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Luglio 2010 - ANPI - Savona

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4 N° 4 - <strong>Luglio</strong> <strong>2010</strong><br />

<strong>Luglio</strong> 1960… segue da pag. 1<br />

della corrente del presidente<br />

della Repubblica Gronchi,<br />

assumeva la Presidenza del<br />

Consiglio sostenuto da una<br />

maggioranza comprendente<br />

il partito neofascista, l’MSI.<br />

Quell’MSI che stava tornando<br />

alla ribalta con la sua<br />

ideologia e la sua iniziativa:<br />

quell’MSI che decise, alla fine<br />

del mese di Giugno, di tenere<br />

il suo congresso a Genova,<br />

Città medaglia d’oro della<br />

Resistenza.<br />

L’antifascismo, vecchio e nuovo,<br />

disse di no.<br />

Comparvero sulle piazze i<br />

giovani dalle magliette a strisce,<br />

i portuali, i partigiani.<br />

La Resistenza riuscì a sconfiggere<br />

il rigurgito fascista.<br />

Ma si trattò di una vittoria<br />

amara, a Reggio Emilia e in<br />

altre città la polizia sparò sulla<br />

folla causando numerose<br />

vittime.<br />

Questi i fatti , descritti per<br />

sommi capi, accaduti in quell’intenso<br />

e drammatico inizio<br />

d’estate di cinquant’anni fa:<br />

è necessario, però, tornarvi<br />

sopra per riflettere, partendo<br />

da un dato.<br />

Non si trattò semplicemente di<br />

un moto di piazza, di opposizione<br />

alla scelta provocatoria<br />

di una forza politica come<br />

quella compiuta dall’MSI di<br />

convocare il proprio congresso<br />

a Genova e di annunciare<br />

anche come quell’assise sarebbe<br />

stata presieduta da<br />

Basile, soltanto quindici anni<br />

prima, protagonista nella stessa<br />

Città di torture e massacri<br />

verso i partigiani e la popolazione.<br />

Si trattò, invece, di un punto<br />

di vero e proprio snodo della<br />

storia sociale e politica d’Italia.<br />

Erano ancora vivi ed attivi<br />

quasi tutti i protagonisti della<br />

vicenda che era parsa chiudersi<br />

nel 1945, ed è sempre<br />

necessario considerare come<br />

quei fatti si inserissero dentro<br />

una crisi gravissima degli<br />

equilibri politici:una crisi inserita<br />

anche in un mutamento<br />

profondo dello scenario internazionale,<br />

nel quale si<br />

muovevano i primi passi del<br />

processo di distensione ed<br />

era in atto il fenomeno della<br />

“decolonizzazione” , in<br />

particolare, in Africa, con la<br />

nascita del movimento dei<br />

“non allineati”.<br />

Prima ancora, però, dovrebbe<br />

essere valutato un elemento,<br />

a nostro avviso, di fondamentale<br />

importanza: abbiamo già<br />

accennato all’entrata in scena<br />

di quella che fu definita la<br />

generazione “dalle magliette<br />

a strisce”, i giovani che per<br />

motivi d’età non avevano<br />

fatto la Resistenza, ma ne<br />

avevano respirato l’aria entrando<br />

in fabbrica o studiando<br />

all’Università accanto ai fratelli<br />

maggiori; giovani che<br />

avevano vissuto il passaggio<br />

dall’Italia arretrata degli anni’40-’50<br />

all’Italia del boom,<br />

della modernizzazione, del<br />

consumismo, delle migrazioni<br />

bibliche dal Sud al Nord,<br />

di una difficile integrazione<br />

sociale e culturale.<br />

Allora i moti del <strong>Luglio</strong>’60<br />

non possono essere considerati<br />

semplicemente un punto<br />

di saldatura tra le generazioni,<br />

anzi rappresentavano un momento<br />

di conflitto, di richiesta<br />

di cambiamento profondo,<br />

non limitato agli equilibri<br />

politici.<br />

Un punto di analisi, questo,<br />

non ricordato di frequente: al<br />

riguardo del quale abbiamo<br />

pensato di presentare un testo,<br />

a nostro giudizio illuminante,<br />

scritto da Raniero Panzieri ed<br />

apparso, il 25 <strong>Luglio</strong> del 1960<br />

proprio nel momento in cui i<br />

nuovi equilibri politici si andavano<br />

formando ( il governo<br />

Tambroni si era dimesso ed<br />

Amintore Fanfani si apprestava<br />

a varare quel ministero che<br />

Aldo Moro avrebbe definito<br />

delle “convergenze parallele”:<br />

per la prima volta, infatti, il<br />

PSI si sarebbe astenuto, come<br />

i Monarchici, sull’altro versante.<br />

Si trattava del prodromo<br />

del governo organico di centrosinistra<br />

che poi lo stesso<br />

Moro avrebbe presieduto nel<br />

Dicembre del 1963).<br />

L’articolo di Panzieri (che non<br />

aveva ancora aperto la serie<br />

dei “Quaderni Rossi”) uscì<br />

sulla rivista della federazione<br />

torinese del PSI, “La Città” e<br />

ne riportiamo di seguito uno<br />

stralcio particolarmente significativo:<br />

“E’ dunque necessario conquistare,<br />

al livello delle forze<br />

politiche organizzate, una<br />

consapevolezza precisa e seria<br />

del movimento reale del<br />

Paese. E per questo occorre,<br />

innanzi tutto, riconoscere<br />

i tratti del processo democratico<br />

che da lungo tempo<br />

è andato maturando nella<br />

nostra società, al di fuori,in<br />

gran parte, dalle linee e dagli<br />

obiettivi perseguiti dai<br />

partiti di sinistra. Ciò che<br />

è caratteristico di questo<br />

processo è che, nonostante<br />

la sua estraneità ai partiti,<br />

non ha per nulla i connotati<br />

tipici della “spontaneità”:<br />

il suo grado di coscienza è<br />

fortemente sottolineato dalla<br />

capacità delle giovani leve<br />

operaie di “servirsi” del sindacato<br />

unitario (soprattutto)<br />

e anche dei partiti di classe,<br />

nella stretta misura in cui<br />

la partecipazione ed il sostegno<br />

delle organizzazioni<br />

operaie esistenti è necessario<br />

all’affermazione di uno schieramento<br />

unitario di classe.<br />

perciò l’estraneità organizzativa<br />

ai partiti di decine di<br />

migliaia di giovani operai, che<br />

sono state la punta avanzata<br />

del movimento, deve essere<br />

valutata come un rapporto di<br />

spinta, di azione critica esercitata<br />

da forze consapevoli,<br />

ora in modo chiaro, ora in<br />

forme incerte e travagliate,<br />

di rappresentare esigenze e<br />

scopi di lotta più complessi<br />

e più avanzati di quelli offerti<br />

dalle organizzazioni e di<br />

dover esercitare con la loro<br />

autonomia una pressione<br />

perché queste si adeguino ai<br />

rapporti di classe......<br />

.....Ma questi elementi possono<br />

prendere rilievo e consistenza<br />

durevole soltanto in una prospettiva<br />

politica generale. E<br />

proprio questa prospettiva è<br />

presente nell’azione dei partiti<br />

solo assai parzialmente<br />

e in modo deformato. Essa<br />

dovrebbe concretarsi nella<br />

rivendicazione di un mutamento<br />

profondo nelle strutture<br />

economiche e sociali, nella<br />

individuazione dei processi<br />

totalitari del potere, che dalla<br />

grande fabbrica si estendono<br />

a tutti i livelli del Paese,<br />

in un rifi uto del divario che<br />

l’azione capitalistica provoca<br />

e aggrava di continuo tra la<br />

realtà dei rapporti politici e<br />

le istituzioni...”<br />

Fin qui lo stralcio dell’articolo<br />

di Raniero Panzieri: un<br />

Panzieri quasi profetico ad<br />

indicare temi che poi sarebbero<br />

stati alla base delle lotte<br />

operaie del decennio, fino a<br />

sfociare nell’ “Autunno caldo”<br />

del 1969, nell’unità e<br />

nel sindacato dei “Consigli”<br />

(stava già, forse, nell’articolo<br />

citato quell’interrogativo suscitato<br />

da qualcuno, proprio a<br />

proposito del <strong>Luglio</strong>’60: ultimo<br />

episodio della Resistenza<br />

o primo vagito del ‘68?).<br />

E, ancora, quanto vale oggi<br />

il richiamo di Panzieri in<br />

un momento in cui sono attaccati<br />

direttamente i diritti<br />

fondamentali strappati con le<br />

lotte di quella stagione e che<br />

non appaiono difesi, se non<br />

soltanto da minoranze apparentemente<br />

isolate, in un dato<br />

complessivo di sfrangiamento<br />

sociale e di sostanziale atonia<br />

politica?<br />

Interrogativi che rimandiamo<br />

all’attualità: una complessa e<br />

difficile attualità.<br />

In quel <strong>Luglio</strong> ‘60, da non<br />

considerare - ripetiamo - soltanto<br />

per i fatti accaduti in<br />

quei giorni, ma nel complesso<br />

di una fase di cambiamento<br />

della società e della politica,<br />

si aprì, ancora, a sinistra, una<br />

discussione sulla natura della<br />

DC, fino a quel momento perno<br />

fondamentale del sistema<br />

politico italiano.<br />

Molti si chiesero, a quel<br />

momento, se dentro la DC<br />

covasse il “vero fascismo” italiano:<br />

non quello rumoroso e<br />

un poco patetico del MSI, ma<br />

quello vero; quello che poteva<br />

considerarsi il vero referente<br />

dei ceti dominanti, capace di<br />

portare al blocco sociale di<br />

potere l’apporto della piccola<br />

e media borghesia.<br />

Il partito democristiano appariva,<br />

dunque, ad una parte<br />

della sinistra, soprattutto nei<br />

giorni infuocati della repressione,<br />

come il partito che<br />

avrebbe potuto in qualunque<br />

momento rimettere in moto<br />

in Italia (ricordiamolo ancora<br />

una volta: eravamo a soli quindici<br />

anni dalla Liberazione) un<br />

meccanismo politico-socialerepressivo-autoritario<br />

tale da<br />

dar vita a nuove esperienze di<br />

tipo fascista.<br />

L’analisi sviluppata dal PCI<br />

togliattiano fu diversa.<br />

Nonostante le asprezze della<br />

polemica quotidiana il PCI<br />

aveva assunto come stella<br />

polare di tutta la sua strategia<br />

l’intesa con le masse cattoliche,<br />

da sottrarre al predominio<br />

moderato prevalente dal ‘47 in<br />

poi (grazie alla “guerra fredda”)<br />

al vertice della DC.<br />

Ma la prospettiva non era così<br />

ingenua: essa comportava<br />

il proposito di far emergere<br />

le forze presenti all’interno<br />

della DC, anche al vertice del<br />

partito.<br />

In quel <strong>Luglio</strong> ‘60 il PCI cercò<br />

di operare in quella direzione,<br />

ed il successo dello sciopero<br />

generale, pur macchiato<br />

di sangue, si rivelò efficace<br />

e significativo anche perché<br />

dall’interno della DC si aprì<br />

finalmente un varco a quella<br />

parte del gruppo dirigente che,<br />

sulle rovine dell’esperimento<br />

Tambroni, poté riproporre<br />

con maggiore efficacia e<br />

speranza di esito positivo una<br />

soluzione diversa: quella che<br />

abbiamo già richiamato delle<br />

“convergenze parallele” e,<br />

successivamente, del centrosinistra<br />

“organico”.<br />

Oggi,a cinquant’anni di distanza,<br />

possiamo meglio<br />

valutare l’esito di quei fatti: le<br />

contraddizioni che ne seguirono,<br />

il rattrappirsi progressivo<br />

della realtà riformatrice (a<br />

partire dal “tintinnar di<br />

sciabole” dell’estate 1964,<br />

fino alla disgraziata stagione<br />

del terrorismo, aperta nel<br />

1969 dalla bomba di Piazza<br />

Fontana), l’assunzione, in<br />

particolare da parte del PSI,<br />

via, via, di una vocazione<br />

“governista” sfociata nel decisionismo<br />

craxiano, nello<br />

sviluppo abnorme della partitocrazia<br />

(con il contributo di<br />

un complessivo “consociativismo”<br />

allargato all’intero arco<br />

parlamentare) e, infine, nella<br />

“questione morale” che segnò,<br />

all’inizio degli anni’90,<br />

lo sconquasso definitivo del<br />

quadro di governo.<br />

Ebbene, proprio in quella situazione,<br />

l’implosione della<br />

DC consentì di verificare la<br />

giustezza di certe analisi: le<br />

masse DC, la gran parte dell’elettorato<br />

democristiano,<br />

in quel momento di trasformazione<br />

del sistema politico<br />

trovarono, infatti, sede politica<br />

e dirigenti a cui affidarsi<br />

in Alleanza Nazionale (l’ex-<br />

MSI diventato ormai vero e<br />

proprio soggetto di massa) e<br />

in Forza Italia (diventato subito<br />

il maggior partito italiano,<br />

dal punto di vista dei risultati<br />

elettorali).<br />

Il che induce a pensare, anche<br />

oggi, come una analisi della<br />

DC di tipo “azionista” non risultasse<br />

del tutto errata: certo<br />

era schematica perché leggeva<br />

il presente di allora, quello<br />

degli anni’60, con le categorie<br />

del passato conosciuto negli<br />

anni’30 - ‘40 (il fascismo).<br />

Però introduceva un elemento<br />

che non andrebbe mai<br />

trascurato e che ci riporta all’attualità:<br />

mentre la sinistra<br />

non ha saputo rimanere tale,<br />

almeno nelle sue connotazioni<br />

di fondo, attraverso le<br />

trasformazioni dell’ultimo<br />

quindicennio, la destra non<br />

ha perso i suoi connotati di<br />

sempre.<br />

Non è questa la sede per una<br />

analisi approfondita, ma non<br />

crediamo di errare dicendo<br />

che quel “vero fascismo” che<br />

aveva tentato di emergere nel<br />

luglio ‘60 rappresentava un<br />

agglomerato di interessi-pregiudizi-istinti<br />

che continua ad<br />

esistere e che, al dissolversi<br />

del “grande ombrello” DC<br />

capace di tenere assieme pulsioni<br />

di destra con istanze di<br />

sinistra sociale vera e propria,<br />

ha trovato rapidamente la sua<br />

sede politica in formazioni<br />

che fanno del liberismo selvaggio,<br />

delle pulsioni razziste,<br />

dall’attacco indiscriminato<br />

ai diritti sociali e ai principi<br />

fondanti della Costituzione il<br />

loro architrave e la base di una<br />

pericolosa iniziativa politica.<br />

Nel <strong>Luglio</strong> ‘60 vinse la democrazia:<br />

e adesso?

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