lingue regionali o minoritarie cui applicare le disposizioni, potendo così accrescere<br />
i propri impegni nel tempo tenuto anche conto delle concrete capacità di farvi fronte (art. 3<br />
paragrafo 2).<br />
In sostanza, quindi, agli Stati viene lasciata libertà di decidere a quali lingue indirizzare<br />
la protezione e a quale livello assicurarla.<br />
Chiarisce però in proposito il Rapporto esplicativo che gli Stati che aderiscono alla Carta<br />
non hanno la libertà di concedere o rifiutare ad una lingua regionale o minoritaria la posizione<br />
assicurata ai sensi della Parte II, che ha portata generale, ma che essi, in quanto competenti<br />
per l’applicazione della Carta, hanno la responsabilità di decidere se la forma di espressione<br />
praticata in un’area del loro territorio o da un gruppo di loro cittadini costituisca una lingua regionale<br />
o minoritaria nel senso previsto dalla Carta, nonché quali misure concrete adottare nel<br />
quadro della Parte III (par. 40).<br />
La Carta si presenta, perciò, come uno strumento altamente flessibile per la protezione<br />
delle diverse lingue regionali o minoritarie, che tiene conto della interdipendenza tra livello di<br />
protezione da accordare e quadro complessivo giuridico, sociale ed economico di ciascuno Stato,<br />
riconoscendo ad ogni Stato firmatario la possibilità di diverse opzioni alternative, “secondo la<br />
situazione di ciascuna lingua” (cfr. art.7 e articoli della Parte III).<br />
Tutto ciò nel rispetto del principio della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale e<br />
con la salvaguardia delle disposizioni più favorevoli, preesistenti in uno Stato, che regolano la<br />
situazione delle lingue regionali o minoritarie o la posizione giuridica delle persone appartenenti<br />
alle minoranze (articoli 4 e 5).<br />
Le disposizioni contenute nella Parte II (art.7) - che, come detto, si applicano a tutte le<br />
lingue regionali o minoritarie come definite dalla Carta - fissano gli obiettivi ed i principi generali<br />
comuni sui quali “nei territori ove tali lingue sono usate e secondo la situazione di ciascuna lingua”<br />
gli Stati contraenti devono fondare la propria politica, legislazione e prassi in materia. O-<br />
biettivi e principi che secondo il Rapporto esplicativo (paragrafi 57-70) costituiscono “il necessario<br />
quadro di riferimento per la conservazione delle lingue regionali o minoritarie” e che sono<br />
suddivisi in sei categorie principali:<br />
- il riconoscimento di tali lingue come espressione della ricchezza culturale, presupposto indispensabile<br />
per l’adozione delle misure di tutela (par. 1 lett a);<br />
- il rispetto dell’area geografica ove le lingue regionali o minoritarie insistono, evitando che le<br />
situazioni amministrative territoriali esistenti o le ripartizioni nuove costituiscano un ostacolo<br />
alla loro promozione (par. 1 lett. b);<br />
53
- la necessità di azioni positive, con una azione di promozione per la salvaguardia di tali lingue<br />
che deve essere “risoluta” e che deve comprendere anche misure volte a facilitare e ad incoraggiare<br />
il loro uso orale e scritto sia in privato che nella vita pubblica (par. 1 lett. c e lett. d);<br />
- la garanzia dell’insegnamento e dello studio delle lingue regionali o minoritarie, strumento<br />
essenziale per la loro preservazione e per il loro sviluppo, da assicurarsi “con forme e mezzi<br />
adeguati” e “in tutte le fasi appropriate” del sistema scolastico e con la promozione di studi e<br />
ricerche nelle università e negli istituti equivalenti (par. 1 lett. f e lett. h);<br />
- la messa a disposizione, nei territori ove è usata una lingua regionale o minoritaria, di mezzi<br />
che permettano agli abitanti non locutori di apprenderla (par. 1 lett. g); ciò al fine di favorire la<br />
comunicazione ed i rapporti tra gruppi linguistici diversi;<br />
- relazioni tra gruppi parlanti una lingua identica o simile, da promuovere, nei campi coperti<br />
dalla Carta, sia all’interno di uno Stato, sia al di là delle frontiere nazionali con “forme appropriate<br />
di scambi transnazionali”, nonché, sempre allo scopo di favorire il dialogo interculturale<br />
ed una migliore reciproca comprensione all’interno di uno Stato, relazioni culturali con altri<br />
gruppi del medesimo Stato che parlano lingue diverse (par. 1 lett. e e lett. i).<br />
Ulteriori specifici impegni richiesti agli Stati nella Parte II riguardano:<br />
- l’eliminazione di ogni forma di “ingiustificata” discriminazione tesa a scoraggiare l’uso di una<br />
lingua regionale o minoritaria o a metterne in pericolo il mantenimento o lo sviluppo, con<br />
l’adozione di misure speciali in favore di tali lingue, da non considerare come atti discriminatori<br />
nei confronti delle lingue più diffuse (art.7 par.2);<br />
- la promozione del rispetto e della comprensione reciproci tra tutti i gruppi linguistici esistenti<br />
nei singoli Stati, da attuare in special modo attraverso il sistema scolastico e dei mezzi di<br />
comunicazione di massa (art.7 par.3);<br />
- l’istituzione inoltre, ove già non esistano, di organismi incaricati di rappresentare alle competenti<br />
autorità gli interessi di ciascuna lingua regionale o minoritaria, affinché se ne possa<br />
tenere conto nel definire la politica in materia (art.7 par.4).<br />
La Parte III (artt. 8-14) traduce in regole precise i principi generali affermati nella Parte<br />
II, prevedendo disposizioni e misure mirate di tutela volte a promuovere l’uso delle lingue regionali<br />
o minoritarie in tutti i settori della vita civile.<br />
E’ in tale contesto che soprattutto si estrinseca l’ampia discrezionalità rimessa ad ogni<br />
Stato, il quale resta libero di determinare quali norme applicare e quali misure attuare, tenendo<br />
conto della situazione di ogni singola lingua usata nel suo territorio e della incidenza delle singole<br />
misure sotto il profilo finanziario, amministrativo ed organizzativo.<br />
Vengono trattati i diversi campi in cui si sviluppa la vita pubblica e in tale ambito un ampio<br />
spazio è riservato all’aspetto dell’insegnamento delle e nelle lingue regionali o minoritarie,<br />
nella consapevolezza del ruolo fondamentale che l’istruzione è suscettibile di svolgere per la<br />
salvaguardia e lo sviluppo di tali lingue.<br />
Così, oltre ai già accennati impegni previsti in materia nella Parte II (art.7, comma 1 lett.<br />
f. e lett. h), volti ad assicurare forme e mezzi adeguati di insegnamento e di studio in tutte le fasi<br />
appropriate del percorso formativo e la promozione di studi nelle università, all’art. 8 della Parte<br />
III viene definita una serie analitica di misure in tale campo da attuare “nel territorio in cui tali<br />
lingue sono parlate” e “in base alla situazione di ciascuna di queste lingue”, senza pregiudizio<br />
alcuno per l’insegnamento della lingua ufficiale dello Stato (art. 8, comma 1).<br />
Sono prese in considerazione tutte le fasi del percorso di studi, dalla scuola materna<br />
all’università, prevedendo per ciascuna fase numerose opzioni alternative per gli Stati e talora<br />
richiedendo, per l’adozione delle relative misure, l’esistenza di un “numero ritenuto sufficiente”<br />
di studenti.<br />
Interventi vengono richiesti agli Stati anche per assicurare l’insegnamento della storia e<br />
della cultura di cui la lingua regionale o minoritaria è l’espressione, nonché l’occorrente formazione<br />
degli insegnanti e la creazione di organi di controllo incaricati di monitorare le misure pre-<br />
54
se ed i progressi realizzati nel campo dell’insegnamento delle lingue regionali o minoritarie e di<br />
farne oggetto di rapporti periodici da rendere pubblici.<br />
Largo spazio viene parimenti dedicato all’uso della lingua nei procedimenti dinanzi agli<br />
organi della giustizia sia ordinaria che amministrativa (art.9), nonché nei rapporti con la Pubblica<br />
Amministrazione e con gli enti erogatori dei pubblici servizi (art. 10), al fine di permettere alle<br />
persone che parlano le lingue regionali o minoritarie l’esercizio del diritto di difesa e dei diritti civili,<br />
come pure l’adempimento dei doveri civici, nel rispetto delle loro modalità di espressione.<br />
Ciò nell’ulteriore intento di salvaguardare e promuovere tali lingue mantenendole vive<br />
attraverso il loro uso non soltanto nei rapporti privati, ma anche nelle relazioni con le pubbliche<br />
autorità, così come nell’attività degli organi delle collettività regionali e locali.<br />
Anche per tali settori, considerati i notevoli oneri che le varie misure di tutela sono suscettibili<br />
di comportare sia in termini meramente finanziari che di risorse umane, organizzative e<br />
strumentali, la Carta prevede la possibilità di una serie di opzioni e limita gli interventi alle aree<br />
nelle quali “il numero di persone che usano le lingue minoritarie o regionali giustifichi” (art.9,<br />
comma 1 e art. 10 comma 1) l’adozione delle misure previste.<br />
Di rilievo a questo proposito è la limitazione posta agli impegni degli Stati con<br />
l’espressione “nella misura in cui ciò è ragionevolmente possibile”, contenuta nei commi 1 e 3<br />
dell’articolo 10 con riguardo alle misure concernenti le autorità amministrative ed i servizi pubblici:<br />
una clausola che, come sottolineato nel Rapporto esplicativo (par. 104), “non è intesa in<br />
sostituzione dell’esercizio della facoltà, accordata alle Parti dall’art. 2 commi 1, 2 e 3, di omettere<br />
alcune norme della Parte III della Carta” in relazione agli impegni assunti per ciascuna lingua,<br />
ma che piuttosto si propone di tenere conto delle implicazioni, talora anche molto significative,<br />
di alcune misure sotto il profilo finanziario e delle risorse umane e strumentali.<br />
Le disposizioni contenute nell’art. 11 concernono gli spazi da assicurare alle lingue regionali<br />
o minoritarie nel campo della informazione.<br />
A tale proposito la Carta coglie pienamente come in una società quale quella contemporanea,<br />
caratterizzata da un impiego sempre più intenso e diffuso dei mezzi di comunicazione di<br />
massa, una lingua minoritaria non possa avere speranza di sopravvivenza senza un adeguato<br />
spazio nei circuiti informativi.<br />
Il sostegno e l’incoraggiamento dell’accesso di tali lingue nei diversi settori<br />
dell’informazione, ovviamente nel rispetto dei principi di indipendenza e di autonomia dei mezzi<br />
di comunicazione di massa, sono dunque alla base delle disposizioni concernenti tale campo,<br />
nel quale, comunque, la Carta ricalca lo schema di fondo cui si ispira, vale a dire quello di consentire<br />
più scelte per gli interventi di tutela.<br />
Di rilievo in tale contesto l’impegno previsto dal comma 2 dell’art. 11, volto a garantire la<br />
libertà di ricezione dei programmi radiotelevisivi dei Paesi vicini prodotti nella medesima lingua<br />
o in una lingua simile a quella regionale o minoritaria, assicurando per tale via il collegamento<br />
culturale dei locutori della lingua con il Paese di riferimento culturale e linguistico.<br />
Anche in tale modo, quindi, si persegue l’obiettivo di favorire quel collegamento culturale<br />
dei locutori della lingua con il Paese di riferimento culturale e linguistico che è alla base delle<br />
disposizioni (articolo 7, comma 1 lett. i, e articolo 14) tese a promuovere accordi internazionali e<br />
la cooperazione transfrontaliera in materia.<br />
Numerose misure riguardano inoltre le attività culturali miranti ad incoraggiare le iniziative<br />
tipiche delle singole lingue regionali o minoritarie (art.12), nonché la vita economica e sociale,<br />
per la quale è prevista una serie di interventi volti da un lato a dare concreta attuazione al<br />
principio della non discriminazione “per l’insieme del paese”, ovvero sul piano nazionale,<br />
dall’altro a favorire, “nel territorio in cui le lingue regionali o minoritarie sono praticate, e nella<br />
misura in cui ciò è ragionevolmente possibile”, l’uso di tali lingue nelle attività economiche e sociali<br />
(art. 13).<br />
Come già accennato, infine, la Carta prevede anche un meccanismo di verifica<br />
dell’applicazione che ad essa viene data dagli Stati Parte, consentendo così di monitorare co-<br />
55
stantemente le misure via via adottate da ogni Stato per dare concreta attuazione agli impegni<br />
assunti e di promuovere, conseguentemente, un progressivo adeguamento degli interventi di<br />
tutela nei diversi Paesi.<br />
Al meccanismo di verifica è dedicata la Parte IV (articoli 15 -17), che stabilisce un sistema<br />
di rapporti periodici redatti dagli Stati con una cadenza triennale dopo il primo rapporto, il<br />
quale invece deve essere presentato entro un anno dall’entrata in vigore della Carta nei confronti<br />
di ciascuno Stato interessato.<br />
L’esame dei rapporti è affidato ad un “comitato di esperti” appositamente istituito, il quale,<br />
sulla base dei rapporti stessi e delle informazioni su questioni relative all’attuazione degli impegni<br />
eventualmente presentate da organismi e associazioni legalmente costituiti negli Stati,<br />
elabora e sottopone al Comitato dei Ministri un proprio rapporto, che sarà accompagnato dalle<br />
eventuali osservazioni dello Stato e che conterrà in particolare proposte in vista della preparazione<br />
delle raccomandazioni ad una o più Parti ritenute necessarie.<br />
Il sistema di verifica stabilito dalla Carta permette inoltre, a chiunque vi abbia interesse,<br />
di avere una ampia informazione sull’applicazione data dai singoli Stati alla Carta, giacchè prevede<br />
la pubblicità dei rapporti degli Stati e la facoltà, per il Comitato dei Ministri, di rendere pubblico<br />
anche il rapporto del Comitato di esperti.<br />
Lo schema di rapporto degli Stati è stato approvato nel novembre 1998 dal Comitato dei<br />
Ministri secondo quanto stabilito dall’art. 15 della Carta e tocca tutti i profili applicativi concernenti<br />
i vari aspetti trattati dalla Carta, utili a conseguire l’obiettivo dell’acquisizione di ogni informazione<br />
sulla situazione delle lingue regionali o minoritarie nei singoli Stati e della verifica<br />
dell’applicazione data da ciascuno Stato Parte alle disposizioni della Carta.<br />
Scopo della Carta Europea delle Lingue regionali o minoritarie è quindi, come detto, la<br />
tutela di tali lingue e non delle minoranze etniche e linguistiche.<br />
Alla tutela dei diritti delle persone appartenenti a tali minoranze sarà rivolta, a brevissima<br />
distanza di tempo, la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali.<br />
56
LA PROPOSTA PER UNA CONVENZIONE EUROPEA PER LA PROTEZIONE DELLE MI-<br />
NORANZE<br />
La proposta per una Convenzione Europea per la protezione delle minoranze è stata<br />
approvata dalla Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto, organo consultivo<br />
del Consiglio d’Europa in materia di diritto costituzionale, in occasione della sesta riunione tenutasi<br />
a Venezia l’8-9 febbraio 1991 (c.d. Commissione di Venezia).<br />
Essa è stata elaborata da un Gruppo di lavoro sulla protezione delle minoranze che era<br />
stato costituito dalla Commissione stessa su richiesta delle autorità ungheresi, italiane e jugoslave<br />
e che, per la redazione del testo ha tenuto conto dei lavori realizzati in seno alla Conferenza<br />
sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, e in particolare della Dichiarazione di Copenaghen<br />
del giugno 1990 e della Carta di Parigi per una nuova Europa del novembre dello<br />
stesso anno, nonché dei documenti europei e dell’ONU in materia di difesa dei diritti umani, e<br />
segnatamente la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà<br />
fondamentali del Consiglio d’Europa e l’art. 27 del Patto internazionale sui diritti civili e politici<br />
delle Nazioni Unite, tutti richiamati nel Preambolo.<br />
Anche di tale proposta si è tenuto particolarmente conto nel corso dei lavori per la predisposizione<br />
della Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali, che è stata<br />
adottata dal Comitato dei Ministri il 10 novembre 1994.<br />
La Convenzione proposta non si indirizzava alla tutela di profili specifici - culturali o etnici<br />
o religiosi - delle minoranze, ma piuttosto mirava ad assicurare alle minoranze stesse una<br />
protezione globale con riguardo agli aspetti delle loro caratteristiche.<br />
In considerazione della estrema diversificazione delle situazioni relative ai gruppi minoritari<br />
nei diversi Paesi Europei, e talora anche all’interno di uno stesso Stato, la linea adottata<br />
dal gruppo di lavoro è stata quella di affrontare il problema nelle sue linee generali, lasciando ai<br />
singoli Stati il compito e la responsabilità di individuare, per l’applicazione delle disposizioni, gli<br />
strumenti più adatti in relazione alle particolari situazioni esistenti nei loro territori.<br />
La proposta contiene perciò un insieme di principi internazionali da applicarsi nella misura<br />
più larga possibile, a tutte le minoranze rientranti nella definizione, principi per la cui attuazione<br />
occorre l’adozione, da parte degli Stati contraenti, di misure legislative ed amministrative,<br />
che potranno essere adeguate alle esigenze delle situazioni specifiche di ogni Paese.<br />
In tal senso lo strumento proposto si presenta come una “convenzione quadro”, cioè<br />
come un atto di natura pattizia che fissa i principi generali i quali per avere effetto nei diversi<br />
Stati firmatari, richiedono misure attuative negli ordinamenti interni, adattabili alle rispettive, particolari<br />
situazioni.<br />
La proposta di convenzione si compone di cinque Parti, per complessivi 37 articoli, oltre<br />
al Preambolo.<br />
Muovendo dalla considerazione, espressa nel Preambolo, che una adeguata soluzione<br />
al problema delle minoranze in Europa è un fattore fondamentale di democrazia, giustizia, stabilità<br />
e pace, essa si propone di assicurare una efficace protezione dei diritti delle minoranze e<br />
delle persone che vi appartengono.<br />
A tal fine, si sancisce, innanzitutto, all’art. 1, il principio che la tutela internazionale dei<br />
diritti delle minoranze etniche, linguistiche e religiose nonché dei diritti delle persone appartenenti<br />
a tali minoranze, è una componente fondamentale della protezione internazionale dei Diritti<br />
dell’Uomo e, in quanto tale, rientra nell’ambito della cooperazione internazionale, fermo restando<br />
comunque il rispetto dei principi fondamentali del diritto internazionale e in particolare<br />
della sovranità, dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica degli Stati.<br />
Si dà poi, all’art. 2, la definizione, ai fini dell’applicazione della convenzione, del concetto<br />
di “minoranza” - intesa come “un gruppo numericamente inferiore rispetto al resto della popolazione<br />
di uno Stato, i cui membri, che sono cittadini di quello Stato, hanno caratteristiche etniche,<br />
religiose o linguistiche diverse da quelle del resto della popolazione, e sono animati dalla<br />
volontà di salvaguardare la propria cultura, tradizione, religione o lingua, e si afferma quindi il<br />
principio che qualsiasi gruppo che corrisponde a tale definizione deve essere considerato una<br />
minoranza etnica, religiosa o linguistica.<br />
Si vedrà in seguito come, invece, la Convenzione quadro per la Protezione delle Minoranze<br />
Nazionali successivamente adottata dal Comitato dei Ministri, non contenga alcuna definizione<br />
di “minoranza nazionale”, una scelta alla quale si è poi pervenuti per l’impossibilità di<br />
57
trovare una definizione del concetto di minoranza capace di raccogliere il consenso generale di<br />
tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa.<br />
Altra peculiarità della Convenzione proposta dalla Commissione di Venezia è il riconoscimento<br />
formale di diritti di natura collettiva, riguardanti cioè le minoranze in quanto tali, accanto<br />
ai diritti individuali riguardanti ciascun appartenente ad una minoranza.<br />
Che soggetto di diritto dovessero essere considerate anche le minoranze in quanto tali,<br />
oltre che gli appartenenti alle stesse, risulta chiaramente dalle formulazioni contenute nel Preambolo,<br />
che fa espresso riferimento alla volontà di garantire “una efficace protezione dei diritti<br />
delle minoranze e delle persone che appartengono ad esse”, nonché nel già richiamato art. 1,<br />
concernente “la protezione internazionale dei diritti delle minoranze etniche, linguistiche e religiose<br />
e dei diritti delle persone che appartengono a tali minoranze”; ciò è esplicitamente sottolineato<br />
nel Rapporto esplicativo della proposta di Convenzione, che al riguardo chiarisce come<br />
sia “sembrato necessario non riconoscere i diritti ai soli individui appartenenti alle minoranze,<br />
ma anche alle minoranze in quanto tali. Infatti, le minoranze non sono semplicemente una<br />
somma di individui, ma rappresentano altresì un sistema di relazioni tra gli individui stessi. Senza<br />
la nozione di diritti collettivi, la tutela delle minoranze avrebbe un effetto sensibilmente limitato”<br />
(p. l6).<br />
Riferimenti specifici alle minoranze in quanto tali si hanno inoltre nell’art.3, che riconosce<br />
alle minoranze il diritto alla loro esistenza e il diritto alla salvaguardia e allo sviluppo della<br />
loro identità etnica, culturale o linguistica, nonché negli articoli 13 e 14, riguardanti rispettivamente<br />
il divieto di politiche tese all’assimilazione delle minoranze e la effettiva partecipazione<br />
delle stesse alla vita pubblica, in particolare alle decisioni relative alle regioni in cui vivono o agli<br />
affari che le concernono.<br />
Si vedrà ancora, nel seguito della trattazione, come la protezione assicurata con la<br />
Convenzione quadro poi adottata dal Consiglio d’Europa riguardi soltanto i diritti individuali, riferiti<br />
alle persone appartenenti alle minoranze nazionali, e non implichi alcun riconoscimento di<br />
diritti collettivi, pur stabilendo comunque la possibilità di esercitare i diritti garantiti sia individualmente<br />
che in comune con altri membri del gruppo.<br />
Altro aspetto significativo della proposta di convenzione è il riconoscimento, dell’art. 11,<br />
ad ogni persona appartenente ad una minoranza, del diritto a ricorrere dinanzi alle competenti<br />
autorità nazionali in caso di violazione dei diritti garantiti nella convenzione: la previsione di un<br />
rimedio specifico di giustizia, anche se non necessariamente giudiziario come sottolineato nel<br />
Rapporto esplicativo (p.3 9), mira infatti a rendere più pregnante ed effettiva la tutela dei diritti<br />
riconosciuti nella convenzione stessa.<br />
Tali diritti consistono in primo luogo in quelli già citati, all’esistenza della minoranza ed<br />
al rispetto, salvaguardia e sviluppo della sua identità etnica, religiosa o linguistica (art. 3), nonché<br />
il diritto, per le persone appartenenti a minoranze, alla piena uguaglianza con ogni altro cittadino<br />
dello Stato (art. 4), il diritto di associarsi e mantenere contatti, in particolare con altri<br />
membri del proprio gruppo, sia all’interno del Paese che al di la delle frontiere nazionali (art. 5),<br />
il diritto di salvaguardare, esprimere e sviluppare liberamente la propria identità culturale in tutti i<br />
suoi aspetti (art. 6), il diritto di usare liberamente la propria lingua, sia in pubblico che in privato<br />
(art.7), nonché il diritto di professare la propria religione o credo, individualmente o in comune<br />
con altri, sia in pubblico che in privato (art. 10).<br />
Per quanto concerne in particolare l’uso della lingua minoritaria, viene affermato il diritto<br />
di utilizzarla anche nei rapporti con le autorità politiche, amministrative e giudiziarie, locali o, se<br />
del caso, da statali, subordinandolo però alla condizione che la minoranza raggiunga “una percentuale<br />
sostanziale” della popolazione ed ancorandolo però alla “misura del possibile” (art.8);<br />
condizioni che vengono richiamate anche per l’inserimento dell’insegnamento pubblico della<br />
madrelingua nel piano di studi obbligatorio e, “per quanto possibile”, per l’insegnamento del<br />
programma di studi in tutto o in Parte nella lingua materna (art. 9).<br />
L’espressione “per quanto possibile”, che si ritroverà anche nella Convenzione quadro<br />
poi adottata, dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, tiene conto delle difficoltà che il<br />
riconoscimento del diritto all’uso della lingua minoritaria nei rapporti con le pubbliche autorità<br />
può comportare sotto il profilo dei mezzi finanziari e della organizzazione amministrativa, consentendo<br />
quindi ai singoli Stati di considerare i diversi fattori e le particolari situazioni esistenti<br />
nei rispettivi territori.<br />
58
Una scelta, quella operata in questa sede, ma anche in sede di adozione della Convenzione<br />
quadro, che va anche nella direzione di rendere lo strumento accettabile da parte del<br />
maggior numero possibile di Stati, come pure la scelta, che corrisponde alla medesima esigenza,<br />
di non imporre l’obbligo di parificare l’uso della lingua minoritaria all’uso della lingua ufficiale<br />
o di riconoscere la lingua minoritaria come lingua ufficiale nelle regioni in cui essa divenisse lingua<br />
di maggioranza, ma di lasciare tale responsabilità alla discrezionale determinazione dei<br />
singoli Stati interessati.<br />
E del resto, la proposta di convenzione non si limita ad enunciare i diritti spettanti alle<br />
minoranze e ad ogni persona che appartenga, ad essa ma prevede, parimenti, anche i doveri<br />
che tali persone hanno nei confronti dello Stato sul cui territorio sono insediate; ciò al fine di fornire<br />
garanzie con riguardo sia all’integrità territoriale degli Stati (art. 1, comma 2), sia sul rispetto<br />
dei doveri civici, delle leggi nazionali e dei diritti altrui, in particolare di quelli delle persone appartenenti<br />
alla maggioranza e ad altre minoranze (art. 15), prevedendo anche, nella stessa direzione,<br />
l’impegno degli Stati ad adottare le misure necessarie per garantire la non discriminazione<br />
nei riguardi delle persone che siano minoritarie nelle regioni ove le minoranze rappresentano<br />
la maggioranza della popolazione (art. 16).<br />
La proposta stabilisce inoltre, nella Parte III, un meccanismo di controllo del rispetto, da<br />
parte degli Stati, degli impegni assunti ai cui fini istituisce un Comitato Europeo per la protezione<br />
delle minoranze, composto da membri scelti tra personalità note per la loro competenza nel<br />
campo dei diritti umani e delle minoranze, in particolare eletti dal Comitato dei Ministri<br />
nell’ambito di una lista predisposta sulla base delle designazioni degli Stati.<br />
Il predetto Comitato, con il quale le autorità nazionali competenti degli Stati dovranno<br />
collaborare, esamina i rapporti presentati dagli Stati sulle misure adottate per dare attuazione<br />
agli impegni assunti ai sensi della convenzione, rapporti che il Comitato stesso, accompagnandoli<br />
con le proprie osservazioni, inoltrerà al Comitato dei Ministri, il quale potrà rivolgere a ciascuna<br />
Parte tutte le raccomandazioni ritenute necessarie.<br />
Al Comitato Europeo possono inoltre essere indirizzate da ogni Stato istanze sul mancato<br />
rispetto di disposizioni della Convenzione da parte di altro Stato, come pure istituzioni individuali,<br />
cioè di singole persone o gruppi di privati o di qualsiasi organizzazione internazionale<br />
non governativa in rappresentanza di minoranze, su pretese violazioni dei diritti enunciati nella<br />
Convenzione stessa da parte di taluno degli Stati.<br />
Per la soluzione delle relative vertenze è prevista, dopo il necessario accertamento dei<br />
fatti lamentati, una procedura di composizione amichevole che, in caso di esito infruttuoso, si<br />
conclude con un rapporto, anche propositivo del Comitato Europeo, che è trasmesso sia allo<br />
Stato interessato che al Comitato dei Ministri, il quale adotterà tutte le ulteriori misure ritenute<br />
più opportune per assicurare il rispetto della convenzione.<br />
Anche sotto tale profilo la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze già<br />
adottata presenta taluni aspetti di differenziazione dalla proposta di convenzione della Commissione<br />
Europea per la Democrazia attraverso il Diritto, e la funzione di controllo è esplicitamente<br />
demandata al Comitato dei Ministri, assistito da un apposito Comitato consultivo.<br />
In sostanza, comunque, la proposta di convenzione europea tendeva, a conciliare le e-<br />
sigenze di tutela delle minoranze con i diritti degli Stati e delle popolazioni in essi maggioritarie,<br />
prevedendo anche, per gli Stati stessi, margini di discrezionalità nell’adozione delle diverse misure<br />
di protezione, così da poter tenere conto di ogni concorrente fattore e delle specifiche situazioni<br />
esistenti nei rispettivi territori.<br />
Su tali linee si è improntata l’elaborazione della Convenzione quadro per la protezione<br />
delle minoranze nazionali, adottata dal Comitato dei Ministri nel 1994.<br />
59
LA CONVENZIONE-QUADRO PER LA TUTELA DELLE MINORANZE NAZIONALI<br />
- <strong>DIRITTI</strong> DA TUTELARE -<br />
La Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali non prevede la definizione<br />
di minoranza non essendo stato raggiunto alcun accordo in merito ad essa (Rapporto<br />
esplicativo par. 4) ed essendo stato optato per un approccio pragmatico, basato sulla constatazione<br />
che raccogliere il supporto generale di tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa sulla<br />
definizione sarebbe stata un’impresa impossibile. (Rapporto esplicativo par. 12)<br />
L’assenza della definizione non compromette, però, il contenuto della Convenzionequadro<br />
dato che già si possono individuare nel preambolo gli elementi caratteristici della minoranza<br />
nazionale che sono le proprie peculiarità etniche, culturali, linguistiche e religiose.<br />
Come dichiarato nella Raccomandazione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio<br />
d’Europa n. 1255 del 1995, la Convenzione formula un insieme di obiettivi e principi definiti vagamente,<br />
“l’osservazione dei quali sarà un obbligo degli Stati contraenti ma non un diritto che gli<br />
individui possono invocare. Il suo meccanismo di attuazione è debole, e c’è il pericolo che, di<br />
fatto, le procedure di controllo saranno lasciate interamente ai governi”. (par. 7 della citata Raccomandazione)<br />
In conformità con la decisione presa dai Capi di Stato e di <strong>Governo</strong> a Vienna<br />
nell’ottobre del 1993, la Convenzione-quadro è aperta anche a Stati non membri del Consiglio<br />
d’Europa.<br />
Secondo il Rapporto esplicativo “si intende per altri Stati quelli che partecipano alla<br />
Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa”. (par. 99)<br />
L’art. 1 della Convenzione-quadro dichiara: “la protezione delle minoranze nazionali e<br />
dei diritti e delle libertà delle persone appartenenti a quelle minoranze, costituisce parte integrante<br />
della salvaguardia internazionale dei diritti umani e come tale rientra negli obiettivi della<br />
cooperazione internazionale”.<br />
L’articolo specifica che la tutela delle minoranze facendo parte della salvaguardia internazionale<br />
dei diritti dell’uomo non ricade nel dominio riservato agli Stati ma in quello internazionale.<br />
I diritti in essa previsti sono diritti “individuali” e non “collettivi”.<br />
Per quanto concerne la formulazione “protezione delle minoranze nazionali e dei diritti e<br />
delle libertà delle persone ...” secondo il Rapporto esplicativo va intesa nel senso che “non sono<br />
previsti diritti collettivi” e che la protezione delle minoranze può essere ottenuta attraverso la tutela<br />
dei diritti alle persone ad esse appartenenti (par. 31) che “esercitano i loro diritti individualmente<br />
o in comunione con gli altri”. (par. 13)<br />
Nel Preambolo, nel suo penultimo paragrafo, della Convenzione-quadro vengono posti i<br />
limiti alla protezione dei diritti previsti in essa: “nel rispetto della preminenza del diritto,<br />
dell’integrità territoriale e della sovranità nazionale degli Stati”.<br />
Nella Convenzione-quadro si prevedono una serie di diritti per le “persone appartenenti<br />
a minoranze nazionali”:<br />
- Diritto di scegliere liberamente di appartenere ad una minoranza nazionale<br />
“Chiunque appartenga ad una minoranza nazionale ha il diritto di scegliere liberamente di essere<br />
considerato o meno come tale; tale scelta o l’esercizio dei diritti ad essa collegati non debbono<br />
determinare alcun svantaggio”. (art. 3(1)) Tale diritto affida alle persone la facoltà di decidere<br />
se essere o meno protette nell’ambito dei principi stabiliti dalla Convenzione.<br />
Secondo il Rapporto esplicativo questo paragrafo non implica però il diritto per un individuo di<br />
scegliere arbitrariamente se appartenere ad una minoranza, dato che la sua appartenenza si<br />
basa su elementi oggettivi. (par. 35)<br />
La previsione che nessun svantaggio debba provenire da tale scelta all’individuo assicura che il<br />
godimento di tale libertà non venga danneggiato indirettamente.<br />
- Esercizio del diritto individualmente o in comunione con altri.<br />
Le persone appartenenti a minoranze nazionali possono esercitare, sia individualmente che insieme<br />
ad altri, i diritti e le libertà derivanti dai principi enunciati nella presente Convenzionequadro”.<br />
(art. 3(2)).<br />
In tale comma va sottolineata la dicitura “insieme ad altri” che può sia intendersi “altri membri<br />
del proprio gruppo” sia membri di un’altra minoranza che membri della maggioranza stessa<br />
(Rapporto esplicativo par. 37).<br />
60
- Diritto all’eguaglianza di “diritto” e di “fatto”<br />
In base all’art. 4(1) viene proibita qualsiasi discriminazione basata sull’appartenenza a minoranze<br />
nazionali, alle quali è garantito il diritto di eguaglianza di fronte alla legge e eguale protezione<br />
di legge.<br />
Il secondo comma aggiunge inoltre che le “Parti si impegnano, se necessario, ad adottare tutte<br />
le misure adeguate volte a promuovere, in tutti i settori della vita economica, sociale, politica e<br />
culturale, una piena ed effettiva eguaglianza fra le persone appartenenti ad una minoranza nazionale,<br />
e quelle appartenenti alla maggioranza”.<br />
L’eguaglianza di fatto richiederebbe quindi alle Parti di prevedere misure speciali di tutela per le<br />
persone appartenenti a minoranze; tali misure potrebbero essere interpretate come discriminatorie<br />
dalla maggioranza, proprio per questo nel terzo comma si specifica che “non sono considerate<br />
un atto discriminatorio”.<br />
Gli Stati non sono obbligati ad adempiere a tale articolo dato che è loro riposta la decisione di<br />
decidere “quando necessario”.<br />
- Diritto di mantenere, preservare e sviluppare la propria identità<br />
L’art. 5 ha lo scopo di assicurare alle persone appartenenti a minoranze nazionali di mantenere,<br />
preservare e sviluppare la loro cultura ed identità, prevedendo un impegno da parte degli Stati<br />
“a creare le condizioni adeguate” per consentirlo.<br />
Il Rapporto esplicativo specifica però che ciò non comporta che tutte le differenze etniche, culturali<br />
e linguistiche o religiose, necessariamente costituiscano delle minoranze nazionali, dato che<br />
la “minoranza” presenta delle particolari caratteristiche oggettive e soggettive.<br />
Si specifica inoltre che il riferimento alle “tradizioni” non implica l’accettazione di pratiche contrarie<br />
alla legge nazionale e agli standards internazionali (par. 43, 44).<br />
- Diritto alla non assimilazione<br />
Nel secondo comma dell’art. 5 si prevede che “Le Parti si astengono da qualunque politica o<br />
pratica volta ad assimilare, contro la loro volontà, persone appartenenti a minoranze, e le tutelano<br />
da qualunque atto in tal senso” salvo però disposizioni nel quadro della politica generale di<br />
integrazione degli Stati.<br />
- Tolleranza e dialogo interculturale<br />
Nell’art. 6 (1) le Parti si impegnano a promuovere lo spirito di tolleranza e il dialogo interculturale,<br />
e a prendere misure che favoriscano il rispetto, la comprensione reciproca e la cooperazione<br />
tra tutte le persone che vivono sul loro territorio, in particolare nei settori dell’istruzione, cultura e<br />
mass media.<br />
- Protezione contro atti discriminatori, ostilità o violenza<br />
Le Parti si impegnano a prendere tutte le misure per tutelare le persone che potrebbero essere<br />
vittime di minacce o atti discriminatori ostili o violenti (art. 6.2).<br />
L’art. 6, come ricorda il Rapporto esplicativo è l’espressione delle preoccupazioni espresse<br />
nell’Appendice III della Dichiarazione di Vienna (Dichiarazione e Piano d’Azione per combattere<br />
il razzismo, la xenofobia, l’antisemitismo e l’intolleranza) e nel paragrafo 40.2 del Documento di<br />
Copenaghen della CSCE.<br />
- Diritto alla libertà di associazione, libertà di espressione, libertà di pensiero di coscienza e di<br />
religione<br />
Tali libertà fondamentali in realtà sono diritti riconosciuti a tutti gli individui previste già nella<br />
Convenzione europea sui diritti dell’Uomo, ma riproposti non solo perché di fondamentale importanza<br />
per le minoranze, ma anche perché a tale Convenzione potrebbero aderire Stati che<br />
non essendo membri del Consiglio d’Europa non si sentirebbero vincolati dalla Convenzione<br />
europea per i diritti dell’Uomo (art. 7).<br />
- Diritto di creare istituzioni religiose, organizzazioni e associazioni<br />
L’art. 8 ribadisce il diritto di manifestare la propria religione o il proprio credo nonché il diritto di<br />
creare istituzioni religiose, organizzazioni e associazioni; tale articolo combina vari elementi del<br />
Documento di Copenaghen previsti nei paragrafi 32.2. 32.3, 32.6.<br />
- Diritto a ricevere o comunicare informazioni o idee nella lingua minoritaria e non discriminazione<br />
nei media<br />
Gli Stati parte della Convenzione si impegnano a garantire tali diritti senza ingerenza da parte<br />
delle autorità e a non discriminarne l’accesso ai mass media “nel quadro del loro ordinamento<br />
giuridico”. (art. 9)<br />
61
Gli Stati si impegnano inoltre “nella misura del possibile” ad offrire l’opportunità di creare ed utilizzare<br />
propri mass media.<br />
- Diritto di utilizzare la propria lingua<br />
L’art. 10 (1) riconosce, alle persone appartenenti a minoranze, il diritto di utilizzare liberamente<br />
la propria lingua sia in “pubblico che in privato” senza interferenza.<br />
“In pubblico, significa per esempio, in un luogo pubblico, fuori, o in presenza di altre persone,<br />
ma non riguarda in alcuna circostanza relazioni con le autorità pubbliche” (Rapporto esplicativo<br />
par. 63).<br />
- Uso della lingua minoritaria nelle relazioni con le autorità amministrative<br />
Tale uso (art. 10.2) è garantito “per quanto possibile” dalle Parti, alle condizioni che innanzi tutto<br />
gli insediamenti minoritari siano “consistenti e tradizionali” e che la richiesta avanzata dalle persone<br />
ad esse appartenenti corrisponda “ad una esigenza reale”.<br />
Il diritto viene previsto non nei rapporti con qualsiasi autorità pubblica ma con le sole “autorità<br />
amministrative”.<br />
Nell’articolo è concesso un ampio potere discrezionale agli Stati lasciando loro la decisione non<br />
solo riguardo per quanto attiene alle misure da adottare ma anche per ciò che concerne<br />
l’interpretazione dell’articolo stesso che non riporta un chiarimento né per ciò che intende per<br />
insediamenti minoritari “consistenti e tradizionali” né per ciò che riguarda la “esigenza reale” da<br />
parte delle minoranze.<br />
Il Rapporto esplicativo chiarisce che per “tradizionali” non ci si riferisce alle minoranze storiche<br />
ma “solo a quelle che vivono ancora nella stessa area geografica” (par. 66).<br />
- Diritto di utilizzare cognome e nome nella lingua minoritaria<br />
Nell’art. 11 le Parti si impegnano a riconoscere il diritto di utilizzare cognome e nome nella lingua<br />
minoritaria, nonché il diritto al loro riconoscimento speciale; a riconoscere il diritto di esporre<br />
al pubblico insegne, scritte o altre informazioni di carattere privato, quindi non ufficiale, di e-<br />
sporre in alcune regioni le denominazioni tradizionali locali, i nomi delle strade, e indicazioni topografiche<br />
anche in lingua minoritaria. L’articolo prevede, però, diverse condizioni, e cioè: che<br />
la regione sia abitata da un numero consistente di persone appartenenti a minoranza, che tale<br />
tentativo venga fatto “nel quadro del loro ordinamento giuridico” e “tenendo conto delle loro<br />
condizioni specifiche” e di eventuali accordi con altri Stati.<br />
- Promozione della conoscenza delle culture minoritarie e non minoritarie<br />
L’art. 12 promuove la conoscenza della cultura, della storia e della religione sia delle minoranze<br />
che della maggioranza della popolazione per consentire il dialogo interculturale, al fine di creare<br />
un clima di tolleranza tra elementi diversi presenti nel territorio statale facilitando “contatti tra a-<br />
lunni e insegnanti di comunità differenti” e offrendo “pari opportunità nell’accesso all’istruzione a<br />
tutti i livelli alle persone appartenenti a minoranze nazionali” e la “possibilità di formazione per<br />
gli insegnanti e di accesso ai manuali scolastici”.<br />
- Diritto di creare e amministrare istituti privati di istruzione e formazione<br />
Nell’art. 13 viene riconosciuto tale diritto alle persone che appartengono a minoranze nel quadro<br />
dei requisiti richiesti dal sistema educativo dello Stato (in special modo per quelli “relativi alla<br />
scuola dell’obbligo” (Rapporto esplicativo par. 72) per il quale non è previsto alcun impegno<br />
economico, sebbene non si escluda la possibilità di contributi pubblici.<br />
La creazione di tali istituti dipende quindi dalle disponibilità economiche della minoranza stessa.<br />
- Diritto di apprendere la lingua minoritaria<br />
“L’obbligo di riconoscere il diritto ad ogni persona appartenente a minoranze nazionali di apprendere<br />
la propria lingua minoritaria riguarda uno degli strumenti principali attraverso il quale<br />
tali individui possono asserire e preservare la loro identità” (Rapporto esplicativo par. 74), malgrado<br />
ciò, gli Stati non sono obbligati a livello finanziario, e cercheranno di garantire la possibilità<br />
di apprendere la lingua minoritaria e di ricevere un insegnamento in tale lingua, solo nelle zone<br />
nelle quali vi siano insediamenti “consistenti e tradizionali” e se “la richiesta è sufficiente”<br />
“nella misura del possibile” e nel quadro del loro sistema educativo, senza ostacolare<br />
l’apprendimento e l’insegnamento della lingua ufficiale (art. 14).<br />
- Diritto di partecipazione effettiva alla vita culturale, sociale, economica e pubblica<br />
L’articolo 15 richiede alle Parti di creare le condizioni necessarie per una effettiva partecipazione<br />
delle persone appartenenti a minoranze alla vita culturale, sociale economica e pubblica in<br />
particolare per ciò che le interessa direttamente. Esso ha lo scopo soprattutto di incoraggiare<br />
62
l’eguaglianza di fatto tra le persone appartenenti a minoranze nazionali e il resto della popolazione<br />
dello Stato.<br />
Secondo il Rapporto esplicativo le Parti potrebbero prevedere nell’ambito dei loro sistemi costituzionali,<br />
una serie di misure quali: consultazioni nei campi legislativo o amministrativo per ciò<br />
che le interessi direttamente; collaborazione nei piani regionali o nazionali; studi congiunti<br />
sull’impatto delle attività di sviluppo; effettiva partecipazione al processo decisionale e di rappresentanza<br />
sia a livello nazionale che locale, decentramento o forme di governo locale (Rapporto<br />
esplicativo par. 80).<br />
- Cambiamenti demografici<br />
Nell’articolo 16 si prevede l’astensione da parte degli Stati di prendere provvedimenti che modifichino<br />
le proporzioni della popolazione in una zona geografica nella quale risiedano persone<br />
appartenenti a minoranze nazionali, con lo scopo di attentare ai diritti e libertà loro riconosciuti<br />
dalla Convenzione-quadro.<br />
Esempi di tali misure potrebbero essere espropriazioni, escomi ed espulsioni o ridefinizione dei<br />
confini amministrativi con lo scopo di restringere il godimento ditali diritti e libertà. Tale impegno<br />
non implica pèrò l’impossibilità di prevedere misure, che possono essere giustificate e legittime<br />
come ad esempio lo spostamento degli abitanti di un villaggio per la costruzione di una diga<br />
(Rapporto esplicativo par. 81-82).<br />
- Diritto di stabilire e mantenere contatti al di là delle frontiere<br />
Tale diritto viene garantito per lo sviluppo e il mantenimento della propria cultura ed identità favorendo<br />
contatti, in special modo con persone che hanno in comune un’identità etnica, culturale<br />
linguistica e religiosa (art. 17).<br />
Non è stato ritenuto necessario prevedere libertà di contatti all’interno degli Stati dato che tale<br />
libertà viene garantita dalla libertà di espressione e associazione prevista nella Convenzione.<br />
- Diritto a partecipare ai lavori di organizzazioni non governative<br />
L’art. 17 (2) prevede un impegno degli Stati a non ostacolare la partecipazione ad organizzazioni<br />
non governative da parte delle persone appartenenti a minoranze nazionali sia a livello<br />
nazionale che internazionale.<br />
- Accordi bilaterali e multilaterali e cooperazione transfrontaliera<br />
L’art. 18 enuncia che “le parti cercheranno, se necessario, di concludere accordi bilaterali o<br />
multilaterali con gli Stati vicini, per garantire la tutela delle persone appartenenti alle minoranze<br />
nazionali interessate”, accordi, specifica il Rapporto esplicativo, particolarmente nei campi della<br />
cultura, educazione e informazione (par. 86); inoltre si prevede l’opportunità di provvedimenti<br />
che facilitino la cooperazione transfrontaliera.<br />
- Garanzia per la migliore protezione<br />
L’art. 22 specifica che nessuna disposizione della Convenzione può essere intesa come limitativa<br />
di diritti e libertà che potrebbero essere riconosciuti dalle legislazioni delle parti o da qualsiasi<br />
altra Convenzione della quale lo Stato è Parte, garantendo quindi alle persone appartenenti<br />
a minoranza il godimento dei diritti che più le favoriscono nell’ambito degli strumenti giuridici<br />
previsti dallo Stato nel quale vivono.<br />
63
LE RACCOMANDAZIONI DELL’ASSEMBLEA PARLAMENTARE DEL CONSIGLIO<br />
D’EUROPA<br />
Già in precedenza si è avuto modo di evidenziare come l’Assemblea Parlamentare si<br />
era sempre occupata, fin dagli inizi della sua attività, del problema delle minoranze nazionali e<br />
quanto ripetuti, da allora siano stati i suoi interventi volti a pervenire nell’ambito del Consiglio<br />
d’Europa, all’adozione di strumenti di garanzia dei diritti delle minoranze.<br />
Con la Raccomandazione 285 del 1961 e la Raccomandazione 1134 del 1990 venivano<br />
ribaditi la positiva valenza delle minoranze per la multiculturalità in Europa e l’importante rispetto<br />
dei loro diritti e di quelli delle persone ad esse appartenenti come fattore fondamentale per la<br />
pace, la giustizia, la stabilità e la democrazia. Venivano, inoltre, definiti i principi fondamentali<br />
sui diritti delle minoranze, nazionali e linguistiche, ritenuti “base minima” per una adeguata protezione<br />
giuridica, nonché connessi impegni degli Stati europei, raccomandando al Comitato dei<br />
Ministri di elaborare, sulla base di tali principi, un protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea<br />
sui Diritti dell’uomo ovvero una speciale Convenzione del Consiglio d’Europa.<br />
A tal fine l’Assemblea Parlamentare volle pure riaffermare la necessità di rispettare pienamente<br />
gli impegni assunti nell’ambito della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in<br />
Europa, contenuti nell’Atto Finale di Helsinki del 1975 e nei documenti conclusivi delle riunioni<br />
di Madrid (1983), di Vienna (1989) e di Copenaghen (1990), richiamando anche l’attenzione sugli<br />
obblighi che derivavano agli Stati partecipanti al processo della CSCE dagli strumenti internazionali<br />
concernenti le minoranze nazionali, etniche, religiose e linguistiche.<br />
Nella Raccomandazione 1137 si forniva una prima, sostanziale definizione di “minoranze<br />
nazionali” - vale a dire “gruppi separati o distinti, ben definiti ed insediati sul territorio di uno<br />
Stato, i cui membri sono cittadini di quello Stato e presentano certe caratteristiche religiose, linguistiche,<br />
culturali o altre, che li distinguono dalla maggioranza della popolazione” - , ed inoltre,<br />
tra i diritti presi in considerazione, alcuni erano riferiti alle minoranze in quanto tali.<br />
La Raccomandazione 1134 interveniva quando erano in corso sia i lavori della Commissione<br />
per la democrazia attraverso il diritto per una proposta di Convenzione per la tutela<br />
delle minoranze, quelli per l’elaborazione di un progetto di una Carta Europea delle lingue regionali,<br />
la cui rapida definizione veniva poi auspicata con la Raccomandazione 1177 del 5 febbraio<br />
1992.<br />
Dopo l’adozione, il 25 giugno 1992, della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie<br />
e l’avvio,da parte del Comitato direttivo per i diritti dell’uomo e del Comitato ad hoc di e-<br />
sperti, dei lavori per l’approfondimento e la predisposizione di specifiche norme di tutela delle<br />
minoranze nazionali, l’Assemblea Parlamentare tornò, ancora, con la Raccomandazione 1201<br />
del 10 febbraio 1993, sul problema della protezione delle minoranze, “uno tra i più importanti<br />
attualmente trattati dal Consiglio d’Europa”, per assicurare il massimo appoggio ad entrambe le<br />
iniziative e dare il proprio contributo ai lavori di elaborazione delle norme di tutela delle minoranze.<br />
Così, con tale Raccomandazione, l’Assemblea Parlamentare da un lato lanciava un appello<br />
agli Stati membri per la più ampia adesione alla Carta Europea, sollecitandone una rapida<br />
ratifica con l’accettazione del maggior numero possibile delle sue clausole, dall’altro proponeva<br />
il testo di un progetto per la protezione delle minoranze nazionali, raccomandando al Comitato<br />
dei Ministri di adottare, sulla base di esso, un protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea<br />
sui diritti dell’uomo, concernente le persone appartenenti a tali minoranze.<br />
Il testo proposto, che costituiva parte integrante della Raccomandazione, si componeva<br />
di cinque Titoli per complessivi 20 articoli, oltre al Preambolo, nel quale si evidenziavano le<br />
considerazioni fondanti del proposto protocollo sottolineando, tra le altre, la rilevante importanza<br />
della protezione delle minoranze, tenuto conto che “soltanto il riconoscimento dei diritti delle<br />
persone appartenenti ad una minoranza nazionale all’interno di uno Stato e la protezione internazionale<br />
di questi diritti sono suscettibili di porre durevolmente fine ai confronti etnici, e di contribuire<br />
in tal modo a garantire la giustizia, la democrazia, la stabilità e la pace”.<br />
Precisato nello stesso Preambolo che comunque i diritti considerati erano quelli che o-<br />
gni persona “può esercitare sia singolarmente che in comune con altri” si dava innanzitutto,<br />
all’art. 1, la definizione dell’espressione “minoranza nazionale”, intesa come “un gruppo di persone<br />
in uno Stato che:<br />
64
a) risiedono nel territorio di questo Stato e ne sono cittadini;<br />
b) mantengono legami antichi, solidi e durevoli con tale Stato;<br />
c) presentano specifiche caratteristiche etniche, culturali, religiose o linguistiche;<br />
d) sono sufficientemente rappresentative, sebbene in numero minore rispetto al resto della popolazione<br />
dello Stato o di una sua regione;<br />
e) sono animate dalla volontà di preservare insieme ciò che costituisce la loro identità comune,<br />
inclusa la loro cultura, le loro tradizioni, la loro religione e la loro lingua”.<br />
Veniva poi enunciata una serie di principi generali, con l’affermazione di diritti e di libertà fondamentali,<br />
e di diritti sostanziali concernenti, tra gli altri, la creazione di proprie organizzazioni,<br />
compresi i partiti politici, l’uso della lingua materna in pubblico e in privato nonché nei rapporti<br />
con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari, l’insegnamento della e nella lingua<br />
materna, la costituzione e gestione di proprie scuole ed istituti di insegnamento, l’uso della<br />
lingua minoritaria nella onomastica, nella toponomastica e nelle iscrizioni pubbliche, liberi contatti<br />
oltrefrontiera con cittadini di altri Stati aventi le medesime caratteristiche, appropriate amministrazioni<br />
locali o autonome o statuti speciali nelle regioni in cui le minoranze costituiscono la<br />
maggioranza.<br />
La protezione dei diritti garantiti dal protocollo proposto veniva inoltre resa ancora più<br />
pregnante con l’affermazione, contenuta nell’articolo 9 del testo, del diritto ad un effettivo rimedio<br />
di giustizia dinanzi alle competenti autorità dello Stato in caso di loro violazione, diritto che<br />
era riconosciuto non soltanto ad ogni persona appartenente ad una minoranza nazionale, ma<br />
anche ad ogni organizzazione che fosse rappresentativa di una minoranza.<br />
Si è già accennato come, però, la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze<br />
nazionali poi adottata, il 10 novembre 1994, dal Comitato dei Ministri non contenga una previsione<br />
simile, anche se introduce un importante meccanismo di controllo sulla attuazione, da<br />
parte degli Stati contraenti, dei principi enunciati.<br />
Dopo l’adozione della Convezione quadro l’Assemblea Parlamentare è pertanto nuovamente<br />
intervenuta con la Raccomandazione 1255 del 31 gennaio 1995, sul problema della<br />
protezione dei diritti delle minoranze, considerato “uno dei più importanti impegni del Consiglio<br />
d’Europa oggi”, auspicandone la firma e la ratifica da parte del maggior numero di Stati, membri<br />
e non membri oltrechè della Carta Europea delle lingue regionali o minoritarie, ma segnalando<br />
anche l’esigenza di completare la stessa Convenzione quadro con un protocollo aggiuntivo alla<br />
Convenzione europea sui diritti dell’uomo che definisse chiaramente i diritti azionabili dinanzi<br />
agli organi di giustizia indipendenti.<br />
A tal fine l’Assemblea Parlamentare ricordando le decisioni assunte dai Capi di Stato e<br />
di <strong>Governo</strong> nel vertice di Vienna del 9 ottobre 1993, che comprendevano anche, l’elaborazione<br />
di un progetto di protocollo aggiuntivo alla medesima Convenzione Europea “nel campo culturale<br />
con disposizioni di garanzia dei diritti individuali, in particolare per le persone appartenenti alle<br />
minoranze nazionali”, raccomandava inoltre al Comitato dei Ministri di portare rapidamente a<br />
conclusione i lavori conseguentemente avviati, richiamando, per l’individuazione dei diritti da includere<br />
nel redigendo protocollo, dei quali riproduceva un elenco indicativo, sia la Convenzione<br />
quadro per la protezione delle minoranze nazionali che la propria proposta di protocollo aggiuntivo<br />
contenuta nella Raccomandazione 1201 del 1993.<br />
Ancora un appello a sottoscrivere e ratificare entrambe le Convenzioni, sia la Carta europea<br />
che la Convenzione quadro, veniva poi rivolto con la Raccomandazione 1285 del 23<br />
gennaio 1996, con la quale l’Assemblea Parlamentare nel dare pieno appoggio ai due Strumenti,<br />
raccomandava nuovamente che fossero portati a rapida e soddisfacente conclusione i lavori<br />
per la elaborazione del progetto di protocollo aggiuntivo nel campo culturale e che in tale sede<br />
venissero quanto più possibile specificati gli obblighi derivanti agli Stati, al fine di rendere chiari<br />
ed azionabili i diritti da riconoscere.<br />
Si decise invece, con la Raccomandazione 1300 del successivo 25 gennaio 1996, sulla<br />
base di un parere espresso dalla Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto<br />
(c.d. Commissione di Venezia), di allontanare l’ipotesi di definire, tra le disposizioni della Carta<br />
europea, delle lingue regionali o minoritarie un “nocciolo duro” di diritti suscettibili di essere accettati<br />
da tutti gli Stati contraenti, ipotesi tesa ad accrescere le opportunità di ratifica dello Strumento.<br />
La Commissione aveva al riguardo considerato che il concetto di un nocciolo duro è e-<br />
65
straneo allo spirito e al sistema di funzionamento della Carta europea delle lingue regionali o<br />
minoritarie, che già contiene nella Parte 11, “un nocciolo duro” di principi che garantisce<br />
l’efficacia della tutela assicurando anche come le disposizioni della Parte III, per la loro formulazione<br />
e per l’analiticità della regolamentazione difficilmente si prestino alla determinazione di un<br />
nocciolo duro, suscettibile di essere accettato da tutti gli Stati contraenti, e che un nocciolo duro<br />
di diritti linguistici può essere dedotto dagli obblighi previsti dalla Convenzione quadro per la<br />
protezione delle minoranze nazionali, e in particolare nell’articolo 5 paragrafo 1, nell’art. 6,<br />
nell’art. 9, paragrafo 1, negli articoli da 10 a 14 e nell’art. 17.<br />
L’anno successivo, con la Raccomandazione 1345 del 24 ottobre 1997 l’Assemblea<br />
Parlamentare torna di nuovo, specificatamente, sulla protezione delle minoranze nazionali, che<br />
“continua ad essere uno degli elementi cruciali della pace e della sicurezza in Europa”.<br />
I due importanti strumenti adottati dal Consiglio d’Europa, la Carta Europea e la Convenzione<br />
quadro, entrambi giuridicamente impegnativi per gli Stati, non avevano ancora ottenuto<br />
il numero sufficiente di ratifiche per la rispettiva entrata in vigore e d’altra parte, le dichiarazioni<br />
e le iniziative, pure di grande rilievo, adottate in altre sedi, in particolare nell’ambito del<br />
processo della CSCE, che aveva anche istituito l’Ufficio dell’Alto Commissario per le Minoranze<br />
Nazionali in funzione di prevenzione dei conflitti, avevano natura essenzialmente politica e non<br />
vincolavano, sotto il profilo strettamente giuridico, gli Stati partecipanti.<br />
L’Unione Europea, dal conto suo, aveva fatto della protezione delle minoranze una<br />
condizione per la cooperazione economica e per l’adesione stessa, ma osservava l’Assemblea<br />
Parlamentare, “l’efficacia di questa politica è seriamente ostacolata dall’assenza di un meccanismo<br />
di monitoraggio permanente e dalla mancanza di chiarezza circa i principi che uno Stato è<br />
tenuto a rispettare in tale campo”.<br />
Tale complessiva situazione portava l’Assemblea Parlamentare a ritenere “ancora insufficiente<br />
la volontà politica di accettare e di attuare gli strumenti politici e giuridici internazionali”<br />
nella materia e a concludere che “la protezione delle minoranze resta ancora troppo spesso una<br />
questione di politica estera piuttosto che di politica interna”.<br />
Queste considerazioni inducevano l’Assemblea Parlamentare da un lato a sollecitare<br />
nuovamente la sottoscrizione e la ratifica della Carta Europea e della Convenzione quadro e la<br />
loro osservanza, dall’altro a raccomandare al Comitato dei Ministri di perseguire una cooperazione<br />
intergovernativa nel campo della protezione delle minoranze nazionali e di porre in essere<br />
attività che coinvolgessero i governi e la società civile, finalizzate a facilitare la piena ed efficace<br />
attuazione delle norme giuridiche internazionali in tale campo” e, sollecitando anche il dialogo<br />
con i rappresentanti delle minoranze, ha raccomandato anche di rafforzare la cooperazione con<br />
l’Unione Europea affinché si tenesse sistematicamente conto dei risultati delle procedure di<br />
monitoraggio del Consiglio d’Europa, in particolare in sede di valutazione del rispetto delle clausole<br />
relative ai diritti umani e alle minoranze in occasione della conclusione di accordi con Paesi<br />
terzi, e in sede di esame delle loro richieste di adesione all’Unione.<br />
Poco tempo dopo, rispettivamente il 5 novembre 1992 e il 10 novembre 1993, sarebbero<br />
finalmente entrate in vigore la Carta europea delle lingue regionali e minoritarie e la Convenzione<br />
quadro per la protezione delle minoranze nazionali.<br />
Un’ulteriore sollecitazione a sottoscrivere e ratificare la Carta europea delle lingue regionali<br />
e minoritarie e la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali veniva<br />
poi rivolta con la Raccomandazione 1285 del 23 gennaio 1996 con la quale l’Assemblea Parlamentare,<br />
nel sostenere pienamente le due Convenzioni, raccomandava anche di riprendere e<br />
portare a rapida e soddisfacente conclusione i lavori per la elaborazione del progetto di protocollo<br />
aggiuntivo alla Convenzione europea sui diritti dell’uomo nel campo culturale, specificando<br />
quanto più possibile gli obblighi degli Stati così da rendere chiari ed azionabili i diritti riconosciuti.<br />
Il tema delle minoranze nazionali è stato poi ancora ripreso con la Raccomandazione 1345<br />
del 24 ottobre 1997 con la quale l’Assemblea Parlamentare, nell’affermare che la loro protezione<br />
“continua ad essere uno degli elementi essenziali della pace e della sicurezza in Europa”, ha<br />
sollecitato il dialogo con i rappresentanti delle minoranze, raccomandando inoltre di rafforzare la<br />
cooperazione con l’Unione Europea perché venga tenuto sistematicamente conto dei risultati<br />
delle procedure di monitoraggio del Consiglio d’Europa, in particolare in sede di accordi con i<br />
Paesi terzi e di esame delle loro richieste di adesione, essendo la protezione delle minoranze<br />
tra le condizioni per l’accoglimento di tali richieste e per la cooperazione economica con quei<br />
Paesi. L’accesso delle minoranze all’insegnamento superiore ha formato poi specifico oggetto<br />
66
della Raccomandazione 1353 del 27 gennaio 1998 con la quale, al fine di assicurare alle minoranze,<br />
con tutte le misure necessarie, le condizioni per esprimere la propria identità e sviluppare<br />
la propria educazione, cultura, lingua e tradizioni, viene definita un serie di principi ai quali gli<br />
Stati aderenti alla Convenzione Culturale Europea devono ispirarsi in sede di revisione della politica<br />
nazionale in materia di educazione.<br />
67
GLI INTERVENTI<br />
DELLA CONFERENZA/ORGANIZZAZIONE<br />
PER LA SICUREZZA E LA COOPERAZIONE IN EUROPA<br />
69
PREMESSA<br />
Nel processo di distensione portato avanti dalla Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione<br />
per contribuire alla sicurezza e allo sviluppo della cooperazione in Europa, il rispetto dei<br />
diritti umani e delle libertà fondamentali, considerato un elemento essenziale per la pace, la<br />
giustizia ed il benessere nel Continente, è sempre stato al centro degli impegni assunti dagli<br />
Stati partecipanti, a partire dalla loro prima fondamentale dichiarazione, l’Atto finale di Helsinki<br />
del 1975, alla quale si sono poi ispirati tutti i successivi documenti della CSCE.<br />
In questo contesto riferimenti ed impegni mirati hanno riguardato specificamente anche<br />
le minoranze nazionali ed i diritti delle persone che appartengono a tali minoranze, per le quali è<br />
stato pure istituito, in un’ottica di prevenzione di potenziali conflitti, un apposito Alto Commissario.<br />
ATTO FINALE DELLA C.S.C.E. DI HELSINKI<br />
L’Atto Finale di Helsinki fu firmato il 10 agosto 1975 a conclusione della prima Conferenza<br />
sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, che era stata aperta il 3 luglio 1973 e alla<br />
quale parteciparono i Capi di Stato o di <strong>Governo</strong> di trentacinque Paesi, dell’Europa occidentale<br />
e orientale, della Santa Sede, degli Stati Uniti e del Canada.<br />
Esso costituisce senza dubbio documento di grande respiro per le molteplici questioni<br />
affrontate e per i connessi principi affermati, ed ha importanza fondamentale perché fissa i capisaldi<br />
che guideranno la successiva attività della CSCE. Anche le minoranze nazionali rientrano<br />
tra le numerose questioni affrontate dall’Atto Finale, che se ne occupa nella parte concernente<br />
le “Questioni relative alla sicurezza in Europa”, e in particolare nel principio VII della “Dichiarazione<br />
sui Principi che reggono le relazioni fra gli Stati partecipanti”, nonché nella parte riguardante<br />
la “Cooperazione nel settore umanitario e in altri settori” e specificamente alle sezioni<br />
3 e 4 della “Cooperazione e scambi”, concernenti, rispettivamente, il campo della cultura ed il<br />
campo dell’educazione.<br />
In particolare, nel principio VII della “Dichiarazione sui Principi” gli Stati partecipanti riconoscono<br />
il significato universale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il cui rispetto<br />
è un fattore essenziale della pace, della giustizia e del benessere necessari ad assicurare lo<br />
sviluppo di relazioni amichevoli e della cooperazione fra di loro e fra gli Stati” e dichiarano non<br />
soltanto l’impegno a rispettare tali diritti e libertà, inclusa la libertà di pensiero, coscienza, religione<br />
o credo, senza distinzione alcuna di razza, sesso, lingua o religione, di promuoverne ed<br />
incoraggiarne l’esercizio effettivo nei diversi contesti della vita civile, e di rispettare gli obblighi<br />
derivanti in materia di dichiarazioni ed accordi internazionali, ma si prevede altresì, espressamente,<br />
un impegno specifico di tutela delle minoranze nazionali, in base al quale “gli Stati partecipanti<br />
nel cui territorio esistono minoranze nazionali rispettano il diritto delle persone appartenenti<br />
a tali minoranze all’uguaglianza di fronte alla legge, offrono loro la piena possibilità di<br />
godere effettivamente dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e, in tal modo, proteggono<br />
i loro legittimi interessi in questo campo”.<br />
Estremamente significativa in tale sede tenuto conto che si tratta di impegni di natura<br />
essenzialmente politica, la dichiarazione degli Stati partecipanti di adempiere agli obblighi loro<br />
derivanti in materia di diritti umani e di libertà fondamentali da dichiarazioni ed accordi internazionali<br />
da cui siano vincolati.<br />
Nel contesto della “Cooperazione e scambi” nei campi della cultura e dell’educazione il<br />
riferimento attiene invece alle “minoranze nazionali o culture regionali”, delle quali viene riconosciuto<br />
il contributo che possono apportare alla cooperazione in tali settori “che gli Stati partecipanti<br />
si propongono di facilitare “tenendo conto degli interessi legittimi dei loro membri”.<br />
Dopo la Conferenza di Helsinki il tema delle minoranze nazionali è stato costantemente<br />
ripreso e sviluppato nelle successive riunioni della CSCE tenutesi in conformità alle disposizioni<br />
dell’Atto Finale relative ai Seguiti della stessa Conferenza, formando oggetto di riferimenti specifici<br />
nei relativi documenti conclusivi.<br />
71
DOCUMENTO CONCLUSIVO DELLA CONFERENZA SUI SEGUITI DELLA C.S.C.E. DI MA-<br />
DRID<br />
Con tale documento, adottato a Madrid il 9 settembre 1983 a conclusione della Conferenza<br />
sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa aperta l’11 novembre 1980, gli Stati partecipanti<br />
hanno riaffermato il loro impegno per il processo della CSCE, sottolineando “l’importanza<br />
dell’applicazione di tutte le disposizioni e del rispetto di tutti i principi dell’Atto Finale di Helsinki<br />
da parte di ciascuno di loro in quanto elementi essenziali per lo sviluppo di tale processo”, il cui<br />
futuro “richiede progressi equilibrati in tutti i capitoli dell’Atto Finale”.<br />
In tale quadro, viene riaffermata la determinazione di rispettare e di dare piena applicazione<br />
a tali principi e di promuovere la maggiore efficacia con tutti i mezzi, anche traducendo i<br />
principi stessi in disposizioni legislative interne.<br />
Per quanto concerne i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali, si ribadisce la fondamentale<br />
importanza del loro rispetto ai fini della pace, della giustizia e dello sviluppo, riaffermando<br />
la determinazione di promuoverne ed incoraggiarne l’esercizio effettivo, di assicurarne<br />
un progresso costante e tangibile” per un continuo sviluppo in tutti gli Stati partecipanti, e di sviluppare<br />
leggi e regolamenti nel campo dei diritti per i diversi settori della vita civile.<br />
Con riferimento specifico alle minoranze nazionali è stata inoltre sottolineata<br />
“l’importanza di un costante progresso per garantire il rispetto e l’effettivo godimento dei diritti<br />
delle persone appartenenti a minoranze nazionali, nonché per proteggere i loro interessi legittimi<br />
come previsto nell’Atto Finale”.<br />
72
DOCUMENTO CONCLUSIVO DELLA CONFERENZA SUI SEGUITI DELLA C.S.C.E. DI<br />
VIENNA<br />
Il Documento conclusivo di Vienna, adottato al termine della riunione dei rappresentanti<br />
degli Stati partecipanti alla CSCE tenutasi dal 4 novembre 1986 al 19 gennaio 1989, non soltanto<br />
si riafferma la determinazione di dare piena attuazione agli impegni contenuti nell’Atto Finale<br />
di Helsinki, compresi tutti i dieci principi della “Dichiarazione sui Principi che reggono le relazioni<br />
tra gli Stati partecipanti” e di privilegiare il principio della soluzione pacifica delle controversie,<br />
ma si manifesta anche la volontà di adoperarsi costantemente per il perfezionamento di un metodo<br />
generalmente accettabile per la soluzione pacifica delle controversie e ridefinisce una serie<br />
di misure concrete che gli Stati partecipanti si impegnano a promuovere e ad attuare.<br />
In tale contesto uno spazio notevolissimo è riservato alle questioni concernenti i diritti<br />
dell’uomo e le libertà fondamentali, con l’impegno a sviluppare leggi, regolamenti e politiche nei<br />
diversi settori della vita civile e a darvi applicazione in modo da garantire il loro esercizio effettivo,<br />
senza discriminazione alcuna e assicurando anche mezzi di ricorso efficaci in caso di violazione<br />
di tali diritti e libertà.<br />
Anche con specifico riguardo alle minoranze nazionali gli impegni per interventi di tutela<br />
si fanno più marcati.<br />
Viene infatti previsto, nell’ambito dei “principi” stabiliti in merito alle “questioni relative alla<br />
sicurezza in Europa”, che gli Stati partecipanti compiranno “sforzi costanti” per applicare le<br />
disposizioni dell’Atto Finale di Helsinki e del Documento conclusivo di Madrid riguardanti le minoranze,<br />
essi “adotteranno tutte le necessarie misure legislative, amministrative, giudiziarie ed<br />
altre ed applicheranno gli strumenti internazionali pertinenti per essi vincolanti, per assicurare la<br />
tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali delle persone che appartengono a minoranze<br />
nazionali nel loro territorio” e “si asterranno da qualsiasi discriminazione contro tali persone<br />
e contribuiranno alla realizzazione dei loro legittimi interessi ed aspirazioni nel campo dei diritti<br />
dell’uomo e delle libertà fondamentali” (Principi, par. 18).<br />
Gli Stati partecipanti, inoltre, “proteggeranno e creeranno le condizioni per la promozione<br />
dell’identità etnica, culturale, linguistica e religiosa delle minoranze nazionali nel loro territorio.<br />
Essi rispetteranno il libero esercizio dei diritti da parte delle persone che appartengono a tali<br />
minoranze e assicureranno la loro piena uguaglianza con le altre persone” (Principi, par. 19).<br />
Una tutela implicita, sotto il profilo linguistico, è contenuta anche nell’ambito delle disposizioni<br />
dei “Principi” volte ad assicurare la libertà di professare e praticare una religione o convinzione.<br />
Tra gli altri impegni a ciò finalizzati agli Stati partecipanti viene infatti richiesto anche il<br />
rispetto del diritto di ciascuno di impartire e ricevere l’educazione religiosa nella lingua di propria<br />
scelta, sia individualmente che in associazione con altri (par. 16.6), nonché il rispetto del diritto<br />
dei singoli credenti e delle comunità di credenti di acquisire, possedere e utilizzare libri sacri e<br />
pubblicazioni religiose nella lingua di propria scelta (par. 16.9).<br />
Più puntuali enunciazioni sono contenute anche nella parte relativa alla “Cooperazione<br />
nel settore umanitario e in altri settori” e in particolare nelle sezioni riguardanti i contatti fra persone,<br />
l’informazione e la cultura, ove vengono affermati principi e diritti di fondamentale rilievo<br />
ai fini della tutela delle minoranze nazionali, quali il principio di eguaglianza effettiva, il diritto di<br />
mantenere contatti con cittadini di altri Stati aventi comune origine o cultura, o il diritto di sviluppare<br />
la propria cultura.<br />
Così il paragrafo 31 della sezione “Contatti fra persone”, che impegna gli Stati partecipanti<br />
ad assicurare che lo status delle persone appartenenti a minoranze o a culture regionali<br />
che si trovano nei loro territori sia uguale a quello degli altri cittadini per quanto riguarda i contatti<br />
fra persone ai sensi dell’Atto Finale e degli altri citati documenti CSCE, compresi<br />
l’instaurazione e il mantenimento di tali contatti, mediante viaggi e altri mezzi di comunicazione,<br />
anche con cittadini di altri Stati aventi una comune origine nazionale o un retaggio culturale comune”.<br />
Così pure il paragrafo 45 della sezione “Informazione”, in base al quale gli Stati partecipanti<br />
dovranno assicurare “concretamente” che le persone appartenenti a minoranze nazionali<br />
o a culture regionali, che si trovano nei loro territori, possano diffondere, ricevere e scambiare<br />
informazioni nella propria madrelingua.<br />
Per quanto concerne la cooperazione e gli scambi nei campi della cultura e<br />
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dell’educazione, disposizioni che richiedono l’impegno ad azioni positive specificamente riguardanti<br />
le minoranze, sono contenute nei paragrafi 59 e 68, dove si prevede che gli Stati partecipanti<br />
assicurino che le persone appartenenti a minoranze nazionali o a culture regionali che si<br />
trovano nel loro territorio “abbiano ogni opportunità di mantenere e sviluppare la propria cultura<br />
in tutti i suoi aspetti, compresa la lingua, la letteratura, la religione, e che possano preservare i<br />
propri monumenti e oggetti culturali e storici” (par. 59), ed inoltre, che “possano impartire o ricevere<br />
un’istruzione sulla propria cultura, fra l’altro, tramite la trasmissione dai genitori ai figli della<br />
lingua, della religione e dell’identità culturale” (par. 68).<br />
Ma la riunione di Vienna ha segnato un importante passo in avanti nella direzione della<br />
tutela delle minoranze non soltanto per la manifestata crescente concretezza e gli impegni e-<br />
nunciati ma anche perché ha portato, conseguentemente, all’adozione di specifiche iniziative di<br />
rilievo, che in seguito saranno ulteriormente sviluppate e perfezionate.<br />
In tale sede infatti, gli Stati partecipanti al processo della CSCE, riconoscendo<br />
l’esigenza di migliorare l’attuazione dei loro impegni e della loro cooperazione nei settori dei diritti<br />
dell’uomo e delle libertà fondamentali, dei contatti fra le persone e delle altre questioni aventi<br />
un correlativo carattere umanitario, nonché la loro cooperazione in settori, indicati sotto la dizione<br />
“dimensione umana della CSCE”, hanno definito uno specifico sistema di procedure volto<br />
ad assicurare il rispetto dei principi contenuti nell’Atto Finale di Helsinki e negli altri pertinenti<br />
documenti della CSCE, decidendo inoltre la convocazione di una “Conferenza sulla dimensione<br />
umana” finalizzata a conseguire ulteriori progressi in tale campo.<br />
Le procedure, successivamente denominate “meccanismo” ed ulteriormente perfezionate,<br />
sono contenute nel capitolo “Dimensione umana della CSCE” e sono fissate in quattro paragrafi<br />
riguardanti altrettanti fasi: scambio di informazioni e risposta a richieste di informazioni e<br />
ad osservazioni su questioni relative alla dimensione umana; riunioni bilaterali per la soluzione<br />
di questioni, riguardanti anche situazioni e casi specifici; segnalazione da parte di uno Stato, di<br />
situazioni e casi a tutti gli altri Stati partecipanti; esame delle questioni, con informazioni sulle<br />
fasi precedenti, in occasione delle riunioni della Conferenza sulla Dimensione Umana, nonché<br />
nelle riunioni principali della CSCE nel quadro dei Seguiti.<br />
La Conferenza sulla Dimensione Umana, da tenersi in riunioni, rispettivamente a Parigi,<br />
Copenaghen e Mosca, avrebbe dovuto valutare gli sviluppi nel campo della dimensione umana<br />
e nell’attuazione dei pertinenti impegni, nonché il funzionamento del sistema di procedure definito<br />
e le informazioni fornite in base ad esso, esaminando anche proposte concrete per ulteriori<br />
nuove misure volte a migliorare sia l’attuazione degli impegni che l’efficacia delle procedure<br />
stesse.<br />
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DOCUMENTI CONCLUSIVI DELLE RIUNIONI DELLA CONFERENZA SULLA DIMENSIONE<br />
UMANA DELLA C.S.C.E. DI COPENAGHEN E MOSCA<br />
In attuazione delle decisioni assunte a Vienna, la Conferenza sulla Dimensione Umana<br />
si è riunita a Parigi dal 30 maggio al 23 giugno 1989, a Copenaghen dal 5 al 29 giugno 1990 e a<br />
Mosca dal 10 settembre al 4 ottobre 1991.<br />
Nelle riunioni sono stati rilevati miglioramenti progressivi nell’attuazione degli impegni<br />
concernenti la dimensione umana, ma è stata anche ravvisata la necessità di passi ulteriori e di<br />
costanti sforzi da parte degli Stati per la piena attuazione di taluni impegni, ai cui fini, soprattutto<br />
nella riunione di Mosca, è stato deciso anche di adeguare il sistema di procedure definito a<br />
Vienna rafforzato ed ampliato per accrescerne l’efficacia.<br />
Per quanto concerne in particolare le minoranze nazionali, la Riunione di Copenaghen<br />
ha costituito una tappa molto significativa nel cammino per la loro tutela, della quale si occupa il<br />
capitolo IV del Documento conclusivo, ove si enunciano i principi da rispettare, i diritti da garantire<br />
e le misure da adottare per assicurarne l’effettivo esercizio.<br />
Viene innanzitutto riottenuto che “il rispetto dei diritti delle persone appartenenti a minoranze<br />
nazionali, in quanto parte dei diritti dell’uomo universalmente riconosciuti, è un fattore essenziale<br />
per la pace, la giustizia, la stabilità e la democrazia negli Stati Partecipanti”, ed inoltre<br />
riconosce che le questioni relative alle minoranze nazionali “possono essere risolte in maniera<br />
soddisfacente solo in un quadro politico democratico basato sullo stato di diritto, con un sistema<br />
giudiziario indipendente e funzionante”, rilevando l’importante ruolo svolto dalle organizzazioni<br />
non governative che si occupano dei diritti dell’uomo ai fini della promozione della tolleranza e<br />
delle diversità culturali e per la soluzione delle questioni relative alle minoranze (par 30).<br />
Si enuncia poi una serie di diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali, che<br />
possono essere esercitati sia individualmente che in associazione con altri membri del loro<br />
gruppo; in particolare: il diritto di esercitare pienamente ed effettivamente i diritti dell’uomo e le<br />
libertà fondamentali senza discriminazione alcuna e in piena uguaglianza dinanzi alla legge,<br />
con l’impegno, per gli Stati partecipanti, ad adottare ove necessario “misure speciali” per garantire<br />
la piena uguaglianza (par. 31); il diritto di esprimere liberamente, preservare e sviluppare la<br />
propria identità etnica, culturale, linguistica o religiosa e di mantenere e sviluppare la propria<br />
cultura in tutti i suoi aspetti, al riparo da ogni tentativo di assimilazione forzata contro la volontà<br />
(par. 32); in tale contesto, il diritto di usare liberamente la propria lingua nella vita privata e in<br />
quella pubblica (par. 32.1), di creare e conservare proprie istituzioni o associazioni, con possibilità<br />
di richiedere interventi finanziari o di altro genere secondo la legislazione nazionale (par.<br />
32.2), di praticare e professare la propria religione e di svolgere attività educative religiose nella<br />
propria lingua (par. 32.3), di stabilire e mantenere liberi contatti sia all’interno del proprio Paese<br />
che oltre frontiera con i cittadini di altri Stati con i quali sono in comune l’origine nazionale o etnica,<br />
il retaggio culturale o le convinzioni religiose (par. 3 2.4), il diritto di diffondere, avere accesso<br />
e scambiare informazioni, nella madrelingua (par. 32.5), di costituire e mantenere organizzazioni<br />
o associazioni all’interno del proprio Paese e di partecipare ad organizzazioni internazionali<br />
non governative (par. 32.6).<br />
Vengono quindi definiti gli impegni degli Stati partecipanti, ai quali si richiede di tutelare<br />
l’identità etnica, culturale, linguistica e religiosa delle minoranze nazionali, di creare le condizioni<br />
per la sua promozione adottando anche, previa consultazione delle minoranze interessate, le<br />
necessarie misure, che devono essere anche “conformi ai principi di uguaglianza e non discriminazione”<br />
(par. 33) e di adoperarsi per assicurare in concreto la possibilità dell’istruzione della<br />
o nella madrelingua, nonché, “laddove possibile e necessario”, l’uso di tale lingua nei rapporti<br />
con le pubbliche autorità (par. 34).<br />
Con riguardo alla vita pubblica gli Stati dovranno inoltre rispettare il diritto delle persone<br />
appartenenti a minoranze nazionali di partecipare effettivamente agli affari pubblici, anche per<br />
le questioni relative alla tutela e alla promozione della loro identità.<br />
A tale proposito si indica in particolare, come uno dei mezzi pubblici per conseguire le<br />
finalità, “la costituzione di amministrazioni locali o autonome adeguate, rispondenti ai fattori<br />
specifici storici e territoriali relativi a tali minoranze e conformi alle politiche dello Stato” (par.<br />
35).<br />
Viene anche riconosciuta la particolare importanza di rafforzare la cooperazione tra gli<br />
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Stati sulle questioni relative a minoranze nazionali (par. 36) e saranno pienamente rispettati gli<br />
impegni assunti in base alle convenzioni esistenti sui diritti dell’uomo e agli altri pertinenti strumenti<br />
internazionali, valutando di aderire alla Convenzione non ancora sottoscritta, comprese<br />
quelle che prevedono il diritto di ricorso da parte dei singoli (par. 38).<br />
Ulteriori impegni vengono assunti per combattere l’odio razziale, etnico o religioso ed<br />
ogni altra forma di discriminazione e persecuzione, che vengono fermamente condannati, e per<br />
tutelare le persone o i gruppi che possono esserne vittime (par. 40).<br />
Al meccanismo della dimensione umana deciso a Vienna, ritenuto un valido strumento<br />
di cooperazione e di ausilio per la soluzione delle inerenti questioni, vengono apportati taluni ritocchi,<br />
per accrescere l’efficacia delle relative procedure.<br />
Ma è nella terza riunione della Conferenza sulla Dimensione Umana, che ha avuto luogo<br />
a Mosca dal 10 settembre al 4 ottobre 1991, cioè dopo l’adozione della Carta di Parigi per<br />
una nuova Europa e la Riunione di Esperti sulle minoranze nazionali tenutasi a Ginevra, che il<br />
“meccanismo” e stato notevolmente rafforzato ed ampliato, per ridurre i tempi delle procedure e<br />
per favorire la soluzione di questioni o di specifiche situazioni.<br />
Infatti, oltre a fissare i tempi per la risposta alle richieste di informazioni ed alle osservazioni<br />
(dieci giorni) e per gli incontri bilaterali (nel più breve tempo possibile e di regola entro una<br />
settimana), si prevede anche l’intervento di missioni di “esperti” o di “relatori” della CSCE, tratti<br />
da un elenco di eminenti personalità appositamente costituito, che operano secondo presupposti<br />
e procedure diversamente definiti. Nel caso di una minaccia particolarmente grave<br />
all’attuazione delle disposizioni della dimensione umana l’avvio della procedura per l’invio di<br />
una missione di relatori prescinde dall’esaurimento delle prime due fasi del meccanismo o delle<br />
altre procedure, ma deve comunque avere l’appoggio di almeno altri nove Stati.<br />
Il documento conclusivo di Mosca affronta inoltre molteplici questioni nel campo della<br />
giustizia, della libertà personale, dei diritti dell’uomo e delle altre libertà fondamentali, toccando<br />
anche il tema delle minoranze nazionali (par. 37), per le quali vengono confermate le disposizioni<br />
e gli impegni assunti in tutti i documenti CSCE, e in particolare il Documento della Riunione<br />
di Copenaghen della Conferenza sulla Dimensione Umana ed il rapporto della Riunione di<br />
esperti sulle minoranze nazionali di Ginevra, di cui viene chiesta la piena e pronta attuazione.<br />
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CARTA DI PARIGI PER UNA NUOVA EUROPA<br />
Anche la Carta di Parigi per una nuova Europa riserva particolare attenzione alle minoranze<br />
nazionali.<br />
Adottata a conclusione del Vertice dei Capi di Stato e di <strong>Governo</strong> degli Stati partecipanti<br />
alla CSCE tenutosi a Parigi dal 19 al 21 novembre 1990 dopo i profondi mutamenti verificatisi in<br />
Europa a seguito degli avvenimenti del 1989, la Carta costituisce un documento fondamentale<br />
nel percorso della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, riconfermando la<br />
piena validità dei Dieci Principi dell’Atto Finale di Helsinki e segnando l’avvio, sulla base di essi<br />
e di tutti gli altri impegni CSCE, di una nuova fase delle relazioni tra i Paesi partecipanti, fondata<br />
sul rispetto e sulla cooperazione, verso l’obiettivo di “una democrazia basata sui diritti dell’uomo<br />
e sulle libertà fondamentali, la prosperità attraverso la libertà economica e la giustizia sociale<br />
nonché una uguale sicurezza” per tutti i Paesi partecipanti.<br />
In tale quadro gli Stati partecipanti, nel definire i precetti in tema di diritti dell’uomo, democrazia<br />
e stato di diritto, hanno anche affermato che “l’identità etnica, culturale, linguistica e<br />
religiosa delle minoranze nazionali sarà tutelata e che le persone appartenenti a minoranze nazionali<br />
hanno il diritto di esprimere liberamente, preservare e sviluppare tale identità senza discriminazioni<br />
di alcun genere ed in piena uguaglianza di fronte alla legge”.<br />
In particolare, nel capitolo dedicato agli “Orientamenti per il futuro”, gli Stati partecipanti,<br />
decisi a promuovere “il prezioso contributo delle minoranze nazionali alla vita delle nostre società”,<br />
si sono impegnati a migliorarne ulteriormente le condizioni riaffermando la “profonda convinzione<br />
che le relazioni amichevoli fra i nostri popoli, nonché la pace, la giustizia, la stabilità e<br />
la democrazia, richiedono che venga tutelata l’identità etnica, culturale, linguistica e religiosa<br />
delle minoranze nazionali e che vengano create le condizioni per la promozione di tale identità”.<br />
Essi hanno anche ribadito che le questioni relative alle minoranze nazionali possono<br />
essere risolte in modo soddisfacente soltanto in un contesto politico democratico, riconoscendo<br />
inoltre che i diritti delle persone ad esse appartenenti devono essere pienamente rispettati quale<br />
parte dei diritti universali dell’uomo.<br />
Nell’intento di conseguire una maggiore cooperazione in materia e una migliore tutela<br />
delle minoranze nazionali, della cui “urgente esigenza” gli Stati partecipanti si sono dichiarati<br />
consapevoli, è stata altresì decisa la convocazione di una riunione di Esperti sulle minoranze<br />
nazionali, da tenersi a Ginevra dal 10 al 19 luglio 1991, con lo scopo di discutere approfonditamente<br />
il problema delle minoranze nazionali e dei diritti delle persone che vi appartengono, tenendo<br />
anche conto della diversità delle situazioni e dei contesti giuridici, storici, politici ed economici,<br />
e di avere uno scambio di vedute sull’esperienza pratica, esaminando anche<br />
l’attuazione degli impegni in materia, e i possibili miglioramenti del relativo standard, nonché<br />
nuove misure per migliorare l’attuazione stessa.<br />
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RAPPORTO DELLA RIUNIONE DI GINEVRA DELLA C.S.C.E. DI ESPERTI SULLE MINO-<br />
RANZE NAZIONALI<br />
Come deciso a Parigi, la riunione degli Esperti sulle minoranze nazionali si è tenuta a<br />
Ginevra dal l° al 19 luglio 1991, e ad essa hanno partecipato anche rappresentanti delle Nazioni<br />
Unite e del Consiglio d’Europa.<br />
Secondo le finalità prefissate, sui problemi delle minoranze nazionali e dei diritti delle<br />
persone appartenenti a tali minoranze è stato svolto un dibattito molto approfondito, che ha rispecchiato<br />
il quadro di diversità delle situazioni e degli antecedenti giuridici, storici, politici ed<br />
economici dei vari Paesi, e sono state inoltre esaminate diverse proposte per il miglioramento<br />
dell’attuazione degli impegni in materia.<br />
A conclusione dei lavori è stato adottato un Rapporto riepilogativo, che è stato poi trasmesso,<br />
per la programmata terza riunione di Mosca, alla Conferenza sulla dimensione umana,<br />
che, come detto in tale sede lo ha espressamente richiamato auspicandone l’attuazione.<br />
Nel Rapporto si afferma che il rispetto ed il pieno esercizio dei diritti dell’uomo e delle libertà<br />
fondamentali, inclusi quelli delle persone appartenenti alle minoranze nazionali, sono “il<br />
fondamento della Nuova Europa” e si sottolinea “la costante importanza di un riesame approfondito<br />
dell’attuazione” dei relativi impegni.<br />
Quanto al rispetto del diritto delle persone appartenenti a minoranze nazionali di partecipare<br />
agli affari pubblici, viene evidenziata a tal fine l’esigenza di un loro effettivo coinvolgimento<br />
allorché vengano discusse questioni relative alla situazione delle minoranze nazionali, come<br />
pure l’importanza di una appropriata partecipazione democratica ad organi decisionali o consultivi,<br />
e si riaffermano il principio della non discriminazione ed il diritto delle persone appartenenti<br />
alle minoranze nazionali di esprimere liberamente, preservare e sviluppare la propria identità<br />
etnica, linguistica o religiosa e di mantenere e sviluppare la propria cultura in tutti i suoi aspetti,<br />
al riparo da ogni tentativo di non voluta assimilazione (par. III).<br />
Si indicano quindi, nel paragrafo IV, le azioni positive che gli Stati devono attuare per<br />
assicurare in concreto la piena uguaglianza e la pari opportunità, per tutelare l’identità etnica,<br />
culturale, linguistica e religiosa delle minoranze nazionali nel loro territorio e per creare le condizioni<br />
per la promozione di tale identità.<br />
Di notevole rilievo in tale contesto la decisione di segnalare anche una lunga serie di<br />
specifiche soluzioni adottate con risultati positivi da alcuni Stati e che singolarmente o in associazione<br />
possono essere utili per migliorare la situazione delle minoranze.<br />
Vengono in particolare citate concretamente - le soluzioni che prevedano:<br />
- organi consultivi decisionali nei quali siano rappresentate le minoranze, in particolare per<br />
quanto riguarda l’educazione, la cultura e la religione;<br />
- organi ed assemblee elettivi per le questioni delle minoranze nazionali;<br />
- amministrazioni locali ed autonome, nonché autonomia su una base territoriale, inclusa<br />
l’esistenza di organi consultivi, legislativi ed esecutivi scelti mediante elezioni libere e periodiche;<br />
- amministrazione autonoma da parte di una minoranza nazionale degli aspetti concernenti la<br />
propria identità in situazioni in cui non si applica l’autonomia su base territoriale;<br />
- forme di governo decentralizzate o locali;<br />
- accordi bilaterali e multilaterali ed altre intese concernenti le minoranze nazionali;<br />
- per le persone appartenenti a minoranze nazionali, opportunità di adeguati livelli di educazione<br />
nella loro madrelingua con il dovuto riguardo al numero, ai modelli di insediamento,<br />
geografico ed alle tradizioni culturali delle minoranze nazionali;<br />
- stanziamenti per l’insegnamento delle lingue delle minoranze alla popolazione in generale,<br />
nonché inserimento delle lingue delle minoranze in istituzioni per la formazione degli insegnanti,<br />
in particolare nelle regioni abitate da persone appartenenti a minoranze nazionali;<br />
- nei casi in cui l’insegnamento di una particolare disciplina non sia assicurato nel loro territorio<br />
nella lingua della minoranza a tutti i livelli, adozione delle misure necessarie al fine di trovare<br />
i mezzi per il riconoscimento dei titoli di studio rilasciati all’estero per un corso di studio<br />
portato a termine in tale lingua;<br />
- creazione di agenzie governative di ricerca per riesaminare la legislazione e diffondere le informazioni<br />
connesse con la parità dei diritti e la non-discriminazione;<br />
78
- fornitura di assistenza finanziaria e tecnica alle persone appartenenti alle minoranze nazionali<br />
che lo desiderino per consentire loro di esercitare il proprio diritto di creare e conservare<br />
le proprie istituzioni, organizzazioni e associazioni educative, culturali e religiose;<br />
- assistenza governativa per affrontare le difficoltà locali relative a prassi discriminatorie (per<br />
esempio, un servizio di consultazione per i cittadini);<br />
- incoraggiamento degli sforzi per migliorare le relazioni di base nell’ambito di una comunità<br />
fra le comunità minoritarie, fra le comunità maggioritarie e minoritarie, e fra le comunità limitrofe<br />
al fine di contribuire a prevenire l’insorgere di tensioni locali e affrontare pacificamente<br />
eventuali conflitti;<br />
- incoraggiamento dell’istituzione di commissioni miste e permanenti, sia interstatali che regionali,<br />
per agevolare la continuazione del dialogo tra le regioni confinanti interessate.<br />
Viene inoltre riaffermato, nella parte V, l’impegno a rispettare il diritto delle persone appartenenti<br />
a minoranze nazionali di esercitare godere dei propri diritti singolarmente o in comune con<br />
altri e di creare e conservare proprie organizzazioni ed associazioni, anche educative, culturali<br />
e religiose, con l’impegno a non ostacolarne l’esercizio, riconoscendo al riguardo il “ruolo rilevante<br />
e vitale” svolto da persone, da organizzazioni non governative e da gruppi religiosi e di<br />
altro genere nel promuovere la comprensione transculturale e nel migliorare le relazioni a tutti i<br />
livelli delle società, anche al di là delle frontiere.<br />
Altri aspetti rilevanti ai fini di tutela vengono trattati nella parte VI, concernente in particolare<br />
i fenomeni di odio razziale, etnico e religioso e di discriminazione, e nella parte VII, ove si<br />
prevedono impegni degli Stati per assicurare libere comunicazioni tra le persone appartenenti a<br />
minoranze nazionali, l’accesso ai “media” senza discriminazioni, liberi contatti sia all’interno dello<br />
Stato che al di là delle frontiere, nonché per incoraggiare accordi di cooperazione transfrontaliera<br />
a livello nazionale, regionale e locale.<br />
79
DOCUMENTO CONCLUSIVO DEL VERTICE DI HELSINKI (9-10 LUGLIO 1992)<br />
“LE SFIDE DEL CAMBIAMENTO”<br />
Il Vertice dei Capi di Stato o di <strong>Governo</strong> tenutosi ad Helsinki il 9 e 10 luglio 1992 ha segnato<br />
ulteriori progressi nel campo della dimensione umana e della protezione delle minoranze<br />
nazionali.<br />
In quella sede, infatti, è stato ulteriormente ritoccato il “meccanismo della dimensione<br />
umana”, per adeguarlo al nuovo assetto delle strutture e delle istituzioni della CSCE e, con più<br />
specifico riguardo alle minoranze nazionali, è stata decisa l’istituzione di un Alto Commissario<br />
per le Minoranze Nazionali, in funzione di prevenzione di conflitti attraverso un sistema di preallarme<br />
e di gestione preventiva di situazioni di crisi.<br />
L’Alto Commissario ha in particolare il compito di fornire un “preallarme” e, se del caso,<br />
un’“azione tempestiva” quanto più sollecitamente possibile in relazione a tensioni concernenti<br />
questioni relative a minoranze nazionali capaci di trasformarsi in un conflitto nell’area CSCE,<br />
che pregiudichino la pace, la stabilità o le relazioni fra gli Stati partecipanti, e di richiedere<br />
l’attenzione e l’azione del Consiglio della CSCE, organo decisionale centrale e di governo, o del<br />
Comitato degli Alti Funzionari (CSO).<br />
In tale contesto gli Stati partecipanti hanno nuovamente ribadito, “nei termini più energici”,<br />
la loro determinazione ad attuare in maniera sollecita e fedele a tutti gli impegni CSCE,<br />
compresi quelli contenuti nei Documenti conclusivi di Vienna e Copenaghen e nel Rapporto degli<br />
Esperti sulle Minoranze Nazionali di Ginevra, riguardanti questioni relative alle minoranze<br />
nazionali e ai diritti delle persone ad esse appartenenti (p. 23), impegnandosi in tale contesto ad<br />
intensificare gli sforzi per assicurare il libero esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali,<br />
incluso il diritto di partecipare pienamente, secondo le procedure decisionali, democratiche<br />
di ciascuno Stato, alla vita politica, economica, sociale e culturale dei loro Paesi, anche attraverso<br />
la partecipazione democratica agli organi decisionali e consultivi a livello nazionale, regionale<br />
e locale, tramite, tra l’altro, i partiti politici e le associazioni (p. 24).<br />
Si è inoltre deciso (p. 25-27) che da parte degli Stati si continuino ad esplorare, con<br />
sforzi unilaterali, bilaterali e multilaterali, nuove vie per una più efficace attuazione dei loro impegni,<br />
compresi quelli relativi alla tutela e alla creazione di condizioni atte a promuovere<br />
l’identità etnica, culturale, linguistica e religiosa delle minoranze nazionali, affrontando le questioni<br />
relative alle minoranze nazionali in maniera costruttiva, con mezzi pacifici e attraverso il<br />
dialogo fra tutte le parti interessate, condannando ogni tentativo di reinsediamento forzoso di<br />
persone finalizzato a modificare la composizione etnica di zone nei loro territori.<br />
80
DOCUMENTO DEL VERTICE DI BUDAPEST<br />
“VERSO UNA VERA PARTNERSHIP IN UNA NUOVA ERA”<br />
Il successivo Vertice di Budapest, conclusosi con l’adozione del documento del 6 dicembre<br />
1994 “Verso una vera partnership in una nuova era”, ha portato al cambiamento della<br />
denominazione della CSCE in Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa<br />
(OSCE), in relazione al mutamento sostanziale e all’ampliamento del ruolo dell’Organismo determinati<br />
dalla nuova era di sicurezza e di cooperazione in Europa.<br />
In tale sede i Capi di Stato e di <strong>Governo</strong> dei Paesi partecipanti, riunitisi, alla vigilia del<br />
cinquantesimo anniversario della Seconda Guerra Mondiale e del ventesimo anniversario della<br />
firma dell’Atto Finale di Helsinki e nella ricorrenza del quinto anniversario della caduta del muro<br />
di Berlino, “per valutare insieme il recente passato, per considerare il presente e per guardare al<br />
futuro” (p. 1) hanno sottolineato come la CSCE sia stata uno strumento efficace “per abbattere<br />
le barriere e gestire il cambiamento”, con sviluppi incoraggianti (p. 4), rilevando però che “il diffondersi<br />
delle libertà è stato accompagnato da nuovi conflitti e dal risveglio di antiche ostilità” e<br />
che “i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali vengono tuttora conculcati” e persistono<br />
l’intolleranza e la discriminazione nei confronti delle minoranze.(p. 5)<br />
Di qui la ribadita esigenza di una azione risoluta da parte degli Stati partecipanti e di<br />
una cooperazione per assicurare il pieno rispetto dei principi e degli impegni CSCE e una effettiva<br />
solidarietà al fine di alleviare le sofferenze, con la conseguente decisione, tra le altre, di potenziare<br />
il quadro della cooperazione e del dialogo nel campo della dimensione umana e di ampliare<br />
il quadro operativo della CSCE, potenziando in particolare l’Ufficio per le Istituzioni Democratiche<br />
e i Diritti dell’Uomo (ODIHR) e rafforzandone il ruolo, anche ai fini di una maggiore<br />
cooperazione con altre organizzazioni ed istituzioni internazionali, che operano nel campo della<br />
dimensione umana. Con specifico riguardo alle minoranze nazionali è stata inoltre confermata<br />
la determinazione di promuovere costantemente l’attuazione delle disposizioni dell’Atto Finale di<br />
Helsinki e di tutti gli altri documenti CSCE relativi alla tutela dei diritti delle persone appartenenti<br />
alle minoranze nazionali, accogliendo con favore le iniziative internazionali volte ad una migliore<br />
tutela dei diritti delle persone appartenenti a tali minoranze, tra le quali la Convenzione quadro<br />
la protezione delle minoranze nazionali che è stata aperta a firma anche agli Stati non membri<br />
(VIII - p. 21-22).<br />
81
GLI INTERVENTI DELL’UNIONE EUROPEA<br />
83
PREMESSA<br />
La difesa e la promozione dei diritti umani e delle libertà fondamentali e lo sviluppo delle<br />
culture degli Stati membri rappresentano obiettivi imprescindibili per la Comunità Europea.<br />
L’impegno per il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ha costituito infatti<br />
uno dei compiti centrali del Parlamento e della Comunità europea, che lo ha anche posto<br />
come condizione preliminare, essenziale per poter entrare a far parte della Comunità e per la<br />
conclusione di accordi di cooperazione con i Paesi terzi.<br />
Il Parlamento Europeo ha anche previsto un sistema di monitoraggio delle situazioni<br />
concernenti i diritti dell’uomo nel mondo attraverso relazioni annuali presentate dalla competente<br />
Commissione politica, prendendo posizioni nette e decise in presenza di violazioni.<br />
La cultura, poi, ha assunto nel tempo un ruolo sempre più importante nell’elaborazione<br />
e nell’attuazione delle politiche comunitarie, nel convincimento che essa è uno strumento fondamentale<br />
per favorire la cooperazione e la pace e che per progredire verso l’Unione europea<br />
l’integrazione economica deve essere accompagnata da un incisivo sviluppo delle politiche culturali.<br />
Nel Trattato di Maastricht è stata anche inserita una specifica norma sulla cultura, l’art.<br />
128, che impegna la Comunità a contribuire “al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri<br />
nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale<br />
comune”.<br />
Nel quadro di tali obiettivi la Comunità europea è intervenuta anche a favore della tutela<br />
delle minoranze.<br />
LE RISOLUZIONI DEL PARLAMENTO EUROPEO<br />
Si è già avuto modo di accennare come negli anni ‘80 andasse sempre più maturando<br />
presso gli Organismi europei la consapevolezza che per una effettiva tutela internazionale delle<br />
minoranze fossero necessarie previsioni volte non soltanto a formulare principi fondamentali sui<br />
diritti delle minoranze, ma anche a tradurre i principi stessi in concrete misure attuative e di garanzia<br />
da parte degli Stati.<br />
Nella medesima direzione si è mossa la Comunità Europea.<br />
E’ in particolare con la Risoluzione del Parlamento Europeo del 16 ottobre 1981 su “una<br />
Carta delle lingue e culture regionali e una Carta dei diritti delle minoranze etniche” e con la<br />
contemporanea Raccomandazione 928 (1981) dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio<br />
d’Europa “sui problemi dell’educazione e della cultura delle lingue minoritarie in Europa”, che si<br />
inizia l’elaborazione dei progetto della Carta Europea delle Lingue regionali e/o minoritarie,<br />
strumento che è stato poi adottato il 5 novembre 1992 e che, in quanto convenzione, è giuridicamente<br />
impegnativo per gli Stati contraenti.<br />
Con la Risoluzione del 1981, infatti, il Parlamento Europeo muoveva dalla considerazione<br />
che l’identità culturale è uno dei bisogni psicologici non materiali più importanti e che per<br />
la salvaguardia di un patrimonio linguistico e culturale è imprescindibile creare e consolidare le<br />
condizioni idonee e necessarie per il suo continuo sviluppo.<br />
Sulla base di tali considerazioni e nell’intento di consolidare la coesione dei popoli europei<br />
e di preservarne le lingue così da arricchirne la multiculturalità, con tale Risoluzione il Parlamento<br />
Europeo invitava i governi nazionali e i poteri regionali e locali ad adottare una politica<br />
di tutela delle minoranze che avesse una comune ispirazione e tendesse agli stessi fini, con misure<br />
nei campi dell’istruzione, dell’informazione, della vita pubblica e dei rapporti sociali.<br />
In particolare, per quanto concerne il settore dell’istruzione, si richiedeva di consentire e<br />
promuovere l’insegnamento delle lingue e culture minoritarie nell’ambito dei programmi ufficiali,<br />
dalla scuola materna fino all’università, nonché nelle lingue minoritarie, in particolare nella scuola<br />
materna, come pure l’insegnamento della letteratura e della storia delle comunità interessate.<br />
Nel campo dei mezzi di comunicazione di massa si invitava a permettere e a rendere<br />
possibile l’accesso alla radio e alla televisione locali, a favorire la formazione di operatori culturali<br />
specializzati e a fare in modo che le minoranze per le loro manifestazioni culturali fruissero,<br />
nelle dovute proporzioni, di aiuti organizzativi e finanziari equivalenti a quelli di cui disponevano<br />
le maggioranze.<br />
85
Quanto al campo della vita pubblica e dei rapporti sociali, si invitava ad attribuire in materia<br />
una responsabilità diretta ai poteri locali, a “favorire al massimo la corrispondenza tra regioni<br />
culturali e disegno geografico dei poteri locali” e a garantire la possibilità di usare la propria<br />
lingua nei rapporti con i rappresentanti dello Stato e dinanzi agli organi giudiziari.<br />
La Commissione Europea veniva inoltre invitata a prevedere, nel quadro<br />
dell’educazione linguistica, progetti-pilota destinati a verificare i metodi di una educazione plurilingue,<br />
ad includere nei propri programmi relativi ai settori dell’informazione e della cultura iniziative<br />
volte a dare vita ad una politica culturale europea che tenesse conto delle aspettative<br />
delle minoranze etniche e linguistiche europee, e a riesaminare tutta la normativa e tutte le<br />
prassi comunitarie che operavano discriminazioni nei confronti delle lingue delle minoranze.<br />
Si raccomandava anche che da parte del Fondo regionale fossero destinati finanziamenti<br />
a progetti rivolti a sostenere le culture regionali e popolari, nonché a progetti economici<br />
regionali, al fine di favorire lo sviluppo economico delle aree interessate.<br />
L’esigenza di prevedere misure specifiche per la tutela delle lingue e delle culture delle<br />
minoranze veniva nuovamente riproposta dal Parlamento Europeo con la Risoluzione del “1<br />
febbraio 1983 “sulle misure a favore delle lingue e delle culture di minoranza”, con l’invito ad intensificare<br />
gli sforzi in tale settore, ed ancora, più diffusamente, con la Risoluzione del 30 ottobre<br />
1987 “sulle lingue e culture delle minoranze etniche e regionali nella Comunità Europea”.<br />
Con tale ultima Risoluzione, richiamandosi ai principi sui diritti delle minoranze sanciti<br />
dalle Nazioni Unite e dal Consiglio d’Europa, il Parlamento Europeo invitava alla completa applicazione<br />
dei principi e delle misure contenute nelle precedenti Risoluzioni e sottolineava la<br />
necessità che gli Stati membri riconoscessero le loro minoranze linguistiche nei rispettivi ordinamenti<br />
giuridici così da creare la premessa per il mantenimento e lo sviluppo delle culture e<br />
delle lingue regionali e minoritarie, sollecitando gli Stati che avevano già previsto nella propria<br />
Costituzione principi generali di tutela delle minoranze a provvedere tempestivamente, con<br />
norme organiche, all’attuazione concreta di tali principi.<br />
Si raccomandava, inoltre, l’adozione di una serie di misure concrete volte a consentire e<br />
favorire l’uso e lo sviluppo delle lingue regionali e minoritarie nei diversi settori della vita pubblica,<br />
culturale, sociale ed economica.<br />
In particolare, per quanto concerne l’istruzione, si richiedeva tra l’altro di organizzare ufficialmente,<br />
nelle zone linguistiche interessate, l’insegnamento nelle lingue regionali e minoritarie<br />
equiparato con quello nella lingua nazionale, dalla formazione prescolare all’università e alla<br />
formazione permanente, e di riconoscere ufficialmente i corsi, le classi e le scuole istituiti da associazioni<br />
abilitate all’insegnamento, che utilizzassero per l’insegnamento una lingua regionale<br />
o minoritaria.<br />
Si invitava anche a dedicare particolare attenzione alla formazione di personale insegnante<br />
nelle lingue regionali o minoritarie e ad assicurare inoltre gli strumenti pedagogici necessari<br />
per la realizzazione degli interventi nel campo dell’istruzione.<br />
Quanto ai rapporti amministrativi e giuridici si raccomandava di garantire, nelle aree di<br />
insediamento, l’impiego delle lingue regionali e minoritarie negli enti locali e negli uffici periferici<br />
dell’autorità centrale e di rivedere la legislazione nazionale e le prassi discriminanti nei confronti<br />
delle lingue delle minoranze, come pure di riconoscere ufficialmente i patronimici e i toponimi<br />
esistenti nelle lingue regionali o minoritarie, consentendo inoltre nelle liste elettorali la denominazione<br />
di località ed altre indicazioni in tali lingue.<br />
Con riguardo al campo dei mezzi di comunicazione di massa si esortava a consentire<br />
l’accesso alle emittenti pubbliche e private e ad assicurare ai gruppi minoritari, per i loro programmi,<br />
sostegni organizzativi e finanziari analoghi a quelli della maggioranza, raccomandando<br />
anche di sostenere la formazione dei giornalisti e del personale operante nel settore.<br />
Nel campo delle attività culturali si richiedeva di garantire la partecipazione diretta dei<br />
rappresentanti di gruppi che utilizzano lingue regionali o minoritarie alla gestione della cultura e<br />
alle attività collaterali, e di creare fondazioni o istituti per lo studio delle lingue regionali o minoritarie<br />
in grado, tra l’altro, di elaborare gli strumenti didattici necessari alla loro introduzione nella<br />
scuola nonché di redigere un “inventario generale” delle lingue regionali o minoritarie interessate,<br />
assicurando il necessario sostegno materiale e finanziario per la realizzazione delle relative<br />
misure.<br />
Per quanto concerne la realtà socioeconomica, si raccomandava di prevedere l’impiego<br />
delle lingue regionali o minoritarie nelle imprese pubbliche e di riconoscere l’impiego di tali lin-<br />
86
gue nei sistemi di pagamento (assegni postali e attività bancarie), nonché nella toponomastica,<br />
nelle iscrizioni dei cartelli stradali e nella segnaletica stradale.<br />
Un riferimento specifico veniva inoltre rivolto alle lingue regionali e minoritarie utilizzate<br />
in più Stati membri, e in particolare nelle zone di confine, per le quali si raccomandava sia di<br />
provvedere a meccanismi appropriati di cooperazione transfrontaliera nell’ambito della politica<br />
culturale e linguistica, sia di incentivare tale cooperazione.<br />
La successiva Risoluzione A3-0396/92 del 21 gennaio 1993 “sulla Comunicazione della<br />
Commissione concernente le nuove prospettive per l’azione della Comunità nel settore culturale”,<br />
interviene dopo l’adozione del Trattato di Maastricht, che introduce la specifica disposizione<br />
di cui all’art. 128 finalizzata allo sviluppo delle culture degli Stati membri.<br />
Tale Risoluzione si occupa pertanto, in particolare della valorizzazione della cultura europea<br />
nelle sue molteplici espressioni di politiche culturali adeguate, anche a livello comunitario<br />
secondo il principio di sussidiarietà, sottolineando che sempre di più la cultura costituisce un fattore<br />
fondamentale di coesione sociale e di crescita della soggettività e che il cammino verso<br />
l’Unione Europea passa “attraverso la manifestazione e la promozione dell’identità culturale europea,<br />
in quanto unità composta tanto più evidente quanto maggiore è la forza ed efficace la<br />
promozione delle diverse culture europee, nazionali, regionali o delle minoranze”.<br />
In tale ampio contesto, quindi, l’attenzione è rivolta anche alle culture delle minoranze e<br />
in particolare alle lingue regionali o minoritarie, la cui difesa e valorizzazione viene considerata<br />
“una premessa metodologica essenziale per ogni politica culturale davvero consapevole di un<br />
approccio finalizzato a mettere in risalto la diversità culturale dell’Europa”.<br />
Ma con la Risoluzione A3-0056/93 sui “diritti dell’uomo nel mondo e sulla politica comunitaria<br />
dei diritti umani per gli anni 1991-1992” del 12 marzo 1993 il Parlamento Europeo amplia<br />
ulteriormente i temi di protezione delle minoranze nazionali, non più specificamente attinenti agli<br />
aspetti della lingua e della cultura, bensì riferiti al più ampio quadro dei diritti dell’uomo e delle<br />
libertà fondamentali.<br />
Nella Risoluzione del 1993, quindi, si sottolinea innanzitutto che il rispetto dei diritti u-<br />
mani e delle libertà fondamentali deve essere preso sempre più in considerazione nelle posizioni<br />
del Parlamento Europeo sugli accordi con i Paesi terzi e nella cooperazione internazionale<br />
e si chiede, conseguentemente, che i diritti umani rappresentino sempre una parte esplicita del<br />
mandato per negoziare con tali Paesi e che tutti gli accordi con essi contengano un meccanismo<br />
appropriato che possa diventare immediatamente operativo non appena si verifichino palesi<br />
violazioni dei diritti dell’uomo.<br />
Si sottolinea inoltre il ruolo primario del Consiglio d’Europa per quanto concerne i diritti<br />
umani nell’Europa ampliata evidenziando che i criteri dallo stesso fissati “hanno costituito un<br />
punto di riferimento per i Paesi di recente democratizzazione dell’Europa centrale e orientale”<br />
(76).<br />
Si sottolinea anche il crescente impegno della CSCE sul tema della dimensione umana<br />
ricordando che nel documento di Copenaghen del giugno 1990 sono stati affermati molti importanti<br />
diritti, soprattutto in merito a quelli delle minoranze (79), e si considera il meccanismo di<br />
intervento della diplomazia preventiva come definito nella Conferenza di Helsinki del 1992, un<br />
utile strumento per allentare le tensioni e scoraggiare i conflitti, (92) pur rilevando l’opportunità<br />
di un coordinamento con le altre iniziative intergovernative.<br />
Alle minoranze è riservata una specifica parte della Risoluzione, nella quale si rileva<br />
che il problema della crescente tensione tra etnie e nazionalità si sta sviluppando in modo evidente<br />
sia in Europa che nel resto del mondo, e si ricorda che le garanzie giuridiche e politiche a<br />
tutela delle minoranze etniche, nazionali, religiose, linguistiche ed i diritti umani connessi “devono<br />
essere assicurate in modo tale che nessun svantaggio insuperabile derivi dal fatto di appartenere<br />
ad una minoranza” qualunque sia la soluzione che nei diversi casi si dà al problema della<br />
sovranità nazionale e delle frontiere (97), e che la previsione di adeguate garanzie per le minoranze<br />
è tra le condizioni indispensabili per il riconoscimento di nuovi Stati e per stabilire relazioni<br />
di cooperazione con essi (98).<br />
Si appoggia inoltre la nomina dell’Alto Commissario per le Minoranze nazionali in seno<br />
alla CSCE (100) e si afferma che i problemi relativi alle minoranze sono di legittimo interesse<br />
internazionale, riconoscendo il ruolo guida del Consiglio d’Europa nel campo dei diritti umani<br />
(101).<br />
L’adozione, da parte della Assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1992,<br />
87
della Dichiarazione sui diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali o etniche, religiose<br />
o linguistiche è accolta con grande favore (102), ma attesa la mancanza, nonostante<br />
questa importante dichiarazione, di uno strumento internazionalmente vincolante per quanto riguarda<br />
la tutela delle minoranze, si ravvisa la necessità “di concepire un sistema internazionale,<br />
che possibilmente trovi ispirazione nella CSCE, per una attiva protezione delle minoranze (103).<br />
Nel ricordare al riguardo che da parte del Consiglio d’Europa è stata adottata la “Carta<br />
Europea per le Lingue regionali e/o minoritarie” sotto forma di convenzione, e quindi internazionalmente<br />
vincolante, aperta alla firma del 5 novembre 1992, si sollecitano gli Stati ad aderirvi<br />
senza indugio e ad accelerare, in sede di Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, la stipula<br />
di un protocollo interlocutorio relativo alla Convenzione sulla tutela dei diritti umani delle minoranze<br />
(107), stipula alla quale poco tempo dopo si perverrà con l’adozione della Convenzionequadro<br />
per la protezione delle minoranze nazionali, aperta alla firma il 10 febbraio 1995.<br />
Si decide, infine, un ulteriore rafforzamento dell’azione del Parlamento europeo nel<br />
campo dei diritti umani, anche in relazione al suo potere di non concedere il parere conforme<br />
per accordi con Paesi terzi in presenza di gravi violazioni dei diritti umani (149 e 150) e di attuare<br />
un maggior coordinamento con altri organismi nazionali ed internazionali operanti nel settore,<br />
sia all’interno che all’esterno della Comunità europea (158).<br />
Sulle minoranze linguistiche e culturali il Parlamento Europeo torna ancora con la Risoluzione<br />
A3-0042/94 del 9 febbraio 1994 per esortare ad una azione di protezione e promozione<br />
della diversità linguistica quale “fattore chiave nella realizzazione di una Europa pacifica e democratica”.<br />
Si considera infatti che la Comunità europea ha la responsabilità di sostenere gli Stati<br />
per quanto attiene allo sviluppo delle loro culture e alla salvaguardia delle loro varie identità nazionali<br />
e regionali, “in particolare delle lingue autoctone e delle minoranze”, e deve garantire<br />
una tutela giuridica, con le necessarie risorse finanziarie, anche delle lingue e culture meno diffuse<br />
in quanto parte della cultura e del patrimonio europeo dell’Unione, ed inoltre che “numerose<br />
lingue meno diffuse si trovano in una difficile situazione, dato il rapido crollo del numero di<br />
parlanti”, ciò che “mette a repentaglio il benessere di gruppi specifici di popolazione e riduce<br />
considerevolmente il potenziale di creatività dell’Europa nel suo complesso”.<br />
Mosso da tali considerazioni, il Parlamento Europeo sollecita la piena applicazione dei<br />
principi e delle proposte contenute nelle precedenti Risoluzioni, ribadendo la necessità che gli<br />
Stati membri riconoscano le proprie minoranze linguistiche e adottino le misure giuridiche ed<br />
amministrative necessarie per la conservazione e lo sviluppo delle lingue minoritarie (1 e 2).<br />
Secondo il Parlamento europeo, inoltre, tutte le lingue e culture meno diffuse debbono<br />
essere protette da uno status giuridico adeguato, che dovrebbe implicare, quanto meno, il loro<br />
uso e la promozione negli ambiti dell’insegnamento, della giustizia, dell’amministrazione pubblica,<br />
dei mezzi di informazione, della toponomastica e degli altri settori della vita pubblica e culturale,<br />
ed i cittadini di uno Stato membro che usano una lingua o hanno una cultura diversa da<br />
quella predominante all’interno dello Stato, o in una sua parte o regione, non debbono subire<br />
alcuna discriminazione, e in particolare “nessun tipo di emarginazione sociale che renda loro<br />
difficile l’accesso o la permanenza in un posto di lavoro” (3-5).<br />
Un ulteriore invito viene rivolto agli Stati membri a firmare e ratificare la Carta europea<br />
delle lingue regionali o minoritarie, che ha la veste giuridica di Convenzione ed è uno “strumento<br />
tanto efficace quanto flessibile ai fini della salvaguardia e della promozione delle lingue meno<br />
diffuse” (6-7) e si esortano gli Stati stessi e le amministrazioni regionali e locali ad incoraggiare<br />
e sostenere le associazioni specializzate, in particolare i comitati nazionali presso l’Ufficio Europeo<br />
per le Lingue meno diffuse, “al fine di valorizzare le responsabilità dei cittadini e delle loro<br />
organizzazioni in ordine all’affermazione delle loro lingue” (8).<br />
Si chiede inoltre alla Commissione di contribuire all’esecuzione delle azioni intraprese<br />
dagli Stati nel settore e di tenere in debito conto le lingue e le culture meno diffuse<br />
nell’elaborazione dei vari aspetti della politica comunitaria, al fine di “provvedere pariteticamente<br />
alle esigenze specifiche di coloro che parlano lingue minoritarie, parallelamente a quelle degli<br />
utenti di lingue maggioritarie” nei programmi concernenti l’istruzione e la cultura, incoraggiando,<br />
tra l’altro, anche l’impiego di tali lingue nell’ambito della politica audiovisiva della Comunità (10).<br />
Vengono altresì sollecitati il sostegno finanziario delle organizzazioni europee rappresentative<br />
delle lingue meno diffuse e la previsione di stanziamenti di bilancio per i programmi<br />
88
comunitari, tenendo in debito conto il retaggio linguistico e culturale delle regioni negli stanziamenti<br />
dei Fondi Strutturali Europei, nonché le esigenze degli utenti di lingue minoritarie nei Paesi<br />
dell’Europa centrale e orientale nella messa a punto di programmi comunitari per la ricostruzione<br />
economica e sociale.<br />
Nel contempo si esorta a garantire che la Comunità europea non incoraggi le lingue<br />
meno diffuse a danno delle lingue nazionali principali ed anzi faccia in modo che non sia compromesso<br />
l’insegnamento della lingua principale nelle scuole (11).<br />
Si esorta, infine, ad applicare per analogia le raccomandazioni contenute nella Risoluzione<br />
alle lingue minoritarie autoctone non territoriali, come ad esempio la lingua degli zingari,<br />
rom, sinti e l’yiddish (13).<br />
89
GLI INTERVENTI DELL’INIZIATIVA CENTRO - EUROPEA<br />
91
PREMESSA<br />
Anche l’Iniziativa Centro Europea, sin dagli inizi della cooperazione tra i suoi Stati<br />
membri, si è occupata delle questioni riguardanti le minoranze, nella considerazione che il rispetto<br />
e la promozione dei loro diritti contribuiscono in modo essenziale alla pace ed alla stabilità<br />
nell’Europa Centrale ed Orientale.<br />
Per l’approfondimento di tali questioni già nel 1990 era stato costituito un Gruppo di lavoro<br />
ad hoc, che è stato successivamente trasformato in Gruppo permanente per le minoranze<br />
e che venne tra l’altro incaricato di elaborare posizioni comuni su taluni temi fondamentali, da<br />
presentare al Vertice di Vienna dei Capi di Stato e di <strong>Governo</strong> del Consiglio d’Europa, programmato<br />
per l’ottobre 1993.<br />
In tale contesto, la delegazione italiana all’interno del Gruppo di lavoro ad hoc presentò<br />
un progetto predisposto in forma di convenzione, e quindi giuridicamente vincolante per i Paesi<br />
firmatari, che si ispirava a numerosi documenti internazionali, e in particolare a quelli della<br />
CSCE adottati nella riunione di Copenaghen del 1990 e nella riunione degli Esperti di Ginevra<br />
del 1991, alle proposte formulate in quella sede dalla Pentagonale e dalla Esagonale alla proposta<br />
di convenzione elaborata dalla Commissione per la democrazia attraverso il Diritto ed alla<br />
Raccomandazione 1201 del 1993 dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa.<br />
Senonché, nell’annuale riunione dei Capi di <strong>Governo</strong> della CEI tenutasi a Budapest il 16<br />
e 17 luglio 1993, si ritenne di far predisporre dal Gruppo di Lavoro uno “strumento” accettabile<br />
per tutti gli Stati membri basato sui principi internazionalmente accettati, strumento che per decisione<br />
assunta in quella sede, sarebbe stato, un documento politico.<br />
Dopo un intenso lavoro, mirato anche ad armonizzare i contenuti del documento con il<br />
progetto di Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali elaborato in seno<br />
al Consiglio d’Europa con il quale si era a tal fine sviluppata una stretta cooperazione, nella riunione<br />
ministeriale tenutasi a Torino il 18-19 novembre 1994 il testo dello Strumento CEI per la<br />
Protezione dei Diritti delle Minoranze così predisposto dal Gruppo di Lavoro otteneva la favorevole<br />
accoglienza dei Ministri degli Esteri dei Paesi membri, i quali presero atto che entrambi i<br />
Documenti - lo Strumento CEI e la Convenzione-quadro del Consiglio d’Europa - erano basati<br />
sui diritti delle persone appartenenti alle minoranze nazionali da esercitarsi sia individualmente<br />
sia comunitariamente, considerando inoltre tali minoranze come parte integrante dello Stato e<br />
della società in cui vivono.<br />
Nella stessa riunione lo Strumento veniva aperto alla firma degli Stati membri, di quelli<br />
associati e degli altri Paesi interessati, presso il Ministero degli Affari Esteri dell’Italia, Stato depositario<br />
dello Strumento stesso, dove tutt’ora è a disposizione per la firma.<br />
LO STRUMENTO CEI PER LA TUTELA DEI <strong>DIRITTI</strong> DELLE MINORANZE<br />
Lo Strumento CEI per la protezione dei diritti delle minoranze, che si compone di 27 articoli<br />
preceduti da un preambolo, mira a garantire la protezione delle minoranze nazionali attraverso<br />
il riconoscimento dei diritti e la previsione di misure concrete per assicurarne l’effettivo<br />
esercizio, diritti che, in linea con gli orientamenti prevalentemente emersi nelle sedi europee,<br />
sono riferiti alle persone appartenenti alle minoranze e non alle minoranze stesse in quanto tali.<br />
Nel preambolo vengono evidenziati i principi e le considerazioni ai quali gli Stati si ispirano.<br />
Si riconosce innanzitutto che le questioni relative alle minoranze nazionali possono trovare<br />
soluzioni soddisfacenti soltanto in un quadro politico realmente democratico, che sia fondato<br />
sullo stato di diritto e che garantisca pieno rispetto per i diritti umani e per le libertà fondamentali,<br />
e uguali diritti e status per tutti i cittadini, e si ribadisce che le minoranze nazionali sono<br />
una parte integrante della società dello Stato in cui vivono e un fattore di arricchimento di ogni<br />
rispettivo Stato e società.<br />
Si afferma inoltre che la loro tutela riguarda soltanto i cittadini del rispettivo Stato, in<br />
piena parità di diritti e doveri con il resto della popolazione, ma si conferma anche che le questioni<br />
concernenti i diritti delle persone appartenenti alle minoranze nazionali sono “di legittimo<br />
interesse internazionale” e pertanto “non costituiscono esclusivamente un affare interno del ri-<br />
93
spettivo Stato” e che il rispetto di tali diritti, quale parte dei diritti umani universalmente riconosciuti,<br />
è un “fattore essenziale per la pace, la giustizia, la stabilità e la democrazia negli Stati”.<br />
Si sottolinea che le relazioni di buon vicinato sono un rimedio molto efficace “per conseguire<br />
la stabilità nella regione” e che è necessario “evitare ogni incoraggiamento alle tendenze<br />
separatiste delle minoranze nazionali”, affermando che la tutela internazionale dei diritti delle<br />
persone appartenenti alle minoranze nazionali prevista nello Strumento non consente attività<br />
contrarie ai principi fondamentali del diritto internazionale e in particolare della sovranità,<br />
dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica degli Stati.<br />
Si riconosce poi la particolare importanza di una crescente cooperazione costruttiva tra<br />
gli Stati della CEI sulle questioni concernenti le minoranze nazionali, tesa anche a promuovere<br />
la reciproca comprensione e fiducia, relazioni amichevoli e di buon vicinato, pace internazionale,<br />
sicurezza e giustizia, condannando infine il “nazionalismo aggressivo”, l’odio razziale ed etnico,<br />
l’antisemitismo, la xenofobia, la discriminazione contro ogni persona o gruppo e la persecuzione<br />
per motivi religiosi e ideologici.<br />
Sulla base di questi principi, gli Stati che sottoscrivono lo Strumento riconoscono innanzitutto,<br />
all’art. I, “l’esistenza delle minoranze”, che considerano “parte integrante della società in<br />
cui vivono”, e si impegnano a garantire le condizioni idonee per la promozione della loro identità.<br />
Ai fini dell’applicazione dello Strumento, viene poi data la definizione del termine “minoranza<br />
nazionale”, inteso come “un gruppo che ha una consistenza numerica minore rispetto al<br />
resto della popolazione di uno Stato, i cui membri, cittadini di questo Stato, hanno caratteristiche<br />
etniche, religiose o linguistiche differenti da quelle del resto della popolazione, e sono animati<br />
dalla volontà di salvaguardare la propria cultura, le proprie tradizioni, la propria religione e<br />
lingua”.<br />
Nel ricondurre poi l’appartenenza ad una minoranza nazionale alla libera scelta individuale,<br />
dalla quale nessun pregiudizio deve derivare (art. 2), gli Stati riconoscono alle persone<br />
appartenenti alle minoranze nazionali il diritto di esercitare sia individualmente che in comune<br />
con altri i diritti previsti nello Strumento, come pure i diritti umani e le libertà fondamentali, senza<br />
alcuna discriminazione e in piena uguaglianza davanti alla legge (art. 3).<br />
Viene in particolare garantito il diritto di esprimere, preservare e sviluppare la propria<br />
identità etnica, culturale, linguistica o religiosa e di mantenere e sviluppare la propria cultura in<br />
tutti i suoi aspetti (art. 4), stabilendo anche che non è da considerare come atto discriminatorio<br />
l’adozione di misure speciali in favore delle persone appartenenti alle minoranze nazionali volte<br />
a promuoverne l’uguaglianza con il resto della popolazione o a tenere in debito conto le loro<br />
specifiche condizioni (art. 5), e che da parte degli Stati firmatari dovranno essere assunte concrete<br />
misure per assicurare protezione contro ogni atto che costituisca incitamento alla violenza<br />
nei confronti di persone o gruppi per motivi di ostilità, odio o discriminazione nazionale, razziale,<br />
etnica o religiosa (art. 6).<br />
Una specifica previsione poi, contenuta nell’art. 7, riguarda i Rom, di cui gli Stati firmatari<br />
riconoscono “i particolari problemi” impegnandosi ad “adottare tutte le misure giuridiche in materia<br />
amministrativa o scolastica” previste nello Strumento al fine di preservarne e svilupparne<br />
l’identità, nonché a favorire con specifiche misure l’integrazione sociale dei loro appartenenti e<br />
ad eliminare ogni forma di intolleranza nei loro confronti.<br />
Si stabilisce inoltre che gli Stati debbano astenersi dall’adottare od incoraggiare politiche<br />
miranti all’assimilazione forzata delle persone appartenenti alle minoranze, proteggendole,<br />
anche da qualsiasi azione a ciò finalizzata (art. 8), e che eventuali modifiche delle suddivisioni<br />
amministrative, giudiziarie o elettorali dovranno rispettare i diritti di tali persone ed il loro esercizio<br />
e dovranno in ogni caso essere precedute dalla consultazione, secondo la legislazione nazionale,<br />
“con le popolazioni direttamente interessate” (art. 9).<br />
Si prevede in tal modo il coinvolgimento anche della minoranza nazionale interessata,<br />
qui presa in considerazione in quanto tale, in scelte di fondamentale portata per le alterazioni<br />
che queste potrebbero comportare nell’assetto esistente e per le connesse implicazioni, anche<br />
sotto il profilo della sopravvivenza stessa della minoranza.<br />
Ampio spazio lo Strumento dedica alla protezione della lingua e della cultura delle minoranze.<br />
Quanto alla lingua, alle persone appartenenti alle minoranze si riconosce in primo luogo<br />
il diritto all’uso “liberalmente sia in pubblico che in privato, sia oralmente che per iscritto” (art.<br />
94
10), nonché al riconoscimento e alla registrazione ufficiale del proprio nome e cognome nella<br />
propria lingua, oltreché, ovviamente, al relativo uso (art. 11).<br />
Il diritto all’uso della lingua madre è riconosciuto anche nell’esercizio della libertà di religione,<br />
pure espressamente affermata (art. 14).<br />
Per quanto concerne i rapporti con la pubblica amministrazione è previsto, “quando<br />
possibile”, il diritto all’uso orale e scritto della propria lingua nei contatti con le pubbliche autorità<br />
nell’area di insediamento allorché gli appartenenti ad una minoranza raggiungono “un numero<br />
considerevole” secondo le risultanze dell’ultimo censimento o di altri metodi di valutazione (art.<br />
12).<br />
Vengono in tal modo rimesse alla discrezionalità degli Stati sia la valutazione della congruità<br />
della consistenza numerica, sia la determinazione di altre condizioni ritenute necessarie<br />
ai fini del riconoscimento del diritto.<br />
Non è previsto, inoltre, un parallelo obbligo di usare la lingua della minoranza da parte<br />
delle pubbliche autorità locali, le quali “possono rispondere, per quanto possibile” in tale lingua.<br />
Per quanto riguarda, poi, le aree in cui le persone appartenenti ad una minoranza costituiscono<br />
la maggioranza della popolazione, l’art. 15 impegna gli Stati a promuovere la conoscenza<br />
della lingua della minoranza tra i funzionari degli uffici amministrativi locali e statali decentrati<br />
e stabilisce che “sforzi devono essere compiuti per reclutare se possibile” funzionari che<br />
in aggiunta alla lingua ufficiale, abbiano una conoscenza sufficiente della lingua della minoranza.<br />
Spazi di flessibilità sono pure previsti nell’art. 13, che dà facoltà agli Stati di consentire,<br />
ove necessario attraverso accordi bilaterali con altri Stati interessati e in particolare con quelli<br />
confinanti, il ripristino della toponomastica locale e delle indicazioni topografiche in forma bilingue<br />
o plurilingue nelle zone in cui il numero delle persone appartenenti ad una minoranza raggiunge<br />
“un livello significativo”. Anche in tale caso; infatti, sono rimesse agli Stati sia la valutazione<br />
della congruità della soglia ai fini dell’adozione della misura di tutela, sia la determinazione<br />
in ordine all’adozione della misura stessa.<br />
Relativamente al campo della cultura e dell’educazione viene riconosciuto il diritto di<br />
stabilire e conservare propri istituti, organizzazioni ed associazioni culturali, che possono richiedere<br />
contributi privati e sovvenzioni pubbliche in base alla legislazione nazionale (art. 16), nonché<br />
proprie scuole private ed istituti di istruzione, ed eventualmente di ottenerne il riconoscimento<br />
secondo la legislazione nazionale in materia, con possibilità di richiedere finanziamenti<br />
anche pubblici (art. 17).<br />
Viene inoltre garantito il diritto di apprendere la propria lingua e di ricevere una istruzione<br />
in tale lingua e si stabilisce che quando in un’area il numero delle persone appartenenti ad<br />
una minoranza nazionale raggiunga un livello significativo, sforzi debbono essere compiuti “per<br />
assicurare adeguati tipi e livelli di istruzione pubblica”, prevedendo anche un adeguato insegnamento<br />
della storia e della cultura delle minoranze nazionali nell’ambito dei programmi relativi<br />
a tali discipline (art. 18).<br />
Per quanto concerne il campo dell’informazione, viene garantito il diritto di avvalersi dei<br />
mezzi di comunicazione di massa nella lingua della minoranza, con possibilità anche di sostegni<br />
finanziari, prevedendo però che il diritto al libero accesso al mezzo radio-televisivo di proprietà<br />
pubblica, compresa la produzione di programmi in tale lingua, sia garantito dagli Stati “è quando<br />
opportuno e possibile” (art. 19).<br />
Viene inoltre riconosciuto il diritto di partecipare senza alcuna discriminazione alla vita<br />
politica, sociale e culturale della società del proprio Paese, con l’impegno, per gli Stati, a promuovere<br />
le condizioni che permettano il concreto esercizio dei relativi diritti (art. 20) e a consentire<br />
la costituzione di partiti politici (art. 21), come pure a rispettare il diritto di partecipare effettivamente<br />
alla vita pubblica, in particolare ai processi decisionali ,sulle questioni di diretto interesse.<br />
A tale riguardo gli Stati «prendono nota» degli impegni assunti per tutelare e creare le<br />
condizioni per la promozione dell’identità etnica, culturale, linguistica e religiosa minoranze nazionali<br />
con l’adozione di misure adeguate alle specifiche situazioni di tali minoranze come previsto<br />
nei documenti della CSCE (art. 22).<br />
Si garantisce inoltre il diritto, nel rispetto dell’integrità territoriale dello Stato, di tenere<br />
contatti liberi e senza ostacoli oltre frontiera con i cittadini con i quali sono in comune le caratteristiche<br />
etniche, religiose o linguistiche o l’identità culturale nel quadro anche di una promozione<br />
globale degli accordi transfrontalieri a livello nazionale, regionale e locale (art. 23).<br />
95
La previsione contenuta nell’art. 24 mira poi a garantire la possibilità di un effettivo rimedio<br />
di giustizia contro ogni violazione dei diritti previsti nello Strumento che siano stati sanciti<br />
nella legislazione nazionale, mentre con i successivi articoli, oltre a prevedere garanzie di tutela,<br />
con adeguate misure, per le persone che non appartengono alla minoranza nazionale nelle<br />
aree in cui questa costituisce la maggioranza della popolazione (art. 25), si sancisce il principio<br />
della intangibilità dei principi fondamentali del diritto internazionale, e in particolare<br />
dell’uguaglianza sovrana, dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica, e del rispetto dei<br />
diritti altrui da parte delle persone appartenenti alle minoranze nazionali nell’esercizio dei propri<br />
diritti (art. 26).<br />
Lo Strumento CEI si conclude con la clausola di salvaguardia (art. 27) delle disposizioni<br />
delle leggi nazionali o di accordi internazionali più favorevoli per le minoranze nazionali o per le<br />
persone che vi appartengono, previsione che, in presenza di siffatte disposizioni, vincolanti per<br />
gli Stati in quanto contenute nelle rispettive legislazioni o in accordi internazionali che essi abbiano<br />
sottoscritto e che siano anche giuridicamente impegnativi, ha l’effetto di poter assicurare<br />
ulteriori misure di tutela.<br />
96
IL CONTRIBUTO DELL’UNIONE FEDERALISTA<br />
DEI GRUPPI ETNICI EUROPEI (U.F.G.E.E.)<br />
97
PREMESSA<br />
Il progetto di Convenzione per la tutela dei gruppi etnici in Europa dell’Unione Federalista<br />
dei Gruppi Etnici Europei (UFGE), approvato dall’Assemblea dei Delegati in occasione del<br />
35° Congresso tenutosi a Danzica il 12.5.1994, è una stesura aggiornata del progetto di Convenzione<br />
allegato alla Dichiarazione di Cottbus del 28.5.1992 alla luce degli sviluppi intervenuti,<br />
sul piano dialettico ed operativo, nel dibattito internazionale sulla tutela delle minoranze nazionali.<br />
In linea con il compito statutario dell’Unione Federalista, di rappresentare gli interessi<br />
delle organizzazioni dei gruppi etnici e dei loro appartenenti e di contribuire alla formazione di<br />
un diritto dei gruppi etnici internazionalmente riconosciuto, il progetto nasce dalla constatazione<br />
dei positivi sviluppi intervenuti e delle prospettive ulteriori, in particolare a seguito delle decisioni<br />
dei Capi di Stato e di <strong>Governo</strong> del Consiglio d’Europa assunte a Vienna nel Vertice del 9 ottobre<br />
1993, e dalla connessa volontà di fornire un contributo costruttivo per ulteriori passi in avanti<br />
verso una tutela globale dei gruppi etnici.<br />
Era stata adottata, infatti, la Carta Europea delle Lingue regionali o minoritarie ed era in<br />
corso di elaborazione, da parte dell’apposito CAHMlN, il progetto di convenzione per la protezione<br />
delle minoranze nazionali, deciso a Vienna, da aprirsi anche alla firma degli Stati non<br />
membri del Consiglio d’Europa, ed inoltre, nello stesso Vertice di Vienna era stato anche deciso<br />
di avviare i lavori per la predisposizione di un protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea<br />
sui Diritti dell’Uomo nel campo culturale con disposizioni di garanzia dei diritti individuali, in particolare<br />
per le persone appartenenti alle minoranze nazionali.<br />
Si erano quindi creati nuovi presupposti per ulteriori sviluppi positivi, per i quali l’UFGE<br />
intendeva dare un contributo costruttivo con un progetto aggiornato della Dichiarazione di Cottbus<br />
volto ad una tutela giuridica globale dei gruppi etnici in Europa, riferita anche ai diritti collettivi,<br />
che negli strumenti da elaborare non sarebbero stati considerati.<br />
PROGETTO DI CONVENZIONE PER LA TUTELA DEI GRUPPI ETNICI IN EUROPA<br />
DELL’UNIONE FEDERALISTA DEI GRUPPI ETNICI IN EUROPA<br />
Il progetto, intitolato “Tutela dei gruppi etnici in Europa”, è composto da due parti, formalmente<br />
distinte ma fra loro complementari, nell’ottica di una tutela generale dei diritti dei<br />
gruppi etnici e delle persone che vi appartengono.<br />
La prima parte, riguardante i “Diritti fondamentali delle persone appartenenti a gruppi<br />
etnici in Europa”, viene proposta come progetto di Protocollo aggiuntivo alla Convenzione Europea<br />
sui Diritti dell’Uomo”; mentre la seconda, concernente i “Diritti di autonomia dei gruppi etnici<br />
in Europa”, è proposta come progetto di discussione per una Convenzione Speciale.<br />
Nell’elaborazione del progetto si è tenuto conto dei documenti e delle dichiarazioni<br />
dell’O.N.U., della CSCE e degli Organismi europei in materia di tutela delle minoranze nazionali,<br />
come pure di una serie di dichiarazioni di principio emerse nell’ambito di conferenze su problematiche<br />
specifiche.<br />
I diritti fondamentali delle persone appartenenti ai gruppi etnici in Europa. Progetto di<br />
protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea sui diritti dell’Uomo<br />
Tale documento, proposto come Protocollo aggiuntivo alla CEDU, è quello più immediatamente<br />
collegato allo stato del dibattito europeo in materia e agli indirizzi adottati a Vienna e<br />
seguiti dall’apposito Comitato per l’elaborazione del progetto di Convenzione-quadro per la protezione<br />
delle minoranze nazionali.<br />
Esso, pur mantenendosi nei limiti del principio di tutela individuale e dell’autonomia culturale,<br />
mira ad assicurare alle persone appartenenti ai gruppi etnici il massimo livello dì riconoscimento<br />
e tutela dei diritti attraverso una formulazione molto precisa, che riduce al minimo, il<br />
margine di discrezionalità degli Stati contraenti sia per ciò che è intendersi con l’espressione<br />
“gruppo etnico”, definizione non contenuta nella Convenzione-quadro per la protezione delle<br />
minoranze nazionali, sia per quel che concerne le misure da adottare e le condizioni alle quali<br />
tali misure vanno adottate.<br />
99
Oltre all’introduzione, che non ne è parte integrante, il documento, costituito da 23 articoli<br />
è articolato in sei parti, precedute da un Preambolo, e correlato da numerosi fonti giuridiche<br />
e politiche.<br />
La Parte I, che comprende tre articoli, riconduce la tutela internazionale dei diritti delle<br />
persone appartenenti a gruppi etnici alla tutela internazionale dei diritti dell’uomo quale sua<br />
componente essenziale, rientrante, come “fattore essenziale per la pace, la giustizia, la stabilità<br />
e la democrazia”, nell’ambito della cooperazione internazionale e, in quanto questione di legittimo<br />
interesse internazionale, di non esclusivo affare interno dello Stato (art. 1).<br />
Viene poi fornita, all’art. 2, la definizione di “gruppo etnico”, nella cui espressione si mira<br />
a ricomprendere lo spettro più ampio possibile di realtà minoritarie, escludendo però esplicitamente<br />
dal concetto sia i lavoratori migranti, sia altri immigranti, gruppi di rifugiati e individui in<br />
cerca di asilo, i cui diritti formano oggetto di specifica disciplina.<br />
L’art. 3 afferma il principio dell’appartenenza volontaria, impegnando gli Stati contraenti<br />
a creare i presupposti per tale libera scelta individuale e ribadendo il principio, già enunciato<br />
all’art. 1, che i diritti riconosciuti alle persone appartenenti a gruppi etnici possono essere esercitati<br />
sia “individualmente” che in associazione con altri membri del gruppo”; formula, questa, in<br />
sintonia con gli altri documenti elaborati in sedi istituzionali europee, che consente di sorvolare<br />
circa il riconoscimento di quei diritti di natura collettiva che formano invece oggetto di tutela nel<br />
secondo progetto per una Convenzione speciale.<br />
Nella Parte II vengono formulati i diritti fondamentali generali riconosciuti alle persone<br />
appartenenti ai gruppi etnici, premessa dei diritti che vengono sviluppati nella Parte III e che si<br />
configurano più concretamente come misure di tutela.<br />
In sostanza, alle persone appartenenti ai gruppi etnici viene riconosciuto il diritto al rispetto,<br />
alla evoluzione e allo sviluppo della loro identità etnica, culturale e linguistica, al riparo<br />
da ogni tentativo di assimilazione. Componenti essenziali di tale diritto sono il diritto alla patria,<br />
ed in particolare alla tutela dei loro insediamenti e condizioni di vita tradizionali, il diritto al libero<br />
sviluppo economico, il diritto alla protezione da qualsiasi minaccia alla loro identità, con divieto<br />
di politiche di assimilazione forzata e di svantaggiose modifiche intenzionali nella composizione<br />
demografica dei loro insediamenti, anche tramite modifiche delle unità amministrative (art. 4).<br />
Viene inoltre garantito il diritto alla non discriminazione e alla effettiva parità di trattamento,<br />
nonché alla parità di opportunità (art. 5), da assicurare mediante misure di tutela speciali,<br />
con particolare riferimento al diritto alla lingua, alla scuola e all’educazione, ad avere proprie<br />
organizzazioni, ai liberi contatti e alla libera circolazione, alla libertà d’informazione, all’accesso<br />
proporzionale agli uffici pubblici, alla rappresentanza politica, ad adeguate forme di economia,<br />
la cui omissione è “da considerare e da trattare come atto di discriminazione illegittimo”.<br />
I contenuti di questi diritti vengono esplicitati nella Parte III, in relazione alle misure di tutela<br />
specifiche.<br />
In particolare, il diritto alla lingua (art. 6) si estrinseca nel diritto al suo uso orale e scritto<br />
in privato e in pubblico, come pure nei rapporti con la pubblica amministrazione, ivi compresa<br />
quella giudiziaria, alla sua parificazione nei territori di insediamento negli atti ufficiali e in quelli<br />
destinati ad uso pubblico, nonché nei diritti concernenti l’onomastica e la toponomastica.<br />
Al diritto alla lingua è collegato anche il diritto alla scuola (art. 7), nel senso che, ferma<br />
restando l’obbligatorietà dell’apprendimento della lingua ufficiale dello Stato, è previsto il diritto<br />
all’insegnamento della e nella lingua del gruppo etnico nelle scuole di ogni ordine e grado,<br />
nell’università e nell’ambito dell’istruzione permanente, tramite un adeguato numero di scuole<br />
statali o di altro tipo, da dislocarsi tenendo conto della distribuzione geografica delle persone<br />
appartenenti ai gruppi etnici. Il diritto all’insegnamento della e nella lingua materna, il cui finanziamento<br />
fa carico agli Stati contraenti, viene garantito anche se al di fuori degli insediamenti<br />
delle persone appartenenti a gruppi etnici non vi sia il numero minimo necessario di scolari per<br />
la formazione di una classe.<br />
E’ parimenti garantito il diritto di istituire e gestire propri istituti di istruzione e formazione<br />
e si prevede che l’insegnamento sia impartito in linea di massima da personale docente di madrelingua.<br />
Con riguardo alle scuole nella lingua dei gruppi etnici si riconosce alle persone appartenenti<br />
a tali gruppi il diritto di partecipare alla nomina degli insegnanti ed all’impostazione<br />
dei programmi didattici, che potranno essere adeguati alle loro esigenze particolari, comprendendo<br />
l’insegnamento anche della storia e della cultura del gruppo etnico.<br />
Vengono inoltre garantiti il diritto di costituire e mantenere organizzazioni ed associa-<br />
100
zioni proprie, compresi i partiti politici, che lo Stato contribuirà a finanziare nella stessa misura<br />
delle altre simili organizzazioni (art. 8); il diritto ai liberi contatti tra persone appartenenti allo<br />
stesso gruppo sia all’interno dello Stato che oltre frontiera con i cittadini degli altri Stati con i<br />
quali sono in comune l’origine nazionale o etnica o il retaggio culturale, ed i connessi diritti alla<br />
libera circolazione ed alla cooperazione transfrontaliera in vari campi (art. 9); il diritto<br />
all’informazione, che si estrinseca nel diritto di diffondere, scambiare e ricevere informazioni nella<br />
madrelingua, da realizzarsi sia attraverso un accesso equiparato ai mass media statali o comunque<br />
pubblici, sia mediante mezzi di comunicazione propri sostenuti con finanziamenti pubblici,<br />
sia inoltre attraverso la ricezione di programmi radiofonici e televisivi nella lingua del gruppo<br />
etnico trasmessi dall’estero (art. 10).<br />
Tra le garanzie viene anche incluso, senza alcuna condizione restrittiva relativa alla<br />
consistenza del gruppo etnico, il diritto all’accesso proporzionale negli uffici pubblici, da realizzarsi<br />
attraverso accordi di transizione per ovviare a disagi socia1i nonché il diritto alla rappresentanza<br />
politica, al fine di garantire agli appartenenti a gruppi etnici la partecipazione in piena<br />
uguaglianza alla gestione degli affari pubblici, in particolare anche alle decisioni relative a territori<br />
di loro insediamento o a materie che li riguardino.(art. 19912).<br />
L’art. 13 riconosce, infine, alle persone appartenenti ai gruppi etnici, senza pregiudizio<br />
per l’integrità territoriale degli Stati contraenti e in rapporto alla quota rappresentata nell’ambito<br />
della popolazione totale, il diritto all’autonomia, per tutelare gli specifici diritti civili e politici e i<br />
generali diritti dell’uomo e le libertà fondamentali da non giustificate decisioni della maggioranza;<br />
diritto all’autonomia che si configura, in relazione alle diverse situazioni, come “autonomia<br />
territoriale e/o culturale” ed “autoamministrazione locale (autonomia locale)” e che nei suoi presupposti<br />
e contenuti viene ulteriormente sviluppato nel progetto di discussione per una Convenzione<br />
speciale con riferimento ai diritti dei gruppi etnici.<br />
Sanciti i diritti, la parte IV del progetto di Protocollo aggiuntivo tratta della relativa garanzia<br />
e tutela giuridica, riconoscendo in primo luogo, in caso di violazione, il diritto di ricorso, singolarmente<br />
o assieme ad altri, ad una istanza nazionale e dopo l’espletamento delle vie legali<br />
nazionali alla Commissione Europea per i diritti dell’uomo (art. 14).<br />
Alle persone appartenenti a gruppi etnici viene inoltre riconosciuto il diritto alla condeterminazione,<br />
cioè il diritto di partecipare in ambito nazionale alla realizzazione dei diritti e delle<br />
libertà sanciti dal Protocollo attraverso accordi comuni, nonché alla organizzazione delle questioni<br />
che le riguardino tramite la creazione di un proprio organo di rappresentanza presso il<br />
Consiglio d’Europa (art. 15).<br />
Per la tutela dei diritti civili e dei gruppi etnici nei riguardi delle istituzioni politiche e amministrative<br />
è poi riconosciuto il diritto all’istituzione di un “Ombudsman”, in sostanza un difensore<br />
civico, anch’egli appartenente al gruppo etnico (art. 16).<br />
La parte V tratta del meccanismo di controllo, definendo un quadro che fornisce un ampio<br />
spettro di garanzie contro qualsiasi violazione dei diritti sanciti, che prevede all’art. 18 la<br />
possibilità di ricorsi individuali ed interstatali.<br />
Gli adempimenti formali a cui gli Stati aderenti e gli organismi di controllo sono tenuti<br />
vengono dettagliatamente disciplinati dall’art. 19, che fa obbligo agli Stati contraenti di presentare<br />
alla Commissione europea per i diritti dell’uomo, attraverso il Segretario generale del Consiglio<br />
d’Europa, un primo rapporto entro un anno dall’entrata in vigore per ciascuno Stato e rapporti<br />
biennali successivamente, sull’attuazione data al Protocollo, prevedendo anche il diritto, da<br />
parte di chi è legittimato a rappresentare gli interessi dei gruppi etnici, di segnalare al Segretario<br />
Generale del Consiglio d’Europa eventuali situazioni di difficoltà nell’adempimento del Protocollo<br />
stesso, nonché all’art. 20, una procedura di composizione amichevole delle controversie.<br />
Le disposizioni finali contenute nella Parte VI riguardano l’adesione al Protocollo e stabiliscono<br />
che all’atto della sottoscrizione gli Stati dichiarino per quali gruppi etnici esso trova applicazione,<br />
con diritto, per le persone appartenenti a gruppi etnici ingiustamente esclusi, di richiedere<br />
un accertamento del Consiglio d’Europa.<br />
In definitiva, il quadro che il progetto UFGE per un Protocollo aggiuntivo alla Convenzione<br />
europea per i diritti dell’Uomo viene a configurare è quello di una tutela capillare dei gruppi<br />
etnici, ai quali, pur nel rispetto formale degli orientamenti emersi in materia nell’ambito delle<br />
istituzioni europee, relativamente soprattutto all’attribuzione dei diritti riconosciuti alla sfera personale<br />
e non collettiva, viene previsto il massimo delle garanzie, con il limite della salvaguardia<br />
101
dell’integrità territoriale degli Stati e del rispetto, nel godimento dei diritti sanciti,<br />
dell’ordinamento giuridico del proprio Stato e dei diritti di tutti gli altri cittadini.<br />
I Diritti d’autonomia dei gruppi etnici in Europa - Progetto di discussione per una Convenzione<br />
Speciale<br />
Questa seconda parte del Progetto dell’UFGE, che integra la prima parte concernente i<br />
diritti fondamentali delle persone appartenenti a gruppi etnici, mirava a disciplinare, nella prospettiva<br />
di una soluzione globale della tutela dei gruppi etnici in Europa, quegli aspetti che non<br />
avrebbero potuto trovare una regolamentazione nel Protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea<br />
sui Diritti umani e nella Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze, soprattutto<br />
con riguardo alle questioni dei diritti collettivi e di autonomia, per la cui disciplina l’UFGE ha<br />
perciò ritenuto di proporre alle competenti istanze europee ed internazionali un progetto di discussione<br />
per un ulteriore strumento in forma di Convenzione Speciale.<br />
Il progetto, che si compone del Preambolo e di quattro Parti per complessivi venti articoli,<br />
si fonda infatti sul principio del diritto dei gruppi etnici all’autonomia, nel cui ambito si sviluppano<br />
i diritti riconosciuti nel progetto stesso e che sono in questa sede riferiti ai gruppi etnici.<br />
L’autonomia viene definita (art. 1) come “strumento di tutela dei gruppi etnici che, senza<br />
pregiudizio per l’integrità territoriale degli Stati, deve garantire un massimo grado di autodeterminazione<br />
interna e nello stesso tempo un corrispondente minimo grado di dipendenza dalla<br />
maggioranza nazionale” allo scopo di tutelare le persone appartenenti a gruppi etnici da esclusioni,<br />
per mezzo di decisioni della maggioranza, non giustificate in base a quanto previsto dal<br />
Protocollo e di garantire loro l’esercizio degli specifici diritti civili e politici, nonché dei diritti e delle<br />
libertà fondamentali dell’uomo spettanti alla generalità.<br />
Anche in questo progetto si fornisce la definizione di “gruppo etnico” (art. 2) riprendendo<br />
tutti gli elementi fissati nel progetto di Protocollo aggiuntivo, ma prevedendo anche che nel garantire<br />
i diritti di autonomia devono essere considerate le “condizioni di base speciali dei gruppi<br />
etnici, che nei loro insediamenti costituiscono: a) la maggioranza della popolazione; b) una parte<br />
sostanziale, però non la maggioranza della popolazione; c) né la maggioranza né una parte<br />
sostanziale della popolazione”, e che inoltre “sono da considerare appartenenti ai gruppi etnici<br />
quelle persone che appartengono a gruppi etnici compattamente insediati ma che risiedono lontano<br />
da essi e in un insediamento sparso e isolato”.<br />
Vengono poi enunciati, all’art. 3, i principi fondamentali stabilendo che i diritti, fissati nella<br />
Convenzione, alla tutela e conservazione e alla promozione ed allo sviluppo “del gruppo etnico<br />
come tale” vengono esercitati in comune dagli appartenenti ad un gruppo etnico, e ribadendo<br />
il principio, pure affermato nel progetto di Protocollo aggiuntivo, che tale appartenenza è una<br />
questione di scelta individuale da cui non deve derivare alcun pregiudizio, con obbligo per gli<br />
Stati di creare le condizioni perché tale scelta possa essere fatta in piena libertà.<br />
La disciplina dei diritti all’autonomia dei gruppi etnici occupa l’intera Parte II del documento,<br />
costituita da dieci articoli.<br />
In particolare, in relazione alle diverse “condizioni di base speciali” precedentemente<br />
definite, vengono individuate tre forme fondamentali di autonomia: a) autonomia territoriale (artt.<br />
4 e 5); b) autonomia culturale (artt. 7 e 8); c) autonomia locale o autoamministrazione locale<br />
(artt. 9 e 10).<br />
Il diritto ad uno “status speciale territorialmente limitato”, definito “autonomia territoriale”<br />
con legislazione, governo, amministrazione e giurisdizione autonoma per la gestione dei propri<br />
affari, è riservato ai gruppi etnici che nelle regioni di insediamento costituiscono la maggioranza<br />
della popolazione e comporta l’istituzione di organi legislativi, esecutivi e giurisdizionali propri, la<br />
cui composizione rispecchierà, proporzionalmente, quella della popolazione.<br />
Tale forma di autonomia deve comprendere le competenze ritenute dai gruppi etnici necessarie<br />
per la gestione dei propri affari, da denominarsi nella legislazione statale “competenze<br />
della sfera autonoma”, di cui viene individuato un elenco a titolo esemplificativo che tocca i diversi<br />
campi di attività, tra i quali l’istruzione, l’informazione, la sanità e la previdenza sociale, il<br />
settore economico e finanziario, la polizia locale, l’imposizione fiscale per scopi locali.<br />
Viene comunque affermato che l’esercizio dei diritti sanciti nella Convenzione non può<br />
pregiudicare il godimento dei diritti delle persone appartenenti alla popolazione che all’interno<br />
dell’autonomia territoriale formano la minoranza numerica.<br />
102
Per i gruppi etnici che nei territori di insediamento non costituiscono la maggioranza della<br />
popolazione e per quelli che per qualsiasi motivo “non ritengano conveniente l’istituzione di<br />
una autonomia territoriale” viene garantito (artt. 7 e 8) il diritto all’“autonomia culturale nella forma<br />
giuridica di diritto pubblico che a loro sembra più appropriata”, da esercitarsi attraverso unità<br />
associative dotate di organi eletti democraticamente e liberamente, per tutte le questioni essenziali<br />
per la conservazione, la tutela e lo sviluppo della identità dei gruppi etnici, stabilendo anche<br />
per tale forma di autonomia un ampio quadro di ambiti di competenza.<br />
Il terzo tipo di autonomia previsto dal progetto concerne il diritto ad una autodeterminazione<br />
locale denominata “autonomia locale” o “autoamministrazione locale” (artt. 9 e 10), che<br />
viene riconosciuto ai gruppi etnici che nei territori di insediamento non costituiscono la maggioranza<br />
della popolazione, nonché agli appartenenti a gruppi etnici insediati lontano da questi in<br />
modo sparso.<br />
Tale forma di autonomia prevede la creazione di unità amministrative in cui gli appartenenti<br />
ai gruppi etnici costituiscono la maggioranza locale della popolazione (come singole circoscrizioni,<br />
comuni o unità amministrative ad essi subordinate), alle quali è attribuito, oltre alle<br />
competenze legate per legge, l’esercizio degli affari propri del gruppo etnico, in una accezione<br />
più limitata, quanto a settori e ambiti di competenza, rispetto alle altre forme di autonomia, ma<br />
tale comunque da fornire un ampio spettro di garanzie per la tutela e lo sviluppo del gruppo.<br />
Nella sfera dell’autonomia locale rientrano, in particolare, la regolamentazione del bilinguismo<br />
nell’ambito dell’ autoamministrazione locale, l’uso di nomi e simboli propri, la regolamentazione<br />
degli usi e delle feste locali, la tutela dei monumenti locali, la polizia di sicurezza e<br />
stradale, l’ispezione sanitaria e dell’edilizia a livello locale, nonché il diritto di fondare e mantenere<br />
istituzioni per l’insegnamento locale, per i mass-media, per la cura della tradizione, per<br />
l’istruzione e per l’esercizio di attività economiche; è inoltre prevista la partecipazione a tutti gli<br />
altri affari amministrativi secondo la loro quota di popolazione.<br />
I diritti alle delineate forme di autonomia trovano poi completamento nell’ulteriore diritto,<br />
pure riconosciuto ai gruppi etnici, che i loro interessi siano presi in considerazione anche nella<br />
suddivisione del territorio statale in circoscrizioni politiche, amministrative, giudiziarie ed elettorali,<br />
da stabilirsi in accordo con i gruppi etnici direttamente interessati (art. 11).<br />
Le risorse finanziarie necessarie all’esercizio delle competenze degli enti collettivi<br />
dell’autonomia territoriale e culturale devono essere assicurate dallo Stato e, per quanto concerne<br />
l’autonomia territoriale, da una quota fissa delle spese pubbliche in proporzione alla media<br />
della consistenza numerica della popolazione e dell’estensione del territorio, con garanzia<br />
comunque di una quota adeguata delle tasse ed imposte riscosse nel proprio territorio, da integrarsi<br />
nel caso che il gettito risulti inferiore alla quota fissa determinata in base al criterio proporzionale<br />
(art. 12).<br />
Gli Stati contraenti sono tenuti all’attuazione dei diritti sanciti nella Convenzione, inserendoli<br />
in modo adeguato nel loro ordinamento giuridico ed emanando le norme legislative necessarie<br />
a renderli concretamente esercitabili, nel quadro del diritto dei gruppi etnici alla condeterminazione,<br />
ovvero del diritto di partecipare al processo di attuazione interna nell’ambito di<br />
commissioni paritetiche composte da rappresentanti dello Stato e dei gruppi etnici, le cui decisioni,<br />
prese all’unanimità, sono vincolanti. Ai gruppi etnici viene altresì riconosciuto il diritto di<br />
partecipare, per mezzo di propri organi collettivi, all’elaborazione di delibere di organismi internazionali<br />
relative a questioni che per essi rivestono un particolare interesse (art. 14).<br />
Le parti IV (artt. 15-17) e V (artt. 18-20) del progetto riguardano il meccanismo di controllo<br />
e le disposizioni finali e sono praticamente sovrapponibili alle corrispondenti parti del progetto<br />
per un Protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea sui Diritti dell’Uomo.<br />
103
LE MINORANZE IN EUROPA<br />
105
CLASSIFICAZIONE E NORMATIVA<br />
In questo capitolo sono riportati i dati relativi alle minoranze presenti in 32 Paesi europei qui sotto<br />
indicati, la relativa consistenza numerica e le norme di tutela giuridica.<br />
Albania, Armenia, Austria, Azerbaijan, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia,<br />
Germania, Irlanda, Liechtenstein, Lituania, Malta, Norvegia, Polonia, Regno Unito, Rep. Ceca,<br />
Rep. della Moldavia, Rep. di Macedonia, Romania, Russia, San Marino, Serbia e Montenegro<br />
(ex Repubblica di Jugoslavia), Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Ucraina e Ungheria.<br />
107
DENOMINAZIONE DELLE MINORANZE, CONSISTENZA NUMERICA E NORME DI TUTELA GIURIDICA<br />
Paese: ALBANIA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
GRECI<br />
MACEDONI<br />
MONTENEGRINI<br />
ROM<br />
58.758 Distretti di Saranda, Delvina<br />
e Gjirokastra<br />
democratizzazione dell’Albania<br />
I cambiamenti legati al processo di<br />
4.878 Area di Prespa<br />
verificatisi nello scorso decennio<br />
2.000 circa Area di Vraka<br />
hanno avuto profonde ripercussioni<br />
Dati statistici non disponibili per anche sulla situazione della minoranza<br />
nazionale greca, con so-<br />
l’assenza di un censimento di questa<br />
popolazione<br />
stanziali miglioramenti. Questa<br />
Periferia di Tirana<br />
minoranza ora gode di tutti i diritti<br />
previsti dalle norme europei più<br />
liberali e nel rispetto dei valori su<br />
cui si basa una società democratica<br />
e pluralista.<br />
A partire dagli anni ’90, il numero<br />
complessivo degli appartenenti alla<br />
minoranza greca si è ridotto notevolmente.<br />
A causa dell’apertura<br />
delle frontiere, dell’arretratezza e<br />
delle numerose difficoltà economiche<br />
incontrate nel periodo di transizione<br />
in Albania, gran parte della<br />
popolazione presente nelle regioni<br />
meridionali del paese ha trovato<br />
opportunità di lavoro in Grecia,<br />
dove si è trasferita per vivere.<br />
Nel campo dell’istruzione, i bambini<br />
arumeni godono del diritto allo<br />
studio garantito dal Ministero<br />
dell’Istruzione e della Scienza albanese,<br />
avendo accesso altresì<br />
alle borse di studio offerte sia dal<br />
Ministero dell’Istruzione e della<br />
Scienza albanese che dalla Romania<br />
e dalla Grecia.<br />
ARUMENI (VALACCHI)<br />
Assenza di dati statistici recenti. In<br />
base all’ultimo censimento della<br />
popolazione risalente al 1955 gli<br />
appartenenti a questa minoranza<br />
erano circa 4.249<br />
Città principali<br />
*<br />
I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali.<br />
108
Paese: ARMENIA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
AZERI 84.860<br />
CURDI E YEZIDI 56.127<br />
RUSSI 51.555<br />
UCRAINI 8.341<br />
SIRIANI 5.963<br />
GRECI 4.650<br />
ALTRE NAZIONALITA’ 9.664<br />
12. E' accertato che non esistono<br />
paesi monoetnici nel mondo, e<br />
l'Armenia non costituisce un'eccezione.<br />
Nel corso dei secoli<br />
genti appartenenti a varie minoranze<br />
nazionali hanno vissuto sul<br />
territorio dell'Armenia e continuano<br />
a risiedervi anche al giorno<br />
d'oggi; esse non sono mai state<br />
oggetto di discriminazione. Le<br />
16. Il principale fondamento della<br />
politica di stato in tema di tutela dei<br />
diritti delle persone appartenenti alle<br />
minoranze nazionali è la Costituzione<br />
della Repubblica d'Armenia. In<br />
seguito all'evoluzione della vita pubblica<br />
e dei valori sociali, la Costituzione<br />
ha il compito di proteggere i<br />
diritti e le libertà dell'individuo.<br />
6. L'articolo 4 della Costituzione della<br />
Repubblica d'Armenia stabilisce<br />
che "Lo Stato garantisce la tutela dei<br />
diritti e delle libertà dell'uomo in base<br />
alla Costituzione e alle leggi e in accordo<br />
con i principi e le norme del<br />
diritto internazionale".<br />
7. Il Capitolo 2 della Costituzione fa<br />
riferimento ai diritti e alle libertà fondamentali<br />
dell'uomo e del cittadino.<br />
La Costituzione stabilisce che ciascuno<br />
è uguale agli altri di fronte alla<br />
legge e che deve avere uguali opportunità<br />
di godere di diritti, libertà e<br />
responsabilità, previsti dalla Costituzione<br />
e da altri atti legislativi.<br />
17. Il Presidente della Repubblica<br />
d'Armenia ha ufficialmente dichiarato<br />
che l'Armenia è la patria non<br />
solo della popolazione originaria,<br />
ma anche delle minoranze nazionali<br />
che insistono sul suo territorio.<br />
18. Nel Trattato istitutivo della Comunità<br />
degli Stati Indipendenti,<br />
siglato da Russia, Ucraina e Bielorussia<br />
in data 8 dicembre 1991 a<br />
Minsk, con il quale è stata formalmente<br />
disciolta l'URSS, è previsto<br />
che le parti proteggano le minoranze<br />
nazionali che insistono sui<br />
rispettivi territori con l'obiettivo di<br />
esprimere, preservare e sviluppare<br />
le loro identità etniche, culturali,<br />
linguistiche e religiose. I Capi di<br />
stato della CSI hanno siglato la<br />
"Convenzione per la tutela dei diritti<br />
delle persone appartenenti a minoranze<br />
nazionali" nel 1994 a Mosca.<br />
L'Assemblea Nazionale della<br />
Repubblica d'Armenia ha ratificato<br />
tale Convenzione in data 11 ottobre<br />
1995.<br />
19. L'assenza di una legge sulle<br />
minoranze nazionali è una lacuna<br />
nella legislazione della Repubblica<br />
d'Armenia. Pertanto non esiste la<br />
definizione dell'espressione "minoranze<br />
nazionali", ma in pratica essa<br />
sta ad indicare i cittadini della<br />
Repubblica d'Armenia che vi risiedono<br />
permanentemente e che differiscono<br />
dalla popolazione di base<br />
per la propria origine etnica. Tale<br />
accezione coincide con la definizione<br />
data al termine nella "Convenzione<br />
per la tutela dei diritti delle<br />
persone appartenenti alle minoranze<br />
nazionali", secondo la quale<br />
le persone appartenenti alle minoranze<br />
nazionali sono persone residenti<br />
permanentemente nei territori<br />
delle Parti contraenti, ne hanno la<br />
cittadinanza, ma differiscono dalla<br />
popolazione di base della Parte<br />
contraente di appartenenza per<br />
origine etnica, lingua, cultura, religione<br />
e tradizioni.<br />
22. Nel 1998 è stata istituita la<br />
Commissione per i Diritti Umani,<br />
alle dipendenze del presidente della<br />
Repubblica d'Armenia; tale iniziativa<br />
è stata considerata un passo<br />
importante e necessario in direzione<br />
dell'istituzione della figura<br />
del Difensore civico. La Commissione<br />
si occupa del dibattito relativo<br />
alla violazione di diritti, nonché<br />
della loro reintroduzione adottando<br />
anche misure volte a prevenire le<br />
* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali.<br />
109
minoranze nazionali costituiscono<br />
circa il 3% della popolazione<br />
della Repubblica d'Armenia.<br />
violazioni dei diritti umani. La<br />
Commissione ha preparato la Legge<br />
sui Difensori civici della Repubblica<br />
d'Armenia, che è stata successivamente<br />
sottoposta all'Assemblea<br />
Nazionale della Repubblica<br />
d'Armenia. La Commissione è<br />
costituita da 17 membri, in rappresentanza<br />
di organismi statali, organizzazioni<br />
non governative,<br />
giornalisti indipendenti e avvocati.<br />
110
111<br />
23. L'istituzione del Consiglio di<br />
coordinamento per le minoranze<br />
nazionali della Repubblica d'Armenia<br />
è un passo importante nella<br />
sfera della tutela delle minoranze<br />
nazionali. L'obiettivo del Consiglio,<br />
istituito ufficialmente il 15 giugno<br />
2000 per decreto del Presidente<br />
della Repubblica d'Armenia, è garantire<br />
la tutela delle minoranze<br />
nazionali, attivarne i rapporti intercomunitari<br />
ed infine rendere più<br />
efficace l'intervento dello stato in<br />
tema di istruzione, cultura, problemi<br />
giuridici e di altro tipo. E' importante<br />
sottolineare che il decreto del<br />
Presidente è successivo alla prima<br />
conferenza dei rappresentanti delle<br />
minoranze nazionali, tenutasi il 12<br />
marzo 2000. Il Consiglio di coordinamento<br />
prelude all'istituzione di<br />
uno speciale organismo statale in<br />
materia di minoranze nazionali. Il<br />
Presidente e il Primo Ministro della<br />
Repubblica d'Armenia hanno tenuto<br />
varie riunioni con il Consiglio di<br />
coordinamento per dibattere l'istituzione<br />
di un centro culturale destinato<br />
alle minoranze nazionali.<br />
24. Benchè nella Repubblica d'Armenia<br />
non esista una legge sulle<br />
minoranze nazionali, esistono altre<br />
leggi che danno origine e garantiscono<br />
i diritti delle minoranze nazionali.<br />
La legge sulla lingua della<br />
Repubblica d'Armenia costituisce il<br />
quadro di riferimento generale della<br />
politica linguistica della Repubblica<br />
d'Armenia in quanto regolamenta<br />
lo status della lingua nonché<br />
le relazioni linguistiche tra lo<br />
Stato e altri organismi amministrativi<br />
da un lato, e le imprese, gli uffici<br />
e le organizzazioni, dall'altro. In<br />
base a tale legge, l'armeno è dichiarato<br />
lingua ufficiale, da utilizzare<br />
in tutti gli ambiti della Repubblica<br />
d'Armenia. La legge sulla lingua<br />
stabilisce anche che la Repubblica<br />
d'Armenia garantisce la libertà di<br />
impiegare le lingue delle minoranze<br />
nazionali che insistono sul proprio<br />
territorio. L'articolo 2 della legge<br />
stabilisce che "Nelle comunità<br />
delle minoranze nazionali della<br />
Repubblica d'Armenia l'istruzione e<br />
gli studi a livello generale possono<br />
essere organizzati nelle rispettive<br />
lingue madri, coerentemente con i<br />
programmi scolastici statali e con<br />
l'obbligo dello studio dell'armeno".<br />
Esistono anche leggi sull'istruzione,<br />
la libertà di coscienza, le organizzazioni<br />
religiose, ecc.
Paese: AUSTRIA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
CROATI<br />
SLOVENI<br />
UNGHERESI<br />
CECHI<br />
SLOVACCHI<br />
ROM (Sinti, Rom del Burgenland,<br />
Lovara, Kalderash e Arlije)<br />
30.000 Burgenland (Austria meridionale)<br />
e Vienna<br />
50.000 Carinzia e Stiria<br />
Da 20.000 a 30.000 Regioni di<br />
Oberwart (Obertwart, Unterwart,<br />
Siget in der Wart) e<br />
Oberpullendorf (Oberpullerndorf,<br />
Mittelpullendorf)<br />
Città di Eisenstadt,<br />
Frauenkirchen, Graz e Vienna<br />
Da 15.000 a 20.000 La comunità<br />
più numerosa risiede a Vienna<br />
Da 5.000 a 10.000 Vienna e Austria<br />
meridionale<br />
25.000 circa<br />
Non esistono stime precise sulla<br />
loro consistenza numerica<br />
Principali città austriache<br />
- Art. 8 della Costituzione Federale (B-<br />
VG), Gazzetta delle Leggi Federali N.<br />
1/1920;<br />
- Artt. Da 66 a 68 del Trattato di Saint-<br />
Germain-en-Laye del 10/09/1919,<br />
Gazzetta delle Leggi Statali N.<br />
303/1920;<br />
in base all’Art. 149,§ 1 del B-VG, le<br />
disposizioni summenzionate sono di<br />
rilevanza costituzionale.<br />
- Art. 7 del Trattato Statale per la Ricostituzione<br />
di un’Austria Indipendente<br />
e Democratica (Trattato Statale di<br />
Vienna, Gazzetta delle Leggi Federali<br />
N. 152/1955);<br />
in base all’Art. II, § 3<br />
dell’Emendamento al B-VG, Gazzetta<br />
delle Leggi Federali N. 59/1964, l’Art.,<br />
§ 2-, ha valore costituzionale;<br />
- Art. 1 della Legge sull’Istruzione per<br />
le Minoranze in Carinzia (Minderheiten-Schulgesetz<br />
für Kärnten), Gazzetta<br />
delle Leggi Federali N. 101/1959;<br />
- Sezione 1 della Legge sull’Istruzione<br />
per le Minoranze nel Burgenland<br />
(Minderheiten-Schulgesetz für Burgenland),<br />
Gazzetta delle Leggi Federali<br />
N. 641/1994.<br />
- Legge sulle Minoranze, Gazzetta<br />
Federale N. 396/1976;<br />
- Legge in materia di Istruzione per<br />
le Minoranze in Carinzia, Gazzetta<br />
Federale N. 101/1959;<br />
- Legge in materia di Istruzione per<br />
le Minoranze nel Burgenland, Legge<br />
Federale N. 641/1994;<br />
Ordinanze emanate in virtù della<br />
Legge sulle Minoranze:<br />
- Ordinanza del <strong>Governo</strong> Federale<br />
disciplinante i Consigli Consultivi<br />
per le Minoranze, Gazzetta delle<br />
Leggi Federali N. 38/1977;<br />
- Ordinanza del <strong>Governo</strong> Federale<br />
del 31 maggio 1977 che definisce<br />
le aree interessate dalla topinomastica<br />
bilingue tedesco-sloveno,<br />
Gazzetta delle Leggi Federali N.<br />
306/1977;<br />
- Ordinanza del <strong>Governo</strong> Federale<br />
del 31 maggio 1977 che definisce i<br />
tribunali, le autorità amministrative<br />
ed altri dipartimenti dove è ammesso<br />
lo sloveno come lingua ufficiale<br />
oltre al tedesco, Gazzetta<br />
delle Leggi Federali N. 307/1977;<br />
- Ordinanza del <strong>Governo</strong> Federale<br />
del 31 maggio 1977 sulla topomastica<br />
in sloveno, Gazzetta delle<br />
Leggi Federali N. 308/1977;<br />
- Ordinanza del <strong>Governo</strong> Federale<br />
del24 aprile 1990 che definisce i<br />
tribunali, le autorità amministrative<br />
ed altri dipartimenti in cui è ammesso<br />
il croato come lingua ufficiale<br />
oltre al tedesco, Gazzetta delle<br />
Leggi Federali N. 307/1977;<br />
- Ordinanza topografica per il Bungerland,<br />
Gazzetta delle Leggi Federali<br />
vol. II N. 170/2000;<br />
(Ordinanza per la regolamentazione<br />
dell’uso dell’ungherese come<br />
lingua ufficiale; è stata emanata<br />
dal <strong>Governo</strong> Federale il 14 giugno<br />
2000 ed entrerà in vigore il 1° ottobre<br />
2000).<br />
* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali.<br />
112
Paese: AZERBAIJAN<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
AZERBAIGIANI 7.205.500<br />
LESGHI 178.000<br />
RUSSI 141.700<br />
ARMENI 120.700<br />
TALISH 76.800<br />
AVARI 50.900<br />
TURCHI MESKHETIAN 43.400<br />
TATARI 30.000<br />
UCRAINI 29.000<br />
TSAKHURI 15.900<br />
GEORGIANI 13.100<br />
TATI 10.900<br />
EBREI 8.900<br />
UDI 4.200<br />
CURDI 13.100<br />
ALTRE NAZIONALITA’ 9.500<br />
L’Art. 25 della Costituzione della<br />
Repubblica dell’Azerbaijan garantisce<br />
il diritto all’uguaglianza. Il<br />
comma III del precitato articolo<br />
recita come segue: ”Lo Stato garantisce<br />
l’uguaglianza dei diritti e<br />
delle libertà di ognuno a prescindere<br />
dalla razza, dalla nazionalità,<br />
dalla religione, dalla lingua, dal<br />
sesso, dall’origine, dal patrimonio,<br />
dallo status ufficiale, dal credo,<br />
dall’appartenenza a partiti politici,<br />
sindacati ed altre organizzazioni di<br />
volontariato. E’ fatto divieto di limitare<br />
i diritti e le libertà degli esseri<br />
umani e dei cittadini per motivi<br />
fondati sulla razza, la nazionalità,<br />
la religione, la lingua, il sesso,<br />
l’origine, il credo, l’appartenenza<br />
politica e sociale”.<br />
Il Presidente della Repubblica<br />
dell’Azerbaijan ha firmato in data<br />
16 settembre 1992 il Decreto “Sulla<br />
tutela dei diritti e delle libertà e<br />
sulla partecipazione dello Stato<br />
alla promozione delle lingue e culture<br />
delle minoranze nazionali, dei<br />
popoli di scrsa consistenza numerica<br />
e dei gruppi etnici presenti nella<br />
Repubblica del’Azerbaijan”.<br />
* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali.<br />
113
Paese: BULGARIA<br />
GRUPPI ETNICI CONSISTENZA NUMERICA TUTELA GIURIDICA<br />
COSTITUZIONALE<br />
LEGGE NAZIONALE<br />
Bulgari<br />
Dai dati emersi dal censimento effettuato Assente<br />
Assente<br />
nel 2001, i turchi costituiscono la maggioranza<br />
in due dei 28 distretti della Bulgaria<br />
(Kurdjali e Razgrad), mentre tutti i restanti<br />
gruppi etnici sono in minoranza. I turchi<br />
costituiscono la maggioranza anche in alcuni<br />
comuni della Bulgaria nord-orientale,<br />
in particolare, nei distretti di Shoumen, Silistra,<br />
Tuturgovishte, Dobrich e Rousse,<br />
nonché in quelli di Burgas e Haskovo. I<br />
musulmani, di lingua bulgara, insistono<br />
prevalentemente nella regione che ospita<br />
la catena montuosa Rodopi Planina, nelle<br />
regioni dello Smolyan (dove rappresentano<br />
oltre il 50 % della popolazione e dove pertanto<br />
i cristiani bulgari sono in minoranza).<br />
In misura minore, gli stessi sono presenti<br />
anche nei distretti di Kurdjali, Blagoevgrad,<br />
Pazardjik e Plovdiv, nonché in vari insediamenti<br />
nei distretti di Lovech e Veliko<br />
Turnovo.<br />
Turchi<br />
Nel censimento del 2001 è previsto, per la prima volta,<br />
come indicatore, anche, il gruppo etnico.<br />
Greci<br />
Armeni<br />
Tatari<br />
Valacchi<br />
Tatari<br />
Ebrei<br />
Albanesi<br />
Rumeni<br />
Gagauzi<br />
114
Paese: CIPRO<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
GRUPPI ETNICI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
Greci ciprioti 621.800<br />
Turchi ciprioti 89.200<br />
Armeni 2.500<br />
Maroniti 4.500<br />
Latini 700<br />
Altro 22.300<br />
In forza dell'art. 2 (commi 1 e 2) della<br />
Costituzione tutti i cittadini ciprioti devono<br />
appartenere alla Comunità greca,<br />
se sono di origine greca, condividono le<br />
tradizioni culturali greche o appartengono<br />
alla Chiesa ortodossa di rito greco,<br />
oppure alla comunità turca, se sono<br />
di origine turca, condividono le tradizioni<br />
culturali turche o sono musulmani. I<br />
citati gruppi religiosi, formati da Armeni,<br />
Maroniti e Latini, hanno avuto tre mesi<br />
di tempo per esercitare l'opzione e<br />
hanno scelto di appartenere alla comunità<br />
greca, perché sono cristiani, anche<br />
se di confessione diversa.<br />
* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali.<br />
115
Paese: CROAZIA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
MINORANZE<br />
ITALIANI<br />
CECHI<br />
SLOVACCHI<br />
UNGHERESI<br />
RUTENI<br />
UCRAINI<br />
SERBI<br />
TEDESCHI<br />
AUSTRIACI<br />
EBREI<br />
SLOVENI<br />
ALBANESI<br />
MUSSULMANI<br />
ROM<br />
MONTENEGRINI<br />
MACEDONI<br />
21.303 Istria, contea di Promosko-<br />
Goranska, comuni di Buje, Pula,<br />
Rovinj, Rijeka e Pakrac<br />
13.086 Daruvar, Grubisno Polije,<br />
Zagabria, Pakrac, Bjelovar, Kutina,<br />
Rijeka<br />
5.606 Ilok, Nasice, Osijek, Zagabria<br />
22.355 Beli Manastir, Osijek, Vukovar,<br />
Vinkovci, Zagabri, Bjelovar,<br />
Daruvar, Rijeka, Pula, Dakovo,<br />
Split<br />
3.253 Vukovar, Vinkovci, Zagabria,<br />
Slavonski Brod<br />
2.494 Vukovar, Slavonski Brod,<br />
Novaska, Zagabria, Vinkovci<br />
581.663 Zagabria, Knin, Osijek,<br />
Vukovar, Karlovac, Rijeka, Sisak,<br />
Benkovac, Petrinja, Beli Manastir,<br />
Glina, Pakrac, Vrginmost, Daruvar,<br />
Vojnic, Vrbovsko, Lipik<br />
2.635 Beli Manastir, Zagabria, Osijek,<br />
Vukovar, Slavonski Brod, Rijeka,<br />
Pakrac<br />
214 Zagabria<br />
600 Zagabria, Split, Osijek, Rijeka<br />
22.376 Rijeka, Zagabria, Split, Pula,<br />
Cakovec, Opatija, Buje<br />
12.032 Zagabria, Rijeka, Bjelovar,<br />
Zadar, Osijek<br />
43.469 Zagabria, Dubrovnik, Split,<br />
Zupanja, Labin, Pula, Rijeka, Sisak<br />
6.695 Cakovec, Zagabria, Pula,<br />
Rijeka, Varazdin, Osijek, Slavonski<br />
Brod<br />
9.724 Zagabria, Split, Dubrovnik,<br />
Pula, Rijeka, Osijek<br />
6.280 Zagabria, Split, Pula, Rijeka,<br />
Osijek, Zadar<br />
ALTRI 294.124<br />
Tutti i cittadini della Repubblica di<br />
Croazia che hanno dichiarato di<br />
non essere di nazionalità croata in<br />
occasione dell’ultimo censimento<br />
della popolazione risalente al 1991<br />
e che non appartengono alle minoranze<br />
sopra elencate non sono<br />
organizzate in minoranze nazionali.<br />
Hanno una scarsa consistenza<br />
numerica e sono generalmente<br />
presenti ovunque sul territorio della<br />
Repubblica di Croazia, come ad<br />
esempio i Bulgari (458), i Polacchi<br />
(679) ed i Turchi (320).<br />
In alcuni paesi dell’Istria (Susnjevica,<br />
Zejane) è, inoltre, presente un<br />
gruppo etnico composto da Istriano-Romeni<br />
i quali hanno conservato<br />
un idioma appartenente ad un<br />
gruppo separato.<br />
L’Art. 170 della Costituzione delle<br />
ex Repubblica di Jugoslavia e le<br />
norme costituzionali delle Repubblica<br />
Socialista della Croazia garantivano<br />
la libertà di espressione<br />
della nazionalità, ma consentivano<br />
anche ai cittadini di dichiarare la<br />
nazionalità jugoslava.<br />
* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali.<br />
116
COMUNITA’ LINGUISTICHE<br />
SERBOCROATI 466.968<br />
N.B.: La lingua serbocroata è una<br />
creazione artificiale.<br />
Nonostante la popolazione sia stata<br />
sottoposta a forti pressioni affinché<br />
la accettasse, ha dichiarato<br />
come propria lingua madre il croato.<br />
SERBI 207.300<br />
MACEDONI 5.462<br />
SLOVENI 19.341<br />
ALBANESI 12.735<br />
CECHI 10.378<br />
UNGHERESI 19.684<br />
ROM 7.657<br />
RUTENI 2.845<br />
SLOVACCHI 5.265<br />
ITALIANI 26.580<br />
UCRAINI 1.430<br />
ALTRE LINGUE 11.480<br />
117
Paese: DANIMARCA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
In occasione della ratifica, la Danimarca<br />
ha dichiarato che la Convenzione<br />
quadro verrà applicata<br />
alla minoranza tedesca nello Jutland<br />
meridionale. Tale dichiarazione<br />
riflette il fatto che il confine tra il<br />
Regno di Danimarca e la Repubblica<br />
Federale di Germania non<br />
delimita le zone abitate dai due<br />
popoli. Nelle regioni a nord e a sud<br />
del confine (fissato fin dai referendum<br />
del 1920), cioè lo Jutland Meridionale<br />
in Danimarca e lo Schleswig<br />
in Germania, i Danesi e i Tedeschi<br />
convivono nelle aree tradizionali<br />
di insediamento. I membri<br />
della minoranza tedesca in Danimarca<br />
sono cittadini della Danimarca<br />
e i membri della minoranza<br />
danese in Germania sono cittadini<br />
tedeschi<br />
Groenlandesi (Inuit) 56.124<br />
Abitanti isole Faer Oer 45.400<br />
Tedeschi 15.000-20.000<br />
Rom 1.500<br />
123.024<br />
A seguito della seconda guerra<br />
mondiale è stato possibile dare<br />
una soluzione al problema delle<br />
minoranze, grazie all'opinione,<br />
condivisa dai governi danese e<br />
tedesco, che il confine era fisso.<br />
Da allora tale posizione è stata<br />
sostenuta dalle maggioranze e<br />
minoranze a nord e a sud del confine.<br />
Tale identità di vedute ha<br />
permesso di trovare delle soluzioni<br />
pratiche basate sulle Dichiarazioni<br />
di Copenhagen-Bonn (per la tutela<br />
e la promozione delle minoranze<br />
nazionali nella regione di confine<br />
tra Danimarca e Germania) del<br />
1955, che hanno dimostrato il loro<br />
valore nei 44 anni di applicazione<br />
La Danimarca ha ratificato la<br />
Convenzione quadro per la Protezione<br />
delle Minoranze Nazionali<br />
(Consiglio d'Europa) il 22<br />
settembre 1997. La Convenzione<br />
Quadro è entrata in vigore in<br />
Danimarca il 1° febbraio 1998.<br />
prima della ratifica, il 27 novembre<br />
1996, il Ministro danese degli<br />
Affari Esteri ha presentato una<br />
proposta di risoluzione parlamentare<br />
per la ratifica della Convenzione<br />
quadro da parte della<br />
Danimarca. Il 22 aprile 1997 il<br />
Parlamento ha dato l'approvazione<br />
per la ratifica.<br />
* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa“ di Christoph Pan e Beate Sibille Pfeil.<br />
118
Paese: ESTONIA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * TUTELA GIURIDICA<br />
COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
RUSSI<br />
- I n b as e al l’ art ic ol o 49 d el l a<br />
409.111 Contee di Harjumaa,<br />
Ida-Virumaa, Tartumaa e<br />
Jogevamaa<br />
INGRI (Finni-Ingri)<br />
13.317 Contee di Harjumaa,<br />
Ida-Virumaa, Laane-Virumaa e<br />
Tarturnaa<br />
TEDESCHI 1.288<br />
SVEDESI 400<br />
EBREI 2.423<br />
LETTONI 2.691<br />
UCRAINI 36.929<br />
BIELORUSSI 21.589<br />
TATARI 3.271<br />
POLACCHI 2.355<br />
LITUANI 2.221<br />
ROM 1.500<br />
C os t it u zi on e d el l’ Es t on i a<br />
(RT 19 9 2, 2 6, 3 49) c hi u nq u e<br />
h a i l d iri tt o d i pr es er var e l a<br />
pr op ri a i d ent it à n az i on al e.<br />
- L’art. 50 della stessa sancisce, i-<br />
noltre, che le minoranze nazionali<br />
hanno il diritto, nell’interesse della<br />
cultura nazionale, di creare istituzioni<br />
autonome nelle condizioni e secondo<br />
la procedura previste dalla<br />
Legge sull’autonomia culturale delle<br />
minoranze nazionali.<br />
- Legge sull’autonomia delle minoranze<br />
nazionali del 12 febbraio 1925.<br />
E’ stata la prima legge adottata in<br />
questa specifica materia, con la quale<br />
è stato riconosciuto a tutti i gruppi etnici<br />
presenti in Estonia il diritto di preservare<br />
la propria identità etnica, la<br />
propria cultura ed il proprio credo.<br />
In virtù delle disposizioni in essa contenute,<br />
ai tedeschi, ai russi, agli svedesi,<br />
agli ebrei e ad altri gruppi con<br />
una consistenza numerica superiore a<br />
3.000 appartenenti, residenti in Estonia,<br />
è stato concesso il diritto di creare<br />
una propria autonomia culturale che<br />
prevede:<br />
l’organizzazione,<br />
l’amministrazione ed il controllo di istituti<br />
di istruzione pubblici e privati di<br />
madre lingua; provvedere ad altre esigenze<br />
culturali legate alla realtà minoritaria<br />
di appartenenza nonché alla<br />
creazione di apposite istituzioni ed<br />
organizzazioni.<br />
- Il 26 ottobre 1993 è stata approvata<br />
la nuova Legge sull’autonomia culturale<br />
delle minoranze nazionali (RT I<br />
1993, 71, 1001). Pur mantenendo gli<br />
stessi concetti di base della legge precedente,<br />
essa fornisce anche le corrispondenti<br />
garanzie ed orientamenti.<br />
La Sezione 1 della citata legge definisce<br />
come minoranza nazionale quei<br />
cittadini che risiedono sul territorio<br />
estone, mantengono antichi, durevoli<br />
e solidi legami con l’Estonia e sono<br />
distinti dagli estoni sulla base delle<br />
loro caratteristiche etniche, culturali,<br />
religiose o linguistiche e sono motivati<br />
dal desiderio di salvaguardare le proprie<br />
tradizioni culturali, la propria religione<br />
o la propria lingua, come fondamento<br />
della loro identità comune.<br />
La Sezione 2 della stessa legge prevede,<br />
inoltre, il diritto di creare istituzioni<br />
per l’autonomia culturale. Tale<br />
diritto può essere esercitato da tutti i<br />
gruppi minoritari riconosciuti dalla legge<br />
del 1925 (tedeschi, russi, svedesi<br />
ed eberi) e da altri gruppi etnici con<br />
più di 3.000 appartenenti.<br />
* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />
119
Paese: FINLANDIA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
Tatari<br />
Sami<br />
6.400 persone circa<br />
I Sami sono una popolazione<br />
indigena; la maggior parte di<br />
essi, circa 4.000 persone, vivono<br />
nel territorio nativo localizzato<br />
nella Lapponia settentrionale, e<br />
circa 2.400 Sami vivono in altre<br />
parti del paese<br />
Rom In Finlandia vivono circa 10.000<br />
Rom. I Rom sono distribuiti in<br />
tutta la Finlandia, anche se la<br />
maggior parte di loro vive nelle<br />
maggiori città della Finlandia<br />
meridionale. Vi si sono stabiliti<br />
da circa 500 anni<br />
Ebrei<br />
1.300 persone circa. La comunità<br />
degli Ebrei che insiste in Finlandia<br />
è costituita da circa 1.300<br />
persone. Per la maggior parte<br />
vivono a Helsinki, Turku e Tampere.<br />
Non sono disponibili informazioni<br />
precise in merito al<br />
momento del loro arrivo in Finlandia,<br />
ma nel 1850 assommavano<br />
a 200 persone<br />
900 persone circa Tatari sono<br />
una minoranza islamica di ceppo<br />
turco. I predecessori di questo<br />
gruppo sono immigrati in Finlandia<br />
tra il 1870 e il 1920. In Finlandia<br />
vivono circa 900 Tatari,<br />
distribuiti soprattutto nel distretto<br />
della capitale<br />
Vecchi Russi<br />
Attualmente in Finlandia vivono<br />
circa 20.000 persone di lingua<br />
russa, dei quali circa 5.000 sono<br />
Vecchi Russi. I Vecchi Russi<br />
sono discendenti dei Russi immigrati<br />
in Finlandia tra la fine del<br />
19° e l'inizio del 20° secolo.<br />
Finlandesi di lingua svedese 293.691 persone al 31.12.1997,<br />
ovvero il 5,71% della popolazione.<br />
(3) I Finlandesi di lingua<br />
svedese costituiscono la minoranza<br />
più consistente della Finlandia.<br />
I Finlandesi di lingua<br />
svedese sono una minoranza<br />
linguistica. Per la maggior parte<br />
vivono sulle coste meridionali,<br />
sud-orientali e orientali delle isole<br />
Aland.<br />
Altri<br />
Tra la fine del 1997 e l'inizio del<br />
1998 in Finlandia si trovavano<br />
80.600 stranieri. I quattro gruppi<br />
più consistenti erano costituiti da<br />
Russi (14.316), Estoni (9.689),<br />
Svedesi (7.507) e Somali<br />
(5.238). Circa 20.000 Finlandesi<br />
originari di detta regione si sono<br />
trasferiti in Finlandia tra il 1990 e<br />
il 1997.<br />
Il concetto di "minoranza nazionale"<br />
non viene usato nella legislazione<br />
finlandese. L'articolo 14,<br />
comma 3 della Costituzione della<br />
Finlandia garantisce a "gruppi"<br />
diversi il diritto di mantenere e<br />
sviluppare le proprie lingue e<br />
culture. La Costituzione non definisce<br />
in maggiore dettaglio tali<br />
"gruppi". Secondo una legge governativa<br />
(HE 309/1993 vp) i<br />
"gruppi" cui fa riferimento la Costituzione<br />
comprendono i Sami, i<br />
Rom e, inoltre, minoranze nazionali<br />
ed etniche, quali gli Ebrei e i<br />
Tatari.<br />
In pratica si ritiene che la Convenzione<br />
quadro riguardi i Sami, i Rom, gli Ebrei, i<br />
Tatari e i cosiddetti Vecchi Russi ed inoltre,<br />
de facto, anche i Finlandesi di lingua<br />
Svedese. Per quanto riguarda la legislazione<br />
finlandese, tuttavia, esistono definizioni<br />
delle minoranze nelle seguenti<br />
leggi: legge sul parlamento Sami, legge<br />
sull'uso della lingua Sami nei rapporti<br />
con le autorità, la legge Skolt (253/1995)<br />
ed infine la legge per il miglioramento<br />
delle condizioni di vita della popolazione<br />
Rom (713/1975), rimasta in vigore dal<br />
1976 al 1981.<br />
* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali.<br />
120
Paese: GERMANIA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
SORABI<br />
60.000 Sassonia e Brandeburgo I cittadini tedeschi appartenenti alle<br />
DANESI<br />
50.000 Regione dello Schleswig,<br />
Land di Schleswin-Holstein<br />
minoranze tutelate ai sensi della<br />
Convenzione-quadro per la Tutela<br />
SINTI-ROM<br />
70.000 Capitali degli antichi Länder<br />
della Germania (gli 11 Stati Federali<br />
della Republica Federale Tedesca<br />
prima dell’unificazione), tra<br />
cui Berlino e dintorni, sobborghi di<br />
delle Minoranze Nazionali godono<br />
di tutti i diritti e le libertà riconosciuti<br />
dalla Costituzione della Repubblica<br />
Federale Tedesca. Agli stessi<br />
si applica anche il divieto di discriminazione<br />
Amburgo e di Kiel, regione del Reno/Rhur<br />
previsto dall’art. 3,<br />
con Düsseldorf e Colonia,<br />
agglomerati del Reno/Main e del<br />
comma 3, prima frase, della Costituzione.<br />
Reno/Neckar, nonché alcune città<br />
di media e piccole dimensioni della<br />
Frisia Orientale, dell’Hesse Settenarionale,<br />
del Palatinato, del Baden<br />
e della Baviera.<br />
FRISONI 12 . 00 0 Fr is i a or i en t al e,<br />
c om pr en d en t e i l S at erl an d ,<br />
l e vi c i n an z e di O l d en b ur g,<br />
c on i p a es i d i Str üc kl in g en ,<br />
R ams l oh , Sc h arr el e S e-<br />
d els b er g ;<br />
Fris i a s et t en tri on al e, c om -<br />
pr en d en t e il d is tr et t o d el<br />
N or df ri es l an d s u ll a c os t a<br />
oc c i d ent al e d el L an d<br />
Sc hl es w i g-H ols t ei n (c on l e<br />
is ol e d i S yl t , F öh r , A mr u m<br />
e H el g ol an d );<br />
Frisia occidentale (regioni confinanti<br />
con la provincia olandese del<br />
Friesland).<br />
Legge federale di ratifica della Convenzione-quadro<br />
per la tutela delle<br />
minoranze nazionali del 22 luglio<br />
1997.<br />
* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali e dalla pubblicazione<br />
“Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />
121
Paese: IRLANDA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
VIAGGIATORI<br />
24.000 Centri urbani<br />
DISTRIBUZIONE SECONDO LA LINGUA D’USO<br />
MAGGIORANZA: IRLANDESI 3.557.336<br />
MONOLINGUI INGLESE<br />
MINORANZA: PARLANTI IRLAN-<br />
DESE GAELICO<br />
360.000 Alcune aree del paese<br />
ufficialmente definite come distretti<br />
parlanti la lingua gaelica (i Gaeltacht)<br />
Il diritto irlandese non prevede alcuna<br />
definizione giuridica del termine<br />
“minoranza nazionale”.<br />
L’Irlanda non ha fatto alcuna dichiarazione<br />
sull’applicazione della<br />
Convenzione-quadro sulle minoranze<br />
nazionali ad una particolare<br />
minoranza o comunità minoritaria.<br />
L’Irlanda ha sempre sostenuto che<br />
il riconoscimento e la tutela delle<br />
minoranze nazionali quale parte<br />
integrante della tutela internazionale<br />
dei diritti umani non sia materia<br />
di esclusiva competenza dello Stato<br />
interessato. A tale proposito,<br />
l’Irlanda fa notare come nel Commento<br />
Generale 23(50) del Comitato<br />
ONU per i Diritti Umani riferito<br />
all’art. 27 (diritti delle minoranze<br />
etniche, religiose e linguistiche) del<br />
Patto Internazionale sui Diritti Civili<br />
e Politici, si specifichi che<br />
l’esistenza/il riconoscimento non<br />
dipende da una decisione dello<br />
Stato, ma sia piuttosto da riferire a<br />
dei criteri oggettivi.<br />
L’Irlanda ha, altresì, preso atto del<br />
diritto (previsto all’art. 3 della Convenzione-quadro)<br />
riconosciuto agli<br />
individui e/o gruppi di individui di<br />
scegliere liberamente se essere<br />
trattati o meno come una minoranza<br />
riconosciuta.<br />
Legge sulla parità di status del<br />
2000. Questa norma definisce<br />
la comunità di Viaggiatori come:“la<br />
comunità di persone<br />
che vengono comunemente<br />
chiamate Viaggiatori e che sono<br />
identificate (da se stesse e<br />
da altri) come persone con una<br />
storia, una cultura e tradizioni<br />
comuni, caratterizzate altresì<br />
da uno stile di vita storicamente<br />
nomade sull’Isola di Irlanda”.<br />
* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />
122
Paese: ITALIA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
Ladini 48.164<br />
Sloveni<br />
80.000 x<br />
Albanesi 70.479<br />
Greci 22.903<br />
Francofoni<br />
126.990 xi<br />
Catalani 18.000<br />
Croati 1.650<br />
Francoprovenzali 81.642-91.642<br />
Friulani 541.242<br />
Sarda<br />
531.549 (+55 paesi, in attesa dei dati)<br />
Occitani 48.161<br />
Altoatesina 291.873<br />
Carinziana 2.623<br />
Cimbra 315<br />
Mochena 697<br />
Walser 1.215<br />
Totale 1.867.503 – 1.877.503 circa<br />
Artt. 2 e 3 della Costituzione.<br />
Art. 6 della Costituzione che recita:<br />
“La Repubblica tutela con apposite<br />
norme le minoranze linguistiche”.<br />
A norma degli Statuti speciali<br />
delle Regioni Trentino-Alto A-<br />
dige, Valle d’Aosta e Friuli-<br />
Venezia Giulia, con decreti<br />
legislativi, sono molteplici le<br />
norme di attuazione emanate.<br />
Esiste una vasta produzione<br />
normativa regionale sia<br />
nell’ambito degli Statuti che nel<br />
contesto della disciplina regionale<br />
in materia di competenza,<br />
soprattutto nel settore dei beni<br />
culturali e delle attività di promozione<br />
culturale ed educativa.<br />
Legge-quadro 15 dicembre<br />
1999, n. 482 recante “Norme<br />
in materia di tutela delle minoranze<br />
linguistiche storiche”.<br />
Legge 23 febbraio 2001, n. 38<br />
recante Norme a tutela della<br />
minoranza linguistica slovena<br />
della regione Friuli-Venezia<br />
Giulia”.<br />
* I dati sono stati desunti a seguito della delimitazione territoriale adottata dall’Organismo competente, in base alla normativa vigente.<br />
Gli stessi dati rivestono carattere di stima e quindi sono da ritenersi puramente indicativi.<br />
x Il dato risale al 1° Rapporto del Ministero dell’Interno del 1994 ed è puramente indicativo. Si è in attesa, quindi, delle delimitazioni territoriali<br />
previsti dalla legge n. 38/2001.<br />
xi In Valle d’Aosta circa 122.000; in Piemonte 4.990 circa.<br />
123
Paese: LIECHTENSTEIN<br />
MINORANZE PRESENTI<br />
NON ESISTONO<br />
Il Liechtenstein ha ratificato<br />
la Convenzione<br />
quadro per la protezione<br />
delle minoranze nazionali<br />
il 18 novembre 1997, inserendo<br />
la seguente dichiarazione<br />
nello strumento<br />
di ratifica: Il Principato<br />
del Liechtenstein<br />
dichiara che, in particolare,<br />
gli articoli 24 e 25 della<br />
Convenzione quadro per<br />
la protezione delle minoranze<br />
nazionali del 1°<br />
Febbraio 1995 vanno<br />
presi in considerazione<br />
tenendo conto del fatto<br />
che sul territorio del Principato<br />
non insistono minoranze<br />
nazionali, nel<br />
senso previsto dalla Convenzione<br />
quadro. Il Principato<br />
del Liechtenstein<br />
considera la propria ratifica<br />
della Convenzione<br />
quadro quale atto di solidarietà<br />
in vista degli o-<br />
biettivi della Convenzione.<br />
CONSISTENZA NUMERICA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
COSTITUZIONALE<br />
La Costituzione prevede che il tedesco<br />
sia la lingua nazionale e ufficiale<br />
del Liechtenstein. A livello generale, e<br />
per uso colloquiale, viene parlato un<br />
dialetto germanico, con caratteristiche<br />
alemanne.<br />
LEGGE NAZIONALE<br />
124
Paese: LITUANIA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * TUTELA GIURIDICA<br />
COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
Legge sulle<br />
Popolazione 3.653.000 Art. 25 e 26: la libertà di opinione,religione<br />
e coscienza è riconosciuta<br />
a tutti. La libertà di cultura,<br />
scienza, ricerca e insegnamento è<br />
riconosciuta a tutti<br />
Art 29: prevede il principio<br />
dell’uguaglianza e il divieto di discriminazione<br />
Artt. 35 e 36: la libertà di riunione e<br />
associazione è riconosciuta solo ai<br />
cittadini<br />
art. 37: “I cittadini che appartengono<br />
a comunità nazionali hanno il<br />
diritto di sviluppare la propria lingua<br />
e cultura e i propri costumi”.<br />
Art. 45: alle minoranze nazionali è<br />
riconosciuto il diritto di mantenere<br />
istituti di istruzione e di altro tipo, in<br />
autonomia amministrativa e con il<br />
sostegno dello Stato.<br />
Capitolo 2 della Costituzione (parte<br />
riguardante i diritti fondamentali):<br />
distinzione tra i diritti di tutti gli individui<br />
e i diritti dei cittadini.<br />
Art. 117, commi 2 e 3 della Costituzione:<br />
benché la lingua usata in<br />
tribunale sia il lituano (legge sulla<br />
lingua dei pubblici uffici del 1995 e<br />
art. 8 della legge sui tribunali del<br />
1994), i partecipanti ad un processo<br />
che non padroneggiano tale<br />
lingua hanno diritto all’intervento di<br />
un interprete.<br />
minoranze del<br />
1989 (parzialmente modificata<br />
nel gennaio 1991):<br />
Artt. 1 e 2: alle minoranze nazionali<br />
che insistono sul territorio<br />
nazionale della Lituania è<br />
riconosciuto il diritto al riconoscimento<br />
e alla promozione<br />
dell’identità etnica, nonché alla<br />
tutela dalla discriminazione<br />
Art. 2, comma 2: particolari<br />
misure di tutela nei settori<br />
dell’istruzione, dei media e<br />
dell’accesso ai pubblici uffici.<br />
Prevede il diritto<br />
all’insegnamento nella lingua<br />
di minoranza a tutti i livelli del<br />
sistema scolastico. Autorizza<br />
espressamente le organizzazioni<br />
sociali e culturali delle<br />
minoranze; inoltre le minoranze<br />
possono creare istituzioni<br />
formative e culturali che devono<br />
essere sostenute dallo Stato.<br />
Prevede espressamente il<br />
diritto ad intrattenere contatti<br />
con persone della medesima<br />
appartenenza etnica, ma residenti<br />
all’estero. Garantisce il<br />
diritto all’uso della lingua madre<br />
per la stampa, per i prodotto<br />
editoriali e l’informazione.<br />
Art. 3: prevede l’obbligo di creare<br />
le condizioni per la formazione<br />
degli insegnanti necessari<br />
a provvedere a tale tipo di<br />
insegnamento nelle lingue di<br />
minoranza.<br />
Art. 4: particolari misure di tutela<br />
per quanto riguarda<br />
l’impiego della lingua di minoranza<br />
nei rapporti con gli uffici<br />
pubblici, le autorità e le organizzazioni<br />
locali, nei territori<br />
dove le minoranze sono presenti<br />
in maniera compatta<br />
Art. 5: particolari misure di tutela<br />
per quanto riguarda i toponimi.<br />
Le scritte “informative”,<br />
alle quali appartengono anche<br />
le denominazioni topografiche,<br />
possono essere espresse nella<br />
lingua della minoranza interessata<br />
(lingua locale), nelle parti<br />
della Lituania dove le minoranze<br />
nazionali insistono in maniera<br />
compatta, a condizione<br />
che venga aggiunta anche la<br />
lingua diStato.<br />
Art. 6: i monumenti appartenenti<br />
alla cultura delle minoranze<br />
nazionali sono considerati<br />
parte del patrimonio nazionale<br />
della Lituania e in quanto<br />
* I dati sono stati desunti a seguito della delimitazione territoriale adottata dall’Organismo competente, in base alla normativa vigente.<br />
Gli stessi dati rivestono carattere di stima e quindi sono da ritenersi puramente indicativi.<br />
125
Lituani 3.000.222 tali sono protetti<br />
Art. 7: prevede l’istituzione di<br />
scuole private per le minoranze<br />
con il sostegno dello Stato<br />
Art. 9: prevede la libertà di associazione<br />
per gli appartenenti<br />
alle minoranze nazionali<br />
Art. 10: prevede il diritto alla<br />
creazione di organismi propri.<br />
Al comma 1 stabilisce che il<br />
parlamento e i consigli comunali<br />
possano costituire dei comitati<br />
pubblici delle minoranze.<br />
Al comma 2 stabilisce che il<br />
Consiglio dei Ministri istituisca<br />
un comitato per le minoranze,<br />
al fine di dare espressione alle<br />
esigenze sociali e culturali delle<br />
minoranze etniche.<br />
Minoranze:<br />
Regolamento sui nomi delle<br />
persone del 1991: nei documenti<br />
ufficiali i nomi e i cognomi<br />
devono essere scritti in<br />
caratteri latini (caratteri della<br />
lingua lituana); tuttavia i cittadini<br />
di nazionalità diversa da<br />
quella lituana, con istanza<br />
scritta, possono richiedere che<br />
il proprio nome venga scritto in<br />
accordo con la pronuncia, ovvero<br />
con o senza le desinenze<br />
proprie del lituano. Anche i<br />
nomi di persone, a cui sia stata<br />
concessa la cittadinanza, possono<br />
essere usati in accordo<br />
con la forma originaria, utilizzando,<br />
però, i caratteri latini.<br />
Art. 18 della legge sulla lingua<br />
dei pubblici uffici del 1995:<br />
stabilisce che i nomi e gli indirizzi<br />
delle comunità o organizzazioni<br />
etniche possono essere<br />
usati nelle lingue di minoranza,<br />
ma solo accanto alla<br />
lingua usata nei pubblici uffici.<br />
Art 4 della legge sulla radio e<br />
la televisione del 1996:<br />
l’emittente di stato deve tenere<br />
conto anche delle varie nazionalità.<br />
Art. 9 della legge sul processo<br />
amministrativo del 1999: stabilisce<br />
che la lingua da usare sia<br />
il lituano, ma per chi non lo<br />
padroneggia è previsto un servizio<br />
di traduzione a spese dello<br />
Stato.<br />
Art. 31 della legge per la diffusione<br />
delle informazioni al<br />
pubblico: stabilisce che nella<br />
concessione delle licenze si<br />
tenga conto, fra l’altro delle<br />
esigenze delle minoranze nazionali.<br />
Art. 34 della legge per la diffusione<br />
delle informazioni al<br />
pubblico: prevede che le trasmissioni<br />
radiotelevisive in lingua<br />
diversa dal lituano siano<br />
tradotte in lituano o vengano<br />
completate con sottotitoli in<br />
lituano.<br />
126
Russi 300.000<br />
Polacchi 250.000<br />
Bielorussi 45.000<br />
Ucraini 35.000<br />
Ebrei 6.000<br />
Tatari 5.000<br />
Lettoni 4.000<br />
Rom 2.718<br />
Tedeschi 2.060<br />
Karaime 3.000<br />
127
Paese: MALTA<br />
MINORANZE PRESENTI<br />
CONSISTENZA NUMERICA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
COSTITUZIONALE<br />
LEGGE NAZIONALE<br />
All'atto della ratifica della Convenzione<br />
quadro Malta ha reso<br />
nota la seguente Dichiarazione:<br />
Malta dichiara che sul proprio<br />
territorio non esistono minoranze<br />
nazionali nel senso previsto<br />
dalla Convenzione quadro per la<br />
protezione delle minoranze nazionali.<br />
Ratificando la Convenzione<br />
quadro, Malta intende fare<br />
un atto di solidarietà ai fini degli<br />
obiettivi della Convenzione<br />
128
Paese: NORVEGIA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
SAMI (LAPPONI)<br />
40.000-60.000 Contee di Finnmark<br />
e Troms<br />
FINNI (Kven e Skog)<br />
12.000-20.000 Provincia sudorientale<br />
Hedmark<br />
ROM/VIAGGIATORI<br />
5.000 Area di Oslo<br />
EBREI 1.000<br />
- Nel corso degli anni ’70 e ’80<br />
erano state adottate varie misure<br />
in favore della minoranza<br />
Rom, le quali tra l’altro avevano<br />
previsto la creazione di un<br />
apposito Ufficio per gli Zingari<br />
con sede ad Oslo. Tali interventi,<br />
tuttavia, sono stati gradualmente<br />
eliminati all’inizio<br />
degli anni ’90, sia perché il loro<br />
costo è risultato essere troppo<br />
elevato sia per l’inadeguatezza<br />
dei risultati conseguiti.<br />
- Nel Rapporto sulle misure di<br />
attuazione della Convenzione<br />
n. 169 sui Popoli Indigeni e<br />
Tribali nei Paesi Indipendenti, i<br />
Sami non si definiscono minoranza<br />
ma popolo autoctono.<br />
* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />
129
Paese: POLONIA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
La Polonia è attualmente abitata<br />
da rappresentanti di 13 minoranze<br />
nazionali ed etniche, che assommano<br />
a circa 1 milione di persone<br />
(circa il 2-3% di tutti gli abitanti).<br />
Parte degli appartenenti alle minoranze<br />
nazionali ed etniche vivono<br />
in comunità, altri sono distribuiti a<br />
pioggia. nel dopoguerra non sono<br />
stati raccolti dati concernenti il numero<br />
delle persone appartenenti<br />
alle minoranze nazionali; pertanto<br />
tutti i dati citati sono stime. Le informazioni<br />
complete sulla struttura<br />
nazionale provengono da censimenti<br />
effettuati prima della Guerra<br />
(1921 e 1931). Nel 1998 l'Ufficio<br />
Centrale di Statistica ha deciso di<br />
inserire la categoria "nazionalità"<br />
nel censimento generale preliminare.<br />
Nel 1999 il Parlamento ha votato<br />
la legge del 2 dicembre sul censimento<br />
nazionale generale della<br />
popolazione e delle abitazioni, che<br />
stabiliva che il censimento doveva<br />
essere effettuato nel maggio 2002.<br />
Il questionario conteneva, fra l'altro,<br />
due domande concernenti la<br />
nazionalità: a quale nazionalità<br />
appartiene la persona e quale lingua/lingue<br />
viene/vengono parlata/parlate<br />
più spesso a casa.<br />
Le norme costituzionali riguardanti<br />
i diritti linguistici sono attuate rispetto<br />
alla comunità casciuba<br />
(gruppo etnico che coltiva le proprie<br />
tradizioni regionali e usa la<br />
propria lingua, che è diversa dal<br />
polacco; la consistenza numerica è<br />
di circa 350-500.000 persone.<br />
Bielorussi<br />
(appartenenti quasi esclusivamente<br />
alla Chiesa Ortodossa Polacca)<br />
Cechi<br />
Karaime<br />
Lituani<br />
Lemks<br />
200.000-300.000 Voivodato: Podlaskie<br />
3.000 Voivodati: Bassa Slesia, Lubelskie,<br />
Lodzkie<br />
200 distribuzione a pioggia<br />
20-25.000 Voivodato Podlaskie<br />
60-70.000 Voivodati: Malopolskie,<br />
Podkarpackie, Dolnoslaskie, Warminsko-Mazurskie,<br />
Lubuskie<br />
Tedeschi<br />
300-500.000 Voivodati: Oploskie,<br />
Staskie, Warminsko-Mazurskie,<br />
Kujawsko-Pomorskie<br />
Armeni<br />
5-8.000 Voivodati: Bassa Slesia,<br />
Malopolskie<br />
Rom<br />
20-30.000 Voivodati: Malopolskie,<br />
a pioggia<br />
Russi 10-15.000 Voivodati: Podlaskie,<br />
Warmia e Mazury<br />
Slovacchi<br />
10-20.000 Voivodato Malopolskie<br />
Tatari<br />
5.000 Voivodato Podlaskie<br />
Ucraini<br />
200-300.000 Voivodati: Bassa Slesia,<br />
Lubelskie, Lubuskie, Malopolskie,<br />
V. Subcarpatico, Warmia e<br />
Mazury, V. Pomerania occidentale<br />
Casciubi 300.000-500.000<br />
Greci 4000-5000<br />
Ebrei<br />
8-10.000 a pioggia<br />
* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali e dalla pubblicazione<br />
“Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />
130
Paese: REGNO UNITO<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
Scozzesi 63.000<br />
Irlandesi 140.000<br />
Gallesi 543.000<br />
Rom 90.000<br />
Cornici 1000<br />
Gallesi Isola di Man 300<br />
Non esiste una definizione giuridica<br />
di minoranza nazionale.<br />
Viene definito il gruppo razziale<br />
di cui alla legge del 1976 sui<br />
Rapporti razziali: "gruppo di persone<br />
definite per mezzo del colore,<br />
razza, nazionalità (compresa<br />
la cittadinanza) o delle origini<br />
etniche o nazionali". Tale definizione<br />
comprende le comunità<br />
minoritarie etniche (o minoranze<br />
visibili), gli scozzesi, gli irlandesi<br />
e gallesi, gli zingari e la comunità<br />
dei nomadi dell'Irlanda del<br />
Nord. E' importante notare che<br />
l'appartenenza ad una comunità<br />
minoritaria etnica non esclude il<br />
senso di appartenenza alle unità<br />
costitutive del Regno Unito.<br />
La legge del 1998 sulla criminalità<br />
e i disordini ha rafforzato<br />
l'efficacia della legge penale<br />
contro i reati con aggravante<br />
razziale. La legge del 1976 tutela<br />
gli appartenenti alle minoranze<br />
etniche dalla discriminazione.<br />
Secondo tale legge la discriminazione<br />
è illegale nell'istruzione,<br />
formazione e questioni attinenti;<br />
nella fornitura di beni, strutture,<br />
servizi e locali, nonché nell'utilizzo<br />
e nella gestione di ambienti.<br />
Detta legge prevede che le<br />
persone abbiano diritto di accedere<br />
direttamente ai Tribunali<br />
civili e a quelli del lavoro per<br />
tutelarsi dalla discriminazione<br />
illegale. La citata legge ha istituito<br />
la Commissione per l'uguaglianza<br />
razziale, indipendente<br />
dal <strong>Governo</strong>, che opera per l'eliminazione<br />
della discriminazione<br />
e la promozione delle pari<br />
opportunità.<br />
* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />
131
Paese: REPUBBLICA CECA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
MINORANZE<br />
SLOVACCHI<br />
POLACCHI<br />
TEDESCHI<br />
ROM<br />
UNGHERESI<br />
UCRAINI<br />
RUSSI<br />
RUTENI<br />
BULGARI<br />
GRECI<br />
314.877 Distretti di Sokolov, Cheb,<br />
Cesky Krumlov, Karvina, Bruntal,<br />
città di Praga<br />
59.383 Zone confinanti con la Polonia;<br />
Distretti di Frydek-Mistek e Karvina<br />
48.556 Regioni a ridosso dei confini<br />
meridionale, settentrionale ed<br />
occidentale (distretti di Jihlava e<br />
Viyskov);<br />
Distretti di Sokolov, Karlovy Vary,<br />
Chomutov e Teplice;<br />
in Moravia, distretto di Opava<br />
32.903 Sull’intero territorio delle<br />
Terre Ceche, con le maggiori concentrazioni<br />
nelle città industriali<br />
della Boemia settentrionale e della<br />
Moravia settentrionale, nonché a<br />
Praga<br />
19.932 Praga, Boemia centrale,<br />
Moravia settentrionale<br />
8.220 Praga, Boemia centrale, Moravia<br />
settentrionale<br />
5.062 su tutto il territorio nazionale<br />
1.926 su tutto il territorio nazionale<br />
3.487 su tutto il territorio nazionale<br />
3.379 su tutto il territorio nazionale,<br />
con le maggiori concentrazioni nelle<br />
città di Krnov e Brno<br />
1.043 su tutto il territorio nazionale<br />
413 Cfr. minoranza tedesca<br />
ROMENI<br />
AUSTRIACI<br />
VIETNAMITI 421<br />
EBREI<br />
218 su tutto il territorio nazionale<br />
ALTRI<br />
9.860<br />
(di cui cecoslovacchi)<br />
3.464<br />
SECONDO L’APPARTENENZA REGIONALE<br />
BOEMI 9.270.615<br />
MORAVI 373.294<br />
Provvedimenti legislativi aventi<br />
rilevanza costituzionale:<br />
- Legge 121/1920, che recepisce la<br />
legge costituzionale della Repubblica<br />
Cecoslovacca;<br />
- Legge 508/1921, Trattato tra le<br />
principali potenze alleate ed associate<br />
e la Cecoslovacchia firmato a<br />
Saint- Gennain-en Laye il<br />
10/9(1919;<br />
- Legge 144/1968 sullo status delle<br />
minoranze nazionali nella Repubblica<br />
Socialista Cecoslovacca;<br />
- Legge 23/1991, che recepisce la<br />
Carta dei Diritti e delle Libertà<br />
Fondamentali quale legge costituzionale<br />
della Repubblica Federativa<br />
Ceca e Slovacca;<br />
- Legge 2/1993, Risoluzione del<br />
Consiglio Nazionale Ceco del 16<br />
dicembre 1992 sulla dichiarazione<br />
della Carta dei Diritti e delle Libertà<br />
Fondamentali quale parte integrante<br />
dell’ordine costituzionale della<br />
Repubblica Ceca<br />
Nel 1968, dopo la creazione della<br />
Federazione Cecoslovacca, il Parlamento<br />
ha adottato una legge costituzionale<br />
sullo status delle minoranza.<br />
L’elenco delle minoranze<br />
nazionali in essa presentato includeva<br />
anche la minoranza nazionale<br />
tedesca, oltre a quella ungherese,<br />
polacca, ucraina (rutena) già<br />
previste. Altre minoranze, tra cui i<br />
Rom non sono state riconosciute.<br />
In base alla costituzione ed alla<br />
legge summenzionata, all’epoca la<br />
Cecoslovacchia comprendeva due<br />
nazioni (nel significo etnico del<br />
termine) e quattro gruppi etnici descritti<br />
con un termine diverso da<br />
nazione, ossia con quello di gruppo<br />
etnico. Le stesse minoranze<br />
non sono state e continuano a non<br />
essere descritte come nazionali,<br />
ma piuttosto con l’aggettivo “etnico”.<br />
La tradizione della doppia etnicità<br />
è stato mantenuto<br />
nell’attuale Repubblica Ceca, nonostante<br />
l’ordinamento interno del<br />
paese non riconosca il termine di<br />
nazione (etnica) costituente lo Stato.<br />
Il termine nazione viene generalmente<br />
associato alla lingua, alla<br />
cultura ed alla patria potestà.<br />
Nel 1991, la legge costituzionale<br />
sullo status delle minoranze nazio-<br />
- Legge 122/1920, basata<br />
sull’art. 129 della Costituzione<br />
che stabilisce i principi dei diritti<br />
linguistici nella Repubblica Cecoslovacca;<br />
* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali e dalla pubblicazione<br />
“Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />
132
SLESIANI 11.248 nali del 1968 è stata sostituita dalla<br />
Carta dei Diritti e delle Libertà<br />
Fondamentali che, agli artt. 24 e<br />
25, definisce la tutela dei diritti delle<br />
minoranze nazionali. Dopo lo<br />
scioglimento della Federazione<br />
Cecoslovacca, la Carta è stata inserita<br />
nell’ordinamento costituzionale<br />
della Repubblica Ceca a decorrere<br />
dal 1° gennaio 1993.<br />
133
Paese: REPUBBLICA DELLA MOLDAVIA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
UCRAINI 600.366<br />
RUSSI 562.062<br />
GAGAUZI<br />
153.458 La maggioranza risiede<br />
nella regione occupata dall’Unità<br />
Territoriale Amministrativa della<br />
Gagauzia (Gagauz-Yeri), entità<br />
politica autonoma.<br />
BULGARI 88.419<br />
EBREI 65.672<br />
BIELORUSSI 19.608<br />
ROM 11.571<br />
TEDESCHI 7.335<br />
POLACCHI 4.739<br />
I dati demografici sopra indicati si<br />
riferiscono al censimento della popolazione<br />
condotto nel 1989,<br />
quando il paese era ancora parte<br />
dell’Unione Sovietica.<br />
La Repubblica di Moldova comprende,<br />
oltre alla Gagauzia, anche<br />
un’altra regione autonoma costituita<br />
dalla Transdniestria, dove sono<br />
presenti varie minoranze etniche,<br />
fra cui ucraini, russi, bulgari, gagauzi<br />
ed altre.<br />
* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />
134
Paese: REPUBBLICA DI MACEDONIA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
Albanesi 442.914<br />
Turchi 77.252<br />
Rom 43.732<br />
Valacchi 8.467<br />
Serbi 39.260<br />
Altri 34.960<br />
La Costituzione della Repubblica di<br />
Macedonia non prevede l'uso del<br />
termine minoranze nazionali; con<br />
gli emendamenti costituzionali del<br />
2004 è stato eliminato anche il<br />
termine nazionalità.<br />
Il IV emendamento alla Costituzione<br />
prevede che la Repubblica di<br />
Macedonia costituisca uno stato<br />
indipendente e sovrano in cui i cittadini,<br />
sia macedoni sia appartenenti<br />
al popolo albanese, turco,<br />
valacco, serbo, rom, bosniaco si<br />
assumano la responsabilità del<br />
presente e del futuro della loro patria.<br />
L'articolo 8 della Costituzione<br />
prevede la libera espressione dell'affiliazione<br />
etnica, che è uno dei<br />
valori fondamentali dell'ordine costituzionale<br />
della Repubblica di<br />
Macedonia, unitamente a quello<br />
della rappresentazione adeguata<br />
ed equa dei cittadini appartenenti<br />
ad altre comunità presso gli organi<br />
delle autorità statali e di altre pubbliche<br />
istituzioni, a tutti i livelli.<br />
* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />
135
Paese: ROMANIA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
20.350.980 In 38 distretti la popolazione<br />
Romeni<br />
di origine etnica rumena<br />
costituisce la maggioranza. Nei<br />
distretti di Covasna e Harghita la<br />
popolazione di origine etnica magiara<br />
costituisce la maggioranza.<br />
Magiari e Szekel 1.620.199<br />
Rom 409.723<br />
Tedeschi, Svevi e Sassoni 119.436<br />
Ucraini 66.833<br />
Russi-Lipovani 38.688<br />
Serbi 29.080<br />
Tatari 24.649<br />
Slovacchi 20.672<br />
Bulgari 9.935<br />
Ebrei 9.107<br />
Croati 4.180<br />
Cechi 5.800<br />
Polacchi 4.247<br />
Greci 3.897<br />
Armeni 2.023<br />
Valacchi 200.000-250.000<br />
Turchi 32.596<br />
Carasciovani 207<br />
Macedoni 731<br />
Altri 8.420<br />
I Trattati politici fondamentali<br />
conclusi dalla Romania con<br />
l'Ungheria (1996) e l'Ucraina<br />
(1997), contengono articoli separati<br />
sulla tutela delle persone<br />
appartenenti alle minoranze nazionali<br />
e prevedono che le Parti<br />
contraenti diano attuazione alle<br />
norme e agli standard previsti<br />
dalla Convenzione quadro per la<br />
protezione delle minoranze nazionali.<br />
* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali e dalla pubblicazione<br />
“Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />
136
Paese: RUSSIA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
Nel soddisfare le varie esigenze<br />
delle minoranze nazionali, nella<br />
pratica si è arrivati ad individuare<br />
due gruppi di entità nella composizione<br />
etnica della Federazione<br />
Russa: nazioni insediate o che vivono<br />
sul territorio della Russia da<br />
un lungo periodo di tempo, che<br />
possono essere chiamati, in un<br />
certo senso, popoli indigeni e<br />
gruppi etnici di origine relativamente<br />
più recente, le cui etnie "madri"<br />
vivono fuori dalla Federazione<br />
Russa (la Comunità di Stati Indipendenti<br />
e i Paesi Baltici, Bulgaria,<br />
Ungheria, Germania, Corea, Polonia,<br />
Finlandia e altri stati); infine vi<br />
sono anche gruppi che non hanno<br />
uno stato corrispondente (Assiri,<br />
Karaiti, Curdi e Rom)<br />
L'articolo 26 della Costituzione della<br />
Federazione Russa stabilisce<br />
quanto segue: "Ciascuno ha il diritto<br />
di determinare e dichiarare la<br />
propria nazionalità. Nessuno può<br />
essere obbligato a determinare o<br />
dichiarare la propria nazionalità".<br />
La legislazione in vigore non<br />
contiene alcuna definizione del<br />
concetto di "minoranza nazionale",<br />
pertanto non esiste un<br />
elenco di gruppi riconosciuti<br />
quale minoranza nazionale<br />
Anche se non riconosciute, vivono<br />
in Russia le seguenti minoranze:<br />
Aguli 18.000<br />
Assiri 9.600<br />
Avari 544.000<br />
Balkari 78.000<br />
Baskiri 1.345.000<br />
Bielorussi 1.206.000<br />
Calmucchi 166.000<br />
Careliani 125.000<br />
Cazacchi 636.000<br />
Ceceni 899.000<br />
Circassi (Adyghei) 174.000<br />
Ciuviassi 1.774.000<br />
Darghini 353.000<br />
Estoni 46.000<br />
Ebrei 548.000<br />
Finni 47.000<br />
Gagauzi 10.000<br />
Georgiani 131.000<br />
Greci 92.000<br />
Ingri 1.100<br />
Ingusci 215.000<br />
Kabardini 386.000<br />
Karaciai 150.000<br />
Komi 336.000<br />
Komi-Permiacchi 147.000<br />
Kumycchi 277.000<br />
Laki 106.000<br />
Lezghini 257.000<br />
Lettoni 47.000<br />
Lituani 70.000<br />
Mari 644.000<br />
Mordvini 1.073.000<br />
Nogai 74.000<br />
Osseti 402.000<br />
Rom 153.000<br />
Rutuli 20.000<br />
Sami 1.800<br />
Tabasarani 94.000<br />
Tatari 5.543.000<br />
Tati 19.000<br />
Tsakhuri 6.500<br />
Tedeschi 842.000<br />
* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />
137
Ucraini 4.363.000<br />
Udmurti 715.000<br />
Vepsi 12.000<br />
24.156.000<br />
138
Paese: SAN MARINO<br />
MINORANZE PRESENTI<br />
Benché San Marino non ospiti minoranze<br />
etniche sul proprio territorio,<br />
in anni recenti ha sperimentato<br />
il fenomeno dell'immigrazione. Un<br />
consistente numero di persone,<br />
relativamente alle dimensioni della<br />
popolazione locale, si reca a lavorare<br />
a San Marino, in particolare<br />
dall'Europa orientale o dal Magreb.<br />
Per la maggior parte si tratta<br />
di lavoratori stagionali, in quanto,<br />
in primavera ed estate si creano<br />
molti posti di lavoro nel settore del<br />
turismo. Alcuni di questi lavoratori<br />
stagionali, che normalmente sono<br />
impiegati nel settore della ristorazione<br />
o come commessi, potrebbero<br />
prendere in conoiderazione l'ipotesi<br />
di fermarsi permanentemente<br />
a San Marino.<br />
Attualmente, anche in considerzione<br />
del loro numero limitato, non<br />
esistono problemi di coesistenza<br />
con la comunità indigena.<br />
CONSISTENZA NUMERICA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
COSTITUZIONALE<br />
LEGGE NAZIONALE<br />
139
Paese: SERBIA E MONTENEGRO<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
ALBANESI<br />
BOSNIACI/MUSSULMANI<br />
BULGARI<br />
BUNJEVCI<br />
CROATI<br />
UNGHERESI<br />
TEDESCHI<br />
RUMENI<br />
1.714.768 Regioni del Kossovo e<br />
di Mentohija; Serbia Centrale; Serbia<br />
meridionale (comuni di Presvo<br />
e Bujanovac); comune di Medvedja<br />
al confine con il Kossovo; città di<br />
Belgrado (presenza esigua) Vojvodina;<br />
Repubblica del Montenegro<br />
(maggiore concentrazione nel comune<br />
di Ulcinj, altri gruppi presenti<br />
nei comuni di Plav, Bar e nella capitale<br />
Podgorica)<br />
327.339 Sandzak (regione comprendente<br />
parte della Serbia e del<br />
Montenegro, confinante con la Bosnia)<br />
con le maggiori concentrazioni<br />
nei comuni di Tutin, Snjenica<br />
e Novi Pazar; Serbia centrale;<br />
Kossovo; Vojvodina;<br />
Montenegro<br />
26.922Serbia orientale confinante<br />
con la Bulgaria (comuni di Dimitrovgrad<br />
e Bosilegrad); Serbia meridionale<br />
(comuni di Pirot, Babusnica<br />
e Surdulica); Vojvodina (villaggio<br />
di Ivanovo in Banat); Kossovo;<br />
Montenegro<br />
21.434 Vojvodina (la comunità più<br />
numerosa è presente nei comuni di<br />
Subotica nel Backa settentrionale<br />
e di Sombor, mentre gruppi meno<br />
consistenti risiedono a Bajmok,<br />
Gornji e Donji Tavankut, Djurdjin,<br />
Kelebija, Mala Bosna, Novi Zednik,<br />
Palic)<br />
111.650 Repubblica di Serbia; Repubblica<br />
del Montenegro; Kossovo<br />
(principalmente nel comune di Janjevo);<br />
Vojvodina; Le comunità di<br />
croati più numerose risiedono nei<br />
seguenti comuni: Subotica, Sombor,<br />
Sid, Indjia, Apatin, Ruma, Bac,<br />
Kula, Sremski Karlovci, Backa Palanka,<br />
Beocin, Irig e Novi Sad<br />
344.147 Vojvodina (la maggiore<br />
presenza si riscontra nelle seguenti<br />
città: Ada, Backa Topola, Becej,<br />
Kanjiza, Mali Idjos, Senta, Coka,<br />
Banat, Srem, Subotica; gruppi numericamente<br />
più esigui sono presenti<br />
nei comuni di Nova Crnja,<br />
Becej, Zitiste e Srbobran)<br />
5.387 Vojvodina (comuni di Apatin,<br />
Zrenjanin, Pancevo Vrbas, Subotica,<br />
Kula, Sombor, Sremska Mitrovica,<br />
Odzaci, Novi Sad, Backa Palanka<br />
e Bela Crkva); città di Belgrado;<br />
Repubblica del Montenegro<br />
42.364 Vojvodina (principlamente<br />
nella zona di Banat e nei comuni di<br />
Alibunar, Vrsac, Pancevo, Zrenjanin);<br />
Serbia centrale;<br />
Montenegro; Kossovo<br />
Legge della Repubblica del Montenegro<br />
sull’elezione di consiglieri<br />
e deputati. Tale legge consente ai<br />
comuni con una popolazione costituita<br />
in prevalenza da albanesi di<br />
creare una circoscrizione elettorale<br />
separata in seno alla singola circoscrizione<br />
repubblicana, fissando<br />
all’1% la soglia dei voti necessari<br />
per l’ingresso in Parlamento.<br />
Firma dell’Accordo intergovernativo<br />
sulla normalizzazione dei rapporti<br />
tra la Repubblica di Croazia e<br />
la ex Repubblica di Jugoslavia, che<br />
all’art. 8 prevede, indirettamente, il<br />
riconoscimento dello status di minoranza<br />
nazionale ai Croati in Jugoslavia.<br />
* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali.<br />
140
RUTENI<br />
ROM<br />
SLOVACCHI<br />
UCRAINI<br />
VALACCHI<br />
MONTENEGRINI<br />
TURCHI<br />
TSINTSARS (appellativo dai<br />
Serbi agli Arumeni)<br />
GORANTSI<br />
MACEDONI<br />
CECHI<br />
EBREI<br />
POLACCHI<br />
SLOVENI<br />
RUSSI<br />
HASHKALIS/EGIZIANI<br />
18.099 Vojvodina (comuni di Kula,<br />
Vrbas, Zabalj, Sid, Sremska Mitrovica,<br />
Novi Sad); Serbia Centrale;<br />
Montenegro; le comunità più numerose<br />
sono presenti nelle aree di<br />
Backa, e Srem, mentre altri importanti<br />
insediamenti sono localizzati<br />
a Ruski Krstur, Kucura e Bikic<br />
143.519 Montenegro (comuni di<br />
Andrijevica, Pluzine, Pljevlja, Savnik,<br />
insediamenti di Vrela Ribnicka<br />
e Konik presso Podgorica, insediamento<br />
di Niksic presso Pod<br />
Trejesom e di Cetinje presso Zabrdje;<br />
Serbia centrale;<br />
Vojvodina; Kossovo; le maggiori<br />
concentrazioni sono presenti nel<br />
bacino meridinale del fiume Morava<br />
e nella zona di Nis, in particolare<br />
nei comuni di Surdulica, Bujanovac,<br />
Bojnik, Vladicin Han<br />
66.863 Vojvodina (comuni di Backi<br />
Petrovac, Kovacica, Bac, Stara<br />
Pazova, Backa Palanka, Novi Sad)<br />
4.565 Vojvodina (comuni di Vrbas,<br />
Kula, Sremska Mitrovica, Indjija,<br />
Bac e Novi Sad)<br />
17.810 Serbia nord-orientale; Montenegro;<br />
Kossovo; Vojvodina<br />
519.757 Repubblica federativa del<br />
Montenegro<br />
11.264 Kossovo e Metohija<br />
- Aree urbane<br />
- Kossovo e Mettohija<br />
- Karacevo e Jabuka<br />
- Dintorni di Kovin<br />
- Aree urbane<br />
- Aree urbane<br />
- Aree urbane<br />
- Vojvodina<br />
80.000 Kossovo ed altre zone del<br />
paese<br />
141
Paese: SLOVACCHIA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
UNGHERESI 520.528<br />
ROM 89.920<br />
CECHI 46.968<br />
RUTENI<br />
24.201<br />
Poiché i Ruteni sono considerati in<br />
Slovacchia come gruppo a parte,<br />
sono qui indicati separatamente<br />
dagli Ucraini<br />
UCRAINI 10.814<br />
TEDESCHI 5.405<br />
CROATI 890<br />
EBREI 218<br />
POLACCHI 2.602<br />
BULGARI 1.179<br />
- Legge costituzionale N. 23/1991,<br />
che introduce la Carta dei Diritti<br />
Fondamentali e delle Libertà Fondamentali<br />
(in particolare arrt. 24,<br />
25, 37);<br />
- Costituzione della Rep. Slovacca<br />
(artt. 6, 12, 33, 34, 47).<br />
- Decreto del Ministero degli Affari<br />
Esteri N. 95/1974 relativo<br />
alla Convenzione Internazionale<br />
sulla Eliminazione di ogni Forma<br />
di Discriminazione Razziale;<br />
- Decreto del Ministero degli Affari<br />
esteri N. 120/1976 relativo al<br />
Patto sui Diritti Civili e Politici ed<br />
al Patto Internazionale sui Diritti<br />
Economici, Sociali e Culturali;<br />
- Legge N. 468/1991 sul funzionamento<br />
del Servizio radiotelevisivo<br />
e successive modifiche<br />
(art. 9 comma 2 lettera c/);<br />
- Legge del Consiglio Nazionale<br />
Slovacco N. 254/1991 sulla Televisione<br />
slovacca (art. 3, comma<br />
3, capoverso 6, lettera j/);<br />
-Legge del Consigli Nazionale<br />
Slovacco N. 255/1991 sulla Radio<br />
slovacca (art. 6, lettera d/);<br />
Legge del Consiglio Nazionale<br />
Slovacco N. 36/1978 sui teatri<br />
emendata con Legge del Consiglio<br />
Nazionale Slovacco N.<br />
115/1989 (art. 31, lettera f/);<br />
- Legge N. 29/1984 sulla Rete<br />
delle Scuole Primarie e Secondarie<br />
e successive modifiche<br />
(art. 3, comma 1);<br />
- Decreto del Ministero<br />
dell’Istruzione, della Gioventù e<br />
dello Sport N.293/1991 relativo<br />
ai Provveditorati agli Studi;<br />
- Ordinanza del <strong>Governo</strong> della<br />
Repubblica Slovacca N.<br />
282/1994 sull’Utilizzo dei libri di<br />
testo;<br />
- Decreto del Ministero<br />
dell’Istruzione N. 280/1994 relativo<br />
alle scuole private;<br />
- Legge del Consiglio Nazionale<br />
della Repubblica Slovacca N.<br />
279/1993 sulle Strutture scolastiche<br />
e successive modifiche;<br />
- Decreto del Ministero<br />
dell’Istruzione N. 353/1994 relativo<br />
alle strutture adibite all’uso<br />
per l’istruzione in età prescolare;<br />
- Legge del Consiglio Nazionale<br />
Slovacco N. 542/1990<br />
sull’Amministrazione statale e<br />
l’Autonomia delle scuole e successive<br />
modifiche;<br />
- Decreto del Ministero<br />
dell’Istruzione e del Ministero<br />
della Salute N. 536/1990 relativo<br />
alla creazione ed al funzionamento<br />
delle scuole religiose;<br />
- Ordinanza del <strong>Governo</strong> della<br />
Repubblica Slovacca N.<br />
113/1991 relativa alla conces-<br />
* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />
142
MORAVI, SLESIANI 6.361 sione di sussidi statali alle scuole<br />
private;<br />
- Legge N. 175/1990 (art. 10,<br />
comma 1, lettera a/);<br />
- Legge N. 84/1990 sul Diritto di<br />
riunione modificato con - Legge<br />
N. 83/1990 sull’Associazione di<br />
Cittadini e successive modifiche<br />
(art. 4);<br />
- Legge N. 85/1990 sul Diritto di<br />
voto (art. 1, comma 4);<br />
- Legge N. 256/1992 sulla Protezione<br />
dei dati personali nei<br />
Sistemi di Informazione ((art.<br />
16);<br />
- Legge del Consiglio Nazionale<br />
della Repubblica Slovacca sui<br />
nomi ed i cognomi N. 300/1993<br />
(art. 2, comma 1, art. 4, comma<br />
ed art. 14);<br />
- Legge del Consiglio Nazionale<br />
della Repubblica Slovacca sui<br />
Registri N. 154/1994 (art. 16,<br />
art. 19, commi 3 e 5);<br />
- Legge del Consiglio Nazionale<br />
della Repubblica Slovacca N.<br />
191/1994 sulla toponomastica<br />
nella lingua delle minoranze nazionali;<br />
- Legge sulla procedura civile N.<br />
70/1992;<br />
- Codice civile N. 40/1964 e<br />
successive modifiche;<br />
- Legge N. 141/1961 sui procedimenti<br />
penali (Procedura penale)<br />
(art. 2, comma 14);<br />
- Codice penale N. 140/1961 e<br />
successive modifiche (artt. 196,<br />
198 e 259);<br />
- Codice del lavoro N. 65/1965 e<br />
successive modifiche;<br />
Legge del Consiglio Nazionale<br />
della Repubblica Slovacca, sui<br />
Procedimenti innanzi ad essa e<br />
sulla posizione dei giudici, modificata<br />
con Legge del Consiglio<br />
Nazionale della Repubblica Slovacca<br />
N. 293/1995 (art. 23);<br />
- Legge sui Tribunali ed i Giudici<br />
N. 335/1991 (art. 7, comma 3);<br />
- Decreto del Ministero<br />
dell’Istruzione, della Gioventù e<br />
dello Sport N. 280/1991 relativo<br />
al completamento dei corsi di<br />
studio nelle scuole secondarie e<br />
di preparazione nelle scuole professionali,<br />
e successive modifiche<br />
(art. 10).<br />
143
Paese: SLOVENIA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
Magiari 8.503<br />
Italiani 3.064<br />
Rom 2.293<br />
Tedeschi (inclusi vecchi austriaci) 745<br />
Le comunità nazionali italiane ed<br />
ungheresi vivono in zone relativamente<br />
compatte, che vengono definite<br />
zone etnicamente miste. La<br />
comunità italiana è insediate in tre<br />
comuni costieri lungo il confine con<br />
l'Italia (Capodistria, Isola e Pirano).<br />
La comunità nazionale ungherese<br />
è insediata nella regione lungo il<br />
confine tra la repubblica di Slovenia<br />
e la repubblica di Ungheria<br />
(comuni di Dobrovnik, Hodo, Lendava,<br />
Moravske Toplice e Alovci)<br />
La parte principale della comunità<br />
Rom nella repubblica di Slovenia è<br />
insediata a Prekmurje e nella regione<br />
di Dolenjsko, nella Slovenia<br />
centrale.<br />
La tutela dei diritti delle comunità<br />
nazionali autoctone e della comunità<br />
Rom in Slovenia è garantita<br />
dalla legislazione della repubblica<br />
di Slovenia a due livelli: tutela dei<br />
diritti individuali dei membri delle<br />
comunità minoritarie e garanzia di<br />
diritti speciali per le comunità minoritarie<br />
(art. 64 della Costituzione) e<br />
la comunità Rom (art. 65 della Costituzione).<br />
Secondo la Costituzione<br />
le comunità nazionali autoctone<br />
italiana e ungherese godono dello<br />
speciale diritto all'uso dei propri<br />
simboli nazionali, all'uso della propria<br />
lingua nell'istruzione, alle proprie<br />
attività economiche, culturali e<br />
di ricerca, ad attività nel settore dei<br />
mass media e dell'editoria ed infine<br />
godono del diritto a mantenere<br />
contatti con le proprie nazioni di<br />
origine. La Costituzione vincola lo<br />
Stato a sostenere, concretamente<br />
e moralmente l'esercizio di tali diritti.<br />
La Costituzione garantisce ad<br />
entrambe le comunità nazionali il<br />
diritto alla partecipazione diretta al<br />
processo decisionale congiunto<br />
relativo a questioni pubbliche a<br />
livello locale e nazionale. Presso<br />
l'Assemblea Nazionale è attiva una<br />
commissione speciale per le comunità<br />
nazionali. Al fine di vedere<br />
realizzati i propri interessi i membri<br />
delle minoranze nazionali danno<br />
vita a comunità nazionali autogovernate,<br />
che sono enti di diritto<br />
pubblico e che in quanto tali rappresentano<br />
politicamente le minoranze<br />
nazionali e fungono da interlocutori<br />
dello Stato e delle comunità<br />
locali. La Costituzione stabilisce<br />
che le leggi e i regolamenti che<br />
hanno un'influenza sull'esercizio<br />
dei diritti sanciti costituzionalmente<br />
delle comunità nazionali possono<br />
entrare in vigore solo con il consenso<br />
dei rappresentanti delle comunità<br />
nazionali.<br />
L'esercizio dei diritti previsti dalla<br />
Costituzione è garantito per legge<br />
relativamente agli insediamenti<br />
autoctoni di entrambe le comunità,<br />
indipendentemente dal numero di<br />
appartenenti. In forza del principio<br />
territoriale, i diritti speciali vengono<br />
esercitati nelle zone etnicamente<br />
miste, abitate dalle comunità etniche.<br />
Al di fuori di dette zone i diritti<br />
speciali delle minoranze nazionali<br />
vengono attuati solo eccezionalmente,<br />
come previsto dalla legge.<br />
La Costituzione stabilisce che lo<br />
status e i diritti speciali della comunità<br />
Rom che vive in Slovenia<br />
siano determinati per legge.<br />
Per la loro situazione specifica,<br />
che è dovuta al tradizionale stile di<br />
vita, le misure adottate dalla comunità<br />
maggioritaria sono volte<br />
all'assistenza dei Rom e riguardano<br />
prevalentemente le codizioni di<br />
vita elementari: garanzia dell'abitazione<br />
e dei mezzi di sussistenza.<br />
In tal modo le condizioni per un<br />
reale miglioramento della situazione<br />
dei Rom (mantenimento dell'identità,<br />
istruzione, occupazione e<br />
partecipazione alla vita pubblica e<br />
politica) sono in via di graduale<br />
miglioramento. Le disposizioni nel<br />
settore dell'istruzione tengono conto<br />
delle specifiche esigenze dei<br />
bambini Rom e sono volte a garantirne<br />
l'integrazione nella società in<br />
senso più ampio, pur preservandone<br />
l'identità e la cultura. Nelle<br />
zone di antico insediamento dei<br />
Rom, la comunità Rom ha il diritto<br />
ad essere rappresentata negli organismi<br />
di autogoverno locale.<br />
Sono garantite le attività culturali e<br />
lo sviluppo dei servizi per l'accesso<br />
alle informazioni. Per la specifica<br />
situazione della comunità Rom, il<br />
<strong>Governo</strong> della Repubblica di Slovenia<br />
ha adottato, nel 1995, un<br />
programma di misure articolato per<br />
l'assistenza ai Rom. Il programma<br />
mira al miglioramento della situazione<br />
dei Rom e prevede l’attività<br />
di vari organismi governativi in que<br />
sto settore. La Costituzione, oltre a<br />
sancire i diritti umani in generale,<br />
prevede anche diritti speciali per le<br />
comunità nazionali autoctone di<br />
italiani e ungheresi e per la comunità<br />
Rom; tali diritti vengono coerentemente<br />
attuati dall'intero sistema<br />
giuridico della Repubblica<br />
*<br />
I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />
144
145<br />
di Slovenia e dalla politica governativa.<br />
Pertanto la Repubblica di<br />
Slovenia, all'atto della ratifica della<br />
Convenzione quadro, ha dichiarato<br />
di volerne applicare le disposizioni<br />
in favore dei membri di dette comunità.
Paese: SPAGNA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
CATALANI<br />
4.194.202 Circa 3.700.000 in Catalogna<br />
e circa 500.000 nelle isole<br />
Baleari<br />
VALENZIANI<br />
2.005.720 Regione valenziana<br />
GALIZIANI<br />
1.514.609 Galizia<br />
GITANI (ROM)<br />
600.000-650.000 disomogenei sul<br />
territorio nazionale, con la maggior<br />
presenza nelle collettività atonome<br />
dell’Andalusia (45%), di Valencia e<br />
Murcia e nelle principali città, come<br />
Madrid, Barcellona, Siviglia, Granada,<br />
Valenzia e Saragozza.<br />
BASCHI<br />
586.741 Paesi Baschi e Navarra<br />
OCCITANI (ARANESI) 4.000<br />
Costituzione spagnola (Preambolo,<br />
artt. 9.2 e 14)<br />
La Costituzione spagnola non riconosce<br />
formalmente né definisce le<br />
minoranze etniche. Come dichiarato<br />
nel Preambolo, essa riconosce e<br />
tutela tutti i popoli della Spagna e<br />
le rispettive culture, tradizioni, lingue<br />
e reciproca solidarietà.<br />
Non esiste, inoltre, alcuna istituzione<br />
o agenzia statale o governativa<br />
competente in materia di minoranze.<br />
* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali e dalla pubblicazione<br />
“Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />
146
Paese: SVEZIA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
FINNI 516.000<br />
La consistenza numerica del gruppo<br />
finnico in Svezia, da poco dichiarato<br />
minoranza nazionale, è<br />
calcolata fra le 75.000 e le 225.000<br />
unità, numero nel quale dovrebbero<br />
essere compresi anche circa<br />
30.000 careliani (Associazione dei<br />
careliani 1996: 626). Le autorità<br />
svedesi qualche tempo fa parlavano<br />
di 25.000 finni, oltre ai quali andavano<br />
considerati i circa 190.000<br />
finni temporaneamente immigrati<br />
per motivi di lavoro con le loro famiglie<br />
(Consiglio d’Europa 1994°:<br />
126). Ora invece il governo ritiene<br />
che vi siano circa 450.000 finni di<br />
prima o seconda generazione in<br />
Svezia, di cui la metà usa il finno.<br />
La maggior parte dei finni è immigrata<br />
dopo la seconda guerra<br />
mondiale. Il culmine si è raggiunto<br />
nel 1970, poi il numero degli immigrati<br />
è regredito (Rapporto svedese<br />
2001: 42 e seg.). Vi sono inoltre<br />
i circa 66.000 finni tornedali, riconosciuti<br />
come minoranza a parte e<br />
denominati dalla valle del fiume<br />
Torne, il quale scorre non lontano<br />
dalla frontiera fra Svezia e Finlandia.<br />
Circa 50.000 di questi parlano<br />
il dialetto finnico tornedale [chiamato<br />
Meänkieli], mentre 16.000<br />
parlano il finno standard o perché<br />
vivono in zone nelle quali esso è<br />
parlato in maggioranza o perché<br />
sono insediati nella valle da poco<br />
tempo (Rapporto svedese 2001:<br />
43) (Fonte: “Le minoranze in Europa”<br />
di Christoph Pan e Beate Sibylle<br />
Pfeil)<br />
ROM 35.000-40.000<br />
Di questi circa 2.500 sono chiamati<br />
Rom svedesi, immigrati in Svezia<br />
alla fine del XIX secolo, 3.200 sono<br />
detti Rom Finni, giunti nel paese<br />
all’inizio del XVI secolo e poi transitati<br />
nell’attuale Finlandia ed infine<br />
circa 10.000 Rom non nordici,<br />
provenienti da paesi dell’Est, tra<br />
cui la Polonia tra la fine degli anni<br />
’60 e l’inizio degli anni ’70. A questi<br />
si aggiunge un altro gruppo originario<br />
della ex Jugoslavia insediatosi<br />
di recente.Attualmente si stima<br />
che il numero dei Viaggiatori ammonti<br />
a circa 20.000 unità.<br />
* I dati sono stati tratti dal Rapporto sull’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali e dalla pubblicazione<br />
“Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />
147
EBREI<br />
25.000 Città di Stoccolma,<br />
Gothenburg e Malmö. Altre comunità<br />
indipendenti sono presenti località<br />
come Borås, Västerås, Helsingborg,<br />
Lund e Norrköpin.<br />
SAMI<br />
15.000-20.000 (Stime ufficiali)<br />
20.000-25.000 (Stima non ufficiale<br />
riportata nel testo “Minoranze in<br />
Europa” a cura di Christoph Pan e<br />
Beate Sibylle Pfeil. E’ presente<br />
lungo la fascia costiera centrale e<br />
settentrionale, nonché nell’area di<br />
Stoccolma.<br />
STRANIERI 595.000<br />
148
Paese: SVIZZERA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
MINORANZE<br />
VIAGGIATORI (Jenis, Sinti) 25.000-30.000<br />
In Svizzera la Convenzione-quadro<br />
può essere applicata anche ad altri<br />
gruppi minoritari della popolazione,<br />
come i viaggiatori.<br />
La comunità nomade conta da<br />
25.000 a 30.000 appartenenti. Gli<br />
Jenis formano il gruppo più numeroso<br />
di viaggiatori di nazionalità<br />
svizzera, sebbene ne esistano altri<br />
sul territorio, in genere appartenenti<br />
al gruppo Sinti (Manouche). La<br />
maggior parte dei viaggiatori è divenuta<br />
stanziale, in particolare a<br />
seguito dell’azione “Enfants de la<br />
grande route”. Il nomadismo resta,<br />
comunque, uno degli elementi che<br />
costituiscono l’identità culturale di<br />
queste popolazioni; esso è direttamente<br />
correlato allo svolgimento<br />
delle loro varie e redditizie occupazioni.<br />
Si stima che attualmente<br />
siano circa 4.000 o 5.000 i viaggiatori<br />
che conducono una vita nomade<br />
o seminomade.<br />
Non esistono specifiche norme a<br />
tutela delle minoranza. Le minoranze,<br />
tuttavia, sono indirettamente<br />
tutelate dal sistema politico e dalla<br />
garanzia di non discriminazione dei<br />
loro diritti costituzionali. Inoltre,<br />
alcune libertà costituzionali assumono<br />
particolare importanza in<br />
materia di tutela delle minoranze,<br />
come ad esempio la libertà linguistica<br />
e la libertà di coscienza e di<br />
credo.<br />
Infine, occorre notare che anche<br />
alcune costituzioni cantonali fanno<br />
riferimento al concetto di minoranza.<br />
La Costituzione di Berna, ad<br />
esempio, prevede che sia tenuto<br />
conto delle esigenze proprie delle<br />
minoranze linguistiche, culturali e<br />
regionali e che, a tal fine, sia prevista<br />
la possibilità di assegnare a<br />
quest’ultime specifiche competenze.<br />
Dal momento che la Convenzione-quadro<br />
non contiene una definizione<br />
di minoranza nazionale,<br />
la Svizzera ha presentato una<br />
dichiarazione al momento del<br />
deposito dello strumento di ratifica,<br />
in cui fornisce la propria interpretazione<br />
del concetto di minoranza<br />
nazionale. In sostanza,<br />
la dichiarazione si basa sulle<br />
proposte presentate dai gruppi di<br />
lavoro a livello internazionale e<br />
recita come segue: ”La Svizzera<br />
dichiara che sul proprio territorio<br />
le minoranze nazionali, nel significato<br />
della Convenzione-quadro,<br />
sono gruppi di individui numericamente<br />
inferiori al resto della<br />
popolazione del paese o di un<br />
cantone, i cui appartenenti sono<br />
cittadini svizzeri, con antichi, durevoli<br />
e solidi legami con la Svizzera<br />
e sono guidati dalla volontà<br />
di preservare insieme ciò che<br />
costituisce la propria identità<br />
comune, in particolare la propria<br />
cultura, le proprie tradizione, la<br />
propria religione o la propria lingua”.<br />
Da tale definizione appare che la<br />
Convenzione-quadro possa applicarsi<br />
in Svizzera non solo alle<br />
minoranze linguistiche, ma anche<br />
ad altri gruppi minoritari della<br />
popolazione, come gli appartenenti<br />
alla comunità ebrea ed i<br />
viaggiatori. Ogni appartenente<br />
ad una minoranza nazionale ha il<br />
diritto di scegliere liberamente se<br />
essere trattato o meno come<br />
tale. Ogni persona interessata è<br />
autorizzata a decidere se desidera<br />
o meno godere della tutela<br />
prevista dalla Convenzionequadro.<br />
Ciò, tuttavia, non implica<br />
il fatto che un individuo sia libero<br />
di scegliere arbitrariamente di<br />
appartenere ad una qualsiasi<br />
delle minoranze nazionali. La<br />
formulazione data dalla Convenzione-quadro<br />
(“ogni appartenente<br />
ad una minoranza nazionale”)<br />
mostra che non si tratta di riconoscere<br />
un diritto di libera scelta,<br />
ma piuttosto che il desiderio di<br />
essere identificato con una minoranza<br />
nazionale debba basarsi<br />
su prove oggettive.<br />
Giova notare che la dichiarazione<br />
fatta dalla Svizzera al momento<br />
della ratifica della Convenzione-quadro<br />
stabilisce una<br />
correlazione tra lo status di minoranza<br />
nazionale e la cittadinanza.<br />
Di conseguenza, un individuo<br />
privo della cittadinanza<br />
* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />
149
svizzera non può invocare la<br />
speciale tutela concessa ad ogni<br />
appartenente ad una minoranza<br />
nazionale; in simili casi, tuttavia,<br />
l’individuo è tutelato dall’articolo<br />
27 del Patto delle Nazioni Unite<br />
sui Diritti Civili e Politici.<br />
EBREI 18.000<br />
COMUNITA’ LINGUISTICHE<br />
SVIZZERI TEDESCHI 4.131.027<br />
ROMANDI 1.155.683<br />
ITALIANI 229.090<br />
ROMANCI 38.454<br />
150
Paese: UCRAINA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
RUSSI 11.355.582<br />
EBREI 487.005<br />
RUMENI/MOLDAVI 459.350<br />
BIELORUSSI 440.045<br />
BULGARI 233.800<br />
POLACCHI 219.179<br />
UNGHERESI 163.111<br />
TATARI/TATARI DI CRIMEA 133.682<br />
GRECI 98.594<br />
ARMENI 54.200<br />
ROM 47.917<br />
TEDESCHI 37.849<br />
AZERI 36.961<br />
GAGAUZI 31.967<br />
GEORGIANI 23.540<br />
CIUVASSI 20.395<br />
UZBECHI 20.333<br />
MORDVINI 19.332<br />
LITUANI 11.278<br />
CAZACHI 10.505<br />
CECHI 9.122<br />
SLOVACCHI 7.943<br />
KARAIME 1.404<br />
ALTRI 109.887<br />
Secondo la Costituzione ucraina il<br />
“popolo ucraino” si compone “dei<br />
cittadini dell’Ucraina di ogni nazionalità.<br />
Riconoscendo la sovranità e<br />
la potestà del popolo ucraino nella<br />
sua multietnicità la Costituzione<br />
definisce implicitamente le componenti<br />
strutturali della società ucraina<br />
– la nazione ucraina, le minoranze<br />
nazionali e le popolazioni<br />
indigene – affidando allo Stato il<br />
compito di promuovere lo sviluppo<br />
della loro identità etnica, culturale,<br />
linguistica e religiosa (art. 11 ).<br />
La legislazione nazionale non<br />
contiene l’elenco dei gruppi di<br />
cittadini appartenenti alle minoranze<br />
nazionali. All’art. 3<br />
della legge sulle minoranze<br />
nazionali in Ucraina si afferma<br />
che “In Ucraina i gruppi di cittadini<br />
di altra nazionalità e-<br />
sprimono tra loro il senso comune<br />
di autoconsapevolezza,<br />
di comunità e di appartenenza<br />
a minoranze nazionali”.<br />
In base ai dati raccolti attraverso<br />
il censimento del 1989,<br />
le nazionalità presenti sul territorio<br />
del paese sono 130.<br />
L’ordinamento nazionale prevede<br />
che “i cittadini appartenenti<br />
a minoranze nazionali<br />
sono liberi di scegliere come<br />
esercitare i diritti riconosciuti<br />
loro dalle leggi vigenti sia individualmente<br />
che attraverso<br />
propri organismi statali ed associazioni<br />
pubbliche” (art. 13<br />
della Legge dell’Ucraina)<br />
* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />
151
Paese: UNGHERIA<br />
TUTELA GIURIDICA<br />
MINORANZE PRESENTI CONSISTENZA NUMERICA * COSTITUZIONALE LEGGE NAZIONALE<br />
BULGARI 3.000-3.500<br />
ROM 400.000-600.000<br />
GRECI 4.000-4.500<br />
CROATI 80.000-90.000<br />
POLACCHI 10.000<br />
TEDESCHI 200.000-220.000<br />
ARMENI 3.500-10.000<br />
RUMENI 25.000<br />
RUTENI 6.000<br />
SERBI 5.000-10.000<br />
SLOVACCHI 100.000-110.000<br />
SLOVENI 5.000<br />
UCRAINI 2.000<br />
Con Decreto Governativo<br />
34/1990 (VIII.30.), l’Ungheria<br />
ha istituito l’Ufficio per le Minoranze<br />
Etniche e Nazionali, a-<br />
vente il compito specifico di<br />
coordinare tutte le attività del<br />
<strong>Governo</strong> connesse alle tematiche<br />
afferenti i gruppi minoritari<br />
presenti nel paese. Si tratta di<br />
un organismo pubblico indipendente,<br />
competente per<br />
l’intero territorio nazionale ed<br />
operante sotto la supervisione<br />
del Ministro della Giustizia.<br />
- Legge sulle Minoranze del<br />
1993.<br />
Secondo le disposizioni della<br />
citata legge, ogni individuo ha<br />
il diritto esclusivo ed inalienabile<br />
di scegliere di appartenere<br />
ad un gruppo o minoranza etnico/a<br />
o nazionale e di dichiararlo.<br />
Analogamente, il diritto<br />
all’identità nazionale o etnica e<br />
la scelta di appartenere ad una<br />
minoranza non escludono il<br />
riconoscimento di una o più<br />
affiliazioni. Tale legge, inoltre,<br />
stabilisce che, nel censimento<br />
nazionale, i cittadini appartenenti<br />
a minoranze nazionale o<br />
etniche hanno il diritto alla<br />
riservatezza della loro dichiarazione<br />
di appartenenza a simili<br />
gruppi.<br />
* I dati sono stati tratti dalla pubblicazione “Le minoranze in Europa” di Christoph Pan e Beate Sibylle Pfeil.<br />
152
L’INTEGRAZIONE: ASPETTI GENERALI<br />
153
NATURA E CONCETTO DI INTEGRAZIONE<br />
Il nostro mondo, duramente provato da varie esperienze avverte oggi, ancora di più,<br />
che le istanze di realizzazione della civile convivenza, che è la base della democrazia, devono<br />
penetrare, addirittura, negli animi e trasformarsi in intima convinzione, per non usare termini più<br />
sonori, ma forse meno efficaci, come quelli di ideale o di fede.<br />
L’uomo contemporaneo deve capire che, in un mondo globalizzato, come il nostro attuale,<br />
la civica convivenza e la cooperazione sociale dipendono soprattutto dalle capacità di rispetto<br />
e tolleranza reciproche insite in ciascuno di noi (certamente educato a determinati valori).<br />
L’uomo contemporaneo deve cioè convincersi che l’autorità non può essere delegata<br />
completamente alle istituzioni, ma che risiede anche in ciascuno di noi ed implica, soprattutto<br />
responsabilità e dovere di contribuire al benessere comune.<br />
Oggi nel nostro mondo così globalizzato ed interessato da continui e sempre più forti<br />
flussi migratori dal sud e oriente del mondo, verso nord e occidente, la responsabilità per la civica<br />
convivenza ed il dovere di contribuire al benessere comune passano attraverso i concetti di<br />
accoglienza dell’altro e del diverso.<br />
E’ un processo di continua integrazione che non è una terza via tra assimilazione e inserzione;<br />
si tratta di un processo specifico capace di suscitare la partecipazione alla società nazionale<br />
di elementi diversi accettandone la permanenza di specificità culturali, sociali e morali.<br />
E’ l’insieme della società che si arricchisce con questa complessa varietà grazie<br />
all’integrazione.<br />
Integrazione è un termine ricco di implicazioni che contempla non solo il riconoscimento<br />
allo straniero dei diritti primari politici al lavoro, alla casa, all’istruzione, ma anche una sostanziale<br />
accettazione, una condizione di parità nel rispetto della differenza.<br />
L’integrazione è quindi un processo specifico in divenire che non deve negare le differenze<br />
ma nemmeno esaltarle: è sulla rassomiglianza e sulle convergenze che una politica di integrazione<br />
deve mettere l’accento.<br />
In questa prospettiva, l’integrazione non è un obbligo esclusivo degli stranieri, ma è la<br />
via che tutta la società (autoctoni e stranieri) deve percorrere se si accettano le dinamiche della<br />
relazione interculturale che produce sempre nuove identità.<br />
L’incontro, il conf ronto e lo scambio ci cambiano e ci f anno ev olvere<br />
tutti: autoctoni ed immigrati.<br />
L’INTEGRAZIONE DIFFICILE DEGLI IMMIGRATI IN EUROPA<br />
Studi approfonditi hanno evidenziato come il fenomeno immigratorio dal punto di vista<br />
sociale non si presenti monodimensionale e unitario, ma correlato ad almeno quattro differenti<br />
processi o dinamiche:<br />
l’integrazione sociale comprendente l’acquisto di status e ruoli all’interno del paese ospitante;<br />
l’inclusione sociale, in tema di protezione;<br />
<br />
<br />
l’adattamento culturale;<br />
la responsabilizzazione degli immigrati nei confronti del Paese di origine.<br />
Tale considerazione consente una visione maggiormente prospettica e a più ampio<br />
raggio del fenomeno migratorio ed evidenziano che se da un lato gli immigrati spesso hanno<br />
difficoltà di inserimento sociale e di acquisizione di status, dall’altro c’è la tendenza a realizzarsi,<br />
sviluppando forme autonome d’imprenditorialità ed altre forme di autorganizzazione tese a sopperire<br />
alla presenza della parte pubblica.<br />
Da tutto ciò si evidenzia una mancanza di linearità e coerenza degli itinerari<br />
d’integrazione degli immigrati con situazioni di stallo prolungate, di regressioni improvvise e forti<br />
dislivelli nel grado d’inserimento nei differenti contesti sociali.<br />
155
L’IMMIGRAZIONE TRA CITTADINANZA NEGATA E INCERTEZZA DELLA SITUAZIONE<br />
IMMIGRATORIA IN EUROPA<br />
Al di là delle strategie politiche in tema di immigrazione, da parte dei governi dei singoli<br />
Stati, si evidenziano aree d’emarginazione e sofferenze comuni agli immigrati extracomunitari in<br />
Europa.<br />
Questo deficit non è senza conseguenze sia sui percorsi di vita degli immigrati, sia<br />
sull’impatto che la gestione dei processi migratori produce sulle società ospiti.<br />
Le conseguenze sono sia di ordine pubblico che di convivenza sociale e civile.<br />
Manca in sostanza un regime ordinario di gestione dei processi d’integrazione.<br />
D’altra parte gli immigrati, nel corso del processo d’inserimento nei paesi europei sperimentano<br />
oggi forme di spaesamento e di sofferenza che vanno spesso ben al di là del sopportabile,<br />
dando luogo spesso a fenomeni altalenanti di inserimento e d’emarginazione.<br />
Nonostante queste avverse condizioni gli immigrati mostrano tuttavia una marcata attitudine<br />
a non scoraggiarsi ed all’inserimento.<br />
In particolare si indicano alcuni fattori che favoriscono tutto ciò:<br />
un buon livello culturale;<br />
l’acquisizione di tratti delle culture europee sin dal periodo di residenza in patria;<br />
un notevole senso di autocontrollo;<br />
<br />
<br />
un ottimismo di fondo;<br />
la capacità di assorbire più culture differenti.<br />
Da ciò emerge che, complessivamente, il processo d’integrazione degli immigrati non è<br />
lineare né scontato, ma dipende da una molteplicità di fattori non ancora sufficientemente elaborati<br />
da chi opera e decide in questo contesto.<br />
PROSPETTIVE DI SVILUPPO DELL’INTEGRAZIONE<br />
Le prospettive degli sviluppi futuri dei flussi immigratori nei paesi europei richiedono una<br />
messa a punto di nuove strategie e politiche che tengano conto della nuova composizione sociale<br />
dei flussi stessi e della fenomenologia dell’integrazione.<br />
Appare evidente, dall’esame della situazione, come l’integrazione sia un processo già in<br />
atto dovuto anche spesso al buon grado di livello intellettuale degli immigrati stessi. Buon grado<br />
presente sia a livello individuale che a livello collettivo, grazie anche alla creazione di organizzazioni<br />
che favoriscono l’integrazione tramite la sperimentazione di attività imprenditoriali.<br />
In tale ottica mal si presenta una politica tesa alla “ghettizzazione degli immigrati”, vanno<br />
invece favorite tutte le opportunità tese all’integrazione degli immigrati stessi.<br />
Si riscontra una miriade di nuove esperienze, in tal senso, a livello locale segnalando<br />
altresì l’opportunità della creazione di un ambiente favorevole sul piano giuridico, dei finanziamenti<br />
della sensibilizzazione dell’opinione pubblica, ecc..<br />
Tutto ciò richiede una parziale riorganizzazione della società su diversi livelli:<br />
quello assistenziale;<br />
quello educativo;<br />
quello dell’assetto urbano;<br />
quello della rappresentanza politica;<br />
quello delle diversità culturali e religiosi.<br />
MISURE DI INTEGRAZIONE<br />
Con legge n. 189/2002 di riforma del testo unico sull’immigrazione, è stata introdotta la<br />
figura del contratto di soggiorno per lavoro, fondante l’integrazione del cittadino straniero sul reale<br />
inserimento nel mondo del lavoro.<br />
Lo scopo è quello d’inserire l’immigrato in un circuito di legalità, evitandone lo scivolamento<br />
nel mondo della criminalità organizzata.<br />
156
Ma sono altri i fattori di integrazione, oltre a quello del lavoro, atteso che gli immigrati<br />
non possono essere considerati come mera forza-lavoro, ma come cittadini a tutti gli effetti, titolari<br />
di diritti inalienabili, di relazioni affettive e familiari e di una cultura “altra” ma, proprio per<br />
questo, ricca di motivi di interesse.<br />
In tal senso, occorre sottolineare come la legge di riforma abbia mantenuto sostanzialmente<br />
inalterate le norme riguardanti l’integrazione sociale degli stranieri immigrati.<br />
In tal senso, la normativa sull’immigrazione, recependo la costituzione e le convenzioni<br />
internazionali, promuove la valorizzazione delle multiculturalità ma anche il rispetto per i principi<br />
ed i valori condivisi: rispetto per i diritti e la dignità dell’uomo, valutazione positiva del pluralismo,<br />
accettazione di tutta una serie di responsabilità.<br />
La normativa sull’integrazione si è preoccupata, infatti, di assicurare agli stranieri presenti<br />
nel nostro Paese basi di partenza equiparabili a quelle degli italiani nell’accesso a beni e<br />
servizi essenziali e, più in generale, a condizioni di vita decorose.<br />
Ad esempio, la L. 189/2002, in tema di centri di accoglienza e di accesso all’abitazione<br />
ha inserito all’art. 40, co. 1 del T.U., l’importante specificazione che l’accesso alle misure<br />
d’integrazione sociale è riservato agli stranieri extracomunitari che dimostrino di essere in regola<br />
con le norme di soggiorno in Italia.<br />
Altri diritti riconosciuti agli immigrati regolarizzati sono in materia previdenziale, di maternità<br />
e d’infanzia, di alloggio, di assistenza sociale e di diritto allo studio.<br />
Viceversa, l’assistenza sanitaria ed il diritto-dovere all’istruzione obbligatoria sono riconosciuti<br />
a tutti, anche se irregolari, in quanto presenti a qualunque titolo sul territorio.<br />
In particolare, l’art. 42, co. 1 del T.U. delinea l’azione dello Stato e degli Enti pubblici territoriali,<br />
in collaborazione con le associazioni di settore e con le autorità e gli enti pubblici e privati<br />
dei paesi d’origine, azione tesa a rendere effettiva un’armonica integrazione sociale.<br />
In particolare, Stato ed altri Enti pubblici sono chiamati a favorire:<br />
1. attività e collaborazione con scuole ed istituti culturali stranieri legalmente funzionanti nel<br />
nostro Paese;<br />
2. diffusione di tutte quelle informazioni tese all’inserimento degli immigrati (diritti-doveri, opportunità<br />
d’integrazione, ecc.);<br />
3. conoscenza e valorizzazione del panorama culturale-etnico-religioso degli stranieri, anche<br />
attraverso la raccolta presso biblioteche scolastiche ed universitarie di libri, periodici, materiale<br />
audiovisivo prodotti nella lingua originale dei paesi stranieri;<br />
4. realizzazione di convenzioni con associazioni registrate presso la Presidenza del Consiglio<br />
dei Ministri e il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali per l’inserimento di stranieri regolarmente<br />
soggiornanti in qualità di mediatori interculturali;<br />
5. organizzazione di corsi di formazione ispirati a criteri di convivenza multiculturale e destinati<br />
agli operatori di organi ed uffici pubblici e di enti privati che hanno rapporti abituali con stranieri,<br />
o che esercitano competenze rilevanti in materia di immigrazione.<br />
E’ prevista, inoltre, un’azione coordinata tra Stato, Enti pubblici locali ed associazioni<br />
coinvolte, tesa alla formazione culturale, all’informazione, alla mediazione interculturale, alla<br />
prevenzione o rimozione di comportamenti discriminatori.<br />
A livello locale, l’art. 3, co. 6 del T.U. prevede i Consigli territoriali per l’immigrazione, in<br />
cui sono rappresentati le competenti amministrazioni territoriali dello Stato, gli enti e le associazioni<br />
attivi localmente nel soccorso e nell’assistenza agli immigrati, le organizzazioni dei lavoratori<br />
e dei datori di lavoro.<br />
A livello centrale, con funzione di coordinamento dei Consigli territoriali degli enti e delle<br />
associazioni di rilievo nel settore è prevista la Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e<br />
delle loro famiglie, presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da un Ministro da lui delegato.<br />
La Consulta raccoglie ed elabora dati ed informazioni al fine di predisporre un documento<br />
programmatico triennale sulla condizione degli immigrati e dello stato d’applicazione della<br />
normativa in materia d’immigrazione.<br />
Della Consulta fanno parte, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri:<br />
almeno 10 rappresentanti d’associazioni ed enti presenti nell’organismo nazionale di coordinamento<br />
istituito presso il C.N.E.L. e/o impiegati nel settore dell’immigrazione;<br />
almeno 6 esponenti di associazioni più rappresentative di stranieri extracomunitari operanti<br />
sul territorio;<br />
157
4 rappresentanti di associazioni sindacali dei lavoratori;<br />
3 rappresentanti di associazioni sindacali dei datori di lavoro;<br />
8 rappresentanti delle autonomie locali;<br />
8 esperti designati dai seguenti Ministeri: lavoro e politiche sociali, istruzione, interno, giustizia,<br />
affari esteri, finanze e dal Dipartimento delle pari opportunità;<br />
due rappresentanti del C.N.E.L.;<br />
esperti in problematiche dell’immigrazione (in numero non superiore a dieci unità).<br />
L’art. 42, co. 6 del T.U. attribuisce inoltre alle Regioni la facoltà d’istituire consulte regionali<br />
per i problemi dei lavoratori stranieri e delle loro famiglie.<br />
Il C.N.E.L., nell’ambito delle proprie attribuzioni svolge attività di studio e di ricerca tesa<br />
all’inserimento degli immigrati nella vita pubblica ed alla circolazione delle informazioni<br />
sull’applicazione della normativa in materia.<br />
Nell’ambito del C.N.E.L. (art. 42, co. 3 T.U.) è poi previsto un ulteriore organismo nazionale<br />
di coordinamento finalizzato ad elaborare iniziative idonee alla rimozione degli ostacoli che<br />
impediscono l’effettivo esercizio dei diritti e dei doveri dello straniero.<br />
Tale organismo opera in sinergia con la Consulta dei problemi degli stranieri immigrati e<br />
delle loro famiglie, con i Consigli territoriali per l’immigrazione, con i centri di osservazione, informazione,<br />
assistenza legale contro le discriminazioni razziali, etniche, nazionali e religiose,<br />
con le istituzioni e gli altri organismi impegnati nelle politiche d’immigrazione a livello locale, al<br />
fine di accompagnare e sostenere lo sviluppo dei processi locali d’accoglienza e d’integrazione<br />
dei cittadini stranieri, la loro rappresentanza e partecipazione alla vita pubblica.<br />
Inoltre lo Stato e gli altri Enti pubblici sono chiamati ad adottare, nelle materie di propria<br />
competenza, programmi annuali e pluriennali indicanti le iniziative pubbliche, private prioritarie<br />
per il finanziamento da parte del Fondo nazionale per le politiche migratorie.<br />
Tale fondo, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ex art. 45 del T.U. è<br />
costituito dalle somme derivanti da contributi e donazioni di privati, enti, organizzazioni anche<br />
internazionali, da organismi dell’Unione Europea ed è destinato al finanziamento di diverse iniziative<br />
in ambito migratorio.<br />
Il nostro ordinamento tutela le differenze come valore e ricchezza, riconoscendo i diritti<br />
inviolabili dell’uomo ed affermando il diritto di tutti all’uguaglianza di trattamento.<br />
L’art. 43 del T.U., già profila come discriminazione ogni azione od omissione che direttamente<br />
od indirettamente sia causa di distinzione, esclusione, restrizione e preferenza basate<br />
su razza, colore, etnia, convinzione o pratica religiosa.<br />
L’illiceità del comportamento si manifesta allorché viene lesa la parità del soggetto immigrato<br />
nei confronti degli altri cittadini in tema di diritti umani e libertà fondamentali nei vari<br />
campi della vita pubblica (politica, economica, sociale e culturale).<br />
Non occorre dunque l’elemento soggettivo per il perfezionarsi della fattispecie discriminatoria,<br />
è sufficiente il fatto, cioè la dimostrazione dell’oggettiva disparità di trattamento.<br />
Principio base della tutela ex artt. 43 e 44 del T.U. è che lo status riconosciuto al cittadino<br />
straniero non può mai essere inferiore a quello riconosciuto al cittadino italiano o comunitario.<br />
Altra fonte in tema di lotta alla discriminazione è la direttiva del Consiglio dell’U.E. n.<br />
2000/43/CE del 29 luglio 2000 che si propone l’attuazione del principio di parità di trattamento,<br />
stabilendo un quadro per la lotta alla discriminazione fondata sulla razza e sull’origine etnica.<br />
La direttiva ha il fine di assicurare lo sviluppo di società democratiche e tolleranti che<br />
consentano la partecipazione attiva di tutte le persone, in omaggio a quel diritto all’uguaglianza<br />
dinanzi alla legge ed alla protezione contro le discriminazioni riconosciuto, fra gli altri, dalla Dichiarazione<br />
dei Diritti dell’Uomo, dalla Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le<br />
forme di discriminazione razziale, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti<br />
dell’Uomo e delle libertà fondamentali.<br />
L’adeguamento degli Stati membri dovrà avvenire entro il 19 luglio 2003.<br />
La tutela prevista dal Testo Unico sull’immigrazione è già allineata alla direttiva.<br />
Un’altra forma di tutela è prevista dall’art. 44 del T.U. che prevede che il soggetto discriminato<br />
sia da un privato che da una P.A. possa, anche senza l’assistenza di un legale, presentare<br />
ricorso al Tribunale del luogo del suo domicilio per ottenere, in via d’urgenza,<br />
158
l’emanazione di un provvedimento che ordini la cessazione del comportamento pregiudizievole,<br />
la rimozione dei relativi effetti e l’eventuale riconoscimento del danno anche non patrimoniale.<br />
Un’altra misura di tutela è prevista dall’art. 44, co. 10 del T.U., secondo cui le rappresentanze<br />
locali delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale<br />
possono ricorrere contro atti o comportamenti discriminatori di carattere collettivo anche laddove<br />
non sono direttamente ed immediatamente individuabili i singoli lavoratori lesi dalle discriminazioni.<br />
Nel caso di accoglimento del ricorso, il giudice, nella sentenza che accerta la discriminazione,<br />
ordina al datore di lavoro di definire un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.<br />
Per rafforzare le norme contro la discriminazione, l’art. 44, co. 12 del T.U. predispone<br />
centri d’osservazione, d’informazione e d’assistenza legale per gli stranieri vittime di discriminazioni<br />
da realizzarsi a cura delle regioni in collaborazione con Provincia, Comune, associazioni<br />
d’immigrati e volontariato sociale.<br />
POLITICHE CULTURALI E SOCIETA’ MULTICULTURALE<br />
La diversità culturale, in tutte le sue forme, mette seriamente in discussione le tradizionali<br />
formulazioni delle politiche culturali e dell’istruzione nonché la nostra concezione di interesse<br />
pubblico che tali politiche devono sostenere. In molti paesi il paesaggio culturale non si è e-<br />
voluto in maniera tale da riflettere le realtà di un ambiente sociale modificato. Questa spaccatura<br />
rischia di delegittimare le istituzioni culturali e la politica pubblica che le sostiene. Il passaggio<br />
dalla omogeneità alla diversità come nuova norma sociale impone un ripensamento dei processi,<br />
dei meccanismi e dei rapporti necessari ai fini di uno sviluppo democratico delle politiche in<br />
diversi settori, soprattutto nell’area del Mediterraneo.<br />
Il “pluralismo culturale” non è sufficiente per la creazione di una società solidale. Esiste<br />
la necessità di attuare una piattaforma di politiche che, affrontando la complessa rete di fattori<br />
socio-culturali, abbia l’obiettivo di risolvere i problemi derivanti dalla diversità culturale: politiche<br />
culturali che promuovano il rispetto reciproco e la solidarietà sulla base di bisogni comuni.<br />
Le politiche dell’istruzione svolgono un ruolo fondamentale nel promuovere i valori della<br />
libertà individuale, delle istituzioni democratiche e della risoluzione pacifica dei conflitti: esse<br />
dovrebbero costituire un mezzo per trasformare le condizioni socio-culturali e per promuovere la<br />
comprensione reciproca.<br />
Ovviamente nell’era della globalizzazione la diversità culturale e le società multiculturali<br />
sono un fatto scontato. Benché le migrazioni di popolazioni da paesi in via di sviluppo a paesi<br />
sviluppati stiano aumentando, esistono migrazioni imponenti anche all’interno dei paesi in via di<br />
sviluppo, pertanto gli Stati, le società civili e le organizzazioni internazionali rivestono ruoli e-<br />
gualmente importanti nel dialogo multiculturale e interculturale. Attualmente l’identità culturale si<br />
è molto accentuata ed è pertanto molto importante allontanarsi dai conflitti culturali e avvicinarsi<br />
a delle modalità negoziali di dialogo interculturale.<br />
IL GRADO DI INSERIMENTO DEGLI IMMIGRATI NELLE DIVERSE AREE ITALIANE<br />
In linea di massima, si può affermare che, in merito al grado di inserimento degli immigrati<br />
nel tessuto socio-economico del Paese, si riscontrano essenzialmente due realtà: l’area<br />
settentrionale e quella meridionale-insulare, ancora marcatamente distinte fra loro, mentre il<br />
Centro (tradizionalmente zona d’insediamento stabile, e infatti la provincia della Capitale vede<br />
ancora oggi il maggiore insediamento di stranieri rispetto a tutte le altre province italiane) va visto<br />
essenzialmente come area di passaggio e smistamento verso il più promettente Nord Italia.<br />
Ancora si registrano, infatti, consistenti flussi migratori sulle coste meridionali del Paese,<br />
dove, accanto alle tradizionali rotte mediterranee (Albania ed ex Jugoslavia) si stanno affermando<br />
quelle provenienti dall’Africa meridionale (Libia ed Egitto) e dal Medio Oriente (Turchia).<br />
Dal Meridione, zona di primo ingresso, gli immigrati puntano essenzialmente a Nord:<br />
anzitutto il Nord-Ovest, direttrice tradizionale di migrazione e conosciuta fin da quando gli stessi<br />
italiani del meridione vi si riversavano in massa per ragioni di lavoro e poi verso la nuova diret-<br />
159
trice del Nord-Est, nuovo polo d’attrazione costituito dalle regioni orientali del settentrione italiano,<br />
la cui economia, basata sulla piccola e media impresa, ne ha fatto uno dei centri di reddito<br />
più ricchi d’Europa, innalzando di conseguenza la richiesta di manodopera nel locale mercato<br />
occupazionale.<br />
Emerge, da tutto ciò, come gli immigrati che dal Sud Italia vanno cercando una sistemazione<br />
più sicura al nord, non fanno altro che ripercorrere i medesimi itinerari che i nostri connazionali<br />
tracciarono per le medesime ragioni al tempo delle consistenti migrazioni interne, riproponendo<br />
ancor oggi (sebbene in forme e con diversi protagonisti) l’antico ed irrisolto problema<br />
della “questione meridionale”.<br />
Ciò posto, non mancano situazioni locali di felice eccezione: al Centro, infatti, abbiamo il<br />
Lazio, una realtà in grado di offrire ancora reali possibilità d’insediamento stabile, ma vi sono<br />
anche le Marche e la Toscana ad offrire e costituire per diversi immigrati luoghi di radicamento<br />
ormai definitivo nel nostro Paese.<br />
LA SITUAZIONE MIGRATORIA AL NORD<br />
Il Nord, con oltre la metà delle presenze (54,8%) risulta essere l’area a più intenso insediamento<br />
di immigrati: i circa 925.000 soggiornanti si distribuiscono per il 56,9% nel nordovest<br />
(526.698) e per il 43,1% nel nord-est (398.278).<br />
Si conferma in tal modo la grande capacità di attrazione che tutta l’area esercita sugli<br />
immigrati, in vista di un progetto migratorio a medio e lungo termine che trova evidentemente<br />
qui più che altrove le condizioni più probabili e favorevoli di riuscita.<br />
Occorre peraltro distinguere che, mentre per il nord-ovest si tratta per lo più di migrazione<br />
direttamente proveniente dall’estero, nell’area nord-orientale giungono in misura relativamente<br />
maggiore stranieri che hanno già fatto ingresso nel Paese, probabilmente da qualche regione<br />
meridionale, e che una successiva migrazione interna indirizza verso questo più promettente<br />
territorio nord-orientale.<br />
La comunità più presente risulta essere il Marocco, con una media di un soggiornante<br />
ogni sette e sempre prima in tutte le regioni, tranne che in Trentino (Germania) e Friuli (USA,<br />
soprattutto per la presenza della base militare di Aviano).<br />
La presenza femminile (336.000), poco più del 44% di tutti i soggiornanti, incide per<br />
quasi due punti percentuali in meno rispetto alla media nazionale, con una leggera flessione<br />
della presenza soprattutto nel nord-est (43,8%), mentre in tutta l’area risulta essere notevole la<br />
presenza di stranieri in giovane età; sono circa 170.000 i minori residenti, il 61,1% di tutti quelli<br />
presenti in Italia ed un quinto di tutti i residenti stranieri del nord, con un’incidenza maggiore di<br />
un punto e mezzo nel nord-est ed un tasso di scolarizzazione (55,8% nel nord-ovest e 56,6%<br />
nel nord-est) generalmente superiore alla media italiana (53%).<br />
Quanto all’appartenenza religiosa, nel nord-ovest un immigrato su tre è cattolico, uno su<br />
quattro è di un’altra confessione cattolica, oltre uno su tre è musulmano, mentre uno su dodici<br />
appartiene ad altre religioni.<br />
Nel nord-est, invece, è cattolico uno straniero su cinque, è altro cristiano ma non cattolico<br />
oltre uno su quattro, è musulmano ancora uno ogni quattro, mentre oltre un quarto si riconosce<br />
in altre religioni.<br />
Dai dati, globalmente si evince un più antico e tradizionale insediamento nel nord-ovest,<br />
ma anche la tendenza ad un rapido allineamento della zona nord-orientale, in termini di stabilità<br />
dell’insediamento, rispetto alla maggiormente assestata zona nord occidentale.<br />
DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ALLOGGIO E ASSISTENZA SOCIALE<br />
La casa è un bene essenziale per tutti perché soddisfa alcune delle fondamentali esigenze<br />
della persona.<br />
Tuttavia la Costituzione non prevede un vero e proprio riconoscimento di un diritto alla<br />
casa, ma si ritiene che ciò rientri nella previsione dell’art. 2 laddove si fa riconoscimento ai diritti<br />
inviolabili dell’Uomo. Quello della casa è un ambito che coinvolge la salute, la dignità, l’unità<br />
familiare e l’infanzia.<br />
160
Il delicato tema dell’accesso all’abitazione per gli immigrati s’innesta sul più ampio tema<br />
delle politiche d’integrazione. Purtroppo la situazione abitativa degli immigrati nel nostro Paese<br />
è contraddistinta da una situazione di povertà, che si manifesta spesso in forme estreme.<br />
La legge, all’art. 7, comma 2 bis T.U., prevede l’obbligo di denuncia all’autorità di pubblica<br />
sicurezza da parte di chiunque dà alloggio ovvero cede un immobile in godimento ad uno<br />
straniero.<br />
Il T.U. sull’immigrazione, all’art. 43, comma 2, lett. c), vieta il comportamento discriminatorio<br />
da parte di chi impone allo straniero condizioni più svantaggiose o si rifiuta di fornire<br />
l’accesso all’alloggio allo straniero regolarmente soggiornante in ragione della sua condizione di<br />
straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità. Contro<br />
questo tipo di atti di discriminazione è prevista una specifica tutela giurisdizionale: l’azione civile<br />
contro la discriminazione ex art. 44 del T.U.<br />
Uno dei requisiti di validità per la stipula del contratto di soggiorno per lavoro subordinato<br />
ex L. 189/2002 è la garanzia da parte del datore di lavoro di un alloggio a beneficio del lavoratore<br />
che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale<br />
pubblica.<br />
Questo è altresì uno dei requisiti indispensabili affinchè uno straniero possa ottenere<br />
per un proprio congiunto ex art. 29 T.U. un permesso di soggiorno per motivo familiare.<br />
Accesso all’abitazione<br />
In base alla L. 189/2002, l’efficacia dell’art. 40 del T.U. co. 1 bis l’accesso alle misure<br />
d’integrazione da parte di stranieri non comunitari è condizionato dalla regolarità degli stessi<br />
con le norme di soggiorno.<br />
Infatti solo la titolarità della carta di soggiorno o del permesso di soggiorno almeno<br />
biennale e lo svolgimento di una regolare attività lavorativa autonoma o subordinata danno il diritto<br />
all’immigrato di accedere in parità con i cittadini italiani all’edilizia residenziale pubblica e a<br />
tutte quelle operazioni connesse con l’assegnazione di un alloggio pubblico (art. 40 c. 6 T.U.).<br />
In base alla L. 189/2002 è stabilita la durata biennale del soggiorno parificando in tal<br />
modo i cittadini stranieri agli italiani nell’accesso agli alloggi pubblici.<br />
In attesa dell’assegnazione dell’alloggio pubblico in via definitiva lo straniero può accedere<br />
ad altre forme di alloggio alternativo quali alloggi sociali, collettivi o privati predisposti dalle<br />
regioni, dai comuni, dal volontariato sotto forma di pensionato con sistemazione a pagamento<br />
secondo quote calmierate (art. 40 c. 4 T.U.).<br />
Centri di accoglienza<br />
I centri di accoglienza sono strutture particolari di sostegno agli stranieri regolarmente<br />
soggiornati che offrono loro temporanea assistenza alloggiativa ed alimentare, e talora di apprendimento<br />
della lingua e di formazione professionale in attesa dell’integrazione e del raggiungimento<br />
dell’autonomia personale.<br />
I centri di accoglienza sono predisposti dalle regioni in collaborazione con gli altri enti<br />
pubblici locali e con le organizzazioni di volontariato (art. 40 c. 1 e 3 T.U.).<br />
Sempre in base all’art. 40 del T.U. il soggiorno deve essere temporaneo.<br />
Assistenza sociale<br />
Anche gli stranieri titolari di carta di soggiorno nonché i minori iscritti nel loro titolo di<br />
soggiorno sono equiparati ai cittadini italiani nella fruizione di provvidenza e prestazioni anche<br />
economiche di assistenza sociale.<br />
La Legge n. 488/1999 ha inoltre introdotto per le donne straniere titolari di carta di soggiorno<br />
la possibilità di ottenere l’assegno di maternità corrisposto dai comuni alle donne che<br />
non beneficiano di alcuna tutela economica della maternità per ogni figlio nato dal 1° luglio 2000<br />
o per ogni minore adottato o in affidamento preadottivo.<br />
IMMIGRAZIONE E ISTRUZIONE<br />
Nel suo essere luogo di formazione, scambio, interazione e trasmissione di modelli culturali,<br />
la scuola gioca anche un ruolo strategico nell’integrazione degli immigrati, ponendo le ba-<br />
161
si di un’armonica convivenza e conferendo le abilità relazionali necessarie alla crescita e<br />
all’inserimento sociale.<br />
E’ da riscontrare un aumento progressivo del numero di alunni e studenti stranieri, segno<br />
di una tendenza al ricongiungimento dei nuclei familiari, di un accresciuto benessere socioeconomico<br />
e di un’anzianità d’insediamento.<br />
Le più recenti politiche educative, richiamando espressamente i diritti dell’uomo e del<br />
bambino, hanno teso al riconoscimento del valore delle culture originarie e a promuovere la cultura<br />
dei popoli.<br />
La normativa prevede, tra i suoi punti qualificanti:<br />
l’obbligo scolastico per tutti i minori stranieri presenti sul territorio a prescindere dalla regolarità<br />
della loro posizione rispetto alle norme sul soggiorno;<br />
la promozione di iniziative volte all’accoglienza, alla tutela della cultura e della lingua<br />
d’origine;<br />
l’effettività del diritto allo studio;<br />
la parità di trattamento in materia d’accesso all’istruzione universitaria.<br />
Istruzione degli stranieri. Educazione interculturale<br />
L’art. 38 del T.U. stabilisce la completa equiparazione di minori italiani e stranieri in materia<br />
d’istruzione di accesso ai servizi educativi e di partecipazione alla vita della comunità scolastica.<br />
Inoltre è previsto l’assoggettamento dei minori stranieri all’obbligo scolastico, a prescindere<br />
dalla regolarità della loro posizione in ordine al loro soggiorno (art. 45, co. 1 del d.P.R. n.<br />
394/99).<br />
L’iscrizione dei minori stranieri avviene nei modi e nelle condizioni previste per i minori<br />
italiani.<br />
L’iscrizione del minore straniero avviene nella classe corrispondente all’età anagrafica,<br />
tuttavia il collegio dei docenti può deliberare l’iscrizione ad una classe diversa tenendo conto sia<br />
dell’ordinamento degli studi del Paese di provenienza, sia della competenza, dell’abilità e dei<br />
livelli di preparazione dell’alunno e del titolo di studio eventualmente posseduto dallo stesso<br />
(art. 45, co. 2 d.P.R. n. 394/99).<br />
Onde favorire l’integrazione in modo omogeneo è prevista, da parte del collegio dei docenti<br />
un’equa ripartizione degli alunni stranieri nelle varie classi (art. 45, co. 3 d.P.R. n. 394/99)<br />
ed è previsto altresì l’ausilio di mediatori culturali qualificati per le comunicazioni scuola/famiglia<br />
(art. 45, co. 5 d.P.R. n. 394/99).<br />
Come è prevista l’incentivazione della conoscenza della lingua italiana, così sono previste<br />
azioni di promozione, accoglienza ed integrazione della cultura e delle lingue d’origine ed<br />
attività interculturali comuni in base all’art. 38 del T.U.<br />
Tali iniziative sono realizzate sulla base di una rilevazione dei bisogni locali e di una<br />
programmazione territoriale integrata anche in convenzione con le associazioni degli stranieri,<br />
con le rappresentanze diplomatiche o consolari dei paesi d’appartenenza e con le organizzazioni<br />
di volontariato.<br />
Peraltro l’attività d’integrazione di cui all’art. 38 del T.U. non è ad esclusivo beneficio dei<br />
minori alunni stranieri ma è prevista altresì anche a favore degli stranieri adulti regolarmente<br />
soggiornanti, art. 38, co. 5 T.U.<br />
Sono previste infatti convenzioni tra le Regioni e gli enti locali, attivazione di corsi<br />
d’alfabetizzazione primaria e secondaria, organizzazione di corsi in lingua italiana e tutte le altre<br />
iniziative di studio previste dall’ordinamento vigente anche nel quadro di accordi di collaborazione<br />
internazionale in vigore per l’Italia (art. 38, co. 5 T.U. e art. 45, co. 7, d.P.R. n. 394/99).<br />
Sono previsti anche programmi culturali varati dalle Regioni per i diversi gruppi nazionali<br />
presso le scuole superiori o gli istituti universitari e altresì sono previsti specifici insegnamenti<br />
integrativi nella lingua e cultura d’origine (art. 38, co. 6 T.U.).<br />
Permesso di soggiorno per motivi di studio<br />
Lo straniero che desideri seguire in Italia corsi universitari, di studio superiore o di formazione<br />
professionale presso istituti riconosciuti o qualificati, può ottenere, in base ad un valido<br />
visto per studio, un permesso di soggiorno a tempo indeterminato.<br />
In base al D.M. 12 luglio 2000 (all. A, n. 16), per l’ottenimento del visto occorrono:<br />
162
documentazione del corso di studio o formazione professionale;<br />
adeguate garanzie circa i mezzi di sostentamento;<br />
polizza assicurativa per cure mediche e ricoveri ospedalieri;<br />
età maggiore di quattordici anni.<br />
Ciò posto, v iene rilasciato il permesso di soggiorno per motivi di studio<br />
della durata non superiore ad un anno ma rinnov abile.<br />
Va sottolineato lo stretto legame tra permesso di soggiorno e corso di studi sicché il<br />
permesso stesso non può essere utilizzato per la frequenza di un corso diverso da quello originario.<br />
Fa eccezione l’ipotesi di un rilascio del permesso per corsi superiori e il soggetto intenda<br />
proseguire per un corso universitario, in tal caso, se sussistono i requisiti richiesti, può essere<br />
consentito l’ulteriore permanenza.<br />
Le istanze di rilascio del permesso di soggiorno per motivi di studio dovranno essere il<br />
più possibile dettagliate ed essere corredate della documentazione relativa al corso di studio, la<br />
frequenza del quale è posta alla base della concessione del visto d’ingresso in favore dello<br />
straniero.<br />
Lo studente straniero può altresì svolgere concomitante attività lavorativa purché non<br />
superi le 1040 ore annuali.<br />
Il permesso di soggiorno per motivi di studio può essere convertito in permesso per motivi<br />
di lavoro entro i limiti delle quote di stranieri ammessi in Italia con decreto di programmazione<br />
annuale (art. 6, co. 1 T.U.) tenendo conto degli orientamenti comunitari in materia, in particolare<br />
riguardo all’inserimento di una quota di studenti stranieri, stipulando apposite intese con gli<br />
atenei stranieri, per la mobilità studentesca, nonché organizzando attività d’orientamento e<br />
d’accoglienza (art. 39, co. 2 T.U.).<br />
Accesso ai corsi delle Università<br />
In materia d’accesso all’istruzione universitaria, l’art. 39 T.U., 1° co. prevede parità di<br />
trattamento tra italiani e stranieri, pur con taluni limiti, in particolare quello che prevede in base<br />
alla L. 189/2002 il regolare soggiorno sul territorio da almeno un anno.<br />
L’accesso all’istruzione universitaria degli studenti stranieri residenti all’estero è disciplinato<br />
annualmente con decreto del Ministro degli Affari Esteri, di concerto con il Ministro<br />
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e con il Ministro dell’Interno, che determina il numero<br />
massimo dei visti d’ingresso e dei permessi di soggiorno da rilasciare (art. 39, co. 4 del<br />
T.U.).<br />
Lo schema del decreto è trasmesso al Parlamento per l’acquisizione del parere delle<br />
commissioni competenti per materia che si esprimono entro i successivi trenta giorni.<br />
Gli studenti stranieri accedono, a parità di trattamento con gli studenti italiani, ai servizi<br />
ed interventi per il diritto allo studio.<br />
Le Università, nella loro autonomia e viste le loro disponibilità finanziarie, assumono iniziative<br />
volte alla promozione dell’accesso degli stranieri ai corsi universitari.<br />
NUOVI MESTIERI NELL’OTTICA DELL’INTEGRAZIONE<br />
Vengono da ogni angolo del mondo: colombiani, curdi, messicani, nigeriani; svolgono<br />
un lavoro che è quasi una missione: il mediatore linguistico per gli immigrati.<br />
Sono dunque tanti gli immigrati attivi nei comuni, presso i tribunali, nelle scuole e nelle<br />
strutture sanitarie; si tratta appunto di un nuovo mestiere: quello di mediatore linguistico e interculturale,<br />
il simbolo dell’integrazione, il ponte fra le diverse etnie.<br />
Mestiere e non ancora professione, perché manca un albo ed i percorsi formativi non<br />
sono omogenei così come non è omogenea la retribuzione.<br />
Secondo un sondaggio della CARITAS ed una ricerca condotta dal CISP per conto del<br />
Ministero del Welfare sarebbero circa 1000 tali esperienze tra agenzie e singoli lavoratori, ma il<br />
dato è approssimato per difetto perché i mediatori, già oggi, sono almeno il doppio.<br />
163
Anche il tipo di prestazione è variabile: nella scuola, per esempio, ci vuole il mediatore/interprete,<br />
che aiuti un nuovo alunno straniero, giunto magari da fuori ad anno scolastico già<br />
cominciato, ed il mediatore/ animatore.<br />
La CIES, la più grossa agenzia nazionale con almeno 300 mediatori in servizio in tutta<br />
Italia, più di 400 formati e 500 in banca-dati, aiuta a tracciare il profilo del mediatore culturale:<br />
non è un italiano né un dipendente pubblico perché la sua funzione è rigorosamente di terza<br />
parte, di equidistanza fra straniero ed istituzione.<br />
Il mediatore non può essere un sindacalista né un portavoce di istanze, perché deve<br />
essere solo un ponte di comunicazione, né può essere pagato dall’utente straniero perché il suo<br />
servizio ha un carattere sociale e va finanziato dalla collettività.<br />
Non può essere un rancoroso né un egocentrico, perché il suo profilo psicologico prevede<br />
una grande capacità d’ascolto.<br />
Funzione del mediatore linguistico-culturale è quella di favorire l’incontro e la comunicazione<br />
fra italiani ed immigrati, specie negli “avamposti pubblici” prevenendo o risolvendo i conflitti.<br />
Il suo bagaglio culturale include una profonda conoscenza delle leggi e della cultura italiana,<br />
un’istruzione medio-alta e la conoscenza di una terza lingua “veicolare” (inglese, francese,<br />
spagnolo) oltre all’italiano e a quella del paese d’origine; è un professionista tenuto al segreto<br />
d’ufficio e il suo ciclo di formazione ideale, fra base e specializzazione, è di circa 400 ore.<br />
E’ in corso di predisposizione un disegno di legge sulle professioni sociali, tra cui appunto<br />
quella di mediatore culturale.<br />
Sarebbe auspicabile aprire l’Università alle culture straniere e consentire anche a studenti<br />
italiani, laureati in scienze sociologiche e di comunicazione, di accedere a tale professione.<br />
IMMIGRATI E COMUNICAZIONE<br />
La considerazione dell’immigrato nei paesi di insediamento, assai poco spesso è frutto<br />
di quello che fa veramente, mentre invece è frutto assai spesso dell’immagine stereotipata che<br />
la popolazione locale si è fatta di lui spesso in maniera pregiudiziale.<br />
Ciò è frutto di una ricerca di sociologi e antropologi che pone le premesse per lo sviluppo<br />
di un progetto recentemente avviato in Italia con il supporto della Commissione Europea (iniziativa<br />
comunitaria EQUAL).<br />
L’organizzazione Internazionale per le migrazioni, l’Archivio dell’Immigrazione e la Caritas<br />
di Roma / Dossier Statistico Immigrazione hanno infatti proposto un progetto sul tema<br />
“L’immagine degli immigrati tra media e società civile e mondo del lavoro”.<br />
Sinteticamente il progetto si propone di:<br />
istituire un archivio delle comunità immigrate, che raccoglie le varie espressioni della loro<br />
ricchezza culturale;<br />
creare un’agenzia di informazione destinata a favorire le notizie riguardanti l’immigrazione e<br />
imperniata sull’apporto di corrispondenti immigrati sia a livello centrale che territoriale;<br />
<br />
<br />
promuovere una migliore interazione tra operatori del sociale ed immigrati;<br />
offrire istanze formative di alto livello a beneficio di operatori immigrati e italiani nel settore<br />
del giornalismo e della sensibilizzazione delle competenze interculturali.<br />
A livello internazionale, il progetto si propone di creare collegamenti con quanto, nello<br />
stesso campo, svolto in altri paesi dell’Unione tramite traduzione del materiale di lavoro.<br />
A livello nazionale uno dei partner è RAI NEWS 24 che ha il compito di supportare e<br />
promuovere iniziative e progetti, mentre il CENSIS è chiamato ad approfondire la collocazione<br />
degli immigrati nel sistema della comunicazione.<br />
I partner a dimensione territoriale in buona parte associazioni di immigrati, dei quali si è<br />
inteso valorizzare la partecipazione saranno di sostegno per il conseguimento degli obiettivi<br />
prima esposti.<br />
Il tema “immigrato e comunicazione” viene in questa sede trattato sotto diversi aspetti:<br />
<br />
come viene presentato l’immigrato nelle televisioni a carattere nazionale in base a una ricerca<br />
del CENSIS;<br />
164
censimento di tutte le testate ed emittenti che si occupano del COSPE;<br />
riflessione approfondita sull’argomento in base alle notizie fornite dal mondo migrante;<br />
l’immigrato nella televisione italiana.<br />
Secondo una prima indagine del CENSIS l’immagine tipo dell’immigrato rappresentato<br />
in televisione non pecca di razzismo ma è certamente distratta, ai confini della cronaca nera e<br />
ciò non favorisce adeguatamente il processo d’integrazione e reciproca conoscenza.<br />
Il periodo di rilevazione è nell’estate del 2001. Sono state riscontrate queste linee nella<br />
rappresentazione degli immigrati in televisione:<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
per fasce d’età: vi è una maggiore presa in considerazione dei minori rispetto agli adulti;<br />
quanto al sesso la presenza maschile è preponderante rispetto a quella femminile con ciò<br />
non tenendo conto che le maggior parte degli immigrati è di sesso femminile;<br />
il ruolo affidato all’immigrato è in prevalenza negativo per lo più protagonista di incidenti, di<br />
atti criminosi ed inconvenienti vari con la burocrazia;<br />
l’immigrato viene considerato più come rappresentante di una categoria che come individuo;<br />
le trasmissioni che più trattano degli immigrati sono i telegiornali (95,4%) con notizie in gran<br />
parte di cronaca nera;<br />
l’argomento trattato in prevalenza è criminalità/illegalità (56,7%) seguito da assistenza/solidarietà<br />
(13,4%) e da “immigrazione”, affrontato peraltro per fatti legati alla cronaca,<br />
mentre ricorrono più raramente argomenti quotidiani come lavoro, sport e spettacoli o riflessioni<br />
di tipo giuridico, etico, sociale e storico;<br />
a dare più spazio all’immigrazione sono le tre reti RAI (63,1%), contro il 32,1% di Mediaset<br />
e il 4,8% di Telemontecarlo;<br />
gli immigrati non hanno spazio per esprimersi in prima persona: per lo più o sono citati o<br />
consultati come immigrati o esperti oppure sono semplicemente ospiti della trasmissione o<br />
come diretti interessati o come testimoni;<br />
le trasmissioni degli o per gli immigrati.<br />
Gli immigrati, nei programmi a loro dedicati possono avere due tipi di inclusione che,<br />
allo stato attuale, influiscono pressochè in egual misura:<br />
<br />
<br />
Un’inclusione assistita, promossa da volontari e/o operatori che lavorano nel campo dei<br />
servizi d’accoglienza e all’immigrazione, che offrono spazi di programmazione, in radio e televisione<br />
oppure favoriscono l’avvio di testate senza particolare riflessione sugli obiettivi, sui<br />
potenziali destinatari e sull’organizzazione dell’offerta.<br />
Un’inclusione garantita, che deriva da una più articolata riflessione circa le opportunità di un<br />
migliore coinvolgimento sociale degli immigrati e delle loro prospettive culturali anche grazie<br />
alla partecipazione delle istituzioni nella logica di un servizio pubblico.<br />
Dall’indagine COSPE risulta che in Italia operano 16 emittenti televisive e 44 radio che<br />
hanno almeno un’esperienza di iniziativa linguistica nel loro palinsesto, a cui si aggiungono 31<br />
testate editoriali dedicate agli immigrati o al tema dell’immigrazione.<br />
La radio risulta quindi essere lo strumento privilegiato seguito dalla carta stampata,<br />
mentre, scarsamente rilevante risulta essere la TV.<br />
Per quanto riguarda, più in dettaglio, l’analisi di quanto viene prodotto per gli immigrati il<br />
COSPE ha censito 117 prodotti di cui 70 programmi radio, 16 televisivi e 31 editoriali.<br />
I primi tentativi risalgono all’inizio degli anni ’90, la maggior parte però è collocata più<br />
nella seconda metà di quegli anni e sono numerose anche le iniziative più recenti.<br />
Tutto ciò mostra un crescente interesse alle iniziative multilinguistiche e multiculturali.<br />
A livello geografico le regioni più vitali sono la Toscana, il Lazio, la Lombardia e l’Emilia<br />
Romagna alle quali spetta una quota del 50%, mentre seguono a distanza Piemonte, Veneto,<br />
Puglia e Sicilia.<br />
a) Programmi radiotelevisivi<br />
Si tratta per lo più di programmi lunghi del tipo contenitore a cadenza settimanale e con fascia<br />
oraria prevalentemente serale. In parte sono programmi a produzione interna (2/3) mentre per il<br />
restante si ricorre a soggetti esterni (associazione di volontariato, sindacati, enti locali).<br />
165
Oltre al programma tipo contenitore vi sono anche TG (26,7%), programmi di approfondimento<br />
rubrica (9,3%), trasmissioni musicali (7 %), di servizio (4,7%) e talk-show (3,5%), comunque il<br />
programma-contenitore è quello che meglio si appresta all’integrazione degli immigrati.<br />
b) Carta stampata<br />
La produzione editoriale destinata agli immigrati è ampia e variegata: abbiamo bollettini di servizio,<br />
riviste di comunità, monografie colte, guide alla legislazione e servizi, riviste di approccio<br />
antropologico ed etnografico.<br />
L’attenzione è centrata sugli immigrati di nuovo arrivo piuttosto che su quelli già residenti.<br />
La tiratura si aggira su una quota tra le 1.000 e le 5.000 copie, in gran parte si tratta di periodici<br />
a cadenza mensile.<br />
Editori di queste testate sono i privati cittadini (16%), l’associazionismo, il volontariato, il sindacato<br />
(15%), gli enti locali (6,5%) e le vere e proprie case editrici (13%).<br />
La logica di queste attività non è tanto quella di mercato ma quella di servizio per fini di<br />
studio o etnico-culturali.<br />
In buona parte le iniziative sono supportate da intenti e tematiche quali il ruolo degli<br />
immigrati nella società, la solidarietà sociale e lo spirito di servizio.<br />
Sia per quanto riguarda i programmi televisivi che la carta stampata scarsi risultano essere<br />
i finanziamenti pubblici e per gran parte si fa leva sul volontariato.<br />
La lingua usata è in gran parte l’italiano ma spesso si ricorre anche ad una lingua straniera,<br />
in genere quella della fascia di immigrati di riferimento.<br />
Secondo il COSPE l’offerta mediale multiculturale costituisce un elemento importante di<br />
prima accoglienza per gli immigrati ed anche un primo ma importante passo verso la costruzione<br />
di una società multietnica in cui le diverse nazionalità abbiano pari diritto di cittadinanza.<br />
Il protagonismo per una nuova immagine dell’immigrazione<br />
I problemi di impatto del fenomeno migratorio con i residenti possono essere attuati anche<br />
mediante il corretto intervento dei mass-media che possono influire positivamente o negativamente<br />
sulla percezione collettiva della presenza immigrato.<br />
Il giornalista è, anche se non unico, la figura professionale-chiave di questo processo e,<br />
accanto a lui i politici nazionali ed internazionali, gli enti locali, il mondo associativo e in particolare<br />
le grandi agenzie di sensibilizzazione e gli istituti di ricerca.<br />
Valido, ai fini di una nuova strategia, è l’apporto che può essere fornito dalle associazioni<br />
degli immigrati.<br />
Occorre, poi, tener presente la componente intellettuale dell’immigrazione straniera che<br />
presenta caratteristiche meritevoli di attenta considerazione.<br />
E’ auspicabile altresì la formazione dei giornalisti immigrati.<br />
LA COMPONENTE FEMMINILE NELL’AMBITO DELLA FENOMENOLOGIA MIGRATORIA<br />
Di fronte all’imponente manifestarsi, nell’ultimo decennio più marcatamente, di fenomeni<br />
migratori (soprattutto via mare) dal sud e dall’est del mondo verso nord ed occidente, siamo abituati,<br />
a livello dell’immagine informativa che ci viene trasmessa dai media (giornali, televisione,<br />
ecc.) ad osservare e soffermarci sulla sola componente maschile del fenomeno migratorio di cui<br />
sopra; infatti sia nelle immagini trasmesse in TV nei notiziari, che nelle interviste ai quotidiani è<br />
quasi sempre l’elemento maschile ad essere evidenziato.<br />
Tale predominanza dell’elemento migratorio maschile trova risonanza ed elaborazione<br />
di soluzioni nelle più varie sedi da quella politica a quella statistica a quella istituzionale in senso<br />
lato.<br />
In effetti, quindi, si evidenzia come, in sede di valutazione della fenomenologia dei flussi<br />
migratori la conoscenza e la valutazione della presenza femminile vadano, senz’altro, approfonditi.<br />
Dalle statistiche emerge peraltro una certa consistenza quantitativa della componente<br />
femminile, ma risultano di difficile individuazione e definizione i caratteri e le dinamiche delle<br />
stesse.<br />
166
A monte del fenomeno migratorio femminile, mentre se ne evidenziano, da un lato, tematiche<br />
quali il ricongiungimento familiare o la collaborazione domestica, restano oscuri<br />
dall’altro, altri non meno importanti fattori dal punto di vista umano e sociale quali condizioni di<br />
vita estremamente critiche (donne capofamiglia) o discriminazione di genere.<br />
Un altro livello di riflessione da approfondire, in seno alla tematica della componente<br />
femminile nella fenomenologia immigratoria, riguarda l’accesso all’erogazione di alcuni servizi<br />
sociali fondamentali come sanità ed istruzione.<br />
Non bisogna, poi, per arricchire il quadro, mancare di menzionare e sottolineare come<br />
l’elemento femminile costituisca un forte fattore di potenzialità nel facilitare l’integrazione sociale<br />
ed economica della popolazione immigrata.<br />
L’elemento femminile, in quanto risultante più esposto al cambiamento (mutamento di<br />
abitudini domestiche, di educazione della prole, ecc.) tende ad inserirsi più rapidamente nei paesi<br />
ospitanti, svolgendo in tal modo un ruolo decisivo di mediazione culturale fra paese ospitante<br />
e paese d’origine.<br />
Si evince, infatti, come all’interno delle comunità di immigrati la presenza femminile favorisca<br />
da un lato l’interscambio tra persone e culture, dall’altro come madri visto che entrano in<br />
rapporto per i figli con le strutture educative e socio-sanitarie del paese ospitante, mentre il marito<br />
è impegnato nel lavoro.<br />
Si consideri, infine, la maggiore flessibilità ed adattabilità rispetto ai maschi ad affrontare<br />
situazioni difficili di questa componente femminile oltre che alla propensione ad organizzarsi<br />
in gruppo per promuovere azioni socialmente rilevanti di vario tipo.<br />
L’IMPEGNO DELLA CHIESA PER L’INSERIMENTO DEGLI STRANIERI<br />
Anche la Chiesa è fortemente impegnata in prima linea nelle tematiche dell’integrazione<br />
dello straniero e dell’immigrato.<br />
Secondo la Fondazione Migrantes, problemi sociali, antropologici, culturali, economici e<br />
politici complicano l’accoglienza degli immigrati.<br />
L’istituzione della Giornata nazionale delle migrazioni si rivolge alle comunità cristiane<br />
affinché gli immigrati trovino in Italia una continuazione di vita religiosa.<br />
Sarebbe auspicabile incrementare il dialogo interreligioso che, come afferma Papa Giovanni<br />
Paolo II, è veicolo di pace.<br />
In tal senso, la Fondazione Migrantes facendo proprio il tema “Accoglietevi come Cristo<br />
ha accolto voi”, sta svolgendo un lavoro per rendere le parrocchie palestre di ospitalità.<br />
Migrantes prima di tutto cerca di creare una mentalità di comunione tra le varie etnie e<br />
successivamente le parrocchie ospitano le varie comunità, perché solo attraverso la conoscenza<br />
reciproca si superano i problemi di integrazione.<br />
Maggiori difficoltà si incontrano con i nomadi perché è una cultura che difficilmente si<br />
integra.<br />
Occorre un lavoro integrato con le autorità civili rendendo vivibili i campi, mandando i<br />
bambini a scuola, regolando la vita sociale; con gli altri immigrati invece si evidenzia che, ove<br />
svolgano attività lavorative, l’integrazione si profila in modo positivo.<br />
167
LINEE DI INTERVENTO SULL’INFORMAZIONE<br />
E LA COMUNICAZIONE DEI 32 PAESI EUROPEI<br />
IN APPLICAZIONE ALLA CONVENZIONE-QUADRO<br />
PER LA PROTEZIONE DELLE MINORANZE NAZIONALI<br />
169
SCHEDE ILLUSTRATIVE DEI 32 PAESI EUROPEI<br />
ALBANIA<br />
Allo scopo di preservare e consolidare l'identità culturale delle minoranze nazionali e al<br />
fine di tenerle costantemente informate relativamente agli sviluppi politici, sociali, economici e<br />
culturali riguardanti non solo l'Albania, ma anche il contesto internazionale, la legislazione albanese<br />
contempla per le stesse la piena possibilità di accedere ai media sia stampati che elettronici,<br />
nella loro lingua madre.<br />
La libertà di espressione, come contemplata dalla Convenzione quadro, è un diritto costituzionale<br />
fondamentale in Albania. L'articolo 22 della Costituzione garantisce a tutti, comprese<br />
le minoranze nazionali, la libertà di espressione, la libertà di stampa e dei mezzi radiotelevisivi<br />
e proibisce la censura preventiva in relazione ai mezzi di comunicazione.<br />
La legge n. 7756 dell'11/10/93 denominata "Legge sulla stampa", emendata con legge<br />
n. 8239 del 3/9/97 è costituita da un unico articolo che stabilisce quanto segue: "La stampa è<br />
libera. La libertà di stampa è protetta per legge".<br />
In forza delle disposizioni della succitata legge, gli appartenenti alle minoranze nazionali<br />
godono, senza alcun ostacolo, del diritto di dar vita a media della carta stampata nella propria<br />
lingua d'origine, come tutti i cittadini albanesi. La stampa delle minoranze nazionali, come tutta<br />
la stampa albanese, non è soggetta alla censura preventiva.<br />
Le minoranze greca, macedone, montenegrina e arumena hanno accesso a riviste e<br />
quotidiani nelle rispettive lingue.<br />
La legge n. 8410 del 30/9/98 intitolata "Le radio e televisioni pubbliche e private della<br />
Repubblica di Albania" garantisce l'accesso delle minoranze nazionali ai media elettronici. Detta<br />
legge stabilisce la libertà dell'attività radiotelevisiva, nonché l'indipendenza editoriale (articoli 4 e<br />
5). L'articolo 39 della citata legge proibisce "la trasmissione di programmi che incitino alla violenza,<br />
alla guerra di aggressione, all'odio razziale e basato sulla nazionalità." ecc., mentre l'articolo<br />
36 stabilisce che " i programmi radiotelevisivi pubblici e privati devono rispettare la dignità<br />
personale e i diritti umani fondamentali, nonché l'imparzialità, completezza, veridicità e il pluralismo<br />
dell'informazione, i diritti di bambini e adolescenti, l'ordine pubblico e la sicurezza nazionale,<br />
la lingua e cultura albanesi, i diritti umani e costituzionali delle minoranze nazionali in adempimento<br />
alle convenzioni internazionali siglate dall'Albania ed infine la diversità religiosa in Albania."<br />
L'articolo 37, poi, afferma che: "L'uso della lingua albanese è obbligatorio per tutti i programmi,<br />
ad eccezione di lavori di tipo musicale con testi in lingua straniera, di programmi per<br />
l'insegnamento delle lingue straniere, di programmi specificatamente destinati alle minoranze<br />
nazionali e dei programmi di enti radiotelevisivi titolari di licenza per la trasmissione nella lingua<br />
delle minoranze."<br />
Su tale base, viene garantita, agli appartenenti alle minoranze nazionali di poter fondare<br />
stazioni radiotelevisive locali, con l'uso della lingua madre. L'emissione delle licenze è di competenza<br />
del Consiglio Nazionale Radiotelevisivo, le stesse devono essere richieste a norma di<br />
legge e conformemente agli standard internazionali riconosciuti.<br />
In base all'articolo 69 della legge 8410, la ART (l'emittente radiotelevisiva albanese), è<br />
tenuta a garantire la trasmissione di notiziari destinati anche alle minoranze nazionali, sia dalle<br />
sedi centrali che da quelle regionali. Nonostante sia esplicitamente contemplato detto obbligo<br />
nei confronti della ART, la legge non stabilisce concretamente, né in termini nominali né percentuali,<br />
l'entità e l'estensione del volume dei notiziari obbligatori destinati alle minoranze nazionali,<br />
all'interno del tempo di programmazione. Si sottolinea che uno dei 15 membri del Consiglio di<br />
Amministrazione della Art, eletto dal Parlamento in base alla legge sui media elettronici (art.<br />
88), è il rappresentante delle minoranze nazionali e pertanto dovrebbe normalmente rispettare<br />
le percentuali in termini di volume e tempo che devono essere dedicate alle informazioni sulle<br />
minoranze nazionali all'interno dei programmi ART.<br />
Tuttavia, l'attività delle minoranze in tutte le sfere della vita, le loro conquiste e i loro<br />
problemi hanno assunto una collocazione importante e vengono ampiamente trattati all'interno<br />
dei principali programmi della ART, sia nei notiziari, che in altri programmi di carattere culturale,<br />
economico e sociale.<br />
171
Le minoranze greca, macedone e montenegrina hanno accesso a programmi radiotelevisivi<br />
nelle rispettive lingue; nel 2000 i media hanno dato risalto alla situazione dei Rom e degli<br />
arumeni.<br />
ARMENIA<br />
La Costituzione della Repubblica d' Armenia, all'articolo 24, conferma uno dei principali<br />
diritti umani. In base al citato articolo, ciascuno ha il diritto di esprimere la propria opinione.<br />
Nessuno può essere obbligato a ritrattare o modificare la propria opinione; quindi si afferma che<br />
ognuno ha diritto alla libertà di parola, ivi compreso il diritto di ricercare, ricevere e divulgare informazioni<br />
e idee attraverso qualsiasi mezzo di informazione, indipendentemente dalla posizione<br />
dei confini di stato.<br />
Nella Repubblica d'Armenia sono in vigore la legge sui mass media e quella sulla radio<br />
e la televisione, adottate il 9 ottobre 2000. Detta legge definisce lo status delle società radiotelevisive,<br />
lo strumento giuridico necessario all'istituzione, la licenza e la gestione e altri elementi.<br />
L'articolo 5 della Legge sulla radio e la televisione stabilisce che la lingua per la diffusione<br />
dei programmi è l'armeno, ad eccezione dei casi previsti dalla legge medesima. I programmi<br />
televisivi, i lungometraggi e i documentari, i cartoni animati nonché episodi di programmi<br />
armeni in lingua straniera vengono trasmessi con traduzione/interpretazione simultanea in<br />
armeno. Per quanto riguarda le minoranze nazionali, la TV pubblica trasmette un'ora di programmi<br />
settimanali, mentre la radio trasmette giornalmente per la durata di un'ora.<br />
L'articolo 8 della Legge sulle diffusioni radiotelevisive stabilisce che, in territorio armeno, gli<br />
indirizzi di dichiarazioni scritte, ricevute e trasmesse dagli enti devono essere in armeno, mentre<br />
il testo può essere in qualsiasi lingua o alfabeto, fatta salva la disponibilità tecnica. L'articolo 10<br />
della citata legge definisce i principi ispiratori dell'attività per quanto riguarda le emissioni radiotelevisive:<br />
a) Uguali diritti per gli utenti dei servizi di diffusione radiotelevisiva;<br />
b) garanzia della riservatezza e della libertà della diffusione dei programmi sia per l'aspetto dei<br />
mezzi tecnici che per quanto riguarda le reti di trasmissione;<br />
c) tutela statale delle postazioni orbitali dei satelliti e della banda di radiofrequenze tramite sistemi<br />
tecnici e reti di trasmissione.<br />
Per quanto riguarda la stampa vale vengono pubblicati 10 riviste e quotidiani in russo. Segue<br />
l'elenco delle pubblicazioni delle minoranze nazionali, accreditate presso il Ministero della<br />
Giustizia e di altri mass media, facenti capo alle medesime minoranze.<br />
La radio trasmette programmi in georgiano, curdo, russo e yezidi. Gli appartenenti a matrimoni<br />
misti hanno la possibilità di ascoltare programmi radiofonici in arabo, azero, inglese, francese,<br />
persiano e turco.<br />
AUSTRIA<br />
Per quanto riguarda le sovvenzioni alla stampa, si richiama l'articolo 2 comma 2 della<br />
Legge per la promozione della stampa del 1985, che facilita l'accesso alle misure di sostegno,<br />
per i media delle minoranze. La citata legge prevede una tiratura minima di 5.000 copie e l'impiego<br />
di almeno due giornalisti a tempo pieno per quanto riguarda i settimanali, ma tali requisiti<br />
non vengono applicati per i settimanali pubblicati in una lingua minoritaria.<br />
ORF (Compagnia radiotelevisiva austriaca)<br />
La ORF è un organismo radiotelevisivo istituito in base al diritto pubblico.<br />
I programmi televisivi della ORF<br />
In base all'articolo 2 comma 1 paragrafo 2 della Legge sulle trasmissioni radiotelevisive,<br />
la ORF, nella progettazione dei programmi, mira anche ad incoraggiare la conoscenza e la<br />
comprensione della coesistenza democratica. Per quanto riguarda le minoranze nazionali, tale<br />
requisito è soddisfatto in particolare dal programma "Heimat, fremde Heimat" (Patria, patria<br />
172
straniera). Esso è una rubrica settimanale di immigrazione su e per gli immigrati e le minoranze<br />
nazionali che vivono in Austria. Scopo del programma è promuovere la coesistenza, la diversità<br />
culturale e l'integrazione e viene trasmesso in tedesco ed eventualmente in altre lingue, con<br />
sottotitoli in tedesco.<br />
Esistono anche programmi in croato, sloveno e ungherese.<br />
Il progresso tecnico dà maggiori opportunità alle persone appartenenti alle minoranze<br />
nazionali che insistono in Austria di guardare programmi nella loro lingua d'origine.<br />
L'Ufficio Editoriale per le Minoranze della ORF<br />
Con l'introduzione dei programmi televisivi per le minoranze nazionali, presso il Centro<br />
di Trasmissione della ORF è stato istituito un Ufficio editoriale per le minoranze.<br />
La varietà di formazione culturale del personale addetto permette di adottare un approccio<br />
differenziato. Il personale è costituito da croati, serbi, turchi, curdi, armeni e da appartenenti<br />
ad altre minoranze nazionali che insistono in Austria. A livello internazionale, l'Ufficio editoriale<br />
per le minoranze ha partecipato, fin dal 1997, a vari progetti di scambio del Gruppo EBU<br />
per i programmi interculturali.<br />
Programmi radiofonici della ORF<br />
La ORF trasmette programmi radiofonici nelle seguenti lingue minoritarie: croato, ungherese,<br />
sloveno e, in passato, lingua Rom. Inoltre trasmette anche programmi per e sulle minoranze<br />
etniche.<br />
La Homepage della ORF<br />
Dal 15 maggio 2000, la ORF ha attivato l'indirizzo Internet "volksgruppen.orf.at" attraverso<br />
il quale è possibile accedere ad informazioni sulle minoranze nazionali in tedesco, croato,<br />
ungherese. Il medesimo servizio è offerto anche in sloveno.<br />
Le campagne e i progetti dell'Ufficio Editoriale per le Minoranze della ORF<br />
Al fine di tutelare le minoranze etniche l'Ufficio per le minoranze ha avviato varie iniziative<br />
e manifestazioni negli ultimi anni.<br />
Premi<br />
Negli ultimi anni l'Ufficio editoriale per le minoranze ha ricevuto molti premi e riconoscimenti.<br />
Dal Memorandum del 24 giugno 1997 si deduce chiaramente che tutte le minoranze<br />
nazionali concordano sull'esigenza di definire in maniera più precisa il mandato pubblico della<br />
ORF in merito alla diffusione dei programmi educativi e culturali nelle lingue minoritarie. Le<br />
stesse minoranze, inoltre, ritengono che sia un fattore importante inviare un membro del Consiglio<br />
consultivo per le minoranze nazionali alle riunioni della Commissione dei Radioascoltatori e<br />
Telespettatori, come previsto dall'articolo 15, comma 3 della Legge sulle trasmissioni radiotelevisive.<br />
Un ulteriore obiettivo prevede la creazione di uno speciale programma televisivo per i<br />
Rom, da trasmettere quattro volte l'anno, nonché l'apertura di un ufficio editoriale ungherese<br />
presso il centro ORF del Burgenland. Il Memorandum contiene anche suggerimenti in merito<br />
alla creazione di un'unità speciale all'interno dell'ufficio editoriale per le minoranze della ORF a<br />
Vienna, che si occupi esclusivamente di problematiche relative alle minoranze nazionali; vengono<br />
altresì formulate proposte in merito ad una adeguata durata delle trasmissioni nelle lingue<br />
di minoranza.<br />
Radio private<br />
Esistono varie radio private che trasmettono esclusivamente o parzialmente nelle lingue<br />
minoritarie. Esse ricevono anche sovvenzioni dalla Cancelleria Federale.<br />
Riunione di esperti<br />
In data 15 novembre 1999, la Cancelleria Federale, in cooperazione con l'Unità di lavoro<br />
per gli studi interculturali e l'Istituto per gli studi sui media e la comunicazione dell'Università<br />
173
di Klagenfurt ha organizzato una riunione di esperti dal titolo "I media in un ambiente multilingue<br />
e modelli a livello europeo nel campo della promozione della stampa nelle lingue minoritarie".<br />
L'Associazione europea per la trasmissione di programmi sui gruppi etnici<br />
Il compito dell’Associazione europea per la trasmissione di programmi sui gruppi etnici<br />
(EEBA), con sede a Klagenfurt, è quello di contrastare i pericoli imminenti che incombono sui<br />
paesi europei di piccole dimensioni e sulle minoranze nazionali a seguito della rivoluzione che<br />
ha cambiato il settore delle comunicazioni a livello mondiale. La EEBA si prefigge l'obiettivo di<br />
incoraggiare, promuovere e facilitare la cooperazione fra giornalisti impegnati nella tutela del<br />
patrimonio etnico-culturale, fornire informazioni in merito a tematiche relative alla tutela delle<br />
minoranze nazionali ed infine promuovere un maggiore livello di comprensione da parte del<br />
pubblico a favore delle culture autoctone a rischio.<br />
La carta stampata<br />
La pubblicazione di riviste e giornali è fondamentalmente accessibile a tutte le minoranze<br />
nazionali. In pratica, tuttavia, la pubblicazione regolare è ostacolata da mancanza di personale.<br />
Nonostante il Fondo per l'assistenza alle minoranze della Cancelleria Federale eroghi delle<br />
sovvenzioni, questi gruppi spesso non sono in grado di finanziare periodici e quotidiani. Questa<br />
è probabilmente la principale ragione per la mancanza di quotidiani nelle lingue di minoranza.<br />
Esistono riviste e pubblicazioni nelle seguenti lingue minoritarie: croato, sloveno, ungherese,<br />
ceco, slovacco e rom.<br />
AZERBAIGIAN<br />
L'articolo 47 della Costituzione della Repubblica d'Azerbaigian prevede il diritto universale<br />
alla libertà di pensiero e di convinzioni. Inoltre "nessuno può essere obbligato ad esporre<br />
pubblicamente i propri pensieri o convinzioni o a rinnegarle".<br />
L'articolo 50 della Legge Fondamentale del paese garantisce a ciascuno il diritto di "ricercare,<br />
acquisire, trasmettere, redigere e divulgare informazioni attraverso metodi legali". Allo<br />
stesso tempo garantisce "la libertà dei media" e "proibisce la censura del governo nei confronti<br />
dei mass media, compresa la stampa".<br />
La Legge della Repubblica d'Azerbaigian relativa ai mass media del 12 luglio 1999 opera<br />
in Azerbaigian per dare attuazione ad un inalienabile diritto dell'uomo: la libertà di parola. In<br />
base all'articolo 6 di detta legge "i mass media si servono della lingua di Stato nel territorio della<br />
Repubblica d'Azerbaigian. I cittadini della Repubblica d'Azerbaigian, nel redigere e divulgare le<br />
informazioni di massa, possono servirsi di altre lingue, parlate dalla popolazione della Repubblica<br />
d'Azerbaigian, nonché di altre lingue con un'ampia diffusione a livello mondiale".<br />
L'articolo 10 della succitata legge prevede l'inammissibilità dell'abuso della libertà dei<br />
mass media. In particolare non è permesso l'uso dei mass media a fini di violenza e crudeltà, e<br />
per fomentare la discordia o l'intolleranza a livello nazionale, razziale o sociale.<br />
Secondo l'articolo 14 della presente legge, tutti i cittadini della Repubblica d'Azerbaigian<br />
hanno il diritto di fondare un mezzo di comunicazione.<br />
Il 20 luglio 2001 il Presidente della Repubblica d'Azerbaigian ha emanato due decreti,<br />
intitolati rispettivamente "Istituzione del Consiglio nazionale per la stampa, la TV, la radio e<br />
Internet" e "Miglioramento dell'attenzione dello Stato nei confronti dei mass media".<br />
Il 27 dicembre 2001 il Presidente ha emanato un ulteriore decreto intitolato "Misure integrative<br />
per il miglioramento dell'attenzione dello Stato nei confronti dei mass media".<br />
In Azerbaigian i programmi radiotelevisivi, i libri, le riviste e i quotidiani si servono delle<br />
lingue delle varie minoranze nazionali che vivono nel paese. In particolare vengono usate le seguenti<br />
lingue: curdo, lezgi, talish, georgiano, russo, avaro, tat.<br />
174
BULGARIA<br />
Nella Repubblica di Bulgaria, tutte le persone, comprese quelle appartenenti alle minoranze<br />
nazionali, hanno diritto alla libertà di opinione, nonché a ricevere e comunicare informazioni<br />
e idee nella propria lingua madre.<br />
Aspetti giuridici<br />
Il diritto alla libertà di opinione è garantito dall’art. 39, comma 1 della Costituzione che<br />
stabilisce che: "Tutti hanno diritto ad esprimere opinioni o a divulgarle per iscritto o oralmente,<br />
con suoni o immagini, e comunque con ogni altro mezzo." Il secondo comma stabilisce: "Tale<br />
diritto non può essere esercitato a scapito dei diritti e della reputazione di terzi, oppure al fine di<br />
incitare ad un cambiamento violento dell'ordine costituito in virtù della costituzione, oppure al<br />
fine di istigare al crimine o ad un senso di inimicizia o violenza nei confronti di chiunque".<br />
L’articolo 40, comma 1 recita: "La stampa e altri mezzi di informazione di massa devono<br />
essere liberi e non soggetti alla censura"; il secondo comma dello stesso articolo afferma: "Un'ingiunzione<br />
a sospendere l'attività, o un sequestro di materiale stampato o di altri mezzi di informazione<br />
sono permessi solo in forza di un atto dell'autorità giudiziaria ed in caso di offesa al<br />
pudore o di incitamento al cambiamento violento dell'ordine istituito in forza della costituzione, di<br />
istigazione al crimine, o di incitamento alla violenza nei confronti di chiunque. Una eventuale ingiunzione<br />
sospensiva perde di efficacia se non è seguita da un sequestro entro 24 ore".<br />
Infine l’articolo 41, comma 1 dispone: "Tutti hanno diritto a richiedere, ottenere e divulgare<br />
informazioni. Tale diritto non può essere esercitato a detrimento dei diritti e della reputazione<br />
di altri, oppure a detrimento della sicurezza nazionale, dell'ordine pubblico e di una sana<br />
morale pubblica."<br />
Con sentenza n. 2 del 14 novembre 1996, la Corte Costituzionale ha stabilito che "non<br />