Energia eolica e sviluppo locale - Ambiente e Territorio - Coldiretti
Energia eolica e sviluppo locale - Ambiente e Territorio - Coldiretti
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<strong>Energia</strong><br />
<strong>eolica</strong><br />
e<br />
<strong>sviluppo</strong><br />
<strong>locale</strong><br />
Territori, green economy e processi partecipativi
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Territori, green economy e processi partecipativi<br />
ART srl – Analisi e Ricerche Territoriali<br />
Roma & Modena<br />
Realizzato per conto<br />
di Ricerca Sistema Energetico - RSE SpA<br />
Analisi & Ricerche Territoriali srl
Progetto grafico e impaginazione: Fralerighe, Tivoli<br />
© Copyright 2011 Ricerca sul Sistema Energetico - RSE S.p.A.<br />
Finito di stampare nel mese di giugno 2011<br />
La riproduzione e/o diffusione parziale o totale dei contenuti del presente volume è consentita esclusivamente<br />
con la citazione completa “Ricerca sul Sistema Energetico - RSE S.p.A., <strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>”.
Sommario<br />
INTRODUZIONE 5<br />
1. LO SCENARIO GENERALE 11<br />
2. LA PRODUZIONE DI ENERGIA EOLICA IN ITALIA 15<br />
3. LA PRODUZIONE DI SISTEMI EOLICI IN ITALIA 25<br />
4. IL QUADRO NORMATIVO NAZIONALE 31<br />
4.1 La prima fase (1988-1997) 32<br />
4.2 La seconda fase (1998-2002) 32<br />
4.3 La terza fase (2003-presente) 34<br />
5. IL RUOLO DEL SISTEMA FINANZIARIO 49<br />
6. GLI ELEMENTI DI CRITICITÀ 55<br />
6.1 Le difficoltà tecniche 55<br />
6.2 Procedure amministrative 58<br />
6.3 La carenza di una informazione corretta 66<br />
7. IMPATTO AMBIENTALE E PAESAGGISTICO 73<br />
7.1 Impatto visivo 84<br />
7.2 Impatto su flora, fauna e avifauna 88<br />
7.3 Impatto acustico ed elettromagnetico 89<br />
7.4 Criteri per una corretta progettazione delle centrali eoliche 90<br />
8. RICADUTE TERRITORIALI E BUONE PRATICHE 95<br />
8.1 Piccole e grandi royalties 95<br />
8.2. Alcune esperienze del rapporto tra grande eolico e territorio 103<br />
9. APRIRE UNA SECONDA FASE: RINNOVABILI E SVILUPPO LOCALE 125<br />
9.1 Rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> 127<br />
9.2 Rinnovabili e agricoltura 141<br />
9.3 Rinnovabili e aggregazioni territoriali 146<br />
9.4 Rinnovabili, multiutilities e smart grid 151<br />
TESTIMONI PRIVILEGIATI 157<br />
BIBLIOGRAFIA 159
Introduzione<br />
Se c’è un’immagine che, meglio di altre, connota la grande transizione dell’economia e<br />
della società dei paesi avanzati questa è certamente la pala di un generatore a vento.<br />
Simbolo e paradigma della green economy, dell’affermarsi di una via “alta” dello <strong>sviluppo</strong><br />
che sappia incorporare e valorizzare una crescita sostenibile e compatibile con le risorse finite<br />
del pianeta, la turbina <strong>eolica</strong> prefigura una ridefinizione dei rapporti che collegano l’uomo<br />
con l’ambiente, il paesaggio, le fonti di energia, la società, l’economia, il consumo, la cultura.<br />
Se il grande impianto di produzione energetica a combustibili fossili con le sue ciminiere<br />
fumanti, localizzato in prossimità dell’area urbana ed industriale, costituisce una delle icone<br />
del ‘900, negli ultimi anni si sono affermati - grazie allo <strong>sviluppo</strong> tecnologico, alla crescente<br />
consapevolezza dei problemi connessi con i cambiamenti climatici in atto, al diffondersi di<br />
processi e di dinamiche di cittadinanza attiva etc. - modelli di produzione energetica sostenibili<br />
e connessi all’utilizzo di fonti rinnovabili.<br />
Un aspetto rilevante per un paese come l’Italia caratterizzato da forti squilibri socioeconomici<br />
territoriali, proprio perché “modulabili”, gli impianti ad energie rinnovabili - ed in<br />
particolare quelli che utilizzano la risorsa anemologica - possono essere localizzati ovunque,<br />
anche in siti montani lungo il crinale appenninico, ovvero in quelle aree interne del sistemapaese<br />
che sono rimaste ai margini del processo di civilizzazione industriale e che hanno<br />
subìto, più che vissuto, i processi di modernizzazione.<br />
Pertanto, ragionare sul tema dell’impatto sociale, dell’accettabilità culturale rispetto alla<br />
realizzazione di questi impianti di produzione energetica, significa misurarsi con l’insieme<br />
delle problematiche e delle opportunità connesse ai temi dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> in aree difficili,<br />
in contesti socio-economici in deficit di <strong>sviluppo</strong>.<br />
Noi abbiamo delle zone interne che sono abbandonate o in via di abbandono: allora l’eolico e le<br />
altre energie rinnovabili potrebbero essere un’opportunità di ripresa. Energie rinnovabili, agricoltura<br />
di qualità, turismo rurale, un po’ di manifatturiero leggero e servizi, potrebbero benissimo<br />
essere queste le basi economiche di una ripresa di queste aree più interne dell’Appennino<br />
(Paolo Berdini, Università di Roma Tor Vergata).<br />
* * *<br />
Non che la soft economy non sia già presente in questi luoghi, tutt’altro. Le produzioni<br />
agroalimentari identitarie, il turismo outdoor, il neo-borghigianesimo connesso al recupero<br />
5
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
di cascinali, casali, borghi e centri storici, la risalita “a salmone” delle piccole imprese, la<br />
“parchizzazione” del territorio, sono alcuni (e forse i principali) indicatori del processo di terziarizzazione<br />
e di globalizzazione anche di queste economie territoriali marginali. È casomai<br />
il mix tra queste nuove e diverse funzioni territoriali, i collegamenti che si vengono (o che si<br />
potrebbero) stabilire tra produzioni tipiche, servizi identitari, qualità del sistema territoriale,<br />
e flussi della modernità a determinare il diverso grado di accettabilità socio-culturale di impianti<br />
eolici sul territorio.<br />
* * *<br />
L’eolico e, più in generale, le energie rinnovabili si stanno sviluppando in Italia, diffondendosi<br />
sui territori locali a ritmi inimmaginabili solo 10 anni fa, nonostante fattori che<br />
incidono negativamente come:<br />
• le difficoltà tecniche dovute alla complessità orografica del territorio italiano ed in particolare<br />
alla scarsa accessibilità delle aree interne dell’Appennino centro-meridionale dotate<br />
di un buon regime anemologico;<br />
• l’inadeguato potenziamento e <strong>sviluppo</strong> della rete elettrica;<br />
• le difficoltà sia da parte del governo centrale che delle singole regioni – in presenza del<br />
processo di liberalizzazione del mercato energetico e del trasferimento dei poteri di programmazione<br />
energetica e di approvazione dei progetti alle regioni - ad arrivare a definire regole<br />
certe e omogenee, con una conseguente complessità e farraginosità degli iter autorizzativi;<br />
• la carenza di una informazione corretta rispetto all’energia <strong>eolica</strong> e, più in generale, alle<br />
fonti rinnovabili, sia da parte delle pubbliche amministrazioni che dei mezzi di comunicazione.<br />
Attualmente, sono circa 6 mila gli aerogeneratori installati in Italia, mentre i Comuni, che<br />
hanno centrali eoliche nel loro territorio a inizio del 2011 sono 374 (erano 118 nel 2006), per<br />
una potenza installata pari a 5.758 MW (610 MW in più rispetto al 2009). Gli impianti eolici,<br />
che per anni si sono concentrati soprattutto nell’Appennino meridionale, tra Puglia, Campania<br />
e Basilicata, e in Sicilia e Sardegna, si stanno diffondendo anche in aree del Centro-Nord.<br />
Nel 2010, gli impianti eolici hanno permesso di produrre 8.374 GWh di energia pulita,<br />
pari ai fabbisogni elettrici di oltre 3,5 milioni famiglie (Legambiente, 2011:5-6). Impianti di<br />
grande taglia sono presenti in 260 dei 374 Comuni dell’eolico, mentre sono 123 i Comuni che<br />
possiedono nel proprio territorio impianti minieolici, installazioni con potenza inferiore ai<br />
200 kW, per una potenza complessiva di 4,2 MW.<br />
I 5.758 MW eolici installati sono divisi tra 220 “Piccoli Comuni” con 3.940 MW di potenza<br />
installata e 145 con più di 5.000 abitanti e una potenza di circa 1.817 MW. In una logica di<br />
<strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, sempre maggiore attenzione dovrà essere dedicata dagli amministratori locali<br />
all’integrazione tra più fonti sul territorio, come già succede in molti Comuni per ottimizzare<br />
le caratteristiche del territorio e dare spazio adeguato, oltre all’eolico e al fotovoltaico, anche<br />
alle biomasse e in generale alle agro-energie. Secondo Legambiente (2011), oggi sono 7.661 i<br />
Comuni in Italia dove è installato almeno un impianto di fonte energetica rinnovabile. Erano<br />
6.993 nel 2010, 5.580 nel 2009, 3.190 nel 2008. In pratica le fonti pulite che fino a 10 anni<br />
fa interessavano con il grande idroelettrico e la geotermia le aree più interne, e comunque una<br />
porzione limitata del territorio italiano, oggi sono presenti nell’94% dei Comuni. Sono 7.273 i<br />
Comuni del solare, 374 quelli dell’eolico, 946 quelli del mini idroelettrico, 290 i comuni della<br />
geotermia e 1.033 quelli che utilizzano biomasse e biogas. In particolare, escludendo i grandi<br />
impianti idroelettrici, sono 964 (circa il 12%) i Comuni 100% rinnovabili, cioè che grazie ad<br />
una sola fonte rinnovabile (mini-idroelettrica, <strong>eolica</strong>, fotovoltaica, da biomasse o geotermi-<br />
6
Introduzione<br />
ca) producono più energia elettrica di quanta ne consumano, mentre sono 274 i Comuni che<br />
grazie a impianti di teleriscaldamento collegati a impianti biomassa o da geotermia superano<br />
il proprio fabbisogno, e 27 quelli che superano sia il fabbisogno elettrico che termico.<br />
* * *<br />
L’interesse sviluppatosi attorno agli investimenti nei grandi impianti eolici industriali<br />
pone il problema di quali siano le ricadute sulle comunità locali che vivono nei territori dove<br />
si collocano gli impianti. Sentendo propria la “risorsa vento”, come un bene comune del territorio,<br />
appare più che legittima l’attesa delle popolazioni locali che iniziative a carattere<br />
economico apportino vantaggi tangibili là dove la risorsa viene sfruttata. Se l’ostilità delle<br />
popolazioni locali alla localizzazione di parchi eolici nel loro territorio sta cominciando a<br />
condizionare lo <strong>sviluppo</strong> di questi impianti energetici da fonte rinnovabile, spesso questa<br />
ostilità non è motivata soltanto sulla base di percezioni e valutazioni negative in termini di<br />
un temuto impatto paesaggistico e/o ambientale, ma anche (e soprattutto) sulla convinzione<br />
che il valore aggiunto della produzione degli impianti realizzati con i benefici dell’incentivazione<br />
pubblica esce quasi totalmente dal circuito <strong>locale</strong> di produzione e di distribuzione della<br />
ricchezza. Assai diffusa, infatti, è la percezione che ci siano “tanti interessi che passano sopra<br />
le teste degli amministratori locali e dei cittadini” e che alla fine “chi fa gli affari sono solo i<br />
gestori dei parchi eolici e le banche che li finanziano”.<br />
Da un punto di vista dell’analisi territoriale, sulla base delle conoscenze in essere si<br />
possono riconoscere tre diversi atteggiamenti in relazione al tema della valutazione delle<br />
ricadute degli impianti eolici sulle comunità locali:<br />
• di resistenza difensiva al cambiamento, che si esprime in quelle aree dell’”osso” appenninico<br />
meridionale che subiscono, più che vivere in maniera attiva e da protagoniste, i processi<br />
di modernizzazione dell’economia e della società: luoghi oggi interessati da processi di<br />
invecchiamento, spopolamento, perdita di identità, ed al contempo dalla presenza di nuova<br />
residenzialità immigrata di origine straniera che pone sotto minaccia la tenuta della comunità<br />
<strong>locale</strong>. Sono i luoghi dove è prevalente il “rancore” verso chi e verso ciò che determina<br />
discontinuità e innovazione;<br />
• di apertura, come risultato del processo di interconnessione di queste aree con i centri<br />
capoluogo e/o di fondovalle, le aree distrettuali, le nuovi cattedrali del consumo costituite<br />
da centri commerciali, outlet, centri residenziali, cinema multisala, stazioni di servizio, etc.<br />
Qui, meglio che altrove, si evidenzia una capacità di comprendere le potenzialità economiche,<br />
culturali, socio-professionali ed imprenditoriali che possono scaturire a livello <strong>locale</strong><br />
dalla realizzazioni di impianti eolici. Di fatto, vi è una maggiore consapevolezza della questione<br />
energetica;<br />
• di sospensione, sono le aree che necessitano, a differenza delle prime due, di un intenso<br />
e specifico progetto di accompagnamento delle comunità locali. Sono quei luoghi che meglio<br />
di altri, hanno avuto la capacità di mettere a valore la propria distintività in termini di turismo<br />
ambientale, di ricerca di eccellenze gastronomiche ed agroalimentari, di specificità territoriali<br />
e che di conseguenza possono mettere meglio a valore anche una distintività legata<br />
ai temi delle energie rinnovabili, della qualità ambientale e del green marketing nella promozione<br />
del territorio e dei suoi prodotti/servizi, come leva per sfruttare nuove opportunità<br />
di crescita e per rinforzare la posizione competitiva del tessuto imprenditoriale territoriale.<br />
* * *<br />
7
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Il settore eolico si è andato costruendo nel tempo, anche con accelerazioni e contraddizioni<br />
locali, per cui ci sono molti impianti realizzati senza alcun confronto con il territorio,<br />
ce ne sono altri in cui invece gli imprenditori hanno avuto in effetti qualche attenzione, ma<br />
il tutto è avvenuto in modo assolutamente casuale, non essendoci stata mai una regola o<br />
premialità rispetto al ruolo di interlocuzione con il territorio.<br />
In questi anni, le principali ricadute in termini di benefici per i territori locali sono state<br />
le seguenti:<br />
• il ricorso, non sempre garantito, a imprese e a manodopera <strong>locale</strong> per la realizzazione<br />
delle parti più convenzionali dell’impianto (tipicamente le opere civili: movimento terra,<br />
scavi e sbancamenti, realizzazione di strade, fondazioni e piazzole, etc.), per la manutenzione<br />
ordinaria e la sorveglianza;<br />
• qualche realizzazione infrastrutturale, generalmente legata al miglioramento della viabilità;<br />
• i fitti dei terreni interessati dalle installazioni (anche se sovente il soggetto realizzatore<br />
acquista, perché altrimenti non riesce a concludere le operazioni di project leasing o di<br />
project financing);<br />
• qualche forma di partecipazione marginale da parte degli enti locali ai ricavi prodotti<br />
(con variazioni dall’1,5% al 5%).<br />
Più analiticamente, dal punto di vista dell’impatto economico, un impianto eolico è in<br />
grado di offrire alle casse dei Comuni, spesso piccoli e con bilanci esigui, un gettito annuo di<br />
alcune centinaia di migliaia di euro (utile sulla produzione, corrispettivo di potenza, canoni<br />
di affitto terreni). Oggi, i comuni dell’eolico in Italia sono 374 e nei casi più virtuosi questo<br />
introito viene generalmente utilizzato per interventi di compensazione ambientale, di miglioramento<br />
della qualità dei servizi, per realizzare infrastrutture ambientali.<br />
* * *<br />
Negli ultimi 15 anni sono state condotte esperienze importanti da parte di alcune realtà<br />
territoriali che hanno compreso la necessità di un protagonismo <strong>locale</strong> per rendere l’eolico<br />
una opportunità di <strong>sviluppo</strong> e valorizzazione del territorio. Le situazioni di maggiore successo<br />
- dove cioè si registra un alto grado di accettabilità e protagonismo sociale da parte della popolazione<br />
e del territorio <strong>locale</strong> verso l’eolico e le altre rinnovabili - sono quelli in cui gli enti<br />
locali (Comuni, Comunità Montane e Province) hanno svolto un ruolo come co-proponente o<br />
comunque un ruolo molto attivo. Pertanto, la possibilità che lo <strong>sviluppo</strong> dell’eolico avvenga<br />
in maniera equilibrata e condivisa sembra passare attraverso un forte e convinto coinvolgimento<br />
da parte della pubblica amministrazione e, soprattutto, dei Comuni, cioè del livello<br />
istituzionale più vicino ai problemi, alle attese e alle domande dei cittadini.<br />
In tal senso, lungi dal viziare la concorrenza nel settore energetico, si evidenzia come<br />
l’ente <strong>locale</strong> può avere un ruolo fondamentale di regolamentazione, di funzione esemplare<br />
verso la cittadinanza e gli attori che insistono sul territorio, di guida e stimolo della filiera<br />
<strong>locale</strong> delle rinnovabili. Per questo l’ANCI ha sottolineato più volte al Governo la necessità di<br />
introdurre tra le deroghe già previste all’applicazione di sanzioni in caso di mancato rispetto<br />
del Patto di Stabilità anche quella inerente i diversi proventi e incentivi percepibili dagli enti<br />
locali tramite l’utilizzo di fonti rinnovabili ed efficientamento energetico.<br />
Oggi, inoltre, non viene operata alcuna distinzione tra spese correnti e investimenti sostenuti<br />
dai Comuni: ai fini del patto di stabilità valgono allo stesso modo. Così, si penalizzano<br />
i Comuni che investono, soffocando le potenzialità e le capacità degli enti locali.<br />
8
Introduzione<br />
Purtroppo, in altri casi, i Comuni, sopraffatti da tagli e da vincoli, sono stati tentati di<br />
utilizzare l’eolico e le altre fonti rinnovabili per “fare cassa” per pagare le spese correnti,<br />
con molta attenzione agli incentivi e alle cosiddette royalties/ristori una tantum e poca al<br />
risparmio in termini di consumo proprio e della collettività, spesso in balia di soggetti non<br />
qualificati, correndo il rischio di “svendere il territorio”. Stretti tra svuotamento delle casse<br />
comunali e mancanza di personale in grado di analizzare con la dovuta competenza le proposte,<br />
troppo spesso i sindaci, inseguendo il bisogno di nuovi introiti, non si trovano nelle<br />
condizioni e con i giusti rapporti di forza per governare il fenomeno e chiedere sostanziali<br />
modifiche e diversificazioni.<br />
Certamente, l’eolico e le altre fonti di energia rinnovabili possono avere un impatto<br />
positivo importante a livello economico per l’ente <strong>locale</strong> comunale, ma questo può essere<br />
la risultante dell’integrazione di una molteplicità di fattori: il risparmio, i costi sociali e<br />
ambientali, le entrate da investimenti diretti nella produzione energetica rinnovabile e da<br />
servizi aggiuntivi, etc., e non il primo o l’unico obiettivo dell’ente <strong>locale</strong>. A livello di metodo,<br />
il Comune dovrebbe innanzitutto conoscere le potenzialità e le opportunità energetiche del<br />
proprio territorio, per poter utilizzare tutte le leve tutelandolo, migliorando la qualità dei<br />
servizi e della vita dei propri cittadini. Ora, le Linee guida per l’autorizzazione degli impianti<br />
alimentati da fonti rinnovabili 1 hanno regolamentato la materia, prevedendo la possibilità<br />
di misure compensative adeguate, sebbene non monetarie, dirette ad attivare investimenti<br />
coerenti con gli interventi sostenuti sul territorio stesso.<br />
* * *<br />
Queste misure mirano a stimolare la pratica virtuosa nel considerare in modo integrato<br />
la comunità e il territorio, con i suoi bisogni, i suoi consumi complessivi e le sue potenzialità<br />
complessive in termini energetici, focalizzando sulla concomitanza di produzione ed<br />
incremento dell’efficienza energetica, stressando la componente di risparmio, e valorizzando<br />
al massimo la distribuzione e l’autonomia energetica, a partire dal patrimonio immobiliare<br />
pubblico. Molto deve e potrà essere fatto in questa direzione da parte degli enti locali nel<br />
prossimo futuro.<br />
Altre questioni aperte sono ancora:<br />
• la possibilità di andare oltre al modello dei grandi impianti industriali, attraverso una<br />
diffusione anche di micro e mini impianti, più facilmente integrabili nel paesaggio, nelle<br />
aree agricole estensive e anche negli insediamenti artigianali/industriali, arrivando così a<br />
sviluppare un modello energetico innovativo, che in parte utilizza/consuma direttamente sul<br />
posto l’energia prodotta e in parte la interscambia in rete (riducendo la necessità di grandi<br />
reti di distribuzione);<br />
• la possibilità di collegare in modo sinergico lo <strong>sviluppo</strong> dell’eolico e delle altre fonti<br />
rinnovabili con le dinamiche di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> dei territori, nell’ipotesi che l’accettabilità<br />
sociale di questi impianti dipenda dalla capacità che hanno di integrarsi con le specificità,<br />
le vocazioni e i settori produttivi territoriali. Ragionare in modo integrato può consentire<br />
di andare nella direzione dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, ovvero di considerare il territorio come un<br />
patrimonio energetico di aria, acqua, suolo, culture produttive, agricolture, cioè di tutti gli<br />
aspetti che connotano un modello integrato di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, inserendo all’interno un driver<br />
energetico. Risulta, dunque, evidente che poiché gli impianti eolici si possono realizzare<br />
1 Approvate con Decreto 10 settembre 2010 del Ministero dello Sviluppo Economico.<br />
9
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
laddove il vento soffia davvero, che non è ovunque, il futuro di questa fonte energetica sta<br />
nel concorrere insieme alle altre fonti rinnovabili in un processo di riconversione energetica<br />
e non nel rappresentare, da sola, l’alternativa al petrolio;<br />
• la possibilità che nascano modalità di coordinamento tra gli enti locali di “ambiti ottimali”<br />
(ad esempio, sul modello dei Consorzi dei Bacini Imbriferi Montani) come modalità per<br />
programmare e fare massa critica;<br />
• la possibilità che nascano nuove multiutilities locali (a capitale misto pubblico-privato,<br />
anche con un azionariato diffuso tra i cittadini), attori della governance in grado di contribuire<br />
alla modernizzazione della rete elettrica nazionale attraverso la costruzione e gestione di<br />
smart grids (reti/apparati intelligenti capaci di bilanciare e ridistribuire i flussi di produzione<br />
delle diverse fonti) e di servizi di accumulo dell’energia elettrica prodotta e non immettibile<br />
in rete, cioè di infrastrutture e modalità di gestione “attive”, intelligenti e customer centric,<br />
sviluppate tenendo conto dell’energy modeling di ciascun territorio (cioè aderenti alle peculiarità<br />
del mix energetico territoriale e in grado di ottimizzare il rapporto tra la capacità<br />
produttiva e la capacità di consumo), e adeguate al nuovo scenario caratterizzato da un’ampia<br />
diffusione degli impianti a fonti rinnovabili tipicamente caratterizzati da discontinuità<br />
produttiva (poco programmabile, ancorché prevedibile in una certa misura), piccole taglie,<br />
carichi modesti e localizzazioni decentrate.<br />
* * *<br />
La ricerca è stata coordinata per conto di RSE SpA dalla Dottoressa Cristina Cavicchioli<br />
di RSE SpA ed è stata realizzata da ART Srl nel periodo compreso tra ottobre 2010 e febbraio<br />
2011. In questo lasso temporale sono state realizzate:<br />
• 25 interviste semistrutturate a testimoni privilegiati;<br />
• 1 focus group territoriale con testimoni privilegiati;<br />
• 1 focus group nazionale con testimoni privilegiati;<br />
Il rapporto è stato scritto da Alessandro Scassellati, che insieme a GianMario Folini, ha<br />
anche realizzato le interviste e condotto i focus group.<br />
La ricerca è stata coordinata per conto di RSE SpA dalla Dottoressa Cristina Cavicchioli<br />
di RSE SpA e finanziata dal Fondo di Ricerca per il Sistema Elettrico nell’ambito dell’Accordo<br />
di Programma tra ERSE (ora RSE SpA) ed il Ministero dello Sviluppo Economico - D.G.E.R.M.<br />
stipulato in data 29 luglio 2009 in ottemperanza del DM, 19 marzo 2009.<br />
10
1. Lo scenario generale<br />
Lo <strong>sviluppo</strong> delle energie rinnovabili è una delle sfide più importanti che abbiamo di<br />
fronte. La qualità dell’aria, la salute delle persone e i segnali di cambiamenti climatici in atto<br />
sono, infatti, strettamente legati al modello di produzione energetica e di <strong>sviluppo</strong> economico<br />
attualmente incentrato sull’utilizzo dei combustibili fossili. Pertanto, per affrontare i<br />
cambiamenti climatici occorre perseguire una strategia capace di porsi un insieme di obiettivi<br />
nel breve e nel medio termine:<br />
• un aumento dell’efficienza energetica in tutti i settori della domanda, nonché nella<br />
generazione, nella distribuzione e nella trasmissione di energia elettrica;<br />
• un progressivo passaggio a combustibili a più basso contenuto di carbonio;<br />
• una forte crescita dell’utilizzo delle fonti rinnovabili.<br />
A questo proposito, un passo fondamentale è stato compiuto dalla Commissione Europea<br />
che, con la direttiva n. 28 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, ha<br />
indicato ai paesi membri un obiettivo al 2020 per la quota di energia da fonti rinnovabili sul<br />
consumo energetico finale lordo; tale obiettivo per l’Italia è fissato al 17%. Coerentemente<br />
a quanto previsto dell’art. 4 della Direttiva, il 31 luglio 2010 lo Stato Italiano ha presentato<br />
alla Commissione europea il Piano Azione Nazionale per lo <strong>sviluppo</strong> delle fonti rinnovabili<br />
(PAN 1 ), in cui si definiscono gli obiettivi e le misure per contenere i consumi finali e sviluppare<br />
fonti rinnovabili, nonché le traiettorie per assicurare il raggiungimento degli impegni<br />
al 2020.<br />
Storicamente in Italia l’asse portante dello <strong>sviluppo</strong> delle fonti rinnovabili è il settore<br />
della produzione elettrica e, infatti, il PAN prevede al 2020 uno <strong>sviluppo</strong> della produzione<br />
elettrica da fonti rinnovabili sino a 8,5 Mtep (98,9 TWh), con un significativo <strong>sviluppo</strong> delle<br />
seguenti fonti:<br />
• eolico - con l’obiettivo di quasi decuplicare la produzione rispetto al 2005;<br />
• solare - con l’obiettivo di arrivare a 366 volte la produzione del 2005;<br />
• biomasse - con l’obiettivo di quasi quintuplicare la produzione rispetto al 2005.<br />
Guardando anche oltre il PAN, la sfida dei prossimi due decenni è quella di strutturare<br />
l’attuale sistema energetico, facendo sì che l’eolico, insieme alle altre fonti rinnovabili, possa<br />
contribuire alla copertura dei crescenti consumi del nostro paese. Ciò dovrebbe portare entro<br />
1 http://ec.europa.eu/energy/renewables/transparency_platform/action_plan_en.htm<br />
11
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
la metà del secolo ad una riconversione economica e tecnologica fondata sull’utilizzo delle<br />
fonti energetiche rinnovabili.<br />
Le fonti rinnovabili, considerate marginali fino a poco tempo fa, stanno crescendo a ritmi imprevedibili<br />
e i loro costi si stanno rapidamente riducendo. L’elettricità producibile dagli impianti<br />
eolici e solari installati nel mondo tra il 2005 e il 2010 è tre volte maggiore rispetto a quella dei<br />
reattori nucleari entrati in servizio negli stessi anni. La metà della potenza elettrica installata<br />
in Europa lo scorso decennio è rinnovabile. E l’accelerazione della crescita è formidabile. La<br />
potenza fotovoltaica globale installata nel 2010 è ad esempio, aumentata del 120% rispetto<br />
all’anno prima (Silvestrini, 2011).<br />
D’altra parte, oggi l’Italia è importatrice di energia elettrica per oltre il 13% del proprio<br />
fabbisogno e per oltre l’80% delle materie prime (gas, metano, carbone,…) per la produzione<br />
di energia elettrica (nel 2010 il costo pagato dall’Italia per importare energia ha raggiunto il<br />
primato di 51,7 miliardi di euro e per l’Unione Petrolifera il 2011 sarà peggio: 60,4 miliardi),<br />
pertanto l’apporto crescente in termini di produzione dell’eolico e delle altre fonti rinnovabili<br />
può aiutare la diminuzione di questo deficit che, a livello mondiale, è tra i più elevati. Un<br />
ricorso deciso alle fonti rinnovabili può consentire di:<br />
• ridurre le emissioni inquinanti;<br />
• aumentare la scurezza energetica;<br />
• ridurre la dipendenza dall’estero;<br />
• avere una minore fluttuazione dei prezzi;<br />
• ridurre il rischio geopolitico;<br />
• migliorare la bilancia commerciale del nostro Paese;<br />
• sviluppare occupazione e innovazione tecnologica.<br />
Le fonti rinnovabili di energia sono quelle fonti che, a differenza dei combustibili fossili<br />
e nucleari destinati ad esaurirsi in un tempo definito, possono essere considerate inesauribili.<br />
La direttiva 2009/28/CE definisce quale è il beneficio generale degli impianti da fonti rinnovabili.<br />
Su una scala di medio termine il fatto di produrre il 40% in punte da fotovoltaico ed<br />
eolico, a parità di consumi, fa sì che non lo si produce con carbone, gas o metano. Questo è un<br />
elemento di fondo che va preso i considerazione. Al di là di due altri elementi di fondo: il contributo<br />
ai cambianti climatici e quello alla sicurezza degli approvvigionamenti, perché quando<br />
ho l’85% del mio sistema elettrico che va a metano o carbone e poi c’è uno shock petrolifero<br />
in qualche parte del mondo, se sono la Norvegia che fa il 75% con l’idroelettrico, me ne sbatto,<br />
per usare una espressione un po’ volgare, quando invece sono legato ad un approvvigionamento<br />
estero diventa complicato perché soffro di una fluttuazione delle commodity energetiche che va<br />
ad impattare su tutta la produzione. Oggi, la Spagna, che ha spinto molto più di noi in questi<br />
ultimi 3-4 anni su queste tecnologie, in alcuni momenti della giornata ha il 45-50% di produzione<br />
da fonti rinnovabili – che chiaramente non è il monte complessivo delle produzioni -, ma<br />
in quel momento è alimentata da una fetta straordinaria di energia da vento, soprattutto, e in<br />
parte da fotovoltaico (Mario Gamberale, Kyoto Club).<br />
In pochi anni, il settore delle energie rinnovabili ha avuto un’esplosione. Nel 2011 sono<br />
7.661 i Comuni con almeno un impianto installato – pari all’94% dei Comuni -, arrivando a<br />
coprire il 22,1% del consumo lordo di energia elettrica (importazioni e pompaggi inclusi),<br />
nel 2008 erano solo 3.190 (Legambiente, 2011). Nel triennio 2008-2010, il settore delle<br />
rinnovabili ha registrato un trend altamente positivo: per l’eolico sono stati installati circa<br />
3.100 MW, per il fotovoltaico circa 2.200 MW e per le biomasse circa 900 MW; considerato poi<br />
12
1. Lo scenario generale<br />
il geotermico, l’idroelettrico e altre fonti minori di energia rinnovabile, si è assistito a una<br />
crescita anticiclica che ha comportato l’installazione di circa 6.600 MW e investimenti per<br />
oltre 15 miliardi euro, totalmente finanziati dal settore privato.<br />
Come già ricordato, il PAN richiede che nei prossimi anni lo <strong>sviluppo</strong> dell’eolico e delle<br />
altre fonti rinnovabili in Italia sia finalizzato al raggiungimento di obiettivi vincolanti e<br />
sanzionati in sede europea, quantificati nel 17% di penetrazione sul consumo finale lordo di<br />
energia e una riduzione del 13,5% delle emissioni rispetto al 2005. Questi obiettivi impongono<br />
alle amministrazioni – Stato centrale e Regioni – di definire delle strategie puntuali di<br />
diffusione e <strong>sviluppo</strong> delle rinnovabili, altrimenti si dovranno pagare delle pesanti sanzioni.<br />
A tal fine, la legge n. 13 del 27 febbraio 2009, all’art. 8-bis, dispone che gli obiettivi nazionali<br />
siano ripartiti a livello regionale. I decreti relativi dovranno tener conto dei seguenti<br />
aspetti:<br />
• della definizione dei potenziali regionali tenendo conto dell’attuale livello di produzione<br />
delle fonti rinnovabili;<br />
• dell’introduzione di obiettivi intermedi al 2012, 2014, 2016 e 2018 calcolati coerentemente<br />
con gli obiettivi intermedi nazionali concordati a livello comunitario;<br />
• della determinazione delle modalità di esercizio del potere sostitutivo del Governo ai<br />
sensi dell’articolo 120 della Costituzione nei casi di inadempienza delle Regioni per il raggiungimento<br />
degli obiettivi individuati.<br />
Da quanto sopra esposto, si evince come il processo che porterà all’individuazione degli<br />
obiettivi da assegnare alle singole Regioni (detto Burden Sharing) dovrà tener conto di diverse<br />
esigenze, tra le quali alcune di carattere non strettamente tecnico.<br />
Il 17% si applica al consumo interno lordo generale e può essere raggiunto con la somma<br />
di rinnovabili elettriche e termiche e/o con interventi di risparmio energetico. 2 Per raggiungere<br />
l’obiettivo del 17% sarà necessario raggiungere quasi il 30% di penetrazione delle rinnovabili<br />
elettriche sui consumi elettrici, in sostanza occorrerà raddoppiare la parte elettrica<br />
della produzione di energia da fonte rinnovabile. Si tratta di un obiettivo raggiungibile, ma<br />
molto ambizioso, 3 anche perché le fonti idroelettrica, geotermica e marina (maree e moto<br />
ondoso) potranno contribuire in minima parte all’incremento della produzione da fonti rinnovabili:<br />
per esse il PAN prevede al 2012 una produzione totale sostanzialmente equivalente a<br />
quella rilevata nel 2005 (circa 49 TWh).<br />
Pertanto, le uniche tre fonti rinnovabili che possono registrare un incremento sostanziale<br />
della produzione di elettricità sono: biomasse o biocombustibili in genere, solare ed<br />
eolico. Incrementi di produzione elettrica si potranno certamente ottenere con l’utilizzo<br />
delle biomasse, ad esempio, attraverso un migliore utilizzo della produzione forestale e degli<br />
scarti delle produzioni agricole, ma incrementi significativi si potranno avere solo attraverso<br />
2 Oggi, la quota delle rinnovabili sul mix elettrico è pari circa al 22% e secondo il Piano Nazionale dovrà arrivare al 28,97%<br />
per poter raggiungere l’obiettivo del 17% di penetrazione delle rinnovabili sul consumo finale lordo di energia. L’eolico può<br />
contribuire per una percentuale del 25%. Al recente Decreto Legislativo di recepimento della direttiva 2009/28/CE viene riconosciuto<br />
il merito di incentivare fonti rinnovabili fino ad oggi meno promosse, quali la generazione termica e gli interventi in<br />
favore dell’efficienza energetica per l’edilizia. La direttiva ha definito una via e l’Italia la sta recependo, mettendo una tariffa<br />
per il calore ceduto da rinnovabili a terzi, per cui solare termico, geotermia, biomasse, biocarburanti in cogenerazione potranno<br />
accedere a questo meccanismo. In più ci sono i titoli di efficienza energetica che sono in via di potenziamento. C’è, quindi, uno<br />
quadro di sostegno, sia per l’energia termica prodotta da rinnovabili sia per l’efficientamento/risparmio energetico, anche se più<br />
blando rispetto alla produzione di energia elettrica.<br />
3 Anche se va considerato che l’impatto della crisi economica ha portato a ritarare i valori dei consumi energetici finali<br />
italiani ed europei rispetto alle stime effettuate nel 2005. Secondo le nuove elaborazioni, nel 2020 – anche senza i nuovi interventi<br />
–, la domanda di energia si posizionerebbe al di sotto dei livelli del 2005. Il nuovo quadro rende quindi molto più agevole<br />
l’ottenimento dei tre obiettivi sull’efficienza energetica, sulle rinnovabili e sulle emissioni climalteranti al 2020.<br />
13
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
rilevanti importazioni di biomasse. 4 Quindi, eolico e solare sono sostanzialmente le fonti<br />
rinnovabili che hanno il potenziale più importante, ma serviranno impianti di grande taglia<br />
dell’una e dell’altra per poter raggiungere l’obiettivo del 17%, perché è un obiettivo di raddoppio<br />
in 9 anni di tutto quello che è stato fatto fino adesso, tenendo presente che la quota<br />
attuale del fabbisogno energetico coperta dalla produzione di energia da fonte rinnovabile è<br />
pari all’11% ed in gran parte è dovuta agli impianti idroelettrici che sono stati realizzati nella<br />
prima metà del secolo scorso. 5 Il potenziale tecnico stimato per l’eolico dal governo è intorno<br />
ai 16 mila MW, quindi più o meno si dovrebbe quasi triplicare l’attuale patrimonio, con una<br />
crescita annuale della potenza installata intorno ai mille MW, per passare dagli 8.500 GWh annui<br />
di produzione nel 2010 a 24.095 GWh nel 2020. 6 Secondo l’Anev (Associazione Nazionale<br />
<strong>Energia</strong> del Vento) il raggiungimento di tale obiettivo porterebbe con sé risultati importanti,<br />
coprendo non solo il fabbisogno di energia elettrica di circa 12 milioni di famiglie, ma anche<br />
migliorando la qualità dell’aria attraverso un risparmio di 23,4 milioni di tonnellate di CO2,<br />
53.326 tonnellate di NOx, oltre 38 mila tonnellate di SO2 e circa 6 mila tonnellate di polveri<br />
sottili.<br />
4 La generazione elettrica da biomassa in impianti di grandi dimensioni si scontra con barriere non tecniche piuttosto serie<br />
come l’assimilazione presso l’opinione pubblica di questi impianti ad inceneritori di rifiuti, l’indisponibilità di biomassa a buon<br />
mercato, la competizione sul mercato del legno da parte dell’industria del mobile. Si pensi, ad esempio, che il 29 ottobre 2010 i<br />
21 produttori italiani di semilavorati in legno hanno scioperato per due ore contro “le lobby dell’energia e le sovvenzioni pubbliche<br />
per le rinnovabili”, in particolare “contro gli incentivi per le centrali a biomassa che utilizzano il legno e fanno così schizzare i<br />
prezzi della materia prima” (Di Vico, 2010). Più in generale, i biocombustibili e gli impianti a biomassa sono sotto accusa per gli<br />
effetti che su scala internazionale provocano in termini di deforestazione e di aumento dei prezzi dei prodotti agricoli; aumenti<br />
che sarebbero tali da ridurre alla fame le popolazioni più povere del pianeta.<br />
5 Il contributo rispetto ai consumi elettrici complessivi delle diverse fonti rinnovabili vede nel 2010 l’idroelettrico al 15,1%,<br />
l’eolico come le biomasse al 2,5%, la geotermia all’1,5%, il fotovoltaico allo 0,5%.<br />
6 Analizzando i Piani nazionali per le rinnovabili degli Stati membri dell’UE emerge che l’eolico sarà la fonte su cui si punterà<br />
di più: Germania in testa (a livello di valore assoluto) con una previsione al 2020 di oltre 100mila GW annui di produzione dal<br />
vento (partendo da 44.780), seguita da Spagna e Gran Bretagna (che prevede di decuplicare l’offshore, passando da 1,4 a 13<br />
GW), ognuna con 78 mila GWh/anno ciascuna e partendo rispettivamente da 40.978 e da 14.150.<br />
14
2. La produzione<br />
di energia <strong>eolica</strong> in Italia<br />
Anche nel 2010 l’energia <strong>eolica</strong> istallata in Italia è cresciuta, raggiungendo 5.758 MW, ma,<br />
per la prima volta, questa crescita è stata rallentata, registrando un 16%, a fronte di un trend<br />
che si stava stabilizzando attorno al 30% 7 . Nel 2010, infatti, in Italia sono stati installati 948<br />
MW di energia <strong>eolica</strong>, contro i 1.160 del 2009 e i 1.055 del 2008. L’Italia è terza in Europa,<br />
dopo Germania e Spagna e sesta al mondo per capacità <strong>eolica</strong> installata. 8<br />
I 5.758 MW di eolico installato in Italia producono energia elettrica per quasi 8.500 GWh<br />
all’anno, pari al fabbisogno di circa 3,5 milioni di famiglie evitando di immettere in atmosfera<br />
circa 5 milioni di tonnellate di CO2. La parte del leone – per ragioni naturali: c’è vento 9<br />
– la fanno il Sud e le isole che da sole detengono il 98% della potenza installata e dove la<br />
maggior parte delle installazioni riguardano siti montani su crinale appenninico 10 . In Puglia<br />
7 L’andamento della crescita del settore eolico ha avuto un carattere quasi esponenziale ed ha assunto risultati significativi<br />
a partire dal 1996, anno in cui è stata realizzata la prima installazione di una centrale commerciale. Secondo l’Anev (l’associazione<br />
che rappresenta gli oltre 2 mila soggetti del comparto eolico), il rallentamento della crescita dell’eolico nel 2010 vede come<br />
causa principale il crollo del 40% del valore dei certificati verdi (cioè dell’incentivo), avvenuto in questi anni ad un ritmo del<br />
10% all’anno (a fine 2006 valeva 140 €/MWh, mentre a fine 2010 era a 80 €/MWh), scendendo nel 2010 sotto il livello minimo<br />
necessario a consentire la remuneratività degli investimenti.<br />
8 Secondo il Global Wind Energy Council, attualmente, con 194.400 MW di potenza installata (+35.800 MW, ovvero un +<br />
22,5% di incremento rispetto all’installato 2009), è quella <strong>eolica</strong> la fonte energetica da fonti rinnovabili meglio piazzata nella<br />
gara per sostituire i combustibili fossili. Il 2010 è stato l’anno del sorpasso degli Stati Uniti da parte della Cina che ha conquistato<br />
il primo posto assoluto per l’energia <strong>eolica</strong> installata, raggiungendo 42 mila MW, contro i 20 mila MW degli Stati Uniti. La<br />
rincorsa della Cina è stata straordinaria, se si pensa che in 2 anni ha annullato il ritardo e scavalcato gli Stati Uniti. A fine 2009<br />
la Cina era ancora ben distaccata, a soli 25 mila MW, mentre gli Stati Uniti svettavano a 35 mila. Dopo Cina e Stati Uniti viene<br />
l’India seguita dalla Germania (27 mila MW) e dalla Spagna (20 mila MW). Nel 2010 Francia (5,7 mila MW) e Gran Bretagna (5,2<br />
mila MW) hanno corso più dell’Italia.<br />
9 I siti più interessanti ai fini energetici sono quelli soggetti a venti forti e costanti. Soprattutto per le zone centrosettentrionali,<br />
non esiste una direzione di provenienza del vento prevalente in quanto la direzione predominante del vento varia<br />
da stazione a stazione anche quando queste sono poco distanti tra loro, oppure perché tutti gli otto settori si equivalgono.<br />
L’Italia meridionale, invece, presenta una ventosità molto alta con direzioni predominanti piuttosto nette, a seconda che ci si<br />
trovi nella fascia adriatica e ionica o nella fascia tirrenica. Di conseguenza, in Italia condizioni di elevata ventosità (dove si<br />
hanno più di 2.000 ore utili alla produzione di energia <strong>eolica</strong> nell’arco di un anno), sono disponibili sulle creste dell’Appennino<br />
centro-meridionale (soprattutto a cavallo tra le province di Campobasso, Foggia, Benevento, Avellino e Potenza) e sui rilievi<br />
delle isole maggiori, Sicilia e Sardegna.<br />
10 Questo anche se negli ultimi anni le turbine eoliche sono cresciute in dimensioni, potenza ed efficienza, anche con bassi<br />
regimi di vento, e dunque oggi si potrebbe pensare di sfruttare anche le aree pianeggianti. La localizzazione in contesti montani<br />
costituisce una rilevante peculiarità italiana rispetto ai paesi del Nord Europa, dove le applicazioni eoliche hanno interessato<br />
aree in genere pianeggianti, peculiarità che ha fra l’altro, generato non poche ripercussioni sul versante dell’impatto paesaggistico.<br />
L’alterazione del paesaggio è data non solo dalla presenza di macchine che negli ultimi anni hanno raggiunto potenze di<br />
2-3 MW con torri alte 90 metri, ma anche dalle strade di accesso che, se possono risultare comode agli agricoltori locali, rappresentano<br />
comunque una modificazione dei terreni. Nella valutazione complessiva degli impatti che tale tecnologia può provocare<br />
sul paesaggio, bisogna tener conto dei diversi impatti provocati sull’ecosistema e sul suolo nelle diverse fasi di costruzione,<br />
mantenimento e dismissione dell’impianto. Inoltre, spesso viene tralasciato l’aspetto della sua limitata occupazione temporale.<br />
15
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
(916 aerogeneratori), in Campania (809) e in Sicilia (977) si concentrava a fine 2009 il 64%<br />
degli impianti eolici, anche se il tasso di crescita più interessante fra 2008 e 2009 è stato<br />
quello della Calabria con un +131,8%. 11 Significativi anche quelli di Molise (+45%), 12 Sicilia<br />
(44,5%), Puglia e Sardegna (entrambe +33,7%).<br />
Le collocazioni delle centrali eoliche riguardano prevalentemente le zone interne dell’Appennino<br />
e del Sub-Appennino delle regioni centro-meridionali (vedi box), nonché quelle<br />
insulari, ossia territori rimasti fino ad oggi ai margini dello <strong>sviluppo</strong>, quelle aree interne più<br />
deboli e povere del Sud che nelle descrizioni di Manlio Rossi Doria (1948, 1968, 1982, 2003,<br />
2005) degli anni ’40 e ’50 erano l’ “osso”, mentre la “polpa” erano quelle di pianura dove<br />
era possibile ipotizzare una moderna agricoltura e attività industriali. 13 Si tratta di territori<br />
collinari e montani dove prevalgono i piccoli e piccolissimi comuni (sotto i 5 mila abitanti)<br />
e un’economia ancora fortemente improntata alla ruralità. Aree interne povere dal punto di<br />
vista del reddito e delle iniziative imprenditoriali, spesso spopolate e in declino demografico,<br />
perché investite da un invecchiamento della popolazione, una riduzione dei nuclei familiari e<br />
del saldo naturale della popolazione, e quindi in cui l’interesse naturalistico e paesaggistico<br />
deve conciliarsi con le necessità di <strong>sviluppo</strong> socio-economico delle comunità locali. Soven-<br />
Le torri del vento sono, infatti, strutture temporanee; le concessioni di uso del terreno sono spesso ventennali e gli operatori si<br />
impegnano entro tale data al decomissionig dell’intera area, ed al suo completo ripristino nelle condizioni iniziali.<br />
11 In Calabria sono stati presentati alla Regione progetti per impianti eolici per una potenza complessiva di oltre 30 mila<br />
MW, cioè per il doppio della potenzialità nazionale, stimata da Anev in 16.200 MW.<br />
12 A fine 2010, in Molise risultavano installati 373 aerogeneratori, altri 155 erano stati autorizzati, mentre in Regione c’erano<br />
domande in attesa di essere esaminate per altri 1.340 aerogeneratori. Secondo gli oppositori dell’eolico “selvaggio”, già oggi<br />
il Molise sarebbe in grado di produrre fino al 72% del suo fabbisogno elettrico grazie all’eolico. Aggiungendo l’energia prodotta<br />
da fotovoltaico, idroelettrico, biomasse si arriverebbe al 110%. Se questi numeri fossero veri, permetterebbero al Molise di essere<br />
una regione all’assoluta avanguardia in Europa. “Il Molise in questo è surreale. La Navarra rivendica che vuole raggiungere il<br />
70% con l’eolico, il Molise forse lo ha anche raggiunto, ma lo tratta come fosse la peste. L’eolico si può guardare in modo positivo<br />
se l’amministrazione regionale dice che è la nostra idea di futuro, di energia pulita per i nostri figli. In Italia, invece, si subisce e<br />
questa è una grande differenza con il resto d’Europa” (Edoardo Zanchini, Legambiente).<br />
13 L’economista agrario e sociologo Manlio Rossi Doria fu il primo a distinguere - limitatamente al settore agricolo, dove<br />
le colture erano condizionate dalla fertilità del territorio sulla quale influiva l’altimetria - due diverse realtà socio-economiche<br />
territoriali nel Mezzogiorno italiano: la “polpa” e l’”osso”. Per Rossi Doria, la “polpa” comprendeva il Sud “alberato” - diffuso<br />
nella Terra di Bari, la Terra d’Otranto e la regione etnea della Sicilia - con agricoltura intensiva basata su colture ortive, vigne,<br />
agrumeti, alberi da frutto e oliveti. L’”osso”, invece, comprendeva il sud “nudo”, dominato dal latifondo capitalistico/padronale<br />
e contadino, terra di pascolo e di agricoltura estensiva di cereali che occupava circa il 90% della superficie coltivabile. Le condizioni<br />
di vita e le prospettive di <strong>sviluppo</strong> socio-economico nella prima area erano assai migliori rispetto a quelle della seconda<br />
le cui possibilità di <strong>sviluppo</strong> apparivano assai diverse. Secondo Rossi Doria, nelle aree della “polpa” esisteva la possibilità di<br />
un vero e proprio <strong>sviluppo</strong> interno che riposava su un razionale sfruttamento delle risorse e su una legislazione incentivante<br />
presso l’imprenditoria <strong>locale</strong> volta all’affrancamento da un tipo di gestione ormai superato. Nelle aree dell’“osso”, invece, solo<br />
interventi esterni (industrializzazione, turismo) avrebbero potuto dare il via a un progresso legato, però, alla diminuzione della<br />
popolazione conseguenza della emigrazione. Tale impostazione - una volta estesa dal settore agricolo all’economia in generale<br />
– ha anticipato le linee del futuro intervento programmatico nel Mezzogiorno, istituzionalizzando la divisione tra le due realtà<br />
meridionali e consigliando una distribuzione eterogenea degli investimenti sul territorio. Di conseguenza, a partire dai primi<br />
anni ’60 si è scelta la via di concentrare gli sforzi (attraverso il modello di <strong>sviluppo</strong> per poli agricoli, industriali ed urbani)<br />
sulla “polpa”, lasciando all’”osso” la esclusiva risorsa dell’emigrazione per i più qualificati, un livello minimo di occupazione e<br />
di sussistenza per gli emigrati potenziali, qualche miglioramento per i servizi e le infrastrutture nella lunga e difficile attesa di<br />
convincere qualche imprenditore ad investire capitali in quelle zone in cambio di particolari agevolazioni. Queste politiche di<br />
<strong>sviluppo</strong> territoriale hanno contribuito ad allargare il gap tra aree “polpa” e aree “osso”. In Campania, ad esempio, allo <strong>sviluppo</strong><br />
di parte della province di Napoli, Caserta e Salerno ha corrisposto il sotto<strong>sviluppo</strong> di Avellino e Benevento e di larghe zone nelle<br />
stesse province relativamente più avanzate; lo stesso fenomeno si è notato in Puglia, Calabria, Basilicata e Sicilia. Verso la fine<br />
degli anni ’70, ad individuare a livello provinciale ciò che costituiva la “polpa” rispetto a tutto il resto del territorio meridionale<br />
che restava “l’osso”, erano le carte del prodotto lordo e della densità della popolazione costruite dalla Cao Pinna (1979). La “polpa”<br />
era rappresentata dall’area che si sviluppa lungo le fasce costiere e pianeggianti delle Regioni meridionali (Caserta, Napoli e<br />
Salerno nella pianura campana, Bari, Brindisi e Taranto nel Tavolato Pugliese, Siracusa, Catania, Messina e Reggio Calabria, nella<br />
Sicilia ionica e nella contigua estremità meridionale della Calabria), corrispondente ad 11 delle 34 province del Sud, pari a circa<br />
un terzo della superficie complessiva ed in cui viveva ben il 60% della popolazione (20 mln/ab.) con buoni tassi di <strong>sviluppo</strong><br />
economico. L’”osso” corrispondeva, invece, al Mezzogiorno interno, cioè in parte al sistema delle province delle fasce collinari<br />
che fiancheggiano l’Appennino ed in cui vive un ulteriore 28% della popolazione del Sud (5,7 mln/ab.), ed in parte al sistema<br />
delle province interne appenniniche (l’Aquila in Abruzzo, Campobasso ed Isernia nel Molise, Matera e Potenza in Basilicata, Enna<br />
in Sicilia, Nuoro, Oristano e Sassari in Sardegna) in cui risiedeva il restante 12% della popolazione del Sud (2,3 mln/ab.) in una<br />
condizione di forte arretratezza economica.<br />
16
2. La produzione di energia <strong>eolica</strong> in Italia<br />
te tali zone interne sono anche deficitarie nel bilancio di produzione e consumo di energia<br />
elettrica, il che, insieme all’interesse per la costruzione di centrali eoliche localmente, dà<br />
un’ulteriore spinta verso lo <strong>sviluppo</strong> di tale fonte. In qualche modo, la diffusione degli impianti<br />
di energia <strong>eolica</strong> è andata a incrociare una questione irrisolta del processo di <strong>sviluppo</strong><br />
socio-economico a livello territoriale in Italia.<br />
Intorno all’eolico e alle energie rinnovabili molto è quello che è stato fatto in queste aree, in<br />
questo nostro pezzo di Mezzogiorno d’Italia, molte sono state le attività messe in campo dai<br />
Comuni in sinergia con le rinnovabili e molte sono le opportunità che si stanno creando. C’è<br />
la necessità di spiegare anche al governo nazionale e alle Regioni il bisogno di avere una seria<br />
politica industriale in materia di energia, per fare in modo che questa grossa opportunità<br />
diventi nei fatti azione concreta per lo <strong>sviluppo</strong> dei territori e per creare delle opportunità per<br />
i cittadini. Spesso si è dato alla pubblica opinione un’idea sbagliata di questa opportunità,<br />
che rischia di far perdere soprattutto al Sud, l’ennesimo treno. Questa è una straordinaria<br />
occasione, che non va persa, soprattutto per il Sud e per queste aree marginali. C’è un dato<br />
significativo: se questi Comuni dell’Appennino Fortorino oggi sono in grado di mantenere i<br />
servizi fondamentali di base, se non consegnano “le chiavi” per manifesto fallimento, probabilmente<br />
è anche grazie a queste forme economiche riferibili alla rinnovabili e alle opportunità<br />
che si mettono in campo. Se sul tetto della sede del Comune e della scuola, oggi abbiamo<br />
un impianto fotovoltaico che consentirà non solo di produrre energia, ma di dare risorse alle<br />
attività didattiche, è perché c’è stata una intuizione a monte. Se i ragazzi che vivono in<br />
questo comune, come in altre comunità dei nostri territori, possono avere oggi un campo da<br />
calcio vero e non un campo di patate è grazie alle fonti rinnovabili. Se i nostri centri storici<br />
tornano ad avere lo splendore di un tempo, è perché le risorse arrivano da quelle energie.<br />
Se possiamo immaginare la creazione di “alberghi diffusi”, di attività economiche legate al<br />
Progetto “Borgo di Eolo”, alle vie del vento, è perché c’è questa opportunità. Allora, bisogna<br />
dire al Governo nazionale e alle Regioni che non ci può essere una “pausa” su questo, non<br />
ci può essere un momento di riflessione se non positivo e propositivo perché non possiamo<br />
negare al Mezzogiorno questa grande opportunità. Non è vero come sostengono alcuni “soloni”<br />
che siamo alla fine, siamo soltanto all’inizio di questa splendida avventura, e solo una<br />
minima parte della risorsa in campo è stata utilizzata. Noi stiamo pensando ad un progetto<br />
di filiera per realizzare nei nostri territori la produzione delle torri per gli aerogeneratori. Si<br />
sta facendo un ragionamento sulla ricerca, vi è un rapporto con l’Università, c’è tutto un<br />
mondo che si muove nelle istituzioni locali di questo pezzo di Puglia, Campania e Basilicata<br />
che intorno alle rinnovabili costruisce un’opportunità. E posso dire anche un progetto pilota<br />
da consegnare al Paese, perché qui stanno veramente nascendo delle esperienze significative,<br />
concrete, che ci permetteranno di poter dare una parola di speranza alle nostre future generazioni<br />
(Virgilio Caivano, Piccoli Centri Europei).<br />
Il Sud e le isole continuano ad attrarre investimenti, nonostante lentezze legislative e ritardi<br />
delle burocrazie regionali che rischiano di allontanare l’Italia dall’obiettivo di 16 mila MW<br />
al 2020 indicato nel piano di azione nazionale inviato alla Commissione europea (impegno<br />
che va tassativamente rispettato se si vogliono evitare pesanti penali). Per soddisfare questo<br />
obiettivo sarà necessario l’impegno di tutte le regioni, mentre fino ad oggi, ad esempio, tutte<br />
le amministrazioni regionali del Centro Italia (con l‘eccezione, in parte, dell’Abruzzo e della<br />
Toscana) hanno colpevolmente trascurato il potenziale dell’energia <strong>eolica</strong>. A prevederlo è il<br />
Decreto legislativo 387/2003, emesso in ottemperanza alla direttiva comunitaria 2001/77/<br />
CE che è ancora in attesa dell’attuazione dell’articolo 10 (successivamente reiterato nella<br />
17
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Le caratteristiche dei siti dove sono collocate le centrali eoliche italiane<br />
Attualmente, in Italia sono circa 6 mila gli aerogeneratori installati, mentre i comuni che hanno centrali<br />
eoliche nel loro territorio a inizio del 2011 sono 374 (erano 118 nel 2006), per una potenza installata<br />
pari a 5.758 MW (610 MW in più rispetto al 2009). Nel 2010, gli impianti eolici hanno permesso di<br />
produrre 8.374 GWh di energia pulita, pari al fabbisogno elettrico di oltre 3,5 milioni famiglie (Legambiente,<br />
2011:5-6). Sono 221 i Comuni che si possono considerare autonomi dal punto di vista elettrico,<br />
poiché si produce più energia di quanta ne viene consumata. I 5.758 MW eolici installati sono divisi tra<br />
220 “Piccoli Comuni” con 3.940 MW di potenza installata e 145 con più di 5.000 abitanti e una potenza<br />
di circa 1.817 MW. Gli impianti eolici, che per anni si sono concentrati soprattutto nell’Appennino<br />
meridionale, tra Puglia, Campania e Basilicata, e in Sicilia e Sardegna, si stanno diffondendo anche in<br />
aree del Centro-Nord. I Comuni con il più alto numero di MW installati sono quasi tutti pugliesi: quello<br />
che risulta avere la maggiore potenza installata è Troia (FG), con i suoi 171,9 MW, seguito da Minervino<br />
Murge (BT) con 116,4 MW, dal Comune di Bisaccia (AV) con 101,9 MW, dal Comune di Sant’Agata di<br />
Puglia (FG) con 97,2 MW e dal Comune di Rocchetta S. Antonio (FG) con 89 MW.<br />
Volendo descrivere un tipico sito dove si realizza una centrale <strong>eolica</strong> in Italia si dovrebbero fornire<br />
le seguenti specifiche o si registrerebbero le seguenti peculiarità (Cfr. Gargani e De Pratti, 2008:138-<br />
140):<br />
1. sito montano o pedemontano o collinare (in area appenninica), su rilevato (in area costiera, anche<br />
se arretrata rispetto alla costa, o sub-marina);<br />
2. orografia mediamente complessa, con rugosità tale da garantire una quota geostrofica dell’ordine<br />
di non meno di 500 metri sulla quota del sito (o misurata dal piano di campagna di questo);<br />
3. ventosità caratterizzata da una media annua compresa fra 6,2 e 7,5 m/s (con punte che in alcuni casi<br />
arrivano fino a 8,5 m/s). Il funzionamento annuo di un impianto eolico è discontinuo e dipende dalla<br />
ventosità del sito. La produzione viene espressa attraverso il parametro “ore equivalenti”, che indica<br />
le ore equivalenti annue di produzione a piena potenza o tramite il fattore d’impianto (uguale alle ore<br />
equivalenti diviso le ore dell’anno). In Italia, nei siti normalmente sfruttati, le ore equivalenti assumono<br />
valori tra 1.500 e 3.000;<br />
4. quota s.l.m. da 700 a 1.500 metri (con possibile insorgenza di formazione di ghiaccio durante i<br />
più ventosi mesi invernali a quota superiore ai 800-900 m s.l.m. in funzione della diversa esposizione<br />
del sito);<br />
5. area di installazione posta su plateau (Sardegna) o su crinali più o meno appiattiti e colline ondulate<br />
(regioni centro-meridionali);<br />
6. presenza di vegetazione di tipo boschivo o di coltivazioni (Appennini centrali e meridionali), bosco infoltito<br />
(Calabria), macchia mediterranea (Sicilia e Sardegna), rimboschimento e cantieri forestali in pieno<br />
<strong>sviluppo</strong> (Abruzzi) sia nelle vicinanze che su crinali opposti (con possibile creazione di scie di disturbo al<br />
rotore); installazioni sono previste nell’Appennino centro-settentrionale (Emilia-Romagna, Liguria e Piemonte)<br />
a quote cariabili tra i 1.000 e 1.500 m s.l.m. (in aree montane più o meno foltamente boscate);<br />
7. area caratterizzata da pregio paesistico e/o paesaggistico più o meno rilevante, posta in vicinanza o<br />
al confine o, ancora, interessata dalla presenza di SIC o di ZPS e, quindi, parchi o riserve naturalistiche<br />
di altro genere (aree interessate dalla presenza di relitti mediterranei);<br />
8. area interessata da uso civico (con eventuali presenze di direttrici tratturali) e da sorvoli a bassa quota<br />
di avioleggeri e, a quote maggiori, da velivoli dell’aviazione generale e militare; talvolta si riscontra la<br />
presenza di antiche servitù militari (poligoni in campo aperto) più o meno abbandonate (soprattutto<br />
nelle regioni centrali e centro-meridionali);<br />
9. area caratterizzata dalla presenza di specie avifaunistiche di vario pregio e, solo più limitatamente,<br />
interessata da corridoi ecologici e flussi migratori;<br />
10. distanza dalla rete elettrica in alta tensione compresa tra 500 m e 2-3 km al massimo;<br />
11. tasso di guasto della rete elettrica <strong>locale</strong> in alta e media tensione tale da poter essere rappresentata<br />
da un valore MTBF (Mean Time Between Failure – tempo medio fra i guasti) pari a 2.000-3.250 ore/<br />
anno (valore più basso tipico dell’Abruzzo più interno, come, ad esempio, nella Piana del Fucino);<br />
18
2. La produzione di energia <strong>eolica</strong> in Italia<br />
12. esistenza di un buon collegamento con strade la cui larghezza sia tale da consentire il transito ad<br />
automezzi capaci di trasportare le navicelle e le torri delle turbine di nuovo tipo e maggiore potenza<br />
(da 1,3 MW a 2,5 MW, con pesi compresi fra 36 e 57 t);<br />
13. visibilità del sito abbastanza estesa (per i crinali) e assai più limitata per le aree rilevate e a forma<br />
di plateau oppure per aree vallive;<br />
14. copertura del deficit <strong>locale</strong> tra produzione e consumo di energia elettrica. Le realtà locali che hanno visto<br />
e vedono l’installazione di parchi eolici normalmente soffrono di un deficit pesante (alle volte sono<br />
totalmente dipendenti dall’esterno). La presenza di una centrale <strong>eolica</strong> permette di ribaltare a situazione<br />
o, quanto meno, di mitigarla, consentendo di produrre energia elettrica localmente in modo relativamente<br />
abbondante (una centrale <strong>eolica</strong> da 10 MW di potenza, in una zona mediamente ventosa, può<br />
produrre circa 25 milioni di kWh di energia elettrica all’anno, quanto basta per almeno 5.000 famiglie;<br />
15. reddito pro-capite <strong>locale</strong> in genere basso e bilanci comunali spesso non superiori a 1,5-2 milioni<br />
di euro/anno;<br />
16. risorsa <strong>eolica</strong> quale fonte sfruttabile dal punto di vista economico, capace di fornire alle casse dei<br />
Comuni un gettito annuale e ragionevolmente costante e dell’ordine di 100 mila-500 mila euro/anno,<br />
tenendo presente l’apporto per i canoni di affitto dei terreni (quota marginale) e quello, ben più consistente,<br />
derivante dal corrispettivo di potenza (che in genere costituisce la quota minima corrisposta<br />
anche in assenza di produzione) e l’utile sulla produzione (dall’1 al 3% del ricavo lordo incassato dal<br />
gestore dell’impianto). I comuni interessati dall’installazione di centrali eoliche sono normalmente<br />
piccoli, con entrate piuttosto modeste. La presenza di campi eolici permette a queste piccole realtà<br />
locali di aumentare il loro budget in modo rilevante e senza pesare sulla collettività, in quanto tale<br />
gettito deriva da un’attività produttiva che si basa su una fonte come il vento non sfruttata in altro<br />
modo. Gli amministratori locali, quindi, hanno a disposizione più risorse da destinare a beneficio<br />
della comunità, promuovendo anche una maggiore coscienza/conoscenza dei problemi ambientali ed<br />
energetici locali.<br />
Legge Finanziaria 2008) relativo alle ripartizioni (il cosiddetto burden-sharing) 14 regionali che<br />
responsabilizzino a pieno le regioni, definendo il contributo che queste devono dare per il<br />
raggiungimento degli obiettivi energetici del paese al 2020. Sono passaggi legislativi necessari<br />
che potrebbero sbloccare la situazione.<br />
Intanto, un segnale positivo è arrivato sul fronte autorizzativo nel 2010. Infatti, sono<br />
state definite le “Linee guida per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di<br />
produzione di elettricità da fonti rinnovabili nonché linee guida tecniche per gli impianti stessi”,<br />
previste in base all’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 e approvate in<br />
Conferenza Unificata l’8 luglio scorso. Tali Linee guida sono finalizzate ad armonizzare un<br />
quadro regolatorio e normativo fino a questo momento frammentato e disomogeneo a livello<br />
regionale, e stabiliscono i processi autorizzatori per le diverse tipologie e grandezze di<br />
impianto considerato, oltre che le misure di mitigazione e quelle compensative per gli enti<br />
locali ospitanti l’impianto. Le Linee guida dovrebbero contribuire ad accelerare l’iter burocratico<br />
soprattutto perché danno finalmente il via libera alla autorizzazione unica: tutti gli enti<br />
preposti a dare il via libera per gli impianti a fonti rinnovabili sono riuniti in una conferenza<br />
di servizi. Chi chiederà un’autorizzazione non deve più sottoporsi allo sfibrante gioco delle<br />
14 Le Regioni sono chiamate a mettere in atto le opportune azioni per il raggiungimento degli obiettivi a livello regionale<br />
(che verranno istituiti per mezzo di un apposito decreto), suddivisi per tipologia di fonti (meccanismo del burden sharing) e a<br />
identificare in ciascun territorio le zone non idonee all’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, differenziate<br />
per fonte utilizzata.<br />
19
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
cosiddette “sette chiese”, ma dovrebbe avere in tempi certi (180 giorni) un parere positivo o<br />
negativo al proprio progetto, con enormi vantaggi su tempi di realizzazione.<br />
Quello che ci si può augurare ora è che con le Linee guida nazionali qualcosa cambi, dentro un<br />
quadro comunque che ha velocità diverse, perché ci sono alcuni territori italiani dove l’eolico<br />
deve ancora essere realizzato, dove cioè proprio non è ancora conosciuto. Ci sono anche delle<br />
potenzialità importanti al Centro-Nord, però ci si è andati con i piedi di piombo. Anzi, si può<br />
dire che nelle Regioni del Centro-Nord c’è un’attenzione all’impatto ambientale dell’eolico che<br />
non si ha per nessun altro tipo di opera. Penso che in Liguria, Emilia-Romagna, Marche ci sia<br />
una attenzione ambientale da parte delle amministrazioni regionali che non si ha per nessun<br />
altro intervento di tipo infrastrutturale, come se, addirittura, con le analisi ambientali che si<br />
fanno per l’eolico ci si costruisse quasi una dignità che si è persa sulla valutazione di impatto<br />
ambientale per tutto il resto. Se uno va a vedere l’atteggiamento tenuto dalla Regione Toscana<br />
nei confronti dell’autostrada tirrenica o della TAV, questo è stato totalmente “sdraiato” nei<br />
confronti di opere che andavano fatte e in cui nessun ruolo ha giocato la Regione in questi<br />
anni. Se uno va a vedere l’approccio che le stesse persone che hanno fatto la valutazione di<br />
impatto ambientale della TAV o dell’autostrada tirrenica, hanno nei confronti degli impianti<br />
eolici, è come se fossero Dr. Jekyll e Mr. Hide. Per l’eolico si fanno fare delle analisi e c’è un<br />
tipo di attenzioni…, appunto, per fermarlo. Stesso atteggiamento si ha da parte della Regione<br />
Emilia-Romagna. In Liguria non ne parliamo. Regioni in cui l’eolico ha delle potenzialità. Solo<br />
in Toscana sta andando avanti, ma perché invece c’è anche chi, un assessore e un governo regionale,<br />
che spinge sulle energie rinnovabili. Però, c’è proprio una contraddizione di fondo, come se<br />
in qualche modo ci fosse un problema di capire il ruolo che ha la valutazione ambientale. Come<br />
se la valutazione ambientale dipendesse dal tipo di opera e dal tipo di pressione. È abbastanza<br />
evidente che l’eolico è una fonte energica che è spinta da gruppi imprenditoriali in parte nuovi<br />
e in parte da investimenti ambientali di grandi gruppi energetici italiani, tutti soggetti che sono<br />
indubbiamente deboli nei confronti dei governi regionali, soprattutto dei governi regionali organizzati.<br />
È il caso della Liguria, dell’Emilia-Romagna e della Toscana. Dove il governo regionale è<br />
organizzato, l’eolico risulta essere un settore industriale debole. Dove il governo regionale non<br />
è organizzato – e parliamo di tutto il Centro-Sud – invece scatta un altro tipo di meccanismo<br />
che è quello per cui intorno all’eolico e alle sue potenzialità, c’è una totale disorganizzazione<br />
del governo regionale, per cui si è nelle mani della capacità che hanno i Comuni di organizzare<br />
dei percorsi trasparenti oppure della lungimiranza degli imprenditori. Questa è oggi la realtà<br />
italiana (Zanchini, Legambiente).<br />
Comunque, nonostante le carenze normative e le farraginosità burocratiche, il volume d’affari<br />
dell’energia <strong>eolica</strong> in Italia ha raggiunto livelli sempre più elevati, alla luce degli investimenti<br />
in corso e di quelli programmati nella realizzazione di nuove centrali eoliche. Se si considerano<br />
i circa 1.000 MW installati nel solo 2010, in termini finanziari gli investimenti – tra capitali<br />
privati e bancari – hanno raggiunto la cifra di 4,5 miliardi di euro, quasi esclusivamente<br />
destinati alla realizzazione di centrali eoliche nel Mezzogiorno e nelle isole. 15<br />
15 Purtroppo, questi rilevanti investimenti hanno destato l’interesse per il settore eolico anche di affaristi e prestanome<br />
delle diverse organizzazioni criminali (mafia, camorra, ‘ndrangheta e sacra corona unita) che controllano ampie porzioni del territorio<br />
meridionale e che operano come “sviluppatori” che ricercano i siti di potenziale interesse, elaborano progetti preliminari<br />
e, una volta ottenuta l’autorizzazione dalla burocrazia regionale, con in mano un progetto cantierabile, passano la collocazione<br />
sul mercato, realizzando così notevoli plusvalenze.<br />
20
2. La produzione di energia <strong>eolica</strong> in Italia<br />
Velocità media annua del vento a 25 m s.l.t./s.l.m.<br />
da 3 a 4 m/s<br />
< 3 m/s<br />
da 4 a 5 m/s<br />
da 5 a 6 m/s<br />
da 6 a 7 m/s<br />
da 7 a 8 m/s<br />
da 8 a 9 m/s<br />
da 9 a 10 m/s<br />
da 10 a 11 m/s<br />
> da 11 m/s<br />
Fonte: http://atlanteeolico.rse-web.it/viewer.htm<br />
21
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Potenza <strong>eolica</strong> installata sul territorio nazionale<br />
Nessuna installazione<br />
251 ÷ 500 MW<br />
< 100 MW<br />
501 ÷ 750 MW<br />
100 ÷ 250 MW<br />
> 750 MW<br />
Regione<br />
MW installati<br />
Regione<br />
MW installati<br />
Sicilia 1.449<br />
Puglia 1.286<br />
Campania 814<br />
Sardegna 674<br />
Calabria 589<br />
Molise 372<br />
Basilicata 279<br />
Abruzzo 225<br />
Toscana 45<br />
Liguria 21<br />
Emilia Romagna 16<br />
Piemonte 13<br />
Lazio 9<br />
Trentino Alto Adige 3<br />
Umbria 2<br />
Veneto 1<br />
Marche -<br />
Valle d’Aosta -<br />
Friuli Venezia Giulia -<br />
Lombardia -<br />
TOTALE 5.797<br />
Fonte: ANEV - Associazione Nazionale <strong>Energia</strong> del Vento, 2011<br />
22
2. La produzione di energia <strong>eolica</strong> in Italia<br />
Localizzazione dei Parchi eolici<br />
Fonte: ANEV - Associazione Nazionale <strong>Energia</strong> del Vento, 2011<br />
23
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Aerogeneratori installati sul territorio nazionale e prospettive di crescita al 2020<br />
Nessuna installazione<br />
< 50<br />
50 ÷ 500<br />
500 ÷ 750<br />
750 ÷ 1.000<br />
> 1.000<br />
Regione<br />
Aerogeneratori Potenziale Crescita %<br />
2010 rispetto<br />
MW N° MW* Occupati** al 2009<br />
KW per<br />
abitante<br />
KW per km 2<br />
Sicilia 1.449 1.245 1.900 7.537 30,0 0,287 56,362<br />
Puglia 1.286 997 2.070 11.714 11,1 0,315 66,446<br />
Campania 814 765 1.915 8.738 0,6 0,140 59,897<br />
Sardegna 673 565 1.750 6.334 15,0 0,403 27,956<br />
Calabria 589 342 1.250 4.484 47,3 0,293 39,056<br />
Molise 372 307 635 2.289 53,9 1,161 83,758<br />
Basilicata 279 244 760 2.675 22,8 0,474 27,940<br />
Abruzzo 225 279 900 3.166 9,7 0,168 20,944<br />
Toscana 45 30 600 2.114 0,0 0,012 1,957<br />
Liguria 21 26 280 1.061 12,9 0,013 3,873<br />
Emilia Romagna 16 26 200 771 0,0 0,004 0,726<br />
Lazio 9 15 900 3.741 0,0 0,002 0,522<br />
Umbria 2 2 1.090 3.868 0,0 0,002 0,177<br />
Altre 16 8 1.750 7.518 0,0 0,001 0,161<br />
Offshore 0 0 200 1.000 0,0 0,000 0,000<br />
TOTALE 5.797 4.851 16.200 67.010 19,6 0,096 19,239<br />
* Studio ANEV ** Studio UIL-ANEV<br />
Fonte: ANEV - Associazione Nazionale <strong>Energia</strong> del Vento, 2011<br />
24
3. La produzione<br />
di sistemi eolici in Italia<br />
Gli aerogeneratori effettuano la conversione dell’energia cinetica del vento in energia meccanica<br />
dell’asse di rotazione, e, da questa, in elettrica continua o alternata mediante l’impiego<br />
di un generatore; possono essere ad asse orizzontale o verticale; possono essere isolati o in<br />
cluster e, ancora, essere collegati ad utenze isolate, piccole reti locali o alle reti nazionali<br />
(Battisti, 2008; Caffarelli e De Simone, 2010; Gargini e De Pratti, 2008). Dal punto di vista<br />
della potenza, oggi sul mercato ci sono diverse tipologie di aerogeneratori:<br />
• macchine progettate per la produzione e vendita di elettricità, il cosiddetto eolico<br />
industriale. Si tratta di aerogeneratori di potenza compresa tra i 500 kW e i 3,5 MW connessi<br />
alla rete in media o alta tensione, macchine di grande potenza per la produzione industriale<br />
di energia <strong>eolica</strong> che richiedono grandi investimenti (da 1 a 2,5 milioni di euro), ma il cui<br />
costo diminuisce in proporzione al crescere della potenza e che sono state finora al centro<br />
del processo di evoluzione tecnologica. Un indicatore significativo dell’evoluzione tecnologica<br />
dell’eolico, infatti, è la crescita della taglia degli aerogeneratori installati, accompagnata<br />
anche dall’aumento della loro affidabilità ed efficienza. Se nel 1995, la taglia media delle<br />
macchine installate in Italia era di appena 260 kW di potenza per unità, nel 2003 era di<br />
561kW, oggi la taglia media delle turbine che vengono installate è di 2,5 MW. 16 Queste macchine<br />
possono essere installate singolarmente o in centrali di produzione, sulla terra ferma<br />
o in mare (offshore); 17<br />
16 Le prime macchine eoliche industriali erano alte 82 metri, quelle attuali 93 metri. La vera differenza è che 10 anni fa<br />
una macchina industriale da 660-850 kW occupava a terra 100 metri quadrati e aveva una dimensione di navicella di 6mx3m.<br />
Oggi, una macchina industriale è da 3,5 MW, cioè sei volte più potente della precedente, a terra occupa 150 metri quadrati,<br />
mentre la navicella è di 12x6m. “Le dimensioni delle macchine sono in costante crescita, perché la capacità di sfruttare il vento<br />
è strettamente legata al diametro del rotore. Più è grande il diametro e più si riesce a installare anche in aree dove una volta non<br />
si poteva installare perché le condizioni del vento erano basse e, quindi, non lo permettevano. Aumentando il diametro del rotore,<br />
aumenta la potenza generata e, quindi, c’è una corsa ad installare turbine sempre più grandi che si riflette in termini positivi anche<br />
sull’ambiente. Questo perché con macchine di questa potenza si riesce a fare un parco eolico significativo con 10 aerogeneratori,<br />
mentre in passato per avere la stessa potenza si dovevano installare dalle 30 alle 40 pale. Una pala grande si vede certamente di<br />
più, ma quello che probabilmente dà più fastidio è “l’effetto selva”, quindi tante turbine, pale, e torri” (Schiapparelli, REpower).<br />
17 In Italia, e più in generale nel Mediterraneo, le installazioni offshore tardano a manifestarsi, nonostante che in ambiente<br />
marino sia presente una gran disponibilità di vento (e quindi sia possibile installare macchine di grande potenza come la<br />
turbina REpower da 6,15 MW con 126 m di diametro) e che la distanza dalla terraferma consenta una naturale mitigazione sia<br />
dell’impatto acustico delle turbine per la lontananza sia di quello paesaggistico in virtù della curvatura terrestre. Quella offshore<br />
rappresenta, dunque, un’opzione che nel medio-lungo termine potrebbe consentire notevoli produzioni di energia (Cesari e<br />
Taraborrelli, 2008). In Italia, l’iter autorizzativo per gli impianti offshore è diverso da quello per gli impianti sulla terraferma:<br />
l’autorizzazione, infatti, è rilasciata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti il Ministero dello <strong>sviluppo</strong> economico<br />
e il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, con le modalità di cui all’art. 12, comma 4, del decreto<br />
25
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
• macchine per la produzione di energia ad uso di utenza isolata o con allacciamento alla<br />
rete in bassa tensione. Sono macchine caratterizzate da una potenza limitata (sotto i 200kW)<br />
che spesso sono affiancate ad altre fonti di produzione di energia (mini idrico, fotovoltaico<br />
o convenzionale). Nel caso di utenza isolata rappresentano una risorsa in zone difficilmente<br />
raggiungibili dalla rete come località montane o comunità agricole. È un segmento di mercato<br />
che in Italia si sta aprendo solo ora e che, soprattutto per le macchine di piccola taglia<br />
– turbine per uso domestico (da 1 a oltre 20 kW), miniturbine (0,50-060 kW) e microturbine<br />
(0,02-0,12 kW) – sembra avere interessanti possibilità di <strong>sviluppo</strong>. Si tratta, comunque, di<br />
macchine che per operare al meglio della loro efficienza vanno installate in torri di almeno<br />
12 metri, meglio se più alte, e non troppo vicine all’edificato, per evitare possibili turbolenze,<br />
ma l’industria sta lavorando (insieme ad alcuni grandi architetti e designer internazionali<br />
come Renzo Piano e Philippe Starck) per mettere a punto delle turbine di piccola taglia (sia<br />
ad asse orizzontale che verticale) che possano essere montate sui tetti delle case anche in<br />
ambiente urbano.<br />
Le macchine eoliche in Italia lavorano mediamente per 1.800–2.000 ore equivalenti a pieno regime.<br />
Vale a dire che una macchina lavora magari per 2 giorni a metà della massima potenza, 2<br />
giorni che quindi equivalgono a 24 ore alla massima potenza. Però, durane la giornata e anche<br />
per più giorni, si può verificare la bonaccia perché non c’è vento. Questo fa parte del progetto e<br />
del funzionamento. Ci sta che il vento può o non può esserci. La macchina <strong>eolica</strong> lavora sopra<br />
una certa quantità di vento, il cut in, mentre il cut out è sui 25-30 metri al secondo. Per cui, la<br />
macchina viene messa in stallo sopra il cut out, perché il vento è troppo forte per poter funzionare.<br />
In fase di progetto, le caratteristiche tecnologiche delle macchine vengono scelte in base<br />
alle caratteristiche del vento. È molto importante caratterizzare il sito dal punto di vita del vento.<br />
Le misure di un anno o di due anni dell’anemometro, non danno solo l’informazione relativa<br />
al fatto se c’è vento, ma anche che c’è tot vento con alcune caratteristiche e quale è la velocità<br />
predominante. Questo porta alla scelta migliore delle macchine che è un elemento importante<br />
perché l’impianto deve essere produttivo, anche perché, per come sono strutturati gli incentivi,<br />
o si è produttivi o si perdono le risorse investite o si allungano i tempi di ammortamento. Il<br />
parco deve essere efficiente. Posso avere delle macchine funzionanti, ma ferme, non perché<br />
sono rotte o non connesse alla rete, ma perché o non c’è vento sufficiente o il vento è troppo<br />
forte. Certo, le 2.000 ore equivalenti sono poche rispetto all’arco temporale di un anno. Dipende<br />
dagli andamenti stagionali, per cui ad esempio nei mesi primaverili la ventosità è bassa. Poi, ci<br />
sono siti più lo meno ventosi. Il vento c’è soprattutto al Sud, mentre è scarso al Nord. Poi, c’è<br />
la manutenzione delle macchine. Le macchine eoliche si rompono. C’è la rottura e c’è il tempo<br />
legislativo 387/2003 e previa concessione d’uso del demanio marittimo da parte della competente autorità marittima. Quindi,<br />
l’autorizzazione è solo ministeriale, mente i Comuni e gli altri enti locali non hanno nessun titolo/competenza, possono partecipare<br />
alla Conferenza dei servizi, ma solo a titolo consultivo. Al momento mancano ancora delle Linee Guida per gli impianti<br />
offshore (quelle emanate a settembre 2010 riguardano solo per gli impianti onshore). Emblematico di quanto sia confusa la<br />
situazione e dei problemi che si creano è il caso di un progetto per un parco eolico offshore a 6-8 km dalla costa del Molise, a<br />
largo di Termoli, al quale si oppongono la Regione, la Provincia e tutti i Comuni, avendo fatto ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato<br />
contro l’autorizzazione. “Quell’impianto è emblematico, perché la Regione e i Comuni approvano porticcioli, case, villaggi vacanza,<br />
alberghi, etc. sulla costa e poi se la prendono con l’impianto eolico che sta a 8 km di distanza dalla linea di costa. Sull’eolico ci si<br />
fa una sorta di verginità ambientale che non esiste. Su questo noi siamo andati fino in fondo, facendo ora pure ricorso al Tar ad<br />
iuvandum di quell’impresa. Noi all’impresa abbiamo dato su questo una mano, spingendola a rispondere a tutte le osservazioni che<br />
erano state fatte dal punto di vista ambientale. I punti critici erano due:<br />
• la presenza di una duna sommersa tutelata – una SIC ZPS – e siccome il cavodotto deve arrivare a terra, hanno modificato il<br />
percorso, aggirando la duna;<br />
• il MiBAC gli ha chiesto di allontanare un po’ le pale e loro hanno spostato indietro, a 8 km dalla costa, la prima fila di pale.<br />
Hanno fatto fare uno studio paesaggistico ad una paesaggista che gli abbiamo suggerito. Gli abbiamo dato una mano per cercare<br />
di presentare un buon progetto. Nonostante questo, le amministrazioni locali hanno fatto ricorso al Tar e al Consiglio di Stato. In<br />
questo atteggiamento da parte dei Comuni c’è la vera ambiguità dell’eolico. Il punto problematico dell’offshore è che nessuno prende<br />
delle royalties perché il mare non è territorio comunale, provinciale o regionale, ma dello Stato. Quindi, sull’offshore da parte dei<br />
Comuni c’è battaglia, mentre poi sui progetti a terra non fanno la stessa resistenza” (Edoardo Zanchini, Legambiente).<br />
26
3. La produzione di sistemi eolici in Italia<br />
di riparazione. Come tutte le macchine hanno la manutenzione ordinaria che viene fatta ogni<br />
sei mesi, preferibilmente nei periodi in cui c’è meno ventosità. Sono 1 o 2 giorni per macchina.<br />
Bisogna ingrassare la macchina e controllare gli apparati, i circuiti dell’olio. Va fatto un check,<br />
un po’ come il tagliando per le automobili. Le macchine sono controllate in remoto e qualsiasi<br />
anomalia all’interno della macchina viene segnalata in tempo reale. La macchina si mette in<br />
sicurezza da sola, si autogestisce, spegnendosi e mettendosi di taglio al vento, di modo che va<br />
in stallo, in attesa dell’intervento della manutenzione (Roberto Refrigeri, Enel Green Power).<br />
In Italia la fase dello <strong>sviluppo</strong> commerciale dell’eolico è partita in ritardo rispetto ad<br />
altri paesi europei come la Germania, la Danimarca o la Spagna (Pirazzi, 2008). 18 Di questo<br />
ritardo hanno sofferto anche le nascenti industrie di produzione di aerogeneratori e di<br />
componentistica (torri, quadri elettrici, motoriduttori, elettronica di potenza), che si sono<br />
trovate a competere con delle realtà industriali europee e americane ormai agguerrite e in<br />
rapida crescita. In questo senso, si può dire che da parte delle amministrazioni nazionali e<br />
regionali sono mancate delle scelte consapevoli di politica industriale in grado di promuovere<br />
lo <strong>sviluppo</strong> del comparto industriale, incrementando così i benefici economici per il territorio<br />
derivanti dalla diffusione delle rinnovabili. Emblematica in questo senso è l’esperienza della<br />
Spagna, dove lo sfruttamento del vento è stato condizionato da parte delle singole regioni<br />
al coinvolgimento dell’imprenditorialità e manodopera <strong>locale</strong>, tanto che ora questo paese è<br />
diventato un esportatore di tecnologia <strong>eolica</strong> in tutto il mondo.<br />
Sul rapporto tra <strong>sviluppo</strong> delle energie rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> della filiera industriale a livello<br />
<strong>locale</strong>, forse l’esperienza di maggiore successo è quella fatta dagli spagnoli che 10-15 anni fa<br />
hanno promosso gli investimenti in parchi eolici, invitando ad investire anche negli impianti<br />
produttivi della filiera industriale. La Spagna ha creato una sua base industriale, grazie al fatto<br />
che le regioni hanno adottato delle politiche industriali favorevoli, in un momento in cui era<br />
possibile farlo. Ad esempio, la Gamesa è nata dalla Vestas e poi si è resa autonoma, cosa che<br />
non ha fatto da noi la IWT. Questo perchè da noi è mancata la logica della politica industriale.<br />
Oramai, il baricentro delle grandi tecnologie è tutto spostato sulla Cina e sull’India (Silvestrini,<br />
Kyoto Club).<br />
Lo <strong>sviluppo</strong> del mercato nazionale è iniziato dapprima con l’installazione di macchine da<br />
200-350 kW di produzione italiana mono e bipala (Riva Wind Turbines del Gruppo Riva Fire<br />
SpA e West, del gruppo Ansaldo), per continuare poi con la messa in servizio di aerogeneratori<br />
di media taglia da 500 a 850 kW dotati di rotore tripala (Vestas-IWT, Enercon, Bonus,<br />
18 Nel 1996, nelle province di Foggia e Benevento, sono state installate le prime centrali eoliche commerciali ad opera<br />
dell’Italian Vento Power (IVPC), una società privata costituita ad Avellino nel 1993, che ha avuto l’intuizione di utilizzare al<br />
meglio lo strumento legislativo del CIP 6/92, e le conoscenze di sitologia maturate dagli americani in California. Altre centrali<br />
eoliche sono state realizzate anche nella provincia di Avellino e sui crinali appenninici delle regioni circostanti. A queste prime<br />
iniziative ne sono seguite altre da parte di operatori come Edison Energie Speciali, ENEL Green Power, Sanseverino ed altri che,<br />
nel volgere di pochi anni, hanno permesso all’Italia – con circa 700 MW installati alla fine del 2001 – di conseguire il primo<br />
obiettivo del Libro Bianco sulle rinnovabili e di raggiungere la quarta posizione a livello europeo, la sesta a livello mondiale,<br />
in termini di potenza <strong>eolica</strong>. Negli ultimi 10 anni la progressione della potenza <strong>eolica</strong> installata è stata la seguente: 797 MW<br />
al 2002, 913 MW al 2003, 1.255 MW al 2004, 1.718 MW al 2005, 2.123 MW al 2006, 2.726 MW al 2007, 3.736 MW al 2008,<br />
4.849 MW al 2009, 5.758 MW al 2010. L’incremento della potenza <strong>eolica</strong> installata, nel contesto di un mercato della produzione<br />
elettrica liberalizzato ormai da più di 10 anni, riflette anche la crescita del numero di operatori elettrici specializzati nella progettazione<br />
e gestione di impianti eolici di grandi dimensioni. Il mercato è ancora molto frazionato tra una pluralità di operatori<br />
(alcuni controllati da grandi gruppi multinazionali del settore elettrico convenzionale) che hanno in media tra i 100 e i 400 MW<br />
di potenza installata (quindi, più parchi eolici ciascuno): il Gruppo IVPC, Enel Green Power, Edison Energie Speciali (EDENS), Fri-<br />
El, E.ON Italia, Moncada Energy Group, Asja <strong>Ambiente</strong> Abn Windenergy, Inergia, FERA-Fabbrica Energie Rinnovabili Alternative,<br />
AceaElectrabel Produzione, Lucky Wind, Veronagest, Tozzi Sud, IVPC Eolica, Gruppo ICQ, ERG Renew, Fortore <strong>Energia</strong>, Gruppo<br />
Gamesa, Sorgenia, Api Nova <strong>Energia</strong>, GE Energy. La stretta creditizia sta consolidando la presenza delle maggiori compagnie<br />
energetiche a spese dei produttori indipendenti di minori dimensioni che, in alcuni casi, hanno dovuto cedere parte delle proprie<br />
attività.<br />
27
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Neg Micon, etc.) e arrivare successivamente alle macchine di grande taglia da 1 a 3 MW<br />
(Fuhrlander, REpower, GE Wind, Vestas, Gamesa, Enercon, Suzlon, Siemens Wind Power, Acciona,<br />
Ecotecnia e Nordex). Gli aerogeneratori attualmente realizzati in Italia, dopo la fine poco<br />
gloriosa di quelli progettati, costruiti e sperimentati all’inizio degli anni ’90, si collocano in<br />
tutte le fasce della tecnologia. Infatti, alle macchine di piccola taglia, da centinaia di watt<br />
sino a 20 kW, prodotte da società come Salini, Ropatec, Jonica Impianti, Enerclean, Terom,<br />
Badgir, BluMini Power, Windesign e Dealer Tecno, dalla metà degli anni 2000 se ne sono<br />
aggiunte altre di media e grande taglia prodotte da Vestas Italia (ex West/IWT) di Taranto,<br />
Gruppo Leitner di Vipiteno, Moncada Costruzioni di Agrigento.<br />
Inoltre, occorre considerare che le attività di installazione di aerogeneratori – dalla costruzione<br />
all’avviamento, sino alla fase di esercizio – richiedono molteplici interventi da parte<br />
di una serie di imprese coinvolte nell’assemblaggio della macchina e nella fornitura dei singoli<br />
componenti (generatore, moltiplicatore di giri, riduttore, torre, mozzo, impianti elettrici ed<br />
idraulici, lavorazioni metalliche, forniture industriali, sensori, etc.). Oltre alla realizzazione di<br />
tali componenti si deve ricordare l’insieme delle opere civili (strade, piazzole e scavi, edifici,<br />
fondazioni), le opere elettriche (cavi, quadri, trasformatori, sottostazioni), la realizzazione<br />
delle torri, i trasporti, nonché le apparecchiature di sollevamento e le gru.<br />
Se per la macchina intera, il sistema completo, credo che ormai sia troppo tardi, salvo casi<br />
del tutto eccezionali e di nicchia, invece la componentistica è un’area in cui le imprese italiane<br />
possono ancora giocare un ruolo molto interessante, perché in Italia c’è una importante<br />
componente di industria meccanica ed elettromeccanica. So che ci sono delle importanti realtà<br />
industriali italiane che fanno parte delle filiere industriali internazionali dei prodotti per le<br />
energie rinnovabili. Pertanto, non darei per persa la battaglia sul campo industriale. Certo, che<br />
bisognerebbe fare quello che prevedeva il Piano Industria 2015, mettendo insieme grandi, medie<br />
e piccole imprese, con università, centri di ricerca su alcuni grandi progetti obiettivo, dando<br />
una spinta allo <strong>sviluppo</strong> tecnologico del settore industriale. Questo, purtroppo, si è sfilacciato<br />
(Silvestrini, Kyoto Club).<br />
Secondo le stime Anev-UIL, negli ultimi anni in Italia il settore eolico ha creato 8.200 nuovi<br />
posti di lavoro diretti, mentre comprendendo l’indotto si arriva ad oltre 28mila. Inoltre, se si<br />
raggiungerà il potenziale nazionale di circa 16mila MW al 2020, in numero totale di addetti<br />
potrebbe salire ad oltre 67mila.<br />
Un primo ragionamento nel rapporto tra <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> ed energie rinnovabili, riguarda il<br />
mercato <strong>locale</strong> del lavoro. Per quanto riguarda la Puglia, sono tanti i professionisti che da 6-8-<br />
10anni lavorano quasi esclusivamente sulle fonti rinnovabili a vario livello. Poi, ci sono aziende<br />
che sono nate ad hoc: società che montano, assemblano, producono. C’è un movimento enorme<br />
che non saprei quantificare. Non so se qualcuno si è mai preso l’impegno di fare una specie di<br />
censimento, di quanti soggetti sono occupati dalla filiera diretta. Qui, secondo me, si superano<br />
tranquillamente le 10mila persone. Si parla sempre di aziende, operai, etc., però i professionisti<br />
sono una categoria che non nomina nessuno. Professionisti che operano sul mercato in qualità<br />
di lavoratori autonomi. Sono giovani laureati, o laureati da tempo, hanno un’età compresa<br />
tra i 25 ai 40anni, e che normalmente in questi territori non hanno nessuna possibilità professionale<br />
e che normalmente qui dovrebbe fare “le valigie”. Quindi, questo è un settore che<br />
può “tenere” sul territorio tantissimi professionisti, professionalità qualificate. Qui, in Fortore<br />
<strong>Energia</strong>, ad esempio, c’è un geologo che ha lavorato 4anni sulle piattaforme petrolifere in Africa,<br />
e che grazie a questa attività lavora a casa sua, in un settore che altrimenti non avrebbe<br />
spazio. Ci sono centinaia di persone che lavorano oggi su questi temi. Qui, in Fortore <strong>Energia</strong>,<br />
28
3. La produzione di sistemi eolici in Italia<br />
solo di professionisti ci sono 60-70 persone. Sono tanti, sono numeri e stiamo parlando solo di<br />
questa realtà. Poi ci sono una serie di altre aziende che conosciamo e che hanno 10, 40, 100<br />
persone. Se sommiamo tutte queste professionalità intellettuali, stiamo parlando di migliaia di<br />
persone. Poi ci sono i settori collegati: i montaggi, i trasporti, i noleggi, le imprese che lavorano<br />
alla costruzione, le società di manutenzione, di gestione, il controllo della sicurezza negli<br />
impianti realizzati, quindi le cooperative di vigilanza, gli archeologi. L’impulso che hanno dato<br />
le rinnovabili al settore dell’archeologia è enorme. In un primo momento c’erano solo pareri<br />
molto negativi sugli impianti. A un certo punto l’impostazione del Ministero è stata diversa, la<br />
Sopraintendenza Archeologica della Puglia non dice più no a nessuno, salvo prescrivere delle<br />
procedure obbligatorie. È il caso della costruzione di una carta del rischio archeologico preventiva,<br />
che impegna, pagate dalle società proponenti, cooperative di archeologi che sono in un<br />
elenco accettato dalla Sopraintendenza. Fanno una ricognizione dell’area e isolano i rilievi. A<br />
fronte di questa prima attività ricognitiva, se ci sono delle evidenze archeologiche, in fase di<br />
cantiere la Sopraintendenza impone lo scavo sistematico con l’assistenza fissa di imprese specializzate<br />
a carico del proponente. Tutto questo per dire che ci sono una serie di collegamenti<br />
infiniti, un movimento intellettuale che lavora sulle rinnovabili, e che questo “movimento” è<br />
enorme. Quello che manca è che non si è riusciti a creare le condizioni per fare gran parte delle<br />
tecnologie qui in Puglia, e ci sarebbero le condizioni. Oggi, l’80% della ricchezza prodotta dalle<br />
rinnovabili va a finire fuori, perché le macchine e i principali componenti vengono da fuori. Noi<br />
abbiamo tentato di fare qui delle attività importanti. Le torri in cemento per Enercon si fanno<br />
in Puglia, altre cose si fanno, ma si potrebbe fare tantissimo di più se ci fosse un minimo di<br />
garanzia da parte delle istituzioni e mi riferisco al garantire una certa massa critica di interventi<br />
(Giovanni Alessandro Selano, Holding Fortore <strong>Energia</strong> SpA).<br />
Nei prossimi anni, la crescita dell’industria italiana e del suo indotto potrà contare, oltre<br />
che sull’ulteriore <strong>sviluppo</strong> del mercato interno, anche sulla diffusione dell’energia <strong>eolica</strong> nei<br />
paesi balcanici e in quelli della sponda meridionale del Mediterraneo che, per la maggior<br />
parte, sono zone ad elevata potenzialità di vento.<br />
29
4. Il quadro normativo nazionale<br />
Dalle interviste condotte con i testimoni privilegiati nel corso della ricerca emerge che per<br />
quanto riguarda l’eolico e, più in generale, le fonti da energie rinnovabili è successo quello<br />
che in Italia spesso succede rispetto alle grandi innovazioni tecnologiche e produttive:<br />
il mercato, l’economia reale, si è mosso più velocemente rispetto alla capacità dei poteri<br />
pubblici di fornire un quadro di regole omogeneo, sensato e trasparente. Questo è avvenuto<br />
nonostante che in Italia uno <strong>sviluppo</strong> consistente dei diversi settori delle energie da fonti<br />
rinnovabili si sia verificato in ritardo rispetto ad altri paesi europei, come la Germania, la<br />
Spagna e la Danimarca. L’Italia non è stata certo tra i primi paesi a muoversi nel campo delle<br />
energie alternative. La differenza è che altrove in Europa questa dinamica di <strong>sviluppo</strong> delle<br />
rinnovabili è partita insieme allo sforzo da parte dello Stato, sia in termini legislativi, sia in<br />
termini amministrativi, di accompagnarlo. Questo da noi non è successo o è successo solo<br />
parzialmente e, quindi, la crescita delle energie a fonte rinnovabile ha camminato a lungo,<br />
e in parte sta camminando ancora, su una base di un quadro di regole inadeguato, incerto,<br />
spesso contraddittorio e in alcuni casi perfino paradossale. Per quanto riguarda l’eolico, ma<br />
non solo, le procedure autorizzative fino adesso sono state assolutamente variabili da Regione<br />
e Regione. Spesso addirittura all’interno di una stessa Regione non c’è stata certezza sugli<br />
gli standard delle procedure di autorizzazione.<br />
L’incapacità da parte della pubblica amministrazione – centrale e <strong>locale</strong> – di accompagnare<br />
adeguatamente il processo rappresenta il maggiore ostacolo ad uno <strong>sviluppo</strong> equilibrato<br />
e dinamico delle energie rinnovabili. Naturalmente, quando l’economia si muove in assenza<br />
di regole certe, trasparenti e omogenee, la possibilità che anche i fenomeni più virtuosi<br />
diventino occasione per comportamenti e vicende invece poco trasparenti è reale. Questo<br />
sicuramente in qualche caso è avvenuto e sta avvenendo, e purtroppo poi questo getta una<br />
luce molto sfavorevole, almeno dal punto di vista di alcuni media, su tutto il fenomeno.<br />
Le direttive europee, le leggi e i meccanismi nazionali di incentivazione per la produzione<br />
di energia elettrica da fonte rinnovabile hanno ragion d’essere per il costo ancora elevato<br />
del kWh generato da queste fonti non inquinanti. I meccanismi di supporto per le rinnovabili<br />
rappresentano per la comunità un investimento per il futuro, in quanto un ricorso sempre più<br />
esteso a tali fonti di energia permetterà di evitare costi sociali ed ambientali ingenti.<br />
La legislazione nazionale in merito alle fonti da energie rinnovabili, ed in particolare<br />
all’eolico, ha visto in Italia il succedersi di tre fasi temporali distinte, in ognuna delle quali<br />
si è avuto un ampliamento e rafforzamento delle misure normative di sostegno allo sfrutta-<br />
31
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
mento di tali fonti (Cfr. Togni, 2008). Di seguito, si delineano le caratteristiche salienti di<br />
ciascuna fase.<br />
4.1 La prima fase (1988-1997)<br />
Nella prima fase compaiono i primi strumenti governativi di un certo rilievo a sostegno<br />
delle fonti rinnovabili in generale e dell’eolico in particolare. Tali strumenti sono stati il Piano<br />
energetico nazionale del 1988, che stabilisce un obiettivo di 300-600 MW di eolico installati<br />
nel 2000, le leggi 9/91 19 e 10/91, quest’ultima che prevede dei contributi a fondo perduto<br />
erogati dalle Regioni per studi di fattibilità in materia di energie rinnovabili e per l’insediamento<br />
di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. 20<br />
Ma, soprattutto il successivo provvedimento CIP 6/92, che stabilisce prezzi incentivanti<br />
per la cessione all’ENEL di energia elettrica prodotta con impianti a fonti rinnovabili<br />
o “assimilate”. 21 Quest’ultimo provvedimento determina, per l’energia eolico, un prezzo di<br />
cessione composto da due voci:<br />
• voce 1: costi evitati (di esercizio, di manutenzione e spese generali, di combustibile)<br />
dall’ENEL e riconosciuti per l’intera vita dell’impianto;<br />
• voce 2: sovraccosti correlati ai maggiori costi della specifica tipologia di impianto a<br />
carico del produttore, riconosciuti soltanto per i primi 8 anni.<br />
Tra le altre prescrizioni, vi sono gli oneri di allacciamento che, per le fonti rinnovabili e<br />
nelle regioni con deficit energetico, sono fissati nella misura di 1/3 a carico dell’autoproduttore<br />
e per 2/3 a carico dell’ENEL.<br />
Successivamente, con due decreti del Ministero dell’Industria (luglio 1996 e gennaio<br />
1997) è stato confermato che i prezzi di cessione del provvedimento CIP 6/92 devono essere<br />
pagati per gli impianti già realizzati, in corso di realizzazione, o inclusi sino alla sesta graduatoria<br />
al 30 giugno 1995. Gli impianti eolici potenzialmente beneficiari della tariffa CIP<br />
6/92 assommano così ad una potenza complessiva di poco superiore ai 700 MW.<br />
4.2 La seconda fase (1998-2002)<br />
Nella seconda fase, il quadro normativo italiano a sostegno delle fonti rinnovabili ha<br />
subito profonde modifiche originate dalla necessità di rispettare gli impegni presi nelle sedi<br />
internazionali e di trovare delle misure di incentivazione che fossero sostenibili per le casse<br />
dello Stato. Le principali tappe sono state:<br />
• la Delibera CIPE del 19.11.1998 “Linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione<br />
delle emissioni di gas serra” adottata con l’obiettivo di avviare le azioni necessarie<br />
a rispettare gli impegni internazionali nel settore dell’ambiente, che sono in particolare<br />
19 La Legge 9/91, Norme per l’attivazione del nuovo piano energetico nazionale. Aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed<br />
elettrodotti, idrocarburi, geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali, definisce le modalità di immissione di energia prodotta<br />
da fonti rinnovabili (trasporto, scambio, cessione totale, cessione di eccedenza) e, soprattutto, stabilisce con l’art. 22 che la<br />
produzione di energia da fonte rinnovabile non sia più sottoposta a riserva di esclusiva a favore dell’ENEL, che allora era ancora<br />
un ente pubblico economico.<br />
20 La legge 10/91, Attuazione del piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico<br />
e di <strong>sviluppo</strong> delle fonti rinnovabili di energia, consente l’esproprio per causa di pubblica utilità delle aree sulle quali insediare<br />
impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in quanto considerate “opere di pubblico interesse e di pubblica<br />
utilità” e, quindi, prioritarie anche dal punto di vista dell’applicazione delle leggi sulle opere pubbliche.<br />
21 Il CIP 6/92 ha stimolato la diffusione delle fonti rinnovabili, ma i benefici maggiori sono stati appannaggio delle cosiddette<br />
“assimilate” (tra queste il processo di cogenerazione ha assorbito una quota rilevante delle risorse economiche disponibili),<br />
che di fatto hanno ridotto i finanziamenti disponibili e, successivamente hanno portato al blocco del provvedimento stesso per<br />
mancanza di fondi (Cfr. Pirazzi e Garribba, 2004:41).<br />
32
4. Il quadro normativo nazionale<br />
connessi con il Protocollo di Kyoto. La delibera indica sei azioni nazionali, tra le quali una<br />
riguarda la produzione di energia da fonti rinnovabili. Il CIPE stima di ottenere al 2008-2012<br />
una riduzione delle emissioni di 95-112 Mt di CO2, di cui 18-20 Mt attraverso il contributo<br />
delle fonti rinnovabili;<br />
• il Decreto legislativo 79/99 (cosiddetto “Decreto Bersani”) inerente il recepimento della<br />
Direttiva europea 96/92/CE sul mercato interno dell’elettricità che definisce le linee generali<br />
del riassetto del settore elettrico in Italia. Al fine di avviare una graduale liberalizzazione<br />
del mercato elettrico italiano, stabilisce importanti innovazioni nei settori della produzione,<br />
della trasmissione e della distribuzione dell’energia elettrica, nelle attività di importazione<br />
ed esportazione, nelle fonti rinnovabili, nelle concessioni idroelettriche, e nel nuovo assetto<br />
societario dell’ENEL. Viene stabilita la creazione di tre figure istituzionali: Gestore della<br />
Rete di Trasmissione Nazionale (GRTN), Gestore del Mercato Elettrico (GME) e l’Acquirente<br />
Unico (AU). Ai produttori di energia elettrica convenzionale (da combustibili fossili) viene<br />
fatto obbligo di immettere nella rete elettrica nazionale, fino dal 2001, la quota del 2%<br />
di energia da fonti rinnovabili, e in attuazione delle disposizioni dell’art. 11, in data 11<br />
novembre 1999 è emanato un decreto del Ministro dell’Industria recante le “Direttive per<br />
l’attuazione delle norme in materia di energia elettrica da fonti rinnovabili di cui ai commi<br />
1, 2 e 3 dell’articolo11 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79”. L’aspetto principale<br />
riguarda l’introduzione del meccanismo dei certificati verdi per colmare la differenza tra il<br />
prezzo di produzione degli impianti eolici e da altre fonti rinnovabili e il prezzo riconosciuto<br />
dal mercato. Tale meccanismo è sorretto dalla domanda obbligatoria imposta ai produttori<br />
e importatori di energia elettrica convenzionale. I proprietari degli impianti energetici certificati<br />
dal GRTN come impianti alimentati da fonti rinnovabili (IAFR), per i primi 8 anni<br />
di esercizio successivi al periodo di collaudo e di avviamento, hanno diritto ai certificati<br />
verdi, di valore pari o multiplo di 100 MWh. 22 Tali titoli rappresentano una certificazione di<br />
produzione da fonti rinnovabili e sono emessi dal gestore della rete elettrica nazionale. Per<br />
quanto riguarda la contrattazione dei certificati verdi, il gestore del mercato, di cui all’art.<br />
5 del decreto legislativo 79/99, nell’ambio della contrattazione nel mercato elettrico,<br />
organizza il loro scambio nella sede predisposta. Questi sono oggetto di libero mercato tra<br />
soggetti detentori degli stessi e i produttori-importatori, soggetti all’obbligo di cui all’art.<br />
11, commi 1 e 2 del decreto legislativo 79/99 (immissione nella rete elettrica nazionale<br />
del 2% di energia da fonti rinnovabili) anche al di fuori della sede suddetta. In caso di<br />
impossibilità di immettere energia elettrica da fonti rinnovabili in quantità sufficiente, i<br />
produttori possono assolvere l’obbligo comprando ed annullando certificati verdi prodotti<br />
da terzi per un pari quantitativo. In sintesi, i produttori di energia da fonti convenzionali<br />
(fossili) che non riescono a produrre energia da fonti rinnovabili con impianti propri in<br />
quantità pari o superiore ai propri obblighi possono acquistarla, sotto forma di certificati<br />
verdi, da altri produttori sulla borsa del gestore del mercato elettrico o tramite contratti<br />
bilaterali. Gli impianti incentivati dal CIP 6/92, che entrano in servizio dopo il 1° aprile<br />
1999, hanno diritto ai certificati verdi, il proprietario dei quali è il GRTN, 23 che li immette<br />
sul mercato a un prezzo corrispondente, grosso modo, alla differenza tra il costo d’acquisto<br />
e quello di vendita della relativa energia;<br />
22 La Legge 239/04 (Legge Marzano) ha poi ridotto a 50 MWh la taglia del certificato verde., mentre la Legge 244/07 (Legge<br />
Finanziaria 2008) la porta a 1 MWh.<br />
23 Le cui competenze oggi sono assolte da Terna SpA e dal Gestore dei Servizi Elettrici (GSE). A quest’ultimo è affidato il<br />
compito di gestire il sistema di incentivazione.<br />
33
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
• la Conferenza nazionale energia e ambiente, organizzata dall’ENEA (Roma, novembre<br />
1998) ha costituito un momento di riflessione e revisione delle politiche energetiche in corso<br />
nel paese, fissando innanzitutto l’imprescindibilità dello <strong>sviluppo</strong> energetico dalla sostenibilità<br />
ambientale. Tra le iniziative di maggior rilievo, intraprese dal governo nell’ambito di tale<br />
conferenza, si deve annoverare la sottoscrizione del Patto per l’energia e l’ambiente. Il patto,<br />
che ha come interlocutori le amministrazioni centrali e locali, le parti sociali, gli operatori<br />
e gli utenti, fissa le regole e gli obiettivi generali di un costruttivo e innovativo rapporto<br />
tra le parti. È la necessaria premessa per la sottoscrizione di accordi volontari, settoriali o<br />
specifici. In questo contesto si colloca l’Accordo di programma per la realizzazione delle iniziative<br />
sulle fonti rinnovabili incluse nelle prime sei graduatorie del provvedimento CIP 6/92.<br />
Il primo pacchetto di tale Accordo diviene operativo ed è riferito all’eolico;<br />
• l’approvazione da parte del CIPE, del Libro bianco per la valorizzazione energetica delle<br />
fonti rinnovabili (6 agosto 1999), documento che testimonia l’importanza attribuita dal<br />
governo allo <strong>sviluppo</strong> delle energie da fonti rinnovabili. Il Libro bianco individua, per ciascuna<br />
fonte rinnovabile, gli obiettivi che devono essere conseguiti per ottenere le riduzioni<br />
di gas serra, indicate dal CIPE grazie alle energie rinnovabili, indicando le strategie e gli<br />
strumenti necessari per raggiungere lo scopo. Per l’eolico, l’obiettivo fissato al 2008-2012 è<br />
la potenza installata di 2.500 MW. Inoltre, tale documento recepisce appieno le indicazioni<br />
espresse nel Libro bianco dell’UE: “Il ruolo degli Stati membri nell’attuazione dei piani d’azione<br />
(indicati nel documento europeo) è cruciale. Essi devono decidere i loro obiettivi specifici<br />
nell’ambito del quadro più generale ed elaborare le proprie strategie nazionali per conseguirli”;<br />
• il Parlamento italiano, con Legge 120 del 1° giugno 2002, ha ratificato il Protocollo di<br />
Kyoto sul cambiamento climatico. Il Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> ha emanato un “Piano nazionale<br />
per la riduzione del gas serra”, approvato anche dal CIPE nel dicembre 2002, con l’obiettivo di<br />
ridurre gradualmente l’emissione dei gas serra in Italia. Nell’agosto del 2002 il CIPE ha anche<br />
approvato il documento per lo <strong>sviluppo</strong> sostenibile, nel quale si annette grande importanza<br />
alle azioni che verranno intraprese dalle singole Regioni per promuovere sul territorio nazionale<br />
lo <strong>sviluppo</strong> delle centrali da fonti rinnovabili. Con questa operazione di decentramento<br />
si intendono favorire interventi zona per zona mirati allo <strong>sviluppo</strong> della produzione di energia<br />
da fonte rinnovabile.<br />
4.3 La terza fase (2003-presente)<br />
La terza fase inizia con l’approvazione del Decreto legislativo 383/2003 in recepimento<br />
della direttiva 2001/77/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001 sulla<br />
promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno<br />
dell’elettricità. 24 Nel Decreto legislativo 387 vengono univocamente definite ed elencate<br />
le fonti rinnovabili, dette anche “non fossili”. Al fine di controllare l’evoluzione del mercato<br />
delle fonti rinnovabili, entro il 30 giugno 2005 e di seguito ogni due anni, il Ministero delle<br />
24 Con la Direttiva 2001/77/CE l’Europa sancisce la necessità di sviluppare in via prioritaria la promozione di energie rinnovabili,<br />
per favorire la sostenibilità ambientale, per avvicinarsi agli obiettivi di Kyoto e per la consapevolezza che in questo modo<br />
si possa contribuire allo <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, creando occupazione e coesione sociale. Con prima scadenza il 27 ottobre 2002, e in<br />
seguito ogni 5 anni, gli Stati membri si impegnano a contribuire allo <strong>sviluppo</strong> sostenibile attraverso una sorta di dichiarazione<br />
di intenti con la quale si intende stabilire gli obiettivi per i 10 anni successivi, che ogni Stato si propone di raggiungere in<br />
termini di consumi di elettricità prodotta da fonti rinnovabili. La stessa Direttiva prevedeva che entro il 2003 gli Stati membri<br />
definissero criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori per garantire l’origine dell’elettricità prodotta da fonte energetiche<br />
rinnovabili, e le misure necessarie ad assicurare che i gestori delle reti di trasmissione e di distribuzione garantissero la trasmissione<br />
e la distribuzione dell’elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili.<br />
34
4. Il quadro normativo nazionale<br />
Attività Produttive (oggi Ministero dello Sviluppo Economico), di concerto con il Ministero<br />
dell’<strong>Ambiente</strong>, col Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Conferenza Unificata, dovrà<br />
presentare una relazione al Parlamento, sulla base dei dati del Gestore della rete e dell’Osservatorio<br />
nazionale sulle fonti rinnovabili (istituito dallo stesso decreto, ma poi chiuso nel<br />
2005).<br />
Nel decreto 387 viene stabilito, inoltre, che la quota di energia da fonti rinnovabili deve<br />
crescere dello 0,35% all’anno nel periodo 2004-2006, disponendo che gli incrementi annuali<br />
per i periodi 2007-2009 e 2010-2012 vengano emanati dal Ministero dell’<strong>Ambiente</strong>, sentita<br />
la Conferenza Unificata. 25<br />
Altro aspetto importante riveste l’istituzione della Garanzia di origine dell’energia, rilasciata<br />
dal Gestore della rete, su richiesta del produttore, a garanzia della provenienza da fonte<br />
rinnovabile dell’elettricità prodotta. 26<br />
Al fine di semplificare l’iter autorizzativo degli impianti a fonte rinnovabile, l’art. 12<br />
del decreto 387 stabilisce un’autorizzazione unica rilasciata dalla Regione o da altro ente<br />
indicato dalla stessa che deve prevedere anche il ripristino dello stato dei luoghi una volta<br />
che l’impianto non sia più produttivo. 27 All’autorizzazione unica si arriva attraverso un<br />
procedimento unico convocato dalla Regione, al quale partecipano tutte le amministrazioni<br />
coinvolte, al fine di snellire, semplificare ed accorciare i tempi delle autorizzazioni. Il procedimento<br />
unico deve terminare entro 180 giorni dall’inizio dell’iter autorizzativo. Le procedure<br />
di approvazione degli impianti devono però sottostare alle Linee guida redatte in Conferenza<br />
Unificata dai ministri delle Attività Produttive (oggi Sviluppo Economico), dell’<strong>Ambiente</strong> e<br />
dei Beni Culturali, i quali dovranno definire le modalità di coretto inserimento degli impianti,<br />
con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio. 28 In funzione di tali Linee guida<br />
le Regioni possono procedere all’indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di<br />
specifiche tipologie di produzione. L’articolo prevede, inoltre, che le opere per la realizzazione<br />
degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e le opere connesse, come le infrastrutture<br />
necessarie alla costruzione e all’esercizio degli impianti, debbano considerarsi di pubblica<br />
utilità, indifferibili ed urgenti.<br />
Le condizioni di vendita dell’energia al Gestore della rete per impianti a fonti rinnovabili<br />
con potenza fino a 10 MVA, viene stabilita dalla delibera n. 34 del 2005 dell’AEEG (Autorità<br />
per l’<strong>Energia</strong> Elettrica e il Gas). In particolare, all’art. 4 viene stabilito che a tali impianti<br />
viene garantito un prezzo dell’elettricità pari al prezzo di cessione dall’Acquirente unico alle<br />
imprese distributrici di energia per la vendita al mercato vincolato, come definito dall’art.<br />
30 comma 30.1, lettera a), del Testo integrato. Su richiesta del produttore, all’atto della stipula<br />
della convenzione, viene riconosciuto un prezzo unico indifferenziato per fasce orarie,<br />
25 La Legge Finanziaria 2008 (L. 244/07), con riferimento alla produzione energetica degli anni 2007-2012, ha incrementato<br />
a 0,75 punti percentuali la quota parte di incremento annuale di produzione da rinnovabili rispetto all’anno precedente.<br />
26 La Garanzia di origine prende il posto della certificazione di provenienza dell’energia prodotta da fonti rinnovabili prevista<br />
dall’art. 5 comma 9 del DM 11 novembre 1999.<br />
27 Per i parchi eolici, la Legge Finanziaria 2008 (L. 244/07) prevede che l’approvazione unica costituisca, ove necessario,<br />
variante allo strumento urbanistico. Inoltre, per impianti di potenza inferiore ai 60 kW si applica la procedura di Dichiarazione<br />
di Inizio Attività (DIA).<br />
28 Tali Linee guida nazionali sono state emanate soltanto nella seconda metà del 2010. Nel dicembre 2006 sono state redatte<br />
delle Linee guida unicamente dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in risposta alla ratifica da parte del governo della<br />
Convenzione europea del paesaggio, firmata il 14 gennaio 2006. Pertanto per quasi sette anni le Regioni non hanno potuto<br />
disporre di un chiaro indirizzo condiviso, con evidenti conseguenze nel mancato coordinamento e nella chiarezza dei procedimenti<br />
autorizzativi relativi agli impianti di produzione di energia <strong>eolica</strong>. Ad esempio, spesso alle aree definite non idonee non<br />
ha corrisposto un’individuazione dei vincoli che ne stabilivano la non idoneità, aumentando lo stato di indeterminatezza del<br />
settore. Da notare che le linee guida approvate prima del 2010 dalle Regioni Basilicata, Puglia, Calabria, Sardegna e Molise sono<br />
state dichiarate, in parte o in toto, illegittime da sentenze della Corte Costituzionale.<br />
35
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
determinato dall’Acquirente unico. Nella stessa delibera, vengono definiti dei prezzi minimi<br />
garantiti per l’elettricità prodotta da impianti con potenza fino a 1 MW, stabiliti per scaglioni<br />
di produttività.<br />
La delibera n. 281 del 2005 dell’AEEG stabilisce le regole per la connessione degli impianti<br />
alla rete elettrica. Tale delibera contempla le regole per la connessione alla rete elettrica di<br />
clienti finali consumatori di energia, di centrali elettriche convenzionali e da fonti rinnovabili.<br />
Il proponente dell’impianto di produzione a fonte rinnovabile fa richiesta di connessione al<br />
gestore di rete (che può essere il gestore <strong>locale</strong> fino a 10 MVA o Terna per potenze superiori).<br />
Il gestore ha l’obbligo di connessione e propone una soluzione tecnica minima. Se accettata<br />
dal proponente l’opera, questi dovrà pagare al gestore un corrispettivo stabilito dal gestore<br />
stesso, che per gli impianti da fonte rinnovabile è ridotto del 50%. Se il proponente l’impianto<br />
a fonte rinnovabile realizza a proprie spese l’impianto di connessione alla rete (rispettando<br />
i requisiti tecnici per favorire a sicurezza e la continuità del servizio elettrico), il corrispettivo<br />
da versare al gestore di rete è pari a zero.<br />
I rapporti tra il gestore di rete ed il proponente l’impianto vengono regolati mediante<br />
apposito contratto di connessione, redatto sulla base delle condizioni elencate nella delibera<br />
281. La convenzione riguardante connessioni di impianti a fonti rinnovabili ha la priorità<br />
sulle altre e deve concludersi entro 180 giorni.<br />
Il decreto del 24 ottobre 2005 del Ministero delle Attività Produttive, aggiorna le direttive<br />
per l’incentivazione dell’energia prodotta da fonti rinnovabili. 29 È stabilito che la produzione<br />
netta di elettricità da fonti rinnovabili ha diritto, per i primi 8 anni di esercizio successivi<br />
all’entrata in esercizio commerciale, ai certificati verdi. 30 Il certificato verde ha un valore<br />
unitario di 50 MWh, viene emesso dal gestore di rete entro 30 giorni, su comunicazione del<br />
produttore relativamente alla produzione netta da fonte rinnovabile imputata all’anno precedente.<br />
La produzione è arrotondata al 50 MWh con criterio commerciale. Su richiesta del produttore,<br />
sono emessi certificati verdi sulla producibilità 31 attesa dell’anno in corso e dell’anno<br />
successivo. Il Gestore di rete provvede, con cadenza triennale, alla verifica di congruità tra<br />
valori di produzione attesi ed i valori dichiarati dai produttori e certificati dall’Ufficio tecnico<br />
di finanza (Utf). I certificati verdi sono oggetto di libero mercato sia all’interno della sede<br />
prevista e preparata dal Gestore di rete, sia al di fuori di tale sede.<br />
Il Gestore della rete pubblica, con cadenza annuale, un bollettino informativo contenente<br />
l’elenco degli impianti a fonti rinnovabili in esercizio, in costruzione ed in progetto con<br />
qualifica delle garanzie di origine emesse e dei certificati verdi emessi. 32<br />
Successivamente, il sistema dei certificati verdi è stato modificato dalla Legge 244/07<br />
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge Finanziaria<br />
2008), da un Decreto ministeriale collegato del 12.12.2008 33 e dalla legge 99/09. Il Decreto<br />
Bersani del 1999 imponeva un obbligo agli operatori che immettono in rete più di 100 GWhe/<br />
29 Il decreto stabilisce anche che tutti i produttori e gli importatori di elettricità devono autocertificare le importazioni di<br />
energia non rinnovabile al gestore di rete. Per la quota parte di energia importata di provenienza rinnovabile, il soggetto può<br />
chiederne l’esenzione dal conteggio relativo alla quota di energia da bilanciare con fonti rinnovabili, come stabilito dal D.lgs. 387.<br />
30 Dall’attribuzione dei certificati verdi sono esclusi gli impianti alimentati da fonti assimilate.<br />
31 La producibilità di un aerogeneratore viene espressa in MWh e va intesa come numero di ore annue di funzionamento alla<br />
piena potenza nominale (espressa in MW).<br />
32 Nel novembre 2005, il gestore di rete ha pubblicato la Procedura di qualificazione degli impianti alimentati a fonti rinnovabili.<br />
Edizione n. 2. In tale documento, sono sinteticamente riportati i passi che i proponenti devono intraprendere per arrivare<br />
alla qualifica dei propri impianti alimentati a fonti rinnovabili (IAFR). Nella procedura sono previsti sia gli impianti nuovi che i<br />
rifacimenti parziali e totali, nonché le riattivazioni di vecchi impianti, riguardanti tutte le tipologie di impianti da fonti rinnovabili.<br />
33 Il decreto “Incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, ai sensi dell’articolo 2, comma 150, della<br />
legge 24 dicembre 2007, n. 244” è stato adottato il 18 dicembre 2008 dal Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto col<br />
36
4. Il quadro normativo nazionale<br />
anno che almeno il 2% dell’elettricità provenisse da impianti a fonti rinnovabili entrati in<br />
esercizio o ripotenziati, limitatamente alla producibilità aggiuntiva, in data successiva al<br />
1/4/99. Tale obbligo è stato incrementato dello 0,35% dal 2004 al 2006 e dello 0,75% dal<br />
2007 al 2012. La Legge 99/09 trasferisce tale obbligo sui soggetti che concludono con Terna<br />
contratti di dispacciamento di energia elettrica in prelievo.<br />
Alla produzione degli impianti alimentati da fonte rinnovabile entrati in esercizio prima<br />
del 2008, che abbiano ottenuto la qualifica IAFR, viene associato un certificato verde ogni<br />
MWhe/anno prodotto (in caso di nuova costruzione, rifacimento o riattivazione). I certificati<br />
verdi vengono emessi, ai fini dei riconoscimenti previsti dal Decreto Bersani, per:<br />
• 12 anni in base all’art. 267 comma 4 lettera D del D.lgs. 152/06, per tutti gli impianti<br />
alimentati da fonti rinnovabili, entrati in esercizio dal 1-4-99 al 31-12-07;<br />
• 15 anni per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili entrati in esercizio dal 2008. 34<br />
Gli impianti a fonte rinnovabile entrati in esercizio dal 2008 a seguito di nuova costruzione,<br />
rifacimento o potenziamento, riceveranno per 15 anni certificati verdi pari al<br />
prodotto della produzione netta di energia elettrica da fonti rinnovabili moltiplicata per un<br />
coefficiente, riferito alla tipologia della fonte. Per questa tipologia di impianti viene inoltre<br />
riconosciuta una tariffa fissa omnicomprensiva stabilita in funzione della potenza nominale<br />
dell’impianto e variabile a seconda della fonte utilizzata. La tariffa fissa viene riconosciuta<br />
in alternativa al sistema dei certificati verdi e dello scambio sul posto (accessibile, per impianti<br />
entrati in esercizio dal 2008, per taglie di potenza comprese tra 20 kW e 200 kW) per<br />
gli impianti alimentati da fonti rinnovabili di potenza non superiore ad 1 MW (200 kW per<br />
gli impianti da fonte <strong>eolica</strong>), entrati in esercizio dal 2008. Il coefficiente moltiplicativo e<br />
la tariffa fissa potranno essere rivisti ogni 3 anni, con Decreto Ministeriale, assicurando la<br />
congruità della remunerazione ai fini dell’incentivazione dello <strong>sviluppo</strong> delle fonti energetiche<br />
rinnovabili.<br />
Il produttore può decidere di utilizzare i certificati verdi per assolvere al suo obbligo<br />
ovvero di cederli a terzi secondo le seguenti modalità:<br />
1. cessione diretta tramite contratto bilaterale;<br />
2. cessione ad un intermediario;<br />
3. vendita sulla piattaforma della Borsa dei certificati verdi;<br />
4. cessione al GSE al prezzo pieno di riferimento.<br />
Di norma la cessione avviene per i casi 1. e 2. al prezzo di riferimento del GSE con uno<br />
sconto di qualche punto percentuale, per la vendita in borsa ad uno sconto ancora inferiore<br />
ed al GSE al prezzo pieno. I certificati verdi rilasciati per le produzioni riferite agli anni fino<br />
a tutto il 2010, vengono ritirati su richiesta dei detentori nel triennio 2009-2011, dal GSE,<br />
ad un prezzo pari al prezzo medio di mercato del triennio precedente all’anno nel quale viene<br />
presentata la richiesta di ritiro. 35<br />
In sintesi, in base alla Finanziaria 2008, entro il mese di giugno di ciascun anno, fino al<br />
raggiungimento dell’obiettivo minimo della copertura del 25% del consumo interno di ener-<br />
Ministro dell’<strong>Ambiente</strong>, e dà attuazione ai meccanismi di incentivazione già introdotti dalla Legge 24 dicembre 2007, n. 244<br />
(Legge Finanziaria 2008) e dalla Legge 29 novembre 2007, n. 222 (Collegato alla Finanziaria 2008).<br />
34 I certificati verdi vengono anche emessi per 8 anni per impianti alimentati da rifiuti non biodegradabili, qualificati ed<br />
entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2006 e impianti di cogenerazione abbinata a teleriscaldamento alimentati da fonte non<br />
rinnovabile. Inoltre, sono riconosciuti ulteriori 4 anni al 60% agli impianti alimentati da biomasse da filiera entrati in funzione<br />
prima del 2008 o da rifiuti non biodegradabili entrati in esercizio da febbraio 2004 e dicembre 2006. Si segnala infine che il D.L.<br />
78/09 come convertito dalla Legge 102/09 prevede il rilascio di certificati verdi per l’energia elettrica associata a calore utile<br />
prodotta da impianti di cogenerazione “connessi ad ambienti agricoli”.<br />
35 Così come previsto dall’art. 2, comma 149, della legge n. 244 del 24 dicembre 2007 e dall’art. 15, comma 1, del decreto<br />
del Ministro dello <strong>sviluppo</strong> economico 18 dicembre 2008.<br />
37
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
gia elettrica con fonti rinnovabili (e di successivi aggiornamenti derivanti dalla normativa<br />
dell’Unione Europea), il GSE è tenuto a ritirare, su richiesta del produttore, i certificati verdi<br />
in scadenza nell’anno in eccesso rispetto a quelli necessari per assolvere all’obbligo dell’anno<br />
precedente a un prezzo pari al prezzo medio riconosciuto ai certificati verdi registrato nell’anno<br />
precedente dal gestore del mercato elettrico. 36<br />
Inoltre, ai fini di garantire la transizione tra il vecchio e il nuovo sistema di incentivazione<br />
introdotto dalla Finanziaria 2008, il D.M. 18 dicembre 2008 ha obbligato il GSE a ritirare,<br />
fino al 2011, tutti i certificati verdi rilasciati per le produzioni fino al 2010 di cui i detentori<br />
richiedevano il ritiro in alternativa alla vendita sul mercato. In questo caso, il prezzo di ritiro<br />
era pari al prezzo medio di mercato del triennio precedente.<br />
Nel corso del 2010 il governo ha elaborato e inviato a Bruxelles il Piano di Azione Nazionale<br />
per le fonti rinnovabili (PAN) che rappresenta uno tassello molto importante verso la costruzione<br />
di una strategia in grado di raggiungere l’obiettivo generale di un apporto del 17%<br />
delle fonti a energie rinnovabili ai consumi finali lordi nel 2020 e gli altri obiettivi specifici<br />
posti all’Italia dalla direttiva 2009/28/CE.<br />
Intanto, un segnale positivo è arrivato sul fronte autorizzativi nel 2010. Infatti, sono<br />
state definite le “Linee guida per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di<br />
produzione di elettricità da fonti rinnovabili nonché linee guida tecniche per gli impianti stessi”,<br />
previste in base all’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 e approvate in<br />
Conferenza Unificata l’8 luglio scorso. 37 Tali Linee guida sono finalizzate ad armonizzare un<br />
quadro regolatorio e normativo fino a questo momento frammentato e disomogeneo a livello<br />
regionale, e stabiliscono i processi autorizzatori per le diverse tipologie e grandezze di<br />
impianto considerato, oltre che le misure di mitigazione e quelle compensative per gli enti<br />
locali ospitanti l’impianto. Le Linee guida dovrebbero contribuire ad accelerare l’iter burocratico<br />
soprattutto perché danno finalmente il via libera alla autorizzazione unica: tutti gli enti<br />
preposti a dare il via libera per gli impianti a fonti rinnovabili sono riuniti in una conferenza<br />
di servizi. Chi chiederà un’autorizzazione non deve più sottoporsi allo sfibrante gioco delle<br />
cosiddette sette chiese, ma dovrebbe avere in tempi certi (180 giorni) un parere positivo o<br />
negativo al proprio progetto, con enormi vantaggi su tempi di realizzazione.<br />
Rispetto agli impianti eolici, l’elemento di maggiore interesse contenuto nelle Linee<br />
guida sono le indicazioni da seguire per assicurare il corretto inserimento nel paesaggio e<br />
nell’ambiente naturale degli impianti, oggetto di uno specifico allegato. È indubbio che in un<br />
paese, come l’Italia, ad alta intensità abitativa e varietà naturale del paesaggio, il territorio<br />
è un bene prezioso, sia per la sua relativa scarsità per gli usi primari, agricoli, silvicoli e<br />
zootecnici, sia per la conservazione di habitat necessari alla biodiversità. Per tale motivo l’attenzione<br />
principale è posta sull’impatto paesaggistico dell’impianto eolico, la cui “visibilità”<br />
si estende ben oltre il territorio impattato direttamente o indirettamente per l’installazione<br />
delle torri. In particolare, le linee guida stabiliscono che per l’eolico che il Ministero dei<br />
beni culturali e la soprintendenza partecipa sia nell’ambito di istruttoria di VIA per impianti<br />
superiori ad 1 MW anche non vincolati, sia per impianti inferiori alla soglia precedente, ma<br />
ricadenti in aree sottoposte a tutela.<br />
36 In sostanza, il prezzo riferito all’acquisto dei certificati verdi da parte del GSE è il risultato della differenza tra il valore<br />
di riferimento pari a 180 euro/MWh e il valore medio annuo del prezzo di cessione dell’energia. L’AEEG con Delibera 24/2008 ha<br />
determinato tale valore di cessione in 67,12 euro/MWh, che detratto dai 180 euro dà il prezzo dei certificati verdi emessi dal<br />
GSE, ovvero 112,88 euro/MWh.<br />
37 In questi anni, in mancanza di Linee guida nazionali, si è prodotta una proliferazione di Linee guida regionali disomogenee<br />
che hanno reso difficoltoso operare in un panorama nazionale contraddistinto da atteggiamenti e prescrizioni estremamente<br />
diversificate.<br />
38
4. Il quadro normativo nazionale<br />
Line Guida nazionali e regionali e l’individuazione dei siti non idonei<br />
Al fine di accelerare l’iter di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti alimentati<br />
da fonti rinnovabili, in attuazione delle disposizioni delle Linee guida nazionali, le Regioni e le<br />
Province autonome possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di<br />
specifiche tipologie di impianti secondo le modalità e sulla base dei criteri previsti dalle Linee guida<br />
stesse. L’individuazione della non idoneità dell’area è operata dalle Regioni attraverso un’apposita<br />
istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell’ambiente, del<br />
paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità<br />
e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l’insediamento,<br />
in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero,<br />
pertanto, una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione. Gli<br />
esiti dell’istruttoria dovranno contenere, in relazione a ciascuna area individuata come non idonea<br />
in relazione a specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, la descrizione delle incompatibilità<br />
riscontrate con gli obiettivi di protezione individuati nelle disposizioni esaminate. Tra i siti che sono<br />
dichiarati non idonei per la localizzazione di impianti eolici da parte delle Linee guida nazionali<br />
figurano tra gli altri:<br />
• i siti inseriti nel patrimonio mondiale dell’Unesco e le aree ed i beni di notevole interesse culturale<br />
e pubblico;<br />
• zone all’interno di coni visuali la cui immagine è storicizzata e identifica i luoghi anche in termini<br />
di notorietà internazionale di attrattività turistica;<br />
• zone situate in prossimità di parchi archeologici e nelle aree contermini ad emergenze di particolare<br />
interesse culturale, storico e/o religioso;<br />
• le aree naturali protette ai diversi livelli (nazionale, regionale, <strong>locale</strong>);<br />
• le zone umide di importanza internazionale designate a i sensi della Convenzione di Ramsar;<br />
• i siti che fanno parte della rete Natura 2000 istituiti ai sensi dell’art. 6 della direttiva 92/43/<br />
CE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali nonché della flora e della fauna<br />
selvatiche, recepita nell’ordinamento italiano con l’art. 5 del Regolamento di attuazione DPR 357/97<br />
e successive modificazioni. Tali siti sono costituiti dalla ZPS (Zone di Protezione Speciale) dedicate<br />
alla protezione dell’avifauna, che derivano dall’applicazione della direttiva 79/409/CE, e dai SIC (Siti<br />
di Importanza Comunitaria) che derivano dalla applicazione della direttiva 92/43/CE e che sono designati<br />
come ZSC (Zona Speciale di Conservazione) dal ministero dell’<strong>Ambiente</strong>, d’intesa con ciascuna<br />
Regione interessata;<br />
• le Important Bird Areas (IBA);<br />
• le aree agricole interessate da produzioni agricolo-alimentari di qualità (produzioni biologiche,<br />
produzioni DOP, IGP, STG, DOC, DOCG, produzioni tradizionali) e/o di particolare pregio rispetto al<br />
contesto paesaggistico-culturale.<br />
Infine, è importante sottolineare che il sistema dei certificati verdi introdotto dalla Finanziaria<br />
2008 è stato messo in discussione dall’articolo 45 Decreto Legge 31 maggio 2010,<br />
n. 78, rubricato “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività<br />
economica” e pubblicato in G.U. 31 maggio 2010, n. 125, S.O (cd. “Manovra Economica”), che<br />
prevedeva l’abolizione dell’obbligo da parte del GSE di ritirare, ogni anno, i certificati verdi<br />
prodotti in eccesso rispetto alla quantità che i produttori di energia convenzionale sono tenuti<br />
ad acquistare. Il provvedimento ha scatenato l’immediata reazione da parte del settore<br />
della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. La maggior parte degli operatori<br />
riteneva che il sistema istituito per il triennio 2009-2011 sarebbe stato prorogato almeno<br />
per un altro triennio, oppure reso stabile con qualche meccanismo di verifica e valutazione<br />
39
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
permanente per il suo adeguamento (anche in considerazione delle dinamiche di riduzione<br />
dei costi delle tecnologie), in modo da dare maggiore certezza e continuità agli investimenti,<br />
mentre nessuno certamente aveva previsto che potesse essere abrogato.<br />
Negli ultimi anni, i produttori di energia rinnovabile sono diventati sempre più numerosi,<br />
incoraggiati dal generoso sistema di incentivi, tanto che l’offerta di energia rinnovabile (e<br />
quindi di certificati verdi) è divenuta superiore agli obblighi di acquisto, imposti ai produttori<br />
da fonti convenzionali. 38 Per questo motivo, la Finanziaria 2008 ha introdotto l’obbligo<br />
per il GSE di ritirare l’eccesso di certificati venduti in Borsa. La sovrapproduzione di certificati<br />
verdi ad opera dei produttori di energia da fonti rinnovabili è un problema perché aumentando<br />
l’offerta fa calare i prezzi di vendita dei certificati e, quindi, la redditività degli investimenti.<br />
Trattandosi inoltre di beni non indefinitamente tesaurizzabili (devono essere utilizzati<br />
entro tre anni dalla emissione), i produttori che non riescano a venderli sono ancor più penalizzati<br />
rispetto a quelli che li hanno venduti a prezzi resi bassi da un mercato “lungo”. La<br />
scelta operata dal legislatore nella Finanziaria 2008 è stata quella di istituire un meccanismo<br />
di acquisto dei certificati rimasti invenduti ed in scadenza, da parte del GSE, ad un prezzo<br />
fisso. Tale meccanismo, secondo l’AEEG, avrebbe avuto un costo, per il solo anno 2009, pari a<br />
630 milioni di euro. Fra l’altro, tale costo non è sostenuto dalle casse dello Stato, in quanto<br />
le risorse in oggetto sono ricavate dalla componente tariffaria A3 della bolletta elettrica, a<br />
carico della generalità degli utenti, mentre, invece, il provvedimento avrebbe potuto causare<br />
addirittura minori entrate di IVA dai mancati investimenti. C’è anche da considerare il fatto<br />
che il settore bancario ha investito circa 6,8 miliardi di euro per finanziare le centrali eoliche<br />
in esercizio ed un’eventuale crollo del prezzo dei certificati verdi metterebbe in difficoltà anche<br />
questi affidamenti in essere. 39 Da ultimo, è stato sottolineato come il freno agli incentivi<br />
sulle rinnovabili, come disposto dalla manovra, avrebbe esposto l’Italia al rischio probabile<br />
di future sanzioni.<br />
Le alternative per ristabilire un riequilibrio dei fondamentali (domanda e offerta), tale da<br />
consentire lo <strong>sviluppo</strong> delle iniziative necessarie al raggiungimento dell’obiettivo del settore<br />
elettrico al 2020 – da alcune parti caldeggiate – sarebbero quelle di agire sulla parte di costi<br />
relativa al finanziamento “CIP 6”, che prevede, ancora oggi, ingenti finanziamenti alle fonti<br />
assimilate, 40 peraltro già assegnati in anni in cui era necessario aumentare la produzione di<br />
energia in Italia e nuovamente ampliati in tempi recenti (si pensi, ad esempio, che gli impianti<br />
che bruciano rifiuti potrebbero essere finanziati dal CIP 6 anche per la parte non biodegradabile),<br />
o di allargare la base di calcolo dell’obbligo di restituzione dei certificati verdi<br />
(cancellando per esempio alcune delle molte esclusioni) o di aumentare la quota di obbligo<br />
38 A metà 2010, i certificati emessi dal GSE erano circa 11 TWh a fronte di una domanda dei soggetti obbligati di circa 7 TWh<br />
all’anno, quindi con uno scarto tra domanda e offerta pari a 3 TWh.<br />
39 Altri 5,6 miliardi di euro sono stati impegnati da banche italiane ed estere nel settore fotovoltaico.<br />
40 Secondo i dati forniti dall’AEEG, gli incentivi per le rinnovabili, infatti, pesano per meno della metà del totale degli oneri<br />
di sistema caricati sulle bollette elettriche degli italiani: nel 2010 circa 2,7 miliardi di euro (69% della componente A3) su un<br />
totale di oltre 5,8 miliardi di euro. Gli oneri per le rinnovabili nel 2010 sono stati distribuii nel modo seguente:<br />
• 940 milioni di euro (34%) per i certificati verdi ritirati dal GSE;<br />
• 777 milioni di euro (28%) per il CIP 6 (impianti effettivamente rinnovabili);<br />
• 826 milioni di euro (30%) per il fotovoltaico;<br />
• 213 milioni di euro (8%) per l tariffa omnicomprensiva.<br />
Tra gli oltre 3 miliardi di euro non destinati alle rinnovabili nel 2010 ci sono stati:<br />
• oltre 1,2 miliardi di euro (31% della componente A3) per il CIP 6, che seppure in esaurimento incentiva le assimilate, un<br />
incentivo al fossile, in verità;<br />
• 285 milioni di euro (5% sul totale degli oneri) destinati all’eredità nucleare;<br />
• 355 milioni di euro (6% sul totale degli oneri) le agevolazioni che riguardano le Ferrovie dello Stato.<br />
Infine, c’è da considerare che su tali oneri i consumatori elettici che ne sostengono il peso, debbono pagarci anche l’IVA come<br />
se acquistassero un bene o un servizio: un miliardo di euro nel 2010 (17% sul totale degli oneri).<br />
40
4. Il quadro normativo nazionale<br />
(6,80% per il 2011) da parte dei soggetti obbligati (produttori e importatori da fonti convenzionali).<br />
In tal modo si ripartirebbe l’onere sulle imprese obbligate alla restituzione, cosa<br />
che permetterebbe di regolare il mercato in modo più naturale senza “drogare” la domanda.<br />
I commenti all’art. 45 del Decreto Legge contenente la Manovra Economica sono stati da<br />
subito accesi e contrari all’intervento. Associazioni di categoria ed imprenditori del settore<br />
del rinnovabili hanno espresso la loro forte perplessità, sostenendo che in ogni caso qualsiasi<br />
aggiornamento del sistema di incentivazione dovrebbe avere una durata almeno quinquennale<br />
ed essere pubblicato con un congruo anticipo che tenga conto del time-to-market delle<br />
iniziative rispetto al momento dell’applicazione, tale da consentire l’adeguamento delle strategie<br />
degli operatori coinvolti. Le stesse istituzioni (GSE in testa) hanno palesato una certa<br />
difficoltà ad ipotizzare le conseguenze sul mercato dei certificati verdi. Anche i lavori parlamentari<br />
per l’approvazione della Legge di conversione del D.L. 78/2010 hanno evidenziato<br />
tale spaesamento. Dopo varie ipotesi di emendamento la soluzione è stata trovata all’interno<br />
del maxi emendamento adottato in Senato e confermato alla Camera con il ricorso alla fiducia<br />
il 28 luglio scorso. Il Disegno di Legge S. 2228, di “Conversione in legge, con modificazioni,<br />
del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione<br />
finanziaria e di competitività economica”, è stato infatti definitivamente approvato alla Camera<br />
il 29 luglio e il testo dell’art. 45 “Disposizioni in materia di certificati verdi e di convenzioni<br />
CIP6/92” è il seguente:<br />
[…] 3. All’articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, dopo il comma 149 è inserito il<br />
seguente: «149-bis. Al fine di contenere gli oneri generali di sistema gravanti sulla spesa energetica<br />
di famiglie ed imprese e di promuovere le fonti rinnovabili che maggiormente contribuiscono<br />
al raggiungimento degli obiettivi europei, coerentemente con l’attuazione della direttiva<br />
2009/28/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, con decreto del Ministro<br />
dello <strong>sviluppo</strong> economico di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita<br />
l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, da emanare entro il 31 dicembre 2010, si assicura che<br />
l’importo complessivo derivante dal ritiro, da parte del GSE, dei certificati verdi di cui al comma<br />
149, a decorrere dalle competenze dell’anno 2011, sia inferiore del 30 per cento rispetto a<br />
quello relativo alle competenze dell’anno 2010, prevedendo che almeno l’80 per cento di tale<br />
riduzione derivi dal contenimento della quantità di certificati verdi in eccesso».<br />
La soluzione è stata quindi quella di prevedere un taglio del 30% del valore dei certificati<br />
verdi rispetto a quello fissato nel 2007. Taglio successivamente (3 marzo 2011) ridotto al<br />
22% con il Decreto Legislativo che dà attuazione ad una direttiva del Parlamento Europeo e<br />
del Consiglio, la 2009/28/CE del 23 aprile 2009 relativa alla promozione dell’uso dell’energia<br />
elettrica prodotta da fonti rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, recante modifica<br />
e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE. 41 Il decreto, infatti,<br />
prevede che fino alla fine del 2015 il GSE acquisti dal mercato il surplus di certificati verdi<br />
invenduti ad un prezzo pari al 78% di quello massimo di riferimento.<br />
Inoltre, tale provvedimento prevede la definizione di un nuovo sistema di incentivi per<br />
gli impianti da fonti rinnovabili che entrano in esercizio dal 1° gennaio 2013, differenziato<br />
per gli impianti di taglia minore e maggiore. L’art. 22 introduce un meccanismo con aste<br />
competitive al ribasso (per le cui modalità di funzionamento, però si rimanda ai decreti<br />
41 Da notare che il Capo dello Stato ha firmato il decreto con qualche riserva e con l’auspicio che si proceda in tempi brevi<br />
ad aggiustare e correggere/integrare per quanto possibile il decreto stesso attraverso i decreti attuativi che il governo si è<br />
impegnato a varare entro la fine di aprile.<br />
41
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
attuativi) 42 per la definizione del parametri del “regime di sostegno” per impianti con potenza<br />
superiore ai 5 MW a partire dal 2013, mentre per quelli fino a 5 MW il meccanismo del feed<br />
in (tutto riconosciuto in tariffa) prenderà il posto dei certificati verdi e sarà differenziato per<br />
fonte e scaglione di potenza. Tale articolo avrebbe impatti negativi sul sistema dei certificati<br />
verdi. Infatti, fra il 2012 e il 2015 la quota d’obbligo di ritiro da parte di produttori da fonti<br />
convenzionali e da importatori verrà ridotta gradualmente e dalla base d’obbligo verrà esclusa<br />
l’energia elettrica importata, con il risultato di ridurne il prezzo sul mercato. Nel complesso,<br />
questo provvedimento - secondo le associazioni e gli operatori del settore – ha creato un<br />
regime di incertezza che mette a rischio la fattibilità e bancabilità di investimenti già decisi<br />
e in fase di progettazione.<br />
Io ho chiesto spesso alla casa madre tedesca di potermi occupare degli altri Paesi del Mediterraneo<br />
perché, secondo me, c’è molto da fare. Il vero salto di qualità sarebbe di poter aprire una<br />
fabbrica in Italia. Ma, come si fa ad aprire una fabbrica se non c’è visione e se non c’è chiarezza<br />
su quello che l’Italia vorrà fare nei prossimi anni Come si fa ad investire qui se dall’oggi al<br />
domani approvano un Decreto che assolutamente non dà chiarezza sul futuro delle rinnovabili,<br />
in particolare su quello dell’eolico Le “non scelte” sono un freno economico allo <strong>sviluppo</strong>. Ci<br />
sono molti investitori che hanno deciso che in Italia non ci vengono perché è troppo complicato.<br />
Adesso si sa, ad esempio, quanto varranno i certificati verdi fino alla fine del 2015, dopo non<br />
si sa. Dal momento che tutti i progetti sono in project financing e la banca per definizione è<br />
“conservativa”, come può finanziare un progetto in cui si sa che si ha il ritorno garantito solo<br />
fino al 2015 Allora, c’è chi va avanti e chi decide di no. REpower ha firmato l’ultimo progetto<br />
nel luglio del 2009, poi ne ha firmati degli altri che però non sono ancora partiti, perché sono<br />
in attesa di finanziamento. E non è che noi andiamo male rispetto agli altri. I nostri concorrenti<br />
sono nella stessa nostra situazione. I tempi di finanziamento si sono allungati. Quando<br />
ho iniziato io nel 2005, erano di quattro mesi, poi sono diventati otto, adesso da quando si<br />
inizia a parlare con la Banca a quando si arriva alla delibera passa un anno. Si tratta di progetti<br />
economicamente rilevanti, di diverse decine di milioni di euro, quindi non c’è solo una banca a<br />
finanziare, ma un pool di banche. C’è una banca “capogruppo” che poi distribuisce il debito ad<br />
altre banche. Quindi, un progetto “medio” oggi è finanziato da almeno tre banche. Ci vogliono<br />
tre delibere, tre assessment, e ogni banca si adegua alle condizioni “più conservative”. Quindi,<br />
anche per i nostri clienti il processo si presenta difficilissimo. Una volta le banche erano contente<br />
di finanziare un parco eolico perché non c’era questa incertezza normativa che oggi invece<br />
c’è (Carlo Schiapparelli, REpower).<br />
Le tensioni che si sono scatenate prima e dopo l’emanazione del Decreto legislativo<br />
hanno fatto emergere posizioni e interessi assai diversi all’interno del mondo industriale e associativo<br />
(Cfr. Cianciullo 2011b; Gervasio, 2011; Giliberto, 2011a/b/c/d; Giliberto e Rendina,<br />
2011; Picchio, 2011; Rendina 2011a/b; Savioli, 2011, Valentini, 2011), evidenziando come<br />
attualmente in Italia il peso politico ed economico dell’imprenditoria del settore delle rinnovabili<br />
sia ancora molto debole rispetto a quello di altri settori industriali più tradizionali.<br />
Il problema del nostro paese – a differenza di quanto è avvenuto in questi anni con sistemi<br />
di incentivazione tedeschi e spagnoli – è che non si è ancora vista la nascita di una vera filiera<br />
industriale delle rinnovabili “nostrana”. Mentre in Germania e Spagna, gli incentivi hanno portato<br />
a costruire aziende grandi locali che oggi comandano il mercato mondiale – a parte i grandi<br />
produttori cinesi -, per l’Italia questo non è successo o quanto meno è successo solo in minima<br />
42 Fin da ora, però, appare chiaro che nell’ambito di un sistema di aste competitive al ribasso, a ottenere il bonus saranno<br />
solo gli impianti che chiederanno al governo incentivi più leggeri.<br />
42
4. Il quadro normativo nazionale<br />
parte. Non abbiamo molti casi. Abbiamo delle piccole e medie realtà produttive che cominciano<br />
ad essere interessanti, però parliamo di alcuni settori specifici, quasi di nicchia. Ad esempio,<br />
nel micro/minieolico ci sono delle realtà industriali che sono dei leader a livello mondiale. Sul<br />
solare termico abbiamo creato una filiera industriale nazionale grazie ad alcuni gruppi industriali<br />
come la Merloni. Sul fotovoltaico e sull’eolico industriale questo non è successo. Abbiamo<br />
importato competenze su cui si è innestata qualche possibilità nostrana. Penso, ad esempio,<br />
allo stabilimento di Vestas a Taranto con circa 1.000 persone che ci lavorano. È un impianto<br />
nazionale, ma la Vestas è danese, anche se opera in Italia dal 1968. Lo stabilimento di Taranto<br />
segue i parchi eolici in Italia e quelli situati nell’ambito del Nord Africa e sud dei Balcani. Ci<br />
sono alcune realtà industriali di media grandezza che stanno nascendo in Italia. Nel fotovoltaico,<br />
ad esempio, non c’è un’industria italiana. Sta nascendo ora qualche azienda, ma si tratta di<br />
aziende di assemblaggio. Sharp e Enel faranno una filiera più sostanziale, ma parliamo di pochi<br />
megawatt rispetto ai grandi numeri di altri paesi. Il problema più grosso è che non c’è una<br />
filiera industriale di livello pesante, in grado di fare pressione e di evitare che venga emanata<br />
questa normativa negativa. Quando c’è una lobby industriale potente, come c’è in Germania, il<br />
governo non si azzarda a fare cose di questo tipo. Dentro Confindustria, il comparto delle rinnovabili<br />
c’è e funziona, però non ha ancora una vera capacità di incidere. Abbiamo un sistema di<br />
PMI interessante, dinamico, attivo, ma non abbiamo i grandi players industriali in grado di dare<br />
sostanza. Questo è un dato oggettivo. Di sicuro, è mancata una politica industriale, ma d’altra<br />
parte questo è un governo che si distingue per l’assenza di politiche industriali per qualsiasi<br />
settore. La mancanza di un Piano Energetico Nazionale è una delle facce di questa assenza.<br />
Gli incentivi per l’industria 2015, messi in piedi dal governo precedente, tenevano a creare una<br />
politica industriale, mentre ora manca un indirizzo in questo senso. Dall’altro, c’è da dire che<br />
forse i nostri industriali non hanno brillato e non hanno compreso l’importanza di creare una<br />
filiera industriale nazionale di grosse dimensioni. Confindustria ha discusso a lungo su questo<br />
tema, ma poi ha fatto poco in questo senso (Domenico Belli, Greenpeace).<br />
Da un lato, le associazioni dei comparti delle rinnovabili – APER, ANEV, Assosolare,<br />
Assoenergie future, GIFI-ANIE, ISES, Grid Parity Project, insieme a quelle ambientaliste prorinnovabili<br />
(Legambiente, WWF, Greenpeace, Kyoto Club) e a Rete Imprese Italia, hanno<br />
definito il decreto, “ammazza rinnovabili”, annunciando un’ondata di ricorsi contro il provvedimento<br />
e paventando il blocco degli investimenti e la conseguente perdita di migliaia di<br />
posti di lavoro.<br />
Malumori sono stati espressi anche dai dirigenti delle grandi banche italiane (Unicredit,<br />
Banca Intesa San Paolo, Montepaschi, etc.) più esposte nel finanziamento di progetti di centrali<br />
rinnovabili, ma soprattutto dall’Associazione delle banche estere in Italia (AIBE) che ha<br />
messo in guardia il governo: se il testo non sarà modificato, risulteranno a rischio non solo<br />
gli investimenti sulle rinnovabili, ma tutti gli investimenti esteri nelle infrastrutture (strade,<br />
autostrade, ospedali) cambiando le regole del gioco in corsa si confermerebbe “un rischio di<br />
inaffidabilità del legislatore italiano, già oggetto di attenzione da parte delle agenzie di rating”<br />
(Lonardi, 2011).<br />
A fronte delle proteste degli operatori delle sole rinnovabili e delle banche, fanno riscontro<br />
le posizioni, ben diverse, di molte associazioni dei consumatori e degli stessi operatori<br />
energetici tradizionali, anche quelli che hanno una quota crescente di energie rinnovabili.<br />
Emblematica la posizione espressa dall’amministratore delegato dell’ENEL, Fulvio Conti: il decreto<br />
è “positivo, perché sostanzialmente spinge allo <strong>sviluppo</strong> della tecnologia che progredisce”<br />
(Rendina, 2011a). 43<br />
43 Mentre Piero Gnudi, presidente dell’ENEL, ha ricordato che le rinnovabili sono importanti, ma che il posto ideale per<br />
produrle è l’Africa Settentrionale, mentre “il nucleare, se ci fosse stato, ci avrebbe dato una maggiore indipendenza” (Giliberto,<br />
43
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
La Confindustria ha espresso “viva soddisfazione per la posizione di equilibrio” del governo<br />
perché “le rinnovabili sono un’opportunità di crescita importante per il paese, ma è necessario<br />
evitare inefficienze e distorsioni del mercato”. La razionalizzazione “avrà una ricaduta positiva<br />
sul costo dell’energia, fattore determinante per un paese ad alta vocazione manifatturiera”.<br />
Poche le posizioni dissonanti rispetto a questa posizione ufficiale dell’associazione 44 e<br />
all’interno di Confindustria sono soprattutto i comparti industriali energivori, rappresentati<br />
dal Comitato energia e mercato (il Tavolo della domanda dei consumatori industriali), il cui<br />
vicepresidente Agostino Conte (presidente è la Marcegaglia che ha tenuto per sé la delega<br />
sull’energia) ha espresso apprezzamento per la “una scelta equilibrata, una strada improntata<br />
alla razionalità e all’efficienza, evitando sovraincentivzioni perniciose…”. Ora, i grandi consumatori<br />
industriali di energia si attendono che la riduzione degli incentivi alleggerisca le<br />
bollette elettriche.<br />
In un intervento su Il Sole 24 Ore il presidente del Consorzio Grandi Industriali Energivori<br />
45 e di Assocarta, Paolo Culicchi (2011), dopo aver dato un giudizio positivo sul decreto<br />
approvato, perché “si avvia un percorso che coniuga efficienza e <strong>sviluppo</strong>, con una grande<br />
attenzione ai passi da gigante della tecnologia che garantisce un continuo miglioramento delle<br />
performance ed una costante riduzione dei costi delle fonti incentivate”, esprime invece<br />
… preoccupazione per il passo indietro operato con il ritocco del prezzo di ritiro del Certificato<br />
Verde: il ritocco del parametro dal 70% al 78% rappresenta un aumento del costo del 10%,<br />
aumento che si somma alla incentivazione in essere e che è comunque la più alta d’Europa, non<br />
certo una minore diminuzione del certificato, come sembrano avvalorare giornalisti poco attenti<br />
al corretto riscontro delle affermazioni (Culicchi, 2011).<br />
Culicchi riconosce che grandi sono gli interessi in gioco anche all’interno del mondo<br />
industriale “dove è sempre più difficile superare le contrapposizioni alimentate dalle lobby interessate<br />
al mantenimento di queste ingiustificate e deleterie rendite”. Per i grandi industriali<br />
energivori, l’energia è un fattore di competitività, un driver della crescita, e quindi c’è bisogno<br />
di costi ragionevoli. Le fonti rinnovabili di energia sono molto importanti ed è giusto<br />
incentivarle finché gli aiuti non creano “distorsioni” e “ingiustificate rendite con un forte aggravio<br />
di costi in capo alla nostra industria”. 46 Soprattutto va rafforzato l’intervento in materia<br />
di efficienza energetica, un settore che secondo uno studio di Confindustria vede la presenza<br />
di una filiera tecnologica di 400 mila aziende con quasi 3 milioni di addetti, dall’edilizia<br />
all’automotive, all’elettronica.<br />
2011d).<br />
44 A parte le posizioni espresse dalle associazioni dei comparti rinnovabili aderenti a Confindustria, si segnala il giudizio<br />
negativo del vicepresidente di Confindustria e presidente del Comitato per la sicurezza, Samuele Gattegno, che ha sostenuto<br />
che “il decreto, in assenza di correttivi, rischia di produrre un effetto catastrofico” (Cianciullo, 2011b), per poi rettificare che si<br />
trattava solo di una sua “opinione personale”.<br />
45 Del consorzio fanno parte le seguenti associazioni settoriali di Confindustria: Andil, Assocarta, Assofond, Assomet, Assovetro,<br />
Cagema, Confindustria Ceramica e Federacciai.<br />
46 Posizioni analoghe hanno espresso anche Franco Manfredini, presidente di Confindustria Ceramica, Giusepe Pasini, industriale<br />
siderurgico e presidente di Federacciai, Vincenzo Boccia, presidente di Piccola industria di Confindustria, e Federchimica:<br />
il sistema annullato dal decreto avrebbe fatto rincarare le bollette elettriche in modo pesante, aggravando in modo insostenibile<br />
il divario di competitività sui costi energetici che soffrono le imprese italiane (Gervasio, 2011; Giliberto, 2011c/d). Manfredini<br />
stima in 30 milioni di euro il sovraccarico dell’incentivo all’energia pulita per il settore delle piastrelle e della ceramica. Per<br />
Pasini si rischia “l’insostenibilità del carico sulla bolletta energetica delle aziende che dovranno subire ricarichi importanti, 20% e<br />
oltre, che rischiano di mettere fuori competitività interi settori energivori, come quello siderurgico ma non solo, esposti alla concorrenza<br />
internazionale”. Secondo Boccia, la spesa potrebbe arrivare a 3,7 miliardi: “è impensabile che tale aumento possa gravare<br />
principalmente sulle PMI che già pagano l’energia elettrica circa il 37% in più dei principali competitor europei”. Infine, secondo<br />
Federchimica: “i settori industriali, che consumano circa il 47% del totale consumo nazionale, non possono sopportare un ulteriore<br />
aggravio di 25 euro/MWh, che si vanno ad aggiungere al nostro costo dell’energia all’ingrosso, già più alto in Europa”.<br />
44
4. Il quadro normativo nazionale<br />
Dovremmo invece focalizzare sull’efficienza energetica, laddove l’Italia è portatrice di tecnologie<br />
di avanguardia, in grado di migrare con successo all’estero. È qui che dobbiamo impegnarci,<br />
in un campo che ci può vedere vincenti in Europa e nel mondo e che può contribuire molto al<br />
raggiungimento degli obiettivi tramite la contrazione del denominatore, i consumi da ridurre, e<br />
non solo sul costoso numeratore (Culicchi, 2011).<br />
Al fine di cercare di mediare tra le diverse posizioni emerse all’interno del mondo confindustriale,<br />
la presidente Marcegaglia ha proposto un regime transitorio con un “leggerissimo”<br />
calo degli incentivi per le rinnovabili nel 2011 (dall’1% di luglio per arrivare al 5% a novembre<br />
e al 10% a novembre) e una graduale diminuzione dal 2012 (partendo con un 15% per<br />
arrivare al 30% in meno nel 2016), per avere uno stop degli aiuti dal 2017 in poi, prevedendo<br />
anche un cap alla spesa complessiva 47 (Picchio, 2011).<br />
47 L’ipotesi di Confindustria prevede che il valore complessivo cumulato degli incentivi per il fotovoltaico non superi i 6 miliardi<br />
di euro a decorrere dal 1° gennaio 2017. Altro elemento suggerito da Confindustria, al fine di contrastare le speculazioni,<br />
è che a partire dal 31 gennaio 2011 la priorità di accesso agli incentivi sia stabilita da una graduatoria temporale tramite un<br />
registro informatico presso il GSE. Requisito per la registrazione sarà l’obbligo di deposito di una fideiussione proporzionale alla<br />
potenza nominale dell’impianto, a garanzia dell’effettiva realizzazione.<br />
45
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Quadro di sintesi sul percorso normativo in tema di certificati verdi<br />
Normativa<br />
Effetto<br />
Introduzione sistema “quota system”: obbligo di<br />
Dir. CE 96/92/CE<br />
immettere in rete una quota minima di energia<br />
rinnovabile<br />
D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79 – art.11. c.1-c.2-c.3 Quota d’obbligo pari al 2% energia immessa<br />
DM 11 novembre 1999<br />
Dir. CE 2001/77/CE<br />
DM 18 marzo 2002<br />
D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387<br />
Incremento della quota d’obbligo dello 0,35% annuo.<br />
Periodo di riconoscimento dei CV per 8 anni.<br />
DM 24 ottobre 2005 – art. 9<br />
D.Lgs. 3 aprile 2006, n.152<br />
L. 27dicembre 2006, n.296 Periodo di riconoscimento da 8 a 12 anni<br />
L. 29 novembre 2007, n.222<br />
DM 21 dicembre 2007<br />
Incentivi solo per IAFR, esclude la parte non biodegradabile<br />
dei rifiuti<br />
Approvazione procedura tecnica di qualifica.<br />
Il valore del CV non è più indipendente dalla relativa<br />
FR (si agevola il moto ondoso, si penalizza<br />
il gas di discarica e la geotermica). Modifica del<br />
sistema di determinazione del prezzo di riferimento<br />
dei CV. Introduzione di un sistema “feed-in<br />
L. 24 dicembre 2007, n.244<br />
tariff”:tariffa fissa omnicomprensiva alternativa<br />
ai CV. Estensione periodo di riconoscimento a 15<br />
anni. Incremento quota d’obbligo di 0,75%. Fa salvi<br />
finanziamenti ed incentivi per gli impianti che<br />
utilizzano i rifiuti (per emergenza rifiuti)<br />
L. 2 agosto 2008, n.129<br />
DM 17 settembre 2008<br />
Proroghe di termini<br />
DM 18 dicembre 2008<br />
Il GME diviene controparte per gli scambi<br />
Il GSE deve ritirare, su richiesta, i CV fino a tutto<br />
il 2010 al prezzo medio di mercato del triennio<br />
L. 30 dicembre 2008, n.210<br />
precedente. Applica le misure previste dalla Finanziaria<br />
2008 (es. periodo=15 anni)<br />
Dir. CE 2009/28/CE<br />
L. 23 luglio 2009, n.99 Incentivi agli inceneritori (emergenza rifiuti)<br />
La direttiva a cui darebbe attuazione lo schema di<br />
D.Lgs. in esame<br />
L.30 luglio 2010, n.122<br />
D.Lgs 3 marzo 2011<br />
CV: certificati verdi<br />
FR: fonti rinnovabili<br />
IAFR: impianti alimentati da fonti rinnovabili<br />
Aggiornamento tabella per differenziazione valore<br />
CV in base alla FR<br />
La spesa annuale del GSE per il riacquisto dei CV<br />
dovrà essere ridotta del 30%<br />
La spesa annuale del GSE per il riacquisto dei CV<br />
dovrà essere ridotta del 22%<br />
46
4. Il quadro normativo nazionale<br />
Costi e sovracosti dell’eolico in Italia<br />
È senz’altro vero che gli incentivi per l’eolico in Italia sono più alti se comparati con gi altri Paesi, ma<br />
secondo l’Anev e gli operatori in Italia ci sono degli extracosti dovuto soprattutto a delle inefficienze<br />
del nostro Paese (barriere amministrative, economiche e tecnologiche) che vanno ad incidere sul costo<br />
degli impianti e che rendono l’eolico più caro che nel resto d’Europa. Secondo l’Anev oggi il costo<br />
medio di un impianto è di 1,59 milioni a MW e con una azione di semplificazione si potrebbe scendere<br />
a 1,25 milioni a MW, consentendo di far scendere l’incentivo da 159 €/MWh i oggi a 119,30 €/MWh.<br />
“Quando si fanno i confronti si dice che in Germania l’incentivo è il 20% in meno che in Italia. Grazie,<br />
in Germania non si pagano:<br />
• i 3 milioni di euro per impianto eolico per la connessione alla rete Terna;<br />
• il 5% che in media viene dato ai comuni, calcolato sulla produzione/sul fatturato. Su questo noi siamo<br />
intervenuti affinché nelle Linee Guida nazionali si stabilisse un tetto uniformato del 3% per quanto<br />
riguarda ciò che viene dato ai Comuni;<br />
• l’ICI, perché anche gli impianti eolici pagano l’ICI;<br />
• l’affitto dei terreni (100-150 mq) su cui si mettono le pale, mediamente intorno ai 5 mila euro a<br />
MW/a palo all’anno, per cui se il generatore è di 3 MW paga 15 mila euro all’anno.<br />
Se si sommano tutti questi costi e poi si analizza il livello di incentivazione in Italia e nel resto d’Europa,<br />
ci si rende conto che è vero che l’incentivazione nel resto d’Europa è pari al 20% in meno dell’Italia, ma<br />
in Europa hanno mediamente il 30-40% di spese in meno” (Simone Togni, ANEV).<br />
Di seguito si riportano le voci di spesa per un impianto eolico che l’Anev identifica come gli extra<br />
costi dell’eolico in Italia rispetto al resto d’Europa:<br />
€/MWh % su ricavo<br />
Sviluppo del progetto* 9,26 5,79<br />
Instabilità regolatoria 1,30 0,81<br />
Costi finanziari 4,54 2,84<br />
ICI 1,39 0,87<br />
Royalties Comuni 8,00 5,00<br />
Connessione alla rete 0,93 0,58<br />
Fidejussioni<br />
a) connessioni 0,01 0,01<br />
b) smantellamento fine vita 0,01 0,01<br />
c) certificati verdi a preventivo 1,28 0,80<br />
Sottostazione elettrica 3,70 2,31<br />
Mortalità progetti 2,59 1,62<br />
Modulazione – mancato riconoscimento dei certificati verdi 2,55 1,59<br />
Affitto terreni 2,78 1,74<br />
Assicurazioni 1,39 0,87<br />
TOTALE 39,7 24,0<br />
* in Italia durano in media 4 anni a fronte dei 5 mesi della media europea<br />
47
5. Il ruolo del sistema finanziario<br />
Un impianto eolico industriale, mediamente, costa 1 milione e 800 mila euro a MW installato,<br />
per cui ad esempio un parco eolico industriale di medie dimensioni da 10 MW costa tra<br />
i 17 e i 20 milioni di euro. Generalmente, il soggetto che realizza un parco eolico industriale<br />
ricorre al finanziamento bancario o al project leasing o al project financing. Banche italiane<br />
ed estere hanno sino ad oggi finanziato progetti su base no-recourse (quindi con il massimo<br />
livello di rischio e facendo affidamento sul regime incentivante) per complessivi circa 6,8<br />
miliardi di euro nel settore eolico.<br />
Le istituzioni finanziarie (banche, società finanziarie, istituti di credito internazionali,<br />
fondi di investimento) entrano in partecipazione con chi realizza il progetto, mettendo parte<br />
delle risorse finanziarie, normalmente il 75-80% del capitale di rischio complessivo, recuperandole<br />
poi nel corso dei 15-20 anni in cui l’impianto è destinato a generare reddito. Le<br />
istituzioni finanziarie entrano in scena quando il progetto del parco eolico è nella fase finale,<br />
cioè quando viene emessa e pubblicata l’autorizzazione unica. Mediamente per realizzare un<br />
parco eolico ci vogliono dai 12 ai 18-24 mesi. Per le torri eoliche ci vogliono circa 12 mesi per<br />
la consegna, a cui è necessario aggiungere il tempo occorrente alla realizzazione della cabina<br />
primaria e degli allacciamenti alla rete. L’istituzione finanziaria interviene a stato avanzamento<br />
lavori, finanziando insieme all’investitore il progetto, dall’inizio alla fine.<br />
Gli impianti si realizzano in project leasing o financing e questo significa che l’imprenditore<br />
privato si espone per 20 milioni di euro, facendo ricorso alla finanza di progetto, con cui compra<br />
i macchinari da chi li vende, affitta il terreno, fa la convenzione con l’ente <strong>locale</strong>, realizza<br />
un’opera, dà lavoro a delle persone – la UIL stima che oggi in Italia sono 29 mila persone che<br />
lavorano nel settore eolico – e, quindi, nel complesso, fa un investimento. Dove lo fa Dove c’è<br />
vento perché altrimenti non potrà mai remunerarlo, dato che la legge prevede che non vi può<br />
essere nessun altro tipo di ritorno se non la produzione elettrica certificata dal contatore Utf,<br />
dalla quale dipende anche l’accesso ai certificati verdi (Simone Togni, Anev).<br />
È importante sottolineare che le istituzioni finanziarie non entrano nel merito degli<br />
aspetti tecnici connessi al rischio industriale del progetto, anche perché il parco eolico deve<br />
essere realizzato secondo quanto è stato previsto nel progetto autorizzato.<br />
L’attività che noi possiamo fare di consulenza è “post”. Se un progetto “non performa”, tramite<br />
studi tecnici esterni, possiamo andare a dare un consiglio, ma andarlo a dare preventivamente su<br />
49
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
come fare un impianto, poi corriamo il rischio di essere accusati del perché non funziona. Molto<br />
spesso un cliente decide, ad esempio, di comperare la pale da Vestas, la piazzola da un’impresa<br />
<strong>locale</strong>, l’installazione elettrica da un altro fornitore, etc.. Laddove i progetti richiedono degli<br />
investimenti rilevanti, chiediamo che ci sia un contratto unico. La più grossa difficoltà che può<br />
emergere è che nascano dei conflitti tra imprese, per cui “la colpa” è sempre degli altri. Quindi,<br />
noi diamo assistenza anche nella fase di cantiere, nella fase di analisi, in quella progettuale<br />
ed esecutiva, perché tramite società esterne andiamo ad analizzare le problematiche insieme<br />
a loro. Diamo delle indicazioni di merito che sono strettamente rapportate al finanziamento.<br />
Però, sulla tecnologia, sulla scelta delle pale, dei rotori o delle navicelle, non interveniamo. Noi<br />
andiamo a discutere con il fornitore le garanzie, i pagamenti, però sulla scelta delle macchine<br />
non interveniamo, perchè è un tema delicato. Anche nella scelta del notaio sceglie il cliente.<br />
Certamente noi andiamo a verificare se quel fornitore di fiducia è per noi “bancabile”, però le<br />
figure professionali le sceglie il cliente, in modo che siano univoche le scelte. In questo modo,<br />
evitiamo contestazioni. La scelta è sempre quella di “andare sul cliente” (Alberto Lincetti,<br />
Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).<br />
Il project leasing e il project financing sono operazioni di finanza strutturata in cui entità<br />
e durata del finanziamento dipendono dall’esistenza di flussi di cassa sufficienti a ripagare i<br />
costi di gestione e del servizio del debito durante la vita operativa del progetto. Per contro,<br />
sempre ai fini del finanziamento, l’insieme delle attività e dei beni dell’iniziativa da finanziare<br />
– il parco eolico nel suo complesso – costituiscono una garanzia collaterale del prestito.<br />
Se guardo al panorama italiano l’alternativa al leasing è il finanziamento. Sono prodotti concorrenti<br />
e in linea di massima hanno le stesse caratteristiche. Uno può essere più conveniente<br />
in quel momento perché la banca spinge sul leasing piuttosto che sul finanziamento. In linea<br />
di massima hanno caratteristiche di garanzia e di costi abbastanza allineate. Sulla scelta dello<br />
“strumento”, se uno guarda all’aspetto fiscale, probabilmente il leasing permette una fiscalità<br />
migliore perché può permettere di abbattere l’investimento in 18 anni. Come tempi di delibera,<br />
su progetti fino ai 5-10 milioni di Euro sono similari tra finanziamento e leasing. Se andiamo<br />
su un project di 20-30 milioni, i tempi leasing sono probabilmente, quando c’è un pool, più<br />
lunghi. Il project non entra mai in operazioni sotto i 25-30 milioni, perché ci sono tempi di<br />
delibera tra i 5 e i 6 mesi e costi più alti della media di mercato; questo perché il project è<br />
un’operazione abbastanza particolare. Nella fascia intermedia tra i 20 e i 30 milioni, probabilmente<br />
il leasing riesce a spuntarla perché come tempi di delibera è leggermente più veloce ed<br />
ha una facilitazione maggiore sull’aspetto Iva che è il 10% dell’investimento e che nel leasing è<br />
una partita di giro. Ci sono piccoli aspetti di diversità però in realtà è sempre l’imprenditore che<br />
decide; se vuole fare il project è difficile fargli cambiare idea. Non dimentichiamo che la banca<br />
ha anche il credito al consumo e alle imprese fino ad un valore di 2,5 milioni di Euro (Alberto<br />
Lincetti, Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).<br />
L’elemento distintivo delle operazioni di project leasing e project financing consiste nella<br />
circostanza secondo cui, nella valutazione della capacità di rimborso del debito, le prospettive<br />
che hanno rilevanza riguardano principalmente le previsioni di reddito dell’iniziativa e<br />
non l’affidabilità economico-patrimoniale dei promotori. Le tecniche del project leasing e del<br />
project financing consentono la realizzazione e la gestione di opere complesse e di grande impegno<br />
finanziario, come i grandi parchi eolici industriali, aggregando e coinvolgendo, ognuno<br />
per le sue specifiche caratteristiche, fornitori di macchinari e servizi, operatori finanziari,<br />
compagnie di assicurazione, produttori ed utenti, con l’obiettivo di massimizzare il rendimento<br />
e di distribuire in proporzione, in base ad impegni assunti, i rischi e le responsabilità tra<br />
50
5. Il ruolo del sistema finanziario<br />
i partecipanti. La condivisione diretta dei rischi costituisce la garanzia che la realizzazione<br />
dell’opera avvenga nei limiti di tempo e spesa previsti.<br />
A meno che non si tratti di progetti di natura corporate, cioè che chi investe sia una grande<br />
azienda del settore come, ad esempio, ENEL SpA attraverso ENEL Green Power, lo <strong>sviluppo</strong><br />
del parco eolico è affidato ad una società, appositamente costituita (una società di scopo, di<br />
norma creata dai promotori), il cui oggetto sociale esclusivo è la realizzazione e a gestione<br />
dell’iniziativa. Ad essa fanno riferimento tutti i diritti e gli obblighi relativi all’investimento.<br />
Se l’investimento viene fatto da una società di scopo, in cui sappiamo che all’interno c’è un<br />
sponsor che ha le capacità e che è valido, però è un’operazione no recourse al 100% e, quindi,<br />
l’imprenditore dice: “voglio che il progetto si regga con la sola operatività”. Nel caso del<br />
project leasing, la società di scopo è il soggetto gestore del parco eolico nei confronti del GSE,<br />
mentre la proprietà è della società di leasing. Le linee guida della nostra società prevedono<br />
un equity 20 – 80 e parlo delle energie rinnovabili “tradizionali” che sono il fotovoltaico e le<br />
biomasse fino ad 1 MW. Su impianti di più grosse dimensioni, mediamente l’equity richiesta è<br />
di 25-30%. Questo dipende dall’incertezza della tariffa incentivante. L’eolico è 25% (Alberto<br />
Lincetti, Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).<br />
Sul mercato nazionale le due soggetti leader del mercato finanziario nel settore delle<br />
energie rinnovabili sono il Gruppo Intesa San Paolo e il Gruppo Unicredit, ma altre realtà<br />
finanziarie importanti sono anche UBI e Montepaschi. Nel caso di progetti che richiedono un<br />
investimento superiore ai 50 milioni di euro si costituiscono dei pool bancari e IntesaSanPaolo<br />
o Unicredit fanno generalmente da capofila.<br />
La difficoltà tra questi attori principali è di dividere le quote, perché rischi di dividere quote da<br />
5 – 6 milioni. Quando parliamo di in investimento da 100 milioni, se il Gruppo Intesa ci mette<br />
30 milioni, 30 li mette Unicredit, se devo andare a intermediare gli altri 40 milioni su 8 società<br />
diventa difficile costituire un pool. Molto spesso si cerca di arrivare a 2 – 3 finanziatori, perché<br />
coordinare 4 – 5 società diventa difficile anche perché ognuno, anche se ha una quota minoritaria,<br />
vuole una garanzia in più (Alberto Lincetti, Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).<br />
Inoltre, a sostegno del settore delle energie rinnovabili interviene la Banca Europea per<br />
gli Investimenti (BEI) che fornisce alle banche delle linee di credito agevolato.<br />
La Bei non interviene sul singolo progetto, mette a disposizione una somma per le rinnovabili a<br />
una “provvista” di 20 centesimi più bassa rispetto a quella del mercato. Loro si fanno garantire<br />
dai flussi dei progetti e poi si fanno garantire dalla banca. Il rimborso alla BEI è assicurato dalla<br />
banca in primis. Quindi, io non vado a fare “provvista” sul mercato, vado a fare “provvista”<br />
sul fondo BEI e invece di pagare un tasso di mercato, pago un determinato a monte. Più che<br />
un effetto “leva”, c’è un effetto “prezzo”. Il 25-75 di rapporto base resta, ma per effetto di<br />
una provvista fatta ad hoc posso fare a quel cliente anziché il 4%, il 3,50%. Questo per effetto<br />
di quella parte di “provvista” agevolata che ricevo per progetti di energie rinnovabili da BEI.<br />
L’anno scorso su 1,2 miliardi di Euro erogati da noi, probabilmente avevamo 200-300 milioni di<br />
euro di fondi BEI; quindi un rapporto di 1 a 5, 1 a 4. Anche perché i Fondi Bei hanno una struttura<br />
complessa per l’agevolazione. Vi accede chi è maggiormente organizzato perché è richiesta<br />
tutta una serie di documenti che il piccolo imprenditore quasi sempre non riesce a predisporre.<br />
Lo “stock” fondamentale è l’analisi, è la VIA non tecnica che solo il grosso imprenditore si può<br />
permettere (Alberto Lincetti, Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).<br />
51
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Negli ultimi tempi si sono avvicinati all’eolico e alle altre rinnovabili delle nuove categorie<br />
di investitori: da un lato, i piccoli e medi investitori alla ricerca di settori alternativi<br />
al tradizionale investimento nel settore immobiliare, dall’altro, i grandi fondi pensionistici,<br />
assicurativi e istituzionali nazionali ed internazionali alla ricerca di investimenti di medio e<br />
lungo termine.<br />
Negli ultimi tempi, vedo effervescente il mercato dei progetti di piccola dimensione fino ad 1<br />
MW sia perché dovrebbero rientrare in un progetto di DIA, per cui l’iter autorizzativo da sei anni<br />
potrebbe scendere ad 1 anno, un anno e mezzo, sia perché ci credono alcuni produttori di aerogeneratori<br />
come il Gruppo Leitner 48 di Vipiteno. Se riuscisse a dare una sistemazione adeguata<br />
e certa al quadro normativo credo che questo sia un settore che ci darà soddisfazione ancora per<br />
molti anni, anche perché c’è un mondo che sta affrontando questi investimenti che è il mondo<br />
imprenditoriale medio-piccolo: dal notaio al professionista che ha dei soldi da investire. Questa<br />
categoria di investitori non va a investire sul mega parco eolico da 10–20 MW, il loro sogno è di<br />
avere la pala <strong>eolica</strong> massimo da 1 MW, investendo 500–600mila euro. Questa assicura 15 anni<br />
di rendita per quell’investimento. Perché c’è tanto interesse intorno alle energie rinnovabili<br />
Perché crollato il mito dell’investimento immobiliare, fermo il mondo del mercato immobiliare<br />
industriale, commerciale, residenziale, chi investiva prima nel mattone, oggi sta cercando la differenziazione.<br />
Quindi, qual è il prodotto che può dare un minimo di rendimento È il “prodotto”<br />
delle energie rinnovabili. Abbiamo passato la fase degli investitori che lo facevano in termini<br />
speculativi, oggi si stanno avvicinando al mondi delle rinnovabili i grossi fondi internazionali,<br />
sia “private” sia istituzionali, quindi fondi assicurativi, pensionistici e istituzionali che devono<br />
investire parte della raccolta. Adesso in Italia ci sono 3-4 fondi nati sulle energie rinnovabili.<br />
Una caratteristica di questi investitori è di intervenire ad investimento esaurito, perché non<br />
vogliono il rischio industriale: vogliono qualcuno che produca l’investimento, “chiavi in mano”,<br />
una volta connesso, ottenuto i contributi e tutto perfezionato. Vogliono intervenire e avere la<br />
remunerazione da investitori (Alberto Lincetti, Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).<br />
Anche per le banche i maggiori problemi che incontrano nelle loro attività di finanziamento<br />
si riferiscono soprattutto all’incertezza e farraginosità del quadro normativo e di<br />
incentivazione che negli ultimi mesi hanno contribuito a ritardare l’avvio e, addirittura, a<br />
bloccare nuove operazioni di finanziamento o la sospensione delle erogazioni di finanziamenti<br />
già deliberati, con impatto sui nuovi investimenti e sulla liquidità dei produttori.<br />
Partecipo spesso a convegni, in particolare laddove ci sono investitori esteri, e non è facile<br />
andare a specificare che abbiamo la normativa regionale che viene resa incostituzionale dalla<br />
Stato e che poi lo Stato rimanda alle Regioni per impianti entro 1 MW o che abbiamo lo strumento<br />
della DIA, del permesso a costruire, e quello della SCIA. Non è facile avere chiarezza.<br />
Poi ci sono certe province dove se anche faccio l’autorizzazione unica però non richiedo la VIA<br />
perché non c’è bisogno, e quindi l’impianto viene declassato ad avere la DIA e non ha più l’autorizzazione<br />
unica….. Non è facile in Italia. L’iter autorizzativo allunga notevolmente i tempi.<br />
Ogni provincia che vai trovi un documento diverso che ti richiedono. Questo è un male atavico.<br />
Poi, ad esempio, per il fotovoltaico abbiamo anche i problemi fiscali con l’Ufficio del Registro<br />
quando vai a registrare un impianto, perché il Ministero delle Finanze non ha ancora deciso<br />
se è strumentale o immobiliare, se va tassato nel primo o nel secondo caso. Paga o non paga<br />
l’ICI L’Ufficio delle Entrate dichiara che quell’impianto è strumentale, mentre l’Ufficio del <strong>Territorio</strong>,<br />
che fa sempre parte del Ministero della Finanze, dichiara che è un progetto immobiliare.<br />
Quando l’Ufficio delle Entrate nei convegni dà dei chiarimenti ovviamente per non smentire sé<br />
48 http://it.leitwind.com/<br />
52
5. Il ruolo del sistema finanziario<br />
stesso dice: ”per me è strumentale, però laddove siano rilevanti i costi di trasferimento di un<br />
impianto, questo per me è di natura immobiliare”. Quando un progetto diventa strumentale<br />
Ovviamente, l’Agenzia ha risposto ai convegni dicendo: ”analizziamo caso per caso e vi diremo<br />
se è assoggettabile all’imposta strumentale o immobiliare”. Questo perché È chiaro che laddove<br />
ci sia un interesse a tassarlo più lungamente, è meglio che sia un impianto “immobiliare”,<br />
perché il cliente ha utili ed è meglio che paghi le tasse subito; laddove non c’è un interesse particolare<br />
l’impianto è “strumentale”. Sull’ICI; ufficialmente se seguiamo la normativa, l’impianto<br />
è assoggettabile ad ICI. Noi ci muoviamo con progetti che riguardo ai terreni su cui sorgono le<br />
torri eoliche prevedono l’acquisto o della piena proprietà o del diritto di superficie pagato in 20-<br />
25 anni, quindi con un diritto reale…. Comunque, la normativa fiscale che non ci dà chiarezza:<br />
se è immobiliare deve andare a ICI, però c’è la diatriba che gli impianti che producono energia<br />
sono impianti che svolgono un’attività di interesse pubblico, e se c’è interesse pubblico non può<br />
essere tassato a ICI. Qualcuno ha fatto ricorso, qualcuno ha aspettato le cartelle esattoriali<br />
e ha fatto ricorso… e come al solito siamo in Italia e quindi, ad esempio, a Bologna danno<br />
ragione al ricorrente, in Puglia gli hanno dato torto e gli hanno fatto pagare l’ICI. Non c’è<br />
certezza di nulla. C’è poca chiarezza, o quanto meno un’incertezza perché se si dà un consiglio<br />
in un senso e poi il cliente riceve altre indicazioni…. Quello che noi diciamo al cliente si basa<br />
sul parere dei nostri fiscalisti, poi il cliente è libero di pagare l’ICI, di ricorrere, etc. Ma, come<br />
fai a fare un business plan di un progetto o a chiedere la giusta equity, se ogni quattro mesi<br />
cambia il quadro tariffario e normativo (Alberto Lincetti, Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).<br />
Il crollo del 40% del valore dei certificati verdi registrato nel corso dell’ultimo anno e il<br />
taglio del 22% del valore dei certificati verdi introdotto dal D.lgs di recepimento della Direttiva<br />
2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili hanno determinato<br />
incertezza, apprensione e sfiducia sia degli investitori che del sistema finanziario, poco<br />
propensi a investire e finanziare ingenti risorse in un settore che fino all’anno scorso aveva<br />
potuto contare su un sistema incentivante funzionale con determinati punti di riferimento<br />
che garantivano agli operatori il ritorno degli investimenti effettuati, ma che ora si trova a<br />
confrontarsi con un quadro di grande incertezza e preoccupazione sui prossimi provvedimenti.<br />
53
6. Gli elementi di criticità<br />
Diversi sono gli ostacoli che sinora hanno impedito o ritardato la realizzazione di centrali<br />
eoliche in Italia. Si tratta di barriere che non vanno sottovalutate, che occorre affrontare<br />
seriamente e che vanno risolte se si intende permettere la diffusione degli impianti eolici<br />
nel nostro paese, povero di risorse fossili endogene, ma dotato in buona misura di vento e di<br />
altre fonti rinnovabili.<br />
6.1 Le difficoltà tecniche<br />
Occorre tenere presente che l’Italia è caratterizzata da un’orografia complessa, in particolare<br />
nelle aree interne dell’Appennino centro-meridionale dotate di un buon regime anemologico,<br />
con siti talvolta difficilmente raggiungibili dai mezzi pesanti, necessari per il<br />
trasporto dei componenti degli aerogeneratori non sezionabili, come la navicella e le pale.<br />
Una ulteriore difficoltà, collegata alla conformazione fisica del territorio, è rappresentata<br />
talvolta dall’assenza di linee elettriche adeguate nelle aree montane marginali o nelle zone<br />
rurali, lontane dai grandi centri abitati, generalmente prescelte come sede di localizzazione<br />
degli impianti eolici. Negli ultimi anni, la sostenuta crescita dell’eolico e del fotovoltaico<br />
ha posto in risalto i problemi legati all’inadeguatezza dell’infrastruttura elettrica. 49 Questo<br />
inconveniente comporta tempi lunghi per le realizzazioni di elettrodotti ad alta tensione e<br />
cavidotti di collegamento di media tensione, con conseguenti dilatazioni dei costi che, nei<br />
casi peggiori, possono determinare anche l’abbandono del progetto.<br />
Si verificano situazioni molto penalizzanti per chi realizza gli impianti quando il gestore della<br />
rete ci mette molto tempo a garantire la connessione. L’autorizzazione è unica per la realizzazione<br />
e la connessione. Ma, se poi uno l’impianto lo realizza in 6 mesi, mentre chi deve venire<br />
per fare l’allacciamento alla rete ci mette un anno e mezzo… È come se uno compra casa e<br />
inizia a pagare le rate del mutuo, ma poi l’Enel o l’Acea non arrivano a portare l’elettricità, per<br />
il proprietario sta un anno nella casa al freddo, senza elettricità e contatore. Chi realizza un<br />
impianto eolico spende i soldi, fa tutto in regola, ha la banca che gli chiede il pagamento delle<br />
49 Il riconoscimento di questa inadeguatezza della rete ha di recente portato all’intesa tra Ministero dello Sviluppo Economico,<br />
quattro regioni del Mezzogiorno – Calabria, Campania, Puglia e Sicilia – e l’ENEL Distribuzione che gestisce le reti di media<br />
e bassa tensione, per 123 milioni di euro di investimenti (risorse del POI <strong>Energia</strong>). In particolare, sono stati individuati gli<br />
interventi (comprese le cabine primarie e gli elettrodotti di raccordo alla rete di distribuzione di media tensione e alla rete di<br />
trasmissione nazionale) da realizzare nei prossimi 4 anni per rendere più facile la costruzione e l’allacciamento di nuove centrali<br />
elettriche alimentate da fonti rinnovabili di energia.<br />
55
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
rate del mutuo, anche se poi Terna non gli fa l’allacciamento alla rete e, quindi, è costretto a<br />
tenere fermo l’impianto (Simone Togni, ANEV).<br />
Inoltre, alcune linee della rete elettrica in alta tensione hanno dimostrato di non essere<br />
più dotate di sufficiente capacità di trasporto per garantire il dispacciamento di energia<br />
prodotta dagli impianti eolici negli intervalli di tempo caratterizzati da ventosità sostenuta.<br />
Ciò conduce a frequenti congestioni di rete che si traducono per gli impianti eolici necessariamente<br />
in interventi di riduzione di potenza (mediamente intorno al 7%) che TERNA ha<br />
facoltà di imporre per garantire la sicurezza della rete. Le direttrici più colpite sono Andria-<br />
Foggia, Campobasso-Benevento e Benvenuto-Montecorvino, sulle quali insistono più di 1.500<br />
MW eolici. La causa principale di questa situazione risiede nel ritardo con cui si sono avviati<br />
i piani di potenziamento della rete di fronte a previsioni di <strong>sviluppo</strong> dei soli impianti eolici,<br />
già valutabile dopo i primi anni di avvio del CIP 6 e localizzabile sulla base dell’Atlante Eolico<br />
del nostro Paese. Viceversa gli investimenti di TERNA sono stati dell’ordine delle centinaia di<br />
milioni di euro fino al 2004, quando, con eccessivo ritardo, sono passati ai miliardi di euro,<br />
finalmente congrui con le esigenze di potenziamento a seguito dello <strong>sviluppo</strong> delle fonti a<br />
energia rinnovabile.<br />
La rete elettrica è dello Stato che l’ha data in concessione per un certo numero di anni a Terna<br />
che la deve esercire secondo dei criteri:<br />
• tutti si possono allacciare perché è un servizio pubblico;<br />
• se c’è richiesta di domande di concessione da una certa parte, il soggetto che la gestisce<br />
deve costruire delle linee.<br />
Questo, in 15 anni, per quanto riguarda l’eolico non è avvenuto, perché, anche dando le scusanti<br />
del caso a Terna, non hanno mai ritenuto affidabili le domande presentate per gli impianti<br />
eolici e, più in generale, da fonti rinnovabili. Ancora pochissimi anni fa le rinnovabili erano<br />
viste come un qualcosa che probabilmente non si sarebbe mai fatto… Per cui, gli arrivavano le<br />
domande per gli allacci degli impianti eolici, fotovoltaici, etc., ma loro non hanno mai creduto<br />
che questi impianti si facessero sul serio e, quindi, non hanno investito nello <strong>sviluppo</strong> della rete.<br />
Che poi l’abbiano fatto coscientemente o meno, che ci abbiano giocato perché le rinnovabili<br />
danno fastidio ai grossi operatori o ai gestori della rete, questo non lo so. So soltanto che in<br />
questi 15 anni Terna non ha sviluppato la rete sulla base delle domande di impianti presentate,<br />
disattendendo il mandato statutario. Questo comporta che nelle aree dell’Appennino meridionale,<br />
dove c’è vento, almeno fino a 3 anni fa, quando c’è stato un cambio di faccia, Terna non<br />
ha investito nel potenziamento della rete in queste aree. Ora, chi realizza un impianto che deve<br />
fare Ha fatto domanda 5 anni fa dicendo a Terna che avrebbe fatto l’impianto in un determinato<br />
sito, ora la sua colpa quale è Che ha fatto sul serio l’impianto (Simone Togni, ANEV).<br />
L’incremento della produzione elettrica da fonte <strong>eolica</strong> pone numerose e complesse sfide<br />
alla pianificazione e all’esercizio dei sistemi elettrici, chiamando in causa aspetti tecnici ed<br />
economici. Infatti la generazione <strong>eolica</strong> è fortemente variabile (in particolare sulle scale<br />
temporali delle ore e dei giorni), e questa variabilità deve essere compensata dalla generazione<br />
convenzionale se si vuole alimentare il carico senza interruzioni: ciò comporta che i<br />
gruppi di generazione convenzionale siano sempre più utilizzati per prestare questo servizio<br />
anziché coprire il “carico di base”. Inoltre, poiché le previsioni meteo del vento sono affette<br />
da errori, anche le previsioni di produzione <strong>eolica</strong> presentano incertezze: per questo occorre<br />
predisporre maggiori margini di riserva da parte dei gruppi convenzionali. Tutti questi fattori<br />
comportano costi aggiuntivi per la gestione del sistema elettrico. Ad essi si aggiungono gli<br />
oneri necessari per potenziare il sistema di trasmissione, al fine di facilitare l’immissione in<br />
56
6. Gli elementi di criticità<br />
La rete e il dispacciamento<br />
Se da un lato, in virtù dei vantaggi legati allo sfruttamento delle fonti rinnovabili, la produzione<br />
elettro<strong>eolica</strong> gode della “priorità di dispacciamento”, dall’altro è comunque necessario che ciò avvenga<br />
nel rispetto del corretto funzionamento della rete, la cui gestione è affidata a TERNA che, nel<br />
contempo, si fa garante della sicurezza del sistema. In sostanza, la necessità di una massimizzazione<br />
del dispacciamento in rete dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili è una condizione necessaria<br />
per il raggiungimento degli obiettivi 2020, ma al momento deve fare i conti con le frequenti<br />
congestioni e criticità della rete elettrica esistente. Peraltro, le recenti imposizioni di limiti al dispacciamento<br />
(e, quindi, alla produzione) dell’energia <strong>eolica</strong> da parte del Gestore, attraverso ordini di<br />
dispacciamento impartiti ai produttori durante lo svolgersi del normale esercizio dell’impianto, sono<br />
prevalentemente dovuti alla carenza infrastrutturale delle reti elettriche che, nelle aree ventose del<br />
Centro-Sud e delle isole, presentano un basso grado di magliatura e di interconnessione, divenendo<br />
inadatte al sostentamento di fonti primarie non programmabili, quali l’eolico e il fotovoltaico.<br />
Le centrali eoliche, per quanto piccole, hanno comunque delle potenze significative ed è, quindi,<br />
sempre necessaria un’attenta valutazione sul possibile comportamento della rete elettrica <strong>locale</strong> soggetta<br />
all’immissione dell’energia (oltre tutto variabile nel tempo) prodotta da fonte <strong>eolica</strong>. Le centrali<br />
con potenza installata superiore ai 10 MW sono normalmente collegate ad una rete di trasmissione<br />
o distribuzione ad alta tensione. Oltre alla maggiore capacità di trasporto di energia, una tale rete è<br />
caratterizzata da una maggiore stabilità e, soprattutto, da una minore frequenza di interruzioni. Si<br />
possono riscontrare centinaia di interruzioni su una rete a media tensione, mentre quelle di una linea<br />
ad alta tensione sono nell’ordine della decina all’anno. Quest’ultimo fatto è di particolare importanza<br />
perché gli aerogeneratori, almeno fino ad oggi, sono stati fatti funzionare secondo una logica che<br />
si limita, da un lato, ad accettare in rete tutta la produzione <strong>eolica</strong> senza modulazioni e, dall’altro<br />
lato, a comandare l’immediato distacco dell’impianto eolico non appena si verifica un guasto non solo<br />
all’impianto stesso, ma anche sulla rete esterna. È evidente che, se gli aerogeneratori si fermano dopo<br />
ogni interruzione sulla rete, si hanno frequenti perdite di produzione elettrica, oltre che maggiori<br />
sollecitazioni strutturali sulle turbine stesse.<br />
“C’è un problema di portata e di gestione della portata, delle caratteristiche dell’energia da immettere<br />
nella rete che riguarda Terna e GSE. Ci danno delle indicazioni e può capitare, ad esempio, che la Sicilia<br />
entra in isola perché non ha più la connessione con il continente. La gestione della sicurezza della rete,<br />
tenerla stabile, evitare il black out, gestirla in modo corretto, vuol dire avere conoscenze, istante per<br />
istante, di chi sta apportando energia alla rete. E’ importante, perché se io immetto energia, ma poi<br />
non ho possibilità di esportarla, creo delle perturbazioni di rete che possono o non essere tollerate,<br />
gestite o non gestite. Più si è a conoscenza di ciò che sta accadendo, di chi sta apportando energia<br />
e con quali caratteristiche, e più si è nelle condizioni di poterla gestire. Nel momento in cui si creano<br />
delle condizioni di non tollerabilità dell’impianto, chi gestisce la rete ha priorità ed è giusto che sia così<br />
perché alla fine sono loro che devono garantire il funzionamento dell’intero sistema. Terna dà un ordine<br />
di dispacciamento per cui l’impianto deve essere limitato a un tot, non può produrre più di un tot.<br />
Questo avviene raramente e in zone diverse del paese. Dove la rete è interconnessa, come in continente,<br />
ha più possibilità di accettare e, quindi, succede molto di rado. Le isole, invece, hanno meno capacità<br />
di connessione e, quindi, di esportare, pertanto sono soggette ad un controllo più severo e agli ordini<br />
di dispacciamento. Sono anche territori dove l’eolico è molto presente” (Refrigeri, Enel Green Power).<br />
Le tematiche del dispacciamento e dei servizi di rete richiesti agli impianti eolici sono state oggetto<br />
di studi, norme e atti di regolamentazione da parte di diversi enti del settore. Attualmente, dal punto<br />
di vista tecnico, il riferimento nazionale è la norma CEI 11-32 (Allegato 6), recepita all’interno del<br />
Codice della Rete di TERNA (Allegato A17) nella sua versione modificata e approvata dall’AEEG. Essa<br />
si riferisce ai nuovi impianti sul territorio nazionale e riconosce che comunque eventuali riduzioni di<br />
potenza possano essere richieste in situazioni di criticità del sistema elettrico. * Tale misura, ad ogni<br />
modo, attribuisce ai produttori il carico e l’onere di far fronte all’incapacità della rete elettrica di<br />
accogliere l’immissione di energia elettrica proveniente da fonti non programmabili. Recentemente,<br />
57
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
l’AEEG ha inoltre previsto, sulla base del Codice di Rete, una compensazione di carattere economico<br />
relativamente alla mancata energia prodotta e valorizzata a prezzi di mercato perchè non immessa<br />
in rete per congestioni di rete. Con la delibera 330/07 dell’AEEG, infatti, è stato introdotto un meccanismo<br />
di indennizzo dei produttori per la mancata produzione dovuta a limitazioni di potenza.<br />
Inizialmente, però, tale meccanismo ha mostrato notevoli lacune, non garantendo di fatto un riconoscimento<br />
adeguato dell’effettiva energia perduta. L’AEEG ha quindi provveduto a riformare il sistema<br />
di indennizzo per l’energia producibile, ma persa per effetto delle limitazioni attraverso la Delibera<br />
ARG/elt 5/10, affidando al GSE il compito di predisporre un sistema di stima della mancata produzione<br />
di energia più aderente alla realtà.<br />
* In caso di criticità e congestioni della rete, soprattutto quando c’è molta produzione <strong>eolica</strong>, si è costretti ad intervenire,<br />
a seguito di un ordine di dispacciamento da parte di Terna, staccando la produzione e mettendo le pale in stallo. La limitazione<br />
del dispacciamento è un fenomeno che coinvolge regolarmente gli impianti convenzionali programmabili. Per legge, infatti,<br />
prima di limitare/staccare gli impianti eolici e da altre rinnovabili, si devono limitare/staccare gli impianti da combustibili<br />
fossili, poi ridurre al minimo quelli tecnici e, infine, si possono limitare/staccare quelli da rinnovabili. Per l’eolico la limitazione<br />
del dispacciamento significa una perdita pari al 7% della producibilità complessiva di energia elettrica, un dato enorme<br />
per il settore, ma che è molto più contenuto rispetto a quello delle centrali convenzionali e a cicli combinati che arrivano a<br />
perdere il 20-30%.<br />
rete della potenza <strong>eolica</strong> evitando “congestioni” dei collegamenti: spesso, infatti, la fonte<br />
<strong>eolica</strong> è disponibile in zone lontane dai nodi principali della rete. L’accesso alla rete elettrica<br />
è in effetti una questione vitale per lo <strong>sviluppo</strong> dell’eolico.<br />
Pertanto, vanno potenziati gli interventi mirati per rendere più sopportabile l’inserzione<br />
delle centrali eoliche in zone che prima erano solo passive ed ora possono diventare attive,<br />
almeno localmente. Lo <strong>sviluppo</strong> delle reti elettriche andrebbe ridefinito in modo ben diverso<br />
da quello adottato sino a pochissimo tempo fa: è necessario pensare a un sistema che sostenga<br />
le fonti rinnovabili e la generazione distribuita, differente da quello implementato negli<br />
anni passati e che era pensato per trasportare energia dalle grandi unità produttive a carichi<br />
distribuiti sul territorio. Va rapidamente implementato il programma, avviato con il Ministero<br />
dello <strong>sviluppo</strong> economico, sulle 4 regioni convergenza (Puglia, Calabria, Campania e Sicilia)<br />
sia per irrobustire le reti elettriche e insieme la larga banda digitale, dato che la loro integrazione<br />
è alla base della smart grid. In Puglia si stanno iniziando ad installare nuove cabine<br />
dotate di intelligenza interna e connessione in fibra ottica, in grado di fornire istantaneamente<br />
ai centri di controllo i dati sull’attività delle centrali eoliche e dei campi fotovoltaici,<br />
e di regolarne l’interazione con la rete. Al tempo stesso, Terna ha in programma lo <strong>sviluppo</strong><br />
di nuove e più robuste dorsali elettriche, come quella prevista al centro della Sicilia e i nuovi<br />
cavi sottomarini nello Stretto di Messina. 50<br />
6.2 Procedure amministrative<br />
In questi anni, c’è stata una carenza di buona politica e buona amministrazione pubblica<br />
sia a livello centrale che <strong>locale</strong>, basti dire che ci sono voluti 7 anni per avere delle regole nazionali<br />
- le Linee guida previste dal Decreto 287/2003 - per l’approvazione e valutazione dei<br />
progetti, e che manca ancora la ripartizione (burden sharing) da parte del governo centrale<br />
50 Il collegamento della Sicilia con il resto del Paese dovrebbe avvenire entro il 2013 con la realizzazione di un cavo di 105<br />
chilometri, con un costo previsto di 700 milioni di euro. Mentre di recente è stato inaugurato il collegamento sottomarino via<br />
cavo ad alta potenza (1.000 MW), lungo oltre 450 chilometri e costato 750 milioni di euro, tra la penisola e la Sardegna (Borgo<br />
Sabotino, provincia di Latina-Flumesanto, provincia di Sassari).<br />
58
6. Gli elementi di criticità<br />
delle quote di produzione di energia rinnovabile – diviso in funzione delle differenti tipologie<br />
di rinnovabili, in accordo con le naturali vocazioni delle diverse realtà territoriali – di cui<br />
ogni Regione deve farsi carico per raggiungere gli obiettivi europei. Inoltre, larga parte delle<br />
regole approvate dalle Regioni propongono un approccio cautelativo nei confronti dell’eolico<br />
senza alcuna idea proiettata nel rapporto con il territorio, le sue risorse e il suo <strong>sviluppo</strong>.<br />
Nel complesso, si può affermare che, salvo alcune eccezioni, in questi anni le Regioni sono<br />
state le grandi assenti nel processo di diffusione dell’eolico in Italia, lasciando i Comuni come<br />
deboli solitari protagonisti. 51<br />
Nel resto d’Europa c’è un sistema-Paese più forte che da noi. C’è una forte integrazione tra le<br />
imprese, gli enti locali autorizzativi, lo Stato, che marciano molto compatti verso gli obiettivi.<br />
Qui, da noi, arriva una legge statale che chiede alle Regioni di intervenire, le Regioni intervengono<br />
e il Governo fa ricorso al Tar e al Consiglio di Stato per azzerare la legge regionale. Sette<br />
leggi regionali sono state distrutte negli ultimi 3 anni. Con le nostre norme sulle autorizzazioni<br />
degli impianti ci vogliono più avvocati che ingegneri per andare a dirimere il problema (Mario<br />
Gamberale, Kyoto Club).<br />
Una ragione di queste difficoltà sta nel fatto che gli impianti eolici hanno fatto da apripista<br />
nel complicato, e spesso contraddittorio, processo di liberalizzazione del mercato energetico<br />
e di trasferimento dei poteri di programmazione energetica e approvazione dei progetti<br />
alle Regioni, che certamente non hanno brillato per efficacia e coerenza.<br />
Se c’è stato un difetto originario in tutta la partita delle rinnovabili è che non ha certo giovato<br />
la deregulation del mercato energetico. Deregulation che nel caso delle energie rinnovabili, anche<br />
sulla base di quanto è avvenuto in altri paesi del Nord Europa, è stata adottata in maniera<br />
molto cruda, senza considerare che gli altri paesi nordeuropei hanno un diverso concetto del<br />
bene comune. La Germania, ad esempio, è piena di torri eoliche, però loro hanno un diverso<br />
approccio al bene comune, lo difendono fino allo stremo. Se uno parcheggia male, sul marciapiede,<br />
subito chiamano la polizia e quella viene e fa la multa. Da noi, non solo nessuno chiama<br />
la polizia, ma anche se questa fosse chiamata, non verrebbe e non farebbe la multa. Quando<br />
ho chiesto alla signora perché avesse chiamato la polizia, mi ha risposto che il marciapiede è<br />
anche suo. Quindi, lì c’è la cultura del rispetto della regola, cosa che da noi non c’è. Quando<br />
loro hanno detto che incentivavano i privati a fare quello che già facevano, anche i privati che<br />
operano in Germania hanno il senso del bene comune, e quindi lo hanno fatto con un approccio<br />
molto diverso da quello che c’è stato in Italia. In Italia, quello che è mancato è stato proprio<br />
il peso delle istituzioni. Anche qui a Roma, quando hanno voluto fare i parcheggi hanno detto:<br />
“chiunque è interessato a fare un parcheggio secondo la Legge Tognoli, alzi il dito e mi dica<br />
dove vuole farlo”. Ognuno si è accaparrato lo spazio dove andarlo a fare e, poi, se il parcheggio<br />
serve o non serve o se la sua realizzazione sia compatibile con la staticità dei palazzi esistenti,<br />
sono tutte domande che nessuno si è posto seriamente. Il pubblico ha delegato al privato una<br />
programmazione su questa tematica, mentre invece prima il pubblico avrebbe dovuto fare una<br />
seria programmazione per poter poi dare degli indirizzi ai privati. Quindi, abbiamo da una parte<br />
un scarsa presenza da parte delle istituzioni a governare i fenomeni a tutti i livelli e dall’altra<br />
51 Anche a proposito delle Linee guida, ora che sono state emanate quelle nazionali, di tratta di vedere quali saranno gli<br />
indirizzi programmatori concreti che daranno le Regioni. Alcuni primi segnali non sembrano essere molto confortanti: “Il Lazio<br />
ha cominciato male, perché ha semplicemente recepito le Linee Guida nazionali con una delibera della Giunta regionale, revocando<br />
quelle precedenti, senza però fare quello che è previsto dalle Linee Guida nazionali, cioè fare un’analisi delle aree dove non è possibile<br />
installare impianti eolici. Oggi, di fatto, nel Lazio è possibile fare impianti ovunque perché manca una espressa individuazione delle<br />
aree dove non è possibile fare impianti. Secondo me, non se ne sono neanche accorti, perché hanno pensato che bastasse recepire<br />
le Linee Guida nazionali per individuare automaticamente le aree dove non sarà possibile fare l’eolico. Non è così perché ci vuole<br />
un’analisi di scouting per identificare concretamente i luoghi non idonei. Questo non è stato fatto.” (Domenico Belli, Greenpeace).<br />
59
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
parte abbiamo anche un certo timore da parte del mondo imprenditoriale a investire con un programma<br />
che sia non solamente speculativo, che massimizzi adesso il profitto, ma che sia qualcosa<br />
che vada a mettere radici un poco più profonde (Stefano Leoni, presidente WWF Italia).<br />
Anche quando presenti, non sempre i piani energetici regionali (ma anche provinciali e<br />
comunali) sono risultati e risultano adeguati alle nuove funzioni che sono loro richieste e che<br />
derivano da due fondamentali innovazioni introdotte nell’ultimo quindicennio: la modifica<br />
del Titolo V della Costituzione e la liberalizzazione del mercato dell’energia. Due innovazioni<br />
apparentemente contraddittorie perché:<br />
• la prima ha caricato Regioni ed enti locali di responsabilità normative e regolamentari;<br />
• la seconda sottrae potere programmatorio sia allo Stato che alle Regioni.<br />
Il discorso relativo alla pianificazione/programmazione è reso difficile dal fatto che siamo<br />
in un mercato elettrico liberalizzato e in un sistema burocratico che impiega 5-6 anni per<br />
autorizzare un progetto. 52 I piani energetici quando sono stati fatti sono rimasti nei cassetti.<br />
In materia energetica il soggetto privato, l’imprenditore, ha spesso una capacità di azione che<br />
sovrasta le possibilità di governo del processo da parte dell’ente <strong>locale</strong>. Le amministrazioni<br />
locali non hanno validi strumenti programmatori perchè la disciplina statale delle rinnovabili<br />
dà a queste ultime una priorità assoluta su tutto, in quanto sono considerate di pubblica utilità,<br />
indifferibili ed urgenti, per cui non ci si può appellare con motivazioni ambientali se non<br />
in sede di valutazione di impatto ambientale e non ci si può appellare a motivazioni di tipo<br />
urbanistico a meno di non fare delle forzature, ad esempio, rendendo tutte le aree edificabili<br />
e vincolandole a parco, e quindi, rendendole non idonee per l’insediamento di parchi eolici.<br />
Comunque, anche i vincoli alla destinazione d’uso non sono efficaci perché la legge dice che<br />
un parco eolico si può fare in qualunque tipo di terreno e non cambia la destinazione d’uso<br />
dell’area. In sostanza, è il privato che liberamente sceglie sito, potenza, modalità realizzative,<br />
senza che ci sia una vera politica di indirizzo dei Governi regionali, con individuazione<br />
delle aree disponibili, delle compatibilità ambientali e delle tipologie costruttive. In questa<br />
situazione, la capacità negoziale dei territori locali sta solo nella loro capacità di fare interdizione,<br />
producendo lungaggini, carte che si perdono, autorizzazioni che non vengono mai<br />
concesse, campagne di stampa, sit-in e proteste da parte della cittadinanza, etc.<br />
Faccio parte di una commissione di valutazione sull’energia in provincia di Foggia e poso testimoniare<br />
che la Provincia ha fatto un ottimo lavoro di screening di tutte le richieste di impianti<br />
eolici e fotovoltaici sul territorio, andando a vedere quello che è il realizzato e i progetti in<br />
autorizzazione dal 2004 ad oggi. Il quadro è il seguente: ci sono tanti progetti realizzati e,<br />
52 La lentezza dell’iter amministrativo fa sì che il progetto che viene approvato è di fatto obsoleto. In 5-6 anni nel settore<br />
eolico la tecnologia fa degli enormi passi avanti abbassando drasticamente i costi in rapporto alla potenza, Ma, il progetto<br />
autorizzato non può essere modificato. “Un progetto viene realizzato tenendo conto della tecnologia del momento. Non è possibile<br />
inserire in un progetto per un iter autorizzativi una tecnologia che non esiste. La tecnologia del momento prevede macchine con<br />
determinate altezze, dimensioni delle pale, potenze. Tutti elementi che sono importanti per la valutazione e le analisi di impatto<br />
ambientale. Una macchina di 50 metri e una di 80 hanno impatti ambienti diversi, ad esempio, in relazione alle rotte migratorie<br />
dell’avifauna. Quindi, se un progetto parte con una certa tipologia di macchine e arriva in fondo, non è possibile cambiare. Si deve<br />
procedere soltanto con la realizzazione delle caratteristiche originaria che sono state analizzate ed autorizzate. Se si dovesse cambiare<br />
macchina è corretto ri-iniziare l’iter per verificare se le nuove dimensioni e caratteristiche sono in linea con tutte quelle che<br />
sono le necessità del sito, quindi, le varie criticità e caratteristiche che si trovano nella comunità <strong>locale</strong>. La visibilità da lontano può<br />
aumentare perché le torre sbuca fuori dalla collina e quando di guarda la chiesa o il duomo c’è la pala che è visibile, se si alza di<br />
5-10 metri la torre. La lentezza dell’iter autorizzativi crea degli inconvenienti, ma il progetto non può essere modificato anche se la<br />
tecnologia in 3-4 anni va avanti molto velocemente. Questo è un settore in cui la tecnologia ha subito delle evoluzioni rapidissime,<br />
perché il mercato ha imposto dei ritmi velocissimi. Pertanto, un iter lento rischia di far sì che le soluzioni tecnologiche adottate<br />
siano superate dalla evoluzione della tecnologia. Però, se consideriamo che la vita utile di un parco deve essere di circa 15-20 anni.<br />
Dal punto di vista dell’incentivazione oggi sono 15 anni, questo come vita finanziaria di un parco, dal punto di vista della tecnica/<br />
tecnologica, la vita di un parco è intorno ai 20 anni. È chiaro che ci troviamo davanti a dei parchi eolici che dal punto di vista<br />
tecnologico vengono superati facilmente in questo momento” (Roberto Refrigeri, Enel Green Power).<br />
60
6. Gli elementi di criticità<br />
aggiungendo gli impianti in autorizzazione, sostanzialmente, esce fuori che tutto il territorio è<br />
coperto, al netto delle case e delle strade. Non ci sarebbero più spazi liberi, incluse le aree di<br />
espansione della rete elettrica. Oggi, se Terna dovesse fare un elettrodotto, in alcuni comuni<br />
della provincia di Foggia, non potrebbe farlo perché tutto è già coperto da un diritto di richiesta<br />
di autorizzazione di grandi impianti eolici e fotovoltaici. Come si affronta questo problema Il<br />
fatto è che l’accerchiamento, in realtà, è sostanzialmente sulla carta, perché la stragrande maggioranza<br />
di questi progetti non verrà mai realizzata. Le istituzioni soffrono terribilmente per il<br />
fatto di trovarsi, a causa della loro stessa complessità burocratica, a dover accumulare dal 2005<br />
al 2011 centinaia di progetti che non riescono a valutare e che non riescono ad approvare o bocciare.<br />
Il problema c’è pure in Germania, ma in misura enormemente ridotta. Perché un progetto<br />
lo proponi, lo guardo e in 60 giorni è approvato e al 61° giorno cantieri. Quando arriva quello<br />
dopo di te, che mi chiede di realizzarlo nella stessa area, io lo boccio semplicemente perché sta<br />
là, perché già se ne sta realizzando uno. Se invece ho un sistema che mi genera centinaia di<br />
puntini sul territorio continuamente ad una velocità spaventosa, allora si ha:<br />
• un proliferare di carte e di costi generati, assolutamente inutile, perché non porteranno poi<br />
kWh;<br />
• un senso si oppressione sulle istituzioni locali;<br />
• un senso di inadeguatezza della rete elettrica, la quale su quei numeri non sarebbe mai in<br />
grado di programmare gli interventi.<br />
Per cui, cosa succede a Foggia L’accerchiamento è tale che alla fine la Regione insabbia tutto,<br />
blocca ogni tipo di procedimento e tu aspetti. Prima di rinunciare, dopo aver magari già speso<br />
un milione di euro di progettazione e consulenze, accetti di partecipare ad un tavolo di negoziazione,<br />
in cui tutti gli operatori, di fronte all’evidenza dell’ingessamento della situazione,<br />
si riducono il numero degli aerogeneratori previsti nei progetti e tutti accettano e presentano<br />
la variante di progetto. Questa è una sorta di “pianificazione da concertazione”, con spazio<br />
ovviamente per mille tipi di pressioni politiche, perché tutto si risolve non per via normativa,<br />
ma per decisione discrezionale (Mario Gamberale, Kyoto Club).<br />
Tre appaiono le strade possibili per cercare di sbloccare la situazione:<br />
• abbandonare il regime di liberalizzazione del mercato elettrico per tornare ad un regime<br />
di pianificazione, ipotesi resa difficile o addirittura impraticabile se non altro perché le<br />
direttive comunitarie recepite dall’Italia in questi ultimi 15 anni lo impediscono;<br />
• avviare una drastica azione di sburocratizzazione, con un azzeramento della situazione,<br />
ma anche questa è una strada difficile da percorrere perché ci sono i diritti acquisiti;<br />
• fare in modo che le Regioni si diano uno strumento di programmazione che dimensioni<br />
la quantità di <strong>sviluppo</strong> di eolico verso cui si vuole tendere e fissi con chiarezza i criteri dal<br />
punto di vista territoriale, e poi prendere delle risorse finanziarie dalla tariffa elettrica per<br />
destinarle a pagare dei professionisti o gli stessi funzionari dell’ente <strong>locale</strong> per espletare la<br />
valutazione dei progetti nei tempi previsti dalla legge.<br />
Se l’impianto è compatibile, domani cantieri, se non è compatibile, perché c’è ne è già uno<br />
attaccato o sulla stessa area, lo boccio. A quel punto ci sarebbe una regolazione sull’evidenza<br />
degli impianti autorizzati e realizzati (Mario Gamberale, Kyoto Club).<br />
Inoltre, rispetto alla governance istituzionale, sebbene alle Regioni sia affidata la competenza<br />
amministrativa sulle fonti rinnovabili, appare troppo debole e lacunoso il raccordo con<br />
i livelli amministrativi sottostanti quello regionale. La condivisone con gli enti locali diventa<br />
pertanto fondamentale e condizionante il processo di attuazione, specie per quanto riguarda<br />
azioni che intercettano le competenze dei Comuni e la loro potestà di governo del territorio<br />
e regolamentare, anche in virtù dell’adeguamento e dell’adozione di strumenti e norme inno-<br />
61
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
vativi, come nel rispetto degli impegni presi aderendo al Patto dei Sindaci (programmazione<br />
territoriale e regolamentazione <strong>locale</strong> edilizia, pianificazione urbanistica integrata con le reti<br />
energetiche - teleriscaldamento, mobilità, etc.).<br />
Per quanto riguarda le procedure amministrative per la formazione dei titoli abilitativi<br />
alla costruzione ed esercizio degli impianti di produzione di energia <strong>eolica</strong> e più in generale<br />
da fonte rinnovabile, diverse sono le criticità che fino ad oggi si sono manifestate:<br />
1. Il mancato rispetto del termine di 180 giorni per la conclusione del procedimento di autorizzazione<br />
unica appare essere ormai sistematico. Sono eccezionali, infatti, i casi in cui il titolo<br />
Il Patto dei Sindaci<br />
Circa 2000 sono le città europee, di cui oltre 500 quelle italiane, aderenti al Patto dei Sindaci e che<br />
hanno preso l’impegno di ridurre le proprie emissioni di gas climalteranti di almeno il 20% entro il<br />
2020. Da questo punto di vista il Patto dei Sindaci rappresenta l’azione più forte attualmente in atto<br />
per coinvolgere i governi locali nella lotta ai cambiamenti climatici. Il Piano di azione nazionale italiano<br />
per le fonti rinnovabili indica la campagna SEE (www.campagnaSEEitalia.it), e il patto dei Sindaci<br />
che opera al suo interno, come una delle principali iniziative di sensibilizzazione in atto nel nostro<br />
Paese. Le singole città aderenti al Patto si impegnano a redigere, sulla base di apposite linee guida, un<br />
Piano di Azione per l’<strong>Energia</strong> Sostenibile (PAES), documento programmatico (da presentare in Consiglio<br />
Comunale, nonché alla Commissione Europea) per descrivere il percorso e le azioni che seguiranno da<br />
qui al 2020 per ridurre le proprie emissioni di gas climalteranti. In Italia, la prima città ad aver approvato<br />
il proprio PAES in Consiglio Comunale è stata Avigliana, seguita da Torino, Udine, Verona. La Fondazione<br />
Cariplo ha emesso un bando che mette a disposizione 2 milioni di euro proprio per sostenere<br />
i comuni nella redazione dei PAES. Diverse Regioni e Province stanno mettendo in sinergia le proprie<br />
attività proprio al fine di convogliare risorse economiche, derivanti ad esempio dai Fondi Strutturali,<br />
verso azioni propedeutiche all’attuazione del Patto dei Sindaci. A livello europeo, è possibile accedere<br />
a risorse finanziarie attraverso il fondo ELENA, gestito dalla BEI e il bando comunitario <strong>Energia</strong> Intelligente<br />
per l’Europa (EIE). Dal punto di vista operativo, il PAES si compone di tre parti ben distinte:<br />
• una prima parte riguarda la creazione di una strategia generale di lungo termine del singolo Comune<br />
(o del gruppo di Comuni associati allo stesso PAES), con l’identificazione di adeguate strutture<br />
amministrative con adeguate risorse umane e finanziarie all’interno dei singoli Comuni, del target<br />
di riduzione al 2020, delle azioni prioritarie da perseguire, delle tendenze in atto e delle principali<br />
opportunità. Per quanto riguarda il target di riduzione delle emissioni, esso può essere calcolato in<br />
valori assoluti o pro-capite, cioè per numero di abitanti;<br />
• una seconda parte riguarda l’analisi dello stato dell’arte in termini di emissioni, cioè la preparazione<br />
dell’inventario delle emissioni della città nell’anno riferimento, per poi analizzare il trend<br />
delle emissioni da qui al 2020 al fine di stimare le emissioni attese al 2020 e programmare quindi<br />
le azioni di riduzione in sintonia con lo <strong>sviluppo</strong> della città. Infine, in questa fase si analizza anche<br />
la produzione di energia a livello <strong>locale</strong>, in particolare valorizzando gli impianti a fonte di energia<br />
rinnovabile. I settori principali sui quali si pone l’attenzione sono quelli relativi agli edifici, strutture<br />
e industrie locali, nonché quello dei trasporti, sia pubblici che privati;<br />
• la terza fase riguarda l’individuazione dei settori sui quali intervenire e, quindi, le azioni da<br />
mettere in campo per tipologia e fonte di energia utilizzata. Il consumo di energia riguarda tutti i<br />
settori del vivere quotidiano nelle città: trasporti, residenziale, piccola e media industria, agricoltura,<br />
terziario e, al loro interno, la tipologia di energia utilizzata (termica, elettrica, carburanti) e la fonte<br />
di provenienza (fossile o rinnovabile). Questa fase deve veder coinvolta la società civile al fine di<br />
condividere insieme le scelte strategiche per lo <strong>sviluppo</strong> sostenibile della città.<br />
62
6. Gli elementi di criticità<br />
autorizzatorio viene rilasciato entro 180 giorni. Tale termine costituisce principio fondamentale<br />
della materia ed è volto a garantire la celere conclusione del procedimento su tutto il<br />
territorio nazionale. Oggi, la media dei tempi di autorizzazione di un impianto eolico è di<br />
3-5 anni, poiché sono aggravati spesso da ingiustificati oneri ed atteggiamenti discrezionali<br />
da parte delle amministrazioni e degli preposti a dare l’assenso al progetto. L’omesso rispetto<br />
del termine costringe gli operatori a rivolgersi all’autorità giudiziaria per obbligare l’amministrazione<br />
competente a pronunciarsi entro un termine fissato in sede giurisdizionale. Con<br />
ciò, tra l’altro, gravando le corti amministrative – ma anche le stesse amministrazioni coinvolte<br />
nei procedimenti, con i conseguenti costi – di contenziosi che potrebbero essere evitati<br />
se l’amministrazione improntasse l’azione amministrativa al principio del buon andamento.<br />
2. Le discipline regionali adottate nelle more dell’adozione delle Linee guida nazionali, non<br />
solo hanno creato un panorama normativo assai disomogeneo, ingenerando grave disorientamento<br />
tra gli operatori interessati ad operare in più territori regionali, ma hanno provocato<br />
un nocumento ben maggiore al settore. Spesso, infatti, le discipline adottate dalle Regioni si<br />
sono poste in aperto contrasto con i principi giuridici in materia di energia dettati a livello<br />
nazionale e comunitario. Si tratta, ad esempio, di disposizioni di contingentamento della<br />
potenza o del numero o della tipologia di impianti installabili, della sospensione a tempo<br />
indeterminato dei procedimenti autorizzativi (le cosiddette moratorie), dell’introduzione di<br />
requisiti di accesso al procedimento non previsti dalla disciplina nazionale di principio, della<br />
individuazione di aree aprioristicamente non idonee alla installazione di impianti, della creazione<br />
di società energetiche regionali a partecipazione pubblica idonee a competere direttamente<br />
con i potenziali produttori privati. Tali discipline, da un lato, hanno avuto l’effetto di<br />
rendere particolarmente gravosa o addirittura di paralizzare l’installazione di potenza <strong>eolica</strong>/<br />
rinnovabile sul territorio. Dall’altro, esse si sono tradotte in barriere all’accesso al mercato<br />
di produzione di energia da fonte rinnovabile, nonché, in ingiustificate distorsioni della<br />
concorrenza tra operatori localizzati in differenti zone del territorio nazionale.<br />
3. Le informazioni e le condizioni di accesso alle stesse sono tutt’altro che definite. Basti<br />
pensare che non esiste, salvo qualche caso isolato, un elenco chiaro, completo e univoco:<br />
• della documentazione da allegare all’istanza di autorizzazione unica o alla denuncia di<br />
inizio attività edilizia;<br />
• degli enti coinvolti nel procedimento;<br />
• dei pareri che essi devono rendere e dei termini entro cui essi devono esprimersi;<br />
• del ruolo e del peso che hanno i singoli enti (soprattutto i Comuni) all’interno del procedimento.<br />
Ciò ha sino a ora reso scarsamente trasparenti le procedure autorizzative. Se, da un lato,<br />
si auspica, quindi, che le Linee guida effettivamente introducano l’obbligo, per le amministrazioni<br />
competenti, di rendere disponibili e facilmente accessibili le informazioni elencate,<br />
nondimeno si ritiene necessario che tale obbligo venga esteso anche ai Comuni che si renderanno<br />
destinatari di un numero sempre maggiore di istanze (D.I.A. e comunicazioni) per la<br />
installazione di impianti di piccola taglia.<br />
4. Il collegamento tra amministrazioni dovrebbe avvenire nell’ambito del modulo procedimentale<br />
della conferenza di servizi (che ha natura istruttoria) attraverso il responsabile del<br />
procedimento, unico tramite tra il proponente e le amministrazioni interessate. In concreto,<br />
ciò avviene raramente. Sono assai frequenti, infatti, i casi in cui le amministrazioni coinvolte<br />
63
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
nel procedimento si pronunciano al di fuori della conferenza di servizi, snaturandone così lo<br />
scopo cui essa tende: raccogliere gli enti attorno a un tavolo per valutare contestualmente e<br />
in modo integrato il progetto sottoposto alla loro attenzione. Analogamente, le amministrazioni<br />
spesso si rivolgono direttamente al proponente, anziché veicolare le proprie richieste<br />
attraverso il responsabile del procedimento che non è più in grado di operare quel necessario<br />
coordinamento tra enti e proponente. Sarebbe pertanto necessario rafforzare il ruolo del<br />
responsabile del procedimento.<br />
5. Le procedure semplificate sino a oggi introdotte per rendere più celere l’installazione degli<br />
impianti a fonti rinnovabili sono costituite dalla denuncia di inizio attività edilizia prevista<br />
per impianti al di sotto di una certa soglia di potenza, nonché dalla mera comunicazione<br />
contemplata per gli interventi minori. Tuttavia, si segnala che, ai sensi della disciplina<br />
di principio (articolo 12, D.Lgs. 387/2003), il procedimento ordinario di autorizzazione è<br />
necessario, non solo per la realizzazione di nuovi impianti, ma anche per le ipotesi di modifica,<br />
rifacimento totale o parziale (re-powering) e riattivazione di impianti già esistenti. A tal<br />
proposito, da parte degli operatori si suggerisce l’introduzione di procedure semplificate per<br />
queste tipologie di lavori, anche allo scopo di rendere la disciplina abilitativa coerente con<br />
quella incentivante che favorisce la realizzazione dei citati interventi. La semplificazione<br />
potrebbe consistere nell’introduzione di ulteriori fattispecie da assoggettare a denuncia di<br />
inizio attività, ovvero nella previsione di un procedimento autorizzatorio snello cui partecipano<br />
solo le amministrazioni che si devono esprimere sugli interventi e che si conclude<br />
entro un termine breve.<br />
6. Le spese di istruttoria relative allo svolgimento dei procedimenti di autorizzazione unica<br />
e/o degli endoprocedimenti (ad esempio, di natura ambientale) necessari hanno costituito<br />
spesso un ostacolo alla massima diffusione degli impianti a fonti rinnovabili. Sotto un profilo<br />
meramente formale, esse sono state spesso introdotte da disposizioni non di rango legislativo,<br />
in violazione dell’articolo 23 della Costituzione. Dal punto di vista dei contenuti poi,<br />
esse sono spesso apparse esorbitanti e, più in generale, si sono tradotte, di fatto, in misure<br />
di compensazione (vietate dall’ordinamento) in quanto, tra l’altro:<br />
Il re-powering<br />
L’obsolescenza di molti impianti eolici presenti sul territorio è tale da rendere necessario lo smantellamento<br />
e la sostituzione degli aerogeneratori. In questi casi si procede al re-powering o re-wamping,<br />
sostituendo le macchine – in genere da 200-350-800 kW – con macchine da 800 kW-2,5 MW, che vengono<br />
installate con un rapporto di 1 ogni 2-3 macchine smantellate, in funzione delle caratteristiche<br />
del luogo. Ciò consente un incremento della producibilità, a parità di territorio occupato, di circa il<br />
20-40%, e altezza delle torri di sostegno compresa tra i 50 e i 100 metri, diminuendo sensibilmente<br />
l’affollamento delle unità presenti, a parità di potenza installata.<br />
Si segnala che, ai sensi della disciplina dell’articolo 12, D.Lgs. 387/2003, il procedimento ordinario di<br />
autorizzazione è necessario, non solo per la realizzazione di nuovi impianti, ma altresì per le ipotesi<br />
di modifica, rifacimento totale o parziale e riattivazione di impianti già esistenti. Dato che questa<br />
evenienza si presenta in modo spiccato nel caso di impianti eolici, andrebbero pertanto introdotte<br />
procedure semplificate per tali lavori e meccanismi che permettano una migliore efficienza e rendimento<br />
delle apparecchiature da sostituire, prevedendo la possibilità di aumentare la potenza della<br />
macchina a fronte di una (eventuale) riduzione nel numero delle stesse.<br />
64
6. Gli elementi di criticità<br />
• erano imposte quale conseguenza automatica della installazione di impianti a fonti<br />
rinnovabili;<br />
• venivano previste a favore delle Regioni;<br />
• avevano natura meramente economica.<br />
Occorre aprire una nuova fase dello <strong>sviluppo</strong> eolico in Italia, nella quale vi siano finalmente<br />
regole chiare per la valutazione e approvazione dei progetti. Servono regole chiare e<br />
procedure trasparenti per poter interloquire in modo attivo con le imprese e per valutare nel<br />
tempo la diffusione dell’eolico e delle altre fonti rinnovabili, con una programmazione che<br />
consenta alle amministrazioni di valutare la compatibilità dell’insieme dei progetti rispetto<br />
ai territori.<br />
La questione delle royalty e delle misure compensative per i Comuni<br />
Le Linee guida nazionali stabiliscono i criteri per l’eventuale fissazione di misure compensative per i<br />
Comuni. Innanzitutto, le Linee guida (sulla base del parere del Consiglio di Stato n. 2849 del 14 ottobre<br />
2008) stabiliscono il criterio che la semplice circostanza che venga realizzato un impianto di produzione<br />
di energia da fonti rinnovabili, a prescindere da ogni considerazione sulle sue caratteristiche e dimensioni<br />
e dal suo impatto sull’ambiente, non dà luogo a misure compensative. Fermo restando, quindi,<br />
che per l’attività di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili non è dovuto alcun corrispettivo<br />
monetario in favore dei Comuni, l’autorizzazione unica può prevedere l‘individuazione di misure compensative*,<br />
a carattere ambientale e territoriale e non meramente patrimoniale, a favore degli stessi<br />
Comuni e da orientare su interventi di miglioramento ambientale correlati alla mitigazione degli impatti<br />
riconducibili al progetto, ad interventi di efficienza energetica, di diffusione di installazioni di impianti<br />
a fonti rinnovabili e di sensibilizzazione della cittadinanza sui tali temi. Le “misure di compensazione e<br />
di riequilibrio ambientale e territoriale” sono determinate in riferimento a “concentrazioni territoriali di<br />
attività, impianti ed infrastrutture ad elevato impatto territoriale”, con specifico riguardo alle opere in<br />
questione**. Devono essere “concrete e realistiche”, cioè determinate tenendo conto delle specifiche<br />
caratteristiche dell’impianto e del suo specifico impatto ambientale e territoriale. Sono solo “eventuali”,<br />
e correlate alla circostanza che esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni<br />
territoriali di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale. Non possono<br />
comunque essere superiori al 2% dei proventi, comprensivi degli incentivi vigenti, derivanti dalla valorizzazione<br />
dell’energia elettrica prodotta annualmente dall’impianto. Ovviamente, questa limitazione<br />
non è vista di buon occhio da parte di molti dei sindaci dei piccoli comuni dove sono localizzati gli<br />
impianti eolici industriali. “Accadia è stato il primo comune che ha fatto una convenzione 20 anni fa<br />
pensando che avremmo tracciato una via “industriale”. In realtà, è tutto un fallimento. L’ultima è stata<br />
la telefonata del gestore di un parco eolico che mi ha detto: “vi abbiamo foraggiati”. Per loro foraggiati<br />
significa l’1,50%, cioè briciole che a noi sono servite per devastare un territorio che è l’unico patrimonio<br />
di bellezza del Sub-Appennino. In realtà, le società che vengono ad installare i parchi eolici, colonizzano,<br />
fanno quello che vogliono e se ne vanno. E se qualcuno pretende qualcosa in più rischia di essere querelato<br />
e mandato sotto processo. La realtà è che c’è un connubio, una connivenza di interessi tra la politica a<br />
livello centrale e il mondo industriale, altrimenti non si spiegherebbe questa colonizzazione sul territorio<br />
senza nessuna ricaduta reale. Quando poi ci vengono ad imporre che non ci devono essere le royalty, perché<br />
il Governo dice che le royalty non sono legali, vuol dire una cosa: che i grossi gruppi industriali, hanno fatto<br />
accordi con la politica centrale” (Pasquale Murgante, Accadia).<br />
* Le misure compensative sono definite in sede di conferenza di servizi, sentiti i Comuni interessati, anche sulla base di<br />
quanto stabilito da eventuali provvedimenti regionali e non possono unilateralmente essere fissate da un singolo Comune. Nella<br />
definizione delle misure compensative si tiene conto dell’applicazione delle misure di mitigazione in concreto già previste, anche<br />
in sede di valutazione di impatto ambientale. A tal fine, con specifico riguardo agli impianti eolici, l’esecuzione delle misure di<br />
mitigazione di cui all’allegato 4 delle Linee guida, costituiscono, di per sé, azioni di parziale riequilibrio ambientale e territoriale.<br />
** Sentenze Corte cost. n. 383/2005 e n. 248/2006 in riferimento all’articolo 1, comma 4, lettera f), della legge 239/2004.<br />
65
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Ora, che finalmente ci sono le Linee guida nazionali per i progetti che fissano i riferimenti<br />
che devono valere in tutta Italia rispetto alle rotte di migrazione dell’avifauna e alle<br />
attenzioni da avere rispetto agli impatti, le Regioni, che hanno la responsabilità di valutare<br />
ed approvare i progetti, devono calare nella propria realtà le indicazioni di tutela (ossia<br />
dove i grandi impianti eolici non devono essere realizzati perché in presenza di aree di pregio<br />
naturalistico come SIC e ZPS, rotte di migrazione di avifauna e fauna, paesaggi unitari e<br />
riconosciuti) e indicare dove e con quali attenzioni, studi, valutazioni degli impatti invece<br />
realizzarlo in modo migliore e in tempi certi in tutte la altre aree.<br />
Alle amministrazioni comunali spetta, invece, il compito di verificare le condizioni locali<br />
di realizzazione, le opportunità di valorizzazione del territorio <strong>locale</strong>, l’informazione dei cittadini.<br />
La trasparenza delle procedure e la partecipazione dei cittadini alla costruzione delle<br />
decisioni risulta decisiva propria per anticipare e comprendere i motivi di timore, valorizzare<br />
nei progetti le potenzialità dei luoghi.<br />
6.3 La carenza di una informazione corretta<br />
Tra gli elementi di criticità va considerata anche la carenza di una informazione corretta<br />
rispetto all’energia <strong>eolica</strong> e, più in generale, alle fonti rinnovabili, con le maggiori responsabilità<br />
attribuibili alle pubbliche amministrazioni, ma anche ai mezzi di comunicazione, che non<br />
sempre hanno illustrato e illustrano nel modo dovuto lo scenario energetico italiano di liberalizzazione<br />
e concorrenza tra operatori, le caratteristiche delle tecnologie rinnovabili e, soprattutto,<br />
i loro benefici effetti sull’ambiente e le ricadute positive in termini occupazionali. 53<br />
Stando alla lettura che sempre più spesso danno i mass media dello <strong>sviluppo</strong> delle rinnovabili<br />
in Italia, fotovoltaico a terra, eolico on/off shore, centrali a biomasse, sembrano essere<br />
diventati i nuovi nemici dell’ambiente e della legalità. Da una parte, i difensori integerrimi<br />
della bellezza del paesaggio rurale, dall’altra, i nuovi affaristi delle rinnovabili favoriti da un<br />
sistema degli incentivi troppo generoso, 54 con gli “sviluppatori”, le infiltrazioni mafiose, la<br />
corruzione, il malaffare, gli sfregi al paesaggio, i facili guadagni e gli impianti costruiti e<br />
mai collegati alla rete. Ma, rappresentare l’eolico come un’attività in mano alla mafia e alla<br />
‘ndrangheta nel Mezzogiorno o alla P3 in Sardegna, sostenere che gli impianti beneficiano di<br />
incentivi anche se sono fermi, che si sta rischiando di riempire l’Italia di migliaia di impianti<br />
per produrre pochissima energia elettrica significa offrire una rappresentazione falsa, alimentando<br />
insinuazioni, allarmismi e la ricerca esasperata della polemica a ogni costo. 55<br />
In primo luogo, perché è la mafia il problema del Mezzogiorno e l’eolico casomai è<br />
vittima, come tutte le attività imprenditoriali, del controllo del territorio da parte della<br />
53 In questo senso, va sottolineate l’attenzione che il Decreto Legislativo che dà attuazione alla direttiva 2009/28/CE dedica<br />
al tema dell’informazione, attraverso:<br />
• la realizzazione da parte del GSE di un portale informatico;<br />
• accordi del GSE con le autorità locali e regionali, per elaborare programmi di informazione, sensibilizzazione, orientamento<br />
o formazione al fine di informare i cittadini sui benefici e sugli aspetti pratici dello <strong>sviluppo</strong> e dell’impiego di energia da fonti<br />
rinnovabili;<br />
• modalità con cui i fornitori o installatori dovranno informare i clienti sui costi e le prestazioni degli impianti.<br />
Il ruolo fondamentale assegnato al GSE è di per sé una garanzia, purché gli siano fornite le risorse necessarie, onde evitare che<br />
il nuovo impegno vada a detrimento di quelli già in essere.<br />
54 È senz’altro vero che gli incentivi in Italia sono più alti se comparati con gi altri Paesi, ma questo è un problema e una<br />
responsabilità di Governo e Parlamento. Come abbiamo visto in precedenza, gli incentivi per l’eolico sono gli stessi delle altre<br />
fonti rinnovabili – solare escluso che finora ne ha avuti di ben più vantaggiosi – e non sono in concorrenza, per cui non esiste<br />
una maggiore generosità verso l’eolico o la possibilità che si sottraggano risorse.<br />
55 A questo proposito, si vedano, ad esempio, gli articoli comparsi nell’ultimo anno su grandi quotidiani nazionali come Il<br />
Sole 24 Ore (Amadore, 2010; Galullo, 2010; Giliberto e Rendina, 2011), Il Messaggero (Cirillo, 2010a/b/c/d/e), La Repubblica<br />
(Casacci, 2010a; Pirani, 2010, 2011) e Il Corriere della Sera (Rizzo, 2011). Si veda anche la puntata dedicata all’eolico del programma<br />
televisivo Report di RAI 3 del 28 novembre 2010.<br />
66
6. Gli elementi di criticità<br />
criminalità organizzata. A nessuno viene in mente di sostenere che i centri commerciali o la<br />
costruzione di ospedali e strade, o i rifiuti siano settori “intrinsecamente” mafiosi, perché in<br />
alcuni territori sono in mano alle mafie.<br />
Dove c’è attività imprenditoriale c’è sempre il rischio che ci sia infiltrazione da parte di soggetti<br />
malavitosi di vario genere. Si legge da qualche parte che non bisogna fare più le autostrade o<br />
costruire palazzi o fare pizzerie perché c’è la mafia che ci si infila dentro, chiede il pizzo o si<br />
pagano le tangenti No, semmai si deve combattere il rischio, che peraltro nell’eolico c’è, ma<br />
molto marginale, come certificato anche da un recente rapporto sulla legalità di Legambiente.<br />
Premesso che il rischio che la malavita organizzata entri nella realizzazione degli impianti<br />
eolici è di per sé molto basso perchè questi impianti sono realizzati per il tramite del project<br />
financing. Dato che anche la eventuale proprietà del parco non garantisce la banca di poter<br />
poi recuperare il capitale investito, la banca entra in partnership con l’operatore, cioè diventa<br />
suo socio. Quindi, è evidente che vengono fatte delle verifiche antimafia sulle persone fisiche e<br />
sulle società. Ci può essere un problema sulla parte delle opere civili, cioè le piccole costruzioni,<br />
il movimento terra, il cemento, etc. Su questo, noi come associazione abbiamo seguito dei<br />
percorsi che ci sembrava necessario seguire per evitare che anche in questo potesse succedere<br />
qualcosa. Abbiamo fatto dei protocolli da sempre con Legambiente, WWF e Greenpeace sul corretto<br />
inserimento degli impianti nel paesaggio, per la minimizzazione degli impatti. Abbiamo<br />
delle linee guida interne e un codice deontologico che vietano una serie di comportamenti illeciti<br />
o addirittura semplicemente poco corretti. E in più abbiamo sottoscritto il protocollo sulla<br />
legalità Ministro degli Interni-Confindustria e l’abbiamo reso obbligatorio per i nostri associati.<br />
La realtà è che la mafia non ci riesce ad entrare, dato che il project financing è uno schema<br />
che ti blocca dai grossi ricavi. La mafia ha i soldi in contanti. La domanda ultima è – dato che<br />
uno legge questi articoli su Il Sole 24 Ore 56 e sente le accuse del ministro Tremonti all’eolico<br />
– se uno legge che sono stati sequestrati beni pari a 1,5 miliardi di euro al “re dell’eolico”.<br />
Lei ed io, quando abbiamo letto questo articolo abbiamo pensato che Vito Nicastri di Alcamo<br />
(Trapani), il “re dell’eolico”, fosse stato arrestato e gli avessero sequestrato i beni. Lei sa che<br />
Vito Nicastri in questo tipo di operazioni non ha subito nessun tipo di restrizione personale<br />
Non lo sapevo neanche io, ma l’ho viso successivamente e mi sono domandato come fosse<br />
possibile. Se gli hanno sequestrato i beni, fa il mafioso e manco l’arrestano È strana questa<br />
cosa. Dopo di che mi sono chiesto: se gli sono stati sequestrati beni per 1,5 miliardi di euro,<br />
facendo un rapido calcolo, mi sono immaginato che siano stati sequestrati quantomeno tutti i<br />
parchi eolici della Sicilia. Invece, non hanno sequestrato neanche un aerogeneratore. Premesso<br />
che questo non è un imprenditore dell’eolico, né un nostro associato, ma è uno che sviluppava<br />
progetti, lei lo sa a chi li vendeva questi progetti Ad Enel, Edison, E.ON. Quindi, dato che lui<br />
non era proprietario di impianti eolici – e questo è quello che mi ha fatto riflettere e indagare<br />
sulla cosa – ho chiamato Enel, Edison ed E.ON per chiedere loro se gli avevano sequestrato gli<br />
impianti eolici in Sicilia. No, no, no. Perché se fosse stato così Maroni avrebbe detto che Enel,<br />
Edison ed E.ON erano mafiose. Cosa gli hanno sequestrato a questo Vito Nicastri Progetti, cioè<br />
carta. 1,5 miliardi di euro di progetti… Ma su quali basi si arriva a questa valutazione Tutto<br />
questo è significativo del fatto che c’è una attenzione a far uscire le cose sull’eolico in un certo<br />
modo (Simone Togni, Anev).<br />
Per fare chiarezza sulla situazione dell’eolico, Legambiente ha presentato nell’estate<br />
del 2010 un dossier con l’obiettivo di mettere in luce il quadro delle inchieste in corso e la<br />
situazione dell’eolico in Italia. La fotografia dell’eolico che ne esce fuori restituisce un settore<br />
sano, fatto in stragrande maggioranza di imprese serie e di progetti che hanno trovato<br />
56 Il riferimento è agli articoli di Amadore, 2010 e di Galullo, 2010.<br />
67
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
il consenso del territorio, perché ben integrati nel paesaggio. Insomma, i numeri sembrano<br />
smentire le accuse circolate negli ultimi tempi riguardo alla permeabilità di questo settore<br />
rispetto alla criminalità. 57<br />
Legambiente ha voluto mettere in evidenza le sette inchieste, condotte dal 2006 ad oggi, che<br />
riguardano l’eolico. Si tratta di indagini che hanno conosciuto un’accelerazione dal 2009 e<br />
che riguardano in particolare cinque Regioni: Sardegna, Sicilia, Campania, Puglia e Calabria.<br />
Eppure, nonostante la presenza invasiva in queste Regioni delle organizzazioni mafiose e gli<br />
ovvi interessi di chi cerca ogni occasione utile per ottenere illegalmente facili profitti, l’eolico<br />
è di gran lunga il settore economico meno condizionato da fenomeni criminali e d’illegalità in<br />
genere. Basta confrontare questi numeri con quelli del traffico illecito di rifiuti oppure con quelli<br />
del ciclo illegale del cemento. Nel periodo gennaio 2006-luglio 2010 sono state compiute in<br />
Italia 111 operazioni contro i trafficanti di rifiuti con 69 arresti e 360 aziende coinvolte. Vale<br />
la pena sottolineare, peraltro, che delle indagini in corso soltanto una si è già conclusa con<br />
una sentenza di condanna in primo grado – l’operazione Eolo -, mentre diverse non sono ancora<br />
arrivate alla fase del rinvio a giudizio. Inoltre, provvedimenti cautelari scaturiti dalle inchieste,<br />
sequestri, denunce, arresti. Sono quasi sempre stati emessi durante le fasi di progettazione<br />
e autorizzazione, bloccando cioè gli impianti ancora sulla carta, prima che si realizzassero le<br />
opere e che i parchi cominciassero a produrre energia. Il che significa che grazie all’attività degli<br />
investigatori oggi non c’è pressoché traccia di energia <strong>eolica</strong> “illegale” che viaggi nella rete<br />
elettrica (Zanchini, 2010a:60-61).<br />
In secondo luogo, non è vero che chi investe nell’eolico possa beneficiare di fondi europei<br />
o pubblici per la realizzazione degli impianti. Da tempo in Italia gli incentivi vengono<br />
concessi solo per l’energia elettrica effettivamente prodotta. Proprio per questo, se le pale<br />
sono in aree dove non c’è vento e rimangono ferme l’investimento è un totale fallimento che<br />
nessuno farebbe.<br />
Oggi, dal punto di vista degli incentivi l’Italia ha una quadro di norme relativamente avanzato<br />
che è stato costruito dal governo Prodi sul modello prevalente in Europa del conto energia. Questo<br />
modello ha eliminato alcune delle principali distorsioni. In assenza di questo tipo di sistema<br />
di incentivazione era effettivamente possibile che chi decidesse di realizzare, ad esempio, un<br />
parco eolico potesse ottenere delle incentivazioni a prescindere dal fatto che quel parco eolico<br />
immettesse energia in rete. Questo dal 2004 non è più così, nel senso che un impianto eolico è<br />
incentivato nella misura in cui produce elettricità. 58 La favola che continua ad essere raccontata,<br />
che uno possa prendere dei soldi per realizzare l’impianto a prescindere dal fatto che il parco<br />
eolico produca effettivamente della elettricità (cioè che le pale girino), non è stata una favola<br />
in passato (prima del 2004), ma oggi non corrisponde alla realtà dei fatti. Se un mafioso, per<br />
essere chiari, vuole speculare sull’eolico non può farlo se non produce elettricità. La possibilità<br />
che questi incentivi siano fasulli e che non incentivino altro che speculazioni private, oggi non<br />
esiste più (Roberto Della Seta, senatore).<br />
57 Anev ha lanciato un segnale preciso in proposito, firmando il Protocollo di legalità tra Confindustria e Ministero dell’<strong>Ambiente</strong>.<br />
58 Fino al 2004 era possibile avere diritto all’incentivazione sull’energia prodotta, usufruendo al contempo di contributi pubblici<br />
previsti dalla Legge 488/92, destinati alle aree depresse del Paese. Va comunque segnalato che detti finanziamenti erano<br />
erogati solo a fine costruzione e raggiungevano l massimo il 10% del costo documentato dell’investimento. Alcune inchieste<br />
della magistratura indagano sull’eventualità che, per l’installazione di pochi impianti diversi anni fa, siano stati ottenuti illecitamente<br />
tali fondi.<br />
68
6. Gli elementi di criticità<br />
Infine, poiché gli impianti eolici si possono realizzare laddove il vento soffia davvero,<br />
che non è ovunque, il futuro di questa fonte energetica sta nel concorrere insieme alle altre<br />
rinnovabili in un processo di riconversione energetica e non di rappresentare l’alternativa, da<br />
sola, al petrolio.<br />
Certamente, non si devono nascondere errori e sottacere speculazioni da parte di alcuni<br />
imprenditori o l’assenza di regole e controlli nazionali che ha fatto sì che in questi anni in<br />
ogni territorio si è andati in ordine sparso.<br />
Bisogna partire dalla consapevolezza di chi disegna scenari di devastazione per le montagne<br />
dell’Appennino ha gioco facile nell’indicare l’area dei rilievi tra Puglia, Campania e Abruzzo<br />
dove sono concentrati due terzi dei MW installati in Italia. Strutture a volte intrusive rispetto<br />
ai caratteri del paesaggio italiano e spesso realizzate in assenza di qualsiasi programmazione<br />
o regola di inserimento in territori rimasti fino ad oggi ai margini dello <strong>sviluppo</strong>. Impianti<br />
“infelici” (come a Castiglione Messer Marino), o addirittura fermi (come a Collarmele) prestano<br />
il fianco alle polemiche, come prova che l’eolico rappresenti una ferita per il paesaggio e<br />
che si stia diffondendo solo grazie ad incentivi e contributi pubblici senza dare un contributo<br />
energetico significativo. In alcune parti dell’Appennino troviamo anche situazioni paradossali<br />
da stigmatizzare: chilometri di torri differenti per dimensione, colore e forma, che chiudono<br />
completamente i crinali e il paesaggio, realizzati da aziende diverse proprio sui confini amministrativi<br />
dei comuni (Zanchini, 2004:162).<br />
Rimane un elemento distorsivo che è la tendenza, l’inflazione della figura dell’intermediario,<br />
di chi non avendo la vocazione poi a gestire l’impianto, producendo elettricità, ricopre semplicemente<br />
il ruolo dello “sviluppatore”, di attraversare tutte le fasi dell’iter autorizzato, per poi<br />
consegnare il progetto autorizzato chiavi in mano a chi poi lo deve concretamente realizzare e<br />
gestire. Ora, di per sé, questa è una figura che potrebbe anche starci in un sistema efficiente<br />
e trasparente. Certamente, in Italia, e soprattutto nel Mezzogiorno, lo spazio di questo tipo di<br />
azione è molto grande e ogni tanto si presta anche a degenerazioni. Dal punto di vista legislativo/normativo<br />
un intervento lo vedrei soprattutto in questa direzione, nel limitare lo spazio,<br />
il peso di questa figura, o se non altro di renderla il più possibile trasparente e controllata.<br />
Però, questo riguarda l’eolico, ma anche tutti gli altri settori delle politiche ambientali, come<br />
ad esempio lo smaltimento dei rifiuti, dove c’è un problema di intermediazione che spesso<br />
diventa il modo per riuscire e sottrarsi ai controlli democratici di trasparenza (Roberto Della<br />
Seta, senatore).<br />
Quello che ha fatto male all’eolico è che tanti senza avere le competenze tecniche e finanziarie<br />
per fare progetti, chiedevano l’autorizzazione e poi se la vendevano. Questo ha creato un<br />
mercato delle autorizzazioni dove poi ci si è infilata anche la camorra, la mafia, la malavita, e<br />
sono venuti fuori dei parchi eolici che avevano come “peccato originale” quello di essere stati<br />
avviati da gente assolutamente incompetente, purissimi speculatori….. Forse bisognerebbe<br />
combattere questi fenomeni più che l’eolico. In Italia stanno riuscendo a fermare l’eolico, ma<br />
la malavita va avanti lo stesso, trova altre strade, altri investimenti. Anche noi abbiamo delle<br />
responsabilità. Se in Italia ci fossero delle regole chiare non ci sarebbe la necessità di prendere<br />
delle scorciatoie, invece non è così. Ci vogliono 4–5 anni per ottenere un autorizzazione, quindi<br />
è chiaro che qualcuno viene “tentato” (Schiapparelli, REpower).<br />
Secondo gli ambientalisti più favorevoli allo <strong>sviluppo</strong> delle rinnovabili, le criticità e le<br />
distorsioni che si stanno palesando nei territori sono la risultante della mancanza di regole<br />
semplici e valide per tutti che ha fatto impazzire il mercato:<br />
69
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
• favorendo le figure di intermediari, gli “sviluppatori”, primo luogo di infiltrazione della<br />
corruzione e della moltiplicazione delle offerte; 59<br />
• rendendo deboli i Comuni nella trattativa con le aziende proponenti, così che hanno<br />
trovato cittadinanza progetti insulsi e dannosi;<br />
• costruendo delle procedure estremamente complesse con poteri tutti centralizzati presso<br />
i ministeri per l’eolico offshore.<br />
Eventuali infiltrazioni criminali e comportamenti speculativi trovano origine proprio<br />
nell’interstizio di arbitrarietà e incertezza che deriva dalla continua stratificazione normativa<br />
e dall’onerosità e discrezionalità delle procedure.<br />
Da più parti viene avanzato il sospetto che dietro le polemiche e le deformazioni informative<br />
sull’eolico e sulle altre rinnovabili da parte dei mass-media ci siano dei precisi<br />
interessi – i settori energetici concorrenti, a cominciare dai petrolieri e dai nuclearisti – che<br />
si avvantaggiano dalla confusione creata, mentre si diffonde un atteggiamento secondo cui<br />
non ci sono fonti energetiche buone o cattive, ma tutte hanno qualche scheletro nell’armadio<br />
da nascondere.<br />
A leggere le prime pagine dei giornali o i commenti autorevoli che accompagnano le inchieste<br />
della magistratura, sembra quasi che oggi in Italia l’installazione di torri eoliche sia in cima alle<br />
attività criminali condotte in danno dell’ambiente. Non è così. Questa distorsione della realtà<br />
è il frutto, da un lato, di un meccanismo di comunicazione comprensibile: l’energia <strong>eolica</strong>, rinnovabile<br />
pulita, fa notizia quando attira affari sporchi (un po’ sulla falsariga del “padrone che<br />
morde i cane”). E dietro la rappresentazione di una “battaglia sull’eolico” ci sono spesso ragioni<br />
di interesse o di ricerca di visibilità mediatici evidenti in alcuni protagonisti. Ma, dall’altro,<br />
si avverte il rischio di una strumentalizzazione che, partendo da fatti ed episodi anche gravi,<br />
su cui la magistratura e le forze dell’ordine sono impegnate a fare la massima chiarezza, arrivi<br />
a mettere sotto accusa, in maniera del tutto immotivata, una fonte di energia che già rappresenta<br />
(e ancora meglio potrà farlo in futuro) una delle risposte più efficaci a disposizione del<br />
nostro Paese, per rendere più moderno e pulito il proprio sistema energetico, nonché rispettare<br />
gli obiettivi fissati dall’Unione Europea nella lotta ai cambiamenti climatici. … Dietro queste<br />
posizioni, a spiegare l’incedibile spazio mediatico che spesso trovano, ci sono anche i solidi interessi<br />
di chi ha da guadagnare dalle polemiche intorno alle rinnovabili e punta ad evidenziarne<br />
i limiti. E che oggi guarda con preoccupazione come questo processo stia dando risultati reali<br />
e rischi di mandare in crisi la campagna mediatica sui vantaggi dell’atomo o del carbone per le<br />
famiglie italiane (Zanchini, 201:62, 63).<br />
La diffusione di false rappresentazioni dell’energia <strong>eolica</strong>, basate su insinuazioni, allarmismi<br />
e la ricerca esasperata della polemica ad ogni costo, contribuisce talvolta ad alimentare<br />
movimenti di opposizione, piuttosto che stimolare il dialogo e ricercare il confronto<br />
tra favorevoli e contrari, precludendo la ricerca di soluzioni soddisfacenti o per lo meno<br />
accettabili dalle popolazioni coinvolte. Il problema dei gruppi di persone e dei comitati<br />
locali che si oppongono all’installazione di parchi eolici è, quindi, riconducibile, in parte,<br />
59 Uno dei principali bersagli delle polemiche contro l’eolico è la figura, considerata anomala (ma, in realtà, tipica del capitalismo<br />
relazionale all’italiana, tradizionalmente povero di capitali e di specifiche competenze tecnologiche ed innovative),<br />
dello sviluppatore, ovvero quel soggetto che, spesso senza alcuna competenza specifica, ma grazie alla propria conoscenze del<br />
territorio, “cura” i rapporti con il territorio stesso, propone progetti pur non avendo le risorse necessarie, definisce accordi con<br />
le amministrazioni locali e, solo alla fine, cede l’affare, il progetto autorizzato, alle imprese vere e proprie che realizzano l’impianto.<br />
Gli sviluppatori sono considerati i maggiori responsabili della bolla speculativa che negli ultimi anni ha investito l’eolico<br />
(ma anche il fotovoltaico) che ha fatto sì che a fronte di un potenziale eolico stimato dal governo in 16 mila MW al 2020, siano<br />
state presentate domande di autorizzazione di impianti eolici per una potenza complessiva di 94 mila MW. Moltissime di queste<br />
domande si sovrappongono, per cui per uno stesso territorio/sito/crinale sono stati presentati più progetti di impianti. È chiaro<br />
a tutti, quindi, che solo una piccola parte di questi progetti potrà essere effettivamente autorizzata dalle Regioni.<br />
70
6. Gli elementi di criticità<br />
alla confusione determinata dalla mancanza di conoscenza specifica del settore e di studi<br />
approfonditi sull’impatto <strong>locale</strong> di una centrale elettrica <strong>eolica</strong>. Questo aspetto rappresenta<br />
un passaggio molto delicato nell’acquisizione del consenso generale all’iniziativa nella fase<br />
di pianificazione. Per questo occorre una maggiore collaborazione tra enti governativi, pubbliche<br />
amministrazioni, associazioni ambientaliste ed aziende del settore per promuovere una<br />
cultura dell’energia da fonte rinnovabile in generale e dal vento in particolare, che consenta<br />
di stabilire un dialogo sereno tra gli operatori del settore e la società civile. Occorre uno<br />
sforzo da parte di tutti i soggetti interessati per far accettare quella che, allo stato attuale,<br />
è la fonte rinnovabile più matura che già consente di evitare di bruciare ingenti quantità di<br />
combustibili fossili, a tutto vantaggio dell’ambiente e della salute umana.<br />
71
7. Impatto ambientale e paesaggistico<br />
Se da un parte è ormai assodato che gli impianti eolici sono, al momento, insieme a quelli<br />
fotovoltaici, gli impianti a fonti rinnovabili che possono sostituire quote significative di carico<br />
elettrico, abitualmente prodotto con fonti fossili, con una importante quota di emissioni<br />
inquinanti evitate (anidride carbonica, anidride solforosa, ossidi di azoto), 60 dall’altra, tali<br />
impianti producono un impatto ambientale e paesaggistico che può essere più o meno evidente.<br />
Qualsiasi intervento dell’uomo sull’ambiente determina, infatti, un impatto.<br />
Si riconoscono le seguenti tipologie di impatto paesaggistico/ambientale:<br />
• impatto visivo;<br />
• impatto su flora, fauna e avifauna;<br />
• impatto acustico ed elettromagnetico.<br />
L’inserimento in un contesto paesaggistico di un impianto eolico, sia esso di tipo industriale<br />
o di tipo mini o microeolico, determina certamente un impatto che a livello percettivo<br />
può risultare più o meno significativo in funzione della sensibilità del soggetto che subisce<br />
nel proprio habitat l’installazione delle pale eoliche ed in funzione della qualità oggettiva<br />
dell’inserimento. Molte persone definiscono i moderni aerogeneratori come valore aggiunto<br />
ai propri territori grazie alla loro eleganza e bellezza, rappresentando anche il simbolo di una<br />
vita di maggiore qualità ambientale (testimonianza ne è il fatto che sempre più spesso anche<br />
nelle pubblicità si scelgano come paesaggio proprio le centrali eoliche).<br />
L’eolico lo si può vedere non come un tema infrastrutturale, ma culturale. L’eolico è un “paesaggio<br />
culturale” come le colline della Toscana. Paesaggi che non sono naturali, ma culturali,<br />
costruiti, e questo è un punto di vista interessante. Chi si oppone all’eolico, molto spesso,<br />
“sta fuori” al territorio, sono dei “cittadini” che vogliono vedere un paesaggio, ma che non si<br />
occupano della crescita sociale di quei luoghi. Sono luoghi spopolati, assolutamente depressi,<br />
quindi l’opposizione all’eolico è una critica snobistica, non viene da chi vive il territorio (Daniela<br />
Moderini, architetto del paesaggio).<br />
60 Per ogni kWh elettrico non prodotto dal mix di centrali elettriche convenzionali, ma da impianti eolici, viene evitata<br />
l’emissione in aria in Italia di circa 0,51 kg di anidride carbonica e di altri agenti inquinanti. Altri benefici fondamentali dell’eolico<br />
sono:<br />
• la riduzione della dipendenza dall’estero;<br />
• la diversificazione delle fonti energetiche;<br />
• la regionalizzazione della produzione.<br />
73
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Ci sono realtà in cui i parchi eolici sono meta di visite turistiche e didattiche e altrove<br />
dove una ferma opposizione ha bloccato la installazione degli impianti. Generalmente, le<br />
maggiori resistenze alla localizzazioni dei parchi eolici sono esercitate da chi ritiene che<br />
questi impianti costituiscano elementi detrattori del paesaggio, un’insopportabile intrusione.<br />
Chi mette al centro delle propri preoccupazioni il paesaggio così com’è (a volte bellissimo,<br />
altre con minor pregio estetico) è preoccupato dalle alterazioni del territorio. Non serve far<br />
osservare che altre intrusioni sono avvenute e avvengono senza che si noti un altrettanto<br />
organizzato e diffuso dissenso. Ci sono in Italia 55.000 piloni di elettrodotti, per non parlare<br />
delle migliaia di antenne televisive o per la telefonia. … Il nostro territorio presenta un abusivismo<br />
edilizio che grida vendetta, parabole e condizionatori d’aria sono appesi ovunque….<br />
(Silvestrini, 2004:24).<br />
Gli impianti eolici, dovendo essere collocati in siti ad elevata ventosità, sono, per forza<br />
di cose, ben visibili e rappresentano un segno innovativo rispetto ai caratteri di molti paesaggi<br />
e per questo possono non piacere. Il cuore della polemica e della resistenza nei confronti<br />
degli impianti eolici è l’estetica. Chi si batte contro l’eolico lo fa innanzitutto perché<br />
ritiene quegli impianti un rischio di trasformazione irreversibile e in negativo del paesaggio<br />
e del territorio agricolo.<br />
I conflitti creati dall’installazione delle centrali eoliche sono generati da una sostanziale incapacità<br />
di interpretare il paesaggio come un elemento dinamico nel quale identificarsi attraverso<br />
una consapevole costruzione di nuovi simboli. Si è di fronte ad una sorta di terrore dell’ignoto,<br />
del non conosciuto, la paura dell’errore che conduce all’immobilità (Battistella, 2010:216).<br />
L’impatto paesaggistico è uno degli ostacoli maggiori da superare visto il grande patrimonio<br />
naturale, storico ed artistico presente in Italia che, a detta di alcune associazioni<br />
ambientaliste, renderebbe inadeguata l’installazione delle centrali eoliche. 61 L’eolico è una<br />
tecnologia che va utilizzata in altri paesi, perché l’Italia è troppo pregiata e il contributo<br />
energetico è limitato; oppure, al contrario, che si può utilizzare, ma in quantità limitate e,<br />
quindi, con una produzione marginale. 62<br />
Vale davvero la pena imbracciare le armi contro l’eolico, come qualche novello Don Chisciotte<br />
propone, per salvare il paesaggio italiano dai pericoli portati da questi “smisurati giganti” 63<br />
61 Tra le associazioni che si battono contro “l’eolico selvaggio” si segnalano: il Comitato Nazionale per il Paesaggio (www.<br />
comitatonazionalepaesaggio.it), Via dal Vento (www.viadalvento.org), Italia Nostra (www.italianostra.org), Amici della Terra<br />
(www.amicidellaterra.it), Mountain Wilderness, LIPU (www.lipu.it), il blog www.infiltrato.it. Contro i parchi eolici industriali si<br />
sono dichiarate anche la <strong>Coldiretti</strong> e il CAI - Club Alpino Italiano (CAI, 2008; Salsa, 2010).<br />
62 Inoltre, questi oppositori dell’eolico ritengono che il meccanismo di incentivazione delle rinnovabili sia profondamente<br />
sbilanciato a favore dell’eolico e tale squilibrio toglie spazio alle altre rinnovabili. Secondo loro, l’Italia può e deve imboccare<br />
una strada diversa: rifiutare l’eolico e puntare decisamente sul solare (ma non sul fotovoltaico a terra) e sulle fonti rinnovabili<br />
termiche; tale scelta, insieme ad un maggiore risparmio ed efficientamento energetico, dovrebbe poter consentire ugualmente<br />
di raggiungere gli obiettivi nazionali di riduzioni delle emissioni e di diversificazione dell’approvvigionamento energetico. La<br />
posizione più estrema è quella di Carlo Ripa di Meana, presidente del Comitato Nazionale per il Paesaggio che nega il problema<br />
dell’accelerazione dei cambiamenti climatici, sostenendo che c’è troppo allarmismo, e preferisce il nucleare all’eolico (www.<br />
comitatonazionalepaesaggio.it).<br />
63 Il riferimento è al Don Chisciotte della Mancia di Miguel Cervantes, laddove (Parte I, VIII) il testo recita: “La fortuna<br />
guida le nostre cose meglio di quel che potremmo desiderare; perché guarda lì amico Sancho Panza, dove si scorgono trenta,<br />
o poco più, smisurati giganti con i quali mi propongo di venire a battaglia e di ucciderli tutti, in modo che con le loro spoglie<br />
cominceremo ad arricchirci, che questa è un buona guerra, ed è rendere un gran servigio a Dio togliere questa mala semenza<br />
dalla faccia della terra.” “Che giganti” domandò Sancho Panza. “Quelli che vedi lì” rispose il suo padrone ”dalle lunghe braccia,<br />
che alcuni possono averle di quasi due leghe.” “Badi signoria vostra” replicò Sancho “che quelli che si vedono là non son giganti,<br />
ma mulini a vento, e ciò che in essi sembrano braccia solo le pale che, girate dal vento, fanno andare la pietra del mulino.” “È<br />
74
7. Impatto ambientale e paesaggistico<br />
Pochi temi come l’eolico sollecitano discussioni, dividono i giudizi e muovono passioni in<br />
uno scontro che raccoglie grande attenzione da parte dei media. Ad alcuni secoli di distanza,<br />
l’intrusione nel paesaggio di una delle immagini più efficaci del fascino e della modernità del<br />
nuovo scenario delle fonti rinnovabili (basta guardare il largo uso che si fa delle pale eoliche<br />
nelle campagne pubblicitarie) provoca discussioni confuse e a volte violente. Diventa dunque<br />
importante capire le ragioni profonde dietro questa situazione, i motivi per cui all’ampio consenso<br />
con cui i cittadini guardano allo <strong>sviluppo</strong> delle fonti rinnovabili seguano poi convulse<br />
polemiche sugli interventi. Perché dietro la rappresentazione di una “battaglia sull’eolico” non<br />
ci sono solo ragioni di interesse o di visibilità mediatici – che pure sono evidenti in alcuni<br />
protagonisti – ma anche questioni ineludibili che occorre affrontare se si vuole coltivare una<br />
prospettiva di cambiamento del modello energetico e di <strong>sviluppo</strong> incentrato sulle fonti rinnovabili.<br />
Una prima questione riguarda l’Italia e il tipo di discussione che si svolge nel nostro Paese<br />
sull’eolico. … Contro i mulini a vento si sono organizzati comitati, arruolati testimonial famosi,<br />
promossi referendum comunali. L’eolico viene accusato di sottrarre risorse alle altre fonti<br />
rinnovabili, in particolare al solare, di dare un apporto energetico inutile a fronte di incentivi<br />
milionari, e da qualcuno addirittura si rappresentare il maggiore pericolo per il paesaggio<br />
italiano. Eppure se si vuole restare nell’ambito di una discussione che guardi al rapporto con<br />
il territorio, gli impianti eolici installati in Italia interessano una porzione di spazio limitata<br />
(meno del 3% dei Comuni). I numeri e gli impatti non sono poi lontanamente paragonabili<br />
con quelli delle cave (18 mila tra attive e abbandonate) o con quelli che ogni anno determina<br />
nel nostro Paese la piaga dell’abusivismo edilizio (30 mila abitazioni realizzate ogni anno).<br />
Perché allora nei confronti dell’eolico si levano maggiori polemiche e una apparente più forte<br />
indignazione … Una seconda riflessione riguarda in particolare l’ambientalismo che sembra<br />
vivere un insanabile conflitto tra due ragioni fondanti del suo messaggio: da un lato la tutela<br />
del territorio e dall’altro la ricerca di un diverso modello energetico per salvare il pianeta dai<br />
cambiamenti climatici. Proprio nel momento in cui le politiche pubbliche e gli investimenti<br />
privati vanno nella direzione, per tanti anni sospirata, delle fonti rinnovabili si evidenzia una<br />
fragilità della spinta ambientalista proprio intorno alla tecnologia in maggiore diffusione<br />
(Zanchini, 2010a:3-4).<br />
Altre associazioni del mondo ambientalista, 64 invece, considerano centrali le preoccupazioni<br />
per le alterazioni climatiche che rischiano di devastare il pianeta nel corso dei<br />
prossimi decenni e, di conseguenza, ritengono decisivo il contributo dell’eolico e delle<br />
altre fonti rinnovabili per la costruzione di un diverso modello energetico. Considerano le<br />
energie rinnovabili come strumento per contrastare i cambiamenti climatici e, quindi, sono<br />
aperte verso l’eolico, pur sostenendo con forza la necessità di escludere l’installazione degli<br />
impianti dai parchi e riserve nazionali e regionali, dalle aree della Rete Natura 2000, dalle<br />
rotte di migrazione degli uccelli e così via. Queste posizioni si coniugano con l’impegno<br />
da parte di queste associazioni affinché a livello <strong>locale</strong> lo <strong>sviluppo</strong> delle energie rinnovabili<br />
avvenga in modo corretto, attraverso scelte in armonia con il territorio, nel rispetto<br />
del paesaggio, della flora, dell’avifauna e fauna e consenta di innescare forme positive di<br />
<strong>sviluppo</strong> sostenibile.<br />
chiaro” disse don Chisciotte “che non te ne intendi di avventure; quelli sono giganti; e se hai paura togliti da qui e mettiti a<br />
pregare, mente io combatterò con essi un’aspra e impari battaglia”.<br />
64 Tra le associazioni che esprimono posizioni favorevoli all’eolico si segnalano: Greenpeace, Legambiente e WWF.<br />
75
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Il concetto di paesaggio<br />
Attraverso l’evoluzione giurisprudenziale la nozione di paesaggio ha subito rilevanti modifiche, passando<br />
da un’originaria concezione meramente culturale ed estetica per giungere ad una elaborazione<br />
più complessa, che include elementi naturali (foreste, coste, laghi, fiumi, etc.) e le relazioni con le<br />
comunità locali.<br />
A livello europeo, il paesaggio è così definito: “Il paesaggio designa una determinata parte di territorio,<br />
così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali<br />
e/o umani e dalle loro interrelazioni” (art. 1 della Convenzione Europea sul Paesaggio, sottoscritta<br />
a Firenze il 20 ottobre del 2000). La connotazione di questo concetto è quindi chiaramente, ed in<br />
maniera assai circonstanziata, legata al paesaggio come prodotto dell’interpretazione che la specie<br />
umana ne può dare e che essa stessa ha contribuito a modellare. La Convenzione Europea sul Paesaggio<br />
impegna gli Stati firmatari ad adottare politiche volte alla promozione e alla tutela della qualità<br />
del paesaggio estesa all’intero territorio nazionale, coinvolgendo le popolazioni locali nei processi<br />
decisionali ed attuativi. Come ampiamente argomentato dalla letteratura di settore, la questione del<br />
paesaggio è affermazione del diritto delle popolazioni alla qualità di tutti i luoghi di vita, sia straordinari<br />
sia ordinari, attraverso la tutela/costruzione della loro identità storica e culturale.<br />
L’art 9, comma 2 della Costituzione italiana recita: La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio<br />
storico e artistico della Nazione. Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, approvato con D.lgs<br />
42/2004, è oggi la legge fondamentale di tutela. Beni culturali e beni paesaggistici costituiscono nel<br />
Codice un insieme denominato “patrimonio culturale”, con espresso riferimento all’art. 9 Cost: ad esso<br />
riferiscono le definizioni di tutela e valorizzazione, due aspetti che “concorrono a preservare la memoria<br />
della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo <strong>sviluppo</strong> della cultura”.<br />
In un territorio come l’Italia, che conosce la presenza umana da decine di migliaia di anni, l’evoluzione<br />
del paesaggio non può assolutamente prescindere dall’opera dell’uomo. Masserie fortificate,<br />
cascinali isolati, abbazie e monasteri, torri costiere, castelli e fortezze, stazioni di posta e ponti,<br />
stalle e fienili, malghe e masi, baite e stazzi, blockhaus contro i briganti ottocenteschi e ricoveri per<br />
il bestiame, muretti a secco e basolati, silos e capanne votive, mulini e fornaci, rappresentano fli<br />
immobili e multiformi sigilli creati dall’uomo per marcare il suo dominio sul territorio e sull’ambiente<br />
naturale, spesso inospitale e temuto. Questo almeno fino ad un secolo fa, prima che l’uso del cemento<br />
armato e di altre tecniche costruttive moderne si diffondesse con imperiosa invadenza.<br />
La nostra posizione sull’eolico discende da quella del WWF internazionale che ha fissato una<br />
mission del WWF che è legata soprattutto a due grandi tematiche che sono:<br />
• lotta ai cambiamenti climatici;<br />
• lotta alla perdita di biodiversità.<br />
Queste sono le due grandi emergenze ambientali che vengono a definire i nostri programmi. Il<br />
tema della produzione di energia è incluso nel tema della lotta ai cambiamenti climatici, anche<br />
se tangenzialmente può avere una ricaduta sul tema della lotta alla perdita di biodiversità. In<br />
generale, la produzione di energia da petrolio, con la ricaduta della contaminazione può generare<br />
poi una ricaduta anche sulla produttività dei sistemi e quindi una perdita di servizi ai sistemi<br />
stessi e una conseguente perdita di biodiveristà. Sappiamo bene che, se non si frena l’eccesso di<br />
velocità verso i cambiamenti climatici, poi quello che noi vogliamo tutelare, ovvero la biodiversità,<br />
è destinata a scomparire, perché cambia proprio il ciclo della vita nel nostro pianeta. Noi,<br />
in questa posizione, riteniamo che l’eolico sia una fonte rinnovabile e come tale debba essere<br />
promossa e sostenuta. Ovviamente, quella italiana non è una realtà vergine e occorre disciplinare<br />
questo settore, quindi, la costruzione, la manutenzione, e lo smontaggio, e così via, ma<br />
anche il posizionamento degli aerogeneratori. L’eolico funziona se c’è vento, per cui sappiamo<br />
benissimo che in Italia si può fare solo in alcune parti. Ora, esiste anche un uso concomitante<br />
76
7. Impatto ambientale e paesaggistico<br />
del vento da parte di alcune specie migratorie. Questo è un elemento che per noi aggiunge delle<br />
difficoltà, perché l’Italia è un paese di transito per alcune specie di volatili. La migrazione già<br />
di per sé comporta rilevanti perdite per lo stress della stessa e per cause naturali, poi ci sono<br />
anche i cacciatori che li aspettano al varco. Il problema che temiamo è che il posizionamento<br />
delle torri eoliche venga a turbare questo processo naturale a due livelli:<br />
• in quanto si aggiunge come minaccia suppletiva rispetto a quelle che ho già citato;<br />
• che addirittura possa turbare il flusso migratorio in quanto tale e quindi costringere i migratori<br />
ad evitare certe parti del territorio.<br />
Per questi motivi, noi abbiamo sviluppato un documento con delle linee guida, in cui abbiamo<br />
indicato quali potrebbero essere i criteri con cui andare ad autorizzare gli impianti eolici in<br />
Italia. Mettendo dei paletti, dicendo no in certe parti, soprattutto in quelle che sono tutelate<br />
da un vincolo che non è di natura paesaggistica, ma proprio legata a classificazioni di aree<br />
naturali, come ad esempio i SIC e soprattutto le ZPS, che sono quelle fatte grazie alla direttiva<br />
comunitaria 407/79/CE sulle rotte migratorie. Come c’è la mappa del vento, c’è la mappa delle<br />
grandi rotte migratorie. In sostanza, noi vogliamo inquadrare il tema dell’eolico da un punto<br />
di vista strettamente scientifico, perché non siamo i tutori del paesaggio. Il paesaggio è qualcosa<br />
di antropico ed è anche un po’ soggettivo, può piacere o no. Ha un valore attributivo e,<br />
in quanto valore, ognuno li vede soggettivamente. Quindi, non ci interessa tanto il paesaggio,<br />
perché non è possibile legittimarlo su una base e in un ambito prettamente scientifico, anche se<br />
come concetto può essere utile quando per paesaggio si intende una vocazione (Stefano Leoni,<br />
presidente WWF Italia).<br />
Secondo queste associazioni, in Italia non si corre il rischio di intaccare la naturalità dei<br />
siti per il semplice fatto che gli attuali paesaggi sono stati costruiti dall’uomo nel corso dei<br />
secoli, trasformazione dopo trasformazione. Gli stessi che si scandalizzano per una fila di torri<br />
eoliche nulla dicono su altre ben più pesanti trasformazioni, come i centri commerciali che<br />
guidano l’urbanizzazione selvaggia consumando nuovo suolo, o le cave, che punteggiano il<br />
Bel Paese; tutti interventi irreversibili. Inoltre, la bellezza del paesaggio è un fattore storico<br />
e con forti elementi di soggettività, da cui è difficile evadere. 65 Gli impianti eolici, se ben inseriti,<br />
possono rappresentare un’ulteriore evoluzione del paesaggio italiano, perché l’identità<br />
non si dà una volta per tutte, ma continuamente si evolve.<br />
Noi come Greenpeace siamo assolutamente a favore dell’eolico. Alcune associazioni ambientaliste<br />
la pensano diversamente da noi, mentre noi crediamo che l’eolico sia necessario per<br />
raggiungere gli obiettivi per il 2020. Crediamo che l’eolico comporti una alterazione paesaggistica<br />
accettabile rispetto agli obiettivi che ci si propone e anche paragonato a quegli impianti<br />
ad energia fossile che sono stati realizzati anche di recente che erano e sono dannosi sia per<br />
l’impatto paesaggistico sia per la salute umana, l’eolico ha quantomeno il pregio di non essere<br />
dannoso per la salute. Non crediamo che l’eolico cambi la visibilità e la bellezza del paesaggio,<br />
anzi, dal nostro punto di vista, l’eolico spesso migliora pure il paesaggio…. Poi, siamo d’accordo<br />
che ci sia bisogno di una regolamentazione, ad esempio, delle aree dove vietare l’installazione<br />
di impianti eolici: i parchi nazionali, le aree protette, i SIC, le ZPS, le montagne sopra i<br />
1.600 metri (Domenico Belli, Greenpeace).<br />
La grande confusione in ambito normativo che ha caratterizzato, e in parte ancora caratterizza,<br />
le procedure di approvazione degli impianti eolici ha fatto sì che molti di questi<br />
65 Basti, per tutti, l’esempio della Tour Eiffel, ferocemente contestata al momento della sua costruzione per l’Esposizione<br />
Universale del 1900, tanto che per mettere a tacere le polemiche si decise di smontarla alla fine dell’evento; dopo 110 anni la<br />
Tour Eiffel è lì, simbolo di Parigi, segno indelebile dello skyline parigino.<br />
77
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
venissero costruiti in assenza di un’appropriata valutazione di impatto ambientale e con una<br />
forte disattenzione alla progettazione e all’estetica del paesaggio, con la conseguenza di<br />
consolidare le resistenze esercitate oggi nei confronti di tali impianti. Ad esempio, l’assenza<br />
di regole per una corretta ed efficace programmazione territoriale ha portato a realizzare in<br />
alcune parti dell’Appennino tra Puglia, Campania e Molise chilometri di torri differenti per<br />
dimensione, colore e forma, che chiudono completamente i crinali e il paesaggio, realizzati<br />
da aziende diverse proprio sui confini amministrativi dei Comuni.<br />
Da quando sono stati introdotti gli incentivi volti a favorire lo <strong>sviluppo</strong> delle energie rinnovabili,<br />
e in particolare quelle da fonte <strong>eolica</strong>, ci siamo trovati di fronte a una serie frammentata di<br />
aggressioni al territorio agricolo, in particolare nelle regioni del Sud. Vittima di questo processo<br />
è rimasto il territorio agricolo. Dico vittima, perché noi abbiamo registrato una sufficiente<br />
arroganza e prepotenza di tutte le imprese che in prevalenza investono nell’energia <strong>eolica</strong>. Ci<br />
sono importanti soggetti che hanno ritenuto di occupare questo spazio di mercato garantito<br />
senza monitorare eventuali impatti o conseguenze che l’economia <strong>locale</strong> ne poteva subire. Dico<br />
l’economia <strong>locale</strong>, perché il territorio agricolo, cioè dove si svolge la vita rurale, è sicuramente<br />
complesso, è anche un tessuto sociale e oggi molte imprese investono anche nell’economia<br />
dei servizi. Inoltre, la qualità dei luoghi costituisce un elemento di competitività: c’è la logica<br />
della multifunzionalità, c’è l’ospitalità, l’esplorazione del territorio da parte di flussi di cittadini<br />
consumatori che nei loro viaggi e nelle soste conoscono il territorio e acquistano prodotti. Per<br />
cui, in alcune aree la visione di un ambiente conservato, oggetto di una manutenzione molto<br />
attenta da parte delle imprese, si è trovato di fronte a progetti di inserimento diffuso, molto<br />
spesso irrazionale – irrazionale, perché magari alcuni comuni assentivano alla iniziativa e altri<br />
ai confini la escludevano – e, quindi, la perimetrazione dei parchi eolici è risultata asimmetrica<br />
rispetto ad uno svolgimento ponderato. Questo ha determinato una serie notevole di frizioni.<br />
Abbiamo partecipato, organizzato e condiviso molte iniziative sul territorio di lettura critica di<br />
questi interventi (Stefano Masini, <strong>Coldiretti</strong>).<br />
L’attuale tendenza di semplificare le procedure – ribadita dall’emanazione delle Linee<br />
Guida nazionali nel 2010 - demanda alle Regioni o ad altri soggetti istituzionali (le Province)<br />
designati da queste, la responsabilità delle autorizzazioni per la costruzione e l’esercizio degli<br />
impianti di produzione di energia rinnovabile. Ma, per essere efficace, questa semplificazione<br />
delle procedure autorizzative dovrebbe essere accompagnata dalla previsione di:<br />
• modalità di gestione degli eventuali conflitti emergenti, ogni qual volta si intenda<br />
costruire un nuovo impianto, attraverso il coinvolgimento attivo degli abitanti dei luoghi<br />
che si vanno a trasformare con l’inserimento delle centrali eoliche;<br />
• predisposizione di uno specifico progetto architettonico e paesaggistico, in grado di<br />
determinare una trasformazione di qualità del paesaggio. 66<br />
Le Linee Guida sono fatte da persone che non hanno mai fatto un progetto. Per ogni luogo devi<br />
“inventarti” un procedimento diverso. Noi abbiamo lavorato sui Pirenei, in Puglia, in Romania,<br />
in Armenia, però pur avendo fatto decine di progetti non c’è un criterio. Anzi, c’è un criterio<br />
che è quello di elaborare un progetto fatto coerentemente con il territorio. Devi prima saperlo<br />
66 A questo proposito, si veda più avanti e l’Allegato 4 Impianti eolici: elementi per il corretto inserimento nel paesaggio e sul<br />
territorio delle Line guida nazionali. Nel dicembre 2006 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC) ha pubblicato delle<br />
linee guida per l’inserimento di impianti eolici nel paesaggio, in risposta alla ratifica da parte del governo della Convenzione<br />
europea del paesaggio, firmata il 14 gennaio 2006 (si veda il manuale Gli impianti eolici: suggerimenti per la progettazione e la<br />
valutazione paesaggistica che fa parte della collana Linee guida per l’inserimento paesaggistico degli interventi di trasformazione<br />
territoriale, a cura della Direzione generale per i beni architettonici e paesaggistici del MiBAC ed è frutto di un lavoro congiunto<br />
tra il MiBAC e il Politecnico di Milano).<br />
78
7. Impatto ambientale e paesaggistico<br />
“leggere” e sono tutti diversi e questo è il problema. Quindi la generalizzazione diventa sterile<br />
(Daniela Moderini, architetto del paesaggio).<br />
Lo <strong>sviluppo</strong> dell’energia <strong>eolica</strong> può innescare processi virtuosi se i progetti sono capaci<br />
di legarsi alle risorse locali, se risultano attenti ai problemi del paesaggio e delle attività<br />
economiche. Serve per questo una chiave di attenzione <strong>locale</strong> capace si ragionare sui territori<br />
e le prospettive di riqualificazione, ma anche una forte attenzione al consenso, alla diffusione<br />
di informazioni e di partecipazione attiva alle scelte.<br />
Per avere un parco, e arrivare alla sua gestione, è importante avere l’accettazione sociale. Gestire<br />
un parco nella prospettiva di essere presente per 20–25 anni su quel territorio, significa<br />
che sia vissuto bene dalla popolazione. Nel nostro caso, il fatto di avere una filiera che parte<br />
dallo scouting e dalla misurazione anemometrica dei siti e arriva alla gestione del parco, fa sì<br />
che ci poniamo non da “speculatori”, ma come “attori” che iniziano a vivere un pezzo di storia<br />
del territorio. Ci siamo resi conto che è importante calarsi nel territorio e, di conseguenza,<br />
puntiamo a sviluppare l’eolico cercando di capire quali sono le esigenze del territorio, anche in<br />
funzione di quali opere di compensazione, mitigazione e di valorizzazione territoriale c’è bisogno.<br />
Quindi non solo l’eolico che porta ricchezza in quanto royalty, prassi normale nel settore,<br />
ma per cercare di portare “valore aggiunto”. Ad esempio, a Stella, 67 ci siamo accorti. Quindi,<br />
abbiamo pensato di fare dei tabelloni per le famiglie, perché ci siamo accorti frequentando il<br />
sito che lì che il sabato e la domenica era tipico per la gente del paese fare una scampagnata in<br />
quei posti. Altri siti hanno bisogno di altre cose. Il Parco lo cuciamo sulle necessità del paese.<br />
Quindi, là dove si fa eolico è fondamentale cercare di capire qual è esigenza territoriale principale<br />
e, in questo senso, è importante è avere l’appoggio dell’amministrazione <strong>locale</strong>. Alla fine,<br />
i nostri parchi sono effettivamente tra i più produttivi d’Italia, perché abbiamo un interesse<br />
principale e cioè nel fare parchi là dove servono (Giulia Canavero, FERA Srl).<br />
C’è una grossa differenza fra l’energia <strong>eolica</strong> come idea generale e le turbine a vento<br />
come strutture accettabili nel paesaggio. Nei sondaggi realizzati a livello nazionale, le persone<br />
sostengono l’idea generale delle energie rinnovabili e di quella <strong>eolica</strong>. 68 Ma, quando si<br />
passa a progetti concreti per il territorio <strong>locale</strong>, l’accettazione sembra spesso scomparire.<br />
Questo è definito la sindrome del Not in my back yard o, in breve, la sindrome Nimby. 69 La<br />
teoria di base è che le persone sostengono l’energia <strong>eolica</strong> a livello astratto (nei sondaggi,<br />
circa l’80% dei cittadini italiani ed europei è favorevole all’eolico), ma mettono in discus-<br />
67 Il parco eolico di Stella (SV), inaugurato nel Giugno del 2007 e composto da tre aerogeneratori da 800 kW per complessivi<br />
2,4 MW. A testimonianza della cura messa nella progettazione e costruzione del parco eolico, il Comune di Stella è stato<br />
premiato nel 2007 attraverso il Premio Pimby: “Per aver contribuito a dimostrare come infrastrutture e tutela dell’ambiente si<br />
possono conciliare quando si tengono in particolare considerazione gli equilibri ambientali e l’armonia del paesaggio”. Attenti<br />
studi di integrazione paesaggistica e di mitigazione degli impatti hanno permesso di ridurre le trasformazioni dei siti. Inoltre,<br />
sono stati effettuati monitoraggi dell’avifauna sia prima che dopo la realizzazione del parco eolico, e percorsi per i cittadini<br />
che accompagnano il visitatore alla scoperta del parco. L’impianto è in grado di produrre 6.000 MWh/anno, pari al fabbisogno<br />
energetico di circa 1.500 nuclei domestici, pari al 100% del fabbisogno elettrico delle famiglie residenti.<br />
68 Ogni sondaggio sull’eolico mostra come i cittadini italiani siano in nettissima maggioranza favorevoli all’eolico. In merito<br />
alla accettabilità della tecnologia <strong>eolica</strong>, una recente (giugno 2010) indagine demoscopica della società ISPO commissionata<br />
da APER indica nell’80% il consenso per l’eolico sul campione nazionale, dato che scende di poco, al 71%, negli intervistati dei<br />
comuni ove i parchi eolici esistono.<br />
69 Questa etichetta della sindrome Nimby è un po’ malevola perché suggerisce che gli oppositori locali siano mossi da interessi<br />
spregevoli, egoistici e particolaristici. E tuttavia, se ragioniamo a mente fredda, dobbiamo riconoscere che le comunità<br />
interessate possono avere ottime ragioni per non sobbarcarsi una servitù a vantaggio dell’intera collettività. E infatti esse tendono<br />
ad usare un argomento cui è molto difficile controbattere: “perché proprio qui”, “perché deve toccare proprio a noi”. Le<br />
comunità locali sono quasi sempre in grado di difendersi efficacemente. Si formano comitati spontanei di cittadini. Si tengono<br />
assemblee popolari affollate. Si organizzano proteste. È probabile che qualche politico sia tentato appoggiare (qualcuno potrebbe<br />
dire: strumentalizzare) la protesta e finisca così per incrinare la compattezza delle istituzioni. Gli esempi di queste evoluzioni<br />
sono ormai innumerevoli.<br />
79
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
sione specifici progetti locali a causa delle temute conseguenze riguardo principalmente agli<br />
impatti visivi e al rumore.<br />
La sindrome Nimby non è caratteristica degli impianti eolici. Si verifica in molte altre<br />
situazioni. Nuove strade, ponti, gallerie, ospedali, aeroporti, impianti nucleari e altre strutture<br />
per la produzione di energia, tutti incontrano resistenze a livello delle comunità locali.<br />
Gli studi su questi fenomeni concludono che sull’atteggiamento del pubblico nei confronti<br />
di un progetto, più degli impatti reali legati alle dimensioni dell’impianto, come le trasformazioni<br />
del paesaggio, pesano altri fattori, come: chi lo realizza, il ruolo dei decisori locali, le<br />
modalità in cui si struttura il processo complessivo di decisione (Ammassari e Palleschi, 2007;<br />
Bobbio, 2004; EWEA, 2009b:399-411; Oteri, 2009; Wolsink, 2007). L’opposizione <strong>locale</strong> è spesso<br />
basata sulla sfiducia, sulle reazioni negative verso coloro (gli sviluppatori, le autorità e gli<br />
operatori energetici) che cercano di realizzare gli impianti, e sulle modalità con cui vengono<br />
pianificati e gestiti i progetti, e non tanto sul rifiuto degli aerogeneratori in sé stessi.<br />
Sento anche dalla nostra base, dai nostri volontari sul territorio che localmente si trovano dei<br />
comitati “contro” se non vedono la finalità positiva del progetto. Noi di comitati viviamo, per<br />
cui sappiamo che con loro ci vuole una grande pazienza. In realtà, i comitati sono una forma<br />
di partecipazione che non deve essere sottovalutata. Se si arriva al comitato qualcosa ha fallito<br />
prima, nella capacità di presentare un progetto. Poi, c’è il comitato “strumentale” o il caso<br />
politico, ma sono 5–10, mentre gli altri 150, 200, 300, sono indicatori che qualcosa c’è, che è<br />
mancato un passaggio: è mancata la capacità di far partecipare le popolazioni ad una scelta<br />
di trasformazione territoriale (Costanza Pratesi, FAI).<br />
Pertanto, gli studi suggeriscono che un approccio partecipativo al progetto di localizzazione<br />
ha effetti positivi sull’opinione pubblica e conduce a una diminuzione delle resistenze.<br />
Come afferma Wolsink (2007:1204):<br />
the best way to facilitate the development of wind projects is to build institutional capital<br />
(knowledge resources, relational resources and the capacity for mobilisation) through collaborative<br />
approaches to planning.<br />
Quello che conta è coinvolgere la popolazione <strong>locale</strong> nella procedura di localizzazione,<br />
entro processi di piano trasparenti e con un alto livello informativo (assemblee pubbliche,<br />
seminari, sportelli informativi, etc.). Se si vogliono ridurre al minimo le opposizioni, tutte le<br />
parti in causa devono avere effettiva opportunità di influenzare un progetto.<br />
Le decisioni prese sopra la testa delle popolazioni locali sono il modo più diretto per generare<br />
proteste. La carenza di comunicazione fra chi abita dove sarà realizzato un impianto e<br />
chi lo vuole realizzare, le burocrazie locali, l’ambito della decisione politica, diviene un catalizzatore<br />
perfetto per trasformare lo scetticismo <strong>locale</strong> in azioni concrete contro progetti specifici.<br />
Al contrario, informazione, dialogo e partecipazione sono la strada per l’accettazione.<br />
Le Linee guida nazionali prevedono che “il coinvolgimento dei cittadini in un processo di<br />
comunicazione e informazione preliminare all’autorizzazione e realizzazione degli impianti o di<br />
formazione per personale e maestranze future” sia uno dei requisiti per la valutazione positiva<br />
dei progetti. 70<br />
70 Le Linee guida, da una parte si rivolgono ai progettisti che si applicano ad un nuovo progetto di realizzazione di un impianto<br />
eolico di qualsiasi dimensione, perchè prendano coscienza dell’opportunità di un’integrazione del punto di vista paesaggistico/ambientale,<br />
a partire dalle prime fasi di progettazione. Ma, sono rivolte anche ai valutatori, ai quali spetta il compito di<br />
verificare le compatibilità degli interventi dal punto di vista paesaggistico/ambientale, affinché abbiano gli strumenti necessari<br />
80
7. Impatto ambientale e paesaggistico<br />
La partecipazione del pubblico è espressamente richiesta nelle direttive UE 85/337, come modificata<br />
dalla direttiva 97/11 relativa alla VIA e 2001/42 relativa alla VAS. Entrambe, infatti,<br />
impegnano gli Stati membri ad attivare strumenti di libera e facile informazione sui dati ambientali,<br />
anche quelli non sistematici o riservati. A questo proposito vi è una specifica direttiva,<br />
la 90/313, che stabilisce il libero accesso alle informazioni ambientali, recepita ormai da quasi<br />
tutti gli Stati, Italia compresa. … In Italia, tuttavia, nonostante la tendenza positiva verso<br />
una maggiore partecipazione nei processi di valutazione e un miglioramento della comunicazione<br />
ambientale, gli sforzi fatti in questa direzione da parte dei promotori dei progetti e dei piani<br />
sono ancora insufficienti. Le autorità pubbliche ambientali non hanno dedicato abbastanza<br />
tempo e risorse in questa direzione, così che la problematica rimane ancora affrontata in modo<br />
inadeguato. … I promotori dei progetti e dei piani non vedono con favore la partecipazione<br />
del pubblico nei processi decisionali riguardanti le opere, per diversi motivi legati al rischio di<br />
vedere aumentare i costi, di protrarre indefinitamente - per interessi e priorità dei diversi gruppi<br />
che si esprimono sul progetto stesso - i tempi di attesa prima di decidere la realizzazione di un<br />
progetto e alla preoccupazione che la decisione possa essere influenzata più da gruppi locali<br />
molto attivi, piuttosto che sollecitata da interessi più generali. Per questi motivi i proponenti<br />
non utilizzano positivamente le relazioni con il pubblico, limitandole agli obblighi procedurali e<br />
considerandole un inevitabile ulteriore problema da risolvere per ottenere l’approvazione del loro<br />
progetto. D’altra parte, la partecipazione del pubblico ha avuto spesso connotati di sola opposizione<br />
ai progetti o ai piani, anche perché l’esperienza è sostanzialmente limitata alla VIA. In<br />
questo caso la procedura ha avuto, fino ad oggi, uno specifico momento per la partecipazione,<br />
quello delle così dette “osservazioni del pubblico”, limitandone quindi oggettivamente il contributo<br />
ai soli aspetti critici, in quanto unico momento per poter esprimere una opinione contraria<br />
alla proposta. Anche da parte delle autorità ambientali che si esprimono sulla compatibilità dei<br />
progetti, o che dovranno farlo sui Piani/Programmi, l’apporto del pubblico è raramente visto<br />
in una ottica costruttiva; anche quando l’informazione è effettivamente garantita, questa non<br />
assume quasi mai il carattere di una partecipazione alle scelte o alle soluzioni quanto bensì di<br />
un condizionamento, più o meno forte alla decisione finale. Questo limite, che potrebbe essere<br />
meno forte nella VAS rispetto alla VIA, per il carattere di processo della procedura e quindi più<br />
adatto alle interazioni e retroazioni, potrebbe trovare una soluzione qualora la partecipazione<br />
del pubblico non fosse limitata ad una fase specifica del processo decisionale (Ammassari e<br />
Palleschi, 2007:45-46).<br />
Anche il Protocollo d’intesa Anev-Legambiente-WWF-Greenpeace prevede che vengano<br />
definite prioritariamente azioni di informazione e sensibilizzazione per la condivisione del<br />
progetto da parte delle popolazioni e delle autorità locali. Spesso i conflitti intorno alle<br />
proposte di impianti eolici nascono da forzature, da impianti sovradimensionati con una<br />
impronta “speculativa”.<br />
Dove dissensi e conflitti sono stati gestiti bene, nel quadro di un confronto trasparente<br />
e chiaro con il territorio sulle scelte, questo ha portato ad una modifica dei progetti in base<br />
alle proposte fatte dal territorio, ma i parchi eolici si sono installati e l’ostilità pregressa si è<br />
trasformata in molti casi in una benevola accettazione determinata non solo dalla constatazione<br />
di potere convivere con gli aerogeneratori, ma anche dal fatto che quelle torri entrano<br />
a far parte del paesaggio esattamente come è successo per le modifiche apportate dall’uomo<br />
al contesto naturale nel corso dei secoli. Alcuni sondaggi hanno evidenziato come il parere<br />
positivo degli abitanti si sia incrementato dopo la realizzazione dei parchi eolici.<br />
ad una valutazione ponderata, nel merito delle proposte progettuali. Secondo le Linee guida il processo di progettazione deve<br />
partire dall’analisi attenta dei luoghi con la consapevolezza che gli interventi eolici possono portare un grande cambiamento al<br />
territorio e, quindi, è necessario intervenire in maniera compatibile, appropriata e condivisa.<br />
81
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Dove tale conflitto è stato ben gestito si è rilevata non solo una buona assimilazione nell’ambiente<br />
antropizzato delle centrali, ma anche una consapevole presa d’atto che gli aerogeneratori<br />
sono espressione di una naturale evoluzione che vede l’uomo come artefice della costruzione di<br />
nuovi paesaggi. Gli esempi di maggiore successo mostrano che, oltre a considerare gli aspetti<br />
prettamente tecnici, è necessario prevedere un impegno nella consultazione delle amministrazioni<br />
locali e nell’instaurare un rapporto diretto con i residenti, informandoli sulle reali conseguenze<br />
dell’operazione (Battistella, 2010:22).<br />
Interventi territoriali e processi partecipativi<br />
Negli ultimi due decenni in Italia e in Europa sono state realizzate diverse esperienze di <strong>sviluppo</strong><br />
<strong>locale</strong> (dai Patti territoriali ai Contratti di quartiere, agli Accordi di programma, dalle Conferenze di<br />
servizi ai Comitati locali per l’educazione degli adulti, ai Piani sociali di zona), incentrate sul coinvolgimento<br />
degli attori locali e dei cittadini nelle scelte che li riguardano. Lo <strong>sviluppo</strong> dei processi<br />
partecipativi/inclusivi (processi di concertazione, partenariato, partecipazione, consultazione, negoziazione,<br />
accordi, intese) deriva dalla convergenza di motivazioni ideali e pressioni pratiche molto<br />
diverse tra di loro e, in parte, anche contraddittorie. Il principale banco di prova di queste esperienze<br />
sono state le politiche di rigenerazione/riqualificazione urbana. I governi locali hanno cominciato a<br />
rendersi conto che non potevano procedere dall’alto con i loro progetti di <strong>sviluppo</strong>, senza offrire ai<br />
cittadini coinvolti la possibilità di interloquire con l’amministrazione e di negoziare soluzioni accettabili.<br />
Il problema non si è posto soltanto per progetti immobiliari di tipo speculativo, che miravano<br />
ad eliminare le abitazioni di tipo popolare (e i loro abitanti). Anche i progetti nati con le migliori<br />
intenzioni per migliorare le condizioni di vita dei residenti hanno finito per incontrare opposizioni e<br />
resistenze da parte dei loro potenziali beneficiari, scatenando la cosiddetta sindrome Nimby. Quello<br />
che gli urbanisti o i pianificatori consideravano come un “miglioramento” non era necessariamente<br />
percepito come tale dai diretti interessati. Hanno, quindi, cominciato a diffondersi, tra le amministrazioni,<br />
pratiche di ascolto e di negoziazione con i comitati degli inquilini e i comitati di quartiere,<br />
grazie anche alle elaborazioni sviluppate da parte di sociologi urbani, architetti e urbanisti impegnati<br />
nel “lavoro di comunità” in stretto contatto con i leader locali della protesta. Dall’Inghilterra, dove<br />
è nata, l’”urbanistica partecipata” si è diffusa in tutte le grandi città europee.<br />
L’idea di fondo, che ha cominciato a circolare tra i governi locali, è che non si tratta semplicemente<br />
di offrire servizi ai propri cittadini secondo buoni standard tecnici e di qualità decisi dall’alto, ma il<br />
problema è quello di favorire l’empowerment dei cittadini stessi, ossia di accrescere i loro poteri, la loro<br />
capacità di incidere sul loro stesso futuro. Le pratiche di partecipazione si sono estese anche ad altri<br />
settori, per esempio nel campo delle politiche sociali, economiche o sanitarie, allo scopo di ottenere<br />
una percezione più precisa dei bisogni (sempre più personalizzati) e di incoraggiare i cittadini stessi<br />
nella autonoma ricerca di soluzioni.<br />
A spingere in questa direzione è stata anche la diffusione e la frammentazione dei movimenti di<br />
protesta condotti da micro-comunità per la difesa, poniamo, di un parco pubblico o contro un insediamento<br />
giudicato sgradevole per i cittadini, che dovevano subirlo (l’apertura di un centro commerciale,<br />
l’allargamento di un aeroporto, l’installazione di un impianto per lo smaltimento rifiuti). Di<br />
fronte a queste reazioni, di piccola scala, ma assai energiche, le amministrazioni locali hanno dovuto<br />
aprirsi a qualche forma di dialogo con i cittadini coinvolti, allo scopo di concordare la ridefinizione<br />
dei progetti, l’introduzione di mitigazioni o l’elargizione di compensazioni.<br />
“La partecipazione del pubblico, come anche provato dall’esperienza, permette di condividere le informazioni<br />
su un progetto o un piano, chiarire gli equivoci, ottenere una migliore comprensione delle<br />
questioni di rilievo, sviluppare le precedenti problematiche sulla valutazione, individuare e approfondire<br />
gli aspetti conflittuali quando la proposta progettuale è ancora in fase iniziale. Le considerazioni e le<br />
risposte suscitate dalle osservazioni del pubblico sono un contributo unico in grado di suggerire al pro-<br />
82
7. Impatto ambientale e paesaggistico<br />
gettista misure fondamentali per evitare le opposizioni locali e alcuni problemi ambientali. Le misure<br />
che derivano dall’interazione col pubblico possono essere probabilmente più innovative, percorribili e<br />
accettabili di quelle proponibili solo dai progettisti in base a considerazioni meramente tecniche. Le<br />
modifiche ai progetti, effettuate nelle fasi iniziali della pianificazione e della progettazione, sono più<br />
facili e economicamente meno rilevanti di quelle effettuate in una fase avanzata della progettazione<br />
o addirittura in corso d’opera. I Progetti, i Piani e i Programmi che non devono essere modificati sono<br />
infatti molto più economici, efficaci e tempestivi. Una partecipazione fin dalle prime fasi è efficace e<br />
previene il crescendo di frustrazioni e contrapposizioni che si manifesta quando le decisioni sono prese<br />
ignorando le istanze locali, evitando quindi la successiva partecipazione forzata che si ha quando le<br />
posizioni sono ormai radicalizzate. La realizzazione di un progetto procede di solito con costi più contenuti<br />
e senza particolari asprezze se i residenti locali sono d’accordo con la proposta. Le proteste sono<br />
minori, gli sforzi più costruttivi e alcuni impatti possono essere evitati o sensibilmente ridotti. Ricerche<br />
anche recenti hanno dimostrato come il giudizio del pubblico, e le pressioni che eventualmente possono<br />
essere esercitate, siano considerate tra i fattori più importanti nella preparazione degli studi di impatto<br />
ambientale, determinandone la qualità. L’esperienza ormai acquisita dimostra, quindi, che i benefici<br />
complessivi superano di gran lunga i costi della partecipazione, nonostante le spese e l’impegno che un<br />
processo partecipativo completo, integrato in tutte le fasi della pianificazione e progettazione, potrà<br />
avere” (Ammassari e Palleschi, 2007:47).<br />
Indubbiamente, il coinvolgimento diretto dei cittadini nelle scelte di governo resta un’esperienza<br />
minoritaria, punteggiata da un crescente numero di “buone pratiche”, riconosciute e incentivate<br />
dall’Unione Europea oltre che dalle politiche urbane e di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> degli stati nazionali, ma non<br />
si configura ancora come una prassi consolidata e indiscussa. Si tratta, comunque, di un campo di<br />
sperimentazione che riguarda in modo più specifico i governi locali, contribuendo così a distinguerli<br />
dalle amministrazioni di rango nazionale e segnando la più netta rottura rispetto alle pratiche delle<br />
amministrazioni burocratiche del ‘900.<br />
All’interno di un approccio partecipativo, si possono trovare metodi e tecniche diversi per raggiungere<br />
gli obiettivi proposti. I metodi rappresentano diverse e alternative interpretazioni operazionali<br />
degli approcci, ed individuano puntualmente come preparare e condurre un processo partecipativo<br />
nel suo complesso. Le tecniche sono strumenti con fini conoscitivi, analitici, rappresentativi, comunicativi<br />
e così via, mirati a risolvere singoli passaggi operativi all’interno dell’approccio metodologico<br />
scelto. Metodi diversi usano spesso tecniche simili, ad esempio per raccogliere informazioni, preferenze<br />
o giungere a decisioni condivise. Molte delle tecniche - quali quelle sulla gestione di dinamiche<br />
di gruppo - vengono da campi anche molto lontani dalla pianificazione e progettazione di interventi<br />
di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, come la psicologia, applicata a contesti di promozione del cambiamento nei contesti<br />
più diversi, compresi quelli del settore privato.<br />
Gli approcci possono essere distinti sulla base dei gradini della scala di Arnstein (1969) della partecipazione<br />
(vedi tabella): egli ha messo in luce non solo che esistono vari livelli di partecipazione,<br />
ma anche che “poca partecipazione” può significare “falsa partecipazione” (tokenism, cioè “dare un<br />
contentino”).<br />
Potere ai cittadini<br />
Partecipazione irrisoria<br />
Non partecipazione<br />
Controllo ai cittadini – autoproduzione/autogestione<br />
Potere delegato<br />
Partenariato – collaborazione/coinvolgimento<br />
Consultazione<br />
Informazione/comunicazione<br />
Smorzamento<br />
Trattamento terapeutico<br />
Manipolazione<br />
83
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Gli approcci vengono distinti prendendo in considerazione i gradini della partecipazione al di sopra<br />
del livello della non-partecipazione, ossia:<br />
• informazione/comunicazione (passiva e/o interattiva): attraverso la presentazione della proposta,<br />
la pubblicizzazione tramite i media e la raccolta delle osservazioni del pubblico; vi è scambio d’informazioni,<br />
ma non partecipazione diretta all’elaborazione progettuale;<br />
• consultazione (raccolta aperta di opinioni/preferenze e ascolto strutturato su alternative definite):<br />
attraverso udienze pubbliche di presentazione e discussione; a questo livello il pubblico, sebbene<br />
informato e ascoltato, ancora non partecipa direttamente all’elaborazione della proposta;<br />
• collaborazione/coinvolgimento attivo (ad esempio, attraverso approcci che mirano a: creare visioni/strategie<br />
comuni, progettare a scala urbana, progettare a scala edilizia, conoscere/valutare,<br />
educare/esplorare): si svolge con commissioni consultive, gruppi di lavoro organizzati; il pubblico<br />
partecipa direttamente all’elaborazione della proposta;<br />
• autoproduzione/autogestione: con organismi delegati, commissioni e gruppi di lavoro; in questo<br />
caso è lo stesso pubblico, con un’assistenza tecnica, che elabora la proposta progettuale.<br />
Ognuno degli approcci, inoltre, si distinguono oltre che per alcuni presupposti concettuali anche per<br />
il modo in cui si affrontano una serie di questioni, quali:<br />
• chi promuove la partecipazione;<br />
• a quale scopo viene promossa;<br />
• come è strutturato il processo di partecipazione (metodo);<br />
• quale è l’ampiezza dell’ambito di partecipazione.<br />
Infine, i diversi approcci possono essere raggruppati in tre famiglie principali, a seconda dei problemi<br />
che essi si propongono di affrontare, distinguendo tra:<br />
• tecniche per l’ascolto, ossia metodi che aiutano a capire come i problemi sono percepiti dagli stakeholders<br />
e dai comuni cittadini. Possono essere impiegati soprattutto nella fase preliminare, quando<br />
si tratta di avviare un processo inclusivo, individuare i possibili interlocutori e capire quali sono i<br />
temi su cui lavorare;<br />
• tecniche per l’interazione costruttiva, ossia metodi che aiutano i partecipanti a interloquire tra<br />
di loro e a produrre conclusioni interessanti. Possono essere impiegati per organizzare e gestire il<br />
processo decisionale inclusivo;<br />
• tecniche per la risoluzione dei conflitti, ossia metodi che aiutano ad affrontare questioni controverse.<br />
Possono essere impiegati quando sorge un conflitto.<br />
7.1 Impatto visivo<br />
Non si può prescindere dal fatto che gli aerogeneratori sono strutture che si evidenziano<br />
nel paesaggio e vanno a relazionarsi e ad interagire con altri elementi territoriali. È pressoché<br />
impossibile nascondere un parco eolico, con torri alte 90 metri, perché per funzionare al meglio<br />
deve essere esposto il più possibile al vento. 71 Le odierne turbine eoliche sono macchine<br />
di grandi dimensioni, questo è dovuto al fatto che esse debbono generare discrete quantità<br />
di energia elettrica da una fonte (il vento) a bassa densità di potenza. La turbina <strong>eolica</strong> tipo<br />
è una macchina che ha una torre dai 70 ai 90 metri ed un rotore tra i 60 e gli 80 metri di<br />
diametro. Volendo produrre una quantità significativa di energia sarà necessario installare tra<br />
i 10 e i 40 aerogeneratori ed interessare un vasta porzione di territorio. Gli aerogeneratori<br />
con le loro strutture di sostegno, le cabine di trasformazione, le strade che mettono in collegamento<br />
tra loro le torri eoliche e gli apparati di consegna dell’energia prodotta, compresi<br />
71 È proprio la visibilità degli impianti eolici, la loro distribuzione decentrata sul territorio e la loro prossimità alla vita<br />
quotidiana dei cittadini, che differenzia questi impianti da fonte rinnovabile da quelli convenzionali a fonti fossili che hanno<br />
un carattere centralizzato, distante, separato e “sotterraneo”.<br />
84
7. Impatto ambientale e paesaggistico<br />
gli elettrodotti di connessione alla rete, concorrono a determinare l’impatto sul territorio. Le<br />
strade di accesso, ad esempio, possono risultare comode agli agricoltori locali, ma rappresentano<br />
comunque una modifica dei terreni.<br />
Il vero impatto dell’eolico riguarda il progetto “a terra”. Chiaramente l’aspetto visivo è fondamentale<br />
e genera un nuovo orizzonte, però come si struttura il progetto a terra ha a che fare<br />
con l’acqua, con le divisioni catastali, con i campi, con la morfologia, con le frane…. Ho visto<br />
progetti ad elevato impatto: grandi sbancamenti, strade che non hanno nessuna coerenza con<br />
il territorio e così via. Alla fine, quelli sì che sono veramente dei lavori irreversibili, al contrario<br />
delle torri che prima o poi verranno smontate. Anche il fatto di saper lavorare sul territorio è<br />
una cosa che fanno veramente in pochi. Seguire le linee catastali, seguire le proprietà diventa<br />
quasi automatico, però vedo che non c’è molta attenzione sul fatto di sbancare, di rilevare, di<br />
modificare completamente la morfologia, piuttosto che allungare una strada preesistente o fare<br />
un progetto più accurato (Daniela Moderini, architetto del paesaggio).<br />
Noi ci preoccupiamo di un problema ambientale che è quello della perdita della superficie agricola,<br />
del suolo, a cui annettiamo una grande importanza non soltanto sul piano economico, ma<br />
anche su quello ambientale, per quanto riguarda le funzioni che il suolo assolve più in generale.<br />
Nella programmazione energetica noi non abbiamo costruito attraverso un piano, ma sono stati<br />
gli incentivi a guidare gli industriali nell’investimento nel settore. Nel caso di nuovi impianti la<br />
presenza in aree anche fragili sul piano economico determina delle conseguenze che non sono<br />
state soppesate. Noi dobbiamo fare attenzione a quello che è succede, perchè ho visto casi - ad<br />
esempio, a Volterra, nell’Alta Val di Cecina, in aree dove la forestale eleva contravvenzioni ai<br />
nostri agricoltori per il taglio irregolare di fustaie o di vecchi cedui -di sbancamenti che lasciano<br />
perplessi per l’assoluta mancanza di rispetto dei luoghi. C’è qualcosa che non va in questo e<br />
credo che questa sia stata la forza degli incentivi cha ha portato a delle situazioni che abbiamo<br />
anche denunciato. Ora, perché in questo paese, che coltiva una economia della qualità, non si<br />
debba pensare ad inserire in modo tecnologicamente più adeguato le torri, in un contesto economico<br />
diverso da quello dell’Olanda o della Germania. Noi, è vero che prendiamo a riferimento<br />
alcuni paesi, ma questi paesi con noi non spartiscono, almeno per quanto riguarda il sistema<br />
agroalimentare, le stesse caratteristiche di qualità. Nei settori dell’alta tecnologia il nostro paese<br />
molto spesso non è il riferimento, ma nell’alimentare credo che il made in Italy sia un valore<br />
che oggi esprime tante componenti immateriali. Se non toviamo il giusto equilibrio tra bellezza<br />
ed efficienza, alcune parti dei nostri settori economici non riescono a trovare quelle condizioni<br />
per poter poi esprimere i loro asset più profondi. Oggi, ad esempio, il vino ha bisogno di essere<br />
venduto in America in relazione all’idea che si ha di un certo paesaggio. Ma, se quel paesaggio<br />
diventa uguale a quello dell’Olanda o della Germania, non è più qualcosa di unico e irripetibile,<br />
come sono le nostre colline toscane, ad esempio (Stefano Masini, <strong>Coldiretti</strong>).<br />
Attraverso accorte scelte e tecniche progettuali paesaggistiche che permettono di controllare<br />
il valore della emergenza visiva 72 o della capacità di assorbimento visuale, impiegate<br />
come parametro e criteri di progetto, è possibile mitigare e mantenere basso il disturbo al<br />
paesaggio. Inserire le macchine in modo che la variazione di forma e di altezza non disturbi<br />
la lettura scenica del paesaggio può essere estremamente utile e funzionale. Deve essere per-<br />
72 L’emergenza visiva viene definita (Serecchia, 2008:235) come la variazione <strong>locale</strong> dell’altezza media degli oggetti visibili,<br />
dal punto di stazione su giro d’orizzonte di 360° compiuto in ciascuna delle direzioni dei 4 settori cardinali e comprendenti<br />
l’impianto in progetto, il tutto mediato con peso individuato sulla base degli sfondi, della illuminazione e delle condizioni<br />
meteorologiche prevalenti. Il punto di stazione è costituito da un punto di osservazione coincidente con un luogo scenicamente,<br />
naturalisticamente o socialmente importante dal punto di vista dell’interesse da salvaguardare. Così come è stata definita,<br />
l’emergenza visiva permette di valutare le modifiche tridimensionali provocate al paesaggio dall’inserimento di una centrale<br />
<strong>eolica</strong>.<br />
85
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
seguito il mantenimento del disegno geometrico territoriale originario, cercando di ottenere<br />
continuità tra disposizione delle macchine e territorio. Eseguire installazioni lungo le linee<br />
dei crinali delle colline oppure entro valli è una prassi legata alla necessità di sfruttare siti<br />
con più elevate velocità medie annuali. L’impatto visivo che ne consegue può essere validamente<br />
contenuto mediante il ricorso a diverse tecniche di progettazione del paesaggio e<br />
del territorio (Amadio, 2004; Battistella, 2010; Serrecchia, 2008; Zanchini, 2010a/b, 2004,<br />
2002).<br />
Utilizzando adeguati metodi di inserimento, attraverso corrette procedure di disegno del<br />
paesaggio, infatti, si possono minimizzare gli effetti intrusivi e, in alcuni casi, arrivare addirittura<br />
a una sottolineatura di alcuni elementi paesistici e paesaggisticamente interessanti,<br />
dovuta proprio alla presenza di queste macchine.<br />
Per quanto riguarda la localizzazione dei parchi eolici caratterizzati da un notevole impegno<br />
territoriale, l’inevitabile modificazione della configurazione fisica dei luoghi e della percezione<br />
dei valori ad essa associati, tenuto conto dell’inefficacia di misure volte al mascheramento,<br />
la scelta della localizzazione e la configurazione progettuale, ove possibile, dovrebbero essere<br />
volte, in via prioritaria, al recupero di aree degradate laddove compatibile con la risorsa <strong>eolica</strong><br />
e alla creazione di nuovi valori coerenti con il contesto paesaggistico. L’impianto eolico dovrebbe<br />
diventare una caratteristica stessa del paesaggio, contribuendo al riconoscimento delle sue<br />
specificità attraverso un rapporto coerente con il contesto. In questo senso l’impianto eolico<br />
determinerà il progetto di un nuovo paesaggio (Linee guida, 2010:44).<br />
Si possono elaborare progetti che non cerchino di nascondere, di far apparire le cose<br />
come non sono, ma che, al contrario, sappiano interpretare le nuove condizioni e sappiano<br />
esprimerne le potenziali risorse estetiche, paesistiche ed urbanistiche. Questa possibilità è<br />
stata dimostrata sia in Italia che altrove, in aree di rilievo paesaggistico, nelle quali, attuando<br />
specifici criteri di ingegneria naturalistica, di architettura del paesaggio e del territorio,<br />
si sono potuti ottenere risultati veramente brillanti.<br />
… le centrali eoliche sono in grado di costruire nuovi paesaggi con una forte dignità, rappresentativa<br />
dei valori della nostra epoca. … Le centrali eoliche non solo sono in grado di integrarsi<br />
nel paesaggio, ma sono anche in grado di valorizzarlo, rivalutarlo e farsi portatrici di nuovi<br />
contenuti formali, simbolici ed estetici, rappresentativi dei luoghi e del tempo che li ospitano.<br />
Quindi, trattandosi di simboli che uniscono alla produzione la rappresentatività di una società,<br />
è lecito non cercare una progettazione che miri alla semplice mitigazione ma, al contrario, che<br />
dichiari i propri valori attraverso la ricerca formale che trova nell’architettura e nel paesaggismo<br />
le discipline di riferimento (Battistella, 2010:11).<br />
In generale, l’inserimento in linea su singola fila degli aerogeneratori risulta essere il<br />
meno impattante dal punto di vista visivo, con l’accortezza di posizionare le macchine assecondando<br />
le conformazioni topografiche del luogo e seguendo i profili territoriali più evidenti,<br />
ad esempio, le linee dei crinali. 73 Il problema è che, nella stragrande maggioranza dei casi,<br />
le zone migliori per l’inserimento in linea risultano essere le sommità dei crinali.<br />
Nell’eventualità che il crinale domini un centro abitato sottostante, l’inserimento degli<br />
aerogeneratori sulla cima del crinale ha sicuramente un impatto significativo a livello di<br />
73 Esistono sostanzialmente tre forme possibili di configurare una centrale <strong>eolica</strong>: rettangolare, a gruppi, attraverso allineamenti.<br />
Analisi condotte per mezzo di sondaggi hanno assegnato a quest’ultima la preferenza da parte della maggioranza<br />
degli intervistati. Preso atto delle possibili preferenze da parte delle persone, tale preferenza va interpretata in funzione delle<br />
contingenze morfologiche e anemologiche del luogo.<br />
86
7. Impatto ambientale e paesaggistico<br />
disturbo percepito. Una soluzione pratica comunemente adottata per questa problematica,<br />
è quella di collocare le pale eoliche sui fianchi del crinale in prossimità della cima. Tale<br />
modalità di mitigazione dell’impatto visivo comporta però una riduzione della producibilità<br />
(espressa in ore equivalenti annue) energetica dell’impianto.<br />
Nel caso di una centrale <strong>eolica</strong> realizzata su plateau, un corretto inserimento nel paesaggio<br />
da un punto di vista strettamente visivo è più facile, perché l’impianto non domina un<br />
intera vallata, bensì risulta inserito all’interno di una piana, generalmente con vegetazione<br />
boschiva o a macchia mediterranea nelle aree attigue agli impianti, che permette di evitare<br />
un impatto visivo troppo accentuato finché non si è in prossimità degli aerogeneratori.<br />
Occorre sottolineare che l’impatto visivo non è sempre proporzionale al numero o all’altezza<br />
delle macchine. Valutare l’emergenza visiva significa misurare la variazione di altezza,<br />
la variazione di forma, la variazione di colore, le diverse condizioni di illuminazione, le condizioni<br />
meteorologiche prevalenti, tenere presente lo sfondo e altre caratteristiche. 74<br />
La centrale, in funzione della densità delle macchine (numero di aerogeneratori rispetto alla<br />
potenza totale installata) e dell’affollamento relativo (numero di aerogeneratori per cluster), a<br />
sua volta, risulta più o meno invasiva rispetto al territorio anche in dipendenza dell’orografia<br />
dello stesso e della tipologia del suo <strong>sviluppo</strong> planimetrico. Pertanto, la maggiore o minore<br />
visibilità di una centrale e, più in generale degli aerogeneratori che la compongono, è influenzata<br />
innanzitutto dalla posizione assoluta delle macchine e poi dalla loro posizione relativa.<br />
Ovviamente, tutto ciò a prescindere dalle condizioni atmosferiche che influenzano la visibilità<br />
in misura determinante. Ad esempio, un controluce al tramonto o a mezzogiorno forniranno<br />
un effetto diverso in funzione di altri parametri quali la distanza tra osservatore e oggetti<br />
osservati. La presenza di bruma o di caligine o, ancora, di foschia possono esaltare talune macchine<br />
oppure farle sparire sullo sfondo a seconda se, questo, è costituito dal cielo oppure dalle<br />
montagne. In una giornata tersa e soleggiata, magari in inverno, macchine disposte su una<br />
cresta in piena illuminazione, sia diffusa che concentrata possono essere più o meno evidenti in<br />
funzione della distanza, del tipo di torre (traliccio meno visibile, cilindrica un po’ più evidente)<br />
e della maggiore o minore sottolineatura dovuta alla esistenza di altri punti di riferimento nella<br />
vista ed entro l’angolo d’abbraccio. L’affollamento relativo, in quest’ultimo caso, gioca un ruolo<br />
determinante come mostrano molte delle ben note immagini sul Altamont Pass, Tehachapi e<br />
San Gorgonio in California (Gargini e De Pratti, 2008:133).<br />
Alcuni criteri sono comunque ormai prassi consolidata come, ad esempio, la distanza minima<br />
tra le macchine: in genere, di 3-5 diametri sulla stessa fila e di 5-7 diametri sulle file parallele.<br />
Questo perché installare macchine troppo vicine può causare due ordini di problemi:<br />
• si possono determinare interferenze aerodinamiche che portano anche a riduzioni del<br />
50% della producibilità;<br />
• una centrale <strong>eolica</strong> “affollata”, dovuta all’inserimento di un numero consistente di<br />
aerogeneratori in un’area ridotta, causerebbe un impatto visivo particolarmente rilevante,<br />
creando il cosiddetto “effetto barriera” o “effetto selva”.<br />
74 La normativa di sicurezza aeronautica prevede un disegno a strisce di colore rosso da realizzarsi sull’estremità superiore del<br />
pilone di sostegno dell’aerogeneratore o sulle estremità delle pale. L’introduzione della livrea strisciata, in genere, è limitata alle<br />
macchine eoliche collocate nei punti più alti della centrale <strong>eolica</strong>. Vengono, inoltre, utilizzati apparati luminosi lampeggianti<br />
collocati al vertice dei piloni di sostegno per la segnalazione notturna. Le colorazioni più idonee alla mitigazione dell’impatto<br />
paesaggistico sono quelle neutre come il bianco o il grigio chiaro, ma anche il verde se lo sfondo è la vegetazione o l’azzurro se<br />
lo sfondo è il cielo, con l’utilizzo di vernici antiriflesso. Per la base dei piloni, al fine di non interrompere la continuità con la<br />
linea di orizzonte, è possibile prevedere una colorazione simile al tipo di terreno su cui poggiano le torri eoliche (diverse tonalità<br />
di verde e/o marrone).<br />
87
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
L’impatto dovuto all’occupazione territoriale da parte di una centrale <strong>eolica</strong> (turbine e<br />
opere accessorie) è assai basso, con valori non maggiori del 2-3% dell’area di riferimento.<br />
Quasi sempre l’area circostante mantiene le funzioni precedenti all’installazione, come, ad<br />
esempio il suo utilizzo per il pascolo di animali e per i seminativi. Questo dato di fatto consente,<br />
quindi, di considerare la fonte <strong>eolica</strong> come quella fonte energetica che occupa meno<br />
terreno rispetto a qualsiasi altra.<br />
7.2 Impatto su flora, fauna e avifauna<br />
Gli impianti eolici possono avere delle possibili interazioni con la flora, la fauna e soprattutto<br />
con l’avifauna, sia quella di tipo stanziale che quella migratoria. Pertanto, la presenza<br />
degli impianti eolici deve necessariamente conciliarsi con la conservazione della biodiversità,<br />
i cui valori sono diffusi nel nostro paese con una concentrazione superiore al resto d’Europa.<br />
75 Molte sono le specie che trovano rifugio stanziale o stagionale proprio nella zona<br />
Appenninica, interessata dallo <strong>sviluppo</strong> delle installazioni eoliche (La Mantia et alter, 2004).<br />
L’impatto sulla flora è connesso alla realizzazione di elettrodotti, strade di accesso e di<br />
servizio interne alla centrale <strong>eolica</strong>, ai plinti di fondazione della struttura di sostegno della<br />
turbina elica, alle opere di sbancamento e di cantierizzazione, in generale necessarie alla realizzazione<br />
di questi interventi, possono determinare un calo demografico delle specie floristiche<br />
presenti in sito, causandone nel breve periodo la scomparsa. Un’adeguata progettazione,<br />
a partire da un’attenta fase di cantierizzazione è l’unica risorsa disponibile per mitigare gli<br />
effetti impattanti sulla flora. A valle della chiusura del cantiere, deve essere prevista la ricostruzione<br />
della cotica erbosa nel rispetto del germoplasma <strong>locale</strong> originario senza far ricorso<br />
a germoplasmi provenienti da realtà ecologiche diverse. Nella fase di smantellamento, a valle<br />
del fine vita dell’impianto, occorre prevedere un tipo di recupero che dovrà necessariamente<br />
tener conto degli ambienti e delle specie presenti localmente.<br />
Per quanto riguarda la fauna, è la fase di cantierizzazione di un impianto eolico quella<br />
che determina un disturbo in termini di riduzione dell’habitat originario per le specie faunistiche<br />
presenti in loco. Questo tipo di impatto può essere comunque mitigato mediante<br />
un’attenta organizzazione del cantiere ed è, comunque, una fase impattante reversibile, annullandosi<br />
alla chiusura del cantiere.<br />
Per quanto riguarda l’avifauna stanziale e migratoria, alla luce delle rilevazioni e degli<br />
studi effettuati, risulta che la frequenza delle collisioni degli uccelli e dei chirotteri con gli<br />
aerogeneratori è estremamente ridotta. 76 Il problema potrebbe divenire reale solo nei casi in<br />
cui il parco eolico si trovi lungo le rotte migratorie e nei pressi delle aree utilizzate dall’avifauna<br />
durante gli spostamenti stagionali. È da specificare che tali zone sono ormai da tempo<br />
ritenute zone di esclusione per le installazioni eoliche, per cui il rischio di interazione con<br />
l’avifauna è per certi versi più teorico che pratico. Ad ogni modo, si parla spesso di corridoi<br />
avifaunistici, di aree di nidificazione o di caccia per i rapaci e di flussi migratori di uccelli<br />
che possono impattare sui rotori. La quota geostrofica su un ambiente a orografia complessa<br />
come quello italiano è di circa 500-600 metri sul piano della campagna e i flussi migratori,<br />
secondo gli zoologi e gli ornitologi, seguono tale quota. Quindi, la distanza dalle turbine eoliche<br />
(anche quelle di tagli maggiore con altezze vicino ai 100 metri) resta sufficientemente<br />
75 A questo proposito, è importante sottolineare l’importante contributo fornito dal WWF Italia con il documento Eolico &<br />
Biodiversità (2009) che contiene delle linee guida rispetto al tema dell’impatto sulla biodiversità da parte degli impianti eolici<br />
industriali. Il documento fornisce indicazioni e prescrizioni affinché la realizzazione di impianti eolici industriali possa essere<br />
subordinata alla corretta e rigorosa valutazione degli impatti sulle componenti della biodiversità presenti a scala <strong>locale</strong>.<br />
76 Vari studi hanno rilevato che gli uccelli sono in grado di notare le nuove strutture eoliche e di conseguenza imparare ad<br />
aggirarle senza incorrere in una collisione accidentale con la macchina.<br />
88
7. Impatto ambientale e paesaggistico<br />
ampia. Le soluzioni che sembrano concorrere positivamente alla prevenzione degli urti con i<br />
volatili, anche ai fini della individuazione visiva per i sorvoli a bassa quota, sono:<br />
• un opportuno distanziamento tra una turbina e l’altra (per le turbine di grande dimensione<br />
si va da un minimo di 3-5 volte il diametro del rotore tra le file perpendicolari alla<br />
direzione del vento ad un massimo di 5-7 diametri tra quelle poste sulla direzione del vento);<br />
• la creazione di corridoi di passaggio tra un gruppo di turbine e l’altro (da 250 a 800<br />
metri in funzione delle dimensioni delle turbine e delle condizioni topo-morfologiche del<br />
sito, soprattutto in passaggi obbligati (gole, valichi o corridoi) interessati dalle migrazioni<br />
primaverili e autunnali;<br />
• una buona segnalazione della macchine (con colori per il giorno, con luci per la notte,<br />
quando pare sia maggiore il pericolo di collisioni)<br />
• l’emissione di segnalazioni acustiche nel campo degli ultrasuoni disturbanti, nello specifico,<br />
l’avifauna ed altri animali in genere.<br />
Resta tuttavia una certa carenza di studi di settore condotti sul territorio italiano e<br />
nella più vasta gamma di situazioni possibili. In effetti, ogni porzione di territorio è caratterizzata<br />
da aspetti assolutamente particolari che devono essere analizzati direttamente sul<br />
luogo, caso per caso (anche in relazione a fattori quali il numero delle turbine installate o da<br />
installare, la posizione, la concentrazione, etc.), con strumenti idonei e con le conoscenze<br />
specifiche del settore.<br />
7.3 Impatto acustico ed elettromagnetico<br />
Per quanto riguarda il rumore prodotto dalle turbine eoliche, si può affermare che i costanti<br />
progressi tecnologici che hanno visto una grande evoluzione sia nei singoli componenti<br />
sia nel loro assemblaggio, nonché l’insonorizzazione della navicella contenente alcuni degli<br />
elementi fonte di rumore, fanno sì che oggi l’impatto acustico sia tollerabile. 77 Pertanto, a<br />
distanza di 200 metri, il rumore prodotto dalla turbina (di 40-50 dB) è sostanzialmente poco<br />
distinguibile dal rumore di fondo di una zona ventosa. Comunque, la rotazione delle pale di<br />
una turbina <strong>eolica</strong> crea un’alterazione del campo del flusso atmosferico, generando regioni<br />
di scie e di turbolenza connesse con variazioni locali della velocità e della pressione statica<br />
dell’aria. Viene così a crearsi un campo sonoro libero, che si sovrappone a quello preesistente<br />
a causa del flusso atmosferico e della sua interferenza con le strutture naturali dell’ambiente,<br />
quali la vegetazione e l’orografia del territorio.<br />
Le moderne tecnologie hanno consentito notevoli progressi nella riduzione del rumore<br />
emesso dagli aerogeneratori e molte turbine consentono di regolare il livello di emissione<br />
acustica intervenendo sulla velocità di rotazione della macchina. 78 Questo permette di ridurre<br />
i giri del rotore quando il vento è più debole e consente velocità lineari delle estremità delle<br />
pale più contenute, a tutto vantaggio dell’abbattimento del rumore.<br />
In generale, la riduzione dei livelli di emissione acustica comporta una riduzione delle<br />
caratteristiche prestazionali dell’aerogeneratore con conseguente minore produzione di<br />
energia. È dunque fondamentale una corretta analisi previsionale dell’impatto acustico, oltre<br />
77 Per quanto riguarda l’impatto acustico, la normativa italiana di riferimento è rappresentata dal DPCM 14 novembre 1997,<br />
Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore, che riunisce integrandoli, il DPCM 1 marzo 1991 e la Legge quadro<br />
447/95.<br />
78 Esistono macchine a velocità fissa e macchine a velocità variabile. La prima conformazione è rappresentata da macchine<br />
che raggiungono le condizioni ottimali di rendimento solo a determinate condizioni. Le macchine a velocità variabile, invece,<br />
sono in grado di adattarsi a diverse condizioni del vento, in quanto il rotore può funzionare ad altri valori di efficienza per<br />
un ampio intervallo di velocità del vento, con effetti positivi anche sulla rumorosità dovuti al fatto che è possibile regolare la<br />
velocità di rotazione del rotore, abbattendo il rumore in condizioni di bassa ventosità.<br />
89
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
che per la verifica dei limiti di legge, anche al fine di determinare il corretto settaggio della<br />
macchina (miglioramento della linea d’assi), così da provvedere ad un corretto inserimento<br />
ambientale nel rispetto dei ricettori sensibili e, contemporaneamente, non penalizzare eccessivamente<br />
le performance dell’impianto.<br />
D’altra parte, il fatto che la maggior parte dei siti siano localizzati in aree agricole con<br />
scarsa densità abitativa consente di affermare la scarsa rilevanza del disturbo alla quiete<br />
pubblica causato dagli aerogeneratori in funzione.<br />
Le interferenze elettromagnetiche a bassa frequenza (frequenza industriale 50 Hz) sono<br />
di rilevanza ridotta, riguardano essenzialmente l’interferenza con onde radio e sono determinate<br />
dalla componentistica elettrica delle turbine eoliche e, comunque, gli effetti risultano<br />
di gran lunga inferiori rispetto a quelli dovuti alle installazioni di antenne radiotelevisive e<br />
telefoniche o a quelli provocati dagli elettrodotti. 79 Si tratta, comunque, di valori sempre al<br />
di sotto della normativa vigente. Le turbine sono comunque schermate per limitare l’inquinamento<br />
elettromagnetico. Ad impatto zero sono i sistemi micro-minieolici.<br />
7.4 Criteri per una corretta progettazione delle centrali eoliche<br />
Per arrivare ad una corretta ed efficace progettazione delle centrali eoliche è necessario<br />
un approccio interdisciplinare. Da un approccio che finora ha spesso visto la progettazione<br />
delle centrale eoliche orientata quasi esclusivamente da priorità tecnico-ingegneristiche, occorre<br />
volgere l’attenzione anche ad aspetti, linguaggi, strumenti e modi di lettura del territorio<br />
di carattere urbanistico, architettonico, paesaggistico e sociale.<br />
Il vento occorre imbrigliarlo, domarlo, incanalarlo: noi ingegneri sappiamo bene come farlo,<br />
conosciamo la fisica e la tecnica; ma spuntano torri, cabine di controllo, strade nuove, strutture<br />
di supporto che prima non esistevano, quasi sempre in luoghi belli e incontaminati. Una gara<br />
rivolta anche agli architetti ci ha dato la possibilità di sviluppare quel lato della progettazione<br />
più sensibile all’inserimento armonico delle strutture nel paesaggio. Paesaggi del vento, appunto:<br />
l’equilibrio tra ambiente, panorama, utilizzo della risorsa energetica e tecnologia avanzata<br />
finalmente raggiunto. … La gara di idee ha indicato la via per una nuova metodologia di lavoro,<br />
evidenziando il grande potenziale di ricerca ancora inesplorato e di conseguenza gli ampi spazi<br />
di crescita del settore, non solo eolico (Pietrogrande in Zanchini, 2002:8). 80<br />
Ferma restando l’adesione alle recenti Linee guida nazionali e regionali e alle norme<br />
vigenti in materia di tutela paesaggistica e ambientale e alle distanze e fasce di rispetto,<br />
per una corretta progettazione delle centrali eoliche, sulla base delle buone pratiche ricavate<br />
79 L’effetto sulle telecomunicazioni in termini di interferenze prodotte dal sistema di aerogeneratori non è classificabile<br />
come un impatto paesaggistico-ambientale, ma piuttosto come un impatto di tipo operativo-funzionale. La torre <strong>eolica</strong>, come<br />
qualsiasi ostacolo, può influenzare le caratteristiche di propagazione delle telecomunicazioni in termini di forma e di qualità del<br />
segnale, generando una perdita o alterazione dell’informazione trasportata dal segnale steso. Si può porre rimedio a questo tipo<br />
di inconveniente distanziando opportunamente tra loro le torri eoliche. Infine, è da sottolineare come gli accorgimenti imposti<br />
dal Protocollo di intesa Anev-Legambiente-WWF-Greenpeace siano una garanzia per quanto riguarda il controllo e l’eliminazione<br />
di questo tipo di interferenza. Nello specifico è richiesto il totale interramento dei cavidotti interni al parco e di collegamento<br />
dello stesso alla rete di trasmissione nazionale.<br />
80 Prefazione di Paolo Pietrogrande, all’epoca amministratore delegato di ENEL Green Power, al volume curato da Zanchini<br />
(2002) di presentazione dei progetti presentati per il bando di concorso di idee Paesaggi del vento, indetto da Erga (Gruppo<br />
ENEL) e Legambiente, uno strumento operativo fino ad allora mai usato per le centrali eoliche, con l’esplicito obiettivo di<br />
“coinvolgere il mondo dell’architettura per affrontare una delle sfide più difficili e affascinanti data la qualità del paesaggio italiano.<br />
L’inserimento di infrastrutture sul territorio per la produzione di <strong>Energia</strong> da Fonti Rinnovabili rappresenta infatti una della<br />
priorità strategiche per ridefinire un corretto rapporto dell’uomo con l’ambiente e uno <strong>sviluppo</strong> equilibrato del territorio” (Zanchini,<br />
2002:23). Si veda anche Pietrogrande, 2003.<br />
90
7. Impatto ambientale e paesaggistico<br />
dalle esperienze fatte in questi anni e della letteratura specialistica, 81 occorre prestare attenzione<br />
ai seguenti aspetti:<br />
• le caratteristiche orografiche, geo-morfologiche storici, culturali e simbolici del sito, con<br />
particolare riguardo ai sistemi che compongono il paesaggio (acqua, vegetazione, uso del<br />
suolo, viabilità carrabile e percorsi pedonali, conformazione del terreno, colori);<br />
• la disposizione degli aerogeneratori sul territorio, lo studio della loro percezione e<br />
dell’impatto visivo rispetto a punti di vista prioritari (insediamenti concentrati o isolati), a<br />
visioni in movimento (strade e ferrovie);<br />
• i caratteri delle strutture, le torri, con indicazioni riguardanti materiali, colori, forma,<br />
etc. e con particolare attenzione alla manutenzione ed alla curabilità;<br />
• la qualità del paesaggio, i caratteri del territorio e le trasformazioni proposte (interventi<br />
di rimodellazione dei terreni, di ingegneria naturalistica, di inserimento delle nuove strade<br />
e strutture secondarie, etc.), la gestione delle aree e degli impianti, i collegamenti tra le<br />
strutture;<br />
• le forme e i sistemi di valorizzazione e fruizione pubblica delle aree e dei beni paesaggistici<br />
(accessibilità, percorsi e aree di fruizione, servizi, etc.). Uno degli aspetti che può contribuire<br />
all’inserimento dell’intervento nel territorio riguarda il passaggio da una percezione<br />
odierna di un paesaggio sostanzialmente integro, ma inaccessibile, ad una nuova immagine<br />
del territorio con le nuove strutture eoliche integrate nel paesaggio;<br />
• le indicazioni per l’uso del materiali meno invasivi possibile o innovativi (ad esempio,<br />
ghiaia stabilizzata, resine colorate, cemento ecologico) nella realizzazione dei diversi interventi<br />
previsti dal progetto (percorsi, aree funzionali, strutture), degli impianti arborei e<br />
vegetazionali (con indicazione delle specie autoctone previste), eventuali illuminazioni delle<br />
aree e delle strutture per la loro valorizzazione nel paesaggio.<br />
Il progetto, come una nuova traccia calligrafica scaturisce dall’incrocio di numerose componenti<br />
geomorfologiche, anemometriche, vincolistiche e proprietarie, ed una profonda lettura della<br />
spazialità del sito, interpretato e decodificato nella sua essenza nell’intento di sottolineare la<br />
singolarità. Il layout deve aspirare ad essere la migliore combinazione tra ottimizzazione produttiva<br />
ed una combinazione tra ottimizzazione produttiva ed una composizione paesaggistica<br />
che ricerchi costantemente una nuova proporzione tra il luogo e la nuova infrastruttura, una<br />
relazione tra i vecchi e nuovi segni. Consapevoli della profonda (anche se temporanea) trasformazione<br />
spaziale che un parco eolico apporta. Il forte vento, le caratteristiche geomorfologiche<br />
e le evidenti tracce del paesaggio storico e agricolo, suggeriscono in forma paradigmatica<br />
i temi per strutturare un impianto eolico di contemporanea concezione. La conformazione<br />
morfologica, la struttura particellare del terreno, i colori, i sentieri e le strade, la vegetazione,<br />
possono suggerire le modalità per realizzare le infrastrutture servizio dell’impianto. La ricerca<br />
dei giusti rapporti ed equilibri tra il nuovo sistema di segni costituito dall’impianto eolico ed<br />
i valori storici, culturali e paesaggistici di un luogo, diventa quindi tema prioritario all’interno<br />
della questione progettuale legata agli impianti eolici ed è determinante nella costruzione di un<br />
nuovo paesaggio. Il progetto va allora considerato come uno strumento fondamentale che può<br />
indagare con grande attenzione le reali implicazioni e i rapporti complessi che possono intercorrere<br />
tra un’infrastruttura di produzione energetica da fonte <strong>eolica</strong> e il territorio che l’accoglie;<br />
81 Si vedano anche i protocolli tra le associazioni ambientaliste Legambiente, WWF e Greenpeace e l’ANEV che hanno fissato<br />
dei criteri per la progettazione e un corretto inserimento degli impianti eolici nel paesaggio e puntato ad allargare l’informazione<br />
nei territori sull’eolico. Attraverso questi protocolli sono state fissate le analisi e le attenzioni che i progetti devono sviluppare,<br />
in modo da rendere chiari gli effetti degli impianti sul paesaggio, valutarli e limitarli, ma anche gli ambiti dove non realizzare<br />
parchi eolici; individuando una delle chiavi proprio nella ricerca sulla percezione, sulla disposizione nel paesaggio, sulle soluzioni<br />
cromatiche.<br />
91
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
quello che necessita è dare spazio ad una progettazione attenta a sensibile, l’unica condizione<br />
che può garantire la compatibilità paesaggistica degli impianti e determinare elementi di valore<br />
aggiunto anche in termini esattici e di promozione e valorizzazione dei luoghi. Attraverso una<br />
progettazione capace di controllare contemporaneamente più scale, adottando precisi allineamenti<br />
e dispositivi compositivi si introducono nuove forme di relazione tra luoghi distanti tra<br />
loro. Sono aspetti che attengono alle tecniche proprie dell’architettura del paesaggio e alla sua<br />
specificità disciplinare basata sulla ricerca di nuove qualità nel dialogo tra il nuovo e l’esistente,<br />
e il parco eolico può essere intesa come struttura di riferimento a scala territoriale che, data la<br />
posizione dominante rispetto all’intorno, può trasformarsi in un prezioso dispositivo segnaletico<br />
e di conoscenza. Sotto questa ottica, assume un significato diverso anche il tema dell’impatto<br />
visivo (Moderini, 2010:10-11).<br />
Con riferimento agli obiettivi e ai criteri di valutazione individuati, i criteri di base che<br />
dovrebbero essere utilizzati nella scelta delle diverse soluzioni progettuali e realizzative, al fine<br />
di migliorare l’inserimento dell’infrastruttura nel territorio, senza tuttavia trascurare i criteri di<br />
rendimento energetico determinati dalle migliori condizioni anemometriche, sono i seguenti:<br />
• rispetto dell’orografia del terreno (limitazione delle opere di scavo/riporto);<br />
• massimo riutilizzo della viabilità esistente e realizzazione della nuova viabilità rispettando<br />
l’orografia del terreno e secondo la tipologia esistente in zona o attraverso modalità<br />
di realizzazione che tengono conto delle caratteristiche percettive generali del sito;<br />
• impiego di materiali che favoriscano l’integrazione con il paesaggio dell’area per tutti<br />
gli interventi che riguardino manufatti (strade, cabine, muri di contenimento, etc.) e sistemi<br />
vegetazionali;<br />
• attenzione alle condizioni determinate dai cantieri e ripristino della situazione ex ante<br />
con particolare riguardo alla reversibilità e rinaturalizzazione delle aree occupate temporaneamente<br />
da camion e autogrù nella fase di montaggio degli aerogeneratori.<br />
Le attenzioni progettuali previste dal Protocollo d’intesa Anev-Legambiente-WWF-<br />
Greenpeace<br />
Nella realizzazione di nuovi impianti da parte degli associati Anev è stato preso l’impegno di seguire<br />
delle attenzioni progettuali che possono garantire delle attenzioni progettuali che possano garantire<br />
un controllo degli impatti su territorio, ambiente e paesaggio.<br />
A. Per minimizzare l’impatto sul territorio e sull’ambiente:<br />
L’obiettivo è di controllare e minimizzare attraverso il progetto gli impatti, di far tornare alle attività<br />
preesistenti il territorio non occupato dalle macchine, e eventualmente di verificare le forme di fruizione<br />
delle aree inserite in contesti panoramici.<br />
Attenzioni progettuali:<br />
• Minimizzazione delle modifiche dell’habitat in fase di cantiere e di esercizio, e ripristino della<br />
eventuale flora eliminata nel corso dei lavori di costruzione e restituzione alla destinazione originaria<br />
delle aree di cantiere.<br />
• Attenzione alla stabilità dei pendii evitando pendenze in cui si possono innescare fenomeni di<br />
erosione.<br />
• Utilizzo dei percorsi di accesso presenti se tecnicamente possibile ed adeguamento dei nuovi<br />
eventualmente necessari alle tipologie esistenti se pienamente integrate nel paesaggio.<br />
92
7. Impatto ambientale e paesaggistico<br />
Aree dove escludere la realizzazione di impianti<br />
• Aree di nidificazione di rapaci o uccelli che utilizzano pareti rocciose e a grotte utilizzate da<br />
popolazioni di chirotteri.<br />
• Aree corridoio per l’avifauna migratoria interessate da flussi costanti nei periodi primaverili e<br />
autunnali.<br />
• Aree con presenza di alberi ad alto fusto.<br />
• Zone A di parchi regionali e nazionali.<br />
• Aree archeologiche.<br />
• Ambiti con insediamenti posti ad una distanza inferiore ai 300 metri dagli impianti.<br />
B. Per minimizzare l’impatto visivo e paesaggistico<br />
Obiettivo è di tenere conto nel progetto dell’impatto prodotto dall’impianto, limitando l’interferenza<br />
sul contesto e intervenendo in forma consapevole nel modificare una porzione del paesaggio, per<br />
quanto possibile arricchendola di un nuovo elemento culturale antropico.<br />
Attenzioni progettuali<br />
• Limitare l’interferenza visiva degli impianti considerando i punti di vista prioritari della porzione<br />
di territorio da cui l’impianto è chiaramente visibile.<br />
• Limitare e impedire l’alterazione del valore panoramico del sito oggetto dell’installazione ossia del<br />
quadro dei centri abitati e delle principali emergenze storiche, architettoniche, naturalistiche e dei<br />
punti di vista panoramici da cui l’impianto è chiaramente visibile.<br />
• Riduzione degli effetti visivi negativi dovuti all’addensamento di impianti dai punti di vista più<br />
sensibili, in particolare dai limitrofi centri abitati.<br />
• Utilizzo di torri tubolari o eventualmente a traliccio, per questi ultimi deve essere dimostrato,<br />
attraverso un apposito studio, la migliore compatibilità paesaggistica rispetto al paesaggio oggetto<br />
di intervento.<br />
• Utilizzo di soluzioni cromatiche neutre e di vernici antiriflettenti.<br />
• Interramento dei cavidotti a media e bassa tensione, propri dell’impianto e di collegamento alla<br />
rete elettrica.<br />
A tutto questo vanno aggiunte alcune considerazioni più generali legate alla natura<br />
stessa del fenomeno ventoso e alla conseguente caratterizzazione dei siti idonei per lo sfruttamento<br />
di energia <strong>eolica</strong>. Tali considerazioni costituiscono la base per una ricerca delle più<br />
avanzate modalità di approccio al tema complesso del rapporto tra infrastruttura e paesaggio,<br />
intendendo quest’ultimo come spazio complesso di relazioni.<br />
Tema prioritario per la progettazione di impianti eolici è la ricerca dei giusti rapporti ed equilibri<br />
tra approcci apparentemente antitetici, quali lo sfruttamento di una forma di energia pulita<br />
ed inesauribile e una relazione con il territorio improntata all’innovazione e ai valori storici,<br />
culturali e paesaggistici. Il tema dell’inserimento paesaggistico degli impianti eolici e pertanto<br />
fatto assai più complesso e radicale del semplice impatto visivo, poiché coinvolge la struttura<br />
sociale dei territori, interviene all’interno di un sistema di segni e trasformazioni, anche fisiche,<br />
che vanno oltre al stessa vita stimata di un impianto. In tale senso il termine paesaggio va<br />
espresso nella più ampia accezione possibile, intendendo per esso la stratificazione di tracce,<br />
forme, strutture sociali e testimonianze di passati più o meno prossimi che ne hanno determinato<br />
l’attuale configurazione, e le cui tracce possono risultare elementi guida e per ulteriori<br />
trasformazioni. Questo, infatti, è il punto di partenza per affrontare la progettazione di tali<br />
93
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
infrastrutture nel territorio, pensandole come capaci di inserirsi all’interno del significato specifico<br />
dei luoghi (Moderini, 2010:10).<br />
Scientificamente il vento, come spostamento prevalentemente orizzontale delle masse<br />
d’aria tra zone di differente pressione, caratterizza luoghi connotati dall’evidenza dei fenomeni<br />
ad esso associati. Il vento erode e disegna i profili e i rilievi, alimenta percezioni visive<br />
legate al movimento (dell’acqua, della vegetazione, delle nuvole), genera e propaga i suoni<br />
(assumendo un ruolo fondamentale nella costruzione del paesaggio sonoro).<br />
Per lo stesso motivo, come tutti i fenomeni naturali che producono effetti facilmente<br />
percepibili, ha sviluppato nel tempo una grande carica simbolica. I luoghi ventosi idonei per<br />
l’utilizzo dell’energia <strong>eolica</strong> presentano aspetti geografici simili: situati su crinali che quasi<br />
sempre coincidono con i confini amministrativi o su pianori in leggero declivio, si distinguono<br />
per analoghe caratteristiche geomorfologiche e vegetazionali. La direzione e l’intensità del<br />
vento e le curve della “vena fluida” della massa d’aria che definisce lo spazio vuoto ricco di<br />
energia disegnano una mappa che si intreccia con quella geografica e topografica, che evoca<br />
nelle sue tracce il racconto di un paesaggio, stratificazione di eventi naturali e artificiali,<br />
di storia dell’uomo, di miti, di leggende. È possibile allora strutturare un impianto eolico<br />
riappropriandosi di un concetto più vasto di energia associata al vento, utilizzando le tracce<br />
topografiche, gli antichi percorsi, esaltando gli elementi paesaggistici, facendo emergere gli<br />
aspetti simbolici e i culti arcaici, giocando con il movimento e l’intensità delle correnti d’aria,<br />
con la vegetazione, con i suoni, modulando le caratteristiche percettive (visive e sonore)<br />
prodotte dagli stessi aerogeneratori.<br />
Questi straordinari oggetti tecnologici in movimento e dall’accurato design, possono far parte<br />
a pieno titolo dell’estetica del “paesaggio del vento”; la loro valenza segnaletica può essere<br />
utilizzata come un formidabile strumento di riconoscibilità dei luoghi (Moderini, 2010:10).<br />
L’asse tecnologico e infrastrutturale dell’impianto eolico, ubicato nei punti con migliori<br />
condizioni anemometriche e geotecniche, incrociandosi con le altre trame, diventa occasione<br />
per far emergere e sottolineare le caratteristiche peculiari di un sito. Dare un nuovo senso<br />
all’infrastruttura tecnica può calamitare nuove attenzioni sui territori facenti parte del bacino<br />
eolico: un nuovo paesaggio, il paesaggio del vento e nuovi itinerari, le strade del vento, si<br />
incrociano con quelli archeologici, monumentali, storici, naturalistici, enogastronomici già<br />
da tempo consolidati.<br />
Quello che l’esperienza di questi anni ha mostrato è che nelle storie di successo i progetti eolici<br />
hanno avuto una chiave di attenzione <strong>locale</strong>, che ha permesso di innescare processi virtuosi,<br />
attenti a inserirsi rispetto ai crateri del paesaggio e a mantenere gli usi presenti nelle aree, ma<br />
anche a riportare servizi, attività e lavoro in molte realtà interne (Zanchini, 2010a:6).<br />
94
8. Ricadute territoriali<br />
e buone pratiche<br />
8.1 Piccole e grandi royalties<br />
L’interesse sviluppatosi attorno agli investimenti nei grandi impianti eolici industriali<br />
pone il problema di quali siano le ricadute sulle comunità locali che vivono nei territori dove<br />
si collocano gli impianti. Sentendo propria la “risorsa vento”, come un bene comune del territorio,<br />
appare più che legittima l’attesa delle popolazioni locali che iniziative a carattere<br />
economico apportino vantaggi tangibili là dove la risorsa viene sfruttata. Se l’ostilità delle<br />
popolazioni locali alla localizzazione di parchi eolici nel loro territorio sta cominciando a<br />
condizionare lo <strong>sviluppo</strong> di questa energia da fonte rinnovabile, spesso questa ostilità non è<br />
motivata soltanto sulla base di percezioni e valutazioni negative in termini di un temuto impatto<br />
paesaggistico e/o ambientale, ma anche (e soprattutto) sulla convinzione che il valore<br />
aggiunto della produzione degli impianti realizzati con i benefici dell’incentivazione pubblica<br />
esce quasi totalmente dal circuito <strong>locale</strong> di produzione e di distribuzione della ricchezza.<br />
Assai diffusa, infatti, è la percezione che ci siano “tanti interessi che passano sopra le teste<br />
degli amministratori locali e dei cittadini” e che alla fine “chi fa gli affari sono solo i gestori dei<br />
parchi eolici e le banche che li finanziano”.<br />
Da un punto di vista dell’analisi territoriale, si possono riconoscere tre diversi atteggiamenti<br />
in relazione al tema della valutazione delle ricadute degli impianti eolici sulle comunità<br />
locali:<br />
• di resistenza difensiva al cambiamento, che si esprime in quelle aree dell’”osso” appenninico<br />
meridionale che subiscono, più che vivere in maniera attiva e da protagoniste, i processi<br />
di modernizzazione dell’economia e della società: luoghi oggi interessati da processi di<br />
invecchiamento, spopolamento, perdita di identità, ed al contempo dalla presenza di nuova<br />
residenzialità immigrata di origine straniera che pone sotto minaccia la tenuta della comunità<br />
<strong>locale</strong>. Sono i luoghi dove è prevalente il “rancore” verso chi e verso ciò che determina<br />
discontinuità e innovazione;<br />
• di apertura, come risultato del processo di interconnessione di queste aree con i centri<br />
capoluogo e/o di fondovalle, le aree distrettuali, le nuovi cattedrali del consumo costituite<br />
da centri commerciali, outlet, centri residenziali, cinema multisala, stazioni di servizio, etc.<br />
Qui, meglio che altrove, si evidenzia una capacità di comprendere le potenzialità economiche,<br />
culturali, socio-professionali ed imprenditoriali che possono scaturire a livello <strong>locale</strong><br />
dalla realizzazioni di impianti eolici. Di fatto, vi è una maggiore consapevolezza della questione<br />
energetica;<br />
95
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
• di sospensione, sono le aree che necessitano, a differenza delle prime due, di un intenso<br />
e specifico progetto di accompagnamento delle comunità locali. Sono quei luoghi che meglio<br />
di altri, hanno avuto la capacità di mettere a valore la propria distintività in termini di turismo<br />
ambientale, di ricerca di eccellenze gastronomiche ed agroalimentari, di specificità territoriali<br />
e che di conseguenza possono mettere meglio a valore anche una distintività legata<br />
ai temi delle energie rinnovabili, della qualità ambientale e del green marketing nella promozione<br />
del territorio e dei suoi prodotti/servizi, come leva per sfruttare nuove opportunità di<br />
crescita e per rinforzare la posizione competitiva del tessuto imprenditoriale territoriale.<br />
Il settore eolico si è andato costruendo nel tempo, anche con accelerazioni e contraddizioni<br />
locali, per cui ci sono tanti impianti realizzati senza alcun confronto con il territorio<br />
e ce ne sono molti altri in cui invece gli imprenditori hanno avuto qualche attenzione, ma<br />
il tutto è avvenuto in modo assolutamente casuale, non essendoci stata mai una regola o<br />
premialità rispetto al ruolo di interlocuzione con il territorio.<br />
Siccome la materia dell’energia non è molto diffusa e penetrata nel contesto sociale – perché,<br />
altrimenti, non avremmo conosciuto in questo paese il CIP6 in componente A3 – credo che sia<br />
importante che un progetto di <strong>sviluppo</strong> energetico, anche per il comune più piccolo, sia esposto<br />
e sia resa edotta la comunità di cosa si vuol fare. Da questo punto di vista, nella mia esperienza<br />
di lavoro negli ultimi 3-4 anni, non mi sono mai trovato nella condizione di trovare delle “best<br />
practices” da citare come elemento di avvio di un progetto di <strong>sviluppo</strong> sul territorio adeguato<br />
e credibile (Stefano Masini, <strong>Coldiretti</strong>).<br />
Tutto è dipeso dalle capacità dei territori. Ci sono stati alcuni Comuni che hanno cercato<br />
di costruire un percorso, obbligando le aziende a lasciare qualcosa nel territorio anche in<br />
termini di investimenti in rapporto alla redditività dell’impianto realizzato. Altri che invece<br />
hanno pensato solo a fare cassa.<br />
In questi anni, le principali ricadute in termini di benefici per i territori locali sono state<br />
le seguenti:<br />
• il ricorso, non sempre garantito, a imprese e a manodopera <strong>locale</strong> per la realizzazione<br />
delle parti più convenzionali dell’impianto (tipicamente le opere civili: movimento terra,<br />
scavi e sbancamenti, realizzazione di strade, fondazioni e piazzole, etc.), per la manutenzione<br />
ordinaria e la sorveglianza; 82<br />
• qualche realizzazione infrastrutturale, generalmente legata al miglioramento della viabilità;<br />
82 Generalmente la manutenzione degli aerogeneratori è di competenza dell’impresa costruttrice. “Chi compra le turbine REpower,<br />
firma con noi due contratti. Il primo per la fornitura e l’installazione delle macchine, l’altro per l’assistenza e la manutenzione<br />
che ha una durata variabile tra gli 8-10-12 anni. Adesso, ci chiedono anche 15 anni di manutenzione. Noi ci prendiamo in carico il<br />
parco eolico, lo gestiamo in maniera completa, diamo delle garanzie di disponibilità, garantendo che il parco eolico sarà disponibile<br />
a produrre per il 97% del tempo. Abbiamo del personale dedicato e abbiamo una squadra di due persone ogni 20 turbine più il<br />
personale indiretto. Quindi, facciamo tre persone ogni 20 turbine. Il nostro personale deve avere tre caratteristiche: deve capire l’inglese,<br />
capire di elettrotecnica ed essere piuttosto giovane e fisicamente a posto per salire dentro il “fusto”. In REpower siamo in 55<br />
persone, di cui 30 fanno lavori di global service. Diamo la precedenza al personale <strong>locale</strong> che però è difficilissimo da trovare perché<br />
si tratta di trovare del personale disponibile a mettersi la tuta, a fare l’operaio ed avere delle competenze tecniche e linguistiche<br />
che in genere ti portano ad avere altre ambizioni. Abbiamo un rapporto costante con due società di ricerca del personale, quando ci<br />
trovano le persone le prendiamo, le formiamo, anche se non ne abbiamo bisogno subito le prendiamo lo stesso. Facciamo un anno<br />
di formazione e appena assunti vanno in Germania. Qualcuno viene assunto, qualcuno viene con contratti tramite ManPower, però<br />
non prolunghiamo il contratto oltre un anno. Dopo un anno entrano in REpower. Entrano, fanno un periodo in Germania, fanno<br />
prima un introduction week, che qui dentro abbiamo fatto tutti, dove spiegano le “basi” del vento. Da che cos’è un anemometro,<br />
fino al mercato del vento. Poi. dopo escono con le squadre tedesche, fanno un periodo di training presso i nostri principali fornitori.<br />
Alternano un po’ di presenza a Foggia e nell’area dove poi dovranno lavorare e dopo un anno sono considerati “maturi”, i più bravi<br />
diventano già caposquadra. L’altra caratteristica di questi lavoratori e che devono avere la disponibilità a rimanere fuori casa, questo<br />
soprattutto il primo anno. È un mestiere difficile perché bisogna garantire la reperibilità visto che anche il sabato e la domenica ci<br />
sono delle squadre pronte ad intervenire” (Carlo Schiapparelli, REpower).<br />
96
8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />
• i fitti dei terreni interessati dalle installazioni (anche se sovente il soggetto realizzatore<br />
acquista, perché altrimenti non riesce a concludere le operazioni di project leasing o di<br />
project financing);<br />
• qualche forma di partecipazione marginale da parte degli enti locali ai ricavi prodotti<br />
(con variazioni dall’1,5% al 5%). 83<br />
Sull’eolico c’è un certo ritorno e si può promettere una certa ricaduta sul territorio, perché<br />
l’ENEL pensa sempre alle compensazioni ambientali in senso lato, come ricaduta occupazionale,<br />
industriale, economica dell’indotto diretto e indiretto. Spesso nell’eolico quello che ci chiedono<br />
i Comuni è una ricaduta in termini di compensazione ambientale con la realizzazione di un<br />
impianto fotovoltaico sopra il tetto della scuola o sull’edificio del comune per pagare le utenze.<br />
Questo noi lo facciamo e già questo è un segno di integrazione. Poi, ovvio, se possiamo permetterci<br />
di fare anche un altro impianto può essere possibile fare anche una strada o altro. Se<br />
possiamo fare 2-3 impianti su un Comune, a quel Comune possiamo promettere molto di più<br />
e possiamo veramente risollevare in maniera sensibile lo stato economico di un Comune. Se si<br />
riesce magari a fare un impianto da 20 MW di eolico e due impianti da 10 MW da fotovoltaico,<br />
magari in quel comune si può aprire una sede dell’ENEL. Le rinnovabili sono tecnologie anche<br />
complementari. Eolico e solare sono entrambe fonti non programmabili, ma dissociate: il solare<br />
funziona solo di giorno e, quindi, va bene per sopperire la produzione elettrica di giorno, l’eolico<br />
quando c’è vento. Potrebbe esserci vento e sole di giorno, ma anche vento di notte. Per cui, se<br />
lì mettiamo solo l’impianto fotovoltaico sappiamo che d’inverno lavora tot ore, d’estate altre<br />
e comunque nella curva di massimo impiego. Se a questo ci associamo un impianto eolico,<br />
potremmo sopperire alla necessità di energia anche la notte. Le due cose fanno sì che essendo<br />
due fenomeni statisticamente indipendenti – perché sole e vento non sono strettamente correlati<br />
– potremmo sopperire meglio alle necessità energetiche. La stessa cosa con l’idroelettrico.<br />
Se tutte queste fonti sono singolarmente difficilmente programmabili, questo non vuol dire che<br />
il mix delle 3 non sia più facilmente programmabile, perché quando non c’è una, c’è l’altra e<br />
facendo i controlli alla rete possiamo, con un mix energetico, garantire maggiore erogazione di<br />
energia alla comunità. Noi abbiamo tutto l’interesse a tenere un rapporto diretto con i piccoli<br />
Comuni che sono quelli più favorevoli. Sono quelli in cui gli impianti “danno meno fastidio”,<br />
perché essendoci una densità demografica più bassa, l’impatto sulle persone è minore e dove<br />
la ricaduta occupazionale ed economica è sentita come un valore aggiunto addizionale. Quindi,<br />
questa è una strada che perseguiamo, perché è una sinergia economica, anche dal punto di<br />
vista di esercizio ed è anche più facile da gestire dal punto di vista istituzionale. E ci dà anche<br />
più soddisfazione, perché andiamo in un posto dove siamo più apprezzati (Ivano Bruni, Enel<br />
Green Power).<br />
Dal punto di vista dell’impatto economico, un impianto eolico è in grado di offrire alle<br />
casse dei Comuni, spesso piccoli e con bilanci esigui, un gettito annuo di alcune centinaia<br />
di migliaia di euro (utile sulla produzione, corrispettivo di potenza, canoni di affitto terreni).<br />
Oggi, i comuni dell’eolico in Italia sono 374 e nei casi più virtuosi questo introito viene<br />
generalmente utilizzato per interventi di compensazione ambientale, di miglioramento della<br />
qualità dei servizi, per realizzare infrastrutture ambientali: in questo modo può divenire evi-<br />
83 Tra l’altro le Linee guida previste dal D.lgs. 387/03 ed emanate solo di recente di fatto vietano qualsiasi forma di royalties<br />
e misura compensativa in denaro. Oggi, nel distretto eolico del Fortore (province di Foggia, Benevento e Avellino) ci<br />
sono comuni come Roseto Valfortore (1.205 abitanti) che con 6 parchi eolici – 60 aerogeneratori per una potenza complessiva<br />
installata di 76,9 MW – incassa 350 mila euro di royalty, con un bilancio comunale di 1.670 mila euro; Rocchetta S. Antonio (2<br />
mila abitanti), 4 parchi eolici (43 aerogeneratori per 90 MW) e royalties di 800.000-1.000.000 euro, con un bilancio comunale<br />
di 2.100.000-2.300.000 euro; Monteverde (903 abitanti), 1 parco eolico (9 aerogeneratori, 6 MW) e una royalty di 12 mila euro,<br />
con un bilancio comunale di 450 mila euro.<br />
97
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
dente ai cittadini l’impatto positivo degli impianti eolici anche a livello <strong>locale</strong>. 84 Può risultare<br />
chiaro come l’opzione <strong>eolica</strong> possa essere una scelta non solo responsabile per la salvaguardia<br />
del pianeta, ma anche per lo <strong>sviluppo</strong> sostenibile <strong>locale</strong>.<br />
Nel bene, conosco dei sindaci interessati all’eolico e alle energie rinnovabili, perché in alcune<br />
aree interne l’energia viene vista come uno degli ultimi vagoni per lo <strong>sviluppo</strong> territoriale.<br />
Sindaci in buona fede, in questo caso, pensano che questa sia un occasione utile per il loro<br />
comune. Vedo che questa parte che recitano è legata proprio all’inserimento in un’economia<br />
nuova, moderna (Stefano Masini, <strong>Coldiretti</strong>).<br />
Nel comune di Stella il parco eolico è accettato, è proprio parte della comunità e le persone<br />
sono contente. Poi, la bravura del sindaco di Stella è quella di sfruttare i proventi per opere intelligenti<br />
ed interessanti. A Stella c’è lo scuolabus gratuito, ad esempio. Inoltre, si è avviato un<br />
meccanismo virtuoso perché gli abitanti hanno iniziato a fare degli impianti di mini eolico. Ci<br />
avevano chiesto cosa fare e avevamo organizzato un convegno per spiegare la tecnologia mini<br />
<strong>eolica</strong> anche coinvolgendo l’APER. Il Comune si è fatto garante presso le banche delle iniziative<br />
dei singoli e l’agriturismo che c’è sotto il nostro impianto ha messo il mini eolico.<br />
A Santa Luce in Provincia di Pisa, c’è un nostro progetto non ancora realizzato, però approvato<br />
dalla Regione. Qui, il sindaco è molto attivo, sta facendo delle politiche integrate per portare<br />
avanti su più fronti il tema delle rinnovabili. Sta sponsorizzando la produzione <strong>locale</strong> di biodisel<br />
per alimentare i trattori e le macchine comunali, sta portando avanti un discorso con le cooperative<br />
locali per produrre biomassa “a km. 0” con gli scarti dei residui agricoli per alimentare<br />
un piccola centrale <strong>locale</strong>, ha istallato i pannelli fotovoltaici sul tetto della scuola, e l’eolico<br />
entra attraverso un bando in questo grande progetto ecosostenibile del Comune. Con i proventi<br />
dell’eolico il Comune vuole fare la mensa gratuita, lo scuolabus, istituire delle borse di studio<br />
per i ragazzi meritevoli. Ha inserito la mensa biologica nella scuola, sta facendo una serie di<br />
attività e l’eolico è una di quelle attività che può portare delle risorse finanziarie per fare tutto<br />
questo. L’eolico serve un po’ come “cassa” per finanziare servizi innovativi per la comunità<br />
<strong>locale</strong> (Giulia Canavero, FERA Srl).<br />
In tal senso, lungi dal viziare la concorrenza nel settore energetico, si evidenzia come<br />
l’ente <strong>locale</strong> può avere un ruolo fondamentale di regolamentazione, di funzione esemplare<br />
verso la cittadinanza e gli attori che insistono sul territorio, di guida e stimolo della filiera<br />
<strong>locale</strong> delle rinnovabili. Per questo l’ANCI ha sottolineato più volte al Governo la necessità di<br />
introdurre tra le deroghe già previste all’applicazione di sanzioni in caso di mancato rispetto<br />
del Patto di Stabilità anche quella inerente i diversi proventi e incentivi percepibili dagli enti<br />
locali tramite l’utilizzo di fonti rinnovabili ed efficientamento energetico. 85 Oggi, inoltre, non<br />
84 In molti dei comuni dove sono installati dei parchi eolici ci sono dei programmi didattici e delle giornate di sensibilizzazione<br />
e informazione organizzati da enti locali, associazioni ambientaliste, scuole del territorio e operatori eolici, in cui le centrali<br />
sono aperte, per cui chiunque può accedere agli impianti. In questo modo, si vuole far conoscere la tecnologia e far vedere<br />
cosa si sta facendo, soprattutto coinvolgendo le scuole. “Si cerca di far conoscere gli impianti a chi vive sul territorio o anche a<br />
chi viene da fuori, in modo da favorire la conoscenza e fare in modo che ci sia un impatto positivo in relazione all’eolico, cercando<br />
anche di abbattere quelli che sono gli eventuali stereotipi e pregiudizi negativi verso queste tecnologie ed impianti. Le persone<br />
possono tranquillamente passeggiare all’interno di un parco eolico. La strada di accesso viene sistemata e si cerca di ottimizzare il<br />
sito” (Roberto Refrigeri, Enel Green Power).<br />
85 Inoltre l’ANCI ha siglato un protocollo d’intesa con l’ACRI, l’associazione che rappresenta collettivamente le Fondazioni di<br />
origine bancaria, a favore della tutela e della valorizzazione dell’ambiente. Si intende così stimolare presso le rispettive compagini<br />
associative lo <strong>sviluppo</strong> di progetti e di iniziative per l’educazione e la formazione ambientale, la tutela e la valorizzazione<br />
delle biodiversità, la promozione del risparmio energetico e dell’utilizzo di fonti di energia rinnovabili. Le due associazioni si<br />
impegnano a divulgare e a diffondere presso i propri associati le conoscenze e le modalità operative individualmente sviluppate,<br />
ma anche a stimolare la realizzazione di attività congiunte. In particolare l’ACRI si impegna a sollecitare le Fondazioni associate,<br />
già fortemente impegnate sul fronte della salvaguardia del territorio e dell’ambiente con erogazioni filantropiche che superano<br />
i 40 milioni di euro all’anno, a mettere a disposizione dell’ANCI informazioni sulle proprie attività in questo comparto, raccolte<br />
98
8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />
viene operata alcuna distinzione tra spese correnti e investimenti sostenuti dai Comuni: ai<br />
fini del patto di stabilità valgono allo stesso modo. Così, si penalizzano i Comuni che investono,<br />
soffocando le potenzialità e le capacità degli enti locali.<br />
Il problema vero per gli enti pubblici è lo stesso che hanno anche i privati. I privati non hanno<br />
i soldi e nessuno glieli dà. Gli enti pubblici non hanno i soldi o se li hanno non li possono<br />
spendere per il vincolo del patto di stabilità. D’accordo non andare ad incrementare il debito<br />
pubblico, ma un conto è fare un investimento che produce reddito per un comune e un conto è<br />
fare un investimento che richiede reddito per il suo esercizio. Fare una scuola significa che poi<br />
questa deve essere manutenuta, che bisogna fare la strada per arrivarci, le fogne, etc. Fare un<br />
parco eolico per un comune significa, invece, avere ogni anno qualche milione di euro di reddito<br />
da poter reinvestire. Sono due cose diverse. Basterebbe che il nostro ministro Tremonti facesse<br />
2+2 come gli viene richiesto dall’ANCI. Non capisco perché non lo faccia… È il ragionamento più<br />
sbagliato del mondo, perché da una parte si fa una manovra finanziaria dove i Comuni vengono<br />
penalizzati e dall’altro si pensa di risolvere i problemi finanziari dei Comuni con un finto federalismo<br />
fiscale e ancora non gli si consente neanche di avere delle risorse che sono a loro portata<br />
di mano, immediata. Credo che sia una politica sbagliata, qualsiasi governo – di centrodestra o<br />
di centrosinistra – che questo faccia. Oggi, purtroppo non esiste una vera contabilizzazione di<br />
quello che ci costerà in futuro il non avere delle massicce installazioni di impianti da energie<br />
rinnovabili sul territorio. Questo perché noi facciamo solo i conti con quanto ci costa non rispettare<br />
il Protocollo di Kyoto entro il 2012 – 46 centesimi al secondo, ovvero 4 miliardi di euro<br />
l’anno -, ma se non rispettiamo i limiti per lo smog Altri 2 miliardi di euro all’anno. E l’85% di<br />
energia che importiamo dall’estero ai prezzi che decidono loro Ci costerà. E tutti quelli che ogni<br />
anno si ammalano per lo smog per malattia ai polmoni, dovuta all’inalazione di PM10, come<br />
vengono contabilizzati Non ci sono nella contabilizzazione. Quindi, non abbiamo una vera<br />
contabilizzazione della quantità di danni causati dall’innalzamento globale della temperatura<br />
di quel grado, grado e mezzo, come si è verificato negli ultimi anni. Allora, bisogna incominciare<br />
a ragionare che, investire risorse in questo da parte del governo centrale e consentire la<br />
liberalizzazione delle procedure anche per i Comuni, è fondamentale per l’economia italiana.<br />
È chiaro che un costo basso dell’energia è anche un costo minore per l’imprenditore che deve<br />
investire nel nostro paese (Flavio Morini, ANCI e Scansano).<br />
Fino all’anno scorso i Comuni ottenevano delle tariffe più elevate se investivano e diventavano<br />
loro gestori e, quindi, qualcosa hanno tentato di fare. Ma, i Comuni devono rispettare il patto<br />
di stabilità, per cui molti comuni non hanno una finanza sufficiente per poter fare questi investimenti.<br />
Fanno un impianto fotovoltaico nel parcheggio del cimitero o sul tetto della scuola….<br />
sono impianti medio-piccoli da 200 mila euro di investimento con una valenza sociale. Il GSE<br />
voleva premiare il comune “virtuoso” che fa l’impianto e che quindi utilizza energia auto prodotta.<br />
L’idea non è malvagia, però poi ci sono tutte le distorsioni del caso. Faccio un esempio:<br />
c’è la giunta che vuole essere pagata in contanti tutto e subito perché è in scadenza elettorale,<br />
piuttosto che fare un impianto che mi produca una redditività per 20 anni. Poi, c’è una difficoltà<br />
ricorrente: quando si emettono i bandi, il Comune mischia sempre quello che è l’investimento<br />
industriale con l’investimento finanziario. Cosa che non siamo mai riusciti a far capire al mondo<br />
“del pubblico”. Se intervengo, lo faccio con un finanziamento, non posso avere la responsabilità<br />
e coordinate da un’apposita Commissione ambiente creata in ambito ACRI, e a destinare risorse economiche a iniziative da realizzare<br />
congiuntamente con i Comuni. Per quanto riguarda l’ANCI, essa si impegna a sensibilizzare i Comuni alla buona gestione<br />
degli edifici pubblici di pertinenza e all’adozione di condotte di risparmio energetico, di riduzione delle emissioni climalteranti e<br />
di incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili. Sollecita, inoltre i propri associati all’assunzione di investimenti<br />
per il settore ambientale, alla destinazione ad esso di quote delle proprie disponibilità economiche, nonché allo <strong>sviluppo</strong> di progetti<br />
e di iniziative congiunti con le Fondazioni, mettendo a disposizione le dovute risorse umane (da ACRI Notizie, 22/06/2010,<br />
n. 159: 3).<br />
99
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
di chi realizza l’impianto, non può essere chiamata in causa la società di leasing o la banca per<br />
quello che è l’impianto fatto. Se mi devo prendere il rischio industriale faccio un altro tipo di<br />
scelta. Lo dico sempre agli amministratori: “se devo rischiare il 100%, se mi devo anche assumere<br />
il rischio industriale non è che ho bisogno del Comune per fare l’investimento”. Per questo<br />
dico che il mondo “del pubblico” è sempre stato un mondo particolare. L’altra “diatriba” è che<br />
molto spesso, se il terreno è di proprietà comunale, il Comune lo dà in comodato, e questo è un<br />
diritto reale che non posso accatastare e se lo accatasto perdo la proprietà del bene e, quindi,<br />
anche in questo caso le società di leasing sono un po’ limitate nell’intervenire. Comunque,<br />
queste iniziative sono molto interessanti, sono difficoltose da realizzare perché: primo devi fare<br />
l’accordo con ENEL perché sia disposta a fare l’auto consumo o lo scambio sul posto (Alberto<br />
Lincetti, Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).<br />
Purtroppo, in altri casi i Comuni, sopraffatti da tagli e da vincoli, sono stati tentati di<br />
utilizzare l’eolico e le altre fonti rinnovabili per “fare cassa” per pagare le spese correnti,<br />
con molta attenzione agli incentivi e alle cosiddette royalties/ristori una tantum e poca al<br />
risparmio in termini di consumo proprio e della collettività, spesso in balia di soggetti non<br />
qualificati, correndo il rischio di “svendere il territorio”.<br />
Negli anni il nostro territorio è stato deturpato dalle pale eoliche. Gli effetti prodotti sono<br />
stati un “litigio” nelle comunità per la localizzazione delle pale. Queste vicende hanno creato<br />
divisioni all’interno della comunità. Alla fine, si é giocato sul Comune che prendeva più royalty<br />
di un altro Comune, pensando che con quei soldi si risolvessero i problemi di una comunità. In<br />
cinque anni che sono sindaco ho sentito un bel po’ di colleghi che dicevano: “ho fatto questo e<br />
questo…”, ma alla fine si trattava sempre di manifestazione nel sociale e di qualche servizio<br />
in più alla comunità. A questo siamo finora. Fino ad oggi le società che hanno impiantato i<br />
parchi eolici nei nostri territori si sono sostituiti in parte ai trasferimenti pubblici dello Stato<br />
che nel frattempo sono diminuiti. Ogni Comune pensava di aver fatto un buon affare a fare la<br />
convenzione – al 2-3% negli ultimi anni e all’1,5% dieci anni fa che sembrava già una manna.<br />
Se leggete i verbali dei Consigli comunali sulle prime convenzioni che ogni comune stipulava,<br />
sembrava che tutti i problemi del Meridione si sarebbero risolti con 10 torri eoliche. Ma, le pale<br />
non hanno prodotto questo effetto. Scuole chiuse. Ogni anno negoziamo con i direttori regionali<br />
per non farci chiudere le scuole. Non so fino a quando, perché se abbiamo 5–6 bambini forse<br />
si riesce a fare qualche cosa, però siamo quasi a nascita zero. Non so negli altri Comuni, ma nel<br />
mio sono anni che ne nasce 1 o 2, a volte 0. Quindi, teniamo nascita zero ed è improponibile<br />
andare a difendere una scuola senza alunni. La popolazione diventa sempre più anziana. Fino<br />
ad oggi, tutti questi discorsi sulle rinnovabili sono stati infruttuosi per i nostri territori. Teniamo<br />
un territorio che prima veniva apprezzato per l’aria buona, il paesaggio, e adesso teniamo<br />
tutte queste pale che girano e che, fortunatamente, non producono danni. A me le pale non<br />
danno fastidio se servono per investire sui nostri giovani, per fare in modo che non se ne vadano.<br />
Ma, se servono solo per fare la festa patronale o per dare qualche servizio in più alle nostre<br />
comunità, mi danno fastidio. Dovrebbero servire per fare accordi con l’Università per realizzare<br />
dei centri di ricerca o per mettere in piedi una filiera produttiva che poi darebbe opportunità a<br />
tutti. Noi dei miliardi di euro spessi per i parchi eolici abbiamo visto solo le briciole. Abbiamo<br />
migliorato in ogni comune le feste patronali, abbiamo preso cantanti a 40mila euro, però di<br />
ritorno “di <strong>sviluppo</strong>” non ce ne è stato. Non è che teniamo molto margine per contrastare il<br />
potere degli operatori, anche se poi i cittadini ci accusano di non essere in grado di contrastarli.<br />
Il futuro sono i giovani, non gli anziani, e i giovani se ne vanno, e tutti i discorsi che facciamo<br />
non servono a niente. Non so chi sarà il Sindaco che sfortunatamente dovrà chiudere le porte<br />
perché non ci sono più abitanti (Francesco Ricciardi, Monteverde).<br />
100
8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />
Stretti tra svuotamento delle casse comunali e mancanza di personale in grado di analizzare<br />
con la dovuta competenza le proposte, troppo spesso i sindaci, inseguendo il bisogno di<br />
nuovi introiti, non si trovano nelle condizioni e con i giusti rapporti di forza per governare il<br />
fenomeno e chiedere sostanziali modifiche e diversificazioni.<br />
Le amministrazioni pubbliche dovrebbero iniziare a costruire delle richieste concrete sui temi<br />
della green economy. Le amministrazioni locali, soprattutto i piccoli comuni, hanno poca<br />
progettualità, non hanno finanza, non hanno persone. Trovi qualche società che propone al<br />
Comune qualche beneficio di qualche genere, però sono pochi i Comuni in grado di sviluppare<br />
una programmazione. Le società danno le royalty, però in alcuni casi questi soldi non sono<br />
spesi in modo intelligente (Daniela Moderini, architetto del paesaggio).<br />
In Puglia vedo una difficoltà rispetto ad altre regioni dove lo <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> ha una maggiore<br />
solidità come in Toscana, che è quella di avere un’economia “dipendente” e la mancanza di<br />
filiere agroalimentari, di produzioni di qualità. In Puglia, il discorso sullo <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> è reso<br />
più difficile dal fatto che ci sono poche filiere agricole ed alimentari di qualità rispetto alle<br />
grande distese “del granaio”. La dipendenza è tale che bisogna passare attraverso la costruzione<br />
di un’imprenditoria <strong>locale</strong> soprattutto nella filiera agroalimentare, nella multifunzionalità<br />
dell’agricoltura, nella policoltura, nell’introdurre una maggiore complessità di produzione.<br />
L’energetica potrebbe essere un elemento che contribuisce, ma adesso l’energetica è vissuta<br />
esattamente come la “dipendenza dal Regno di Napoli”. Il vento dell’Appennino Dauno non<br />
ha reso un tubo agli abitanti e non possono più mettere capre e pecore. In Puglia siamo di<br />
fronte a questa difficoltà: da una parte una società <strong>locale</strong> “debole”, perché abituata ad una<br />
storia di dipendenza economica e abusivismo e dall’altra la presenza di questi “grandi poteri”<br />
rappresentati da ditte spagnole, tedesche, olandesi che hanno scoperto che il vento pugliese è<br />
il migliore del bacino del Mediterraneo. Il Sindaco di Avetrana si è presentato con dei tedeschi<br />
dicendo che aveva venduto e cercavano l’assenso del Piano Paesaggistico (Alberto Magnaghi,<br />
Università di Firenze).<br />
Le amministrazioni locali interessate dalla localizzazione di grandi centrali eoliche industriali<br />
sono tra quelle più disperate, povere e spesso non in grado di garantire una buona gestione<br />
della cosa pubblica. Il meccanismo, favorito anche da norme del “paternalismo autocratico”<br />
coltivato fino ad adesso, in base al quale il sindaco di un piccolo comune non avendo nessuna<br />
competenza si trova di fronte il grande player globale come Gamesa che gli promette straordinarie<br />
royalty in una fase in cui i trasferimenti sono venuti meno e la finanza comunale è<br />
in condizioni drammatiche, ovviamente rende il piccolo comune la preda ideale, favorendo il<br />
fatto che queste amministrazioni si siano poste in una condizione di sostanziale conflitto di<br />
interesse con le iniziative che venivano realizzate sul territorio. Questo meccanismo è perverso<br />
di per sé e non c’è da scandalizzarsi che poi si sia sviluppato in una certa maniera in assenza<br />
totale di una programmazione nazionale e meno ancora della capacità di sviluppare meccanismi<br />
di programmazione e di pianificazione “locali”. Va anche detto che questi soldi finiscono nelle<br />
mani delle Amministrazioni e non della collettività e questo è un guaio enorme perché l’amministrazione<br />
ne fa un uso che nel “breve” paga, però nel lungo periodo è difficilissimo valutarlo.<br />
Invito spesso ad andare a vedere il rapporto della Banca d’Italia sull’utilizzo dei 140milioni di<br />
euro all’anno di royalty che l’ENI paga ai territori della Basilicata, in parte alle Regione e in<br />
parte direttamente ai Comuni, che poi vengono distribuiti sul bacino petrolifero, per guardare<br />
quanto questi soldi sono entrati nel circuito dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>. La verità è che un comune<br />
come quello di Viggiano 86 con poco più di 3mila abitanti incassa 15 milioni di euro l’anno e<br />
86 Si veda http://www.comuneviggiano.it/petrolio/estrazione_petrolifera.htm#royaltyes. A Viaggiano, in Val d’Agri, L’ENI<br />
sfrutta i pozzi petroliferi dalla fine degli anni ’90. Oggi, vengono estratti 80 mila barili al giorno e l’accordo con gli enti locali<br />
101
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
quest’anno si fa la piscina olimpionica, quando ha lastricato d’oro i marciapiedi che cosa altro<br />
può fare Il tema delle linee guida riguarda non solamente l’eolico e lo <strong>sviluppo</strong> delle fonti rinnovabili<br />
e del sistema energetico, ma riguarda, più in generale, i problemi dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
in questo Paese soprattutto nelle aree rurali e ancora di più in quelle montane, per uscire dalla<br />
logica dello “svantaggio” compensato “paternalisticamente” (Tommaso Dal Bosco, Uncem).<br />
Certamente, l’eolico e le altre fonti di energia rinnovabili possono avere un impatto<br />
positivo importante a livello economico per l’ente <strong>locale</strong> comunale, ma questo dovrebbe<br />
essere la risultante di una molteplicità di fattori come il risparmio, i costi sociali e ambientali,<br />
l’entrate da investimenti diretti nella produzione energetica rinnovabile e da servizi<br />
aggiuntivi, etc., e non il primo o l’unico obiettivo dell’ente <strong>locale</strong>. Il Comune dovrebbe<br />
innanzitutto conoscere le potenzialità e le opportunità energetiche del proprio territorio,<br />
utilizzare tutte le leve tutelandolo, migliorando la qualità dei servizi e della vita dei propri<br />
cittadini. Ora, le Linee guida dispongono che siano previste misure compensative adeguate,<br />
sebbene non monetarie, dirette ad attivare investimenti coerenti con gli interventi sostenuti<br />
sul territorio stesso. Questa misura mira a stimolare la pratica virtuosa nel considerare<br />
in modo integrato la comunità e il territorio, con i suoi bisogni, i suoi consumi complessivi<br />
e le sue potenzialità complessive in termini energetici, focalizzando sulla concomitanza di<br />
produzione ed incremento dell’efficienza energetica, stressando la componente di risparmio,<br />
e valorizzando al massimo la distribuzione e l’autonomia energetica, a partire dal patrimonio<br />
immobiliare pubblico. Molto deve e potrà essere fatto in questa direzione da parte degli enti<br />
locali nel prossimo futuro.<br />
L’installazione di impianti da fonti rinnovabili va avanti ed è fondamentale, ma va abbinata<br />
alla risorsa vera della nostra nazione che è l’efficientamento energetico degli edifici. L’Istituto<br />
Mondiale per l’<strong>Energia</strong> stima che entro il 2030 il 55% del recupero e risparmio di emissioni deriverà<br />
dall’efficientamento energetico degli edifici. Questo edificio dove siamo adesso, consuma<br />
circa 250 kW calorici a metro quadro. Se fosse efficientato con una serie di interventi che vanno<br />
dagli infissi all’impianto a pavimento, all’alimentazione di un certo tipo all’involucro/copertura,<br />
questo edificio potrebbe consumare 60-70 kW calorici a metro quadro. Siccome il 35% dell’energia<br />
è consumato da edifici come questo in Italia, se si riuscisse a ridurre questa incidenza di<br />
4 volte, si recupererebbe un 15-20% dell’energia consumata. Questo sarebbe un risparmio vero<br />
che metterebbe in azione una economia <strong>locale</strong>… (Flavio Morini, ANCI e Scansano).<br />
Una ricaduta per la quale si erano create grandi aspettative nei “territori del vento” e<br />
che invece oggi, a 15 anni dalle prime installazioni di parchi eolici commerciali, si ritiene<br />
sia ormai andata persa era quella relativa alla nascita di filiere industriali locali legate alla<br />
produzione di componenti e sistemi eolici.<br />
Da diversi anni abbiamo prodotto una serie di iniziative per sollecitare, sostenere e anche<br />
supportare la Regione su delle scelte che hanno consentito di realizzare una serie di progetti<br />
sul nostro territorio. In questo momento, queste iniziative si portano con sé i tanti problemi<br />
che sono stati evidenziati dalla stampa, dai mezzi di comunicazione. Un’idea del malaffare,<br />
consentirebbe all’ENI di salire solo a 104 mila. Ora, l’ENI ha chiesto di aumentare a 120-130 mila barili al giorno l’estrazione.<br />
Naturalmente, più barili si estraggono e più royalties finiscono nelle casse del Comune di Viggiano e della Regione (di recente,<br />
con una legge il governo le ha aumentate dal 7 al 10% del valore della produzione, per finanziare una sorta di petrocard riservata<br />
ai soli patentati della Basilicata), ma, almeno da parte della presidenza regionale, la richiesta non è tanto di più soldi, quanto di<br />
posti di lavoro (in Basilicata il tasso di disoccupazione medio è del 12%, ma tra i giovani è molto più alto). Oggi, il petrolio dà<br />
lavoro a 500 persone in Val d’Agri. Il numero potrebbe forse raddoppiare calcolando l’indotto, ma è chiaro che in questo settore<br />
l’aumento della produzione non corrispose ad un aumento degli occupati.<br />
102
8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />
dell’interesse criminoso, un’idea di distruzione del territorio, un’idea in generale molto negativa<br />
che è passata solo dal punto di vista mediatico, ma poi in realtà se si osservano i dati sulle<br />
ricerche condotte sull’accettazione da parte delle Comunità delle iniziative, in realtà le risposte<br />
sono molto più confortanti. Ciò non toglie che ci troviamo di fronte ad una situazione in cui<br />
non c’è affatto chiarezza, c’è difficoltà a realizzare. Una montagna di problemi che inizia con<br />
le procedure, gli iter amministrativi, e poi ci si scontra con i problemi tecnici per realizzare<br />
queste iniziative. Sicuramente, credo che l’occasione si sia un po’ persa, perché non c’è stata<br />
una reale possibilità di fare <strong>sviluppo</strong> della filiera. Su questo noi amministratori locali ci siamo<br />
molto impegnati e appassionati, perché convinti che quello sarebbe stato il vero ritorno per<br />
questi territori. Ma, questo <strong>sviluppo</strong> non c’è stato e credo che con l’andar del tempo diventerà<br />
sempre più difficile poter immaginare di realizzarlo in modo certo, coinvolgendo i principali interlocutori<br />
come le aziende leader locali, nazionali ed internazionali. Credo che questa idea di<br />
cercare di costruire una filiera su questi territori si sia appannata, sia andata un po’ smarrita.<br />
La frammentazione decisionale e il pasticcio delle leggi e leggine fatte negli anni passati con<br />
le bocciature della Corte Costituzionale hanno evidenziato la difficoltà che c’è a capire l’importanza<br />
delle energie rinnovabili, di questa vera rivoluzione che solo in parte si è realizzata, e<br />
questo forse ha fatto perdere il treno su cui tutti un po’ avevamo puntato. Certamente, i ritorni<br />
alle comunità, le risorse derivate dalle rinnovabili sono sicuramente positive, ma ci sono stati<br />
in questi anni tutta una serie di aspetti che hanno condizionato, bloccato, limitato, le possibilità<br />
di crescita, di <strong>sviluppo</strong> delle fonti rinnovabili in questi nostri territori come “motori” di<br />
crescita di ricchezze, di opportunità vere (Ranieri Castelli, Rocchetta Sant’Antonio).<br />
8.2. Alcune esperienze del rapporto tra grande eolico e territorio<br />
Negli ultimi 15 anni sono state realizzate esperienze importanti, da cui prendere spunto,<br />
da parte di alcune realtà territoriali che hanno compreso la necessità di un protagonismo<br />
<strong>locale</strong> per rendere l’eolico una opportunità di <strong>sviluppo</strong> e valorizzazione del territorio. Le<br />
situazioni di maggiore successo, dove cioè si registra un alto grado di accettabilità e protagonismo<br />
sociale da parte della popolazione e del territorio <strong>locale</strong> verso l’eolico e le altre<br />
rinnovabili sono quelli in cui gli enti locali (Comuni, Comunità Montane e Province) hanno<br />
svolto un ruolo come co-proponente o comunque un ruolo molto attivo. Pertanto, la possibilità<br />
che lo <strong>sviluppo</strong> dell’eolico avvenga in maniera equilibrata e condivisa sembra passare<br />
attraverso un forte e convinto coinvolgimento da parte della pubblica amministrazione e,<br />
soprattutto, dei Comuni, cioè del livello istituzionale più vicino ai problemi, alle attese e alle<br />
domande dei cittadini.<br />
Se c’è una caratteristica dell’economia energetica basata sulle rinnovabili è nel suo carattere distribuito.<br />
L’economia e l’energia delle rinnovabili si basa su una produzione distribuita, capillare<br />
che inevitabilmente deve nascere non solo dalla condivisione, ma anche dal protagonismo delle<br />
comunità. Non è solo un fatto energetico, ma anche di democrazia e di evoluzione dell’idea di<br />
come si produce e si consuma energia. Questa esigenza è ancora più spinta per il fotovoltaico,<br />
perché è fatto di taglie ancora più piccole dell’eolico, ma credo che valga anche per l’eolico<br />
(Roberto Della Seta, senatore).<br />
Di seguito, si presentano alcuni casi territoriali che nel corso della ricerca sono stati<br />
segnalati dai testimoni privilegiati intervistati in quanto considerati delle rappresentazioni<br />
di esperienze significative in grado di fornire supporti esemplificativi alle riflessione per<br />
quanto riguarda le dinamiche di partecipazione e coinvolgimento attivo degli attori locali,<br />
l’attenzione alla qualità del progetto, le ricadute economiche e sociali sul territorio <strong>locale</strong>.<br />
103
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
* * *<br />
Santa Luce (PI)<br />
Il Comune di Santa Luce (1.800 abitanti) in Bassa Val di Cecina ha compiuto in questi<br />
ultimi anni un interessante percorso sulle energie rinnovabili che lo ha portato ad avere sul<br />
territorio una serie di impianti (per un investimento complessivo di circa 50 milioni di euro,<br />
una ventina di posti di lavoro e positive ricadute anche sulle finanze del Comune) che sono<br />
strettamente collegati alla vocazione agricola del territorio secondo una logica che mira a<br />
sviluppare una green economy a livello <strong>locale</strong>, cioè un’agricoltura multifunzionale di qualità.<br />
Fa piacere raccontare quello che è stato un po’ un sogno nostro che si è concretizzato negli<br />
ultimi 4 anni. A maggio ci sono le elezioni e tutto quello che abbiamo fatto l’abbiamo fatto in<br />
questa legislatura. Siamo partiti dal non avere alcuna attenzione per la green economy, al fatto<br />
che nel nostro territorio c’è stato un fiorire di attività. Sabato prossimo andiamo a presentare<br />
l’utilizzo di una stalla per l’allevamento di bovini che viene “convertita” al biogas e ha i tetti<br />
fotovoltaici. È l’ultimo tassello di un percorso che abbiamo fatto sulle rinnovabili e che è partito<br />
dall’eolico, ma poi ha abbracciato tanti altri settori. Questo perché investimento chiama investimento,<br />
ma soprattutto perché il nostro comune si è connotato con l’immagine di un territorio<br />
che avendo una vocazione agricola importante, aveva la voglia di investire sul proprio futuro<br />
legandolo alle energie rinnovabili, all’utilizzo del suo territorio e, quindi, delle sue risorse, siano<br />
esse le risorse del vento, da biomassa o dall’agricoltura. Un sistema che dovrebbe nella logica<br />
del nostro “sogno” mettere insieme quella che è una sostenibilità di attività nel nostro comune<br />
con le nuove tecnologie, su un futuro a energia pulita, con investimenti che porteranno nuove<br />
attività e alla possibilità di creare tante micro attività collegate alle rinnovabili. Questo potrà<br />
consentire a chi vive in questo comune di viverci stabilmente e di impiantare la propria attività.<br />
Poi ci siamo posti traguardi sempre più importanti: entro il 2011 vogliamo firmare il Patto dei<br />
Sindaci per poi lavorare ad un Piano Energetico Comunale per il recupero delle risorse per la<br />
ristrutturazione degli edifici (Federico Pennesi, Santa Luce).<br />
Il punto di avvio di questo percorso è stata la decisione di realizzare un impianto di<br />
eolico industriale da 26 MW distribuiti su 13 aerogeneratori (si stima che a regime l’impianto<br />
produrrà 58 mila MWh/anno, ovvero energia pulita corrispondente al fabbisogno di 19.500<br />
famiglie). In questo percorso, l’ente <strong>locale</strong>, pur non avendo investito direttamente proprie<br />
risorse nella realizzazione degli impianti, ha giocato un ruolo fondamentale, perché è riuscito<br />
ad imporre “un metodo” di condivisione delle scelte con la popolazione <strong>locale</strong>, promuovendo<br />
la partecipazione dei cittadini e coinvolgendo anche del Dipartimento di Energetica “Lorenzo<br />
Poggi” e del Dipartimento di Ingegneria Civile “Laboratorio di Ingegneria dei Sistemi Territoriale<br />
e Ambientale” dell’Università di Pisa.<br />
L’eolico è stata l’iniziativa “forte”. Siamo partiti a luglio 2006 coinvolgendo la popolazione su<br />
una proposta che ci arrivò da un privato. Quello che abbiamo fatto in questi anni, è stato di<br />
elaborare ”un metodo” con cui abbiamo condiviso le nostre scelte con la popolazione. Questo è<br />
l’unico modo per far passare qualsiasi tipo di progetto importante per un territorio al vaglio del<br />
consenso sociale. Quello che abbiamo fatto da subito è stato quello di presentare i progetti alla<br />
popolazione, di discutere con loro della proposta, approfondire vari aspetti e, quindi, coinvolgerli<br />
nella scelta. Oggi, la chiamano partecipazione, ma è un modo di condividere le scelte con<br />
chi vive in un territorio. Noi l’abbiamo fatto e questo ha pagato. Noi abbiamo fatto un referendum<br />
dopo pochi mesi dalla presentazione della proposta di realizzare un parco eolico e ci fu un<br />
plebiscito per l’iniziativa. Tutti quanti erano d’accordo. A questo referendum partecipò quasi il<br />
104
8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />
90% degli aventi diritto. Fu una cosa piacevole perché si era creato un clima di aspettativa, una<br />
voglia anche di pensare a qualcosa di diverso per il nostro comune. Avevamo coinvolto l’Università<br />
di Pisa perché volevamo un parere di un soggetto terzo e in tutti questi anni l’Università è<br />
stato per noi un partner importante. Ci ha assistito in tutte le scelte e ci ha anche indirizzato<br />
nella decisione più “utile” per il nostro territorio. Sul parco eolico l’Università ci ha dato un<br />
supporto sulle scelte di carattere ambientale, su come minimizzare l’impatto ambientale, sul<br />
fatto che la produttività di un impianto dipende dalla sua collocazione, etc. Una serie di scelte<br />
e di parametri che è stato frutto di un lungo lavoro da parte loro. Questo, abbinato al fatto che<br />
abbiamo sempre informato la popolazione dei risultati del lavoro tra Comune e Università, ha<br />
consentito di condividere la scelta. Tutte le nostre scelte sulle energie rinnovabili del Comune di<br />
Santa Luce sono sempre state prese all’unanimità in Consiglio Comunale, caso abbastanza raro<br />
nella realtà italiana, perché queste sono scelte politicamente importanti per un comune. Nel<br />
nostro caso non c’è stata divisione proprio perché il coinvolgimento, la discussione, il dibattito<br />
sulle varie scelte è sempre avvenuto con serietà, con approfondimenti dei soggetti responsabili<br />
e con il fatto di chiedere fin dall’inizio alla popolazione cosa ne pensava dell’intervento. È vero<br />
anche che siamo un comune di 1.800 abitanti per cui la partecipazione e il coinvolgimento<br />
diventa anche più semplice, mentre forse, quello che abbiamo fatto noi è difficilmente “esportabile”<br />
in un comune più grande. È vero che se il metodo è quello di partire coinvolgendo i<br />
cittadini in un percorso, il cittadino poi dopo do il suo supporto anche nelle scelte successive.<br />
Anche il passaggio che facciamo sabato per l’ultimo impianto, un impianto da biogas e 1 MW di<br />
fotovoltaico sul tetto della stalla, viene da una scelta di un imprenditore privato che vedendo<br />
il favore con cui vengono accolte sul territorio certe iniziative, si è convinto nel fare un investimento<br />
che sfiora i 10 milioni di euro. Investimenti che nel nostro comune non si registravano<br />
da decenni. Passare da zero a quasi 100 milioni di investimento in rinnovabili in 4 anni per noi<br />
è stato un boom incredibile, quasi un Piano Marshall. Sono tutti investimenti privati (Federico<br />
Pennesi, Santa Luce).<br />
La proposta del parco eolico è stata fatta al Comune da un privato che avrebbe voluto<br />
realizzarlo su un terreno del demanio forestale regionale denominato “Bosco di Santa Luce”. 87<br />
Il Comune, con la consulenza dell’Università di Pisa (che ha realizzato uno “Studio per la localizzazione<br />
di un parco eolico nel territorio del Comune di Santa Luce”), ha verificato alcuni<br />
aspetti tecnici, normativi e giuridici e ha deciso di fare una gara pubblica per l’affidamento<br />
del terreno per il parco eolico.<br />
Era un bando abbastanza innovativo, perché avevamo messo in evidenza pubblica l’utilizzo di<br />
un’area per scopi energetici legati all’eolico. Quindi, in base a questo chiedevamo tutta una<br />
serie di parametri, in modo da avere un progetto importante, ma che tenesse conto di tutta<br />
una serie di attenzioni ambientali per minimizzare l’impatto sul nostro territorio. Con quello<br />
che abbiamo definito con l’Università di Pisa abbiamo avuto una base per chiedere alle aziende<br />
concorrenti determinate caratteristiche nella realizzazione del parco eolico e siamo stati anche<br />
nella condizione di poter valutare quello che di migliorativo ci veniva proposto dai partecipanti<br />
al bando. La FERA, che è l’azienda che ha vinto il bando, ha fatto una proposta che abbiamo<br />
giudicato molto interessante e che poi ha avuto anche l’autorizzazione regionale per la realizzazione<br />
dell’impianto. Noi, come ente <strong>locale</strong> gli abbiamo dato il terreno su cui fare questo<br />
investimento (Federico Pennesi, Santa Luce).<br />
87 Questo risulta essere il primo esempio in Italia di parco eolico realizzato in area demaniale regionale, pertanto l’iniziativa<br />
avrà ricadute economiche non solo sul Comune di Santa Luce, ma in parte anche sulla Regione Toscana.<br />
105
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Il percorso autorizzativo per il parco eolico è durato 4 anni. I lavori di costruzione<br />
sono iniziati nel 2011 e dureranno fino all’estate 2012. Grazie alle nuove risorse derivanti<br />
dalla realizzazione del parco eolico il Comune vuole assicurare ai cittadini servizi gratuiti e<br />
promuovere iniziative volte alla promozione di uno <strong>sviluppo</strong> sostenibile tra cui, ad esempio:<br />
• bonus ADSL;<br />
• bonus scuolabus (dalla materna alle superiori);<br />
• bonus bebè (1.000 euro per ogni nuovo nato);<br />
• abbattimento dei costi dell’asilo.<br />
Parallelamente, si è avviato anche un altro impianto eolico più piccolo. Un progetto di<br />
parco eolico realizzato su un terreno privato, sempre nell’area dove è in essere il progetto<br />
della FERA, a cavallo del confine con il comune confinante di Casciana Terme (una parte del<br />
parco è sul territorio di Santa Luce e una parte su quello di Casciana Terme).<br />
Inoltre, è stato avviato un progetto legato alle biomasse che si lega alla ripresa di un<br />
gestione attiva dell’esteso patrimonio boschivo esistente sul territorio. Il progetto, studiato<br />
dalla società Ago <strong>Energia</strong> Srl, prevede un impianto di cogenerazione acqua/vapore che in<br />
parte produrrà elettricità (7.000 MWh/anno, pari al fabbisogno di circa 2.000 famiglie),<br />
in parte calore per l’essiccazione della biomassa combustibile e in parte realizzerà pellet<br />
che sarà venduto a prezzi politici ai cittadini del comune per l’alimentazione delle proprie<br />
caldaie domestiche. Il carico complessivo dovrebbe essere di 40-50 mila tonnellate annuo<br />
di biomasse. Alle cooperative agricole della zona è affidato il compito di “nutrire” la centrale<br />
secondo il meccanismo della filiera verde. Vale a dire che il mondo agricolo, senza<br />
cambiare il ciclo di produzione, ma semplicemente recuperando gli scarti della lavorazione,<br />
delle potature e del taglio programmato dei boschi, potrebbe mantenere l’industria in un<br />
sistema-terrtiorio basato sulle biomasse vergini raccolte entro 70 chilometri di distanza<br />
dall’impianto. La localizzazione nella zona industriale dovrebbe poi garantire un rifornimento<br />
di energia pulita per le industrie locali che attualmente non hanno il collegamento con<br />
il metanodotto.<br />
Abbiamo portato avanti un progetto legato alle biomasse perché è una delle nostre vocazioni<br />
territoriali in quanto il nostro territorio presenta estese superfici boschive. Negli ultimi 60 anni<br />
erano state abbandonate, per cui l’idea di utilizzarle anche per utilizzare questo materiale a<br />
fini energetici è una scelta che riteniamo importante. Sempre con l’Università di Pisa abbiamo<br />
fatto una serie di analisi e abbiamo cercato nel panorama italiano ed europeo, le aziende e le<br />
tecnologie che potevano essere adatte alla nostra realtà. Anche qui, l’investimento sarà realizzato<br />
a partire da marzo 2011 da un privato che costruirà un impianto di cogenerazione da<br />
1 MW elettrico e utilizzerà il calore per produrre circa 30mila tonnellate di pallet. Trasformerà<br />
le biomasse del bosco in combustibile alternativo al petrolio (Federico Pennesi, Santa Luce).<br />
Il percorso di condivisione con i cittadini ha avuto una rilevanza pubblica che ha contribuito<br />
a modificare l’immagine di Santa Luce e a far nascere altre iniziative in campo energetico<br />
da rinnovabili e, più in generale, in campo ambientale. Tra le altre cose, il Comune<br />
sta supportando due cooperative locali che stanno pianificando la coltivazione di piante<br />
oleaginose adatte ai terreni di Santa Luce e la costruzione e messa in funzione di un frantoio<br />
per la realizzazione di biocarburanti a partire dai semi. Il biocarburante prodotto andrà ad<br />
alimentare sia il parco macchine agricole degli agricoltori che quello del Comune. Si sta anche<br />
valutando la possibilità di effettuare il riscaldamento dell’ostello, degli edifici scolatici e<br />
comunali attraverso questo combustibile.<br />
106
8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />
Dal momento che tutte queste attività sono state oggetto di convegni, serate, approfondimenti,<br />
dibattiti pubblici, incontri con l’Università dove facevamo i vari passaggi con i cittadini, con la<br />
stampa, tutti sanno cosa sta facendo il Comune di Santa Luce. La stampa <strong>locale</strong> ci ha sempre<br />
tenuto d’occhio anche perché queste tecnologie sono vendibili dal punto di vista giornalistico.<br />
Santa Luce è diventato il comune da seguire sulle energie rinnovabili e la gestione del territorio.<br />
Questo ci ha fatto conoscere in un contesto più ampio del nostro ambito <strong>locale</strong>. Da lì poi<br />
sono nate tutta una serie di iniziative che coinvolgono le cooperative locali, attività legate al<br />
mondo dell’agricoltura che negli ultimi anni ha visto decrescere la propria capacità di produrre<br />
reddito e che quindi ha necessità di differenziare il reddito anche attraverso nuove attività. Ci<br />
sono aziende che hanno differenziato l’attività agricola con impianti fotovoltaici a terra dentro<br />
la soglia “accettabile” dei 200 kW stabilita dalle Linee guida regionali. Poi, c’è stata una<br />
cooperativa che ha investito nella produzione di carburanti e di olii al fine di commercializzali<br />
per i certificati verdi. Questa cooperativa è impegnata da qualche anno nella coltivazione di<br />
colture oleose per estrarre olio. Ora, stanno realizzando un frantoio per produrre direttamente e<br />
commercializzare l’olio, invece che vendere i semi, con l’idea di poter realizzare un impianto di<br />
cogenerazione per bruciare l’olio e i derivati dei semi. Per il momento stanno mettendo in piedi<br />
il frantoio per la trasformazione dei semi in olio. Questa realtà è nata sull’onda del movimento<br />
creato dalle due iniziative più importanti nell’eolico e nella biomassa. Ci sono due iniziative<br />
legate al fotovoltaico. La prima, riguarda un progetto comunale che prevede l’installazione di<br />
pannelli sul tetto del complesso scolastico per una potenza di 18 kW. La seconda, invece noi la<br />
consideriamo abbastanza marginale perché non è mai stata una scelta che ci ha entusiasmato<br />
più di tanto. Noi pensavamo di utilizzare le risorse del territorio in funzione di quelle che sono<br />
le esigenze dell’agricoltura e di chi ci vive. Il fotovoltaico, soprattutto a raso, sui terreni agricoli<br />
è una scelta non condivisa nè da noi amministrazioni nè dalla popolazione. Questo fondamentalmente<br />
perché ha un impatto paesaggistico importante e non genera posti di lavoro, in<br />
definitiva c’è solo un investimento molto limitato alla singola realtà e non coinvolge nemmeno<br />
l’azienda agricola, perché le aziende agricole locali non sono interessate ad affittare terreni per<br />
realizzare questi impianti. Sul fotovoltaico abbiamo sempre tirato i freni anche perché siamo<br />
in Toscana e l’impatto visivo sul paesaggio è un elemento importante. Invece, dalle biomasse<br />
avremo 25 posti di lavoro diretti nell’impianto di produzione di pellet. È nata una cooperativa<br />
composta da tre cooperative di Santa Luce più altri operatori che gestiranno tutta la movimentazione<br />
del materiale intorno all’impianto. Abbiamo quindi coinvolto tutto un tessuto di<br />
persone e di realtà aziendali che hanno forti aspettative verso questo movimento che si crea<br />
dagli investimenti sulle rinnovabili. Stessa cosa per l’impianto a biogas della stalla perché crea<br />
un indotto dai trasporti, al concime, a tutta una serie di prodotti che entreranno nell’impianto<br />
stesso. Ridendo e scherzando negli ultimi 2 anni sono nate una decina di aziende legate alle<br />
rinnovabili. La green economy ha portato un’idea forte. Siamo partiti dall’eolico e a catena<br />
sono uscite tutta una serie di attività satellite. Queste nuove aziende produrranno reddito e<br />
creeranno posti di lavoro sul territorio. Si tratta d scelte che derivano da un’idea iniziale che<br />
si è venuta perfezionando e che porterà, ne sono convinto, ad ulteriori sviluppi. È un mondo<br />
che si apre e che potrà portare interessanti sviluppi sia in termini di economia, ma anche di<br />
occupazione, investimenti, di capacità di migliorare l’ambiente e il territorio. È una sequenza<br />
di attività che vanno perfezionando l’idea iniziale legata alla realizzazione di un parco eolico a<br />
Santa Luce. Qui, abbiamo anche discusso di royalty. Noi abbiamo sempre detto che se ci sarà<br />
un ritorno economico per il nostro Comune, questo sarà investito in servizi al cittadini (Federico<br />
Pennesi, Santa Luce).<br />
Il Comune di Santa Luce ha privilegiato un approccio “privato” al tema delle rinnovabili.<br />
Questa è stata una scelta che è stata discussa con la cittadinanza, valutandone i pro e i<br />
contro.<br />
107
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Quella di un azionariato misto pubblico-privato e di un azionariato diffuso è una scelta che<br />
abbiamo preso in considerazione e che abbiamo affrontato anche con i concittadini. In vari<br />
passaggi che abbiamo fatto - non tanto per il parco eolico che effettivamente è un investimento<br />
fuori dalla nostra portata - sull’impianto a biomasse avevamo pensato che poteva essere l’ente<br />
pubblico comunale e un gruppo di azionisti–cittadini a poter finanziare l’investimento. Abbiamo<br />
scelto la “concretezza del fare” che veniva da aziende che facevano investimenti e avevano<br />
i loro ritorni economici. Però, abbiamo “preteso” per il territorio dei “ritorni” importanti e li<br />
abbiamo ottenuti anche perché avevamo già fatto tutto il processo di approfondimento. Solo<br />
sulle biomasse, le due aziende vinicole locali hanno stipulato dei contratti di fornitura dei<br />
sottoprodotti a prezzi doppi rispetto al valore di mercato. Domani questo valore, chiamiamolo,<br />
“politico”, chiesto e mediato dall’amministrazione, ricadrà su tutte le attività agricole del<br />
territorio. Abbiamo cercato di fare gli interessi di chi vive nel territorio in rapporto a chi viene<br />
a fare investimenti. Sicuramente sarebbe stato “più nobile” come intento e ci sarebbero stati<br />
dei ritorni importanti per l’amministrazione nel caso dell’azionariato, ma dovevamo impegnare<br />
l’amministrazione in scelte importanti, forse anche difficili da sostenere per il nostro ente. Noi<br />
non siamo operatori che lavorano nel settore e, quindi, avremmo potuto anche sbagliare e sbagliare<br />
in maniera importante. Abbiamo fatto i dovuti approfondimenti vedendo le possibilità di<br />
aprire un mercato nuovo, con tutta una serie di possibilità di investimenti e poi abbiamo deciso<br />
concretamente di far sì che queste investimenti li facesse chi era un operatore del settore. C’è<br />
un problema di “taglia” del Comune, ma fondamentalmente c’è un problema di gestione, perché<br />
noi abbiamo visto altri esempi in Italia di impianti a biomasse fatte dai Comuni. Quando<br />
siamo andati a visitarli erano fermi da mesi, perché non avevano l’operatore che era qualificato<br />
per far funzionare l’impianto. Quesiti impianti hanno anche beneficiato di contributi regionali<br />
pubblici in maniera importante, però fai un investimento, metti un impianto e magari non lo<br />
tieni acceso perché non riesci a gestirlo e hai tutta una serie di difficoltà. Fino a che punto ne<br />
vale la pena Forse è meglio farlo gestire a qualcun altro in modo che vi siano dei benefici in<br />
termini economici e ambientali per tutto il territorio. Quando crei un’economia le ricadute vanno<br />
a finire sui tutti i vari settori. È vero che quelli che potevano essere i benefici economici per<br />
l’amministrazione potevano essere molto più alti, ma alla fin fine non ci interessava diventare<br />
“la Montecarlo” delle rinnovabili, ma avere la sostenibilità che significa avere e mantenere dei<br />
servizi in grado di creare anche altre attività. Abbiamo fatto la scelta politica di far partire le<br />
attività nei tempi minori possibili (Federico Pennesi, Santa Luce).<br />
* * *<br />
Fortore <strong>Energia</strong><br />
L’area compresa tra la Campania e la Puglia attraversata dal fiume Fortore (che funge<br />
anche da confine tra la Puglia e il Molise), che coincide con i territori delle Comunità Montane<br />
dei Monti Dauni Settentrionali (FG) e del Fortore (BN) che accorpano ventotto Comuni<br />
Appenninici, a cavallo delle province di Foggia e Benevento, già nel 2000 ospitava il distretto<br />
eolico italiano: dei circa 700 MW installati in Italia, sull’Appennino Appulo-Campano erano<br />
in produzione impianti per una potenza complessiva di circa 500 MW, quasi tutti installati<br />
a partire dal 1996. Tale distretto era destinato a crescere ulteriormente, proprio grazie alle<br />
innovazioni normative introdotte a partire dal Decreto legislativo 79/99 (cosiddetto “Decreto<br />
Bersani”) inerente il recepimento della Direttiva europea 96/92/CE sul mercato interno<br />
dell’elettricità che ha definito le linee generali del riassetto del settore elettrico in Italia.<br />
Inoltre, accanto all’eolico, il territorio disponeva di risorse per favorire lo <strong>sviluppo</strong> di altre<br />
fonti rinnovabili: la produzione di biomassa, l’acqua, il sole. Dalla trasposizione dei dati del<br />
Libro bianco per la valorizzazione energetica delle fonti rinnovabili (6 agosto 1999), Libro Bianco<br />
Italiano riferiti a tutte le fonti rinnovabili - con l’esclusione dell’idro medio e grande - per<br />
108
8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />
le province di Campobasso, Benevento, Avellino, Potenza e Foggia – emergevano i seguenti<br />
dati indicativi:<br />
• la potenza installabile potenziale delle varie fonti era di circa 1.000 MW, che corrispondeva<br />
a circa il 20% del potenziale delle fonti rinnovabili in Italia nell’anno 2006;<br />
• l’ammontare totale degli investimenti era equivalente a circa 1.000 milioni di euro, che<br />
corrispondevano a circa il 15% dell’ammontare totale degli investimenti attesi per l’Italia nel<br />
2006;<br />
• rispetto all’impatto occupazionale degli investimenti previsti si poteva prevedere, al<br />
2010, un aumento di circa 1.000-2.000 posti nuovi di lavoro netti;<br />
• la riduzione annuale totale di CO2 prodotta sarebbe stata uguale a 1,6 milioni di tonnellate/anno<br />
che corrispondeva a circa il 15% del contributo italiano previsto per le fonti<br />
rinnovabili;<br />
• l’energia risparmiata in fonti primarie sarebbe stata uguale a 0,51 milioni di TEP, pari al<br />
14,5% del risparmio totale ottenibile dalle fonti rinnovabili in Italia.<br />
Nell’ambito di riferimento sopra accennato le Comunità Montane dei Monti Dauni Settentrionali<br />
(FG) e del Fortore (BN) e il CODIF (Consorzio per la DIFfusione dell’uso razionale<br />
dell’energia e delle fonti rinnovabili, composto da Enea e da alcune tra le più importanti<br />
imprese di Pubblici Servizi italiane) hanno promosso il Progetto integrato Energie Rinnovabili<br />
per lo Sviluppo Ecocompatibile dell’Appennino (P.E.R.S.E.A.), con lo scopo di sollecitare uno<br />
<strong>sviluppo</strong> economico e sociale del territorio dell’Appennino Appulo-Sannitico:<br />
• compatibile con le esigenze di rispetto dell’ambiente;<br />
• coerente con gli obiettivi nazionali di riduzione dei gas serra;<br />
• attento alle aspettative delle popolazioni locali;<br />
• capace di creare nuove occasioni di lavoro e di <strong>sviluppo</strong> in un contesto disagiato.<br />
Le due Comunità Montane e il CODIF, titolare di un Progetto di Iniziativa Comunitaria<br />
(PIC) finanziato dalla Unione Europea, hanno sviluppato quanto previsto in un Patto promosso<br />
a valle della Conferenza Nazionale per l’<strong>Energia</strong> e l’<strong>Ambiente</strong> (novembre 1998), attraverso una<br />
serie di seminari informativi e di work-shop, tenuti nei Comuni della Daunia e del Fortore.<br />
Questi attori hanno, in sintesi, verificato il livello di attenzione degli attori locali (amministratori,<br />
imprenditori e cittadini) verso un nuovo modello di partecipazione al business della<br />
produzione di energia da fonti rinnovabili, nel quale essi potessero essere “soggetti attivi”,<br />
capaci di determinare e di condizionare le scelte imprenditoriali. Avuto un forte riscontro<br />
positivo, le azioni sono state portate dal piano istituzionale a quello imprenditoriale e sono<br />
entrate in gioco le imprese “ex municipalizzate” socie del CODIF, gli imprenditori locali e alcuni<br />
loro partners tecnologici provenienti da altre regioni. Le associazioni datoriali (Confservizi<br />
Cispel, Federelettrica) e di rappresentanza dei lavoratori (CGIL, CISL, UIL) e Legambiente hanno<br />
partecipato ai diversi incontri/seminari, fornendo elementi importanti per lo <strong>sviluppo</strong> del<br />
progetto e hanno partecipato alla sottoscrizione dell’accordo volontario nazionale P.E.R.S.E.A.<br />
Il Progetto P.E.R.S.E.A. è stato avviato e sviluppato su due livelli.<br />
Un primo livello, di carattere istituzionale ha previsto:<br />
• la sottoscrizione di un Patto promosso da Enea e dalle Comunità Montane dei Monti<br />
Dauni Settentrionali e del Fortore nell’ambito della Conferenza Nazionale per l’<strong>Energia</strong> e<br />
l’<strong>Ambiente</strong> (novembre 1998);<br />
• la sottoscrizione di un accordo volontario nazionale nell’ambito delle attività della<br />
Commissione Bicamerale Affari Regionali (2000);<br />
• la sottoscrizione tra le Comunità Montane dei Monti Dauni Settentrionali (FG) e del<br />
Fortore (BN) di un protocollo di intesa per la redazione di uno studio di fattibilità per la<br />
109
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
valutazione delle potenzialità dell’area e la costituzione di una società mista, pubblicoprivata,<br />
per la produzione di energia da fonti rinnovabili.<br />
Un secondo livello, di carattere imprenditoriale, ha previsto la costituzione per pubblica<br />
sottoscrizione di una società per azioni conformata ai principi di una public company. Essendo<br />
chiaro che i benefici maggiori sarebbero stati assegnati a coloro che sarebbero stati capaci<br />
di promuovere e di realizzare gli investimenti, le Comunità Montane hanno:<br />
• sottoscritto un accordo con il Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> per la realizzazione di uno studio<br />
di fattibilità sociale, tecnico, economico, finanziario e amministrativo di <strong>sviluppo</strong> della produzione<br />
di energia da fonti rinnovabili;<br />
• avviato una serie di contatti con imprese di pubblici servizi (le ex municipalizzate) e<br />
con imprese private potenzialmente interessate a partecipare ad una public company (nessun<br />
socio avrebbe potuto avere più del 25% del capitale, né si sarebbero potuti fare patti di<br />
sindacato superiori a tale percentuale);<br />
• promosso la costituzione, per pubblica sottoscrizione, di una società per azioni, Fortore<br />
<strong>Energia</strong> SpA.<br />
La Fortore <strong>Energia</strong> SpA, costituita ad ottobre 2002 per pubblica sottoscrizione presso<br />
un notaio di Lucera (FG), ha stabilito la propria sede legale a Volturara Appula (FG), il paese<br />
più piccolo delle due Comunità Montane. I soci promotori sono stati: Comunità Montana dei<br />
Monti Dauni Settentrionali (10%), Comunità Montana del Fortore (10%), Fen <strong>Energia</strong> SpA di<br />
Brescia (25%), Soluzioni Scarl di San Giorgio del Sannio (BN) (20%). 88 I soci sottoscrittori<br />
sono stati 3 multitutility del Centro-Nord: Meta SpA di Modena (10%), AGSM SpA di Verona<br />
(10%), Sageter <strong>Energia</strong> SpA di Rovato (BS) (15%).<br />
Iscritta nel registro delle imprese, la Fortore <strong>Energia</strong> SpA, ha sottoscritto, con le due<br />
Comunità Montane, una convenzione per la realizzazione di uno studio di fattibilità, cofinanziato<br />
dal Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> e denominato “<strong>Energia</strong> da fonti rinnovabili: un volano<br />
per lo <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> auto-sostenibile” (Soluzioni Società Cooperativa, 2033). Lo studio ha<br />
riguardato l’Appennino Appulo-Sannitico e, in particolare, direttamente le Comunità Montane<br />
promotrici dei Monti Dauni Settentrionali e del Fortore e indirettamente quelle aree per le<br />
quali è presumibile un’espansione del progetto di promozione della produzione di energia da<br />
Fonti Rinnovabili (Gargano - FG; Monti Dauni Meridionali - FG; Tammaro - BN; Riccia - CB).<br />
All’interno di questi territori sono stati individuati dei bacini omogenei composti dai territori<br />
dei Comuni nei quali sono stati realizzati approfondimenti specifici. Nella individuazione dei<br />
bacini si è tenuto conto delle installazioni di impianti da fonti rinnovabili, soprattutto eolici,<br />
già realizzati e della volontà dei Comuni di aderire ufficialmente e di contribuire alla realizzazione<br />
dello studio di fattibilità. Questo ultimo si è articolato in cinque fasi:<br />
1. Raccordo con gli attori locali: sono stati organizzati, in ciascun bacino, dei seminari ai<br />
quali hanno partecipato: amministratori, imprenditori, rappresentanti delle associazioni e<br />
dei cittadini. L’obiettivo è stato quello di coinvolgere i diversi attori sociali - con i loro specifici<br />
bagagli di competenze, professionalità ed esperienze - nelle azioni da intraprendere in<br />
considerazione delle opportunità e dei problemi che le realtà locali devono affrontare. Sono<br />
stati, altresì, promossi accordi e convenzioni tra i Comuni che avrebbero composto ciascun<br />
bacino e la società che avrebbe realizzato il programma imprenditoriale (Fortore <strong>Energia</strong><br />
SpA). Gli accordi hanno previsto:<br />
88 A parte le due Comunità montane, in realtà i soci locali erano tre: il commercialista Michele Raffa di San Giorgio del Sannio<br />
(BN), Antonio Salandra di Biccari (FG) e Riccardo Ducoli, l’unico che già lavorava nel settore energia con la Fen <strong>Energia</strong> di<br />
Brescia. A loro si è aggiunto Pietro Stampone di Biccari (FG) nel 2002 (Borrillo, 2009).<br />
110
8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />
• l’adesione allo studio di fattibilità per la realizzazione di impianti per la produzione di<br />
energia da fonti rinnovabili;<br />
• la promozione di progetti e programmi integrati e multisettoriali per la valorizzazione<br />
delle risorse naturali, umane e finanziarie locali.<br />
2. Valutazione delle potenzialità delle fonti di energia rinnovabili: sono stati effettuati lavori<br />
di definizione delle potenzialità nei diversi settori di riferimento delle fonti rinnovabili<br />
(tecnologia <strong>eolica</strong>, biomasse, solare termico, solare fotovoltaico, miniidro). Le analisi sono<br />
state effettuate mediante tre livelli di approfondimento:<br />
• macro (livello provinciale);<br />
• medio (livelli di Comunità Montana);<br />
• micro (aree omogenee di aggregati di Comuni).<br />
Sulla base dei dati territoriali è stata effettuata una valutazione con metodo “swap” per<br />
valutare le potenzialità sui tre livelli di approfondimento sulla tecnologia <strong>eolica</strong>. In base ai<br />
dati territoriali dell’ISTAT è stata effettuata una valutazione con indicatori specifici per la<br />
definizione delle potenzialità sui tre livelli di approfondimento per le tecnologie biomasse,<br />
solare termico, fotovoltaico, minidro.<br />
3. Promozione di iniziative di business: è stato realizzato un piano di marketing territoriale<br />
che, tenendo conto delle caratteristiche peculiari del territorio delle Comunità Montane,<br />
caratterizzate da uno <strong>sviluppo</strong> assai contenuto di attività produttive, ha illustrato una ipotesi<br />
di <strong>sviluppo</strong> centrata sul settore energetico, come settore portante per una pianificazione<br />
integrata multisettoriale in grado di coinvolgere, oltre all’indotto (componenti impianti da<br />
fonti rinnovabili e servizi), i sistemi produttivi tradizionali locali e cioè l’agricoltura, le PMI e<br />
gli artigiani locali e il turismo (rurale, ambientale, culturale). Sono stati, inoltre, predisposti<br />
e definiti i business plan degli impianti da fonti rinnovabili da realizzare nei diversi bacini,<br />
le iniziative dell’indotto, di produzione e di servizi, potenzialmente attivabili nell’area e le<br />
iniziative dei settori tradizionali che avrebbero potuto trovare beneficio dal volano delle<br />
energie rinnovabili. Una particolare attenzione è stata posta in questo ultimo caso alla<br />
definizione delle opportunità per le imprese agricole di diventare agri-energetiche (ovvero<br />
imprese agricole con piccoli impianti da rinnovabili costruiti ad hoc per le singole esigenze),<br />
per le PMI di utilizzare “kW Verdi”, per il turismo di utilizzare “le strade del vento”.<br />
4. Studio degli strumenti finanziari: è stato caratterizzato dalla ricerca, lo <strong>sviluppo</strong> e la<br />
promozione degli strumenti finanziari più qualificati per il finanziamento: dagli investimenti<br />
diretti (impianti da rinnovabili), a quelli dell’indotto (produzione e servizi) fino a quelli<br />
dei settori tradizionali (agricoltura; PMI; turismo). Il lavoro svolto ha riguardato, quindi,<br />
l’individuazione dei programmi generali di <strong>sviluppo</strong> delle fonti energetiche rinnovabili, specifici<br />
di agevolazione e di finanziamento degli impianti, di agevolazione e di finanziamento<br />
dell’indotto, di agevolazione e di finanziamento dell’azienda agri-energetica e di qualità, di<br />
agevolazione e di finanziamento delle PMI “verdi” e di agevolazione e di finanziamento del<br />
turismo rurale. Un’attenzione particolare è stata posta al tema della raccolta del risparmio<br />
da orientare al finanziamento delle iniziative imprenditoriali da implementare nella fase di<br />
attuazione dello studio e da remunerare con tassi mediamente più elevati di quelli del mercato,<br />
anche evidenziando, da un lato, una elevata propensione al risparmio da parte della<br />
popolazione nell’area <strong>locale</strong>, dall’altro, una bassissimo rapporto tra raccolta e impieghi delle<br />
istituzioni bancarie e finanziarie.<br />
111
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
5. Definizione dei percorsi autorizzativi: sono state definite la contrattualistica e la modulistica<br />
per le convenzioni con gli enti locali e i privati, le procedure necessarie per le autorizzazioni<br />
e le concessioni per ciascuna fonte rinnovabile, nonché quelle per il funzionamento<br />
degli sportelli unici dei Comuni e/o delle Comunità Montane.<br />
Costituita la Fortore <strong>Energia</strong> SpA con un capitale sociale di 7,5 milioni di euro raccolti<br />
con la modalità della “pubblica sottoscrizione”, realizzato lo studio di fattibilità che ha<br />
evidenziato le possibilità di promuovere investimenti per oltre 500 milioni di euro con notevoli<br />
riflessi occupazionali diretti nel settore energetico ed indiretti in quelli delle attività<br />
tradizionali dell’area (agricolo, alimentare; turistico, artigianale; etc.) e avendo raggiunto<br />
l’obiettivo di dare un chiaro indirizzo al progetto di <strong>sviluppo</strong> dei propri territori, le due Comunità<br />
Montane non hanno più partecipato agli aumenti di capitale che hanno portato alla<br />
realizzazione dei campi eolici.<br />
I primi progetti di parchi eolici vengono presentati nel 2002, ma il primo che viene<br />
portato in cantiere è del 2005: il parco da 22 MW (11 aerogeneratori Enercon da 2 MW ciascuno)<br />
di San Chirico nel comune di Roseto Valfortore (FG). Nel 2005 si è avuto, altresì, un<br />
turnover tra gli azionisti: le “ex Municipalizzate” Meta SpA di Modena, AGSM SpA di Verona,<br />
Sageter <strong>Energia</strong> SpA di Rovato, detentrici del 35% del capitale della società, prese da problemi<br />
interni di riorganizzazione ed esterni di aggregazione, hanno lasciato il posto al Consorzio<br />
Romagna <strong>Energia</strong> di Cesena, formato da un gruppo di imprese agroalimentari guidato<br />
da Amadori, Orogel e Conserve Italia che avevano investito in Capitanata (Amadori per gli<br />
allevamenti dei polli) e avevano interesse ad acquistare energia “pulita”. 89 Sono state queste<br />
importanti realtà imprenditoriali che hanno fornito risorse finanziarie sia per gli investimenti<br />
diretti (realizzazione dei parchi eolici), sia per quelli indiretti (aziende agri-energetiche).<br />
Viene così costituita la Holding Fortore <strong>Energia</strong> (prima Srl e poi SpA) che rileva il 98,5% di<br />
Fortore <strong>Energia</strong> SpA. Il 50% della nuova società viene rilevato dai soci romagnoli, mentre il<br />
rimanente 50% va a Wind Farm Fortore <strong>Energia</strong> di San Giorgio del Sannio (BN) che raccoglie i<br />
soci appulo-campani (Fen <strong>Energia</strong>, ETS e Dear). Inoltre, viene stabilito che l’intera produzione<br />
elettrica di Fortore <strong>Energia</strong> sia commercializzata attraverso il Consorzio Romagna <strong>Energia</strong>.<br />
Noi siamo partiti da uno studio di fattibilità: come orientare lo <strong>sviluppo</strong> di un territorio usando<br />
come volano le energie rinnovabili. Un lavoro che è stato fatto prima che nascesse la società.<br />
Uno studio co-finanziato dal Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> che aveva diversi capitoli. Uno dei<br />
capitoli diceva: “premesso i benefici che può portare il settore delle energie rinnovabili… per<br />
avere una ricaduta sul territorio è importante che ci sia una realtà territoriale che copre buona<br />
parte della filiera, tranne la produzione dei componenti”, anche se, in un capitolo successivo<br />
dello studio si ragionava anche sulla componentistica e sulla strutturazione di un distretto<br />
industriale. Il primo passaggio era quello di costituire una società che progettasse, realizzasse<br />
89 Romagna <strong>Energia</strong> è nata come consorzio il 22 Dicembre 1999, in concomitanza con la liberalizzazione del mercato elettrico,<br />
dall’associazione di grandi aziende della Romagna, in particolare del settore agro-alimentare; nel 2008, a seguito di un<br />
enorme <strong>sviluppo</strong> sia in termini di volume che, conseguentemente, di bilancio, è divenuta Romagna <strong>Energia</strong> Società Consortile.<br />
Romagna <strong>Energia</strong> è un fornitore di energia elettrica e di gas naturale, si rivolge a tutte le imprese esistenti sul territorio italiano,<br />
alle cosiddette utenze “non civili”. Ad oggi è uno dei principali player del mercato energetico nazionale con 500 consorziati e<br />
oltre 2000 siti in fornitura (alta, media e bassa tensione), 1,5 miliardi di KWh di energia elettrica dispacciata e un fatturato<br />
di circa 191 milioni di euro (anno 2009). Romagna <strong>Energia</strong> è il primo consorzio associativo italiano per punti di prelievo e il<br />
secondo per volumi di energia; è presente in tutte le regioni d’Italia ed è in continua crescita. La società è senza scopo di lucro<br />
con obiettivo di bilancio zero attraverso ristorni sulla tariffa dell’ energia. I soci sono rappresentati dai consumatori stessi, a differenza<br />
della maggior parte delle società di vendita presenti sul mercato; l’utente finale non rappresenta solamente un semplice<br />
cliente, ma diventa socio di un progetto per fornire energia e servizi di elevata qualità, utilizzando le tecnologie più efficienti e<br />
compatibili con l’ambiente. L’attività di Romagna <strong>Energia</strong> in ambito energetico non si limita alla sola fornitura di energia e gas,<br />
ma offre anche capacità e conoscenze in ambito di fonti rinnovabili, autoproduzione, certificati verdi, etc.<br />
112
8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />
e gestisse impianti e possibilmente nella compagine societaria dovevano esserci anche delle<br />
realtà locali che furono identificate nelle Comunità Montane. Quindi, è nata Fortore <strong>Energia</strong><br />
come realizzazione dell’ultimo capitolo e cioè “facciamo una società che lavora con il territorio<br />
e per il territorio”. In questa prima fase, eravamo quattro gatti, le Comunità Montane avevano<br />
una piccola partecipazione insieme con alcuni soggetti locali e alcune multitutility pubbliche<br />
del Centro-Nord. Chiaramente non c’erano soldi e quindi il coinvolgimento dei professionisti,<br />
me compreso, è avvenuto sull’ipotesi di realizzazione del progetto. Sono state fatte una serie<br />
di progettazioni dove vi era un collegamento con i sindaci “amici” cioè che aderivano al progetto<br />
perché interessati. Abbiamo sviluppato dei progetti in questi Comuni. Questi progetti<br />
hanno seguito un iter lunghissimo di autorizzazioni perchè “di sconti” non ne sono stati fatti<br />
a nessuno e poi si è passati alla fase successiva perché alcuni progetti sono stati approvati e,<br />
quindi, potevano essere messi in cantiere. A quel punto è cambiato tutto perché una società<br />
<strong>locale</strong>, sostenuta da dei partner locali, non ha la forza per accedere “al debito”, cioè di accedere<br />
al sistema di credito bancario. Questo è un punto importante. Perché una società piccola<br />
con un progetto così ambizioso, così legato al territorio, deve necessariamente e lentamente<br />
andare con soggetti esterni al territorio che ti portano dalle banche Qui, c’è un problema di<br />
accesso al credito, e questo è il primo tema. Per accedere al credito abbiamo scelto un gruppo<br />
di appoggio che non fosse una multinazionale, ma un gruppo che in qualche modo aveva un<br />
collegamento con il territorio. Abbiamo individuato il gruppo romagnolo formato da Amadori,<br />
Orogel e Conserve Italia di Cesena che hanno diversi soci in Puglia legati agli allevamenti. Loro<br />
sono entrati in società con una quota maggioritaria. Il Gruppo Amadori con tutte le società<br />
collegate ci ha consentito di realizzare il primo parco eolico, cioè ci hanno accompagnato in<br />
banca, la banca ci ha dato il finanziamento e loro ci hanno messo quella parte di equity che<br />
serviva. L’altro aspetto interessante è che l’energia prodotta è stata conferita non a ENEL, ma<br />
al Consorzio Romagna <strong>Energia</strong> che acquista direttamente l’energia. Quindi, nel 2005 c’è stato<br />
già un primo scollamento dal <strong>locale</strong> “stretto”: dato che non c’era un sistema finanziario <strong>locale</strong><br />
adeguato, abbiamo dovuto per forza allearci con soggetti esterni. In un progetto di filiera questo<br />
passaggio poteva non esserci, se c’era un sistema “a monte” che capiva il valore di questa<br />
iniziativa. Tutto questo nonostante la Puglia sia anche piena di banche locali. Il problema è<br />
che i soldi che servono a fare un parco eolico sono tanti (Giovanni Alessandro Selano, Holding<br />
Fortore <strong>Energia</strong> SpA).<br />
Negli anni successivi vengono rapidamente realizzati altri sette impianti eolici nell’area<br />
Fortorina:<br />
• il parco da 18 MW (9 aerogeneratori Enercon da 2 MW) di Spina nel Comune di Roseto<br />
Valfortore (FG) nel 2006; 90<br />
• il parco da 12,3 MW (6 aerogeneratori REpower da 2,05 MW) di Monticelli nel Comune<br />
di Roseto Valfortore (FG) nel 2007;<br />
• il parco da 20 MW (10 aerogeneratori Enercon da 2 MW) di Buglia nel Comune di<br />
Rocchetta S. Antonio (FG) nel 2007;<br />
• il parco da 29,9 MW (13 aerogeneratori Enercon da 2,3 MW) di Franciosa nel Comune di<br />
Rocchetta S. Antonio (FG) nel 2007;<br />
• il parco da 26 MW (13 aerogeneratori Enercon da 2 MW) di Alberona nel Comune di<br />
Alberona (FG) nel 2008;<br />
• il parco da 12 MW (6 aerogeneratori Enercon da 2 MW) di Biccari nel Comune di Biccari<br />
(FG) nel 2009;<br />
90 Nel dicembre 2006, in occasione del 28° anniversario della nascita della Comunità Emmaus di Foggia, c’è stata anche<br />
l’inaugurazione di una torre <strong>eolica</strong> nel Villaggio-comunità di accoglienza Emmaus di Foggia, realizzata con il supporto finanziario<br />
della Banca Popolare Etica. La Comunità può così risparmiare sui costi dell’energia elettrica e in pochi anni ottenere un introito<br />
della vendita dell’energia prodotta in eccedenza.<br />
113
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
• il parco da 40 MW (20 aerogeneratori Enercon da 2 MW) di Serro di Luca nel Comune di<br />
Rocchetta S. Antonio (FG) nel 2010.<br />
Nel 2009-2010 Fortore <strong>Energia</strong> arriva ad avere 8 impianti in esercizio con una potenza<br />
installata di 180,2 MW, ma altri 7 impianti sono in costruzione per complessivi 175 MW e altri<br />
7 sono in <strong>sviluppo</strong> per complessivi 396,8 MW.<br />
Fortore <strong>Energia</strong> nasce con una partecipazione di sue Comunità Montane locali, ma oggi è una<br />
società privata. È comunque una società nata sul territorio e, quindi, diventa quasi automatico<br />
lavorare in un certo modo, perché altrimenti se l’ambiente ti è ostile non si lavora più. Visto<br />
che è tutta gente del posto, dal presidente ai responsabili di progetto, necessariamente devi<br />
operare in una certa maniera. In più, ci sono una centinaio tra dipendenti, consulenti, giovani<br />
che lavorano lì e che altrimenti sarebbero in giro per l’Italia, se non per il mondo, perché in<br />
realtà come quelle un geologo, un ingegnere meccanico o un laureato in economia non hanno<br />
nulla da fare. Questo è un altro aspetto che sicuramente dà forza alla struttura. Non è una<br />
società che viene da “altrove” e che trova il posto più conveniente dove lavorare. Nei principi<br />
della società c’è sempre stato quello di non fare esclusivamente la produzione, ma di trovare<br />
sempre formule per cui si traino anche altre economie. Michele Raffa è stato il fondatore della<br />
Fortore <strong>Energia</strong> SpA ed è uno dei soci principali. Lui, dieci anni fa, ha realizzato uno studio<br />
di fattibilità attraverso la sua società, la Soluzioni Scarl, che è una realtà collocata a San<br />
Giorgio del Sannio (BN) che si occupa di studi economici e di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>. La Fortore è<br />
stata fondata attraverso uno studio di fattibilità su tutta la valle del Fortore, indagando tutte<br />
le potenzialità in relazione alle energie rinnovabili, per capire il nuovo marketing del territorio<br />
legato all’energia, a come tutte queste “nuove economie” potevano essere strutturate in materia<br />
organica. È una cosa interessante perché si è preso un territorio e si sono analizzate le<br />
potenzialità energetiche. Da questo, si partiva con l’idea di coinvolgere le comunità locali, ma<br />
soprattutto portare uno <strong>sviluppo</strong> territoriale attraverso un’economia “di punta”. Il tema è anche<br />
che “l’economia di punta” non rimanga isolata, che ci sia una crescita di vario tipo: turistica,<br />
occupazionale, di benessere generale. Il problema della “non accettazione” alla fin fine è più<br />
prodotto “dall’esterno” che da chi vive il territorio perché comunque ci sono dei vantaggi. A<br />
parte gli affitti dei terreni, c’è stata una crescita sia in termini di occupazione che di imprese.<br />
In alcuni casi, c’è stato un miglioramento della qualità dei paesi, dei servizi o anche degli sgravi<br />
fiscali. Raffa è stato il primo ad avere questa visione, adesso è necessità avere una visione di<br />
questo tipo. Una necessità perché intanto bisogna organizzare quello che c’è e in più capire<br />
come andare avanti, cosa fare, ma in una visione più globale. Alla fine, l’intervento sull’energia<br />
è quello che può trainare altre economie meno forti. Quindi, lo start up di tante altre attività<br />
può essere fatto con un’economia dell’energia. Tutto questo è un tema sociale importante, ma<br />
funziona anche dal punto di vista economico. Se viceversa prevale un atteggiamento molto<br />
“industriale”, spesso non c’è l’appoggio delle popolazioni locali, non c’è l’appoggio della società<br />
che deve sostenere l’iniziativa e poi si ferma lì, non cresce, non evolve (Daniela Moderini,<br />
architetto del paesaggio).<br />
Nello statuto di Fortore <strong>Energia</strong> SpA è stabilito che parte degli utili realizzati deve essere<br />
reinvestito per lo <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> e nella implementazione dei risultati dello studio di<br />
fattibilità, per rafforzare il rapporto con gli enti locali e i cittadini, la società - oltre a un<br />
significativo aumento delle royalties pagate ai Comuni e i fitti/diritti di superficie riconosciuti<br />
ai privati (scelte che hanno “smosso” il mercato dello <strong>sviluppo</strong> dei campi eolici, regolato fino<br />
ad allora da un oligopolio di fatto) – ha cercato di promuovere una ipotesi di <strong>sviluppo</strong> del<br />
territorio centrata sulla produzione di energia da tutte le fonti rinnovabili (quindi non solo<br />
ed esclusivamente dal vento, ma anche da biomassa, dal sole, dal mini-idro), come volano<br />
per una pianificazione integrata multisettoriale dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> auto-sostenibile (risorse<br />
114
8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />
naturali, umane e finanziarie endogene) per cercare di coinvolgere, oltre all’indotto (componenti<br />
impianti da rinnovabili e servizi), i sistemi produttivi tradizionali locali:<br />
• l’agricoltura con le “fattorie del vento”:<br />
L’incontro del sistema di qualità agro-alimentare con l’utilizzo delle energie rinnovabili in un<br />
contesto di sapori e di saperi tipici dell’Italia minore può far fare il salto di qualità a questi<br />
territori. Il raggiungimento della “competitività territoriale” costituisce uno degli obiettivi<br />
prioritari di un programma di <strong>sviluppo</strong> rurale. Un territorio diviene competitivo non soltanto<br />
quando produce materie prime agricole a buon mercato, ma quando è in grado di affrontare la<br />
concorrenza del mercato garantendo, al tempo stesso, una sostenibilità ambientale, economica,<br />
sociale e culturale basata sull’organizzazione e su forme di articolazione inter-territoriale. Le<br />
Fattorie del Vento sono una nuova formula imprenditoriale che unisce la vocazione agricola<br />
delle aree interne collinari e montane con la crescente affermazione della produzione di energia<br />
da fonti rinnovabili. Fondere in questi territori la tematica dello <strong>sviluppo</strong> rurale con il concetto<br />
della multifunzionalità, attraverso la produzione e l’utilizzo delle energie rinnovabili, costituisce<br />
una grande opportunità (Raffa, 2007:103-104).<br />
• le PMI e gli artigiani locali con l’eco-distretto:<br />
Enti pubblici, imprese e cittadini possono richiedere di acquistare tanta energia prodotta da<br />
fonti energetiche rinnovabili, quanti sono i loro consumi annui, a dimostrazione che non tutta<br />
l’energia disponibile ai propri contatori è uguale, bensì può essere differenziata e frutto di<br />
un’attenta scelta. Chi sceglie di certificare l’origine della energia consumata compie un’azione<br />
che ha diversi riflessi:<br />
• introduce il fattore “scelta” nell’ambito del consumo di energia;<br />
• contribuisce a creare un “movimento” a favore della domanda di rinnovabili.<br />
La diffusione della scelta attraverso un “movimento” consente di riconoscere un “valore aggiunto”<br />
ai prodotti e ai servizi ottenuti, contribuendo alla soluzione di emergenze globali.<br />
La partecipazione ai programmi da parte di imprese, oltre a rappresentare una precisa scelta<br />
nella direzione della sostenibilità energetica, costituisce un vantaggio commerciale perché si<br />
ha la possibilità di poter usufruire del relativo logo o label per certificare i prodotti /servizi<br />
che vengono offerti. Inoltre, al di là della produzione e del consumo di kWh verdi, le soluzioni<br />
di intervento ambientale più innovative (produzione di eco-combustibili; recupero ambientale;<br />
riduzione impatti) - che puntano al risparmio, al recupero e alla salvaguardia di risorse ambientali<br />
- sono sicuramente quelle che avranno, in prospettiva, il più alto valore, sia in termini<br />
di ritorno degli investimenti (sottoforma di nuovi ricavi e/o di minori costi), sia in termini di<br />
comunicazione (Raffa, 2007:104).<br />
• il turismo (rurale, ambientale, culturale) con le “strade del vento”.<br />
Si tratta di un progetto che sta promuovendo Fortore <strong>Energia</strong> Spa in collaborazione con i Comuni<br />
nei quali sta realizzando gli impianti eolici. Si sviluppa lungo la dorsale pre-appenninica<br />
meridionale parallelamente alle linee di costa adriatica e tirrenica, prevalentemente in direzione<br />
nordovest sud-est. Le “Strade del Vento” consentono di dare un nuovo senso alle infrastrutture<br />
tecniche eoliche e agli altri interventi nel campo delle Fonti Energetiche Rinnovabili e potrà<br />
calamitare nuove attenzioni sui territori facenti parte dei bacini eolici. I nuovi itinerari “Strade<br />
del Vento”, si potranno incrociare con quelli archeologici, monumentali, storici, naturalistici,<br />
enogastronomici che potranno essere creati o legati ad essi. Più che un itinerario in senso<br />
stretto, le “Strade del Vento” possono intendersi come una linea che collega luoghi straordinari<br />
per caratteristiche geografiche, ambientali, paesaggistiche e storico culturali dalle grandi<br />
115
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
potenzialità turistiche: crinali, pianori, leggeri insellamenti garantiscono le migliori condizioni<br />
per utilizzare al massimo l’energia generata dal vento e al tempo stesso rappresentano possibili<br />
mete di escursioni o punti mediani all’interno di itinerari di altissimo livello. A completare<br />
l’elencazione dei caratteri dominanti è compreso il vento, il principale fenomeno percepibile,<br />
che insieme alla luce forte e abbagliante da sempre accompagna i viaggiatori e gli abitanti di<br />
queste terre (Raffa, 2007:104-105).<br />
A partire dal 2008 inizia la transizione da una struttura organizzativa basata sulla centralità<br />
di Fortore <strong>Energia</strong> SpA, la società operativa proprietaria dei campi eolici in esercizio,<br />
di quelli in costruzione e di quelli in <strong>sviluppo</strong>, a una struttura “satellitare” di “Gruppo”, che<br />
evidenzia le centralità della Holding Fortore <strong>Energia</strong>. Ad essa già faceva capo la stessa Fortore<br />
<strong>Energia</strong> SpA; ad essa fanno capo anche alcune società (sub-holdings) che dovrebbero consentire<br />
una diversificazione territoriale, settoriale e dimensionale dei business. Territoriale,<br />
perchè a Fortore <strong>Energia</strong> SpA fanno capo solo iniziative eoliche in Puglia, Campania, Basilicata<br />
e Molise, in esercizio e in costruzione. Settoriale, perchè a Fortore <strong>Energia</strong> SpA fanno<br />
capo solo iniziative nel settore eolico. Dimensionale, perchè a Fortore <strong>Energia</strong> fanno capo gli<br />
impianti “industriali” di produzione di energia <strong>eolica</strong>. Per la diversificazione territoriale viene<br />
costituita la sub-holding Fortore Energie Rinnovabili. Ad essa fanno capo, nel settore eolico:<br />
• i progetti in iter autorizzativi e in <strong>sviluppo</strong>;<br />
• la società CRETA Energie Speciali (35% di proprietà di un Consorzio di Comuni, prevalentemente<br />
della Calabria);<br />
• la new-co che sarà costituita con GENCO Srl (50% di proprietà di un gruppo di sviluppatori<br />
campani, titolari di una pipeline di circa 200 MW);<br />
• tutte le altre società costituite con altri sviluppatori.<br />
Per la diversificazione territoriale è stata costituita per le attività all’estero (avviate dal<br />
2007), ENDE:<br />
• proprietaria dell’80% di Enerce, una società che opera in Brasile;<br />
• il 100% di Eoliana, per la Romania;<br />
• l’80% di Arenergy, per l’Armenia;<br />
• tutte le altre partecipazioni in società estere (Turchia, Grecia, Albania e Montenegro).<br />
Per la diversificazione settoriale per la produzione di energia sono state costituite: 91<br />
• Fortore Biomasse, per la realizzazione degli impianti di produzione di energia e calore<br />
alimentati da biomasse vegetali;<br />
• Fortore Fotovoltaico, per la realizzazione degli impianti di produzione di energia dal sole<br />
(a inizio 2009 entrano in funzione tre impianti realizzati sui tetti delle grandi unità produttive<br />
del Gruppo Amadori a Sogliano e Santa Maria in provincia di Forlì-Cesena e a Notaresco<br />
e Mosciano in provincia di Teramo);<br />
• Fortore Idro, per la realizzazione degli impianti di produzione di energia da mini-idro;<br />
• Fortore Agroenergie Srl che si occupa della realizzazione di progetti finalizzati allo<br />
<strong>sviluppo</strong> dei piccoli Comuni attraverso la valorizzazione delle risorse energetiche locali, in<br />
particolare attraverso l’iniziativa “Borghi di Eolo” per il recupero dei borghi in disuso che<br />
vede la partecipazione della energy service company Innesco della Banca Popolare Etica.<br />
Gli elementi “chiave” del progetto “Borghi di Eolo” sono:<br />
• la disponibilità della risorsa <strong>eolica</strong> e l’attenzione per la realizzazione del campo eolico<br />
91 Nel 2009, la Encap Srl, società attiva nelle rinnovabili, di cui Fortore <strong>Energia</strong> detiene il 30% del capitale, ha sottoscritto<br />
l’aumento di capitale della società KR Energy quotata in Borsa, acquisendo in portafoglio un pacchetto pari al 4,3% del capitale<br />
per 10 milioni di euro.<br />
116
8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />
“dimensionato” al progetto di recupero del patrimonio immobiliare;<br />
• la disponibilità almeno trentennale del patrimonio immobiliare (proprietà, concessione,<br />
fitto, altro) e delle autorizzazioni necessarie per il recupero.<br />
I soggetti “chiave” del progetto sono:<br />
• Gruppo Fortore <strong>Energia</strong>: garantisce il know how necessario per la progettazione, la realizzazione<br />
e la gestione del progetto di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> e degli impianti FER;<br />
• Comune: garantisce la disponibilità degli immobili e il supporto negli iter autorizzativi degli<br />
impianti FER e di recupero degli immobili;<br />
• Cittadini residenti ed emigrati: partecipano, eventualmente, al progetto con l’ottica di creare<br />
un moltiplicatore di opportunità;<br />
• Società di Gestione (cooperativa o società <strong>locale</strong>, nuova o esistente): fornisce le competenze<br />
per la gestione dell’albergo/villaggio o del parco (http://www.soluzioni-net.it/fortore2/<br />
iborghidieolo/default.asp).<br />
È utile ricordare ciò che si è realizzato in termini di parchi eolici a Roseto. Questo significa che<br />
l’amministrazione ci ha creduto fin dall’inizio, non soltanto come parte finanziaria - le quote<br />
che entrano nelle casse comunali -, ma anche e soprattutto per quello che poteva essere l’indotto.<br />
Usando per quanto riguarda gli introiti, lo <strong>sviluppo</strong> del sociale, la nascita di iniziative verso<br />
le attività produttive, il turismo, l’occupazione. La cosa importante è quello che siamo riusciti<br />
negli anni a fare con Fortore <strong>Energia</strong>. Mancano pochi giorni all’avvio dei lavori di un parco eolico<br />
di due torri comunali in partnership con la Fortore. Si tratta di due aerogeneratori per una potenza<br />
totale di 4,6 MW. Ma, la cosa più importante è che, anche grazie al supporto della Banca<br />
Popolare Etica, ci sarà una parte di azionariato diffuso e quindi la partecipazione anche dei<br />
cittadini. Questa parte si deve ancora fare, però è stata fatta una convenzione, il grosso è già<br />
in campo, gli atti sono stati portati avanti, dobbiamo solo realizzare le torri. Una percentuale<br />
di utile andrà a beneficio di chi vuole investire nell’eolico. Intorno a questo progetto ci sono<br />
anche altre cose: la realizzazione del Borgo di Eolo per il rifacimento ed il recupero di tutti gli<br />
alloggi abbandonati. Appartenevano a persone che hanno lasciato il paese di origine, e quindi<br />
il recupero di case e appartamenti abbandonati, il patrimonio urbanistico del centro storico.<br />
Ancora, la realizzazione di una struttura per l’attività didattica aperta alle scolaresche, non solo<br />
classi di scuole medie ed elementari, ma anche e soprattutto verso gli universitari, e quindi un<br />
motivo di attrazione culturale verso il nostro territorio. Si tratta di un Parco Ecodidattico, che<br />
attraverso un percorso che parte dal centro storico si sviluppa sul fiume Calore attraverso il recupero<br />
di alcuni mulini, si arriva al centro che è composto da una serra fotovoltaica, un piccolo<br />
impianto a biomasse e poi un sentiero che arriva sopra ai campi eolici. Questo centro costituisce<br />
un momento di collegamento tra attività turistica e attività didattica. Il Comune di Roseto ha<br />
già un Osservatorio Ecologico Appenninico e un centro di accoglienza ambientale che durante<br />
il periodo delle gite scolastiche funziona molto. In due anni abbiamo registrato più di 7mila<br />
presenze legate ad attività di didattica con le scuole. In questi anni, con le royalty dei parchi<br />
eolici, Roseto non ha migliorato solo la festa patronale. Da 4-5 anni, a Roseto nascono da 6 a<br />
12 bambini l’anno, che non compensano le morti, però sono un segno di vitalità per un paese<br />
che ha 1.200 abitanti. Nell’indotto dell’eolico lavorano più di 30 ragazzi, sono giovani che sono<br />
rimasti in paese, diversamente sarebbero andati via, coppie che si sono sposate (Lucilla Parisi,<br />
Roseto Valfortore).<br />
Alla riorganizzazione in una struttura di Gruppo viene impressa un’accelerazione improvvisa<br />
a partire dal giugno 2009, allorquando dal Gruppo Holding Fortore <strong>Energia</strong> SpA viene creata<br />
Fortore Wind Srl alla quale vengono trasferiti tutti i 7 impianti eolici all’epoca in esercizio<br />
e i 15 in costruzione e in <strong>sviluppo</strong>. Il 33% del capitale di Fortore Wind Srl viene rilevato dalla<br />
117
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
BKW Italia SpA, 92 controllata italiana del Gruppo Svizzero BKW FMB Energie SA (controllato<br />
dal cantone di Berna e partecipato al 20% da E.On).<br />
Questo accordo viene presentato da entrambe le parti come una “partnership strategica”<br />
finalizzata alla crescita, all’espansione e a nuovi massicci investimenti (Borrillo, 2009).<br />
Entrambi i gruppi, infatti dichiarano che l’accordo di collaborazione ha come obiettivo 600<br />
MW eolici entro il 2016. Fortore Wind dispone di impianti eolici in esercizio per un totale<br />
di 140 MW (che ne fanno il 5° operatore in Italia dopo i gruppi Ivpc, Edens, e International<br />
Power), di impianti eolici in costruzione e prossimi al completamento entro l’anno 2011 per<br />
un totale di 190 MW, nonché di un portafoglio progetti eolici in <strong>sviluppo</strong> per un totale di 360<br />
MW che verranno completati per almeno 275 MW entro l’anno 2016. L’investimento complessivo<br />
di Fortore Wind per il completamento degli impianti in costruzione e la realizzazione dei<br />
progetti in portafoglio è stimato in oltre 1.000 milioni di euro nel periodo 2009/2016. Ma,<br />
l’ambizione è anche quella di chiudere il ciclo dell’eolico, entrando anche nella produzione<br />
industriale di componenti e aerogeneratori.<br />
Il gruppo Fortore sta promuovendo la realizzazione della “filiera <strong>eolica</strong>” tra le regioni della Puglia<br />
e della Campania. Una filiera che prevede la realizzazione di impianti produttivi per <strong>sviluppo</strong> e<br />
produzione di semilavorati e/o finiti per il settore eolico; assemblaggio aerogeneratori; installazione<br />
e manutenzione impianti. Abbiamo cominciato come sviluppatori per progettare impianti,<br />
poi realizzatori con l’ingresso di Amadori e Lucchi, poi abbiamo proseguito con la costruzione<br />
degli impianti fino alla costituzione di un consorzio per la commercializzazione. Per chiudere la<br />
filiera siamo infine passati alla realizzazione di progetti di componenti industriali: il risultato più<br />
importante consisterà nella realizzazione di un aerogeneratore di marchio italiano: “Wind Italia”.<br />
Vogliamo costruire noi le pale, i tempi sono maturi, ci sono le figure professionali e le esperienze<br />
necessarie per questo salto di qualità. Noi le torri in cemento già le facciamo con un’azienda barese<br />
di Modugno: basta guardare ai parchi di Alberona e Biccari. Adesso come gruppo puntiamo a<br />
creare un’atra unità operativa per la produzione delle torri: una unità per assemblaggio e manutenzione<br />
degli aerogeneratori e altre unità per la realizzazione di parti meccaniche. Abbiamo acquisito<br />
sette ettari a Macchia sui suoli ex Sindyal, ottenendo anche l’okay dell’ASI. L’idea è quella<br />
di utilizzare Bicccari (dal prossimo autunno) per costruire torri in cemento. Lacedonia, Candela<br />
e Ascoli per la realizzazione di parti meccaniche delle pale e Manfredonia-Macchia per l’assemblaggio.<br />
A regime l’operazione darà lavoro a non meno di 400 unità direttamente impegnate e<br />
altre 400 nell’indotto. Il sistema entro il 2015 dovrebbe consentire al territorio di produrre ogni<br />
anno una ricchezza pari 3-400 milioni di euro parte dei quali resteranno sul territorio (Antonio<br />
Salandra, presidente della Holding Fortore <strong>Energia</strong> SpA, citato in Borrillo, 2009).<br />
Ma, questi ambiziosi piani devono fare i conti con gli effetti negativi della crisi economica<br />
internazionale che contribuisce a mettere a nudo la debolezza finanziaria dell’intero gruppo.<br />
Per fare fronte alle difficoltà finanziarie, infatti, nel dicembre 2010, per la prima volta il<br />
gruppo è costretto a vendere 4 dei parchi eolici in esercizio (San Chirico, Spina, Monticelli e<br />
Franciosa) con una potenza complessiva di 82 MW (che producono elettricità per un totale<br />
di oltre 160 GWh) alla BKW Italia SpA che nel quadro di questa operazione cede a Fortore<br />
92 La capacità di generazione elettrica della BKW Italia SpA in Italia comprende otto impianti idroelettrici ad acqua fluente<br />
in Lombardia per un totale di 42 MW nominali, una partecipazione del 33% in Fortore Wind Srl (140 MW di impianti eolici in<br />
esercizio), una partecipazione del 25% in E.ON Produzione Centrale Livorno Ferraris SpA (centrale a ciclo combinato da 800 MW)<br />
ed ulteriori partecipazioni di minoranza in impianti a biomasse. BKW Italia SpA dispone inoltre di una partecipazione pari al 48%<br />
in Tamarete <strong>Energia</strong> Srl (centrale a ciclo combinato di picco da 104 MW) ed il controllo del 100% della Volturino Wind Srl (parco<br />
eolico da 25 MW) entrambi in fase di realizzazione. La strategia di BKW in Italia è quella di sostenere i propri volumi di vendita<br />
di energia elettrica anche attraverso il progressivo incremento della propria capacità di generazione da fonti convenzionali e<br />
rinnovabili, pertanto oggi la società è fortemente impegnata nella finalizzazione dei progetti attualmente in <strong>sviluppo</strong> e nella<br />
ricerca di ulteriori opportunità sul territorio italiano.<br />
118
8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />
<strong>Energia</strong> la sua quota (33%) di partecipazione in Fortore Wind. I costi della transazione non<br />
sono stati resi noti.<br />
Fatto il primo parco eolico, abbiamo realizzato il secondo, poi il terzo e così via. La Fortore <strong>Energia</strong><br />
non ha mai venduto, ha sempre operato per svilupparsi, ma a un certo punto ha dovuto vendere<br />
una parte dei suoi parchi perché non poteva più sostenere finanziariamente la crescita. Nel frattempo,<br />
intorno al gruppo Fortore <strong>Energia</strong>, si è creata la possibilità di lavorare, per cui da 5 persone<br />
siamo diventati tantissimi, più di 130 persone tecnici ed ingegneri tra le sedi di Lucera e San<br />
Giorgio del Sannio che fanno tutte le attività dalla misurazione al progetto, al progetto esecutivo,<br />
etc.. Nel frattempo è stata creata anche una società collegata che costruisce parchi eolici. Quindi,<br />
dalla progettazione alla gestione. Poi, che cosa è successo Quando realizzi qualcosa ti vengono a<br />
cercare, e quindi si sono aperte tantissime opportunità, e abbiamo iniziato ad elaborare progetti<br />
ovunque. Poi, alla fine capisci che non puoi andare avanti su tutto, alcune cose le devi valorizzare<br />
e, quindi, alcuni dei parchi eolici già in funzione sono stati ceduti alla società svizzera BKW. Sono<br />
stati passaggi obbligati perché tantissima progettazione non è andata a buon fine, è rimasta<br />
“impelagata” negli iter burocratici che non si sono chiusi, e comunque c’era tantissima gente a<br />
lavorare che non puoi mandare a casa il giorno dopo. Purtroppo, i tempi di approvazione dei progetti<br />
sono molto lunghi. Su questo c’è da dire che il sistema istituzionale “non segue”, anzi tende<br />
a rallentare piuttosto che …. non dico a favorire. Sulla carta loro avevano i 180 giorni per fare le<br />
cose e invece sono diventati tempi biblici. Tempi segnati da dei contrasti tra Ufficio <strong>Ambiente</strong> e<br />
Ufficio Industria, tra Ufficio Industria e Ufficio Urbanistica. In sostanza, la Regione ha dimostrato<br />
di non essere all’altezza, e sto parlando degli uffici e non del governo. Uffici che non avevano le<br />
competenze e che quindi non erano in grado di gestire le autorizzazioni. Nel frattempo, l’eolico<br />
era un “business”, e di conseguenza qui in molti si sono lanciati a fare progetti. Sono arrivati<br />
sui tavoli della Regione centinaia e centinaia di progetti. La Regione ha tentato di regolamentare<br />
queste iniziative, ma alcuni articoli sono stati dichiarati anticostituzionali. Insomma, c’è stato un<br />
pasticcio e alla fine una società come la nostra subisce anche l’onta di avere il via libera per dei<br />
parchi eolici e poi ottenere un’autotutela della Regione che revoca l’autorizzazione unica. Questo<br />
ha bloccato i finanziamenti delle banche, ma si dovevano pagare i fornitori, il che ha comportato<br />
che parte delle attività di proprietà di una società <strong>locale</strong> come la nostra sono dovute essere cedute<br />
ad una società che con la Puglia e con l’Italia non c’entra nulla, Alla fine anche queste attività<br />
della Regione “non coordinate” portano dei danni: non ti rendi conto che una decisione non la<br />
puoi prendere “ a cuor leggero” perché metti in crisi un meccanismo (Giovanni Alessandro Selano,<br />
Holding Fortore <strong>Energia</strong> SpA).<br />
Comunque, i piani ambiziosi non vengono abbandonati, cercando di raggiungerli attraverso<br />
una nuova “alleanza strategica” con Epuron (www.epuron.de), società del Gruppo<br />
Conergy (www.conergy.it) leader in Europa nello <strong>sviluppo</strong> e nel finanziamento dei progetti<br />
eolici, fotovoltaici e bio-energia, che porta alla nascita di Forturon, nuovo marchio che unisce<br />
Fortore <strong>Energia</strong> a Epuron al fine di progettare, finanziare, costruire, gestire e manutenere<br />
impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. 93 In occasione dell’annuncio della<br />
partnership viene presentato il progetto per un nuovo aerogeneratore che dovrebbe essere<br />
prodotto negli stabilimenti di San Bartolomeo in Galdo. La filosofia di Forturon è coerente<br />
con la storia di Fortore <strong>Energia</strong>: la società realizza impianti eolici per promuovere lo <strong>sviluppo</strong><br />
auto-sostenibile del territorio, promuovendo la costruzione di società miste per i comuni. La<br />
93 Forturon installa impianti prodotti da società controllate. In particolare opera con un suo aerogeneratore assemblato nella<br />
fabbrica di San Bartolomeo in Galdo (BN). Forturon realizza gli impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile utilizzando<br />
servizi, impianti e componenti prodotti da società del gruppo Conergy e Fortore: Fotovoltaico (Inverters, Sistemi di voltaggio,<br />
Trackers, Sistemi di monitoraggio e misurazione), Solare termico (Sistemi completi solare termico), Eolico (Turbine per mini<br />
eolico da 8kW)<br />
119
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
proposta prevede la realizzazione di una società a responsabilità limitata per la realizzazione<br />
del campo eolico: il 51% della società posseduta dal comune e il 49% viene acquistato dal<br />
socio privato operativo di minoranza. Il socio operativo di minoranza provvede a finanziare<br />
l’intero investimento impegnandosi a ricercare sia il debito che a procurare l’intera equity.<br />
* * *<br />
Tocco da Casauria (PE)<br />
Tocco da Casauria è un piccolo comune (2.700 abitanti) delle montagne d’Abruzzo (vicino<br />
al Parco della Majella), in provincia di Pescara, 94 che di recente è stato oggetto di un servizio<br />
da parte del New York Times (2010) per la sua politica ambientale ed energetica. Oggi, Tocco<br />
produce tutta l’energia elettrica di cui ha bisogno (con un surplus del 30%) con un impianto<br />
eolico (realizzato e gestito da FERA) da 3,2 MW, composto da 4 aerogeneratori tripala Enercon<br />
E48 da 800 kW ciascuno (per un investimento complessivo di circa 4,5 milioni di euro)<br />
per una produzione elettrica annua di circa 7.200 MWh, con un impianto fotovoltaico da 24<br />
kW installato sul magazzino del cimitero e alcuni grandi impianti idroelettrici (Salvia, 2010).<br />
L’impianto è inserito in modo armonioso nel paesaggio: gli aerogeneratori non spiccano sul<br />
crinale della montagna, come spesso succede, ma si trovano su un pendio in un uliveto secolare,<br />
con vista sul castello ducale del XIII sec.<br />
A Tocco, il nostro parco è inserito in un uliveto. Abbiamo comperato i terreni vicini al parco<br />
eolico, per cui siamo proprietari di alcuni ulivi. Tutti gli anni nel “ponte dei morti”, andiamo a<br />
raccogliere le olive e facciamo la vita dei Toccolani: prendiamo le olive, le portiamo al frantoio<br />
e lì incontriamo la comunità e vedono che anche noi siamo legati al territorio. Tutti gli anni andiamo<br />
a raccogliere le olive perché è un momento di team bulding per l’azienda, ma anche “di<br />
vivere il territorio”. Il nostro olio fa parte dei gadget aziendali. È ovviamente biologico, perché<br />
oltre alla potatura canonica non facciamo niente, se non raccogliere le olive (Canavero, FERA).<br />
Nel 1989 il paese venne scelto dall’Unione Europea come sede per un progetto dimostrativo<br />
sull’energia <strong>eolica</strong>, per cui nel 1992 furono installati 2 aerogeneratori monopala M30 da<br />
200 kW ciascuno che producevano al massimo il 25% dell’energia necessaria per far fronte ai<br />
consumi di elettricità del paese e che soprattutto facevano un gran rumore. Tale impianto è<br />
stato smantellato nel 2006, mentre nel 2007 sono stati installati i primi due nuovi aerogeneratori<br />
(gli altri due sono attivi dal 2009). 95<br />
Oggi, il Comune di Tocco di Casauria incassa circa 170 mila euro all’anno dalle royalties del<br />
campo eolico, il 7% dell’inero bilancio comunale. Soldi che sono serviti per abolire le imposte<br />
locali, nonché la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e per assumere due spazzini<br />
in più, 96 per rimettere a posto prima il castello (Gervasio, 2007) e poi la scuola danneggiata<br />
dal terremoto dell’Aquila, e per tenere bassa la retta della mensa scolastica. L’impianto fotovoltaico<br />
è costato 21 mila euro, tra sette anni il comune inizierà a guadagnare, mentre già<br />
oggi gli abitanti ne beneficiano, dato che non pagano più i 15 euro all’anno per la corrente del<br />
94 Tocco da Casauria fa parte della Comunità montana della Maiella e del Morrone. Il paese sorge su un colle nella valle del<br />
fiume Pescara, a circa 40 km dal capoluogo di provincia, lungo la strada che la collega a Roma, poco prima delle Gole di Popoli.<br />
95 In sostanza, nel caso del nuovo impianto si è trattato di un progetto di re-powering.<br />
96 Per “Comuni Ricicloni 2010”, il rapporto di Legambiente sulla gestione dei rifiuti e la raccolta differenziata in Italia, Tocco<br />
da Casauria è al 57esimo posto nella graduatoria di categoria: secondo tra i comuni della Regione Abruzzo e primo nella Provincia<br />
di Pescara. Un risultato che è frutto anche di piccole, ma significative attenzioni, dalla raccolta porta a porta al sistema di<br />
raccolta degli olii esausti e di frittura, all’utilizzo di materiale biodegradabile nella mensa scolastica.<br />
120
8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />
lumino. Inoltre, in paese sono già 13 le famiglie che hanno messo i pannelli sul tetto della loro<br />
casa, mentre un allevatore di pecore e capre li ha montati sul tetto della sua stalla. 97<br />
Attualmente, il Comune sta studiando la costruzione di un quinto aerogeneratore gestito<br />
direttamente dal comune che raccoglierebbe i soldi dai cittadini con l’azionariato popolare.<br />
Inoltre, il Comune è impegnato nello <strong>sviluppo</strong> di un programma di abbattimento dei<br />
quantitativi di rifiuti che ancora oggi vengono destinati alla discarica. Due sono i progetti<br />
in programma. Innanzitutto, un incentivo economico alle famiglie che affrontano l’avventura<br />
della nascita di un bimbo, alle quali saranno rimborsati 300 € qualora decidessero di<br />
sostituire (almeno in parte) l’uso dei pannolini usa e getta con quello di pannolini lavabili,<br />
ormai in commercio da anni. Il secondo passo è quello di aderire alla campagna europea per<br />
l’abolizione dell’uso dei sacchi in plastica. Infine a gennaio 2010 è stato approvato il nuovo<br />
regolamento per l’edilizia sostenibile che introduce obblighi per l’isolamento termico e orientamento<br />
dei nuovi edifici, per la riduzione dei consumi idrici nonché introduce una serie di<br />
incentivi a favore dell’installazione delle fonti di energia rinnovabili.<br />
* * *<br />
Scansano (GR)<br />
La centrale <strong>eolica</strong> di Scansano (Grosseto) è formata da 10 aerogenertori della spagnola<br />
Gamesa per un capacità totale di 20 MW, in grado di produrre elettricità per 22 mila famiglie.<br />
Nel corso degli ultimi 10 anni questo impianto è stato uno di quelli maggiormente al centro<br />
delle polemiche tra associazioni che difendono il paesaggio e associazioni ambientaliste.<br />
La campagna mediatica contro l’eolico è un attacco scientifico finalizzato a creare il mostro. In<br />
questi anni, il mostro è stato l’impianto di Scansano in Toscana che è stato etichettato come<br />
tale. Mario Pirani ne ha parlato tante volte su La Repubblica. Mi ricordo interventi di Fulco<br />
Pratesi a convegni e in Tv in cui diceva: “si rischia di creare degli ecomostri come Scansano”.<br />
Pratesi non l’aveva neanche visto il progetto di Scansano, perché io glielo ho chiesto. In questi<br />
casi si entra dentro un loop per cui si nomina sempre un progetto. L’impianto di Scansano è<br />
un bellissimo progetto. Se oggi si va a Scansano e si dice ai cittadini di toglierlo ti dicono:<br />
“ma di che stai parlando”, perché è un impianto che sta in una zona in cui uno solo lo vede,<br />
il Biondi Santi (importante produttore di vino Montalcino e Morellino, ndr), che è quello che,<br />
insieme ad Italia Nostra, ha fatto i ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato per bloccarlo. Noi, come<br />
Legambiente, abbiamo pure giocato un ruolo in questo caso. Quando all’inizio il progetto era in<br />
fase di impostazione, ci sono state le polemiche, e noi abbiamo detto alla Gamesa e al Comune<br />
di cercare di costruire un percorso di partecipazione e di informazione e poi di investire in un<br />
percorso in loco dato che si tratta di un posto particolarmente bello dal punto di vista panoramico,<br />
perché si vede dall’Amiata fino al mare. Questo è stato realizzato, con pochi soldi, perché<br />
le aziende tendono sempre a mettere pochi soldi in questi aspetti del progetto, però questo<br />
oggi permette di far diventare quello un posto che le persone vanno a visitare, a vedere. Oggi, è<br />
un nuovo paesaggio, anche vissuto, mentre prima era una zona dove non ci andava nessuno. Il<br />
motivo per cui è stato fatto lì l’impianto di Scansano è stato perché c’era un mega elettrodotto,<br />
per cui è stato detto a Gamesa di farlo lì in modo da eliminare quell’infrastruttura fortemente<br />
impattante. Però, si è preferito creare il mostro (Edoardo Zanchini, Legambiente).<br />
97 Tocco è noto anche per la Centerba, un liquore ricavato dalla distillazione di diverse piante della Maiella, inventato dal<br />
farmacista Beniamino Toro come medicamento. Nel 1817 diviene prodotto di consumo. Per quanto riguarda l’olio d’oliva, la<br />
provincia di Pescara, e quindi Tocco, è stata tra le prime in Italia ad ottenere il riconoscimento ufficiale da parte dell’Unione<br />
europea per la denominazione di origine protetta (D.O.P.) del suo Olio di Oliva Extravergine “Aprutino Pescarese”; questo marchio<br />
certifica l’alta qualità dell’olio extravergine prodotto in questa zona. Il vino prodotto è di ottima qualità ed è quello tipico della<br />
cultura abruzzese: Montepulciano, Cerasuolo e Trebbiano con ottime caratteristiche organolettiche, di gusto e retrogusto.<br />
121
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Conosco molto bene, perché l’ho seguito, un caso che riguarda il Comune toscano di Scansano,<br />
dove l’amministrazione comunale, il sindaco in particolare, Flavio Morini, sono stati i principali<br />
fautori di questa scelta. Una scelta che ha anche provocato l’opposizione di Biondi Santi. Questo<br />
è un caso tipico in cui l’opposizione che è stata presentata come l’opposizione della comunità era,<br />
assolutamente legittima dal suo punto di vista, di un signore al quale le pale eoliche rompevano<br />
le scatole perché le vedeva dalla finestra della sua tenuta. È un caso tipico in cui il problema<br />
dell’accettazione sociale è stata molto ingigantita, ma è anche un caso tipico in cui la comunità<br />
ha accettato questa scelta e anzi l’ha sentita come una scelta propria, vedendo in questa scelta la<br />
possibilità anche di un modello di produzione di energia non solo meno impattante da un punto<br />
di vista ambientale, ma anche conveniente per quel territorio. Per cui credo che un modello come<br />
questo, poi ce ne sono altri in giro per l’Italia, ma questo di Scansano è quello che ho seguito<br />
di più e, quindi, conosco meglio, sia un modello di successo perché il controllo democratico,<br />
pubblico, sulle scelte, non avviene soltanto nelle forme di contrasto, di dialettica, per cui nasce il<br />
comitato, ma avviene dall’inizio, nella misura in cui un Comune – una amministrazione che poi<br />
come hanno dimostrato le elezioni gode della fiducia dei cittadini – non solo è il proponente di<br />
quella iniziativa, ma ne diventa anche il garante (Roberto Della Seta, senatore).<br />
L’impianto è stato completato nel 2006, ma nel 2007 è stato bloccato dal Tar, mentre<br />
nel 2008 una sentenza del Consiglio di Stato ha sbloccato definitivamente la situazione, respingendo<br />
tra l’altro le osservazioni dei ricorrenti, l’azienda agraria Montepò di Jacopo Biondi<br />
Santi e Italia Nostra, in merito all’inquinamento acustico, all’altezza massima delle torri e ad<br />
altre obiezioni sull’iter amministrativo. Veniva anche sollevata l’incompatibilità dell’impianto<br />
con le vigne da cui si ricavano il Brunello e il Morellino e che tappezzano le vallate circostanti.<br />
Le motivazioni sono state ritenute tutte prive di fondamento dal Consiglio di Stato, tranne<br />
una: l’aver affidato il monitoraggio dell’impatto degli aerogeneratori sull’avifauna all’azienda<br />
titolare. Una decisione ritenuta “contraddittoria” nell’iter stabilito dalla Regione.<br />
Il parco eolico di Scansano è da 20 MW e soddisfa circa 22 mila famiglie come fabbisogno. È composto<br />
da 10 aereogeneratori da 2 MW ciascuno, per un investimento di circa 30 milioni di euro.<br />
Perché è importante questo parco Dopo tutte le vicende giudiziarie che ha avuto, adesso funziona<br />
e funzione per come era stato progettato, cioè produce energia per quelle 22 mila famiglie,<br />
anzi quest’anno, rispetto alle 1.600 ore programmate di vento, ne ha fatte 1.800, perché tutti e<br />
10 gli aereogeneratori funzionano. Perché è importante questo parco rispetto ad altri parchi eolici,<br />
anche più grandi È importante perché se un parco eolico, così contestualizzato nel paesaggio,<br />
diventa un parco didattico per i ragazzi che, oltre a produrre energia, spiega come funziona l’energia<br />
rinnovabile e viene così ben inserito nel paesaggio agrario toscano, dove ci sono quei bocage<br />
di siepi, per cui diventa chiaramente un fuori scala rispetto all’aereogeneratore alto 90 metri, vuol<br />
dire che il grande eolico, se fatto bene, può essere fatto chiaramente dove c’è vento, ma anche<br />
rispettando criteri di buon inserimento nel paesaggio esistente (Flavio Morini, ANCI e Scansano).<br />
In questi anni, il sindaco di Scansano è riuscito, con successo, anche ricontrattare i termini<br />
della convenzione tra il Comune e l’operatore del parco, riuscendo ad alzare le royalties<br />
per che vanno all’amministrazione comunale.<br />
Quando è stata fatta la convenzione per il parco eolico il sindaco di Scansano non ero io. Noi<br />
avevamo una convenzione assurda. Non so come mai sia stata firmata. Io non l’avrei mai<br />
firmata. Una convenzione fatta al contrario, per due motivi. Il primo, si basava su una percentuale<br />
a decrescere. Per assurdo, il parco produce poco all’inizio e tanto dopo, quindi tu fai<br />
una convenzione a crescere, anche perché le spese all’inizio si ammortizzano meno per cui si<br />
pagano più volentieri a crescere che a decrescere. Probabilmente, il sindaco precedente l’aveva<br />
122
8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />
fatta secondo il suo mandato. Peraltro, recuperava una percentuale bassissima perché alcune<br />
opere – come la strada e altre infrastrutture – venivano fatte nella sua legislatura, ma quelle le<br />
fanno comunque tutti. La storicizzazione della royalty era: il 2% per i primi 5 anni, l’1,8% dal<br />
5° all’8° anno e l’1,5% dall’8° anno in poi. E purtroppo questo solo sulla produzione di energia,<br />
mente, come si sa, la vera rendita dei parchi eolici oggi è la vendita dei certificati verdi, più<br />
che la produzione di energia. Tant’è che allora la produzione di energia stava a 40 euro a MW,<br />
mentre i certificati verdi stavano a 170 euro. Praticamente, questo parco per il Comune produceva<br />
un introito quasi nullo – circa 20 mila euro all’anno. Una vergogna! Quando sono diventato<br />
sindaco, sono andato dall’operatore che prima era la società spagnola Gamesa, poi diventata<br />
Endesa, e poi E.On, sostenendo che questa convenzione era ridicola. Era la più bassa in tutta<br />
Italia. Loro hanno annuito, ma mi hanno anche detto che noi l’avevamo firmata e che non avevano<br />
intenzione di ritoccarla. Allora, io dissi che voleva dire che quando avrei parlato di E.On ne<br />
avrei parlato male. Loro si sono dimostrati disponibili a parlarne e l’abbiamo rivista. Abbiamo<br />
rifatto una convenzione che non è l’ottimale che si sarebbe potuto fare all’inizio, ma è 4-5 volte<br />
superiore alla precedente. Abbiamo stabilito delle percentuali in base alle condizioni di vento.<br />
Minimo dell’1,6%, sia sulla produzione di energia che sui certificati verdi. L’1,8% se si sta tra<br />
le 1.700 e le 1.800 ore, l’1,8% se si sta tra le 1.800 e le 2.000 ore, il 2% se è oltre le 2.000, e<br />
sopra le 2.100 è il 2,2%. Quindi, siamo arrivati ad una percentuale che si è avvicinata a quella<br />
che si sarebbe potuto fare normalmente intorno al 2,5-3%. Le pale funzionano dal 2006, però<br />
ci sono state delle sentenze con problemi giuridici, per cui non si poteva fare la manutenzione.<br />
Si diceva che il parco di Scansano non produceva. Chiaro, se di 10 pale, 7 erano ferme! Ora che<br />
ne funzionano 10, il parco quest’anno ha prodotto per 1.800 ore di vento. Quindi, il parco è<br />
andato a regime solo nel 2010, dopo 4 anni di tribolazioni giudiziarie. Tenga conto che io sono<br />
l’architetto di Biondi Santi e gli ho fatto la cantina. Lui, quando mi vede, mi dà una pacca<br />
sulla spalla, perché mi vuole bene, e poi mi dice un po’ di ingiurie, perché ho contribuito alla<br />
realizzazione del parco. Non me ne pento e rimprovero a lui un fatto: invece di dire che il parco<br />
non lo voglio, fa schifo e non lo voglio vedere, perché non dice che il suo vino è più buono perché<br />
viene prodotto in un territorio dove ci sono le energie rinnovabile, sfruttando questo come<br />
marketing territoriale. Cosa che altri hanno fatto. La popolazione <strong>locale</strong> è felicissima del parco<br />
eolico, È fondamentale, quando si fanno questi impianti, non agire da soli, come sindaci e amministratori,<br />
perché se no vieni massacrato. Bisogna sempre coinvolgere la popolazione <strong>locale</strong>,<br />
chiedendogli che ne pensa e soprattutto far capire il prima e il dopo cosa può comportare sotto<br />
vari aspetti. Nel nostro caso, oltre ad avere circa 3 mila persone l’anno, Murci, che è la frazione<br />
dove è il parco, si sta popolando di attori, proprio perchè un posto bellissimo, ottocentesco,<br />
con una natura incontaminata. Nel mio comune ci sono solo 16 abitanti per kmq. La gente<br />
viene a stare lì e non solo non gli dà fastidio il parco, ma gli fa piacere perché vuol dire che un<br />
ente pubblico si è mosso nella direzione della sostenibilità (Flavio Morini, ANCI e Scansano).<br />
Le royalties che il Comune di Scansano incassa dall’operatore in base alla produzione<br />
di energia elettrica del parco eolico vengono reinvestiti in progetti legati alle rinnovabili e<br />
all’educazione ambientale.<br />
Quello che la politica deve fare, cosa è È fare in modo che si crei una filiera anche dove si fanno<br />
in grandi impianti. Un grande impianto si può fare. A Scansano è stato fatto un parco eolico,<br />
ma cosa è stato fatto con i proventi del parco eolico Sono stati reinvestiti per fare fotovoltaico<br />
sulle scuole, per fare educazione ambientale per i cittadini, è stato creato un centro didatticoambientale<br />
dove si parla di energie rinnovabili. Lì c’è un parco che viene visitati da circa 3 mila<br />
persone all’anno, dove si spiega tutto il percorso dell’eolico, ci sono delle altane da dove si può<br />
osservare il paesaggio, dove si illustra la flora e la fauna presente. Quindi, il parco eolico è diventato<br />
per il territorio un punto di riferimento. Nessuna di quelle 3 mila persone sarebbe andata<br />
sul quel territorio. Ha riaperto il piccolo bar, ha riaperto il piccolo ristorante, l’agriturismo lavora<br />
123
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
di più. Quindi, legato al mondo del parco eolico c’è un altro mondo. Non è che queste cose sono<br />
necessariamente negative, dipende da come le si fa (Flavio Morini, ANCI e Scansano).<br />
* * *<br />
Peglio (PU)<br />
Il piccolo Comune di Peglio (PU) è stato tra i comuni premiati da Legambiente nel 2011<br />
per la realizzazione di un parco minieolico (inaugurato il 10 ottobre 2010). L’impianto, situato<br />
nell’area degli impianti sportivi, è formato da due torri da 50 kW ciascuna con una produzione<br />
netta di 162 MWh annui in grado di coprire da soli il 21% dei consumi elettrici domestici<br />
dell’intero Comune. L’intervento è costato circa 228.000 euro ed è stato finanziato dalla<br />
Comunità Montana dell’Alto e Medio Metauro di cui il Comune di Peglio fa parte. L’impianto<br />
permette di evitare l’emissione di oltre 90 tonnellate di CO2 l’anno. Il Comune di Peglio è<br />
interessante anche per gli obiettivi energetico-ambientali che si è proposto di raggiungere<br />
entro il 2014, che riguardano lo <strong>sviluppo</strong> di impianti da fonti rinnovabili in edifici pubblici e<br />
privati, e di sistemi per il risparmio energetico. Tra le realizzazioni in corso si può segnalare<br />
il nuovo impianto fotovoltaico da 19,44 kW di potenza installato sulle coperture del centro<br />
polifunzionale, a cui si affiancherà un impianto fotovoltaico da 36 kW che verrà installato<br />
sulle coperture del cimitero. Per quanto riguarda il solare termico si segnala l’installazione di<br />
15 mq di pannelli per la produzione di acqua calda sanitaria necessaria al centro sportivo. Tra<br />
i progetti in corso, c’è il piano strategico per l’illuminazione pubblica che prevede la sostituzione<br />
delle lampade meno efficienti con un risparmio di 13.000 kWh annui, mentre il Comune<br />
ha in programma la realizzazione di una centrale a biomassa da cippato di piccole dimensioni<br />
(500 kW) alla quale verrà collegata una piccola rete di teleriscaldamento.<br />
* * *<br />
Mammola (RC)<br />
Un altro caso interessante è quello del parco eolico di 11 aerogeneratori della potenza<br />
di 9,35 MW attualmente in corso di realizzazione (dovrebbe entrare in funzione nel 2011) di<br />
Piano di Canolo nel territorio del comune di Mammola. La vicenda da cui è nata l’idea risale<br />
al lontano 2003. Dopo vari sopralluoghi di agenti di imprese nazionali ed internazionali, i<br />
quali avevano intuito le grandi potenzialità che l’Aspromonte poteva offrire in fatto di energie<br />
rinnovabili, l’allora presidente del Parco d’Aspromonte, Tonino Perna, aveva convocato diversi<br />
sindaci dell’area aspromontana. Nacque inizialmente un patto tra quindici comuni ed il Parco<br />
chiamato “Alleanza dei figli di Eolo”. Nello stesso periodo, all’interno del Consiglio direttivo<br />
del Parco, alcuni consiglieri avevano espresso il desiderio di occuparsi seriamente della questione<br />
delle energie rinnovabili. Maturò così l’idea di dar vita ad una società denominata Eolo<br />
21 SpA dal sindaco di Mammola Antonio Longo. 98 La società, inizialmente, era formata da<br />
sette comuni (Mammola, Canolo, Cittanova e San Giorgio Morgeto) ed il Parco d’Aspromonte<br />
che allora aveva la quota maggioritaria poi venduta al Gruppo ICQ di Roma (che ora ha una<br />
partecipazione del 49%). Canolo, Cittanova e San Giorgio Morgeto. L’attuale obiettivo della<br />
società la realizzazione di circa 180 MWe eolici e 10 MW alimentati a biomasse e piccoli idroelettrici<br />
per un investimento previsto di euro 120.000.000,00.<br />
98 Da notare che Mammola è stato uno dei pochi comuni che ha fatto tesoro dei finanziamenti dei POR Calabria 2000/2006<br />
che riguardavano il risparmio energetico, con cui il comune ha portato avanti dei lavori di ammodernamento della rete di illuminazione<br />
pubblica, sostituendo tutti gli apparecchi illuminanti con altri a basso consumo energetico.<br />
124
9. Aprire una seconda fase:<br />
rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
In questi 15 anni, lo <strong>sviluppo</strong> dell’energia <strong>eolica</strong> e delle altre rinnovabili è avvenuto quasi<br />
esclusivamente a seguito della diffusione sul territorio di grandi impianti industriali. Impianti<br />
di grande taglia sono presenti in 260 dei 374 Comuni dell’eolico. Oggi, aprire una seconda<br />
fase della diffusione dell’eolico e delle altre rinnovabili, significa avviare una programmazione<br />
capace di disegnare un modello che non sia costituito esclusivamente da impianti di grandi<br />
dimensioni.<br />
Il modello di energia verso il quale dobbiamo tendere è quello di un modello energetico distribuito,<br />
non fatto solo da grandi impianti, ma anche da piccoli impianti distribuiti sul territorio.<br />
La tecnologia ci aiuta in questo, perché ormai oggi esistono degli aereogeneratori altri 1 metro<br />
e ½ - 2 metri che si possono montare sul tetto di casa, sulla terrazza o lungo le nostre vie.<br />
L’evoluzione tecnologica va avanti e il modello deve essere distribuito perché l’energia prodotta,<br />
se consumata sul posto, elimina tutta una serie di problemi: dalla perdita di carica dovuta al<br />
trasporto, al sovraccarico della rete e, quindi, allo stand by degli impianti e al dispacciamento.<br />
Ma, soprattutto, consente due fattori importanti:<br />
1. che si muove tutta un’attività economica intorno a questo tipo di energia distribuita sul<br />
territorio;<br />
2. che gli incentivi che ci sono possono essere messi a frutto in un quadro più ampio, mi riferisco<br />
ad esempio agli imprenditori agricoli che in questo momento hanno necessità anche di<br />
poche migliaia di euro all’anno per mantenere il paesaggio e le aziende agricole in esercizio.<br />
La politica per essere saggia per il nostro territorio dovrebbe favorire l’installazione massiccia<br />
delle rinnovabili a basso impatto, quindi di piccole dimensioni, distribuite al massimo sul<br />
territorio. La politica dovrebbe consentire, attraverso accordi fatti con il credito, attraverso un<br />
fondo di rotazione o comunque uno strumento finanziario, agli agricoltori di avere un prestito<br />
a basso tasso o a tasso quasi nullo, per installare impianti eolici o fotovoltaici, in modo che lo<br />
possano restituire nel momento in cui il GSE gli ridà il contributo, dal momento che l’impianto<br />
è entrato in funzione. Chiaramente, questi sono soldi che passano attraverso gli incentivi e che<br />
derivano dalla bolletta dei cittadini e che sarebbe corretto che venissero reimpiegati per queste<br />
questioni (Flavio Morini, ANCI e Scansano).<br />
È, dunque, importante proprio per le caratteristiche del territorio italiano, approfondire<br />
anche l’opportunità di aerogneratori di dimensione ridotta, che risultano più facilmente in-<br />
125
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
tegrabili rispetto a quelli di grande taglia in aree agricole estensive ed anche insediamenti<br />
artigianali/industriali. 99<br />
È pensabile un coinvolgimento attivo con una ricaduta che non sia solo sui proprietari dei<br />
terreni come avviene adesso, nel caso del mini eolico, che potrebbe avere un certo <strong>sviluppo</strong> e<br />
soddisfare delle esigenze locali. C’è un incentivo molto buono e siamo solo agli inizi di questa<br />
tecnologia. Per questo si potrebbe vedere un ruolo attivo perché consentirebbe di produrre energia<br />
a coloro che la consumano direttamente, come realtà dell’agricoltura o della piccola e media<br />
industria (Gianni Silvestrini, Kyoto Club).<br />
Oggi, sono 123 i Comuni che possiedono nel proprio territorio impianti minieolici, cioè<br />
torri di potenza sotto i 200 kW, per una potenza complessiva di 4,2 MW (Legambiente,<br />
2011:63-64). I notevoli progressi nella sperimentazione realizzati nel Nord Europa hanno<br />
permesso di verificare la fattibilità tecnico-economica anche in aree con condizioni di vento<br />
medie, dove si può soddisfare il fabbisogno di una domanda di energia diffusa nel territorio,<br />
con investimenti che in pochi anni diventano competitivi e la possibilità di creare una filiera<br />
di aziende agroenergetiche e artigianali. Per arrivare così a sviluppare un modello energetico<br />
innovativo, che in parte utilizza/consuma direttamente sul posto l’energia prodotta e in parte<br />
la interscambia in rete.<br />
Per quanto riguarda l’estero: in Germania si fanno molti più parchi eolico, ma più piccoli e<br />
quasi mai in project financing. Vanno in banca, chiedono il prestito, non devono costituire una<br />
società dedicata a quel parco eolico. Ad esempio, un grosso consorzio agricolo che decide di<br />
installare tre turbine, va in banca e si fa finanziare. Siccome c’è certezza di quanto guadagneranno<br />
per i prossimi 15 anni, la banca li finanzia perché c’è stabilità. I parchi eolici in Germania<br />
sono più piccoli perché ci sono anche degli investitori privati che lo fanno, che vedono una<br />
convenienza nel fare questo. In Germana ci sono parecchi agricoltori che si consorziano per<br />
costruire un parco eolico. Le banche locali tedesche certamente supportano il business (Carlo<br />
Schiapparelli, REpower).<br />
A noi piacerebbe avere tante piccole torri eoliche – minieolico – disseminate nelle nostre imprese<br />
oppure disseminate sul territorio per creare energia spendibile localmente per lo scambio sul<br />
posto o attraverso delle reti che guidino delle possibilità di uso. Anzi, questo potrebbe essere un<br />
elemento apprezzabile di valorizzazione dell’insediamento sul territorio. Abbiamo anche cercato<br />
in qualche occasione di costruire qualche buon rapporto con dei soggetti disponibili. Magari<br />
poter sviluppare questa tecnologia nelle imprese agricole o comunque sul territorio (Stefano<br />
Masini, <strong>Coldiretti</strong>).<br />
Nel caso del mini e micro eolico, i vantaggi di integrazione nel paesaggio sono evidenti,<br />
perché stiamo parlando di una o due torri di piccole e medie dimensioni integrate all’interno<br />
di attività compatibili. Chiari sono anche i vantaggi energetici, legati ad un approvvigionamento<br />
rinnovabile e diffuso, riducendo così la produzione da fonti fossili, ma anche la necessità<br />
di grandi reti di distribuzione.<br />
99 In Italia, dall’inizio del 2009 (Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 18/12/2008), è stato introdotto l’incentivo<br />
di € 0,30/kwh (tariffa onnicomprenisva) per l’energia messa in rete dagli impianti eolici fino a 200kW (mini-eolici), entrati<br />
in esercizio dopo il 31 dicembre 2007. L’incentivo, la cui durata è di 15 anni, è un’alternativa ai certificati verdi e allo scambio<br />
sul posto. Al termine di questo periodo, l’energia elettrica prodotta sarà remunerata alle condizioni economiche previste dall’art.<br />
13 del Decreto Legislativo 387/03. Per mantenere la congruità della remunerazione, la tariffa onnicomprensiva potrà essere<br />
variata ogni 3 anni tramite decreto del Ministero dello Sviluppo Economico.<br />
126
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Noi siamo convinti che nell’eolico la fase dei grandi impianti finirà. Era ed è una fase necessaria<br />
perché ha consentito una industrializzazione massiccia dell’eolico, del fotovoltaico e delle altre<br />
energie rinnovabili. Oggi, se un pannello costa il 50% in meno rispetto ad un anno fa, è perché<br />
la produzione è aumentata del 100%. Quest’anno avremo quasi 15 GWh di potenza prodotta,<br />
15 volte tanto rispetto a 4 anni fa. I costi si sono abbassati. Questa fase dei grandi impianti<br />
era necessaria. A breve questa fase andrà a scemare, se non a terminare, anche perché in tutti<br />
i paesi gli incentivi per i grandi impianti andranno a declinare, mentre il privato sarà sempre<br />
più incentivato a fare piccoli impianti. Quindi, noi diciamo: bene i grandi impianti, grazie agli<br />
incentivi, ma ora iniziamo anche ad orientare gli investimenti verso questo tipo di impianti,<br />
orientando maggiormente gli incentivi verso i piccoli impianti. Questo è sicuramente il futuro<br />
che noi ci aspettiamo. Minieolico, minifotovoltaico, la biomassa da filiera corta, i piccolissimi<br />
impianti da biogas che hanno un futuro enorme anche per il disinquinamento delle aree. Tutte<br />
le fonti hanno le potenzialità per i piccoli impianti. Oramai i piccoli motori Sterling ad alto<br />
rendimento da 3-5 kW condominiali sono una realtà e saranno il prossimo passo. Ad oggi, per<br />
i condomini si è fatto poco e il nuovo conto energia prevede degli incentivi per i condomini,<br />
anche se non sarà facile, ci vorranno anni, perché sappiamo le difficoltà con cui si prendono le<br />
decisioni a livello condominiale. Però, ad esempio, le caldaie a condensazione per il riscaldamento<br />
centralizzato. Comunque, la tecnologia sta andando verso una miniaturizzazione degli<br />
impianti, per cui di sicuro arriveremo ad una generazione distribuita molto facile da fare (Domenico<br />
Belli, Greenpeace).<br />
Ma, aprire una seconda fase dello <strong>sviluppo</strong> dell’eolico e delle altre rinnovabili non significa<br />
soltanto promuovere la diffusione capillare di micro e mini impianti, ma soprattutto<br />
cercare di collegare in modo veramente sinergico lo <strong>sviluppo</strong> di queste tecnologie con le<br />
dinamiche di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> dei territori, nella convinzione che l’accettabilità sociale delle<br />
rinnovabili dipenda dalla capacità che queste hanno di integrarsi con le specificità, le vocazioni<br />
e i settori produttivi territoriali.<br />
L’energia <strong>eolica</strong> svolge un ruolo decisivo… ma proprio perché stiamo ragionando di impianti<br />
che hanno un impatto sul paesaggio dobbiamo individuare soluzioni efficaci per integrare gli<br />
impianti nel territorio, capire le accortezze e i limiti nelle aree più delicate. Sono proprio le<br />
aree interne montane, i centri cosiddetti minori, i piccoli comuni, gli ambiti dove questa sfida<br />
è più delicata e avvincente. È infatti necessario dialogare e interagire con le realtà territoriali,<br />
perché lo <strong>sviluppo</strong> di impianti eolici può essere una concreta opportunità per riportare servizi e<br />
far sopravvivere usi e culture agricole, ma può rivelarsi anche un rischio e un impatto gravissimo<br />
per il paesaggio. Per questo occorre superare i limiti di questa prima fase “pionieristica” del<br />
processo di diffusione dell’eolico in Italia e evitare errori dovuti alla mancanza di regole e alla<br />
forza degli interessi economici (Realacci, in Zanchini, 2002:9).<br />
9.1 Rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Il concetto di “<strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>” e, parallelamente, di “buone pratiche” per lo <strong>sviluppo</strong><br />
<strong>locale</strong> è entrato ormai a far parte del linguaggio corrente. La letteratura in materia ha individuato<br />
diversi “modelli” di <strong>sviluppo</strong>, sovente interrelati tra loro: tra i principali è possibile<br />
ricordare lo “<strong>sviluppo</strong> economico sostenibile” o “autosostenibile”, lo “<strong>sviluppo</strong> endogeno”,<br />
lo “<strong>sviluppo</strong> integrato”, lo “<strong>sviluppo</strong> sociale”, lo “<strong>sviluppo</strong> dall’alto” (top down) e lo <strong>sviluppo</strong><br />
dal basso (bottom up), ovvero, per l’appunto, lo <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> in senso proprio. In quest’ultimo<br />
caso è di norma prevista la partecipazione e/o il coinvolgimento di una pluralità di<br />
attori pubblici e privati, partecipazione finalizzata alla individuazione di percorsi di <strong>sviluppo</strong><br />
integrati (e relativi strumenti di attuazione), ovvero coerenti con le potenzialità e le risorse<br />
127
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
locali, siano esse economiche, naturali, umane e, in generale, territoriali. Lo <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>,<br />
per essere sostenibile, duraturo ed effettivo deve nascere dal pensiero, dalla scelta partecipe<br />
e dal coinvolgimento attivo delle popolazioni locali, delle comunità locali, che si prendono<br />
nelle mani – attraverso la scelta consapevole di gestire le proprie risorse – il proprio futuro.<br />
In questo senso, un progetto di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> deve saper cucire con il filo della specificità<br />
territoriale materie diverse fra loro come l’agricoltura e il turismo, l’industria e i cambiamenti<br />
climatici, le energie rinnovabili e la biodiversità, l’accessibilità <strong>locale</strong> e i servizi di interesse<br />
generale, l’interconnessione con le reti e l’innovazione, la formazione e la ricerca, la diversità<br />
culturale e la capacità di connettersi con il mondo globale.<br />
Lo <strong>sviluppo</strong> diffuso sul territorio dell’eolico e delle altre rinnovabili, quindi, può collegarsi<br />
in maniera stretta con lo <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, può esserne una delle leve, dei driver, ma occorre<br />
innanzitutto che il territorio sia considerato come un giacimento patrimoniale a molti livelli:<br />
ambientale, territoriale, energetico, produttivo e culturale. In questo modo, può risultare<br />
evidente che le caratteristiche e le potenzialità dei mix energetici dei territori sono differenti<br />
a seconda delle specifiche condizioni ambientali di contesto, della composizione sociale, del<br />
sistema produttivo e dei consumi.<br />
Quello che cerchiamo di segnalare – in perfetto accordo con UNCEM – è che occorre creare delle<br />
reti/sinergie locali, perché sappiamo che il territorio ha delle specificità diverse anche a soli<br />
pochi chilometri di distanza. Quindi, è giusto creare delle aree, anche non omogenee territorialmente,<br />
ma di compensazione e di fruizione in loco del consumo energetico. Noi proponiamo un<br />
mix energetico con impianti distribuiti sul territorio, stressando la componente di distribuzione<br />
(Giada Maio, ANCI).<br />
L’Italia è un paese fatto anzitutto, e soprattutto, di montagne, di coste, di isole, di<br />
ruralità, oltre che di città medie e di città grandi. E, quindi, di diversità, di complessità, di<br />
esigenza di analisi e comprensione mirata alle specificità territoriali, che tenga conto delle<br />
reali vocazioni e delle potenzialità delle diverse fonti rinnovabili presenti su ciascun territorio<br />
e suscettibili di sfruttamento (valutazione e definizione delle potenzialità energetiche<br />
territoriali e identificazione degli ambiti territoriali). Purtroppo, al momento mancano studi<br />
locali, infraregionali, in grado di individuare i bacini territoriali alla scala giusta (non può<br />
essere dato per scontato che sia quella del singolo comune) per capire quale può essere il mix<br />
energetico (energy modeling o diagnosi energetica del territorio) di ciascun bacino. 100<br />
I bacini sono tutti diversi. In uno c’è il mare, in un altro la montagna, in un altro ci sono i<br />
boschi, l’altro ha le città. Ho lavorato un po’ di anni fa per il Contratto di Fiume dell’Olona, e<br />
facendo gli studi per un progetto di riqualificazione del fiume, del sistema fluviale, è venuto<br />
fuori che la metà della portata che riguarda il deflusso vitale minimo in estate è data dai reflui<br />
urbani. Questo vuol dire che se tolgo i reflui urbani il fiume non esiste. Di conseguenza, devo<br />
pensare ad un sistema di depurazione che non sia composto dai grandi depuratori, ma da una<br />
piattaforma di quartiere tra Varese e Milano in cui io costruisco un sistema “di digestione” dei<br />
reflui. Bisogna iniziare a pensare al territorio come ad un produttore di energia. Una cosa che<br />
non si può fare in astratto, in astratto si può fare una centrale nucleare, così come una centrale<br />
<strong>eolica</strong>, cioè posso fare un qualcosa in astratto che mi mette in rete l’energia e poi la distribuisce<br />
ai vari territori. Se io devo pensare ad una produzione “<strong>locale</strong>” di energia, soprattutto legata ad<br />
100 L’UNCEM sta accompagnando alcune comunità montane locali nell’elaborazione delle linee guida per lo <strong>sviluppo</strong> sostenibile<br />
che riguardino le funzioni fondamentali di gestione e valorizzazione del territorio, dentro le quali la partita energetica è un<br />
driver fondamentale, coniugata al tema dei servizi ambientali.<br />
128
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
un tema di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, devo innanzitutto modificare l’analisi territoriale, integrandola con<br />
un’analisi delle potenzialità energetiche viste in modo integrato (Alberto Magnaghi, Università<br />
di Firenze).<br />
In questi ultimi 10 anni, lo <strong>sviluppo</strong> delle rinnovabili è stato guidato dal mercato, cioè<br />
da investitori e gruppi imprenditoriali privati che liberamente hanno scelto siti, potenze,<br />
modalità realizzative, senza che ci sia stata una vera politica di indirizzo e di pianificazione<br />
territoriale da parte degli enti locali (Regione, Province, Comunità Montane, Unioni dei Comuni<br />
e Comuni), con l’individuazione delle aree-bacino ottimali, delle compatibilità ambientali<br />
o delle tipologie costruttive degli impianti.<br />
Di fronte a noi c’è un campo completamente libero, per cui arriva l’imprenditore e presenta<br />
un progetto per un parco eolico nel mio comune e mi trovo a prendere quello che mi vuol dare<br />
perché altrimenti se ne va. Quindi, devo stare al “buon cuore” dell’imprenditore, se ci tiene o<br />
meno al territorio e ha voglia di sviluppare qualcosa insieme “ai locali”. Non c’è una legge che<br />
tutela i nostri territori. La Regione in qualche modo con i PRIE aveva dato almeno la facoltà di<br />
scegliere se fare o non fare eolico. Tutto questo è venuto meno, perché la Corte Costituzionale<br />
ha detto che quella legge regionale è nulla. E ripartiamo. La Regione ha fatto le linee guida<br />
nuove che alcuni imprenditori hanno già contestato. Ci rimettiamo a giocare un’altra volta, ma<br />
intanto il tempo passa e il metro di valutazione se funziona l’eolico al Sud, è vedere a Rocchetta,<br />
piuttosto che a Roseto o a Bovino, l’andamento demografico nell’anno 2010. Se questi<br />
comuni continuano a perdere abitanti, vuol dire che con tutta la buona volontà che ci stiamo<br />
mettendo, la gente continua ad andarsene e, quindi, grossi frutti non ne abbiamo portati. Questo<br />
è il nocciolo della questione. Siamo partiti con delle buone intenzioni, ma alla fine stiamo<br />
rimasti con il 3–4 % di royalty al Comune. Questa grossa opportunità che aveva l’Appennino<br />
Meridionale la vedo persa, ma non l’ha presa neanche la nazione, perché chi produce le pale<br />
viene da fuori e la maggior parte dei fondi di investimento sono stranieri. Quindi, a noi che<br />
rimane (Michele Dedda, Bovino).<br />
Il punto di caduta di tutta questa situazione, è che l’ente <strong>locale</strong> – se anche si svincola<br />
da situazioni poco lineari e assume su di sé il giusto ruolo di programmazione e controllo del<br />
territorio, ma anche di utilizzo delle opportunità che il territorio ha, magari dimensionandolo<br />
con altre amministrazioni locali limitrofe e/o sovraordinate - oggi si trova nelle condizioni di<br />
non conoscere quali sono le progettualità che insistono sul proprio territorio o cosa la Regione<br />
decide o cosa decide e presenta il privato, e molto spesso si scopre privo, oltre che di competenze<br />
tecniche, anche di reali poteri decisionali in materia di programmazione territoriale.<br />
Secondo me, al di là delle esperienze più o meno “virtuose” di tutti i Comuni, e dei rapporti problematici<br />
con le società, credo che noi, in quanto sindaci, dovremmo recuperare intanto un ruolo.<br />
Tutti frequentiamo dei partiti, abbiamo rapporti con rappresentanti degli enti sovraordinati,<br />
presenziamo in organismi di rappresentanza come l’ANCI, ebbene oggi non riusciamo, al di là di<br />
alcuni sfoghi che facciamo, ad incidere sugli aspetti fondamentali di questa materia. Questa è<br />
una cosa che dovremmo almeno tentare di fare. È probabile che nelle “alte sfere” non si terrebbe<br />
conto di questo tentativo, però il dato di fondo è che noi non lo facciamo. Il primo grosso<br />
problema del nostro territorio non è il rapporto con gli operatori, ma che ci mancano gli strumenti<br />
normativi per poter incidere in questa vicenda. I Comuni non rilasciano le autorizzazioni,<br />
partecipano alle Conferenze di Servizio, ma soltanto per esprimere dei pareri non vincolanti.<br />
Non hanno più nemmeno la facoltà e la capacità di programmare il proprio <strong>sviluppo</strong> territoriale<br />
perché se prima questo avveniva attraverso i PIR e i PRIA, adesso è stata superata pure questa<br />
fase. Oggi, le decisioni sono sempre più complesse e noi non possiamo decidere dove vogliamo<br />
129
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
che le torri vengano installate e dove invece vogliamo che il nostro territorio abbia un’altra<br />
vocazione. Tutti quanti possiamo fare i piani regolatori e decidere la direzione di <strong>sviluppo</strong> del<br />
territorio, ma nel caso dell’energia non lo possiamo fare. Il fatto che non si possa pensare “oltre”<br />
è un’assurdità. Quando qualcuno parla della nostra posizione di svantaggio contrattuale<br />
nei confronti di chi vuole fare eolico nel nostro territorio, non si riferisce soltanto all’aspetto<br />
economico, si riferisce anche all’aspetto funzionale delle competenze. Ad esempio, non c’è un<br />
canale privilegiato nel caso in cui il proponente di una iniziativa <strong>eolica</strong> fosse un ente pubblico.<br />
Addirittura, oggi si sostiene che i Comuni non possono più fare energia. Non possiamo decidere<br />
la nostra pianificazione territoriale, ci hanno ridotto o negato la possibilità di fare società miste<br />
che potevano essere una soluzione per fare energia e scegliere l’operatore. Se fai un bando per<br />
cercare un partner privato, puoi promuovere lo <strong>sviluppo</strong> territoriale con il coinvolgimento di un<br />
soggetto che presenta delle caratteristiche e dei requisiti che scegli, il quale giocoforza deve<br />
anche condividere le finalità di pubblico interesse. Ma, nemmeno questo si può fare. Avremmo<br />
bisogno di consulenti e di energy mananger nei nostri comuni, ma noi non abbiamo piante<br />
organiche che sono in grado di poter gestire questo fenomeno. I nostri uffici tecnici fino a 5-6<br />
anni fa facevano permessi “a costruire” per abitazioni, molto spesso non superiori ai due piani<br />
e si sono ritrovati di fronte a fenomeni che non hanno la possibilità di governare. Ammesso che<br />
abbiamo le risorse, non possiamo dotarci di consulenti perché la normativa lo vieta o riduce<br />
questa possibilità ad un massimo del 20% della spesa pregressa. Quindi, innanzitutto dobbiamo<br />
evidenziare queste problematiche che attengono ai poteri dell’ente <strong>locale</strong> per poi recuperare<br />
un ruolo politico nei confronti di chi le norme le deve fare. Ad esempio, le ultime Linee guida<br />
regionali sono state fatte in fretta perché c’era la scadenza del 31 dicembre dettata dalle linee<br />
guida nazionali, però sono state fatte in maniera unilaterale. Non sono stati sentiti né l’ANCI<br />
né i Comuni. Il governo regionale non vuole che si faccia più eolico e non a caso le linee guida<br />
vanno in senso restrittivo, bypassando anche il volere delle amministrazioni locali. In questo<br />
modo, siamo esposti al solito ricatto per cui dobbiamo cercare di prendere quello che si può e<br />
non fare quello che invece vorremmo (Gianfilippo Mignogna, Biccari).<br />
È chiaro che in queste condizioni la diffusione dell’eolico e delle altre rinnovabili sul<br />
territorio non si è realizzata sulla base di un’analisi integrata delle potenzialità locali collegate<br />
alle caratteristiche e dinamiche dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>. Le decisioni territoriali sono<br />
state governate esclusivamente dalle imprese attive nella produzione di energia. Sui territori<br />
sono arrivati dei soggetti esterni, in molti casi imprese multinazionali, attratti dalla possibilità<br />
di sfruttare la disponibilità di vento e di incentivi generosi, realizzando un impianto<br />
eolico industriale. Pertanto in questi ultimi 15 anni nell’eolico (ma, spesso anche nelle altre<br />
rinnovabili, si pensi, ad esempio, al fotovoltaico 101 , alle grandi dighe idroelettriche) è stata<br />
privilegiata la dimensione del grande investimento industriale, in sostanziale continuità con<br />
il modello energetico fordista basato su un sistema centralizzato, verticale e polarizzato in<br />
pochi grandi/mega impianti. 102<br />
Finora il modello applicativo delle rinnovabili è stato deficitario rispetto alle premesse per un<br />
mancanza di governance. Dai territori arrivano al FAI, come alle altre associazioni di tutela,<br />
esposti da parte di cittadini che si difendono “contro” l’impianto sia di eolico sia di fotovoltai-<br />
101 In Italia gli incentivi del conto energia sono stati distribuiti quasi per il 90% a grandi impianti fotovoltaici a terra di<br />
potenza superiore ai 20 kWp, quindi esclusi dallo scambio sul posto, che molto spesso hanno devastato il paesaggio o addirittura<br />
provocato l’espianto di vigneti e oliveti. “Gli incentivi, tra le difficoltà burocratiche, le complicazioni sul consenso sociale,<br />
sono andati solo a favorire i grandi gruppi che avevano il tempo e la capacità di supportare investimenti per 4-5 anni in attesa di<br />
un’autorizzazione, di ungere e ruote, perché dopo c’erano incentivi straordinari. Invece, hanno scoraggiato i piccoli” (Tommaso Dal<br />
Bosco, UNCEM).<br />
102 Anche l’energia nucleare, fattore rischio a parte, è ancora legata a una fonte destinata a un rapido esaurimento (come<br />
petrolio e metano) e a un impianto ipercentralizzato, che richiede addirittura una militarizzazione preventiva del territorio.<br />
130
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
co, quando si tratta di impianti abbastanza estesi. Questa è una sconfitta da registrare, perché<br />
è evidente il fatto che non sia riusciti a far passare, a governare, questa grande novità e oggi<br />
si arrivi ad avere invece l’opposizione da parte delle popolazioni. Questo vuol dire che qualcosa<br />
non ha funzionato. Noi che cosa vediamo non di buon occhio Il fatto che il modello dell’eolico<br />
che ha la meglio sia “fordista”, quindi fatto di grandi impianti industriali. Questa, però, è<br />
la stessa politica di qualsiasi altro impianto, cioè di un progetto avulso dal suo territorio che<br />
per motivi strettamente economici viene insediato, ma che rispetto ad altri impianti produttivi<br />
non ha neanche il “plus” della forza lavoro. Crediamo invece che sia su un modello diverso<br />
che si dovrebbe iniziare a procedere. Un modello che parta dalle popolazioni locali, lavori sulla<br />
progettazione, sulla qualità del progetto e sul buon senso di avere o non avere un impianto, e<br />
di quale tipo, in quella località. Una prospettiva che rimanda al “tema del progetto” e di non<br />
avere un corpo estraneo sul territorio (Costanza Pratesi, FAI).<br />
Ancora quasi del tutto inesplorata è la possibilità di applicare all’eolico e alle altre rinnovabili<br />
il modello postfordista dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, della specializzazione flessibile e del<br />
sistema a rete basato su una molteplicità di piccoli e medi impianti diffusi e distribuiti sul<br />
territorio laddove sono disponibili le risorse energetiche.<br />
Il passaggio dall’era dei combustibili fossili a quella delle energie rinnovabili, o anche solo la<br />
sua promozione, impongono un cambio di paradigma. L’economia degli idrocarburi è un sistema<br />
centralizzato. È fatto di campi petroliferi e pozzi minerari distanti migliaia di chilometri dai suoi<br />
utilizzatori finali, di oleodotti e gasdotti, di grandi petroliere, di convogli giganteschi e di navi<br />
carboniere e metaniere, di raffinerie e centrali di generazione elettrica di grande taglia, di grandi<br />
kombinat industriali, di elettrodotti ad alta tensione, di società di prospezione, di gestione e di<br />
distribuzione, pubbliche e private, di dimensioni mondiali e di capitali proporzionati: un sistema<br />
che produce sempre più centralizzazione, dispotismo e guerre; il trasporto e i suoi impatti costituiscono<br />
una quota crescente dei costi ambientali ed economici della filiera. La logica di un’economia<br />
delle fonti rinnovabili richiede invece un sistema distribuito, che migliora la sua efficienza quanto<br />
più è decentrato. Ogni comunità dovrà produrre, attraverso mix di fonti che variano da un contesto<br />
all’altro, la maggior parte dell’energia che consuma e le reti di vettoriamento dell’energia elettrica<br />
saranno asservite esclusivamente al riequilibrio tra le diverse utenze (Viale, 2011:10).<br />
Il nostro auspicio è che si riesca a garantire attraverso le diverse fonti rinnovabili l’effettiva autosufficienza<br />
dei piccoli nuclei, perché il problema energetico è dato anche dalla perdita di energia<br />
nella sua distribuzione. Quindi, la capacità, di volta in volta, di autolimentarsi consentendo una<br />
efficienza nella produzione di energia. Per questo noi siamo favorevoli al micro-eolico o a impianti<br />
di misura mediana. Mi ricordo di aver visto in altri paesi europei, in Baviera, ad esempio,<br />
quelle che sono chiamate centrali diffuse, ma questo modello può funzionare solo se è articolato<br />
su più fonti di energia. L’eolico è un fonte di energia non continua e, quindi, non offre da sola<br />
determinate sicurezza, ma all’interno di un sistema integrato di fonti rinnovabili può funzionare.<br />
Attualmente, nelle rinnovabili l’iniziativa sta in capo al privato che va giù, progetta, negozia<br />
realizza e gestisce. Investire sulla popolazione, costa. Quindi, non lo fa. Questo è un compito<br />
che dovrebbe assumere il pubblico che dovrebbe aprire una discussione pubblica – un forum – su<br />
quello che si vuole e si deve fare. Credo che l’ente <strong>locale</strong> possa assumere il ruolo di soggetto<br />
catalizzatore in questa direzione, un po’ perché la dimensione comunale corrisponde anche a<br />
quella della gestione del territorio e un po’ perché è più controllabile politicamente dato che il<br />
sindaco è nominato ed eletto da chi sta sul territorio. Credo che si possa ragionare con sindaci<br />
e amministratori locali illuminati su un piano di lavoro per riuscire a far sì che su un contesto<br />
<strong>locale</strong> si possa andare a produrre energie da diversi tipi di fonte. Ad esempio, nelle zone agricole<br />
si può utilizzare il biogas, riutilizzando i liquami degli allevamenti. Il modello italiano di centrale<br />
diffusa ancora non si ancora visto perché purtroppo, soprattutto sul fotovoltaico c’è sempre<br />
131
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
il problema legale della proprietà del terreno o della superficie su cui viene ad inserirsi e della<br />
titolarità del soggetto che gestisce per conto di tutti il sistema (Stefano Leoni, presidente WWF).<br />
Nel processo di riconversione da un’economia dipendente dalle risorse energetiche fossili<br />
a un sistema maggiormente sostenibile, fondato sull’utilizzo crescente delle risorse locali, una<br />
delle maggiori riserve energetiche a disposizione di una comunità, unitamente allo sfruttamento<br />
delle fonti energetiche rinnovabili presenti sul territorio medesimo, è costituita dall’efficienza,<br />
ovvero dall’uso razionale dell’energia. In questo senso le politiche nazionali ed internazionali<br />
supportano l’uso combinato delle due strategie - efficienza consumi e fonti rinnovabili - per il<br />
raggiungimento degli obiettivi di contenimento degli impatti sul clima dell’effetto serra.<br />
Scenari di riduzione del contenuto di CO2 in emissioni correlate alla produzione<br />
di energia<br />
Fonte: OECD/IEA, 2008.<br />
La transizione verso una produzione energetica maggiormente sostenibile è un obiettivo<br />
strategico planetario, ma è materia complessa: le fonti energetiche fossili (carbone, petrolio<br />
e metano) non sono facilmente sostituibili con nessuna delle fonti rinnovabili singolarmente<br />
prese, la cui introduzione andrebbe collocata nel territorio, attraverso una corretta modulazione<br />
delle risorse e dei fabbisogni.<br />
In questo quadro il nuovo concetto di l’interconnessione a livello <strong>locale</strong> con reti intelligenti<br />
e interattive, risulta un tassello fondamentale.<br />
Un modello di questo genere può consentire effettivamente di legare lo <strong>sviluppo</strong> delle<br />
rinnovabili allo <strong>sviluppo</strong> del territorio, favorendo anche l’integrazione della produzione di<br />
energia con la “chiusura” dei cicli locali, incrementando così il livello di sostenibilità dello<br />
stile di vita complessivo.<br />
Investire in efficienza energetica e rinnovabili, oltretutto, costituisce una buona politica,<br />
che può avere ripercussioni su diversi ambiti: può essere una risposta alla crisi economica,<br />
non solo per le nuove filiere industriali, ma anche per ridurre la dipendenza dall’estero per<br />
l’approvvigionamento energetico.<br />
<br />
132
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
E se fosse proprio il territorio il laboratorio di una rivoluzione energetica incentrata sulle fonti<br />
rinnovabili A guardare quello che sta accadendo nei Comuni italiani sembrerebbe proprio di sì,<br />
sono decine di migliaia gli impianti installati negli ultimi anni – piccoli, grandi, da fonti diverse<br />
–, migliaia i progetti in corso di realizzazione, che stanno dando forma a un nuovo modello di<br />
generazione distribuita. Impianti solari fotovoltaici, solari termici, mini idro-elettrici, geotermici<br />
ad alta e bassa entalpia, da biomasse e biogas, integrati con reti di teleriscaldamento e<br />
pompe di calore: lo scenario cambia completamente rispetto al modo tradizionale di guardare<br />
all’energia e al rapporto con il territorio. Ed è diverso perfino dalle “vecchie” rinnovabili italiane,<br />
il grande idroelettrico e la geotermia, quelle che dalla fine del 1800 hanno accompagnato la<br />
prima industrializzazione del Paese. Eppure il dibattito pubblico sull’energia non sembra ancora<br />
aver compreso la portata di questo processo e l’importanza di guardare al territorio per capire<br />
come sviluppare le fonti rinnovabili. Per un riflesso condizionato qualsiasi ragionamento sembra<br />
non poter prescindere da un approccio centralizzato e quantitativo, fatto di MW installati per<br />
impianto. Ma questo modo di ragionare di energia risulta inevitabilmente datato, inadeguato<br />
rispetto a un processo che apre delle strade assolutamente nuove. Se si ragiona delle attuali<br />
tecnologie rinnovabili occorre partire dalle risorse presenti nei diversi territori, guardare alla<br />
domanda di energia di case, uffici e aziende, per capire come soddisfare con le soluzioni più<br />
adatte ed efficienti utenze collegate da una rete moderna che permette di scambiare energia<br />
(Legambiente, 2010:4).<br />
Per quanto riguarda il fotovoltaico sociale si stanno facendo alcune esperienze. Le amministrazioni<br />
locali mettono a disposizione delle aree loro, raccolgono le adesioni e i finanziamenti<br />
dei privati, costruendo l’impianto fotovoltaico, la cui quota azionaria è divisa tra i cittadini.<br />
Ad esempio, uno che vive in un centro storico non può farsi un impianto fotovoltaico sul tetto<br />
di casa, ma può dare la sua quota parte equivalente a 3 kW al Comune che quando costruisce<br />
l’impianto fotovoltaico a 10 km di distanza, gli gira l’1%, il 3% o il 5% di introito di quell’impianto.<br />
Ci sono un paio di comuni che stanno facendo questo. Anche Frosinone ci sta lavorando,<br />
sta preparando il bando. Queste iniziative permettono a persone che vivono in contesti come i<br />
centri storici di poter partecipare allo <strong>sviluppo</strong> e alla redditività dell’energia fotovoltaica. Queste<br />
sono iniziative che ci piacciono molto perché noi come Greenpeace sosteniamo come principio<br />
la generazione distribuita di energia, una capillarità nella produzione di energia. Questa è per<br />
noi la vera rivoluzione energetica (Domenico Belli, Greenpeace).<br />
In una logica di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, sempre maggiore attenzione deve essere dedicata dagli<br />
amministratori locali all’integrazione tra più fonti sul territorio, come già succede in molti<br />
Comuni per ottimizzare le caratteristiche del territorio e dare spazio adeguato, oltre all’eolico<br />
e al fotovoltaico, anche alle biomasse e in generale alle agroenergie. Secondo Legambiente<br />
(2011), oggi sono 7.661 i Comuni in Italia dove è installato almeno un impianto da fonte<br />
energetica rinnovabile. Erano 6.993 nel 2010, 5.580 nel 2009, 3.190 nel 2008. In pratica le<br />
fonti pulite che fino a 10 anni fa interessavano con il grande idroelettrico e la geotermia le<br />
aree più interne, e comunque una porzione limitata del territorio italiano, oggi sono presenti<br />
nell’94% dei Comuni. Sono 7.273 i Comuni del solare, 374 quelli dell’eolico, 946 quelli del<br />
mini idroelettrico, 290 i comuni della geotermia e 1.033 quelli che utilizzano biomasse e<br />
biogas. In particolare, escludendo i grandi impianti idroelettrici, sono 964 (circa il 12%) i<br />
Comuni 100% rinnovabili, cioè che grazie ad una sola fonte rinnovabile (mini-idroelettrica,<br />
<strong>eolica</strong>, fotovoltaica, da biomasse o geotermica) producono più energia elettrica di quanta ne<br />
consumano, mentre sono 274 i Comuni che grazie a impianti di teleriscaldamento collegati a<br />
impianti biomassa o da geotermia superano il proprio fabbisogno, e 27 quelli che superano<br />
sia il fabbisogno elettrico che termico.<br />
133
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Il contesto di intervento non deve essere solo un piano energetico tout court, ma un piano<br />
territoriale che possa mettere in moto delle valenze positive, il cui impatto, cioè, è che si hanno<br />
degli attori territoriali che diventano molto attivi per sostenerlo. Voglio dire che il piccolo<br />
comune determina un circolo virtuoso che va dai rifiuti all’energia, e questo lo fa diventare<br />
un comune d’eccellenza. Dentro un contesto del genere, certamente le esperienze di energie<br />
rinnovabili hanno un impatto di racconto e di sopportabilità più forte rispetto a “piazzarle lì”<br />
senza un contesto. Se operi dentro il contesto è molto più facile ottenerne il consenso e magari<br />
hai il comitato “pro” e non “contro”. Occorre tenere conto che l’obiettivo 20-20-20 impone un<br />
richiamo ad una comunità nel creare una reazione o un’azione. Non può essere solo un ambito<br />
che viene toccato, ma uno deve cercare di mettere in moto più elementi. C’è un problema<br />
anche di efficienze. Se in un Comune si apre la sfida di utilizzare il 30% dell’energia da fonti<br />
rinnovabili, non si può non avere la raccolta differenziata dei rifiuti e così via. Quella comunità,<br />
quella realtà <strong>locale</strong> deve mettere in moto diverse cose per avere un’accettabilità forte, per<br />
avere il comitato “pro” e non “contro”. Il tema, a mio avviso, è quello di riuscire a coinvolgere<br />
le realtà, le comunità, le imprese di quel” territorio. Che cosa vuol dire coinvolgere una realtà<br />
territoriale Ad esempio, che quel Comune abbia non solo una ricaduta nel fare il marciapiede,<br />
ma che si sappia che può spendersi”, perché usa energie rinnovabili. Bisogna mettere nella<br />
“carta d’identità” di quella realtà comunale o intercomunale che le pale hanno una virtuosità<br />
di ricaduta. Devono balzare ai primi posti nella classifica dei comuni dove si utilizzano energie<br />
alternative. Però, non devono fare solo questa cosa. Se ci sono le pale bisogna fare in modo<br />
che quel territorio possa essere spendibile perché ha una serie di altre azioni coerenti con lo<br />
“sforzo” dell’eolico che sono degli indicatori dell’impresa virtuosa e di una storia comunitaria<br />
virtuosa. Se si fa questo si può vendere il prodotto, l’abitare e tutto quello che si vuole in un<br />
modo diverso con una ricaduta economica diretta e vera sugli attori di quel territorio, perché<br />
l’energia costa meno, perché si creano dei nuovi posti di lavoro, perché dà una classificazione<br />
al tuo prodotto che può andare meglio sul mercato. Se però questo non si fa, si avrà sempre un<br />
conflitto forte con questi impianti (Franco Pasquali, <strong>Coldiretti</strong>).<br />
Allo stesso tempo, però, occorre ricordare che i processi che concorrono a una riconversione<br />
del sistema economico in grado di portare il pianeta fuori dall’era dei combustibili fossili<br />
non si limitano al ricorso alle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica. Ne comprendono<br />
molti altri, tra cui la dematerializzazione dei consumi, l’agricoltura biologica, la mobilità<br />
flessibile, la cultura della manutenzione, etc.<br />
Sono tutti l’esatto contrario delle “grandi opere” e delle produzioni di massa di tipo fordista<br />
a cui i governi di tutto il mondo hanno cercato di affidare l’”uscita dalla crisi”; e richiedono<br />
tutti un diverso tipo di regia. Perché sono interventi distribuiti e diffusi sul territorio, altamente<br />
differenziati, legati alla specificità degli ambienti e dei contesti sociali; per essere efficaci<br />
richiedono, sì, risorse cognitive specialistiche – ormai largamente diffuse in segmenti specifici<br />
di ogni comunità – ma soprattutto conoscenze pratiche del contesti sociali: conoscenze che solo<br />
chi vive e opera al loro interno può avere. Richiedono informazioni e tecnologie disponibili a<br />
livello globale, ma sono tanto più efficaci quanto più sanno adeguarsi alla dimensione <strong>locale</strong><br />
della produzione e del consumo (Viale, 2011:12).<br />
Ragionare in modo integrato può consentire di andare nella direzione dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>,<br />
ovvero di considerare il territorio come un patrimonio energetico, di aria, acqua, suolo,<br />
culture produttive, agricolture, cioè di tutti gli aspetti che connotano un modello integrato<br />
di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, inserendo all’interno un driver energetico. In questo senso risulta evidente<br />
che poiché gli impianti eolici si possono realizzare laddove il vento soffia davvero, che non è<br />
ovunque, il futuro di questa fonte energetica sta nel concorrere insieme alle altre rinnovabili<br />
134
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
in un processo di riconversione energetica e non nel rappresentare l’alternativa, da sola, al<br />
petrolio. Un’analisi integrata del potenziale energetico territoriale dovrebbe essere richiesta<br />
alle Regioni, Province e Comuni, perché la loro risposta alla diffusione delle rinnovabili non<br />
può continuare ad essere solo “difensiva”, tutta giocata sull’introduzione di sempre maggiori<br />
vincoli all’interno di linee guida che identificano le aree non idonee, in modo da cercare di<br />
limitare la libertà di fare impianti ovunque e di qualsiasi dimensione. Bisognerebbe superare<br />
la visione “vincolistica” per andare verso una visione “progettuale”. Una visione che deve essere<br />
condivisa dalla platea dei portatori di interessi territoriali (autonomie locali e funzionali,<br />
rappresentanze degli interessi, associazioni, imprese, istituzioni finanziarie, saperi e cittadini),<br />
mentre il vincolo lo fissa la Sopraintendenza.<br />
In Puglia si disattende completamente l’obiettivo della VIA. Nella VIA, uno dei temi è l’aspetto<br />
socioeconomico. Qui, viene fatta solamente sugli aspetti ambientali, sul vincolo. È ovvio che<br />
un progetto sull’eolico industriale ha un peso socioeconomico, ma questo non viene per niente<br />
valutato. Dire che un impianto eolico si vede è dire un’ovvietà, però dire che è ben fatto e in<br />
più porta dei vantaggi, permette di introdurre dei “pesi”. La valutazione “ambientale” si fa<br />
solo su aspetti “ambientali”. Liberi da vincoli sono dei territori che invece avrebbero necessità<br />
di interventi molto più strutturati. In questa situazione, succede che tutti gli operatori si sono<br />
concentrati su queste aree che già erano degradate e dequalificate, e le hanno ricoperte con<br />
centinaia di impianti fatti per la sola ragione che lì si potevano fare. Questi territori hanno<br />
la “fortuna” di non avere vincoli, e la sfortuna che per lo stesso motivo, nessuno li ha messi<br />
“al centro” di un ragionamento. Comuni come San Severo, che sono privi di vincoli, e hanno<br />
produzioni vinicole importanti, si trovano sommersi da centinaia di iniziative per il solo fatto<br />
che sono un’area bianca in mezzo ad aree vincolate. Che senso ha Se si lascia alle imprese la<br />
totale libertà di presentare progetti nelle “aree bianche”, e chi arriva prima realizza, così si fa<br />
un danno, perché lì non si avrà nessun vantaggio, perchè quel territorio non è stato veramente<br />
coinvolto. La programmazione non si fa sui vincoli. Oltretutto una torre <strong>eolica</strong> è alta 100metri,<br />
e allora che senso ha salvaguardare un’area a ridosso Produci solo una “sperequazione”. Il<br />
rischio è che tu posizioni le torri nei posti sbagliati, e penalizzi il comune vicino che è vincolato<br />
(Giovanni Alessandro Selano, Holding Fortore <strong>Energia</strong> SpA).<br />
Sull’eolico posso agire in due modi. O come abbiamo fatto la Puglia giocoforza, cioè fare delle<br />
Linee Guida che dicono “qui no, qui no, qui no, restano queste aree, fate quello che volete”.<br />
Lo stesso stanno facendo in Toscana, cioè prendono le Linee Guida nazionali e le specificano,<br />
sottraendo una serie di aree di pregio, come le aree protette, alla localizzazione dell’eolico. Va<br />
già meglio che dire “liberi tutti, mettetele dove volete”, però è chiaro che questo è un atteggiamento<br />
“difensivo” e non è programmatorio, non è progettuale rispetto al territorio. Il progettuale<br />
richiederebbe un ragionamento integrato sulle potenzialità di un mix energetico per micro<br />
regioni. Qui abbiamo le valli appenniniche, le pianure, il mare. Non possiamo dire “la Toscana”,<br />
la Toscana è tante cose, sono 52 i sistemi territoriali riconosciuti dalla Regione, ognuno dei<br />
quali è diverso dal punto di vista delle potenzialità energetiche e soprattutto di come trattare<br />
“il mix” (Alberto Magnaghi, Università di Firenze).<br />
È necessario innescare un processo di condivisione delle scelte che miri al potenziamento delle<br />
risorse locali attraverso il consenso. E per fare questo il primo passo da compiere è quello di<br />
definire un quadro di conoscenze da trasmettere ad amministrazioni e a gente comune sulle<br />
relazioni tra energia, ambiente e territorio nel nuovo contesto del libero mercato dell’energia.<br />
In questo modo sarà possibile sviluppare al meglio le peculiarità dei luoghi nello sfruttamento<br />
delle rinnovabili, dando vita ad una nuova identità ad antichi luoghi. Chi avrebbe detto, infatti,<br />
fino a pochi anni fa, che un elemento naturale come il vento, così caratterizzante per alcune<br />
135
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
aree d’Italia, potesse divenire una risorsa economica La storia ci sta offrendo la possibilità di<br />
valorizzare la vocazione di aree spesso contraddistinte da una forte povertà, sviluppando un<br />
nuovo senso di appartenenza. Ma per fare questo occorre un serio progetto di coordinamento del<br />
territorio (a scala nazionale e regionale) che veda un’organica diffusione delle fonti rinnovabili<br />
(Battistella, 201:71).<br />
Mix vuol dire creare dei circuiti di produzione e consumo che sono adatti al territorio,<br />
quindi più aderenti, sia come capacità produttiva che come consumo, alle peculiarità di ogni<br />
sistema territoriale. E’ chiaro che costruire un sistema di produzione e consumo nel Tavoliere<br />
Pugliese è diverso che sull’Appennino Dauno o sulla piana di Bari. Questo è ovvio per tutti,<br />
però attualmente non si ragiona così. Il non affrontare il problema in questo modo, rende<br />
impotenti tutti gli enti pubblici che hanno interesse a qualche forma di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>. Se<br />
non sono individuate, area per area, quali sono le ottimizzazioni possibili del mix, arrivano<br />
le ditte che “comperano” i Comuni che magari sono in crisi perché devono pagare le spese<br />
correnti e, quindi, tutto avviene in forme “pre-pianificatorie”.<br />
Il petrolio non è diverso dal vento, però noi abbiamo le società spagnole che vengono qui, mettono<br />
le pale e se ne vanno. In realtà, il 70-80% degli impianti è un tentativo di corruttela verso<br />
gli amministratori per poter far sì che l’autorizzazione riguardi una società piuttosto che un’altra.<br />
Per fortuna penso che gli amministratori siano abbastanza onesti e corretti da non cadere<br />
in questo tipo di trappole. Ma, c’è un’arroganza fondata sull’uso delle leggi, per cui vengono a<br />
mettere quello che vogliono. Quando c’è questo tipo di atteggiamento nei riguardi delle nostre<br />
comunità, che è di emarginazione psicologica, politica, industriale, di che parliamo È ora che<br />
ci svegliamo e iniziamo a dire che qui c’è in atto un’emarginazione verso le nostre comunità che<br />
sono già emarginate da secoli (Pasquale Murgante, Accadia).<br />
Posso arrivare all’assurdo, come in Toscana, che a Pontedera essendo il vento sotto i 4ms, danno<br />
al Comune il 2% in royalty, mentre se vanno un po’ più in alto lungo la valle gli danno il 7%.<br />
Questo per dire che questa vicenda di Pontedera è simbolica per il Comune (Alberto Magnaghi,<br />
Università di Firenze).<br />
Occorre partire da un progetto di <strong>sviluppo</strong> socio-economico del territorio e deve essere<br />
questo a guidare le scelte di settore nei vari ambiti. Altrimenti, se non si ha questo progetto<br />
non si hanno neanche i parametri valutativi. Le Linee guida hanno dei parametri valutativi di<br />
settore: quali sono le disponibilità di suolo, le quantità che si possono installare e poco altro.<br />
Ma se si ragiona in questo modo non si riesce a riportare il ragionamento allo <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>.<br />
Muoversi all’interno di una visione “progettuale” dello <strong>sviluppo</strong> delle rinnovabili in rapporto<br />
allo <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> comporta il trasferimento, a territori più o meno circoscritti e alle<br />
comunità che li abitano, di larga parte delle responsabilità di governo dei processi economici<br />
attualmente consegnate all’impresa e finanza privata. Questo, per un Comune o un gruppo di<br />
Comuni significa dover svolgere un ruolo molteplice:<br />
• svolgere servizi animazione socio-culturale e di supporto informativo, diffondendo le<br />
informazioni sulle evoluzioni tecnologiche e sugli indirizzi politici e normativi in vigore<br />
riguardanti lo svolgimento di attività economiche (dirette e indirette) per la produzione<br />
di energia da fonti rinnovabili, le modalità autorizzative e di accesso alle agevolazioni, la<br />
struttura produttiva del territorio <strong>locale</strong>; 103<br />
103 Concretamente, i comuni possono organizzare attività e iniziative finalizzate a coinvolgere la popolazione nelle operazioni<br />
di trasformazione del territorio: convegni, escursioni nelle aree di trasformazione, stabilire punti di ascolto e di informazione<br />
136
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
• essere un canale per veicolare e garantire risorse finanziarie altrimenti non mobilitabili;<br />
• svolgere un ruolo di garante della trasparenza dell’iter di riferito a ciascuna domanda di<br />
autorizzazione di nuovi insediamenti produttivi;<br />
• essere un volano per promuovere nuove iniziative imprenditoriali attraverso la trasformazione<br />
del proprio modo di operare e di gestire il proprio patrimonio;<br />
• essere fonte di legittimazione di nuove pratiche agli occhi della cittadinanza;<br />
• essere nodo del coordinamento e della diffusione di pratiche replicabili, ancorché nate in<br />
contesti locali e specifici, nei confronti degli altri territori o all’interno del territorio stesso;<br />
• affiancare alle funzioni tradizionali della pubblica amministrazione quelle relative alle<br />
politiche di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, promuovendo la partecipazione integrata di tutti gli attori del<br />
territorio (autonomie locali e funzionali, rappresentanze degli interessi, istituzioni finanziarie,<br />
associazioni, imprese, saperi e cittadini).<br />
Soprattutto, significa non “svendere il territorio” per “quattro soldi” di royalty/compensazioni,<br />
per provare a costruire dei progetti di impianti rinnovabili a capitale misto pubblicoprivato<br />
e/o con forme di azionariato diffuso tra i cittadini. Un forte radicamento pubblicoprivato<br />
della proprietà degli impianti consentirebbe di sviluppare politiche di <strong>sviluppo</strong> delle<br />
rinnovabili molto attente alle potenzialità e ai bisogni del territorio. Per operare ci vogliono<br />
imprese, vecchie o nuove, pubbliche o private, o miste, o cooperative, o sociali. In questa<br />
dimensione, il carattere <strong>locale</strong> dell’impresa – o un suo radicamento a livello <strong>locale</strong>, ancorché<br />
nel quadro di una rete a filiera lunga – è molto più importante delle dimensioni e per questo<br />
può ritrovarsi in vantaggio.<br />
Ma, il “terzo attore” di una redistribuzione del potere di governo dell’economia a livello<br />
<strong>locale</strong> è la comunità stessa o, meglio, la “cittadinanza attiva”, attraverso le sue espressioni<br />
organizzate – università e centri di ricerca, sindacati, associazioni professionali, scuole, parrocchie,<br />
volontariato, comitati civici, etc. – e il suo coinvolgimento diretto nelle iniziative<br />
intraprese. È a questo livello che risiedono quei saperi diffusi di cui la popolazione è depositaria<br />
e sempre più, anche, fonte di elaborazione. 104 Occorre cercare di esplorare strade nuove<br />
e avanzate, promuovendo la crescita di un desiderio di auto-organizzazione delle istituzioni<br />
locali e delle popolazioni, destinato ad alimentare una sempre più forte e impegnativa forma<br />
di “imprenditorialità collettiva”. In questo senso, la costruzione di forme di partenariato<br />
esprime:<br />
• un’assunzione di responsabilità da parte dei gestori (enti o privati) degli impianti, delle<br />
imprese del territorio e delle collettività locali;<br />
• la volontà di ripartire in modo migliore i benefici della produzione energetica da fonti<br />
rinnovabili sul territorio;<br />
sui progetti in atto e sulle energie rinnovabili e sullo scenario energetico generale, mostrare possibili simulazioni di come può<br />
apparire il progetto della centrale una volta realizzato.<br />
104 Il modello oggi più diffuso di questo “trasferimento di poteri”, ancorché di dimensioni minime e di valore quasi esclusivamente<br />
esemplare, è forse rappresentato dai GAS: Gruppi di acquisto solidale. Sono associazioni volontarie di cittadini attivi<br />
che si organizzano per saltare l’intermediazione commerciale – e i suoi costi – e per accedere in modo diretto ad acquisti di<br />
qualità controllata: prevalentemente, ma non solo, in campo alimentare (prodotti dell’agricoltura biologica o di lavorazioni tradizionali).<br />
Nel promuovere la loro pratica mettono al lavoro e sviluppano nuovi saperi: quelli che permettono loro di esercitare<br />
un controllo sulla qualità di ciò che comprano. Ma, al tempo stesso, stimolano un numero crescente in imprese agricole e di<br />
trasformazione ad adeguarsi agli standard richiesti e, quindi, ad imboccare la strada di una riconversione ambientale. In questo<br />
processo lo stimolo è reciproco: il produttore che apre la sua azienda alla verifica del consumatore, gli trasmette – trasmette<br />
ad alcuni, i più disponibili a farsene coinvolgere - i suoi saperi e ne riceve a sua volta nuovi stimoli. Manca ancora, in questo<br />
intreccio, il terzo attore: l’amministrazione <strong>locale</strong>. In alcuni, rari, casi comincia a fare la sua comparsa. Per esempio con i<br />
farmers market e con la diffusione degli orti urbani. Ma se la promozione dei GAS, da iniziativa spontanea di gruppi ristretti di<br />
cittadini attivi, venisse adottata da un’amministrazione <strong>locale</strong>, garantendo il coinvolgimento organizzato degli utenti, potrebbe<br />
gradualmente coinvolgere un numero crescente di cittadini, favorire una vera riconversione del territorio agricolo circostante,<br />
investire progressivamente altre produzioni: non solo, necessariamente, locali ma sempre caratterizzate da un rapporto diretto<br />
con interlocutori che esprimono le esigenze di una comunità.<br />
137
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
• la volontà di trovare soluzioni adeguate per favorire una più equa distribuzione della<br />
ricchezza prodotta;<br />
• la volontà di una più capillare diffusione delle innovazioni.<br />
Sulle rinnovabili il ragionamento che si dovrebbe fare è quello più complessivo dello <strong>sviluppo</strong><br />
<strong>locale</strong>, per ricondurre il loro <strong>sviluppo</strong> sul territorio all’interno di un progetto più complessivo di<br />
<strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>. In questo modo, si dà la possibilità alle popolazioni locali di prendere parte<br />
effettivamente al processo, al limite solo in termini di distribuzione dei benefici economici<br />
dell’iniziativa. Il problema è che ormai c’è una finanziarizzazione esasperata in tutti i settori.<br />
L’altro giorno sono andato da un sindaco che ha avuto una proposta, perché qualcuno ha saputo<br />
che dovevano ampliare il cimitero. Unicredit gli ha detto che glielo fanno loro, basta che il Comune<br />
sottoscrive un mutuo ventennale. Questo sindaco, con tutti i parametri di stabilità, non<br />
può accendere mutui, però quelli di Unicredit gli hanno detto che loro una soluzione la trovano.<br />
La sesta potenza del mondo deve fare i cimiteri in project financing Qui, c’è il buco nella vasca<br />
e i fa finta che non c’è… Nelle valli del Tirolo hanno fatto degli interventi molto piccoli per la<br />
produzione di energia idraulica che sono stati finanziati attraverso l’azionariato popolare. Quindi,<br />
ci sono cittadini che non solo non pagano la bolletta, ma a fine anno ricevono anche un dividendo.<br />
Questa è una logica che va nella direzione dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>. Se deve esserci <strong>sviluppo</strong><br />
<strong>locale</strong> è chiaro che innanzitutto deve essere la popolazione <strong>locale</strong> a trarre vantaggio da queste<br />
operazioni. Giustamente, chi fa tecnologia deve avere il suo ritorno, però anche la popolazione<br />
non può non avere il suo. Questo, secondo me, è il problema, perché qua non scatta la molla<br />
Non c’è dubbio che questo è un affare e che per alcuni diventa anche l’affare del secolo, ma<br />
vogliamo distribuirlo in maniera più diffusa Oppure stiamo sempre tra i Guelfi e i Ghibellini. Non<br />
sono d’accordo con i Ripa di Meana nel merito – loro sono dei fondamentalisti perchè dicono no<br />
a priori -, però il ragionamento dietro c’è. Perché mai in questa operazione deve guadagnarci uno<br />
solo, l’operatore economico Bisognerebbe fare un ragionamento di questo tipo. Se riusciamo a<br />
fare questo saltino si riuscirebbe davvero a mettere in moto un percorso che riterrei accettabile.<br />
Bisogna, però, coinvolgere veramente la popolazione e non mettere in piedi dei finti processi<br />
partecipativi solo per far ingoiare quello che è già deciso. Mi rendo conto che una partecipazione<br />
vera fa perdere tempo all’operatore economico, però questo può essere messo nel bilancio<br />
d’azienda, tenendolo in conto dall’inizio. Con il consenso si può andare pure più lontano, col<br />
tempo si può aumentare la potenza dell’impianto, altrimenti comincia una guerriglia che secondo<br />
me non ci porta più da nessuna parte. In questo senso prevedere anche forme di azionariato<br />
popolare può essere buona soluzione (Paolo Berdini, Università di Roma Tor Vergata).<br />
Ci sono esperienze di azionariato popolare. Ad esempio, c’è il Comune di Peccioli (PI), in Val<br />
d’Era, che ha fatto una società pubblico-privata con azionariato popolare e l’ha fatta per l’uso<br />
di una tecnologia di recupero di gas da una discarica e adesso pensano di trasferirlo sul fotovoltaico,<br />
sull’eolico, etc. Quasi tutte le iniziative energetiche “sono “esogene” nel senso che il<br />
territorio prende dei soldi, ma poi non decide nulla, non ha possibilità di governo. Qui si sta<br />
riproducendo quello che è stato in Italia la follia delle Aree di Sviluppo Industriale (ASI) dove<br />
ogni comune ha voluto la sua per incamerare gli oneri di urbanizzazione. Che cosa abbiamo<br />
creato Un disastro, un’occupazione di suolo pazzesca, diseconomie perché queste aree si devono<br />
poi collegare all’autostrada, superstrade, cioè delle diseconomie di lungo periodo. Sulle<br />
energie rinnovabili stiamo andando nella stessa identica direzione e cioè ogni Comune contratta<br />
o viene contrattato dalle ditte e ogni comune ha il suo impianto eolico. In Val D’Era una unione<br />
di Comuni sta tentando di ragionare - essendoci questa esperienza di Peccioli sull’azionariato<br />
popolare - a livello di valle sia per la localizzazione ottimale e sia per la redistribuzione dei<br />
vantaggi. Però se non c’è una proprietà dei Comuni degli impianti, un meccanismo diverso da<br />
quello della ditta che tratta con il singolo comune e con il singolo agricoltore, tutto questo<br />
meccanismo non si riesce a mettere in piedi (Alberto Magnaghi, Università di Firenze).<br />
138
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Se il meccanismo è esclusivamente quello delle royalties, è evidente che il singolo Comune<br />
(salvo casi eccezionali) non è in grado di incidere veramente o riuscire a fare un suo<br />
piano. Ci vuole un progetto in cui il Comune o un gruppo di Comuni predispone un piano energetico<br />
territoriale complessivo, anche introducendo degli elementi di innovazione rispetto a<br />
piano regionale e provinciale sulla base delle potenzialità che possono emergere dallo studio<br />
del mix <strong>locale</strong> e che il piano regionale/provinciale può non aver considerato del tutto o in<br />
parte. Il territorio <strong>locale</strong> - e la sua filiera istituzionale fatta di Comune, Comunità Montana e<br />
Provincia - può cercare di “governare” il processo solo se riesce a riportare la produzione di<br />
energia all’interno del progetto di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>. Un approccio “progettuale” da parte del<br />
territorio <strong>locale</strong> può essere la chiave per un “risveglio dell’economia margine che scopre la sua<br />
modernità” (Rullani, 2009). Grazie a questa forza, e non solo alle opportunità (contingenti)<br />
del mercato, si può avviare un processo di innovazione diffusa in territori marginali, che in<br />
precedenza potevano essere al massimo considerati aree deboli, l’”osso”, appunto: da sostenere<br />
in base a criteri perequativi assistenziali, rispetto alle aree “centrali” più produttive (la<br />
Il progetto di distretto energetico vento-legno della Comunità Montana di Camerino<br />
Il PEAR (Piano Energetico Ambientale della Regione Marche) nel differenziare in modo oggettivo<br />
(tecnico-economico) l’effettivo contributo delle varie fonti energetiche rinnovabili, reputa le biomasse<br />
e la fonte <strong>eolica</strong> tra quelle in grado di incidere a breve sul bilancio energetico regionale, favorendo<br />
peraltro le aree interne, rispetto a quelle che invece, seppur considerate strategiche, necessitano di<br />
tempi attuativi più lunghi come l’energia solare-fotovoltaica e la geotermia b-t più adatte a contesti<br />
agricoli e/o urbani. La Comunità Montana di Camerino, in conformità con tali obiettivi di pianificazione<br />
regionale, ha quindi individuato nella valorizzazione diretta e integrata delle fonti energetiche<br />
rinnovabili disponibili sul territorio, principalmente vento (con un parco eolico da 34 MW) e<br />
biomasse, il fattore di “volano” per realizzare un proprio modello di nuovo <strong>sviluppo</strong> auto-sostenibile<br />
in termini di miglioramento ambientale e e progresso socio-economico <strong>locale</strong>. “In effetti, l’intuizione<br />
e la volontà di rilanciare generiche e indebolite competenze di valorizzazione socio-economica e<br />
ambientale del proprio ambito grazie alla sopraggiunta vocazione energetica dello stesso intermini di<br />
fonte <strong>eolica</strong> (ventosità idonea oltre i 900 m slm) e di biomassa agro-forestale (la superficie a boscopascolo-seminativo<br />
è pari al 90% del totale), stanno ridisegnando per questo Ente montano un ruolo<br />
istituzionale e una strategia d’azione davvero al passo coi tempi e con le sopravvenute esigenze locali e<br />
non” (Marchetti, 2009:257). I benefici attesi dalla realizzazione del progetto di distretto energetico<br />
montano sono così sintetizzabili:<br />
• presidio e manutenzione permanenti dell’ecosistema montano e forestale con riduzione e prevenzione<br />
del rischio incendi, del dissesto idrogeologico e del degrado ambientale;<br />
• creazione/riconversione occupazione <strong>locale</strong> connessa con le attività economiche di filiera e con<br />
l’indotto ad esse collegato (multifunzionalità in agricoltura, ecoturismo, turismo didattico e congressuale,<br />
certificazione ambientale del patrimonio boschivo, del processo e dei prodotti di filiera);<br />
• formazione e informazione/sensibilizzazione sulla filiera agro-energetica nei confronti degli attori<br />
locali pubblici e imprenditoriali;<br />
• trasformazione per l’utilizzo energetico in loco dei residui da a attività agro-silvicole, di matrici<br />
organici preselezionate (raccolte differenziate di sfalci e potature da utenze private e pubbliche),<br />
dei reflui zootecnici eccedenti le esigenze locali di fertilizzazione;<br />
• risparmio energetico per autoconsumo in impianti termici a biomasse, riduzione dell’utilizzo di<br />
combustibili fossili e dell’emissione di gas serra;<br />
• sussidiarietà e integrazione tra le fonti energetiche rinnovabili tradizionali (biomasse) e tecnologiche<br />
(eolico) implementabili nel territorio con queste ultime, in quanto più immediatamente praticabili<br />
e remunerative, sostenere lo <strong>sviluppo</strong> dell’intera filiera energetica da incentrare sulle prime.<br />
139
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Nel progetto è stata coinvolta anche l’Università di Camerino e Ancona, per le competenze e le ricerche<br />
connesse, ma soprattutto sono state mobilitate le risorse di imprenditorialità collettiva locali, sia<br />
sul piano degli enti e delle comunità coinvolte, che su quello delle imprese e delle loro associazioni.<br />
Ma, l’implementazione pratica del progetto non è stata affatto facile. Nonostante le cautele impiegate<br />
per ridurre l’impatto ambientale, e l’esito positivo del processo autorizzatorio (VIA, conferenza<br />
dei servizi, autorizzazione regionale) ha suscitato l’opposizione della Sovrintendenza ai Beni Architettonici<br />
e Paesaggio delle Marche, aprendo una vertenza dagli esiti ancora incerti.<br />
“polpa”), ma non da valorizzare come luoghi che si pongono – nel campo prescelto – all’avanguardia<br />
nell’esplorazione del nuovo.<br />
I territori non vanno lasciati soli nello studio di queste politiche e d interventi nel<br />
campo energetico, anche perché possono essere preda di attori “egoisti” che in realtà non<br />
hanno alcun interesse all’esito collettivo di queste politiche e interventi, ma hanno fini solo<br />
speculativi. Pertanto, anche considerata la grande distanza che c’è tra la realtà attuale e la<br />
possibilità di fare un ragionamento sullo <strong>sviluppo</strong> delle rinnovabili in relazione allo <strong>sviluppo</strong><br />
<strong>locale</strong>, sarebbe importante realizzare un’azione di sistema per provare ad accompagnare con<br />
un approccio sperimentale qualche territorio che volesse affrontare il tema delle energie rinnovabili<br />
in modo integrato attraverso una valutazione dei mix energetici, arrivando a definire<br />
dei piani energetici locali con un obiettivo di autosufficienza energetica.<br />
La domanda che ci si deve porre è se è possibile, partendo dalle aree che hanno delle rinnovabili<br />
insediate attraverso l’eolico, immaginare che quei territori possano diventare in modo consapevole<br />
delle comunità integralmente sostenibili A questa domanda è difficile rispondere, ma è<br />
una buona sfida. Noi abbiamo dei territori in cui è già significativa “la buona pratica” rispetto<br />
ad un tema di sostenibilità e di fronte a processi innovativi come questi bisogna “accompagnare”<br />
(Antonio Saturnino, Formez).<br />
Buoni segnali che arrivano dal territorio noi li abbiamo dalla Campania, in tutta la zona<br />
dell’Agro Nocerino Sarnese, dove ci sono dei comuni lungimiranti, che magari compaiono poco<br />
nelle classifiche, ma che manifestano una buona predisposizione fare governance. Hanno<br />
una buona classe di amministratori e una immensa potenzialità di risorse sul territorio. Loro,<br />
ad esempio, hanno tutto il sistema legato alle biomasse e alla quota idrica che non è da sottovalutare.<br />
Quello potrebbe essere un esempio di ecosistema che potrebbe utilizzare le leve<br />
programmatiche sull’energia per potenziare quella filiera, anche con la partecipazione privata e<br />
utilizzare poi anche la leva dei beni e delle risorse culturali che sarebbe una naturale sinergia,<br />
anche come sbocco occupazionale e di visibilità. Questo potrebbe essere un modello di integrazione,<br />
di mix (Giada Maio, ANCI).<br />
Ci vuole un accompagnamento istituzionale e tecnico dei territori. A noi questo sembra giusto e<br />
ragionevole, anche perché le strade che abbiamo percorso fino ad adesso non hanno funzionato.<br />
La programmazione nazionale e regionale non esiste e dove c’è è fallace o sbagliata. Bisogna<br />
provare a prendere il problema da un altro lato. Quello che abbiamo cercato di fare in questi<br />
anni è stato di coltivare il rapporto con il territorio. Ci sono almeno 5-6 punti diversi, sparsi<br />
dal Veneto, al Trentino, alla Basilicata, alla Campania, alla Calabria, alla Sicilia, dove noi facciamo<br />
questo ragionamento della comunità sostenibile in cui il driver fondamentale è l’utilizzo<br />
energetico in forma sostenibile delle risorse del territorio. Ce li abbiamo a non faccio fatica a<br />
dire che è difficile coltivarli, perché cerchiamo di farlo in una maniera che poi lasci a loro la<br />
capacità di alzarsi sui pedali e di fare la propria strada, cercando la loro identità, coltivando un<br />
140
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
proprio progetto di <strong>sviluppo</strong>. Fare questo lavoro di scouting, di valutazione del potenziale delle<br />
risorse, è faticoso, difficile e presuppone poi anche la capacità di tenersi fuori, di non andare<br />
ad asfaltare, anche concettualmente, il pensiero (Tommaso Dal Bosco, UNCEM).<br />
9.2 Rinnovabili e agricoltura<br />
All’interno di una prospettiva di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, una diffusione sul territorio degli impianti<br />
di energia da fonti rinnovabili deve mirare a produrre effetti moltiplicativi in diversi<br />
campi. Innanzitutto, in campo ambientale, attraverso il contenimento dei fenomeni di<br />
inquinamento, con particolare riferimento alle emissioni di gas serra. Inoltre, nel campo<br />
dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, attraverso la valorizzazione delle risorse presenti in maniera diffusa<br />
sul territorio, spesso in aree marginali con scarsità di prospettive di <strong>sviluppo</strong> economico, e<br />
attraverso lo <strong>sviluppo</strong> integrato del territorio - ad esempio, con il collegamento dell’uso delle<br />
fonti rinnovabili (anche per la forza comunicazionale che oggi ha la leva ambientale) con lo<br />
<strong>sviluppo</strong> del sistema agro-alimentare, del sistema delle piccole e medie imprese artigianali ed<br />
industriali, col turismo, con la produzione artistica e culturale, etc. - e la creazione di nuove<br />
opportunità di lavoro e d’impresa.<br />
In questa visione multisettoriale integrata, particolare importanza e complessità riveste il<br />
rapporto tra la diffusione delle rinnovabili e l’agricoltura. Le attività agricole e forestali, infatti,<br />
assumono funzioni complesse di produzione anche di beni pubblici. Con la produzione agricola<br />
si svolgono funzioni di: salvaguardia idrogeologica, conservazione della fertilità dei suoli e<br />
della complessità ecosistemica (biodiversità), valorizzazione del paesaggio agrario, sostenibilità<br />
complessiva dello <strong>sviluppo</strong>. Anche il bosco rientra nella visione integrata dello <strong>sviluppo</strong> e,<br />
quindi, viene considerato come “sistema forestale integrato” che vede nel piano di forestazione<br />
il suo strumento privilegiato in grado di: organizzare l’attività di forestazione e di taglio nonché<br />
tutte le attività produttive connesse, di sviluppare le interazioni sinergiche con l’occupazione,<br />
il turismo e l’ambiente. In agricoltura, l’offerta non solo del prodotto (di qualità) ma anche del<br />
suo sistema (ambientale, storico, culturale) produce ricadute positive sullo stesso mercato del<br />
settore a fronte dell’evoluzione della domanda e dell’importanza del turismo.<br />
L’agricoltura oggi, almeno nel nostro Paese, non si presenta competitiva in termini di rendimenti<br />
di scala, di grandezze, in termini di rendimenti produttivi, ma in termini di qualità, la somma<br />
delle qualità: paesaggio, ambiente, natura, cultura, mestieri, tradizioni, storia, bellezza, luoghi<br />
che vengono messi dentro la cassetta di vino o di olio che rappresentano quei valori immateriali<br />
che fanno si che il nostro prodotto possa essere molto competitivo se dotato di informazioni<br />
lungo la catena alimentare e presso il punto vendita (Stefano Masini, <strong>Coldiretti</strong>).<br />
La definizione e la costruzione di questa visione sistemica comporta per la produzione<br />
agricola una trasformazione radicale del peso economico, culturale e sociale del mondo rurale<br />
rispetto a quello (marginale) attribuitogli dalla società industriale. Le innovazioni (metodologiche,<br />
di atteggiamento scientifico, di sensibilità ecologica e sociale) portano nel territorio<br />
agricolo la voglia di fondare nuove comunità, il gusto della sperimentazione (biologica, 105<br />
105 L’agricoltura biologica costituisce una reale risposta alle problematiche poste dal riorientamento dell’attività agricola ed<br />
in particolare della diversificazione colturale collocate nel contesto più generale della conservazione ambientale. Si qualificano<br />
biologici, infatti, quei prodotti che derivano da una agricoltura ecologicamente sostenibile e che utilizza sistemi di produzione<br />
naturali, senza aggiunta di agenti chimici, che evita ogni forma di inquinamento, che riduce al minimo l’impatto sull’ambiente<br />
e sulla vita animale, che valorizza il potenziale dei cicli biologici e che ha un approccio globale alla produzione. In tal senso<br />
l’agricoltura biologica, da un lato, offre prodotti sani e privi di residui di origine chimica e, dall’altro, elimina i rischi di contaminazione<br />
ed inquinamento dell’ambiente naturale. Obiettivo dell’agricoltura biologica non è l’ottenimento di elevate rese produttive<br />
pur richiedendo di norma un maggior impiego di manodopera, bensì il raggiungimento di obiettivi: di carattere ambientale<br />
(impiego meno intensivo del terreno e dei fattori produttivi, conservazione degli insediamenti umani nell’ambiente rurale, tutela<br />
141
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
biodinamica), il tentativo di arricchire il complesso delle attività che si svolgono nella campagna<br />
di funzioni terziarie alte, e così via. L’agricoltura sostenibile richiede inoltre la ripresa<br />
e o il rafforzamento delle attività di manutenzione attiva del territorio. La riqualificazione<br />
del paesaggio, la sua difesa, l’intervento nel caso di disastri naturali o artificiali (alluvioni,<br />
incendi, erosione, frane, siccità, etc.) richiedono una osservazione continua del territorio, un<br />
monitoraggio sensibile delle trasformazioni ambientali, una partecipazione consapevole, anche<br />
collettivamente organizzata, alla gestione del patrimonio naturale e paesistico. La manutenzione<br />
del territorio richiede uno stile di vita individuale sensibile verso la terra, uno stile<br />
di vita della collettività basato sulla cooperazione e l’aiuto reciproco, una partecipazione<br />
diretta e sapiente alle vicende del suolo e dell’ambiente, una collaborazione con gli organismi<br />
istituzionali di pianificazione e di gestione. Da qui, la rivalutazione dell’agricoltore in rapporto<br />
all’evoluzione dei bisogni reali e alla costante ricerca di risposte adeguate, all’interno<br />
di una rete di relazioni complesse con il territorio di cui fa parte e ha cura. La stessa azienda<br />
agricola si configura come una struttura complessa (agroterziaria), che fa riferimento a reti<br />
territoriali dense ed estese nell’attivare finalità sociali, culturali, formative e di ospitalità.<br />
Su questa base lo <strong>sviluppo</strong> agricolo del territorio deve concorrere a: migliorare la qualità<br />
dell’ambiente divenendo elemento propulsivo per il riassetto idrogeologico, sviluppare la<br />
produttività del terreno contro la perdita costante di potenzialità e la desertificazione progressiva,<br />
sviluppare la diversificazione produttiva caratterizzando le diverse produzioni fino<br />
alla costituzione di marchi, sviluppare le filiere produttive per l’integrazione di produzione<br />
- processi di lavorazione e trasformativi - commercializzazione. In relazione a ciò, le politiche<br />
per lo <strong>sviluppo</strong> delle aree rurali non sono più limitate alle tradizionali politiche agrarie,<br />
ma sono un “mix” delle politiche dello <strong>sviluppo</strong> quali, quelle dell’artigianato, del turismo,<br />
dell’ambiente, dell’agricoltura, etc. Si tratta di politiche indirizzate a tutto ciò che non è<br />
soltanto agricolo, ma rurale.<br />
Pertanto, la diffusione della produzione di energia da fonti rinnovabili da parte delle<br />
imprese agricole rappresenta una sfida importante e di sicuro interesse, soprattutto se interpretata<br />
in chiave multifunzionale. L’agricoltura, infatti, può contribuire in maniera significativa<br />
al raggiungimento degli obiettivi di produzione di energia da fonti rinnovabili stabiliti a<br />
livello internazionale, nell’ambito delle strategie di mitigazione del cambiamento climatico.<br />
L’interesse del settore agricolo allo <strong>sviluppo</strong> della produzione di energia da fonti rinnovabili<br />
si evince, ad esempio, dal sostegno dato dalle organizzazioni di rappresentanza all’adozione<br />
dell’articolo 1, comma 423 della legge n. 266/05 (Legge Finanziaria 2006), mediante il quale,<br />
è stata riconosciuta la qualifica di attività connessa alla produzione ed alla cessione di energia<br />
elettrica e calore da fonti agroforestali e fotovoltaiche. Da qui, il diffondersi del modello<br />
dell’azienda agri-energetica, cioè di un’azienda agricola che può ricoprire un ruolo molto importante:<br />
nel mercato <strong>locale</strong> delle piccole applicazioni per la produzione di energia da fonti<br />
rinnovabili, nella produzione, soprattutto, di reddito incrementale per le aziende stesse e il<br />
sistema agricolo nel suo complesso.<br />
In questi ultimi anni è cresciuto rapidamente il numero imprese agricole che hanno visto<br />
la realizzazione di impianti (propri o di terzi) di produzione da energia rinnovabile sui propri<br />
terreni. In questo modo, il reddito prodotto da queste installazioni va ad integrare quello<br />
delle attività agricole primarie e collegate, sostenendole, sia dal punto di vista finanziario<br />
sia dell’immagine.<br />
e salvaguardia del territorio), di carattere agricolo (economia di gestione aziendale, valorizzazione delle produzioni, garanzia di<br />
reddito degli operatori), di carattere alimentare (prodotti con tecniche a ridotti “input” e qualità certificata), di riequilibrio dei<br />
mercati (riavvicinamento della domanda e dell’offerta), di tutela del consumatore.<br />
142
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
L’energia rinnovabile non deve essere vista come in competizione con l’agricoltura, ma ad interazione<br />
di questa, come quell’elemento che può rilanciare l’agricoltura, dandogli un reddito fisso,<br />
stabile, senza oscillazioni che dipendono dalle variazioni nel prezzo del grano o della carne<br />
o delle condizioni climatiche stagionali, e magari permettono di fare uno <strong>sviluppo</strong> agricolo di<br />
qualità. Se uno ha già una rendita può fare anche un investimento su una serra per fare una<br />
primizia (Ivano Bruni, Enel Green Power).<br />
Ci sono delle piccole aziende che iniziano a dire: ”il nostro prodotto è realizzato con energia<br />
da fonti rinnovabili”. È un segnale anche piccolo, ma c’è. Ci sono dei segmenti che cominciano<br />
a trovare una risposta nella certificazione di qualità. Comincia ad esserci un’attenzione e<br />
disponibilità in questo senso anche all’interno delle nostre comunità (Virgilio Caivano, Piccoli<br />
Centri Europei).<br />
Tuttavia, le associazioni di rappresentanza del mondo agricolo guardano con crescente<br />
preoccupazione alla diffusione di grandi impianti eolici e fotovoltaici su suolo agricolo, perché<br />
ritengono che queste grandi strutture (e le necessarie infrastrutture di contorno) finiscano<br />
per danneggiare l’esercizio dell’attività agricola stessa, oltre che la qualità del territorio.<br />
C’è una certa “antipatia” per gli impianti eolici che conosciamo oggi – perché poi possiamo anche<br />
parlare di quelli che vorremmo conoscere – perchè si tratta di iniziative che, a differenza di<br />
altre rinnovabili, non vedono protagonista l’imprenditore agricolo. In fondo, l’imprenditore cede<br />
il terreno per una iniziativa imprenditoriale di terzi. Nel momento in cui si instaurano contratti<br />
di filiera per le biomasse o il biogas, lo sfruttamento del legname, il recupero e la valorizzazione<br />
dei residui, l’imprenditore agricolo con la sua struttura aziendale è coinvolto, cioè partecipa ad<br />
un progetto di <strong>sviluppo</strong> energetico, diventa attore del territorio, anche attraverso la eventuale<br />
creazione di piccoli consorzi di produttori. Invece, gli impianti eolici industriali sono apparsi<br />
come un qualcosa che cala dall’alto – e lo sono oggi soprattutto dopo che si sono costruiti dei<br />
percorsi di accesso ad aree svantaggiate, in cui c’è la traccia paesistica di una strada e di un<br />
percorso di torri -, e molto spesso il territorio non ha una vera ricaduta occupazionale, non c’è<br />
economia <strong>locale</strong>, si è creato un investimento che dà i suoi frutti distribuiti in dividendo in società,<br />
che è qualcosa di molto diverso dal nostro modello di compartecipazione nello <strong>sviluppo</strong> delle<br />
energie. Da questo punto di vista, lo <strong>sviluppo</strong> dell’energia fotovoltaica, per quanto in alcuni<br />
casi si registrano le medesime finalità speculative, consente di rendere partecipi gli agricoltori.<br />
È chiaro che in questo caso noi siamo di fronte ad ettari di terreno investito a tetti fotovoltaici.<br />
L’agricoltore cede il fondo, si abbandona il presidio di una determinata area, lo <strong>sviluppo</strong><br />
prende una direzione diversa e cosa rimane Rimane l’alterazione del mercato fondiario, perché<br />
in quell’area i prezzi dei terreni a quel punto oscillano su valori che non corrispondono a quelli<br />
tradizionali legati alla produzione di foraggio. Il problema è che bisogna rendersi conto che il<br />
concetto di <strong>sviluppo</strong> in rete delle microenergie deve pure trovare una logica di componimento<br />
sul territorio altrimenti si ha solo un irradiamento in maniera frazionata sul territorio che determina<br />
molti scompensi nell’economia agricola (Stefano Masini, <strong>Coldiretti</strong>).<br />
Secondo le rappresentanze agricole, tale tipologia di impianti può determinare impatti<br />
ambientali rilevanti, anche in virtù degli effetti cumulativi, come, ad esempio, la perdita<br />
di permeabilità del suolo, disequilibri idrogeologici, fenomeni alluvionali, di erosione e<br />
desertificazione, danni alla biodiversità, alterazioni microclimatiche, produzione di ingenti<br />
quantitativi di rifiuti nelle fasi di smantellamento, effetti negativi legati alla necessaria infrastrutturazione<br />
di trasporto dell’energia.<br />
In particolare, per quanto riguarda la diffusione di grandi impianti fotovoltaici sul suolo,<br />
si evidenzia come questi abbiano una potenza tale da dover impegnare ampie superfici<br />
143
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
agricole, nonostante l’uso dei terreni dovesse rappresentare – nelle intenzioni del legislatore<br />
– una alternativa secondaria rispetto all’uso di superfici più idonee, come i capannoni industriali<br />
e le discariche in fase post operativa. A ciò si lega, inoltre, la preoccupante diffusione<br />
del fenomeno dell’affitto di terreni agricoli da parte di soggetti estranei al settore, spesso<br />
con manifesti fini speculativi. Tutto ciò comporta il rischio di una ulteriore riduzione della<br />
superficie agricola disponibile.<br />
Per avere un’idea della portata del fenomeno si deve pensare che il 64% degli impianti fotovoltaici<br />
installati in Italia ha una taglia superiore a 20 kW ed il 44% della potenza installata non<br />
è integrata. Si pensi, ad esempio, che nel Comune di Canaro, in Provincia di Rovigo, sono stati<br />
occupati ben 120 ettari di terreno per un totale di 240.000 pannelli di una dimensione pari<br />
ad 80x100 centimetri. Inoltre, in Puglia, l’Agenzia Regionale per la Prevenzione e la Protezione<br />
dell’<strong>Ambiente</strong> ha comunicato ai competenti uffici regionali di formulare “parere contrario” ad<br />
ogni nuovo insediamento di impianti di generazione di energia da fonte solare in ambito agricolo,<br />
almeno fino a quando non siano stati definiti approfonditi ed esaustivi studi di valutazione<br />
di alcuni elementi di forte criticità e l’autorità competente non abbia provveduto ad una programmazione<br />
attenta in questo ambito. Le stime fornite dall’Arpa Puglia relative alla potenza<br />
installata e alla superficie agricola regionale occupata (nel 2009: 738,323 MW installati per<br />
una superficie agricola totale di 2.214 ettari) dimostrano l’assoluta rilevanza del fenomeno.<br />
Per quanto riguarda, poi, la diffusione di grandi impianti eolici, si evidenzia come la maggior<br />
parte delle torri eoliche siano alte fino a 100 metri, con pale di 30 metri di diametro, con un<br />
area di assoggettamento, per ognuna, calcolata in circa 400 metri quadri, cosa che comporta,<br />
ad oggi, la perdita di circa 25.000 ettari di territorio, con effetti paesaggistici, ambientali ed<br />
economici che si estendono, peraltro, in una area molto più vasta e che potrebbero presto moltiplicarsi,<br />
visti i 10.000 MW di energia <strong>eolica</strong> già autorizzati e gli oltre 40.000 MW in istruttoria<br />
(Stefano Masini, <strong>Coldiretti</strong>).<br />
Per tutti questi motivi, la <strong>Coldiretti</strong> ha accolto con soddisfazione le linee guida nazionali<br />
per il corretto inserimento nel paesaggio degli impianti da fonti rinnovabili, sulla base delle<br />
quali le Regioni possono individuare le aree del proprio territorio non idonee alla loro realizzazione.<br />
Tali aree sono identificabili, in particolare, in quelle agricole di pregio e nelle aree<br />
protette a livello regionale, nazionale ed internazionale.<br />
La produzione di energia rinnovabile deve sempre avvenire nel rispetto di alcuni principi generali,<br />
quali, proprio, un ridotto consumo di suolo, il riutilizzo di aree già degradate da attività<br />
antropiche, come i siti industriali o contaminati, ed una progettazione legata alle specificità<br />
dell’area. Nell’autorizzare progetti localizzati in zone agricole caratterizzate da produzioni<br />
agro-alimentari di qualità e/o di particolare pregio rispetto al contesto paesaggistico-culturale,<br />
ad esempio, è necessario verificare che non compromettano o interferiscano negativamente<br />
con la valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, la tutela della biodiversità, del<br />
patrimonio culturale e del paesaggio rurale. La preoccupazione di <strong>Coldiretti</strong> circa una diffusione<br />
indiscriminata degli impianti eolici e fotovoltaici di grossa taglia nasce dal timore<br />
che, nel promuovere questi impianti, non si proceda alle opportune valutazioni degli impatti<br />
paesaggistici ed economici, rischiando, così, di compromettere gli investimenti delle imprese<br />
agricole finalizzati a rendere il territorio un vero e proprio fattore produttivo, cui legare le<br />
produzioni tipiche, di qualità ed identitarie, così come le attività agrituristiche e ricreative,<br />
che rappresentano strumenti capaci di garantire la vitalità e la competitività di un’agricoltura,<br />
oggi, indissolubilmente legata al territorio di appartenenza. Nella valutazione di impatto degli<br />
impianti energetici, anche quando si tratti di fonti rinnovabili, non si può prescindere, quindi,<br />
da un’analisi circostanziata dei costi-benefici, che tenga in debito conto quale reale valore<br />
144
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
abbia l’integrità ambientale, territoriale e paesaggistica per le imprese agricole. L’impatto<br />
della diffusione delle centrali di energia sul territorio, con la facile compromissione dei valori<br />
del suo paesaggio, rischia di indebolire l’importante processo di rigenerazione dell’agricoltura,<br />
non più finalizzato a produrre in termini quantitativi, ma mirato alla qualità e, sempre con<br />
maggiore convinzione, alla valorizzazione del territorio. Auspichiamo che le linee guida possano<br />
costituire effettivamente uno strumento adeguato, capace di contribuire alla definizione di<br />
politiche territoriali, che sono efficaci nella misura in cui ricercano ed attuano idonei strumenti<br />
normativi di regolazione dei processi economici e di salvaguardia del territorio e dei segni della<br />
sua identità (Stefano Masini, <strong>Coldiretti</strong>).<br />
Infine, c’è da considerare la possibilità che l’installazione dei parchi eolici e degli altri<br />
impianti da fonti rinnovabili può essere anche un’opportunità per incrementare i flussi del<br />
turismo rurale. Negli ultimi anni si è enormemente sviluppata, in Italia, l’offerta e la fruizione<br />
del cosiddetto turismo enogastronomico, che punta alla valorizzazione dei territori rurali<br />
attraverso la conoscenza e la promozione di produzioni vitivinicole, olearie ed alimentari<br />
tipiche e tradizionali di alta qualità. Oggi, è possibile partire dalle grandi aree metropolitane<br />
e avventurarsi nelle aree rurali alla scoperta di luoghi di interesse storico, artistico, ambientale.<br />
Ai movimenti come Slow Food, il Touring Club, oltre che ai più specializzati come<br />
il Movimento del Turismo del Vino o l’Associazione Città dell’Olio, supportati anche dagli<br />
incentivi europei e dalle conseguenti legislazioni italiane in materia, va il merito di aver<br />
introdotto nuove abitudini, nuove curiosità, nuovi ritmi tra i turisti che attraversano la penisola.<br />
Si sono moltiplicate in tutte le regioni le “Strade del Vino”, “Strade dell’Olio”, “Strade<br />
dei Sapori” e “dei prodotti tipici”. In questa accezione, le “strade” sono percorsi segnalati e<br />
pubblicizzati con appositi cartelli, caratterizzati da particolare interesse sotto diversi punti<br />
di vista: naturale, culturale e ambientale. Questi percorsi si snodano lungo vigneti, cantine,<br />
aziende agricole aperte al pubblico, che costituiscono strumento attraverso il quale i territori<br />
e le relative produzioni possono essere divulgati, commercializzati e fruiti in forma di offerta<br />
turistica. Si sviluppano così attività di ricezione e di ospitalità, compresa la degustazione dei<br />
prodotti aziendali e l’organizzazione di attività ricreative, culturali e didattiche.<br />
A questa tipologia turistica potrebbero fare riferimento nei territori dove già oggi c’è una<br />
forte concentrazione di parchi eolici installati, la creazione di “Strade del Vento”, con l’intento<br />
di valorizzare di percorsi, interni, longitudinali e trasversali che seguono o incrociano<br />
le dorsali appenniniche e pre-appeniniche meridionali. Itinerari che possono riservare grandi<br />
sorprese dal punto di vista paesaggistico e che possono far conoscere le potenzialità di <strong>sviluppo</strong><br />
di questi territori. Un intervento di questo tipo potrebbe contribuire a dare impulso<br />
a una zona a tradizionale vocazione rurale non più (non solo) attraverso le sue produzioni<br />
agricole tipiche, ma attraverso la scoperta delle sue potenzialità energetiche, che sfruttano<br />
un elemento altamente caratterizzante di questi luoghi: il vento. È un filo conduttore poetico<br />
e potente, che può articolarsi, analogamente ai modelli sperimentati per le altre “strade”,<br />
secondo diversi punti di vista. Primo tra tutti la conoscenza del tipo di produzione, che può<br />
concretizzarsi in questo caso con la visita agli impianti eolici, con lo scopo della divulgazione<br />
della tematica dell’utilizzazione delle fonti di energia rinnovabile, anche per sgombrare<br />
il campo da tanti equivoci ambientalistici che rendono alcuni tendenzialmente diffidenti dal<br />
ricorso a fonti energetiche rinnovabili. Le piccole aziende agricole potrebbero essere visitate<br />
con occhio diverso, come strutture autosufficienti dal punto di vista energetico, luoghi<br />
idonei allo <strong>sviluppo</strong> di progetti-pilota per l’impianto di aerogeneratori di piccola taglia. La<br />
sensibilità al mondo del biologico nella sua accezione più ampia, che i movimenti turistici<br />
sopra ricordati hanno ampiamente contribuito a radicare, favorisce senz’altro un approccio<br />
145
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
interessato a tali argomenti. All’aspetto “didattico” si può affiancare quello tradizionalmente<br />
culturale, per la presenza di centri piccoli e poco conosciuti, ma ricchi di storia e di testimonianze<br />
artistiche, archeologiche e medioevali.<br />
9.3 Rinnovabili e aggregazioni territoriali<br />
Spesso oggi dietro l’opposizione di comuni adiacenti a quello su cui insiste un impianto<br />
eolico vi è non tanto una questione estetica e/o ambientale, quanto un comprensibile malumore<br />
per il mancato coinvolgimento ai benefici economici di quella attività, al punto che,<br />
probabilmente, ove fosse stata prevista una ripartizione degli utili su scala territoriale più<br />
ampia rispetto a quella comunale in alcuni casi si sarebbero potute superare le resistenze.<br />
Tempo fa avevamo fatto un progetto nel comune di Delicato in provincia di Foggia per iniziare<br />
a capire quali erano le aree potenzialmente interessanti e che problematiche ognuna di queste<br />
avesse. In quel caso vi era una collina che volevamo diventasse una specie di “distretto”<br />
energetico, quindi eolico, piantagioni da biomasse, etc. Insomma, abbiamo lavorato per creare<br />
una “collina energetica”, coinvolgendo tutti. Questo per provare a capire se tutti i proprietari<br />
della zona potevano entrare nel progetto e non solamente chi aveva “la torre” nel suo campo.<br />
Questo è un grosso problema perché chi si ritrova la “torre” ha l’affitto annuale e quello a un<br />
metro di distanza non ha nulla. Questo problema si supererebbe facendo “dei comparti” come<br />
si fa in edilizia, per cui tutti quanti partecipano e non solamente pochi fortunati. È una cosa<br />
complicata, non ci sono i meccanismi. Molto spesso i crinali sono sui confini comunali per cui<br />
può succedere che il maggiore impatto visivo c’è l’ha il comune limitrofo che però non ha nessun<br />
beneficio. Queste cose non hanno senso, andrebbero trovate delle formule diverse (Daniela<br />
Moderini, architetto del paesaggio).<br />
Per questo c’è chi pensa che ci sia bisogno di una regia di area, di un coordinamento tra<br />
gli Enti locali, anche attraverso la gestione associata o l’obbligo di formare dei consorzi tra<br />
comuni limitrofi. 106 In questo modo si può effettuare una valutazione dei progetti considerando<br />
un ambito sovra comunale per capire dove le torri si vanno a collocare e verificare come<br />
si relazionano rispetto a progetti già realizzati o in corso di approvazione o realizzazione, e<br />
per introdurre così correttivi e adattamenti.<br />
Il comune che chiede il 10% di royalty monetarie, che adesso chiaramente con le Linee Guida<br />
non sono più possibili, perché lo fa Perché c’è qualcuno che dall’altra parte bussa alla porta del<br />
sindaco e gli propone alcune cose, assicurando che si possono fare. Non può essere altrimenti,<br />
perché il comune non ha ancora questa capacità su questi settori. Sono pochi i comuni che<br />
hanno un energy manager o altre figure competenti. La percentuale di competenza comunale<br />
è ancora bassissima anche perché la maggior parte dei comuni italiani sono dimensionati in<br />
modo tale da non avere una struttura dedicata. Qua, sarebbe importante il ruolo delle Province o<br />
106 Un caso di successo è senz’altro il Consorzio CeV di Verona (ww.consorziocev.it), un Consorzio di 1.001 enti pubblici,<br />
costituito in base al codice civile, che si sono uniti per abbattere tutti i costi dell’energia, per usufruire gratuitamente di importanti<br />
servizi che ne semplificano la gestione, ma soprattutto per costruire, insieme, una nuova cultura dell’energia all’interno ed<br />
all’esterno dell’ente e nella comunità. Da sempre attento alle tematiche dell’ambiente, che oggi con grande enfasi coinvolgono<br />
istituzioni ed opinione pubblica, CeV rappresenta una realtà unica, competente ed affermata nel panorama nazionale, in grado<br />
di garantire un supporto concreto all’ente:<br />
• risparmiare sui costi d’acquisto dell’energia garantendosi una fornitura 100% proveniente da fonti rinnovabili;<br />
• gestire al meglio tutti gli aspetti tecnici dell’energia;<br />
• produrre energia da fonti rinnovabili senza costi per l’ente;<br />
• formare del personale esperto per gestire le complessità e le opportunità della liberalizzazione.<br />
In costante ascesa, il Consorzio CeV ha fatto dello spirito di aggregazione un meccanismo virtuoso che sino ad oggi ha garantito<br />
un risparmio complessivo di 14 milioni di Euro ad esclusivo vantaggio dei soci. Tutti i Comuni possono aderire a CeV, poiché<br />
l’adesione non è in contrasto con le limitazioni previste dall’art. 2 della finanziaria 2008.<br />
146
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
comunque di una gestione associata. Noi, la gestione associata di molti processi l’abbiamo proposta<br />
anche come emendamento alla bozza di decreto di recepimento della direttiva 28. Si vuole<br />
la procedura semplificata, va bene, ma è un altro titolo di inizio che è la procedura semplificata<br />
per gli impianti da energie rinnovabili. Noi abbiamo accettato, perché è meglio che reintrodurre<br />
la vecchia Scia che ci toglie il potere di controllo sul territorio. Però, abbiamo detto che occorreva<br />
dare al comune di mille abitanti almeno la possibilità di farlo in gestione associata, al di là che ci<br />
sia una delega alla Provincia, perché sappiamo che purtroppo oggi pochi sono i territori dove c’è<br />
una cooperazione tra i diversi livelli della filiera istituzionale-amministativa (Giada Maio, ANCI).<br />
Mi pare che in Italia le condizioni per uno <strong>sviluppo</strong> forte di forme vere e proprie di azionariato<br />
popolare siano ancora assenti o molto, molto deboli. Invece, c’è la possibilità che i Comuni si<br />
consorzino per progetti di questo tipo. È una possibilità che in qualche misura viene praticata<br />
ed è assolutamente positiva perché ovviamente se a promuovere progetti di produzione energetica<br />
da fonti rinnovabili sono i comuni, l’attenzione ai dati legati all’impatto paesaggistico e in<br />
generale all’accettazione sociale è inevitabilmente più grande, più spiccata. Quindi, credo che<br />
forme di questo tipo, con il coinvolgimento dei comuni nei progetti, naturalmente se avviene in<br />
forme trasparenti, credo che sia un fatto assolutamente positivo e che può anche ridurre i rischi<br />
di accettazione sociale degli impianti (Roberto Della Seta, senatore).<br />
In questa direzione le Regioni dovrebbero spingere progetti che coinvolgano, anche nelle<br />
procedure di approvazione, un bacino più ampio di Comuni, in modo da evitare speculazioni<br />
e permettere una valutazione che aiuti l’integrazione nel paesaggio e nel contesto socio-economico<br />
<strong>locale</strong>. La direzione dovrebbe essere quella di spingere progetti integrati in contesti<br />
territoriali e visivi che vanno oltre i confini comunali e per questo la soluzione più efficace<br />
appare quella di prevedere il coinvolgimento di più Comuni (anche nei vantaggi economici)<br />
in tutti i casi in cui gli impianti sono posti entro una distanza stabilita dai confini oppure<br />
sono visibili le torri, ad esempio, da centri abitati nei Comuni confinanti.<br />
Per governare le trasformazioni del paesaggio non si può contare solo sulla spontanea capacità<br />
delle comunità locali di mettere insieme i Comuni, ma occorre obbligare i Comuni a consorziarsi,<br />
perché è nel rapporto diretto tra imprenditore e Comune che si crea o qualcosa di positivo o<br />
qualcosa di estremamente negativo. Occorre obbligarli ad arrivare a delle soluzioni condivise e<br />
trasparenti (Edoardo Zanchini, Legambiente).<br />
Sono sindaco di un Comune che vede il business dell’eolico passare, cioè che guarda le torri<br />
eoliche degli altri comuni, ma non ci ricava quasi niente perché il territorio comunale è di solo<br />
1.000 ha. Nel ‘94-’95 è stato realizzato il primo impianto eolico in questo territorio nel Comune<br />
di Monteleone, confinante con il mio, con 10 torri eoliche della potenza di 1,5Mw e con una<br />
royalty dell’1,5%. All’epoca non conoscevamo quant’era la produzione, quindi mi limitai a fare<br />
un’indagine per vedere se queste installazioni potessero dare dei problemi alla popolazione.<br />
Appurai che le onde elettromagnetiche si annullavano entro i 20-40 metri, e allora diedi anch’io<br />
per la mia piccolissima parte l’assenso. Quindi, Monteleone e Anzano sono stati i primi a partire<br />
sull’eolico. Inizialmente, ci ricavavamo circa 20 milioni di lire, oggi la produzione si è talmente<br />
abbassata che ci ricavo circa 1.000 euro all’anno. Pertanto, il nostro ricavo si è quasi completamente<br />
azzerato e, quindi, io non ho neppure l’opportunità che qualche comune ha di risanare<br />
il proprio bilancio. Che cosa vedo per il nostro territorio Noi storicamente siamo vissuti in un<br />
territorio marginale con delle risorse marginali, per cui era difficile andare avanti. Oggi, alla<br />
luce di tutto questo, vedo che queste nostre risorse “marginali”, che una volta non valevano<br />
niente, oggi valgono tantissimo, perché sono rappresentate dal vento, dal sole, dalle biomasse<br />
legnose e vengo utilizzate per produrre energie che servono alle zone “avanzate”. Credo che<br />
147
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
dobbiamo iniziare a vedere la presenza di queste risorse energetiche non soltanto come una<br />
posizione di rendita, perchè questo ci può consentire soltanto di sopravvivere per 10-15 anni.<br />
Dobbiamo immaginare di andare oltre al beneficio immediato, per avere anche uno <strong>sviluppo</strong><br />
sostenibile per le generazioni future. Questa è la vera scommessa che dobbiamo portare avanti.<br />
Come Io credo che bisogna cominciare ad “obbligare”, a far considerare a chi vuole investire<br />
sul nostro territorio per riconversioni o per ampliamento, non solo il parametro dell’“utilità economica”,<br />
ma anche quello dell’occupazione. Quanta occupazione mi dai Altrimenti, qui non ci<br />
metti piede. L’occupazione non può essere solo quella del cantiere edile che non produce niente,<br />
ma deve essere anche quella qualificata legata alla produzione e manutenzione di queste torri.<br />
Analogamente, possiamo estendere il discorso alle biomasse. Le imprese hanno bisogno di noi<br />
come territorio ed è questa è la nostra vera ricchezze. Se noi siamo capaci di sfruttare bene<br />
questa nostra posizione allora ci sarà un futuro anche per noi. Alle imprese dobbiamo chiedere<br />
che facciano formazione, ma se questo lo vado a chiedere come singolo piccolo Comune, probabilmente<br />
vengo sopraffatto dalle mie necessità economiche e se mi danno il contentino dello<br />
0,5% in più, oggi accetto tutte le condizioni. Questo perché i continui tagli ai trasferimenti<br />
dello Stato ci obbligano anche a fare questi tipi di accordi. Viviamo in una situazione in cui<br />
tutti i Comuni non riescono più a fare il bilancio e quei pochi che ci riescono è solo perché<br />
hanno queste piccole entrate, ma sono situazioni che non portano da nessuna parte. Quello che<br />
bisogna chiedere a chi vuole investire qui è di aiutarci a costruire un vero <strong>sviluppo</strong> sostenibile<br />
e per far questo dobbiamo agire non più come singoli Comuni ma come sistema territoriale,<br />
magari anche a seguito di una legge che obbliga i Comuni che vogliono ampliare o allargare ad<br />
altre forme di energia sostenibile, l’obbligo di stare insieme. Questa potrebbe essere modo per<br />
avviare un processo di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, altrimenti saremo sempre sopraffatti dai nostri stessi<br />
bisogni (Antonio Rossi, Anzano di Puglia).<br />
Queste sono questioni che riguardano un’area “vasta”, non riguardano singoli comuni, e vanno<br />
quindi organizzate in maniera collettiva. Sono questioni che vanno ragionate insieme e organizzate<br />
insieme, per rispondere insieme. Non c’è dubbio che abbiamo vissuto una fase in cui eravamo<br />
assolutamente ignoranti rispetto a questo fenomeno, parlo degli anni ’90, e quindi quel<br />
poco che veniva dato come royalty veniva visto come la manna. Ma, anche quando abbiamo<br />
capito che in realtà nessuno ci stava regalando niente, e anzi, ci stavano derubando, abbiamo<br />
fatto poco per modificare la situazione. Questo è un patrimonio che in Italia solo quest’area<br />
o poche altre aree del Paese posseggono. Così come la Val d’Agri ha un po’ di petrolio, il Sub-<br />
Appennino Appulo–Irpino ha il vento. È esattamente la stessa cosa. Però non sappiamo come<br />
farcelo valorizzare. I sindaci che ricevono il 3-4% pensano di aver spuntato chissà che cosa.<br />
Questo perché è mancata un’azione sinergica. Quello che voglio dire è che gestisco in Master<br />
ma gli studenti vengo più da fuori che da queste aree. C’è un’esigenza di formazione, ma credo<br />
che vi sia innanzitutto un’esigenza di “fare sistema”. C’è il problema del Decreto 387 che<br />
stabilisce che le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e le<br />
opere connesse, come le infrastrutture necessarie alla costruzione e all’esercizio degli impianti,<br />
si devono considerare di pubblica utilità, indifferibili ed urgenti e, quindi, al di fuori del<br />
potere decisionale discrezionale degli enti locali. Così come ANEV, cioè qualche grossa azienda<br />
dell’eolico, riesce ad influenzare l’attività legislativa del Parlamento, piuttosto che del Governo,<br />
allora mi chiedo perché questo intero “comprensorio del vento” non riesce a fare sistema per<br />
fare lobbying a Bari, piuttosto che a Roma. Perché Bari ha fatto in due mesi le Linee guida<br />
senza sentire assolutamente nessuno Perché lo steso ha fatto il governo nazionale Cantiamo<br />
il federalismo, ma forse solo perché dobbiamo spostare i soldi dal Sud al Nord, però di dare voce<br />
e forza al territorio, alle popolazioni, alle aree marginali come sono queste, non si parla. Credo<br />
che i sindaci abbiano una grande responsabilità. Purtroppo, per quegli errori del passato non<br />
ci si può fare niente, però poniamo rimedio per il futuro. Intanto c’è bisogno di fare sistema.<br />
Cominciamo ad imparare qualcosa dai sindaci dell’Irpinia: 31 comuni che si mettono insieme e<br />
148
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
creano un distretto. Perché questo non si può allargare alla sponda pugliese o alla sponda lucana<br />
Cominciano a fare sistema al di là della colorazione politica o partitica, cominciamo a fare<br />
sistema perché è l’unico modo per poi poter incidere sulle scelte che si fanno a Bari piuttosto<br />
che a Roma (Giuseppe Martino Nicoletti, Università di Foggia).<br />
In Italia c’è una legge, la 959/53, che è quella che istituisce i Consorzi dei Bacini Imbriferi<br />
Montani imponendo alle imprese idroelettriche un sovracanone in favore dei comuni<br />
montani, che è una legge che, pur avendo 60 anni, ripescata e riutilizzata parzialmente per<br />
sostenere un processo di regolazione sullo <strong>sviluppo</strong> delle energie rinnovabili potrebbe essere<br />
un buon punto di partenza. Riconoscendo che la dimensione municipale è troppo esigua e<br />
limitata per un ritorno fiscale efficace, lo Stato promuove la costituzione di un “ambito ottimale”<br />
che si trasforma in “consorzio di bacino imbrifero montano” in maniera obbligatoria<br />
qualora i tre quinti dei Comuni compresi in ciascun bacino lo richiedano. Nelle intenzioni<br />
della legge, il sovracanone è da destinare ad opere di sistemazione montana e di valorizzazione<br />
del territorio a compensazione dei disagi causati alle popolazioni locali dalla presenza<br />
di opere di captazione.<br />
Tali Consorzi venivano chiamati gestire le rimesse fiscali derivanti da dall’autentico provvedimento<br />
rivoluzionario della legge: le società titolari di concessioni per grandi derivazioni di<br />
energia elettrica i cui impianti sono compresi all’interno di un bacino imbrifero montano venivano<br />
obbligate a versare, a decorrere dall’entrata in vigore della legge, un “sovraccanone” per<br />
ogni kilowatt di potenza nominale media concessa. Tali sovraccanoni dovevano essere utilizzati<br />
dai Consorzi “esclusivamente a favore del progresso economico sociale delle popolazioni”. La<br />
legge 959 è ancora oggi, in epoca di riformisti parolai e inconcludenti, un faro e un esempio<br />
di innovazione profonda in tema di politica montana, forse la più democratica e valida in tema<br />
di decentramento si tutti gli anni cinquanta. Sancisce infatti il criterio di giustizia distributiva<br />
nei confronti della montagna, depredata da sempre delle sue risorse per il bene della pianura e<br />
della città e l’utile di imprenditori e finanzieri non certo montani. Inoltre riconosce il principio<br />
di autonomia <strong>locale</strong> per l’ampia libertà nell’utilizzo dei fondi lasciata ai Comuni raggruppati<br />
in Consorzio, con la promozione del concetto comprensoriale e comunitario per l’impiego delle<br />
risorse (Borghi, 2009:61-62).<br />
Secondo Enrico Borghi, presidente dell’UNCEM, se i 70-80 milioni di euro che “tornano”<br />
alla montagna italiana dai sovracanoni idroelettrici fossero utilizzati dalla settantina di Consorzi<br />
esistenti non meramente in termini di redistribuzione generale come accade oggi, ma<br />
come fondo di investimento che consenta alle autonomie locali di essere protagoniste nello<br />
<strong>sviluppo</strong> dell’energia rinnovabile, quei fondi ritornerebbero sul territorio in dimensioni molto<br />
più dilatate.<br />
In questo modo il territorio montano italiano avrebbe risolto in sé la capacità, da un lato di<br />
garantire investimenti e servizi, dall’altro di fare la perequazione indispensabile per la coesione<br />
sociale e al stessa competitività del sistema (Borghi, 2009:87).<br />
Questo tipo di soluzione può essere utile anche per due ulteriori ragioni legate alla<br />
programmazione territoriale degli impianti. Una prima, che occorre guardare con attenzione<br />
allo <strong>sviluppo</strong> dell’eolico nei prossimi anni, considerando che ci sono almeno due diverse e<br />
specifiche situazioni:<br />
• territori dove non esistono impianti e quindi dove servono specifiche valutazioni;<br />
149
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
• territori dove sono già presenti impianti e si dovrebbe rendere coerente il quadro visivo<br />
(minimizzando le conseguenze più negative dell’“effetto cumulativo”), magari mettendo<br />
ordine rispetto al tipo di torri e colori, agli allineamenti.<br />
Una seconda ragione, riguarda soprattutto alcune Regioni dove occorre organizzare una<br />
procedura che permetta di valutare i tanti progetti presentati e la specifica attenzione da<br />
avere nei confronti di impianti da sostituire o di situazioni invece dove i progetti si vanno a<br />
collocare in contesti già fitti di impianti (dove magari mettere ordine), oppure di aree delicate<br />
e prive di progetti.<br />
In questo contesto, si può pensare anche ad un serio protagonismo delle Province, che<br />
metta a disposizione degli Enti locali competenze, piani di realizzazione, criteri e regole<br />
per ottenere il massimo senza deturpare il territorio o subire speculazioni insostenibili, in<br />
modo che i Comuni, soprattutto i piccoli Comuni, non si espongano indifesi alle pressioni<br />
degli operatori. In una dimensione provinciale, inoltre, sarebbe anche più facile fare massa<br />
critica sufficiente per poter puntare anche sullo <strong>sviluppo</strong> di una filiera produttiva completa<br />
nel campo delle rinnovabili e, quindi, avere maggiori ricadute produttive ed occupazionali<br />
sul territorio.<br />
Legata alla filiera di installazione e gestione degli impianti da rinnovabili, bisogna cercare<br />
di creare una filiera <strong>locale</strong> produttiva, sia questa turistica sia questa di opifici. L’impianto<br />
fotovoltaico da 30 MW che hanno richiesto di fare gli industriali sul mio territorio – ne hanno<br />
chiesti di fare 20 di impianti, ma quell’uno che si farà -, oltre a rispettare tutti quei criteri di<br />
paesaggio e, quindi, essere realizzato su terreni agricoli ormai dismessi da anni, oltre a non<br />
vedersi, etc., deve produrre non solo un introito per il Comune da riversare sui cittadini in termini<br />
di servizi, ma deve anche produrre un introito che deve dare delle risorse alla collettività<br />
provinciale, insieme ad introiti di altri, per mettere sul territorio magari anche una filiera di<br />
produzione di pannelli o un centro di ricerca sulle energie rinnovabili collegato all’università.<br />
Queste filiere vanno aperte. Se ci si limita a far fare l’impianto, magari al gruppo straniero che<br />
poi i soldi che incassa li prende e se li porta via per investirli altrove, questo è un problema.<br />
La politica deve consentire, anche sacrificando una minima parte del territorio, la realizzazione<br />
di certi impianti, limitatamente ad alcune localizzazioni che siano altamente compatibili,<br />
che abbiano un ritorno non solo in royalty per i sindaci, ma abbiano un ritorno anche in<br />
occupazione e nello <strong>sviluppo</strong> dell’economia <strong>locale</strong> più complessiva. Certo, non dappertutto<br />
potranno nascere imprese della filiera industriale, ma ogni territorio può avere la sua filiera.<br />
In questo senso, è giusto pensare anche ad una filiera di territorio che sia anche provinciale,<br />
che la Provincia la coordini, perché se no ogni sindaco potrebbe volere un impianto nel proprio<br />
territorio, anzi lo vorrebbe in quello degli altri, però i posti di lavoro li vorrebbe nel suo. Per<br />
questo, ci deve essere un coordinamento tra i comuni limitrofi. Faccio un esempio a livello<br />
di coordinamento provinciale della provincia di Grosseto. Se si fanno 28 impianti da 10 MW,<br />
per un totale di 280 Mw, in 28 comuni, questi mettono in moto, se si considera anche solo<br />
l’1%, qualche milione di euro da dare alla Provincia per investire. È chiaro che l’investimento<br />
va fatto nell’area industriale dove c’è, non necessariamente nel singolo comune, però tutta la<br />
manutenzione degli impianti, che comprenda quindi una filiera di cooperative e di lavoratori,<br />
quella può essere messa in quel territorio. Se faccio 70 MW e ci sono 5-6 persone che ci devono<br />
lavorare è giusto che siano dei ragazzi del mio territorio. È questo che in quei comuni dove<br />
vengono messi gli impianti, si faccia della formazione gratuita per i giovani che vogliono lavorare<br />
in questo settore. Una sorta di perequazione di livello più ampio la può fare la Provincia<br />
con un’azione di coordinamento ed è giusto che la faccia un ente superiore al singolo comune,<br />
ma è giusto anche che ci sia una perequazione <strong>locale</strong> che deve essere fatta dal sindaco con i<br />
propri cittadini. Per ora la Provincia non può svolgere questo ruolo di coordinamento, neanche<br />
in Toscana, perché non sono ancora stati definiti gli obiettivi nazionali di burden sharing per<br />
150
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
le Regioni e le Province. Se la macchina non ha lo sterzo, è inutile che ci sia un bel motore o<br />
delle belle gomme, perché non si può guidare. Questo è il problema e da questo punto di vista<br />
siamo completamente ingessati (Flavio Morini, ANCI e Scansano).<br />
9.4 Rinnovabili, multiutilities e smart grid<br />
Rispetto al tema del rapporto tra <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> e <strong>sviluppo</strong> delle energie rinnovabili, al<br />
fine di superare l’asse tra localismo e i processi di resistenza e conflitto, vanno presi in considerazione<br />
altri due temi chiave che sono tra loro strettamente intrecciati:<br />
• il tema delle utilities;<br />
• il tema della modernizzazione della rete elettrica.<br />
In primo luogo, il tema delle utilities è cruciale perché, con pochissime eccezioni, le<br />
amministrazioni locali e soprattutto il loro personale politico (ma anche quello inquadrato<br />
nella struttura) non hanno la cultura, la sensibilità e le conoscenze per avviare, o anche solo<br />
aggregarsi, a processi di <strong>sviluppo</strong> integrato delle fonti rinnovabili. D’altra parte, anche se lo<br />
volessero, non dispongono, e disporranno sempre meno, di strumenti operativi. La legge italiana<br />
– a seguito di una interpretazione molto drastica e violenta di orientamenti dell’UE assai<br />
meno vincolanti - impone loro di dimettere entro breve le imprese controllate o partecipate,<br />
per affidarle a gestioni private e a processi di aggregazione che le allontanano sempre più<br />
dal territorio, dalle sue esigenze e, soprattutto, dalle sue possibilità di un controllo diretto<br />
da parte degli utenti/cittadini. Se questo processo andrà avanti, queste società, oggi sotto<br />
il controllo degli enti locali, si trasformeranno in holding coinvolte nel gioco finanziario<br />
planetario.<br />
Occorre, invece, che nei territori di loro competenze agli enti locali venga restituita la<br />
possibilità, nella massima trasparenza di fronte ai propri amministrati, di fare impresa, di<br />
promuovere accordi che garantiscono mercato a chi impegna in produzioni che corrispondono<br />
ad un disegno condiviso, di sostenere lo <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> delle energie rinnovabili.<br />
All’inizio del Novecento, per fornire alla parte meno privilegiata dei propri amministrati<br />
elettricità, acqua, gas, fognature, trasporto, e poi anche gestione dei rifiuti, sanità, assistenza,<br />
cultura, le amministrazioni a guida socialista o democratica del nostro Paese avevano<br />
fondato le imprese “municipalizzate” che esse potevano controllare direttamente grazie alla<br />
copertura di una legge nazionale voluta da Giolitti. Quel sistema di imprese pubbliche – molto<br />
presente al Centro-Nord e assai meno nel Mezzogiorno –, che ora l’art. 15 del D.L. 135/08<br />
(cosiddetto Decreto Ronchi), che ha modificato l’art. 23 bis della Legge 133/08 impone di<br />
smantellare, 107 è stato fatto in gran parte degenerare dal clientelismo. Nei casi in cui queste<br />
imprese pubbliche sono già state privatizzate, il cambiamento di proprietà non sembra aver<br />
apportato alcun miglioramento agli utenti, mentre ha contribuito comunque non poco ad<br />
alimentare una nuova ondata di “finanziarizzazione” dell’economia e l’”esternalizzazione” dei<br />
servizi, affidati a subappalti fondati sullo sfruttamento intensivo del lavoro.<br />
Le forme dell’intervento dei municipi nell’economia devono sicuramente cambiare. La<br />
trasparenza di tutte le operazioni effettuate, il coinvolgimento della cittadinanza attiva nella<br />
gestione ne devono diventare vincoli ineludibili, perché sono l’unico presidio nei confronti<br />
delle degenerazioni clientelari, che aprono poi le porte alle infiltrazioni e al controllo della<br />
107 Si prevede come forme ordinarie di affidamento la gara ad evidenza pubblica e la società mista pubblico-privato (nella<br />
quale il privato scelto attraverso gara, possegga almeno il 40% delle azioni), relegando come residuali e straordinarie persino le<br />
gestioni attraverso SpA a totale capitale pubblico. Con l’avvento delle SpA, non solo i cittadini, ma persino i consigli comunali<br />
perdono ogni capacità di controllo e di intervento sulle decisioni; e quando addirittura le società gestrici sono collocate in<br />
Borsa, ogni possibile vincolo può essere eliminato, in quanto considerato turbativo del buon andamento del titolo sul mercato<br />
finanziario.<br />
151
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
L’ACSM - Azienda Consortile per i Servizi Municipali del Primiero (Trento)<br />
L’ACSM (www.acsmprimiero.com) è una piccola multiutility – società per azioni la cui quota di larga<br />
maggioranza è detenuta dai Comuni del territorio - che opera nel territorio del Primiero, area sudorientale<br />
della provincia di Trento a ridosso della regione Veneto, che si compone di tre valli principali<br />
(Cismòn, Vanoi e Mis), con un concentrazione degli abitanti nel fondovalle (Marella e Baldo, 2009).<br />
L’ACSM si occupa della produzione e della distribuzione dell’energia idroelettrica del Primiero-Vanoi-Vanoi,<br />
della gestione degli acquedotti e dei rifiuti, oltre che di progetti innovativi per l’uso sostenibile di<br />
fonti energetiche rinnovabili (oltre all’idroelettrico, il bio-metano e il teleriscaldamento da biomasse<br />
legnose). Le risorse collettive (acqua e legno) che la società gestisce, sono strategiche per il territorio<br />
e ne fanno indirettamente un attore chiave della governance <strong>locale</strong>, uno spazio negoziale e di definizione<br />
degli indirizzi condivisi delle politiche per l’area vasta in alcune delle materie di competenza<br />
degli enti locali. “E interessante notare che i Comuni soci trovano ACM un ambito privilegiato per quanto<br />
riguarda l’elaborazione di risposte originali alle sfide complesse che si pongono nelle valli, grazie anche<br />
alle competenze tecniche e manageriali che il gruppo ha portato a sviluppare. Tale patrimonio <strong>locale</strong> di<br />
conoscenze e skills è in grado di supportare l’azione congiunta degli attori locali, che si snoda attraverso<br />
processi di negoziazione articolati, aventi come esito una gestione condivisa dei beni comuni del territorio<br />
con prospettive di lungo-lunghissimo periodo” (Marella e Baldo, 2009:241). Attualmente, l’ACSM sta<br />
costruendo un’offerta innovativa nel circuito internazionale delle Oil Free Zone, attraverso investimenti<br />
integrati sull’efficienza energetica, la produzione di energia da fonti rinnovabili e la creazione di un<br />
sistema di mobilità sostenibile integrato con un sistema di ospitalità e di animazione turistica sempre<br />
più specifico e innovativo. Si tratta di un sistema produttivo ancora in gran parte da costruire, ma<br />
molto promettente nei confronti della crescente area di domanda turistica green.<br />
malavita organizzata. Ma, non ci potrà essere uno <strong>sviluppo</strong> delle energie rinnovabili all’interno<br />
di processi di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> senza un recupero radicale, da parte delle amministrazioni<br />
locali, del potere di intervenire nella gestione dei processi di produzione e consumo che<br />
interessano il loro territorio.<br />
In secondo luogo, il tema della modernizzazione della rete elettrica è cruciale perché il<br />
nuovo rapporto tra produzione e consumo è alla base della metamorfosi che si profila nel campo<br />
della generazione e distribuzione di energia elettrica. Il recente moltiplicarsi di impianti a<br />
fonti rinnovabili, infatti, impone un adeguamento dell’attuale sistema elettrico, ad oggi programmato<br />
e realizzato per una generazione centralizzata. Nel nuovo scenario caratterizzato<br />
da una ampia diffusione degli impianti a fonti rinnovabili, con riferimento all’evoluzione del<br />
sistema elettrico, inteso nel senso più generale, emergono due esigenze prioritarie:<br />
• come favorire le generazione di energia elettrica da fonte rinnovabile tipicamente caratterizzata<br />
da discontinuità produttiva, piccole taglie e localizzazione decentrata;<br />
• come far partecipare anche i piccoli impianti o i carichi di modesta entità al bilanciamento<br />
della domanda e dell’offerta di energia.<br />
Per perseguire questi due obiettivi, un ruolo importante è necessariamente svolto dalle<br />
reti di distribuzione elettrica, quelle reti prevalentemente esercite in media e bassa tensione<br />
che coprono capillarmente il territorio nazionale e garantiscono la fornitura alle utenze di<br />
piccole dimensioni, come quelle del settore domestico. Queste reti, però, non sono state<br />
progettate per soddisfare queste due esigenze:<br />
• la presenza di numerosi impianti di generazione di piccola taglia non programmabili<br />
richiede una revisione delle protezioni di linea e un controllo delle caratteristiche della fornitura,<br />
in primis della tensione, per salvaguardare la sicurezza e la qualità;<br />
152
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Integrazione delle energie rinnovabili nel sistema elettrico: il ruolo della meteorologia<br />
La complessità dell’integrazione delle fonti rinnovabili nei sistemi elettro-energetici è legata essenzialmente<br />
alla non programmabilità di queste. Gli impianti di conversione dell’energia <strong>eolica</strong> e solare<br />
in elettrica producono energia elettrica solo nel momento in cui la fonte rinnovabile è disponibile/<br />
presente e sono, quindi, caratterizzate da una variabilità intrinseca (giornaliera/stagionale e atmosferico/meteorologica)<br />
che si ripercuote sulla rete elettrica. D’altronde la politica di incentivazione<br />
delle fonti rinnovabili dispone che la loro produzione goda della priorità di dispacciamento, ovvero<br />
dell’immissione in rete, rispetto alle fonti convenzionali. L’aleatorietà della produzione rinnovabile e<br />
la necessità di bilanciare istantaneamente domanda ed offerta di energia può, quindi, provocare sbilanciamenti<br />
che devono essere subito compensati dal gestore della Rete Elettrica Nazionale attraverso<br />
la gestione di quote di potenza generate da fonti rapidamente disponibili e modulabili. Attualmente<br />
le uniche fonti con queste caratteristiche e con potenza sufficiente sono le centrali idroelettriche<br />
con serbatoio e quelle turbogas. La quota di potenza che ogni giorno viene messa a disposizione per<br />
questa operazione si chiama “riserva” e viene acquistata dal gestore della Rete Elettrica Nazionale<br />
sul mercato libero. Al fine di aumentare il margine di modulazione, sono state costruite in passato<br />
le cosiddette centrali di pompaggio, in grado di immagazzinare energia mediante sollevamento<br />
dell’acqua durante i periodi di basso fabbisogno e fornire energia nei momenti di maggior bisogno.<br />
Lo <strong>sviluppo</strong> di questo metodo di accumulo è però condizionato dalla disponibilità di bacini idrici<br />
adatti a questo scopo. Tali bacini sono solitamente situati al nord, lontano dalle zone di produzione<br />
delle centrali eoliche e solari. Rispetto al passato, caratterizzato da un’offerta di potenza e un fabbisogno<br />
abbastanza prevedibili (centrali a carbone, olio, e idroelettrico modulabile), oggi l’immissione<br />
di quote sempre maggiori di potenza ad alta variabilità fa aumentare la necessità di modulazione e<br />
di previsione della riserva necessaria per l’operazione di bilanciamento. In aggiunta le attuali linee<br />
elettriche che collegano il nord con il sud non sono in grado di trasferire con efficienza l’energia<br />
necessaria per queste modulazioni.<br />
Le energie rinnovabili introducono un’altra difficoltà gestionale, di tipo economico, relativa alla<br />
vendita sul mercato operata dai singoli grandi produttori o dal GSE per conto dei piccoli. Per poter<br />
vendere in modo ottimale l’energia rinnovabile è necessario avere una stima, quanto più affidabile,<br />
del profilo orario che si produrrà il giorno dopo. Questa previsione è ovviamente ottenibile attraverso<br />
una buona previsione di vento e di radiazione solare sui siti degli impianti. A tutt’oggi tale attività<br />
è lasciata ai singoli produttori o al GSE e non esiste per ora in Italia l’intenzione di unificare i sistemi<br />
di previsione a beneficio di tutti: Gestore della Rete e produttori. Le previsioni meteorologiche<br />
sono utili anche nei casi in cui il Gestore della Rete ha la facoltà di scollegare i generatori eolici per<br />
evitare sbilanciamenti tali da compromettere la stabilità della rete. In queste occasioni il produttore<br />
“scollegato” riceve un indennizzo proporzionale all’energia che avrebbe prodotto durante il periodo di<br />
distacco. L’unico modo per calcolare questo indennizzo è quello di conoscere a posteriori il vento che<br />
ha agito sul sito del generatore distaccato. A tal fine è necessario che GSE, preposto a questa valutazione,<br />
disponga di misure affidabili oppure valutazioni modellistiche del vento per ogni parco eolico<br />
che ha subito un distacco. I modelli meteorologici vengono così incontro a diversi problemi sorti con<br />
lo <strong>sviluppo</strong> delle energie rinnovabili, sia per mezzo di una previsione nel futuro, sia ricostruendo il<br />
tempo passato. Essi partono da uno stato iniziale e, imponendo forzanti esterne (energia solare, oceano,<br />
terreno), simulano la dinamica di tutti i fenomeni atmosferici, restituendo stime delle principali<br />
variabili, quali temperatura, vento, radiazione solare, ecc. I modelli meteorologici sono già da tempo<br />
in uso nei paesi a forte penetrazione rinnovabile, come la Germania, Danimarca, Spagna, Olanda. Nel<br />
campo eolico questi paesi sono leader per la previsione meteorologica. Per l’energia solare invece il<br />
problema è complicato dall’influenza di fenomeni micro-fisici di difficile simulazione, come le nubi<br />
e la dinamica degli aerosol atmosferici. La ricerca scientifica sta però facendo passi da gigante in<br />
questo campo proprio perché spinta dalle criticità gestionali sollevate dalle energie rinnovabili, nella<br />
loro integrazione nelle reti elettriche.<br />
153
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
• la presenza di produzioni e carichi non programmabili richiederebbe lo <strong>sviluppo</strong> di<br />
nuovi servizi di rete, come il servizio di storage (attraverso sistemi di accumulo/stoccaggio<br />
dell’energia elettrica prodotta e non immettibile in rete), per non indurre un onere eccessivo<br />
al mercato del bilanciamento.<br />
Lo <strong>sviluppo</strong> della generazione <strong>eolica</strong> si inserisce in un contesto più ampio di profonda<br />
trasformazione del sistema elettrico, che parte dalle reti di distribuzione (quelle a media e<br />
bassa tensione, che alimentano la maggior parte dei carichi) e arriva fino al sistema di trasmissione<br />
(le “autostrade dell’energia”, 220-380 kV). La variabilità e volatilità introdotta dalla<br />
generazione <strong>eolica</strong> sulle reti di trasmissione e distribuzione richiedono strumenti avanzati<br />
di monitoraggio e controllo del sistema elettrico. In particolare le reti di distribuzione oggi<br />
hanno una struttura radiale e “a senso unico”, dalle stazioni di trasformazione verso i consumatori.<br />
Oggi, la rete elettrica è un sistema gerarchico complesso monodirezionale e controllato<br />
secondo canoni precisi. Con la diffusione delle rinnovabili sul territorio, le sorgenti<br />
diventano miriadi, fonti intermittenti, variabili, incostanti. Pertanto, occorrono modifiche<br />
concettuali alla struttura, ma soprattutto alla gestione delle reti, trasformando radicalmente<br />
il loro modus operandi, fra l’altro, le reti di distribuzione passano da sistemi “passivi”, in cui<br />
l’elettricità viene trasportata dal luogo di produzione a quello di consumo, a sistemi “attivi”,<br />
intelligenti e customer centric in cui ci sono:<br />
• sistemi di misura avanzati (smart metering 108 );<br />
• un controllo tempestivo dei flussi di rete;<br />
• sistemi bidirezionali di dialogo tra la rete e gli utenti che sono sia consumatori sia produttori;<br />
• nuovi usi dell’energia funzionali al condizionamento dei profili di carico alle interfacce<br />
con la rete di trasmissione nazionale.<br />
Una trasformazione questa che implica un adattamento delle infrastrutture elettriche e<br />
la creazione di vere e proprie smart grid, reti/apparati intelligenti, per dar vita ad un sistema<br />
elettrico più affidabile, flessibile, sicuro ed efficiente, in grado di:<br />
• far dialogare produttori e consumatori, accogliendo le nuove esigenze dei consumatori,<br />
come quella di partecipare attivamente al processo di produzione dell’energia;<br />
• accogliere l’energia non programmabile (fonti rinnovabili);<br />
• conciliare sistemi tradizionali di generazione centralizzati con quelli distribuiti, tipici<br />
delle fonti rinnovabili;<br />
• anticipare le esigenze degli utenti finali;<br />
• garantire ai fruitori un riscontro dei consumi energetici.<br />
Una smart grid è una rete con molti nodi e tecnologie intelligenti, capaci di bilanciare e<br />
ridistribuire i flussi di produzione delle diverse fonti, compensando automaticamente gli sbalzi<br />
che possono portare a black-out. La rete dovrà assicurare, mediante comunicazione interna,<br />
automazione digitale diffusa in ogni cabina elettrica, software per il bilanciamento delle<br />
tensioni e centri di controllo, la stessa identica stabilità di prima, prevedendo in tempo e poi<br />
correggendo ogni variabilità in pochi secondi. Si tratta di innovazioni basate sull’ottimizzazione<br />
della produzione elettrica a seconda della domanda e di una migliore gestione dell’energia<br />
da generazione distribuita. L’intelligenza rappresenta il fattore cruciale nell’adeguamento<br />
delle attuali reti di trasmissione e distribuzione elettrica. Solo aggiungendo elementi di<br />
“proattività” all’infrastruttura, infatti, potrà essere possibile ottimizzare il contributo delle<br />
108 L’Italia detiene il primato in Europa nello <strong>sviluppo</strong> di smart meter, i contatori elettronici capaci, sulle stesse linee elettriche<br />
di inviare alle centrali i dati dei consumi delle utenze. Entro il 2011 i 36 milioni di clienti finali potranno usufruire di<br />
contatori intelligenti. Il primo pese europeo, però, che ha raggiunto il 100% di copertura è stato la Svezia.<br />
154
9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
fonti rinnovabili alla produzione e al consumo di energia, gestire la convenienza con le altre<br />
fonti, garantire l’approvvigionamento a sistemi di mobilità “pulita”, aumentare l’efficienza<br />
complessiva della trasmissione e della distribuzione anche attraverso soluzioni di storage e,<br />
soprattutto, incrementare la quantità di informazioni che sulle reti possono viaggiare.<br />
Questo è un problema strutturale generale di un sistema che per un secolo è stato alimentato da<br />
poche grandissime centrali a combustibile programmabile e che ora deve fare la transizione verso<br />
un combustibile non programmabile, ma universalmente disponibile come il vento e il sole. È<br />
chiaro che una transizione di questo genere non la si fa in 10 anni. Probabilmente, ci vuole un<br />
secolo, perché si deve progressivamente, man mano che le rinnovabili si diffondono, avere dei<br />
punti di ingresso e uscita molto più capillari e, quindi, una moltiplicazione di cabine elettriche,<br />
realizzate anche là dove non ci sono delle utenze – questo è soprattutto il problema dell’eolico,<br />
mentre il fotovoltaico anche se è a terra normalmente sta vicino alle aree abitate. Questa è<br />
soltanto la prima fase. Nella seconda fase ci sarebbe bisogno di stoccarla quell’energia <strong>eolica</strong><br />
e, quindi, trasformarla in vettori che siano utilizzabili in maniera differita rispetto al consumo.<br />
Lì c’è tutto il tema dell’idrogeno, della trasformazione di un’energia aleatoria in un sistema di<br />
stoccaggio. Quello sarà un passo ulteriore, un problema che probabilmente affronteremo nella<br />
seconda metà di questo secolo. Dal 2050 in poi ci saranno già tecnologie – avendo il petrolio<br />
ormai un prezzo/disponibilità troppo più elevato rispetto alle fonti rinnovabili – in grado di<br />
adeguare la rete per valorizzare l’opzione più competitiva (Mario Gamberale, Kyoto Club).<br />
La tecnologia è in continua evoluzione e il mercato dei prodotti “intelligenti” deve<br />
ancora consolidarsi: spetta ai governi individuare le strategie da implementare e attuare,<br />
dando impulso all’industria. La complessità dei meccanismi di <strong>sviluppo</strong> di un sistema di reti<br />
intelligenti non deve essere sottovalutata. Non vi è dubbio che si tratti di progetti complessi<br />
che, oltre al lancio commerciale della tecnologia, presuppongono l’investimento di ingenti<br />
capitali, contestualmente allo <strong>sviluppo</strong> di una nuova governance e delle rete di fornitura e al<br />
coinvolgimento degli stakeholders.<br />
Lo scenario energetico che abbiamo davanti comporta dei cambiamenti radicali nelle reti. Non<br />
siamo in Cina, dove si decide da un lato di promuovere le rinnovabili e dall’altro di ristrutturare<br />
le reti, e quindi, si spende per fare entrambe le cose contemporaneamente in maniera coordinata,<br />
è un tutt’uno la decisione politica e l’azione. In Europa, invece, noi abbiamo il mercato<br />
dell’energia che è liberalizzato e, quindi, l’iniziativa è in mano ai privati, mentre le infrastrutture<br />
sono in mano allo Stato o a società parastatali che sono sempre in deficit di fondi, pertanto<br />
il processo è molto più complicato. Ci sono aree che hanno grande potenziale da vento e sole,<br />
dove il mercato spinge a realizzare grandi infrastrutture di produzione, e una rete che arranca<br />
nel tentativo di trovare risorse per provare ad adeguarla per consentire il diritto prioritario di<br />
dispacciamento, per intercettare quell’energia e quella potenza (Mario Gamberale, Kyoto Club).<br />
Sicuramente con le tecnologie disponibili oggi, e sempre più nel futuro, permetteranno<br />
la creazione di smart grid locali interconnesse, sviluppate tenendo conto dell’energy modeling<br />
di ciascun territorio.<br />
È il passaggio dal modello ad albero al modello a rete: non più una grande centrale con l’energia<br />
che scende per i rami, ma un network senza scala gerarchica. Una rivoluzione che consente una<br />
serie di risparmi. Il primo è nell’investimento, perché siriesce a produrre energia con una serie<br />
di piccoli e piccolissimi punti di produzione. Il secondo vantaggio è nel miglioramento della<br />
gestione degli impianti, che non sono più sottoposti allo stress del salto improvviso da un minimo<br />
di produzione a un picco, ma possono attestarsi sulla capacità ottimale e quindi durano<br />
155
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
di più. Il terzo beneficio è l’eliminazione delle perdite di trasmissione, che possono arrivare al<br />
30% dell’elettricità prodotta. A Roma abbiamo cominciato a costruire delle smart grid: una è<br />
alla Sapienza, una all’EUR, un’altra collega un gruppo di impianti sportivi (Livio Santoli, prorettore<br />
dell’Università La Sapienza di Roma e responsabile del nuovo piano energia del Comune<br />
di Roma, in Cianciullo, 2011d).<br />
E’ un modello che richiede un cambio radicale del sistema organizzativo: dal sistema di<br />
produzione alle connessioni, al controllo, tutto deve cambiare. Fra le innovazioni tecnologiche<br />
emerge anche il ruolo della corrente continua, che è quella fornita dagli impianti basati<br />
sulle rinnovabili e che oggi viene convertita in alternata utilizzando gli inverter. In questo<br />
contesto, risulta fondamentale rendere i consumatori parti attive nel processo di fornitura<br />
dell’energia, attraverso una giusta informazione che li incentivi gradualmente a modificare le<br />
proprie abitudini per accostarsi in modo “intelligente” a nuovi comportamenti di consumo.<br />
L’internazionalizzazione del mercato e l’accresciuta decentralizzazione della produzione<br />
energetica, poi, spingono verso l’interconnessione di impianti a fonti rinnovabili localizzati<br />
in zone geografiche diverse e il trasferimento di grandi quantitativi di energia attraverso l’installazione<br />
di diverse migliaia di chilometri di cavi sottomarini ad alta tensione in corrente<br />
continua (HVDC), così come previsto dal progetto Desertec e da quello per l’eolico offshore dei<br />
Paesi del Mare del Nord (con 140 GW di capacità <strong>eolica</strong> offshore già pianificati).<br />
Questa non è fantascienza, ma già oggi ci pone il problema di come andare a realizzare le<br />
infrastrutture solari energetiche nel Nord Africa e trasferire grandissime quantità di energia<br />
elettrica ad altissima tensione per alimentare la rete europea. La Germania ha un progetto su<br />
Gibilterra, la Francia da Tunisi attraverso la Sicilia. Dall’Albania verso l’Italia. Insomma, ci sono<br />
dei progetti operativi come Desertec, promosso da banche e utility europee, per un costo di<br />
3-400 miliardi di euro per iniziare a realizzare questo tipo di infrastrutture. In Marocco sono<br />
partiti i progetti preliminari con i layout degli impianti, finanziato da un fondo e dalla Banca<br />
Mondiale per avviare il processo (Mario Gamberale, Kyoto Club).<br />
156
Testimoni privilegiati<br />
Nominativo<br />
Battistella Alessio<br />
Belli Domenico<br />
Berdini Paolo<br />
Brandi Roberto<br />
Bruni Ivano<br />
Caivano Virgilio<br />
Canavero Giulia<br />
Caradonna Gerardo<br />
Castelli Ranieri<br />
Dal Bosco Tommaso<br />
Dedda Michele<br />
Della Seta Roberto<br />
Gamberale Mario<br />
Gurisatti Paolo<br />
Leoni Stefano<br />
Lincetti Alberto<br />
Magnaghi Alberto<br />
Maio Giada<br />
Marchisio Andrea<br />
Masini Stefano<br />
Midulla Maria Grazia<br />
Organizzazione<br />
Architetto, docente di progettazione del paesaggio, consulente<br />
RSE SpA<br />
Responsabile della campagna energia e clima di Greenpeace<br />
Italia<br />
Ingegnere, urbanista, docente all’Università di Roma Tor Vergata,<br />
già segretario generale dell’Istituto Nazionale di Urbanistica<br />
Consigliere e membro del Gruppo di lavoro energia del CNEL<br />
Generation market development – Italy development – Renewable<br />
Energies Division di Enel Green Power SpA<br />
Presidente della rete Piccoli Centri Europei<br />
(www.piccolicentrieuropei.com)<br />
Responsabile dell’ufficio ambiente e qualità di FERA Srl – Fabbrica<br />
Energie Rinnovabili Alternative<br />
Presidente ed amministratore delegato di PurEnergy SpA<br />
di Bisaccia (AV)<br />
Sindaco di Rocchetta Sant’Antonio (FG)<br />
Direttore generale di UNCEM<br />
Sindaco di Bovino (FG)<br />
Membro della XIII Commissione <strong>Territorio</strong>, <strong>Ambiente</strong>, Beni Ambientali,<br />
già presidente di Legambiente<br />
Responsabile energie rinnovabili del Kyoto Club<br />
Responsabile ricerca e <strong>sviluppo</strong> del Consorzio Habitech<br />
(www.dttn.it) e consulente ambiente e energia dell’UNCEM<br />
Presidente nazionale del WWF<br />
Responsabile prodotto energia di Leasint – Gruppo Intesa San<br />
Paolo<br />
Ordinario di pianificazione territoriale della Facoltà di Architettura<br />
dell’Università di Firenze<br />
Responsabile del settore energia di ANCI Nazionale<br />
Responsabile del settore eolico di APER – Associazione Produttori<br />
<strong>Energia</strong> da Fonti Rinnovabili<br />
Responsabile ambiente della <strong>Coldiretti</strong><br />
Responsabile clima ed energia del WWF Italia<br />
157
<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Mignogna Gianfilippo<br />
Moderini Daniela<br />
Morini Flavio<br />
Murgante Pasquale<br />
Nicoletti Giuseppe Martino<br />
Parisi Lucilla<br />
Pasquali Franco<br />
Pennesi Federico<br />
Pratesi Costanza<br />
Raffa Michele<br />
Refrigeri Roberto<br />
Ricciardi Francesco<br />
Rossi Antonio<br />
Sacco Marina<br />
Saturnino Antonio<br />
Selano Giovanni Alessandro<br />
Schiapparelli Carlo<br />
Silvestrini Gianni<br />
Togni Simone<br />
Zanchini Edoardo<br />
Sindaco di Biccari (FG)<br />
Architetto e docente di architettura del paesaggio all’Università<br />
di Ferrara<br />
Sindaco di Scansano (GR) e delegato per l’ambiente dell’ANCI<br />
Nazionale<br />
Sindaco di Accadia (FG)<br />
Docente di Sistemi di gestione e certificazione ambientale e turismo<br />
sostenibile e coordinatore del Master di primo livello in<br />
Management delle imprese di servizi energetici e ambientali<br />
dell’Università di Foggia<br />
Vicesindaco di Roseto Valfortore (FG)<br />
Segretario generale della Col diretti<br />
Sindaco di Santa Luce (PI)<br />
Responsabile dell’ufficio paesaggistico e territorio del FAI – Fondo<br />
<strong>Ambiente</strong> Italiano<br />
Amministratore di Fortore <strong>Energia</strong> SpA<br />
Responsabile dell’unità di business di Napoli di Enel Green Power<br />
Sindaco di Monteverde (AV)<br />
Sindaco di Anzano di Puglia (FG)<br />
Referente APER – Associazione Produttori <strong>Energia</strong> da Fonti Rinnovabili<br />
Dirigente del settore ambiente del FORMEZ<br />
Responsabile tecnico progetti e <strong>sviluppo</strong> di Holding Fortore <strong>Energia</strong><br />
SpA<br />
managing director REpower System Italia<br />
Direttore scientifico del Kyoto Club<br />
Segretario generale ANEV – Associazione Nazionale <strong>Energia</strong> del<br />
Vento<br />
Responsabile dell’ufficio energia e clima di Legambiente<br />
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Se c’è un’immagine che, meglio di altre, connota la grande transizione dell’economia e<br />
della società dei paesi avanzati questa è certamente la pala di un generatore a vento. Simbolo<br />
e paradigma della green economy, dell’affermarsi di una via “alta” dello <strong>sviluppo</strong> che<br />
sappia incorporare e valorizzare una crescita sostenibile e compatibile con le risorse finite<br />
del pianeta, la turbina <strong>eolica</strong> prefigura una ridefinizione dei rapporti che collegano l’uomo<br />
con l’ambiente, il paesaggio, le fonti di energia, la società, l’economia, il consumo, la<br />
cultura. L’eolico e, più in generale, le energie rinnovabili si stanno sviluppando in Italia,<br />
diffondendosi sui territori locali a ritmi inimmaginabili solo 10 anni fa, nonostante fattori<br />
che incidono negativamente come le farraginosità degli iter autorizzativi o l’inadeguato<br />
<strong>sviluppo</strong> della rete elettrica. Ma, l’interesse sviluppatosi attorno agli investimenti nei grandi<br />
impianti eolici industriali pone il problema di quali siano le ricadute sulle comunità<br />
locali che vivono nei territori dove tali impianti vengono realizzati. Pertanto, ragionare sul<br />
tema dell’impatto sociale, dell’accettabilità culturale rispetto alla realizzazione di questi<br />
impianti di produzione energetica, significa misurarsi con l’insieme delle problematiche e<br />
delle opportunità connesse ai temi dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> in contesti socio-economici che<br />
molto spesso sono rimasti ai margini del processo di civilizzazione industriale del Novecento<br />
e che finora hanno subito i processi di modernizzazione.<br />
Ricerca sul Sistema Energetico – RSE S.p.A. Sviluppa attività di ricerca nel settore elettro-energetico,<br />
con particolare riferimento ai progetti strategici nazionali, di interesse pubblico<br />
generale, finanziati con il Fondo per la Ricerca di Sistema. Le attività dell’azienda<br />
coprono l´intera filiera elettro-energetica in un´ottica essenzialmente applicativa e sperimentale.<br />
RSE S.p.A. è partecipata totalmente da capitale pubblico: socio unico GSE<br />
S.p.A.<br />
Analisi e Ricerche Territoriali – ART S.r.l. È impegnata in attività di analisi e di ricerca<br />
socio-economica e territoriale con un’attenzione particolare alle tematiche dell’animazione<br />
sociale e dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>.