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Energia eolica e sviluppo locale - Ambiente e Territorio - Coldiretti

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<strong>Energia</strong><br />

<strong>eolica</strong><br />

e<br />

<strong>sviluppo</strong><br />

<strong>locale</strong><br />

Territori, green economy e processi partecipativi


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Territori, green economy e processi partecipativi<br />

ART srl – Analisi e Ricerche Territoriali<br />

Roma & Modena<br />

Realizzato per conto<br />

di Ricerca Sistema Energetico - RSE SpA<br />

Analisi & Ricerche Territoriali srl


Progetto grafico e impaginazione: Fralerighe, Tivoli<br />

© Copyright 2011 Ricerca sul Sistema Energetico - RSE S.p.A.<br />

Finito di stampare nel mese di giugno 2011<br />

La riproduzione e/o diffusione parziale o totale dei contenuti del presente volume è consentita esclusivamente<br />

con la citazione completa “Ricerca sul Sistema Energetico - RSE S.p.A., <strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>”.


Sommario<br />

INTRODUZIONE 5<br />

1. LO SCENARIO GENERALE 11<br />

2. LA PRODUZIONE DI ENERGIA EOLICA IN ITALIA 15<br />

3. LA PRODUZIONE DI SISTEMI EOLICI IN ITALIA 25<br />

4. IL QUADRO NORMATIVO NAZIONALE 31<br />

4.1 La prima fase (1988-1997) 32<br />

4.2 La seconda fase (1998-2002) 32<br />

4.3 La terza fase (2003-presente) 34<br />

5. IL RUOLO DEL SISTEMA FINANZIARIO 49<br />

6. GLI ELEMENTI DI CRITICITÀ 55<br />

6.1 Le difficoltà tecniche 55<br />

6.2 Procedure amministrative 58<br />

6.3 La carenza di una informazione corretta 66<br />

7. IMPATTO AMBIENTALE E PAESAGGISTICO 73<br />

7.1 Impatto visivo 84<br />

7.2 Impatto su flora, fauna e avifauna 88<br />

7.3 Impatto acustico ed elettromagnetico 89<br />

7.4 Criteri per una corretta progettazione delle centrali eoliche 90<br />

8. RICADUTE TERRITORIALI E BUONE PRATICHE 95<br />

8.1 Piccole e grandi royalties 95<br />

8.2. Alcune esperienze del rapporto tra grande eolico e territorio 103<br />

9. APRIRE UNA SECONDA FASE: RINNOVABILI E SVILUPPO LOCALE 125<br />

9.1 Rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> 127<br />

9.2 Rinnovabili e agricoltura 141<br />

9.3 Rinnovabili e aggregazioni territoriali 146<br />

9.4 Rinnovabili, multiutilities e smart grid 151<br />

TESTIMONI PRIVILEGIATI 157<br />

BIBLIOGRAFIA 159


Introduzione<br />

Se c’è un’immagine che, meglio di altre, connota la grande transizione dell’economia e<br />

della società dei paesi avanzati questa è certamente la pala di un generatore a vento.<br />

Simbolo e paradigma della green economy, dell’affermarsi di una via “alta” dello <strong>sviluppo</strong><br />

che sappia incorporare e valorizzare una crescita sostenibile e compatibile con le risorse finite<br />

del pianeta, la turbina <strong>eolica</strong> prefigura una ridefinizione dei rapporti che collegano l’uomo<br />

con l’ambiente, il paesaggio, le fonti di energia, la società, l’economia, il consumo, la cultura.<br />

Se il grande impianto di produzione energetica a combustibili fossili con le sue ciminiere<br />

fumanti, localizzato in prossimità dell’area urbana ed industriale, costituisce una delle icone<br />

del ‘900, negli ultimi anni si sono affermati - grazie allo <strong>sviluppo</strong> tecnologico, alla crescente<br />

consapevolezza dei problemi connessi con i cambiamenti climatici in atto, al diffondersi di<br />

processi e di dinamiche di cittadinanza attiva etc. - modelli di produzione energetica sostenibili<br />

e connessi all’utilizzo di fonti rinnovabili.<br />

Un aspetto rilevante per un paese come l’Italia caratterizzato da forti squilibri socioeconomici<br />

territoriali, proprio perché “modulabili”, gli impianti ad energie rinnovabili - ed in<br />

particolare quelli che utilizzano la risorsa anemologica - possono essere localizzati ovunque,<br />

anche in siti montani lungo il crinale appenninico, ovvero in quelle aree interne del sistemapaese<br />

che sono rimaste ai margini del processo di civilizzazione industriale e che hanno<br />

subìto, più che vissuto, i processi di modernizzazione.<br />

Pertanto, ragionare sul tema dell’impatto sociale, dell’accettabilità culturale rispetto alla<br />

realizzazione di questi impianti di produzione energetica, significa misurarsi con l’insieme<br />

delle problematiche e delle opportunità connesse ai temi dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> in aree difficili,<br />

in contesti socio-economici in deficit di <strong>sviluppo</strong>.<br />

Noi abbiamo delle zone interne che sono abbandonate o in via di abbandono: allora l’eolico e le<br />

altre energie rinnovabili potrebbero essere un’opportunità di ripresa. Energie rinnovabili, agricoltura<br />

di qualità, turismo rurale, un po’ di manifatturiero leggero e servizi, potrebbero benissimo<br />

essere queste le basi economiche di una ripresa di queste aree più interne dell’Appennino<br />

(Paolo Berdini, Università di Roma Tor Vergata).<br />

* * *<br />

Non che la soft economy non sia già presente in questi luoghi, tutt’altro. Le produzioni<br />

agroalimentari identitarie, il turismo outdoor, il neo-borghigianesimo connesso al recupero<br />

5


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

di cascinali, casali, borghi e centri storici, la risalita “a salmone” delle piccole imprese, la<br />

“parchizzazione” del territorio, sono alcuni (e forse i principali) indicatori del processo di terziarizzazione<br />

e di globalizzazione anche di queste economie territoriali marginali. È casomai<br />

il mix tra queste nuove e diverse funzioni territoriali, i collegamenti che si vengono (o che si<br />

potrebbero) stabilire tra produzioni tipiche, servizi identitari, qualità del sistema territoriale,<br />

e flussi della modernità a determinare il diverso grado di accettabilità socio-culturale di impianti<br />

eolici sul territorio.<br />

* * *<br />

L’eolico e, più in generale, le energie rinnovabili si stanno sviluppando in Italia, diffondendosi<br />

sui territori locali a ritmi inimmaginabili solo 10 anni fa, nonostante fattori che<br />

incidono negativamente come:<br />

• le difficoltà tecniche dovute alla complessità orografica del territorio italiano ed in particolare<br />

alla scarsa accessibilità delle aree interne dell’Appennino centro-meridionale dotate<br />

di un buon regime anemologico;<br />

• l’inadeguato potenziamento e <strong>sviluppo</strong> della rete elettrica;<br />

• le difficoltà sia da parte del governo centrale che delle singole regioni – in presenza del<br />

processo di liberalizzazione del mercato energetico e del trasferimento dei poteri di programmazione<br />

energetica e di approvazione dei progetti alle regioni - ad arrivare a definire regole<br />

certe e omogenee, con una conseguente complessità e farraginosità degli iter autorizzativi;<br />

• la carenza di una informazione corretta rispetto all’energia <strong>eolica</strong> e, più in generale, alle<br />

fonti rinnovabili, sia da parte delle pubbliche amministrazioni che dei mezzi di comunicazione.<br />

Attualmente, sono circa 6 mila gli aerogeneratori installati in Italia, mentre i Comuni, che<br />

hanno centrali eoliche nel loro territorio a inizio del 2011 sono 374 (erano 118 nel 2006), per<br />

una potenza installata pari a 5.758 MW (610 MW in più rispetto al 2009). Gli impianti eolici,<br />

che per anni si sono concentrati soprattutto nell’Appennino meridionale, tra Puglia, Campania<br />

e Basilicata, e in Sicilia e Sardegna, si stanno diffondendo anche in aree del Centro-Nord.<br />

Nel 2010, gli impianti eolici hanno permesso di produrre 8.374 GWh di energia pulita,<br />

pari ai fabbisogni elettrici di oltre 3,5 milioni famiglie (Legambiente, 2011:5-6). Impianti di<br />

grande taglia sono presenti in 260 dei 374 Comuni dell’eolico, mentre sono 123 i Comuni che<br />

possiedono nel proprio territorio impianti minieolici, installazioni con potenza inferiore ai<br />

200 kW, per una potenza complessiva di 4,2 MW.<br />

I 5.758 MW eolici installati sono divisi tra 220 “Piccoli Comuni” con 3.940 MW di potenza<br />

installata e 145 con più di 5.000 abitanti e una potenza di circa 1.817 MW. In una logica di<br />

<strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, sempre maggiore attenzione dovrà essere dedicata dagli amministratori locali<br />

all’integrazione tra più fonti sul territorio, come già succede in molti Comuni per ottimizzare<br />

le caratteristiche del territorio e dare spazio adeguato, oltre all’eolico e al fotovoltaico, anche<br />

alle biomasse e in generale alle agro-energie. Secondo Legambiente (2011), oggi sono 7.661 i<br />

Comuni in Italia dove è installato almeno un impianto di fonte energetica rinnovabile. Erano<br />

6.993 nel 2010, 5.580 nel 2009, 3.190 nel 2008. In pratica le fonti pulite che fino a 10 anni<br />

fa interessavano con il grande idroelettrico e la geotermia le aree più interne, e comunque una<br />

porzione limitata del territorio italiano, oggi sono presenti nell’94% dei Comuni. Sono 7.273 i<br />

Comuni del solare, 374 quelli dell’eolico, 946 quelli del mini idroelettrico, 290 i comuni della<br />

geotermia e 1.033 quelli che utilizzano biomasse e biogas. In particolare, escludendo i grandi<br />

impianti idroelettrici, sono 964 (circa il 12%) i Comuni 100% rinnovabili, cioè che grazie ad<br />

una sola fonte rinnovabile (mini-idroelettrica, <strong>eolica</strong>, fotovoltaica, da biomasse o geotermi-<br />

6


Introduzione<br />

ca) producono più energia elettrica di quanta ne consumano, mentre sono 274 i Comuni che<br />

grazie a impianti di teleriscaldamento collegati a impianti biomassa o da geotermia superano<br />

il proprio fabbisogno, e 27 quelli che superano sia il fabbisogno elettrico che termico.<br />

* * *<br />

L’interesse sviluppatosi attorno agli investimenti nei grandi impianti eolici industriali<br />

pone il problema di quali siano le ricadute sulle comunità locali che vivono nei territori dove<br />

si collocano gli impianti. Sentendo propria la “risorsa vento”, come un bene comune del territorio,<br />

appare più che legittima l’attesa delle popolazioni locali che iniziative a carattere<br />

economico apportino vantaggi tangibili là dove la risorsa viene sfruttata. Se l’ostilità delle<br />

popolazioni locali alla localizzazione di parchi eolici nel loro territorio sta cominciando a<br />

condizionare lo <strong>sviluppo</strong> di questi impianti energetici da fonte rinnovabile, spesso questa<br />

ostilità non è motivata soltanto sulla base di percezioni e valutazioni negative in termini di<br />

un temuto impatto paesaggistico e/o ambientale, ma anche (e soprattutto) sulla convinzione<br />

che il valore aggiunto della produzione degli impianti realizzati con i benefici dell’incentivazione<br />

pubblica esce quasi totalmente dal circuito <strong>locale</strong> di produzione e di distribuzione della<br />

ricchezza. Assai diffusa, infatti, è la percezione che ci siano “tanti interessi che passano sopra<br />

le teste degli amministratori locali e dei cittadini” e che alla fine “chi fa gli affari sono solo i<br />

gestori dei parchi eolici e le banche che li finanziano”.<br />

Da un punto di vista dell’analisi territoriale, sulla base delle conoscenze in essere si<br />

possono riconoscere tre diversi atteggiamenti in relazione al tema della valutazione delle<br />

ricadute degli impianti eolici sulle comunità locali:<br />

• di resistenza difensiva al cambiamento, che si esprime in quelle aree dell’”osso” appenninico<br />

meridionale che subiscono, più che vivere in maniera attiva e da protagoniste, i processi<br />

di modernizzazione dell’economia e della società: luoghi oggi interessati da processi di<br />

invecchiamento, spopolamento, perdita di identità, ed al contempo dalla presenza di nuova<br />

residenzialità immigrata di origine straniera che pone sotto minaccia la tenuta della comunità<br />

<strong>locale</strong>. Sono i luoghi dove è prevalente il “rancore” verso chi e verso ciò che determina<br />

discontinuità e innovazione;<br />

• di apertura, come risultato del processo di interconnessione di queste aree con i centri<br />

capoluogo e/o di fondovalle, le aree distrettuali, le nuovi cattedrali del consumo costituite<br />

da centri commerciali, outlet, centri residenziali, cinema multisala, stazioni di servizio, etc.<br />

Qui, meglio che altrove, si evidenzia una capacità di comprendere le potenzialità economiche,<br />

culturali, socio-professionali ed imprenditoriali che possono scaturire a livello <strong>locale</strong><br />

dalla realizzazioni di impianti eolici. Di fatto, vi è una maggiore consapevolezza della questione<br />

energetica;<br />

• di sospensione, sono le aree che necessitano, a differenza delle prime due, di un intenso<br />

e specifico progetto di accompagnamento delle comunità locali. Sono quei luoghi che meglio<br />

di altri, hanno avuto la capacità di mettere a valore la propria distintività in termini di turismo<br />

ambientale, di ricerca di eccellenze gastronomiche ed agroalimentari, di specificità territoriali<br />

e che di conseguenza possono mettere meglio a valore anche una distintività legata<br />

ai temi delle energie rinnovabili, della qualità ambientale e del green marketing nella promozione<br />

del territorio e dei suoi prodotti/servizi, come leva per sfruttare nuove opportunità<br />

di crescita e per rinforzare la posizione competitiva del tessuto imprenditoriale territoriale.<br />

* * *<br />

7


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Il settore eolico si è andato costruendo nel tempo, anche con accelerazioni e contraddizioni<br />

locali, per cui ci sono molti impianti realizzati senza alcun confronto con il territorio,<br />

ce ne sono altri in cui invece gli imprenditori hanno avuto in effetti qualche attenzione, ma<br />

il tutto è avvenuto in modo assolutamente casuale, non essendoci stata mai una regola o<br />

premialità rispetto al ruolo di interlocuzione con il territorio.<br />

In questi anni, le principali ricadute in termini di benefici per i territori locali sono state<br />

le seguenti:<br />

• il ricorso, non sempre garantito, a imprese e a manodopera <strong>locale</strong> per la realizzazione<br />

delle parti più convenzionali dell’impianto (tipicamente le opere civili: movimento terra,<br />

scavi e sbancamenti, realizzazione di strade, fondazioni e piazzole, etc.), per la manutenzione<br />

ordinaria e la sorveglianza;<br />

• qualche realizzazione infrastrutturale, generalmente legata al miglioramento della viabilità;<br />

• i fitti dei terreni interessati dalle installazioni (anche se sovente il soggetto realizzatore<br />

acquista, perché altrimenti non riesce a concludere le operazioni di project leasing o di<br />

project financing);<br />

• qualche forma di partecipazione marginale da parte degli enti locali ai ricavi prodotti<br />

(con variazioni dall’1,5% al 5%).<br />

Più analiticamente, dal punto di vista dell’impatto economico, un impianto eolico è in<br />

grado di offrire alle casse dei Comuni, spesso piccoli e con bilanci esigui, un gettito annuo di<br />

alcune centinaia di migliaia di euro (utile sulla produzione, corrispettivo di potenza, canoni<br />

di affitto terreni). Oggi, i comuni dell’eolico in Italia sono 374 e nei casi più virtuosi questo<br />

introito viene generalmente utilizzato per interventi di compensazione ambientale, di miglioramento<br />

della qualità dei servizi, per realizzare infrastrutture ambientali.<br />

* * *<br />

Negli ultimi 15 anni sono state condotte esperienze importanti da parte di alcune realtà<br />

territoriali che hanno compreso la necessità di un protagonismo <strong>locale</strong> per rendere l’eolico<br />

una opportunità di <strong>sviluppo</strong> e valorizzazione del territorio. Le situazioni di maggiore successo<br />

- dove cioè si registra un alto grado di accettabilità e protagonismo sociale da parte della popolazione<br />

e del territorio <strong>locale</strong> verso l’eolico e le altre rinnovabili - sono quelli in cui gli enti<br />

locali (Comuni, Comunità Montane e Province) hanno svolto un ruolo come co-proponente o<br />

comunque un ruolo molto attivo. Pertanto, la possibilità che lo <strong>sviluppo</strong> dell’eolico avvenga<br />

in maniera equilibrata e condivisa sembra passare attraverso un forte e convinto coinvolgimento<br />

da parte della pubblica amministrazione e, soprattutto, dei Comuni, cioè del livello<br />

istituzionale più vicino ai problemi, alle attese e alle domande dei cittadini.<br />

In tal senso, lungi dal viziare la concorrenza nel settore energetico, si evidenzia come<br />

l’ente <strong>locale</strong> può avere un ruolo fondamentale di regolamentazione, di funzione esemplare<br />

verso la cittadinanza e gli attori che insistono sul territorio, di guida e stimolo della filiera<br />

<strong>locale</strong> delle rinnovabili. Per questo l’ANCI ha sottolineato più volte al Governo la necessità di<br />

introdurre tra le deroghe già previste all’applicazione di sanzioni in caso di mancato rispetto<br />

del Patto di Stabilità anche quella inerente i diversi proventi e incentivi percepibili dagli enti<br />

locali tramite l’utilizzo di fonti rinnovabili ed efficientamento energetico.<br />

Oggi, inoltre, non viene operata alcuna distinzione tra spese correnti e investimenti sostenuti<br />

dai Comuni: ai fini del patto di stabilità valgono allo stesso modo. Così, si penalizzano<br />

i Comuni che investono, soffocando le potenzialità e le capacità degli enti locali.<br />

8


Introduzione<br />

Purtroppo, in altri casi, i Comuni, sopraffatti da tagli e da vincoli, sono stati tentati di<br />

utilizzare l’eolico e le altre fonti rinnovabili per “fare cassa” per pagare le spese correnti,<br />

con molta attenzione agli incentivi e alle cosiddette royalties/ristori una tantum e poca al<br />

risparmio in termini di consumo proprio e della collettività, spesso in balia di soggetti non<br />

qualificati, correndo il rischio di “svendere il territorio”. Stretti tra svuotamento delle casse<br />

comunali e mancanza di personale in grado di analizzare con la dovuta competenza le proposte,<br />

troppo spesso i sindaci, inseguendo il bisogno di nuovi introiti, non si trovano nelle<br />

condizioni e con i giusti rapporti di forza per governare il fenomeno e chiedere sostanziali<br />

modifiche e diversificazioni.<br />

Certamente, l’eolico e le altre fonti di energia rinnovabili possono avere un impatto<br />

positivo importante a livello economico per l’ente <strong>locale</strong> comunale, ma questo può essere<br />

la risultante dell’integrazione di una molteplicità di fattori: il risparmio, i costi sociali e<br />

ambientali, le entrate da investimenti diretti nella produzione energetica rinnovabile e da<br />

servizi aggiuntivi, etc., e non il primo o l’unico obiettivo dell’ente <strong>locale</strong>. A livello di metodo,<br />

il Comune dovrebbe innanzitutto conoscere le potenzialità e le opportunità energetiche del<br />

proprio territorio, per poter utilizzare tutte le leve tutelandolo, migliorando la qualità dei<br />

servizi e della vita dei propri cittadini. Ora, le Linee guida per l’autorizzazione degli impianti<br />

alimentati da fonti rinnovabili 1 hanno regolamentato la materia, prevedendo la possibilità<br />

di misure compensative adeguate, sebbene non monetarie, dirette ad attivare investimenti<br />

coerenti con gli interventi sostenuti sul territorio stesso.<br />

* * *<br />

Queste misure mirano a stimolare la pratica virtuosa nel considerare in modo integrato<br />

la comunità e il territorio, con i suoi bisogni, i suoi consumi complessivi e le sue potenzialità<br />

complessive in termini energetici, focalizzando sulla concomitanza di produzione ed<br />

incremento dell’efficienza energetica, stressando la componente di risparmio, e valorizzando<br />

al massimo la distribuzione e l’autonomia energetica, a partire dal patrimonio immobiliare<br />

pubblico. Molto deve e potrà essere fatto in questa direzione da parte degli enti locali nel<br />

prossimo futuro.<br />

Altre questioni aperte sono ancora:<br />

• la possibilità di andare oltre al modello dei grandi impianti industriali, attraverso una<br />

diffusione anche di micro e mini impianti, più facilmente integrabili nel paesaggio, nelle<br />

aree agricole estensive e anche negli insediamenti artigianali/industriali, arrivando così a<br />

sviluppare un modello energetico innovativo, che in parte utilizza/consuma direttamente sul<br />

posto l’energia prodotta e in parte la interscambia in rete (riducendo la necessità di grandi<br />

reti di distribuzione);<br />

• la possibilità di collegare in modo sinergico lo <strong>sviluppo</strong> dell’eolico e delle altre fonti<br />

rinnovabili con le dinamiche di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> dei territori, nell’ipotesi che l’accettabilità<br />

sociale di questi impianti dipenda dalla capacità che hanno di integrarsi con le specificità,<br />

le vocazioni e i settori produttivi territoriali. Ragionare in modo integrato può consentire<br />

di andare nella direzione dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, ovvero di considerare il territorio come un<br />

patrimonio energetico di aria, acqua, suolo, culture produttive, agricolture, cioè di tutti gli<br />

aspetti che connotano un modello integrato di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, inserendo all’interno un driver<br />

energetico. Risulta, dunque, evidente che poiché gli impianti eolici si possono realizzare<br />

1 Approvate con Decreto 10 settembre 2010 del Ministero dello Sviluppo Economico.<br />

9


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

laddove il vento soffia davvero, che non è ovunque, il futuro di questa fonte energetica sta<br />

nel concorrere insieme alle altre fonti rinnovabili in un processo di riconversione energetica<br />

e non nel rappresentare, da sola, l’alternativa al petrolio;<br />

• la possibilità che nascano modalità di coordinamento tra gli enti locali di “ambiti ottimali”<br />

(ad esempio, sul modello dei Consorzi dei Bacini Imbriferi Montani) come modalità per<br />

programmare e fare massa critica;<br />

• la possibilità che nascano nuove multiutilities locali (a capitale misto pubblico-privato,<br />

anche con un azionariato diffuso tra i cittadini), attori della governance in grado di contribuire<br />

alla modernizzazione della rete elettrica nazionale attraverso la costruzione e gestione di<br />

smart grids (reti/apparati intelligenti capaci di bilanciare e ridistribuire i flussi di produzione<br />

delle diverse fonti) e di servizi di accumulo dell’energia elettrica prodotta e non immettibile<br />

in rete, cioè di infrastrutture e modalità di gestione “attive”, intelligenti e customer centric,<br />

sviluppate tenendo conto dell’energy modeling di ciascun territorio (cioè aderenti alle peculiarità<br />

del mix energetico territoriale e in grado di ottimizzare il rapporto tra la capacità<br />

produttiva e la capacità di consumo), e adeguate al nuovo scenario caratterizzato da un’ampia<br />

diffusione degli impianti a fonti rinnovabili tipicamente caratterizzati da discontinuità<br />

produttiva (poco programmabile, ancorché prevedibile in una certa misura), piccole taglie,<br />

carichi modesti e localizzazioni decentrate.<br />

* * *<br />

La ricerca è stata coordinata per conto di RSE SpA dalla Dottoressa Cristina Cavicchioli<br />

di RSE SpA ed è stata realizzata da ART Srl nel periodo compreso tra ottobre 2010 e febbraio<br />

2011. In questo lasso temporale sono state realizzate:<br />

• 25 interviste semistrutturate a testimoni privilegiati;<br />

• 1 focus group territoriale con testimoni privilegiati;<br />

• 1 focus group nazionale con testimoni privilegiati;<br />

Il rapporto è stato scritto da Alessandro Scassellati, che insieme a GianMario Folini, ha<br />

anche realizzato le interviste e condotto i focus group.<br />

La ricerca è stata coordinata per conto di RSE SpA dalla Dottoressa Cristina Cavicchioli<br />

di RSE SpA e finanziata dal Fondo di Ricerca per il Sistema Elettrico nell’ambito dell’Accordo<br />

di Programma tra ERSE (ora RSE SpA) ed il Ministero dello Sviluppo Economico - D.G.E.R.M.<br />

stipulato in data 29 luglio 2009 in ottemperanza del DM, 19 marzo 2009.<br />

10


1. Lo scenario generale<br />

Lo <strong>sviluppo</strong> delle energie rinnovabili è una delle sfide più importanti che abbiamo di<br />

fronte. La qualità dell’aria, la salute delle persone e i segnali di cambiamenti climatici in atto<br />

sono, infatti, strettamente legati al modello di produzione energetica e di <strong>sviluppo</strong> economico<br />

attualmente incentrato sull’utilizzo dei combustibili fossili. Pertanto, per affrontare i<br />

cambiamenti climatici occorre perseguire una strategia capace di porsi un insieme di obiettivi<br />

nel breve e nel medio termine:<br />

• un aumento dell’efficienza energetica in tutti i settori della domanda, nonché nella<br />

generazione, nella distribuzione e nella trasmissione di energia elettrica;<br />

• un progressivo passaggio a combustibili a più basso contenuto di carbonio;<br />

• una forte crescita dell’utilizzo delle fonti rinnovabili.<br />

A questo proposito, un passo fondamentale è stato compiuto dalla Commissione Europea<br />

che, con la direttiva n. 28 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, ha<br />

indicato ai paesi membri un obiettivo al 2020 per la quota di energia da fonti rinnovabili sul<br />

consumo energetico finale lordo; tale obiettivo per l’Italia è fissato al 17%. Coerentemente<br />

a quanto previsto dell’art. 4 della Direttiva, il 31 luglio 2010 lo Stato Italiano ha presentato<br />

alla Commissione europea il Piano Azione Nazionale per lo <strong>sviluppo</strong> delle fonti rinnovabili<br />

(PAN 1 ), in cui si definiscono gli obiettivi e le misure per contenere i consumi finali e sviluppare<br />

fonti rinnovabili, nonché le traiettorie per assicurare il raggiungimento degli impegni<br />

al 2020.<br />

Storicamente in Italia l’asse portante dello <strong>sviluppo</strong> delle fonti rinnovabili è il settore<br />

della produzione elettrica e, infatti, il PAN prevede al 2020 uno <strong>sviluppo</strong> della produzione<br />

elettrica da fonti rinnovabili sino a 8,5 Mtep (98,9 TWh), con un significativo <strong>sviluppo</strong> delle<br />

seguenti fonti:<br />

• eolico - con l’obiettivo di quasi decuplicare la produzione rispetto al 2005;<br />

• solare - con l’obiettivo di arrivare a 366 volte la produzione del 2005;<br />

• biomasse - con l’obiettivo di quasi quintuplicare la produzione rispetto al 2005.<br />

Guardando anche oltre il PAN, la sfida dei prossimi due decenni è quella di strutturare<br />

l’attuale sistema energetico, facendo sì che l’eolico, insieme alle altre fonti rinnovabili, possa<br />

contribuire alla copertura dei crescenti consumi del nostro paese. Ciò dovrebbe portare entro<br />

1 http://ec.europa.eu/energy/renewables/transparency_platform/action_plan_en.htm<br />

11


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

la metà del secolo ad una riconversione economica e tecnologica fondata sull’utilizzo delle<br />

fonti energetiche rinnovabili.<br />

Le fonti rinnovabili, considerate marginali fino a poco tempo fa, stanno crescendo a ritmi imprevedibili<br />

e i loro costi si stanno rapidamente riducendo. L’elettricità producibile dagli impianti<br />

eolici e solari installati nel mondo tra il 2005 e il 2010 è tre volte maggiore rispetto a quella dei<br />

reattori nucleari entrati in servizio negli stessi anni. La metà della potenza elettrica installata<br />

in Europa lo scorso decennio è rinnovabile. E l’accelerazione della crescita è formidabile. La<br />

potenza fotovoltaica globale installata nel 2010 è ad esempio, aumentata del 120% rispetto<br />

all’anno prima (Silvestrini, 2011).<br />

D’altra parte, oggi l’Italia è importatrice di energia elettrica per oltre il 13% del proprio<br />

fabbisogno e per oltre l’80% delle materie prime (gas, metano, carbone,…) per la produzione<br />

di energia elettrica (nel 2010 il costo pagato dall’Italia per importare energia ha raggiunto il<br />

primato di 51,7 miliardi di euro e per l’Unione Petrolifera il 2011 sarà peggio: 60,4 miliardi),<br />

pertanto l’apporto crescente in termini di produzione dell’eolico e delle altre fonti rinnovabili<br />

può aiutare la diminuzione di questo deficit che, a livello mondiale, è tra i più elevati. Un<br />

ricorso deciso alle fonti rinnovabili può consentire di:<br />

• ridurre le emissioni inquinanti;<br />

• aumentare la scurezza energetica;<br />

• ridurre la dipendenza dall’estero;<br />

• avere una minore fluttuazione dei prezzi;<br />

• ridurre il rischio geopolitico;<br />

• migliorare la bilancia commerciale del nostro Paese;<br />

• sviluppare occupazione e innovazione tecnologica.<br />

Le fonti rinnovabili di energia sono quelle fonti che, a differenza dei combustibili fossili<br />

e nucleari destinati ad esaurirsi in un tempo definito, possono essere considerate inesauribili.<br />

La direttiva 2009/28/CE definisce quale è il beneficio generale degli impianti da fonti rinnovabili.<br />

Su una scala di medio termine il fatto di produrre il 40% in punte da fotovoltaico ed<br />

eolico, a parità di consumi, fa sì che non lo si produce con carbone, gas o metano. Questo è un<br />

elemento di fondo che va preso i considerazione. Al di là di due altri elementi di fondo: il contributo<br />

ai cambianti climatici e quello alla sicurezza degli approvvigionamenti, perché quando<br />

ho l’85% del mio sistema elettrico che va a metano o carbone e poi c’è uno shock petrolifero<br />

in qualche parte del mondo, se sono la Norvegia che fa il 75% con l’idroelettrico, me ne sbatto,<br />

per usare una espressione un po’ volgare, quando invece sono legato ad un approvvigionamento<br />

estero diventa complicato perché soffro di una fluttuazione delle commodity energetiche che va<br />

ad impattare su tutta la produzione. Oggi, la Spagna, che ha spinto molto più di noi in questi<br />

ultimi 3-4 anni su queste tecnologie, in alcuni momenti della giornata ha il 45-50% di produzione<br />

da fonti rinnovabili – che chiaramente non è il monte complessivo delle produzioni -, ma<br />

in quel momento è alimentata da una fetta straordinaria di energia da vento, soprattutto, e in<br />

parte da fotovoltaico (Mario Gamberale, Kyoto Club).<br />

In pochi anni, il settore delle energie rinnovabili ha avuto un’esplosione. Nel 2011 sono<br />

7.661 i Comuni con almeno un impianto installato – pari all’94% dei Comuni -, arrivando a<br />

coprire il 22,1% del consumo lordo di energia elettrica (importazioni e pompaggi inclusi),<br />

nel 2008 erano solo 3.190 (Legambiente, 2011). Nel triennio 2008-2010, il settore delle<br />

rinnovabili ha registrato un trend altamente positivo: per l’eolico sono stati installati circa<br />

3.100 MW, per il fotovoltaico circa 2.200 MW e per le biomasse circa 900 MW; considerato poi<br />

12


1. Lo scenario generale<br />

il geotermico, l’idroelettrico e altre fonti minori di energia rinnovabile, si è assistito a una<br />

crescita anticiclica che ha comportato l’installazione di circa 6.600 MW e investimenti per<br />

oltre 15 miliardi euro, totalmente finanziati dal settore privato.<br />

Come già ricordato, il PAN richiede che nei prossimi anni lo <strong>sviluppo</strong> dell’eolico e delle<br />

altre fonti rinnovabili in Italia sia finalizzato al raggiungimento di obiettivi vincolanti e<br />

sanzionati in sede europea, quantificati nel 17% di penetrazione sul consumo finale lordo di<br />

energia e una riduzione del 13,5% delle emissioni rispetto al 2005. Questi obiettivi impongono<br />

alle amministrazioni – Stato centrale e Regioni – di definire delle strategie puntuali di<br />

diffusione e <strong>sviluppo</strong> delle rinnovabili, altrimenti si dovranno pagare delle pesanti sanzioni.<br />

A tal fine, la legge n. 13 del 27 febbraio 2009, all’art. 8-bis, dispone che gli obiettivi nazionali<br />

siano ripartiti a livello regionale. I decreti relativi dovranno tener conto dei seguenti<br />

aspetti:<br />

• della definizione dei potenziali regionali tenendo conto dell’attuale livello di produzione<br />

delle fonti rinnovabili;<br />

• dell’introduzione di obiettivi intermedi al 2012, 2014, 2016 e 2018 calcolati coerentemente<br />

con gli obiettivi intermedi nazionali concordati a livello comunitario;<br />

• della determinazione delle modalità di esercizio del potere sostitutivo del Governo ai<br />

sensi dell’articolo 120 della Costituzione nei casi di inadempienza delle Regioni per il raggiungimento<br />

degli obiettivi individuati.<br />

Da quanto sopra esposto, si evince come il processo che porterà all’individuazione degli<br />

obiettivi da assegnare alle singole Regioni (detto Burden Sharing) dovrà tener conto di diverse<br />

esigenze, tra le quali alcune di carattere non strettamente tecnico.<br />

Il 17% si applica al consumo interno lordo generale e può essere raggiunto con la somma<br />

di rinnovabili elettriche e termiche e/o con interventi di risparmio energetico. 2 Per raggiungere<br />

l’obiettivo del 17% sarà necessario raggiungere quasi il 30% di penetrazione delle rinnovabili<br />

elettriche sui consumi elettrici, in sostanza occorrerà raddoppiare la parte elettrica<br />

della produzione di energia da fonte rinnovabile. Si tratta di un obiettivo raggiungibile, ma<br />

molto ambizioso, 3 anche perché le fonti idroelettrica, geotermica e marina (maree e moto<br />

ondoso) potranno contribuire in minima parte all’incremento della produzione da fonti rinnovabili:<br />

per esse il PAN prevede al 2012 una produzione totale sostanzialmente equivalente a<br />

quella rilevata nel 2005 (circa 49 TWh).<br />

Pertanto, le uniche tre fonti rinnovabili che possono registrare un incremento sostanziale<br />

della produzione di elettricità sono: biomasse o biocombustibili in genere, solare ed<br />

eolico. Incrementi di produzione elettrica si potranno certamente ottenere con l’utilizzo<br />

delle biomasse, ad esempio, attraverso un migliore utilizzo della produzione forestale e degli<br />

scarti delle produzioni agricole, ma incrementi significativi si potranno avere solo attraverso<br />

2 Oggi, la quota delle rinnovabili sul mix elettrico è pari circa al 22% e secondo il Piano Nazionale dovrà arrivare al 28,97%<br />

per poter raggiungere l’obiettivo del 17% di penetrazione delle rinnovabili sul consumo finale lordo di energia. L’eolico può<br />

contribuire per una percentuale del 25%. Al recente Decreto Legislativo di recepimento della direttiva 2009/28/CE viene riconosciuto<br />

il merito di incentivare fonti rinnovabili fino ad oggi meno promosse, quali la generazione termica e gli interventi in<br />

favore dell’efficienza energetica per l’edilizia. La direttiva ha definito una via e l’Italia la sta recependo, mettendo una tariffa<br />

per il calore ceduto da rinnovabili a terzi, per cui solare termico, geotermia, biomasse, biocarburanti in cogenerazione potranno<br />

accedere a questo meccanismo. In più ci sono i titoli di efficienza energetica che sono in via di potenziamento. C’è, quindi, uno<br />

quadro di sostegno, sia per l’energia termica prodotta da rinnovabili sia per l’efficientamento/risparmio energetico, anche se più<br />

blando rispetto alla produzione di energia elettrica.<br />

3 Anche se va considerato che l’impatto della crisi economica ha portato a ritarare i valori dei consumi energetici finali<br />

italiani ed europei rispetto alle stime effettuate nel 2005. Secondo le nuove elaborazioni, nel 2020 – anche senza i nuovi interventi<br />

–, la domanda di energia si posizionerebbe al di sotto dei livelli del 2005. Il nuovo quadro rende quindi molto più agevole<br />

l’ottenimento dei tre obiettivi sull’efficienza energetica, sulle rinnovabili e sulle emissioni climalteranti al 2020.<br />

13


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

rilevanti importazioni di biomasse. 4 Quindi, eolico e solare sono sostanzialmente le fonti<br />

rinnovabili che hanno il potenziale più importante, ma serviranno impianti di grande taglia<br />

dell’una e dell’altra per poter raggiungere l’obiettivo del 17%, perché è un obiettivo di raddoppio<br />

in 9 anni di tutto quello che è stato fatto fino adesso, tenendo presente che la quota<br />

attuale del fabbisogno energetico coperta dalla produzione di energia da fonte rinnovabile è<br />

pari all’11% ed in gran parte è dovuta agli impianti idroelettrici che sono stati realizzati nella<br />

prima metà del secolo scorso. 5 Il potenziale tecnico stimato per l’eolico dal governo è intorno<br />

ai 16 mila MW, quindi più o meno si dovrebbe quasi triplicare l’attuale patrimonio, con una<br />

crescita annuale della potenza installata intorno ai mille MW, per passare dagli 8.500 GWh annui<br />

di produzione nel 2010 a 24.095 GWh nel 2020. 6 Secondo l’Anev (Associazione Nazionale<br />

<strong>Energia</strong> del Vento) il raggiungimento di tale obiettivo porterebbe con sé risultati importanti,<br />

coprendo non solo il fabbisogno di energia elettrica di circa 12 milioni di famiglie, ma anche<br />

migliorando la qualità dell’aria attraverso un risparmio di 23,4 milioni di tonnellate di CO2,<br />

53.326 tonnellate di NOx, oltre 38 mila tonnellate di SO2 e circa 6 mila tonnellate di polveri<br />

sottili.<br />

4 La generazione elettrica da biomassa in impianti di grandi dimensioni si scontra con barriere non tecniche piuttosto serie<br />

come l’assimilazione presso l’opinione pubblica di questi impianti ad inceneritori di rifiuti, l’indisponibilità di biomassa a buon<br />

mercato, la competizione sul mercato del legno da parte dell’industria del mobile. Si pensi, ad esempio, che il 29 ottobre 2010 i<br />

21 produttori italiani di semilavorati in legno hanno scioperato per due ore contro “le lobby dell’energia e le sovvenzioni pubbliche<br />

per le rinnovabili”, in particolare “contro gli incentivi per le centrali a biomassa che utilizzano il legno e fanno così schizzare i<br />

prezzi della materia prima” (Di Vico, 2010). Più in generale, i biocombustibili e gli impianti a biomassa sono sotto accusa per gli<br />

effetti che su scala internazionale provocano in termini di deforestazione e di aumento dei prezzi dei prodotti agricoli; aumenti<br />

che sarebbero tali da ridurre alla fame le popolazioni più povere del pianeta.<br />

5 Il contributo rispetto ai consumi elettrici complessivi delle diverse fonti rinnovabili vede nel 2010 l’idroelettrico al 15,1%,<br />

l’eolico come le biomasse al 2,5%, la geotermia all’1,5%, il fotovoltaico allo 0,5%.<br />

6 Analizzando i Piani nazionali per le rinnovabili degli Stati membri dell’UE emerge che l’eolico sarà la fonte su cui si punterà<br />

di più: Germania in testa (a livello di valore assoluto) con una previsione al 2020 di oltre 100mila GW annui di produzione dal<br />

vento (partendo da 44.780), seguita da Spagna e Gran Bretagna (che prevede di decuplicare l’offshore, passando da 1,4 a 13<br />

GW), ognuna con 78 mila GWh/anno ciascuna e partendo rispettivamente da 40.978 e da 14.150.<br />

14


2. La produzione<br />

di energia <strong>eolica</strong> in Italia<br />

Anche nel 2010 l’energia <strong>eolica</strong> istallata in Italia è cresciuta, raggiungendo 5.758 MW, ma,<br />

per la prima volta, questa crescita è stata rallentata, registrando un 16%, a fronte di un trend<br />

che si stava stabilizzando attorno al 30% 7 . Nel 2010, infatti, in Italia sono stati installati 948<br />

MW di energia <strong>eolica</strong>, contro i 1.160 del 2009 e i 1.055 del 2008. L’Italia è terza in Europa,<br />

dopo Germania e Spagna e sesta al mondo per capacità <strong>eolica</strong> installata. 8<br />

I 5.758 MW di eolico installato in Italia producono energia elettrica per quasi 8.500 GWh<br />

all’anno, pari al fabbisogno di circa 3,5 milioni di famiglie evitando di immettere in atmosfera<br />

circa 5 milioni di tonnellate di CO2. La parte del leone – per ragioni naturali: c’è vento 9<br />

– la fanno il Sud e le isole che da sole detengono il 98% della potenza installata e dove la<br />

maggior parte delle installazioni riguardano siti montani su crinale appenninico 10 . In Puglia<br />

7 L’andamento della crescita del settore eolico ha avuto un carattere quasi esponenziale ed ha assunto risultati significativi<br />

a partire dal 1996, anno in cui è stata realizzata la prima installazione di una centrale commerciale. Secondo l’Anev (l’associazione<br />

che rappresenta gli oltre 2 mila soggetti del comparto eolico), il rallentamento della crescita dell’eolico nel 2010 vede come<br />

causa principale il crollo del 40% del valore dei certificati verdi (cioè dell’incentivo), avvenuto in questi anni ad un ritmo del<br />

10% all’anno (a fine 2006 valeva 140 €/MWh, mentre a fine 2010 era a 80 €/MWh), scendendo nel 2010 sotto il livello minimo<br />

necessario a consentire la remuneratività degli investimenti.<br />

8 Secondo il Global Wind Energy Council, attualmente, con 194.400 MW di potenza installata (+35.800 MW, ovvero un +<br />

22,5% di incremento rispetto all’installato 2009), è quella <strong>eolica</strong> la fonte energetica da fonti rinnovabili meglio piazzata nella<br />

gara per sostituire i combustibili fossili. Il 2010 è stato l’anno del sorpasso degli Stati Uniti da parte della Cina che ha conquistato<br />

il primo posto assoluto per l’energia <strong>eolica</strong> installata, raggiungendo 42 mila MW, contro i 20 mila MW degli Stati Uniti. La<br />

rincorsa della Cina è stata straordinaria, se si pensa che in 2 anni ha annullato il ritardo e scavalcato gli Stati Uniti. A fine 2009<br />

la Cina era ancora ben distaccata, a soli 25 mila MW, mentre gli Stati Uniti svettavano a 35 mila. Dopo Cina e Stati Uniti viene<br />

l’India seguita dalla Germania (27 mila MW) e dalla Spagna (20 mila MW). Nel 2010 Francia (5,7 mila MW) e Gran Bretagna (5,2<br />

mila MW) hanno corso più dell’Italia.<br />

9 I siti più interessanti ai fini energetici sono quelli soggetti a venti forti e costanti. Soprattutto per le zone centrosettentrionali,<br />

non esiste una direzione di provenienza del vento prevalente in quanto la direzione predominante del vento varia<br />

da stazione a stazione anche quando queste sono poco distanti tra loro, oppure perché tutti gli otto settori si equivalgono.<br />

L’Italia meridionale, invece, presenta una ventosità molto alta con direzioni predominanti piuttosto nette, a seconda che ci si<br />

trovi nella fascia adriatica e ionica o nella fascia tirrenica. Di conseguenza, in Italia condizioni di elevata ventosità (dove si<br />

hanno più di 2.000 ore utili alla produzione di energia <strong>eolica</strong> nell’arco di un anno), sono disponibili sulle creste dell’Appennino<br />

centro-meridionale (soprattutto a cavallo tra le province di Campobasso, Foggia, Benevento, Avellino e Potenza) e sui rilievi<br />

delle isole maggiori, Sicilia e Sardegna.<br />

10 Questo anche se negli ultimi anni le turbine eoliche sono cresciute in dimensioni, potenza ed efficienza, anche con bassi<br />

regimi di vento, e dunque oggi si potrebbe pensare di sfruttare anche le aree pianeggianti. La localizzazione in contesti montani<br />

costituisce una rilevante peculiarità italiana rispetto ai paesi del Nord Europa, dove le applicazioni eoliche hanno interessato<br />

aree in genere pianeggianti, peculiarità che ha fra l’altro, generato non poche ripercussioni sul versante dell’impatto paesaggistico.<br />

L’alterazione del paesaggio è data non solo dalla presenza di macchine che negli ultimi anni hanno raggiunto potenze di<br />

2-3 MW con torri alte 90 metri, ma anche dalle strade di accesso che, se possono risultare comode agli agricoltori locali, rappresentano<br />

comunque una modificazione dei terreni. Nella valutazione complessiva degli impatti che tale tecnologia può provocare<br />

sul paesaggio, bisogna tener conto dei diversi impatti provocati sull’ecosistema e sul suolo nelle diverse fasi di costruzione,<br />

mantenimento e dismissione dell’impianto. Inoltre, spesso viene tralasciato l’aspetto della sua limitata occupazione temporale.<br />

15


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

(916 aerogeneratori), in Campania (809) e in Sicilia (977) si concentrava a fine 2009 il 64%<br />

degli impianti eolici, anche se il tasso di crescita più interessante fra 2008 e 2009 è stato<br />

quello della Calabria con un +131,8%. 11 Significativi anche quelli di Molise (+45%), 12 Sicilia<br />

(44,5%), Puglia e Sardegna (entrambe +33,7%).<br />

Le collocazioni delle centrali eoliche riguardano prevalentemente le zone interne dell’Appennino<br />

e del Sub-Appennino delle regioni centro-meridionali (vedi box), nonché quelle<br />

insulari, ossia territori rimasti fino ad oggi ai margini dello <strong>sviluppo</strong>, quelle aree interne più<br />

deboli e povere del Sud che nelle descrizioni di Manlio Rossi Doria (1948, 1968, 1982, 2003,<br />

2005) degli anni ’40 e ’50 erano l’ “osso”, mentre la “polpa” erano quelle di pianura dove<br />

era possibile ipotizzare una moderna agricoltura e attività industriali. 13 Si tratta di territori<br />

collinari e montani dove prevalgono i piccoli e piccolissimi comuni (sotto i 5 mila abitanti)<br />

e un’economia ancora fortemente improntata alla ruralità. Aree interne povere dal punto di<br />

vista del reddito e delle iniziative imprenditoriali, spesso spopolate e in declino demografico,<br />

perché investite da un invecchiamento della popolazione, una riduzione dei nuclei familiari e<br />

del saldo naturale della popolazione, e quindi in cui l’interesse naturalistico e paesaggistico<br />

deve conciliarsi con le necessità di <strong>sviluppo</strong> socio-economico delle comunità locali. Soven-<br />

Le torri del vento sono, infatti, strutture temporanee; le concessioni di uso del terreno sono spesso ventennali e gli operatori si<br />

impegnano entro tale data al decomissionig dell’intera area, ed al suo completo ripristino nelle condizioni iniziali.<br />

11 In Calabria sono stati presentati alla Regione progetti per impianti eolici per una potenza complessiva di oltre 30 mila<br />

MW, cioè per il doppio della potenzialità nazionale, stimata da Anev in 16.200 MW.<br />

12 A fine 2010, in Molise risultavano installati 373 aerogeneratori, altri 155 erano stati autorizzati, mentre in Regione c’erano<br />

domande in attesa di essere esaminate per altri 1.340 aerogeneratori. Secondo gli oppositori dell’eolico “selvaggio”, già oggi<br />

il Molise sarebbe in grado di produrre fino al 72% del suo fabbisogno elettrico grazie all’eolico. Aggiungendo l’energia prodotta<br />

da fotovoltaico, idroelettrico, biomasse si arriverebbe al 110%. Se questi numeri fossero veri, permetterebbero al Molise di essere<br />

una regione all’assoluta avanguardia in Europa. “Il Molise in questo è surreale. La Navarra rivendica che vuole raggiungere il<br />

70% con l’eolico, il Molise forse lo ha anche raggiunto, ma lo tratta come fosse la peste. L’eolico si può guardare in modo positivo<br />

se l’amministrazione regionale dice che è la nostra idea di futuro, di energia pulita per i nostri figli. In Italia, invece, si subisce e<br />

questa è una grande differenza con il resto d’Europa” (Edoardo Zanchini, Legambiente).<br />

13 L’economista agrario e sociologo Manlio Rossi Doria fu il primo a distinguere - limitatamente al settore agricolo, dove<br />

le colture erano condizionate dalla fertilità del territorio sulla quale influiva l’altimetria - due diverse realtà socio-economiche<br />

territoriali nel Mezzogiorno italiano: la “polpa” e l’”osso”. Per Rossi Doria, la “polpa” comprendeva il Sud “alberato” - diffuso<br />

nella Terra di Bari, la Terra d’Otranto e la regione etnea della Sicilia - con agricoltura intensiva basata su colture ortive, vigne,<br />

agrumeti, alberi da frutto e oliveti. L’”osso”, invece, comprendeva il sud “nudo”, dominato dal latifondo capitalistico/padronale<br />

e contadino, terra di pascolo e di agricoltura estensiva di cereali che occupava circa il 90% della superficie coltivabile. Le condizioni<br />

di vita e le prospettive di <strong>sviluppo</strong> socio-economico nella prima area erano assai migliori rispetto a quelle della seconda<br />

le cui possibilità di <strong>sviluppo</strong> apparivano assai diverse. Secondo Rossi Doria, nelle aree della “polpa” esisteva la possibilità di<br />

un vero e proprio <strong>sviluppo</strong> interno che riposava su un razionale sfruttamento delle risorse e su una legislazione incentivante<br />

presso l’imprenditoria <strong>locale</strong> volta all’affrancamento da un tipo di gestione ormai superato. Nelle aree dell’“osso”, invece, solo<br />

interventi esterni (industrializzazione, turismo) avrebbero potuto dare il via a un progresso legato, però, alla diminuzione della<br />

popolazione conseguenza della emigrazione. Tale impostazione - una volta estesa dal settore agricolo all’economia in generale<br />

– ha anticipato le linee del futuro intervento programmatico nel Mezzogiorno, istituzionalizzando la divisione tra le due realtà<br />

meridionali e consigliando una distribuzione eterogenea degli investimenti sul territorio. Di conseguenza, a partire dai primi<br />

anni ’60 si è scelta la via di concentrare gli sforzi (attraverso il modello di <strong>sviluppo</strong> per poli agricoli, industriali ed urbani)<br />

sulla “polpa”, lasciando all’”osso” la esclusiva risorsa dell’emigrazione per i più qualificati, un livello minimo di occupazione e<br />

di sussistenza per gli emigrati potenziali, qualche miglioramento per i servizi e le infrastrutture nella lunga e difficile attesa di<br />

convincere qualche imprenditore ad investire capitali in quelle zone in cambio di particolari agevolazioni. Queste politiche di<br />

<strong>sviluppo</strong> territoriale hanno contribuito ad allargare il gap tra aree “polpa” e aree “osso”. In Campania, ad esempio, allo <strong>sviluppo</strong><br />

di parte della province di Napoli, Caserta e Salerno ha corrisposto il sotto<strong>sviluppo</strong> di Avellino e Benevento e di larghe zone nelle<br />

stesse province relativamente più avanzate; lo stesso fenomeno si è notato in Puglia, Calabria, Basilicata e Sicilia. Verso la fine<br />

degli anni ’70, ad individuare a livello provinciale ciò che costituiva la “polpa” rispetto a tutto il resto del territorio meridionale<br />

che restava “l’osso”, erano le carte del prodotto lordo e della densità della popolazione costruite dalla Cao Pinna (1979). La “polpa”<br />

era rappresentata dall’area che si sviluppa lungo le fasce costiere e pianeggianti delle Regioni meridionali (Caserta, Napoli e<br />

Salerno nella pianura campana, Bari, Brindisi e Taranto nel Tavolato Pugliese, Siracusa, Catania, Messina e Reggio Calabria, nella<br />

Sicilia ionica e nella contigua estremità meridionale della Calabria), corrispondente ad 11 delle 34 province del Sud, pari a circa<br />

un terzo della superficie complessiva ed in cui viveva ben il 60% della popolazione (20 mln/ab.) con buoni tassi di <strong>sviluppo</strong><br />

economico. L’”osso” corrispondeva, invece, al Mezzogiorno interno, cioè in parte al sistema delle province delle fasce collinari<br />

che fiancheggiano l’Appennino ed in cui vive un ulteriore 28% della popolazione del Sud (5,7 mln/ab.), ed in parte al sistema<br />

delle province interne appenniniche (l’Aquila in Abruzzo, Campobasso ed Isernia nel Molise, Matera e Potenza in Basilicata, Enna<br />

in Sicilia, Nuoro, Oristano e Sassari in Sardegna) in cui risiedeva il restante 12% della popolazione del Sud (2,3 mln/ab.) in una<br />

condizione di forte arretratezza economica.<br />

16


2. La produzione di energia <strong>eolica</strong> in Italia<br />

te tali zone interne sono anche deficitarie nel bilancio di produzione e consumo di energia<br />

elettrica, il che, insieme all’interesse per la costruzione di centrali eoliche localmente, dà<br />

un’ulteriore spinta verso lo <strong>sviluppo</strong> di tale fonte. In qualche modo, la diffusione degli impianti<br />

di energia <strong>eolica</strong> è andata a incrociare una questione irrisolta del processo di <strong>sviluppo</strong><br />

socio-economico a livello territoriale in Italia.<br />

Intorno all’eolico e alle energie rinnovabili molto è quello che è stato fatto in queste aree, in<br />

questo nostro pezzo di Mezzogiorno d’Italia, molte sono state le attività messe in campo dai<br />

Comuni in sinergia con le rinnovabili e molte sono le opportunità che si stanno creando. C’è<br />

la necessità di spiegare anche al governo nazionale e alle Regioni il bisogno di avere una seria<br />

politica industriale in materia di energia, per fare in modo che questa grossa opportunità<br />

diventi nei fatti azione concreta per lo <strong>sviluppo</strong> dei territori e per creare delle opportunità per<br />

i cittadini. Spesso si è dato alla pubblica opinione un’idea sbagliata di questa opportunità,<br />

che rischia di far perdere soprattutto al Sud, l’ennesimo treno. Questa è una straordinaria<br />

occasione, che non va persa, soprattutto per il Sud e per queste aree marginali. C’è un dato<br />

significativo: se questi Comuni dell’Appennino Fortorino oggi sono in grado di mantenere i<br />

servizi fondamentali di base, se non consegnano “le chiavi” per manifesto fallimento, probabilmente<br />

è anche grazie a queste forme economiche riferibili alla rinnovabili e alle opportunità<br />

che si mettono in campo. Se sul tetto della sede del Comune e della scuola, oggi abbiamo<br />

un impianto fotovoltaico che consentirà non solo di produrre energia, ma di dare risorse alle<br />

attività didattiche, è perché c’è stata una intuizione a monte. Se i ragazzi che vivono in<br />

questo comune, come in altre comunità dei nostri territori, possono avere oggi un campo da<br />

calcio vero e non un campo di patate è grazie alle fonti rinnovabili. Se i nostri centri storici<br />

tornano ad avere lo splendore di un tempo, è perché le risorse arrivano da quelle energie.<br />

Se possiamo immaginare la creazione di “alberghi diffusi”, di attività economiche legate al<br />

Progetto “Borgo di Eolo”, alle vie del vento, è perché c’è questa opportunità. Allora, bisogna<br />

dire al Governo nazionale e alle Regioni che non ci può essere una “pausa” su questo, non<br />

ci può essere un momento di riflessione se non positivo e propositivo perché non possiamo<br />

negare al Mezzogiorno questa grande opportunità. Non è vero come sostengono alcuni “soloni”<br />

che siamo alla fine, siamo soltanto all’inizio di questa splendida avventura, e solo una<br />

minima parte della risorsa in campo è stata utilizzata. Noi stiamo pensando ad un progetto<br />

di filiera per realizzare nei nostri territori la produzione delle torri per gli aerogeneratori. Si<br />

sta facendo un ragionamento sulla ricerca, vi è un rapporto con l’Università, c’è tutto un<br />

mondo che si muove nelle istituzioni locali di questo pezzo di Puglia, Campania e Basilicata<br />

che intorno alle rinnovabili costruisce un’opportunità. E posso dire anche un progetto pilota<br />

da consegnare al Paese, perché qui stanno veramente nascendo delle esperienze significative,<br />

concrete, che ci permetteranno di poter dare una parola di speranza alle nostre future generazioni<br />

(Virgilio Caivano, Piccoli Centri Europei).<br />

Il Sud e le isole continuano ad attrarre investimenti, nonostante lentezze legislative e ritardi<br />

delle burocrazie regionali che rischiano di allontanare l’Italia dall’obiettivo di 16 mila MW<br />

al 2020 indicato nel piano di azione nazionale inviato alla Commissione europea (impegno<br />

che va tassativamente rispettato se si vogliono evitare pesanti penali). Per soddisfare questo<br />

obiettivo sarà necessario l’impegno di tutte le regioni, mentre fino ad oggi, ad esempio, tutte<br />

le amministrazioni regionali del Centro Italia (con l‘eccezione, in parte, dell’Abruzzo e della<br />

Toscana) hanno colpevolmente trascurato il potenziale dell’energia <strong>eolica</strong>. A prevederlo è il<br />

Decreto legislativo 387/2003, emesso in ottemperanza alla direttiva comunitaria 2001/77/<br />

CE che è ancora in attesa dell’attuazione dell’articolo 10 (successivamente reiterato nella<br />

17


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Le caratteristiche dei siti dove sono collocate le centrali eoliche italiane<br />

Attualmente, in Italia sono circa 6 mila gli aerogeneratori installati, mentre i comuni che hanno centrali<br />

eoliche nel loro territorio a inizio del 2011 sono 374 (erano 118 nel 2006), per una potenza installata<br />

pari a 5.758 MW (610 MW in più rispetto al 2009). Nel 2010, gli impianti eolici hanno permesso di<br />

produrre 8.374 GWh di energia pulita, pari al fabbisogno elettrico di oltre 3,5 milioni famiglie (Legambiente,<br />

2011:5-6). Sono 221 i Comuni che si possono considerare autonomi dal punto di vista elettrico,<br />

poiché si produce più energia di quanta ne viene consumata. I 5.758 MW eolici installati sono divisi tra<br />

220 “Piccoli Comuni” con 3.940 MW di potenza installata e 145 con più di 5.000 abitanti e una potenza<br />

di circa 1.817 MW. Gli impianti eolici, che per anni si sono concentrati soprattutto nell’Appennino<br />

meridionale, tra Puglia, Campania e Basilicata, e in Sicilia e Sardegna, si stanno diffondendo anche in<br />

aree del Centro-Nord. I Comuni con il più alto numero di MW installati sono quasi tutti pugliesi: quello<br />

che risulta avere la maggiore potenza installata è Troia (FG), con i suoi 171,9 MW, seguito da Minervino<br />

Murge (BT) con 116,4 MW, dal Comune di Bisaccia (AV) con 101,9 MW, dal Comune di Sant’Agata di<br />

Puglia (FG) con 97,2 MW e dal Comune di Rocchetta S. Antonio (FG) con 89 MW.<br />

Volendo descrivere un tipico sito dove si realizza una centrale <strong>eolica</strong> in Italia si dovrebbero fornire<br />

le seguenti specifiche o si registrerebbero le seguenti peculiarità (Cfr. Gargani e De Pratti, 2008:138-<br />

140):<br />

1. sito montano o pedemontano o collinare (in area appenninica), su rilevato (in area costiera, anche<br />

se arretrata rispetto alla costa, o sub-marina);<br />

2. orografia mediamente complessa, con rugosità tale da garantire una quota geostrofica dell’ordine<br />

di non meno di 500 metri sulla quota del sito (o misurata dal piano di campagna di questo);<br />

3. ventosità caratterizzata da una media annua compresa fra 6,2 e 7,5 m/s (con punte che in alcuni casi<br />

arrivano fino a 8,5 m/s). Il funzionamento annuo di un impianto eolico è discontinuo e dipende dalla<br />

ventosità del sito. La produzione viene espressa attraverso il parametro “ore equivalenti”, che indica<br />

le ore equivalenti annue di produzione a piena potenza o tramite il fattore d’impianto (uguale alle ore<br />

equivalenti diviso le ore dell’anno). In Italia, nei siti normalmente sfruttati, le ore equivalenti assumono<br />

valori tra 1.500 e 3.000;<br />

4. quota s.l.m. da 700 a 1.500 metri (con possibile insorgenza di formazione di ghiaccio durante i<br />

più ventosi mesi invernali a quota superiore ai 800-900 m s.l.m. in funzione della diversa esposizione<br />

del sito);<br />

5. area di installazione posta su plateau (Sardegna) o su crinali più o meno appiattiti e colline ondulate<br />

(regioni centro-meridionali);<br />

6. presenza di vegetazione di tipo boschivo o di coltivazioni (Appennini centrali e meridionali), bosco infoltito<br />

(Calabria), macchia mediterranea (Sicilia e Sardegna), rimboschimento e cantieri forestali in pieno<br />

<strong>sviluppo</strong> (Abruzzi) sia nelle vicinanze che su crinali opposti (con possibile creazione di scie di disturbo al<br />

rotore); installazioni sono previste nell’Appennino centro-settentrionale (Emilia-Romagna, Liguria e Piemonte)<br />

a quote cariabili tra i 1.000 e 1.500 m s.l.m. (in aree montane più o meno foltamente boscate);<br />

7. area caratterizzata da pregio paesistico e/o paesaggistico più o meno rilevante, posta in vicinanza o<br />

al confine o, ancora, interessata dalla presenza di SIC o di ZPS e, quindi, parchi o riserve naturalistiche<br />

di altro genere (aree interessate dalla presenza di relitti mediterranei);<br />

8. area interessata da uso civico (con eventuali presenze di direttrici tratturali) e da sorvoli a bassa quota<br />

di avioleggeri e, a quote maggiori, da velivoli dell’aviazione generale e militare; talvolta si riscontra la<br />

presenza di antiche servitù militari (poligoni in campo aperto) più o meno abbandonate (soprattutto<br />

nelle regioni centrali e centro-meridionali);<br />

9. area caratterizzata dalla presenza di specie avifaunistiche di vario pregio e, solo più limitatamente,<br />

interessata da corridoi ecologici e flussi migratori;<br />

10. distanza dalla rete elettrica in alta tensione compresa tra 500 m e 2-3 km al massimo;<br />

11. tasso di guasto della rete elettrica <strong>locale</strong> in alta e media tensione tale da poter essere rappresentata<br />

da un valore MTBF (Mean Time Between Failure – tempo medio fra i guasti) pari a 2.000-3.250 ore/<br />

anno (valore più basso tipico dell’Abruzzo più interno, come, ad esempio, nella Piana del Fucino);<br />

18


2. La produzione di energia <strong>eolica</strong> in Italia<br />

12. esistenza di un buon collegamento con strade la cui larghezza sia tale da consentire il transito ad<br />

automezzi capaci di trasportare le navicelle e le torri delle turbine di nuovo tipo e maggiore potenza<br />

(da 1,3 MW a 2,5 MW, con pesi compresi fra 36 e 57 t);<br />

13. visibilità del sito abbastanza estesa (per i crinali) e assai più limitata per le aree rilevate e a forma<br />

di plateau oppure per aree vallive;<br />

14. copertura del deficit <strong>locale</strong> tra produzione e consumo di energia elettrica. Le realtà locali che hanno visto<br />

e vedono l’installazione di parchi eolici normalmente soffrono di un deficit pesante (alle volte sono<br />

totalmente dipendenti dall’esterno). La presenza di una centrale <strong>eolica</strong> permette di ribaltare a situazione<br />

o, quanto meno, di mitigarla, consentendo di produrre energia elettrica localmente in modo relativamente<br />

abbondante (una centrale <strong>eolica</strong> da 10 MW di potenza, in una zona mediamente ventosa, può<br />

produrre circa 25 milioni di kWh di energia elettrica all’anno, quanto basta per almeno 5.000 famiglie;<br />

15. reddito pro-capite <strong>locale</strong> in genere basso e bilanci comunali spesso non superiori a 1,5-2 milioni<br />

di euro/anno;<br />

16. risorsa <strong>eolica</strong> quale fonte sfruttabile dal punto di vista economico, capace di fornire alle casse dei<br />

Comuni un gettito annuale e ragionevolmente costante e dell’ordine di 100 mila-500 mila euro/anno,<br />

tenendo presente l’apporto per i canoni di affitto dei terreni (quota marginale) e quello, ben più consistente,<br />

derivante dal corrispettivo di potenza (che in genere costituisce la quota minima corrisposta<br />

anche in assenza di produzione) e l’utile sulla produzione (dall’1 al 3% del ricavo lordo incassato dal<br />

gestore dell’impianto). I comuni interessati dall’installazione di centrali eoliche sono normalmente<br />

piccoli, con entrate piuttosto modeste. La presenza di campi eolici permette a queste piccole realtà<br />

locali di aumentare il loro budget in modo rilevante e senza pesare sulla collettività, in quanto tale<br />

gettito deriva da un’attività produttiva che si basa su una fonte come il vento non sfruttata in altro<br />

modo. Gli amministratori locali, quindi, hanno a disposizione più risorse da destinare a beneficio<br />

della comunità, promuovendo anche una maggiore coscienza/conoscenza dei problemi ambientali ed<br />

energetici locali.<br />

Legge Finanziaria 2008) relativo alle ripartizioni (il cosiddetto burden-sharing) 14 regionali che<br />

responsabilizzino a pieno le regioni, definendo il contributo che queste devono dare per il<br />

raggiungimento degli obiettivi energetici del paese al 2020. Sono passaggi legislativi necessari<br />

che potrebbero sbloccare la situazione.<br />

Intanto, un segnale positivo è arrivato sul fronte autorizzativo nel 2010. Infatti, sono<br />

state definite le “Linee guida per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di<br />

produzione di elettricità da fonti rinnovabili nonché linee guida tecniche per gli impianti stessi”,<br />

previste in base all’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 e approvate in<br />

Conferenza Unificata l’8 luglio scorso. Tali Linee guida sono finalizzate ad armonizzare un<br />

quadro regolatorio e normativo fino a questo momento frammentato e disomogeneo a livello<br />

regionale, e stabiliscono i processi autorizzatori per le diverse tipologie e grandezze di<br />

impianto considerato, oltre che le misure di mitigazione e quelle compensative per gli enti<br />

locali ospitanti l’impianto. Le Linee guida dovrebbero contribuire ad accelerare l’iter burocratico<br />

soprattutto perché danno finalmente il via libera alla autorizzazione unica: tutti gli enti<br />

preposti a dare il via libera per gli impianti a fonti rinnovabili sono riuniti in una conferenza<br />

di servizi. Chi chiederà un’autorizzazione non deve più sottoporsi allo sfibrante gioco delle<br />

14 Le Regioni sono chiamate a mettere in atto le opportune azioni per il raggiungimento degli obiettivi a livello regionale<br />

(che verranno istituiti per mezzo di un apposito decreto), suddivisi per tipologia di fonti (meccanismo del burden sharing) e a<br />

identificare in ciascun territorio le zone non idonee all’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, differenziate<br />

per fonte utilizzata.<br />

19


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

cosiddette “sette chiese”, ma dovrebbe avere in tempi certi (180 giorni) un parere positivo o<br />

negativo al proprio progetto, con enormi vantaggi su tempi di realizzazione.<br />

Quello che ci si può augurare ora è che con le Linee guida nazionali qualcosa cambi, dentro un<br />

quadro comunque che ha velocità diverse, perché ci sono alcuni territori italiani dove l’eolico<br />

deve ancora essere realizzato, dove cioè proprio non è ancora conosciuto. Ci sono anche delle<br />

potenzialità importanti al Centro-Nord, però ci si è andati con i piedi di piombo. Anzi, si può<br />

dire che nelle Regioni del Centro-Nord c’è un’attenzione all’impatto ambientale dell’eolico che<br />

non si ha per nessun altro tipo di opera. Penso che in Liguria, Emilia-Romagna, Marche ci sia<br />

una attenzione ambientale da parte delle amministrazioni regionali che non si ha per nessun<br />

altro intervento di tipo infrastrutturale, come se, addirittura, con le analisi ambientali che si<br />

fanno per l’eolico ci si costruisse quasi una dignità che si è persa sulla valutazione di impatto<br />

ambientale per tutto il resto. Se uno va a vedere l’atteggiamento tenuto dalla Regione Toscana<br />

nei confronti dell’autostrada tirrenica o della TAV, questo è stato totalmente “sdraiato” nei<br />

confronti di opere che andavano fatte e in cui nessun ruolo ha giocato la Regione in questi<br />

anni. Se uno va a vedere l’approccio che le stesse persone che hanno fatto la valutazione di<br />

impatto ambientale della TAV o dell’autostrada tirrenica, hanno nei confronti degli impianti<br />

eolici, è come se fossero Dr. Jekyll e Mr. Hide. Per l’eolico si fanno fare delle analisi e c’è un<br />

tipo di attenzioni…, appunto, per fermarlo. Stesso atteggiamento si ha da parte della Regione<br />

Emilia-Romagna. In Liguria non ne parliamo. Regioni in cui l’eolico ha delle potenzialità. Solo<br />

in Toscana sta andando avanti, ma perché invece c’è anche chi, un assessore e un governo regionale,<br />

che spinge sulle energie rinnovabili. Però, c’è proprio una contraddizione di fondo, come se<br />

in qualche modo ci fosse un problema di capire il ruolo che ha la valutazione ambientale. Come<br />

se la valutazione ambientale dipendesse dal tipo di opera e dal tipo di pressione. È abbastanza<br />

evidente che l’eolico è una fonte energica che è spinta da gruppi imprenditoriali in parte nuovi<br />

e in parte da investimenti ambientali di grandi gruppi energetici italiani, tutti soggetti che sono<br />

indubbiamente deboli nei confronti dei governi regionali, soprattutto dei governi regionali organizzati.<br />

È il caso della Liguria, dell’Emilia-Romagna e della Toscana. Dove il governo regionale è<br />

organizzato, l’eolico risulta essere un settore industriale debole. Dove il governo regionale non<br />

è organizzato – e parliamo di tutto il Centro-Sud – invece scatta un altro tipo di meccanismo<br />

che è quello per cui intorno all’eolico e alle sue potenzialità, c’è una totale disorganizzazione<br />

del governo regionale, per cui si è nelle mani della capacità che hanno i Comuni di organizzare<br />

dei percorsi trasparenti oppure della lungimiranza degli imprenditori. Questa è oggi la realtà<br />

italiana (Zanchini, Legambiente).<br />

Comunque, nonostante le carenze normative e le farraginosità burocratiche, il volume d’affari<br />

dell’energia <strong>eolica</strong> in Italia ha raggiunto livelli sempre più elevati, alla luce degli investimenti<br />

in corso e di quelli programmati nella realizzazione di nuove centrali eoliche. Se si considerano<br />

i circa 1.000 MW installati nel solo 2010, in termini finanziari gli investimenti – tra capitali<br />

privati e bancari – hanno raggiunto la cifra di 4,5 miliardi di euro, quasi esclusivamente<br />

destinati alla realizzazione di centrali eoliche nel Mezzogiorno e nelle isole. 15<br />

15 Purtroppo, questi rilevanti investimenti hanno destato l’interesse per il settore eolico anche di affaristi e prestanome<br />

delle diverse organizzazioni criminali (mafia, camorra, ‘ndrangheta e sacra corona unita) che controllano ampie porzioni del territorio<br />

meridionale e che operano come “sviluppatori” che ricercano i siti di potenziale interesse, elaborano progetti preliminari<br />

e, una volta ottenuta l’autorizzazione dalla burocrazia regionale, con in mano un progetto cantierabile, passano la collocazione<br />

sul mercato, realizzando così notevoli plusvalenze.<br />

20


2. La produzione di energia <strong>eolica</strong> in Italia<br />

Velocità media annua del vento a 25 m s.l.t./s.l.m.<br />

da 3 a 4 m/s<br />

< 3 m/s<br />

da 4 a 5 m/s<br />

da 5 a 6 m/s<br />

da 6 a 7 m/s<br />

da 7 a 8 m/s<br />

da 8 a 9 m/s<br />

da 9 a 10 m/s<br />

da 10 a 11 m/s<br />

> da 11 m/s<br />

Fonte: http://atlanteeolico.rse-web.it/viewer.htm<br />

21


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Potenza <strong>eolica</strong> installata sul territorio nazionale<br />

Nessuna installazione<br />

251 ÷ 500 MW<br />

< 100 MW<br />

501 ÷ 750 MW<br />

100 ÷ 250 MW<br />

> 750 MW<br />

Regione<br />

MW installati<br />

Regione<br />

MW installati<br />

Sicilia 1.449<br />

Puglia 1.286<br />

Campania 814<br />

Sardegna 674<br />

Calabria 589<br />

Molise 372<br />

Basilicata 279<br />

Abruzzo 225<br />

Toscana 45<br />

Liguria 21<br />

Emilia Romagna 16<br />

Piemonte 13<br />

Lazio 9<br />

Trentino Alto Adige 3<br />

Umbria 2<br />

Veneto 1<br />

Marche -<br />

Valle d’Aosta -<br />

Friuli Venezia Giulia -<br />

Lombardia -<br />

TOTALE 5.797<br />

Fonte: ANEV - Associazione Nazionale <strong>Energia</strong> del Vento, 2011<br />

22


2. La produzione di energia <strong>eolica</strong> in Italia<br />

Localizzazione dei Parchi eolici<br />

Fonte: ANEV - Associazione Nazionale <strong>Energia</strong> del Vento, 2011<br />

23


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Aerogeneratori installati sul territorio nazionale e prospettive di crescita al 2020<br />

Nessuna installazione<br />

< 50<br />

50 ÷ 500<br />

500 ÷ 750<br />

750 ÷ 1.000<br />

> 1.000<br />

Regione<br />

Aerogeneratori Potenziale Crescita %<br />

2010 rispetto<br />

MW N° MW* Occupati** al 2009<br />

KW per<br />

abitante<br />

KW per km 2<br />

Sicilia 1.449 1.245 1.900 7.537 30,0 0,287 56,362<br />

Puglia 1.286 997 2.070 11.714 11,1 0,315 66,446<br />

Campania 814 765 1.915 8.738 0,6 0,140 59,897<br />

Sardegna 673 565 1.750 6.334 15,0 0,403 27,956<br />

Calabria 589 342 1.250 4.484 47,3 0,293 39,056<br />

Molise 372 307 635 2.289 53,9 1,161 83,758<br />

Basilicata 279 244 760 2.675 22,8 0,474 27,940<br />

Abruzzo 225 279 900 3.166 9,7 0,168 20,944<br />

Toscana 45 30 600 2.114 0,0 0,012 1,957<br />

Liguria 21 26 280 1.061 12,9 0,013 3,873<br />

Emilia Romagna 16 26 200 771 0,0 0,004 0,726<br />

Lazio 9 15 900 3.741 0,0 0,002 0,522<br />

Umbria 2 2 1.090 3.868 0,0 0,002 0,177<br />

Altre 16 8 1.750 7.518 0,0 0,001 0,161<br />

Offshore 0 0 200 1.000 0,0 0,000 0,000<br />

TOTALE 5.797 4.851 16.200 67.010 19,6 0,096 19,239<br />

* Studio ANEV ** Studio UIL-ANEV<br />

Fonte: ANEV - Associazione Nazionale <strong>Energia</strong> del Vento, 2011<br />

24


3. La produzione<br />

di sistemi eolici in Italia<br />

Gli aerogeneratori effettuano la conversione dell’energia cinetica del vento in energia meccanica<br />

dell’asse di rotazione, e, da questa, in elettrica continua o alternata mediante l’impiego<br />

di un generatore; possono essere ad asse orizzontale o verticale; possono essere isolati o in<br />

cluster e, ancora, essere collegati ad utenze isolate, piccole reti locali o alle reti nazionali<br />

(Battisti, 2008; Caffarelli e De Simone, 2010; Gargini e De Pratti, 2008). Dal punto di vista<br />

della potenza, oggi sul mercato ci sono diverse tipologie di aerogeneratori:<br />

• macchine progettate per la produzione e vendita di elettricità, il cosiddetto eolico<br />

industriale. Si tratta di aerogeneratori di potenza compresa tra i 500 kW e i 3,5 MW connessi<br />

alla rete in media o alta tensione, macchine di grande potenza per la produzione industriale<br />

di energia <strong>eolica</strong> che richiedono grandi investimenti (da 1 a 2,5 milioni di euro), ma il cui<br />

costo diminuisce in proporzione al crescere della potenza e che sono state finora al centro<br />

del processo di evoluzione tecnologica. Un indicatore significativo dell’evoluzione tecnologica<br />

dell’eolico, infatti, è la crescita della taglia degli aerogeneratori installati, accompagnata<br />

anche dall’aumento della loro affidabilità ed efficienza. Se nel 1995, la taglia media delle<br />

macchine installate in Italia era di appena 260 kW di potenza per unità, nel 2003 era di<br />

561kW, oggi la taglia media delle turbine che vengono installate è di 2,5 MW. 16 Queste macchine<br />

possono essere installate singolarmente o in centrali di produzione, sulla terra ferma<br />

o in mare (offshore); 17<br />

16 Le prime macchine eoliche industriali erano alte 82 metri, quelle attuali 93 metri. La vera differenza è che 10 anni fa<br />

una macchina industriale da 660-850 kW occupava a terra 100 metri quadrati e aveva una dimensione di navicella di 6mx3m.<br />

Oggi, una macchina industriale è da 3,5 MW, cioè sei volte più potente della precedente, a terra occupa 150 metri quadrati,<br />

mentre la navicella è di 12x6m. “Le dimensioni delle macchine sono in costante crescita, perché la capacità di sfruttare il vento<br />

è strettamente legata al diametro del rotore. Più è grande il diametro e più si riesce a installare anche in aree dove una volta non<br />

si poteva installare perché le condizioni del vento erano basse e, quindi, non lo permettevano. Aumentando il diametro del rotore,<br />

aumenta la potenza generata e, quindi, c’è una corsa ad installare turbine sempre più grandi che si riflette in termini positivi anche<br />

sull’ambiente. Questo perché con macchine di questa potenza si riesce a fare un parco eolico significativo con 10 aerogeneratori,<br />

mentre in passato per avere la stessa potenza si dovevano installare dalle 30 alle 40 pale. Una pala grande si vede certamente di<br />

più, ma quello che probabilmente dà più fastidio è “l’effetto selva”, quindi tante turbine, pale, e torri” (Schiapparelli, REpower).<br />

17 In Italia, e più in generale nel Mediterraneo, le installazioni offshore tardano a manifestarsi, nonostante che in ambiente<br />

marino sia presente una gran disponibilità di vento (e quindi sia possibile installare macchine di grande potenza come la<br />

turbina REpower da 6,15 MW con 126 m di diametro) e che la distanza dalla terraferma consenta una naturale mitigazione sia<br />

dell’impatto acustico delle turbine per la lontananza sia di quello paesaggistico in virtù della curvatura terrestre. Quella offshore<br />

rappresenta, dunque, un’opzione che nel medio-lungo termine potrebbe consentire notevoli produzioni di energia (Cesari e<br />

Taraborrelli, 2008). In Italia, l’iter autorizzativo per gli impianti offshore è diverso da quello per gli impianti sulla terraferma:<br />

l’autorizzazione, infatti, è rilasciata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti il Ministero dello <strong>sviluppo</strong> economico<br />

e il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, con le modalità di cui all’art. 12, comma 4, del decreto<br />

25


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

• macchine per la produzione di energia ad uso di utenza isolata o con allacciamento alla<br />

rete in bassa tensione. Sono macchine caratterizzate da una potenza limitata (sotto i 200kW)<br />

che spesso sono affiancate ad altre fonti di produzione di energia (mini idrico, fotovoltaico<br />

o convenzionale). Nel caso di utenza isolata rappresentano una risorsa in zone difficilmente<br />

raggiungibili dalla rete come località montane o comunità agricole. È un segmento di mercato<br />

che in Italia si sta aprendo solo ora e che, soprattutto per le macchine di piccola taglia<br />

– turbine per uso domestico (da 1 a oltre 20 kW), miniturbine (0,50-060 kW) e microturbine<br />

(0,02-0,12 kW) – sembra avere interessanti possibilità di <strong>sviluppo</strong>. Si tratta, comunque, di<br />

macchine che per operare al meglio della loro efficienza vanno installate in torri di almeno<br />

12 metri, meglio se più alte, e non troppo vicine all’edificato, per evitare possibili turbolenze,<br />

ma l’industria sta lavorando (insieme ad alcuni grandi architetti e designer internazionali<br />

come Renzo Piano e Philippe Starck) per mettere a punto delle turbine di piccola taglia (sia<br />

ad asse orizzontale che verticale) che possano essere montate sui tetti delle case anche in<br />

ambiente urbano.<br />

Le macchine eoliche in Italia lavorano mediamente per 1.800–2.000 ore equivalenti a pieno regime.<br />

Vale a dire che una macchina lavora magari per 2 giorni a metà della massima potenza, 2<br />

giorni che quindi equivalgono a 24 ore alla massima potenza. Però, durane la giornata e anche<br />

per più giorni, si può verificare la bonaccia perché non c’è vento. Questo fa parte del progetto e<br />

del funzionamento. Ci sta che il vento può o non può esserci. La macchina <strong>eolica</strong> lavora sopra<br />

una certa quantità di vento, il cut in, mentre il cut out è sui 25-30 metri al secondo. Per cui, la<br />

macchina viene messa in stallo sopra il cut out, perché il vento è troppo forte per poter funzionare.<br />

In fase di progetto, le caratteristiche tecnologiche delle macchine vengono scelte in base<br />

alle caratteristiche del vento. È molto importante caratterizzare il sito dal punto di vita del vento.<br />

Le misure di un anno o di due anni dell’anemometro, non danno solo l’informazione relativa<br />

al fatto se c’è vento, ma anche che c’è tot vento con alcune caratteristiche e quale è la velocità<br />

predominante. Questo porta alla scelta migliore delle macchine che è un elemento importante<br />

perché l’impianto deve essere produttivo, anche perché, per come sono strutturati gli incentivi,<br />

o si è produttivi o si perdono le risorse investite o si allungano i tempi di ammortamento. Il<br />

parco deve essere efficiente. Posso avere delle macchine funzionanti, ma ferme, non perché<br />

sono rotte o non connesse alla rete, ma perché o non c’è vento sufficiente o il vento è troppo<br />

forte. Certo, le 2.000 ore equivalenti sono poche rispetto all’arco temporale di un anno. Dipende<br />

dagli andamenti stagionali, per cui ad esempio nei mesi primaverili la ventosità è bassa. Poi, ci<br />

sono siti più lo meno ventosi. Il vento c’è soprattutto al Sud, mentre è scarso al Nord. Poi, c’è<br />

la manutenzione delle macchine. Le macchine eoliche si rompono. C’è la rottura e c’è il tempo<br />

legislativo 387/2003 e previa concessione d’uso del demanio marittimo da parte della competente autorità marittima. Quindi,<br />

l’autorizzazione è solo ministeriale, mente i Comuni e gli altri enti locali non hanno nessun titolo/competenza, possono partecipare<br />

alla Conferenza dei servizi, ma solo a titolo consultivo. Al momento mancano ancora delle Linee Guida per gli impianti<br />

offshore (quelle emanate a settembre 2010 riguardano solo per gli impianti onshore). Emblematico di quanto sia confusa la<br />

situazione e dei problemi che si creano è il caso di un progetto per un parco eolico offshore a 6-8 km dalla costa del Molise, a<br />

largo di Termoli, al quale si oppongono la Regione, la Provincia e tutti i Comuni, avendo fatto ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato<br />

contro l’autorizzazione. “Quell’impianto è emblematico, perché la Regione e i Comuni approvano porticcioli, case, villaggi vacanza,<br />

alberghi, etc. sulla costa e poi se la prendono con l’impianto eolico che sta a 8 km di distanza dalla linea di costa. Sull’eolico ci si<br />

fa una sorta di verginità ambientale che non esiste. Su questo noi siamo andati fino in fondo, facendo ora pure ricorso al Tar ad<br />

iuvandum di quell’impresa. Noi all’impresa abbiamo dato su questo una mano, spingendola a rispondere a tutte le osservazioni che<br />

erano state fatte dal punto di vista ambientale. I punti critici erano due:<br />

• la presenza di una duna sommersa tutelata – una SIC ZPS – e siccome il cavodotto deve arrivare a terra, hanno modificato il<br />

percorso, aggirando la duna;<br />

• il MiBAC gli ha chiesto di allontanare un po’ le pale e loro hanno spostato indietro, a 8 km dalla costa, la prima fila di pale.<br />

Hanno fatto fare uno studio paesaggistico ad una paesaggista che gli abbiamo suggerito. Gli abbiamo dato una mano per cercare<br />

di presentare un buon progetto. Nonostante questo, le amministrazioni locali hanno fatto ricorso al Tar e al Consiglio di Stato. In<br />

questo atteggiamento da parte dei Comuni c’è la vera ambiguità dell’eolico. Il punto problematico dell’offshore è che nessuno prende<br />

delle royalties perché il mare non è territorio comunale, provinciale o regionale, ma dello Stato. Quindi, sull’offshore da parte dei<br />

Comuni c’è battaglia, mentre poi sui progetti a terra non fanno la stessa resistenza” (Edoardo Zanchini, Legambiente).<br />

26


3. La produzione di sistemi eolici in Italia<br />

di riparazione. Come tutte le macchine hanno la manutenzione ordinaria che viene fatta ogni<br />

sei mesi, preferibilmente nei periodi in cui c’è meno ventosità. Sono 1 o 2 giorni per macchina.<br />

Bisogna ingrassare la macchina e controllare gli apparati, i circuiti dell’olio. Va fatto un check,<br />

un po’ come il tagliando per le automobili. Le macchine sono controllate in remoto e qualsiasi<br />

anomalia all’interno della macchina viene segnalata in tempo reale. La macchina si mette in<br />

sicurezza da sola, si autogestisce, spegnendosi e mettendosi di taglio al vento, di modo che va<br />

in stallo, in attesa dell’intervento della manutenzione (Roberto Refrigeri, Enel Green Power).<br />

In Italia la fase dello <strong>sviluppo</strong> commerciale dell’eolico è partita in ritardo rispetto ad<br />

altri paesi europei come la Germania, la Danimarca o la Spagna (Pirazzi, 2008). 18 Di questo<br />

ritardo hanno sofferto anche le nascenti industrie di produzione di aerogeneratori e di<br />

componentistica (torri, quadri elettrici, motoriduttori, elettronica di potenza), che si sono<br />

trovate a competere con delle realtà industriali europee e americane ormai agguerrite e in<br />

rapida crescita. In questo senso, si può dire che da parte delle amministrazioni nazionali e<br />

regionali sono mancate delle scelte consapevoli di politica industriale in grado di promuovere<br />

lo <strong>sviluppo</strong> del comparto industriale, incrementando così i benefici economici per il territorio<br />

derivanti dalla diffusione delle rinnovabili. Emblematica in questo senso è l’esperienza della<br />

Spagna, dove lo sfruttamento del vento è stato condizionato da parte delle singole regioni<br />

al coinvolgimento dell’imprenditorialità e manodopera <strong>locale</strong>, tanto che ora questo paese è<br />

diventato un esportatore di tecnologia <strong>eolica</strong> in tutto il mondo.<br />

Sul rapporto tra <strong>sviluppo</strong> delle energie rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> della filiera industriale a livello<br />

<strong>locale</strong>, forse l’esperienza di maggiore successo è quella fatta dagli spagnoli che 10-15 anni fa<br />

hanno promosso gli investimenti in parchi eolici, invitando ad investire anche negli impianti<br />

produttivi della filiera industriale. La Spagna ha creato una sua base industriale, grazie al fatto<br />

che le regioni hanno adottato delle politiche industriali favorevoli, in un momento in cui era<br />

possibile farlo. Ad esempio, la Gamesa è nata dalla Vestas e poi si è resa autonoma, cosa che<br />

non ha fatto da noi la IWT. Questo perchè da noi è mancata la logica della politica industriale.<br />

Oramai, il baricentro delle grandi tecnologie è tutto spostato sulla Cina e sull’India (Silvestrini,<br />

Kyoto Club).<br />

Lo <strong>sviluppo</strong> del mercato nazionale è iniziato dapprima con l’installazione di macchine da<br />

200-350 kW di produzione italiana mono e bipala (Riva Wind Turbines del Gruppo Riva Fire<br />

SpA e West, del gruppo Ansaldo), per continuare poi con la messa in servizio di aerogeneratori<br />

di media taglia da 500 a 850 kW dotati di rotore tripala (Vestas-IWT, Enercon, Bonus,<br />

18 Nel 1996, nelle province di Foggia e Benevento, sono state installate le prime centrali eoliche commerciali ad opera<br />

dell’Italian Vento Power (IVPC), una società privata costituita ad Avellino nel 1993, che ha avuto l’intuizione di utilizzare al<br />

meglio lo strumento legislativo del CIP 6/92, e le conoscenze di sitologia maturate dagli americani in California. Altre centrali<br />

eoliche sono state realizzate anche nella provincia di Avellino e sui crinali appenninici delle regioni circostanti. A queste prime<br />

iniziative ne sono seguite altre da parte di operatori come Edison Energie Speciali, ENEL Green Power, Sanseverino ed altri che,<br />

nel volgere di pochi anni, hanno permesso all’Italia – con circa 700 MW installati alla fine del 2001 – di conseguire il primo<br />

obiettivo del Libro Bianco sulle rinnovabili e di raggiungere la quarta posizione a livello europeo, la sesta a livello mondiale,<br />

in termini di potenza <strong>eolica</strong>. Negli ultimi 10 anni la progressione della potenza <strong>eolica</strong> installata è stata la seguente: 797 MW<br />

al 2002, 913 MW al 2003, 1.255 MW al 2004, 1.718 MW al 2005, 2.123 MW al 2006, 2.726 MW al 2007, 3.736 MW al 2008,<br />

4.849 MW al 2009, 5.758 MW al 2010. L’incremento della potenza <strong>eolica</strong> installata, nel contesto di un mercato della produzione<br />

elettrica liberalizzato ormai da più di 10 anni, riflette anche la crescita del numero di operatori elettrici specializzati nella progettazione<br />

e gestione di impianti eolici di grandi dimensioni. Il mercato è ancora molto frazionato tra una pluralità di operatori<br />

(alcuni controllati da grandi gruppi multinazionali del settore elettrico convenzionale) che hanno in media tra i 100 e i 400 MW<br />

di potenza installata (quindi, più parchi eolici ciascuno): il Gruppo IVPC, Enel Green Power, Edison Energie Speciali (EDENS), Fri-<br />

El, E.ON Italia, Moncada Energy Group, Asja <strong>Ambiente</strong> Abn Windenergy, Inergia, FERA-Fabbrica Energie Rinnovabili Alternative,<br />

AceaElectrabel Produzione, Lucky Wind, Veronagest, Tozzi Sud, IVPC Eolica, Gruppo ICQ, ERG Renew, Fortore <strong>Energia</strong>, Gruppo<br />

Gamesa, Sorgenia, Api Nova <strong>Energia</strong>, GE Energy. La stretta creditizia sta consolidando la presenza delle maggiori compagnie<br />

energetiche a spese dei produttori indipendenti di minori dimensioni che, in alcuni casi, hanno dovuto cedere parte delle proprie<br />

attività.<br />

27


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Neg Micon, etc.) e arrivare successivamente alle macchine di grande taglia da 1 a 3 MW<br />

(Fuhrlander, REpower, GE Wind, Vestas, Gamesa, Enercon, Suzlon, Siemens Wind Power, Acciona,<br />

Ecotecnia e Nordex). Gli aerogeneratori attualmente realizzati in Italia, dopo la fine poco<br />

gloriosa di quelli progettati, costruiti e sperimentati all’inizio degli anni ’90, si collocano in<br />

tutte le fasce della tecnologia. Infatti, alle macchine di piccola taglia, da centinaia di watt<br />

sino a 20 kW, prodotte da società come Salini, Ropatec, Jonica Impianti, Enerclean, Terom,<br />

Badgir, BluMini Power, Windesign e Dealer Tecno, dalla metà degli anni 2000 se ne sono<br />

aggiunte altre di media e grande taglia prodotte da Vestas Italia (ex West/IWT) di Taranto,<br />

Gruppo Leitner di Vipiteno, Moncada Costruzioni di Agrigento.<br />

Inoltre, occorre considerare che le attività di installazione di aerogeneratori – dalla costruzione<br />

all’avviamento, sino alla fase di esercizio – richiedono molteplici interventi da parte<br />

di una serie di imprese coinvolte nell’assemblaggio della macchina e nella fornitura dei singoli<br />

componenti (generatore, moltiplicatore di giri, riduttore, torre, mozzo, impianti elettrici ed<br />

idraulici, lavorazioni metalliche, forniture industriali, sensori, etc.). Oltre alla realizzazione di<br />

tali componenti si deve ricordare l’insieme delle opere civili (strade, piazzole e scavi, edifici,<br />

fondazioni), le opere elettriche (cavi, quadri, trasformatori, sottostazioni), la realizzazione<br />

delle torri, i trasporti, nonché le apparecchiature di sollevamento e le gru.<br />

Se per la macchina intera, il sistema completo, credo che ormai sia troppo tardi, salvo casi<br />

del tutto eccezionali e di nicchia, invece la componentistica è un’area in cui le imprese italiane<br />

possono ancora giocare un ruolo molto interessante, perché in Italia c’è una importante<br />

componente di industria meccanica ed elettromeccanica. So che ci sono delle importanti realtà<br />

industriali italiane che fanno parte delle filiere industriali internazionali dei prodotti per le<br />

energie rinnovabili. Pertanto, non darei per persa la battaglia sul campo industriale. Certo, che<br />

bisognerebbe fare quello che prevedeva il Piano Industria 2015, mettendo insieme grandi, medie<br />

e piccole imprese, con università, centri di ricerca su alcuni grandi progetti obiettivo, dando<br />

una spinta allo <strong>sviluppo</strong> tecnologico del settore industriale. Questo, purtroppo, si è sfilacciato<br />

(Silvestrini, Kyoto Club).<br />

Secondo le stime Anev-UIL, negli ultimi anni in Italia il settore eolico ha creato 8.200 nuovi<br />

posti di lavoro diretti, mentre comprendendo l’indotto si arriva ad oltre 28mila. Inoltre, se si<br />

raggiungerà il potenziale nazionale di circa 16mila MW al 2020, in numero totale di addetti<br />

potrebbe salire ad oltre 67mila.<br />

Un primo ragionamento nel rapporto tra <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> ed energie rinnovabili, riguarda il<br />

mercato <strong>locale</strong> del lavoro. Per quanto riguarda la Puglia, sono tanti i professionisti che da 6-8-<br />

10anni lavorano quasi esclusivamente sulle fonti rinnovabili a vario livello. Poi, ci sono aziende<br />

che sono nate ad hoc: società che montano, assemblano, producono. C’è un movimento enorme<br />

che non saprei quantificare. Non so se qualcuno si è mai preso l’impegno di fare una specie di<br />

censimento, di quanti soggetti sono occupati dalla filiera diretta. Qui, secondo me, si superano<br />

tranquillamente le 10mila persone. Si parla sempre di aziende, operai, etc., però i professionisti<br />

sono una categoria che non nomina nessuno. Professionisti che operano sul mercato in qualità<br />

di lavoratori autonomi. Sono giovani laureati, o laureati da tempo, hanno un’età compresa<br />

tra i 25 ai 40anni, e che normalmente in questi territori non hanno nessuna possibilità professionale<br />

e che normalmente qui dovrebbe fare “le valigie”. Quindi, questo è un settore che<br />

può “tenere” sul territorio tantissimi professionisti, professionalità qualificate. Qui, in Fortore<br />

<strong>Energia</strong>, ad esempio, c’è un geologo che ha lavorato 4anni sulle piattaforme petrolifere in Africa,<br />

e che grazie a questa attività lavora a casa sua, in un settore che altrimenti non avrebbe<br />

spazio. Ci sono centinaia di persone che lavorano oggi su questi temi. Qui, in Fortore <strong>Energia</strong>,<br />

28


3. La produzione di sistemi eolici in Italia<br />

solo di professionisti ci sono 60-70 persone. Sono tanti, sono numeri e stiamo parlando solo di<br />

questa realtà. Poi ci sono una serie di altre aziende che conosciamo e che hanno 10, 40, 100<br />

persone. Se sommiamo tutte queste professionalità intellettuali, stiamo parlando di migliaia di<br />

persone. Poi ci sono i settori collegati: i montaggi, i trasporti, i noleggi, le imprese che lavorano<br />

alla costruzione, le società di manutenzione, di gestione, il controllo della sicurezza negli<br />

impianti realizzati, quindi le cooperative di vigilanza, gli archeologi. L’impulso che hanno dato<br />

le rinnovabili al settore dell’archeologia è enorme. In un primo momento c’erano solo pareri<br />

molto negativi sugli impianti. A un certo punto l’impostazione del Ministero è stata diversa, la<br />

Sopraintendenza Archeologica della Puglia non dice più no a nessuno, salvo prescrivere delle<br />

procedure obbligatorie. È il caso della costruzione di una carta del rischio archeologico preventiva,<br />

che impegna, pagate dalle società proponenti, cooperative di archeologi che sono in un<br />

elenco accettato dalla Sopraintendenza. Fanno una ricognizione dell’area e isolano i rilievi. A<br />

fronte di questa prima attività ricognitiva, se ci sono delle evidenze archeologiche, in fase di<br />

cantiere la Sopraintendenza impone lo scavo sistematico con l’assistenza fissa di imprese specializzate<br />

a carico del proponente. Tutto questo per dire che ci sono una serie di collegamenti<br />

infiniti, un movimento intellettuale che lavora sulle rinnovabili, e che questo “movimento” è<br />

enorme. Quello che manca è che non si è riusciti a creare le condizioni per fare gran parte delle<br />

tecnologie qui in Puglia, e ci sarebbero le condizioni. Oggi, l’80% della ricchezza prodotta dalle<br />

rinnovabili va a finire fuori, perché le macchine e i principali componenti vengono da fuori. Noi<br />

abbiamo tentato di fare qui delle attività importanti. Le torri in cemento per Enercon si fanno<br />

in Puglia, altre cose si fanno, ma si potrebbe fare tantissimo di più se ci fosse un minimo di<br />

garanzia da parte delle istituzioni e mi riferisco al garantire una certa massa critica di interventi<br />

(Giovanni Alessandro Selano, Holding Fortore <strong>Energia</strong> SpA).<br />

Nei prossimi anni, la crescita dell’industria italiana e del suo indotto potrà contare, oltre<br />

che sull’ulteriore <strong>sviluppo</strong> del mercato interno, anche sulla diffusione dell’energia <strong>eolica</strong> nei<br />

paesi balcanici e in quelli della sponda meridionale del Mediterraneo che, per la maggior<br />

parte, sono zone ad elevata potenzialità di vento.<br />

29


4. Il quadro normativo nazionale<br />

Dalle interviste condotte con i testimoni privilegiati nel corso della ricerca emerge che per<br />

quanto riguarda l’eolico e, più in generale, le fonti da energie rinnovabili è successo quello<br />

che in Italia spesso succede rispetto alle grandi innovazioni tecnologiche e produttive:<br />

il mercato, l’economia reale, si è mosso più velocemente rispetto alla capacità dei poteri<br />

pubblici di fornire un quadro di regole omogeneo, sensato e trasparente. Questo è avvenuto<br />

nonostante che in Italia uno <strong>sviluppo</strong> consistente dei diversi settori delle energie da fonti<br />

rinnovabili si sia verificato in ritardo rispetto ad altri paesi europei, come la Germania, la<br />

Spagna e la Danimarca. L’Italia non è stata certo tra i primi paesi a muoversi nel campo delle<br />

energie alternative. La differenza è che altrove in Europa questa dinamica di <strong>sviluppo</strong> delle<br />

rinnovabili è partita insieme allo sforzo da parte dello Stato, sia in termini legislativi, sia in<br />

termini amministrativi, di accompagnarlo. Questo da noi non è successo o è successo solo<br />

parzialmente e, quindi, la crescita delle energie a fonte rinnovabile ha camminato a lungo,<br />

e in parte sta camminando ancora, su una base di un quadro di regole inadeguato, incerto,<br />

spesso contraddittorio e in alcuni casi perfino paradossale. Per quanto riguarda l’eolico, ma<br />

non solo, le procedure autorizzative fino adesso sono state assolutamente variabili da Regione<br />

e Regione. Spesso addirittura all’interno di una stessa Regione non c’è stata certezza sugli<br />

gli standard delle procedure di autorizzazione.<br />

L’incapacità da parte della pubblica amministrazione – centrale e <strong>locale</strong> – di accompagnare<br />

adeguatamente il processo rappresenta il maggiore ostacolo ad uno <strong>sviluppo</strong> equilibrato<br />

e dinamico delle energie rinnovabili. Naturalmente, quando l’economia si muove in assenza<br />

di regole certe, trasparenti e omogenee, la possibilità che anche i fenomeni più virtuosi<br />

diventino occasione per comportamenti e vicende invece poco trasparenti è reale. Questo<br />

sicuramente in qualche caso è avvenuto e sta avvenendo, e purtroppo poi questo getta una<br />

luce molto sfavorevole, almeno dal punto di vista di alcuni media, su tutto il fenomeno.<br />

Le direttive europee, le leggi e i meccanismi nazionali di incentivazione per la produzione<br />

di energia elettrica da fonte rinnovabile hanno ragion d’essere per il costo ancora elevato<br />

del kWh generato da queste fonti non inquinanti. I meccanismi di supporto per le rinnovabili<br />

rappresentano per la comunità un investimento per il futuro, in quanto un ricorso sempre più<br />

esteso a tali fonti di energia permetterà di evitare costi sociali ed ambientali ingenti.<br />

La legislazione nazionale in merito alle fonti da energie rinnovabili, ed in particolare<br />

all’eolico, ha visto in Italia il succedersi di tre fasi temporali distinte, in ognuna delle quali<br />

si è avuto un ampliamento e rafforzamento delle misure normative di sostegno allo sfrutta-<br />

31


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

mento di tali fonti (Cfr. Togni, 2008). Di seguito, si delineano le caratteristiche salienti di<br />

ciascuna fase.<br />

4.1 La prima fase (1988-1997)<br />

Nella prima fase compaiono i primi strumenti governativi di un certo rilievo a sostegno<br />

delle fonti rinnovabili in generale e dell’eolico in particolare. Tali strumenti sono stati il Piano<br />

energetico nazionale del 1988, che stabilisce un obiettivo di 300-600 MW di eolico installati<br />

nel 2000, le leggi 9/91 19 e 10/91, quest’ultima che prevede dei contributi a fondo perduto<br />

erogati dalle Regioni per studi di fattibilità in materia di energie rinnovabili e per l’insediamento<br />

di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. 20<br />

Ma, soprattutto il successivo provvedimento CIP 6/92, che stabilisce prezzi incentivanti<br />

per la cessione all’ENEL di energia elettrica prodotta con impianti a fonti rinnovabili<br />

o “assimilate”. 21 Quest’ultimo provvedimento determina, per l’energia eolico, un prezzo di<br />

cessione composto da due voci:<br />

• voce 1: costi evitati (di esercizio, di manutenzione e spese generali, di combustibile)<br />

dall’ENEL e riconosciuti per l’intera vita dell’impianto;<br />

• voce 2: sovraccosti correlati ai maggiori costi della specifica tipologia di impianto a<br />

carico del produttore, riconosciuti soltanto per i primi 8 anni.<br />

Tra le altre prescrizioni, vi sono gli oneri di allacciamento che, per le fonti rinnovabili e<br />

nelle regioni con deficit energetico, sono fissati nella misura di 1/3 a carico dell’autoproduttore<br />

e per 2/3 a carico dell’ENEL.<br />

Successivamente, con due decreti del Ministero dell’Industria (luglio 1996 e gennaio<br />

1997) è stato confermato che i prezzi di cessione del provvedimento CIP 6/92 devono essere<br />

pagati per gli impianti già realizzati, in corso di realizzazione, o inclusi sino alla sesta graduatoria<br />

al 30 giugno 1995. Gli impianti eolici potenzialmente beneficiari della tariffa CIP<br />

6/92 assommano così ad una potenza complessiva di poco superiore ai 700 MW.<br />

4.2 La seconda fase (1998-2002)<br />

Nella seconda fase, il quadro normativo italiano a sostegno delle fonti rinnovabili ha<br />

subito profonde modifiche originate dalla necessità di rispettare gli impegni presi nelle sedi<br />

internazionali e di trovare delle misure di incentivazione che fossero sostenibili per le casse<br />

dello Stato. Le principali tappe sono state:<br />

• la Delibera CIPE del 19.11.1998 “Linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione<br />

delle emissioni di gas serra” adottata con l’obiettivo di avviare le azioni necessarie<br />

a rispettare gli impegni internazionali nel settore dell’ambiente, che sono in particolare<br />

19 La Legge 9/91, Norme per l’attivazione del nuovo piano energetico nazionale. Aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed<br />

elettrodotti, idrocarburi, geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali, definisce le modalità di immissione di energia prodotta<br />

da fonti rinnovabili (trasporto, scambio, cessione totale, cessione di eccedenza) e, soprattutto, stabilisce con l’art. 22 che la<br />

produzione di energia da fonte rinnovabile non sia più sottoposta a riserva di esclusiva a favore dell’ENEL, che allora era ancora<br />

un ente pubblico economico.<br />

20 La legge 10/91, Attuazione del piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico<br />

e di <strong>sviluppo</strong> delle fonti rinnovabili di energia, consente l’esproprio per causa di pubblica utilità delle aree sulle quali insediare<br />

impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in quanto considerate “opere di pubblico interesse e di pubblica<br />

utilità” e, quindi, prioritarie anche dal punto di vista dell’applicazione delle leggi sulle opere pubbliche.<br />

21 Il CIP 6/92 ha stimolato la diffusione delle fonti rinnovabili, ma i benefici maggiori sono stati appannaggio delle cosiddette<br />

“assimilate” (tra queste il processo di cogenerazione ha assorbito una quota rilevante delle risorse economiche disponibili),<br />

che di fatto hanno ridotto i finanziamenti disponibili e, successivamente hanno portato al blocco del provvedimento stesso per<br />

mancanza di fondi (Cfr. Pirazzi e Garribba, 2004:41).<br />

32


4. Il quadro normativo nazionale<br />

connessi con il Protocollo di Kyoto. La delibera indica sei azioni nazionali, tra le quali una<br />

riguarda la produzione di energia da fonti rinnovabili. Il CIPE stima di ottenere al 2008-2012<br />

una riduzione delle emissioni di 95-112 Mt di CO2, di cui 18-20 Mt attraverso il contributo<br />

delle fonti rinnovabili;<br />

• il Decreto legislativo 79/99 (cosiddetto “Decreto Bersani”) inerente il recepimento della<br />

Direttiva europea 96/92/CE sul mercato interno dell’elettricità che definisce le linee generali<br />

del riassetto del settore elettrico in Italia. Al fine di avviare una graduale liberalizzazione<br />

del mercato elettrico italiano, stabilisce importanti innovazioni nei settori della produzione,<br />

della trasmissione e della distribuzione dell’energia elettrica, nelle attività di importazione<br />

ed esportazione, nelle fonti rinnovabili, nelle concessioni idroelettriche, e nel nuovo assetto<br />

societario dell’ENEL. Viene stabilita la creazione di tre figure istituzionali: Gestore della<br />

Rete di Trasmissione Nazionale (GRTN), Gestore del Mercato Elettrico (GME) e l’Acquirente<br />

Unico (AU). Ai produttori di energia elettrica convenzionale (da combustibili fossili) viene<br />

fatto obbligo di immettere nella rete elettrica nazionale, fino dal 2001, la quota del 2%<br />

di energia da fonti rinnovabili, e in attuazione delle disposizioni dell’art. 11, in data 11<br />

novembre 1999 è emanato un decreto del Ministro dell’Industria recante le “Direttive per<br />

l’attuazione delle norme in materia di energia elettrica da fonti rinnovabili di cui ai commi<br />

1, 2 e 3 dell’articolo11 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79”. L’aspetto principale<br />

riguarda l’introduzione del meccanismo dei certificati verdi per colmare la differenza tra il<br />

prezzo di produzione degli impianti eolici e da altre fonti rinnovabili e il prezzo riconosciuto<br />

dal mercato. Tale meccanismo è sorretto dalla domanda obbligatoria imposta ai produttori<br />

e importatori di energia elettrica convenzionale. I proprietari degli impianti energetici certificati<br />

dal GRTN come impianti alimentati da fonti rinnovabili (IAFR), per i primi 8 anni<br />

di esercizio successivi al periodo di collaudo e di avviamento, hanno diritto ai certificati<br />

verdi, di valore pari o multiplo di 100 MWh. 22 Tali titoli rappresentano una certificazione di<br />

produzione da fonti rinnovabili e sono emessi dal gestore della rete elettrica nazionale. Per<br />

quanto riguarda la contrattazione dei certificati verdi, il gestore del mercato, di cui all’art.<br />

5 del decreto legislativo 79/99, nell’ambio della contrattazione nel mercato elettrico,<br />

organizza il loro scambio nella sede predisposta. Questi sono oggetto di libero mercato tra<br />

soggetti detentori degli stessi e i produttori-importatori, soggetti all’obbligo di cui all’art.<br />

11, commi 1 e 2 del decreto legislativo 79/99 (immissione nella rete elettrica nazionale<br />

del 2% di energia da fonti rinnovabili) anche al di fuori della sede suddetta. In caso di<br />

impossibilità di immettere energia elettrica da fonti rinnovabili in quantità sufficiente, i<br />

produttori possono assolvere l’obbligo comprando ed annullando certificati verdi prodotti<br />

da terzi per un pari quantitativo. In sintesi, i produttori di energia da fonti convenzionali<br />

(fossili) che non riescono a produrre energia da fonti rinnovabili con impianti propri in<br />

quantità pari o superiore ai propri obblighi possono acquistarla, sotto forma di certificati<br />

verdi, da altri produttori sulla borsa del gestore del mercato elettrico o tramite contratti<br />

bilaterali. Gli impianti incentivati dal CIP 6/92, che entrano in servizio dopo il 1° aprile<br />

1999, hanno diritto ai certificati verdi, il proprietario dei quali è il GRTN, 23 che li immette<br />

sul mercato a un prezzo corrispondente, grosso modo, alla differenza tra il costo d’acquisto<br />

e quello di vendita della relativa energia;<br />

22 La Legge 239/04 (Legge Marzano) ha poi ridotto a 50 MWh la taglia del certificato verde., mentre la Legge 244/07 (Legge<br />

Finanziaria 2008) la porta a 1 MWh.<br />

23 Le cui competenze oggi sono assolte da Terna SpA e dal Gestore dei Servizi Elettrici (GSE). A quest’ultimo è affidato il<br />

compito di gestire il sistema di incentivazione.<br />

33


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

• la Conferenza nazionale energia e ambiente, organizzata dall’ENEA (Roma, novembre<br />

1998) ha costituito un momento di riflessione e revisione delle politiche energetiche in corso<br />

nel paese, fissando innanzitutto l’imprescindibilità dello <strong>sviluppo</strong> energetico dalla sostenibilità<br />

ambientale. Tra le iniziative di maggior rilievo, intraprese dal governo nell’ambito di tale<br />

conferenza, si deve annoverare la sottoscrizione del Patto per l’energia e l’ambiente. Il patto,<br />

che ha come interlocutori le amministrazioni centrali e locali, le parti sociali, gli operatori<br />

e gli utenti, fissa le regole e gli obiettivi generali di un costruttivo e innovativo rapporto<br />

tra le parti. È la necessaria premessa per la sottoscrizione di accordi volontari, settoriali o<br />

specifici. In questo contesto si colloca l’Accordo di programma per la realizzazione delle iniziative<br />

sulle fonti rinnovabili incluse nelle prime sei graduatorie del provvedimento CIP 6/92.<br />

Il primo pacchetto di tale Accordo diviene operativo ed è riferito all’eolico;<br />

• l’approvazione da parte del CIPE, del Libro bianco per la valorizzazione energetica delle<br />

fonti rinnovabili (6 agosto 1999), documento che testimonia l’importanza attribuita dal<br />

governo allo <strong>sviluppo</strong> delle energie da fonti rinnovabili. Il Libro bianco individua, per ciascuna<br />

fonte rinnovabile, gli obiettivi che devono essere conseguiti per ottenere le riduzioni<br />

di gas serra, indicate dal CIPE grazie alle energie rinnovabili, indicando le strategie e gli<br />

strumenti necessari per raggiungere lo scopo. Per l’eolico, l’obiettivo fissato al 2008-2012 è<br />

la potenza installata di 2.500 MW. Inoltre, tale documento recepisce appieno le indicazioni<br />

espresse nel Libro bianco dell’UE: “Il ruolo degli Stati membri nell’attuazione dei piani d’azione<br />

(indicati nel documento europeo) è cruciale. Essi devono decidere i loro obiettivi specifici<br />

nell’ambito del quadro più generale ed elaborare le proprie strategie nazionali per conseguirli”;<br />

• il Parlamento italiano, con Legge 120 del 1° giugno 2002, ha ratificato il Protocollo di<br />

Kyoto sul cambiamento climatico. Il Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> ha emanato un “Piano nazionale<br />

per la riduzione del gas serra”, approvato anche dal CIPE nel dicembre 2002, con l’obiettivo di<br />

ridurre gradualmente l’emissione dei gas serra in Italia. Nell’agosto del 2002 il CIPE ha anche<br />

approvato il documento per lo <strong>sviluppo</strong> sostenibile, nel quale si annette grande importanza<br />

alle azioni che verranno intraprese dalle singole Regioni per promuovere sul territorio nazionale<br />

lo <strong>sviluppo</strong> delle centrali da fonti rinnovabili. Con questa operazione di decentramento<br />

si intendono favorire interventi zona per zona mirati allo <strong>sviluppo</strong> della produzione di energia<br />

da fonte rinnovabile.<br />

4.3 La terza fase (2003-presente)<br />

La terza fase inizia con l’approvazione del Decreto legislativo 383/2003 in recepimento<br />

della direttiva 2001/77/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001 sulla<br />

promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno<br />

dell’elettricità. 24 Nel Decreto legislativo 387 vengono univocamente definite ed elencate<br />

le fonti rinnovabili, dette anche “non fossili”. Al fine di controllare l’evoluzione del mercato<br />

delle fonti rinnovabili, entro il 30 giugno 2005 e di seguito ogni due anni, il Ministero delle<br />

24 Con la Direttiva 2001/77/CE l’Europa sancisce la necessità di sviluppare in via prioritaria la promozione di energie rinnovabili,<br />

per favorire la sostenibilità ambientale, per avvicinarsi agli obiettivi di Kyoto e per la consapevolezza che in questo modo<br />

si possa contribuire allo <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, creando occupazione e coesione sociale. Con prima scadenza il 27 ottobre 2002, e in<br />

seguito ogni 5 anni, gli Stati membri si impegnano a contribuire allo <strong>sviluppo</strong> sostenibile attraverso una sorta di dichiarazione<br />

di intenti con la quale si intende stabilire gli obiettivi per i 10 anni successivi, che ogni Stato si propone di raggiungere in<br />

termini di consumi di elettricità prodotta da fonti rinnovabili. La stessa Direttiva prevedeva che entro il 2003 gli Stati membri<br />

definissero criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori per garantire l’origine dell’elettricità prodotta da fonte energetiche<br />

rinnovabili, e le misure necessarie ad assicurare che i gestori delle reti di trasmissione e di distribuzione garantissero la trasmissione<br />

e la distribuzione dell’elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili.<br />

34


4. Il quadro normativo nazionale<br />

Attività Produttive (oggi Ministero dello Sviluppo Economico), di concerto con il Ministero<br />

dell’<strong>Ambiente</strong>, col Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Conferenza Unificata, dovrà<br />

presentare una relazione al Parlamento, sulla base dei dati del Gestore della rete e dell’Osservatorio<br />

nazionale sulle fonti rinnovabili (istituito dallo stesso decreto, ma poi chiuso nel<br />

2005).<br />

Nel decreto 387 viene stabilito, inoltre, che la quota di energia da fonti rinnovabili deve<br />

crescere dello 0,35% all’anno nel periodo 2004-2006, disponendo che gli incrementi annuali<br />

per i periodi 2007-2009 e 2010-2012 vengano emanati dal Ministero dell’<strong>Ambiente</strong>, sentita<br />

la Conferenza Unificata. 25<br />

Altro aspetto importante riveste l’istituzione della Garanzia di origine dell’energia, rilasciata<br />

dal Gestore della rete, su richiesta del produttore, a garanzia della provenienza da fonte<br />

rinnovabile dell’elettricità prodotta. 26<br />

Al fine di semplificare l’iter autorizzativo degli impianti a fonte rinnovabile, l’art. 12<br />

del decreto 387 stabilisce un’autorizzazione unica rilasciata dalla Regione o da altro ente<br />

indicato dalla stessa che deve prevedere anche il ripristino dello stato dei luoghi una volta<br />

che l’impianto non sia più produttivo. 27 All’autorizzazione unica si arriva attraverso un<br />

procedimento unico convocato dalla Regione, al quale partecipano tutte le amministrazioni<br />

coinvolte, al fine di snellire, semplificare ed accorciare i tempi delle autorizzazioni. Il procedimento<br />

unico deve terminare entro 180 giorni dall’inizio dell’iter autorizzativo. Le procedure<br />

di approvazione degli impianti devono però sottostare alle Linee guida redatte in Conferenza<br />

Unificata dai ministri delle Attività Produttive (oggi Sviluppo Economico), dell’<strong>Ambiente</strong> e<br />

dei Beni Culturali, i quali dovranno definire le modalità di coretto inserimento degli impianti,<br />

con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio. 28 In funzione di tali Linee guida<br />

le Regioni possono procedere all’indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di<br />

specifiche tipologie di produzione. L’articolo prevede, inoltre, che le opere per la realizzazione<br />

degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e le opere connesse, come le infrastrutture<br />

necessarie alla costruzione e all’esercizio degli impianti, debbano considerarsi di pubblica<br />

utilità, indifferibili ed urgenti.<br />

Le condizioni di vendita dell’energia al Gestore della rete per impianti a fonti rinnovabili<br />

con potenza fino a 10 MVA, viene stabilita dalla delibera n. 34 del 2005 dell’AEEG (Autorità<br />

per l’<strong>Energia</strong> Elettrica e il Gas). In particolare, all’art. 4 viene stabilito che a tali impianti<br />

viene garantito un prezzo dell’elettricità pari al prezzo di cessione dall’Acquirente unico alle<br />

imprese distributrici di energia per la vendita al mercato vincolato, come definito dall’art.<br />

30 comma 30.1, lettera a), del Testo integrato. Su richiesta del produttore, all’atto della stipula<br />

della convenzione, viene riconosciuto un prezzo unico indifferenziato per fasce orarie,<br />

25 La Legge Finanziaria 2008 (L. 244/07), con riferimento alla produzione energetica degli anni 2007-2012, ha incrementato<br />

a 0,75 punti percentuali la quota parte di incremento annuale di produzione da rinnovabili rispetto all’anno precedente.<br />

26 La Garanzia di origine prende il posto della certificazione di provenienza dell’energia prodotta da fonti rinnovabili prevista<br />

dall’art. 5 comma 9 del DM 11 novembre 1999.<br />

27 Per i parchi eolici, la Legge Finanziaria 2008 (L. 244/07) prevede che l’approvazione unica costituisca, ove necessario,<br />

variante allo strumento urbanistico. Inoltre, per impianti di potenza inferiore ai 60 kW si applica la procedura di Dichiarazione<br />

di Inizio Attività (DIA).<br />

28 Tali Linee guida nazionali sono state emanate soltanto nella seconda metà del 2010. Nel dicembre 2006 sono state redatte<br />

delle Linee guida unicamente dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in risposta alla ratifica da parte del governo della<br />

Convenzione europea del paesaggio, firmata il 14 gennaio 2006. Pertanto per quasi sette anni le Regioni non hanno potuto<br />

disporre di un chiaro indirizzo condiviso, con evidenti conseguenze nel mancato coordinamento e nella chiarezza dei procedimenti<br />

autorizzativi relativi agli impianti di produzione di energia <strong>eolica</strong>. Ad esempio, spesso alle aree definite non idonee non<br />

ha corrisposto un’individuazione dei vincoli che ne stabilivano la non idoneità, aumentando lo stato di indeterminatezza del<br />

settore. Da notare che le linee guida approvate prima del 2010 dalle Regioni Basilicata, Puglia, Calabria, Sardegna e Molise sono<br />

state dichiarate, in parte o in toto, illegittime da sentenze della Corte Costituzionale.<br />

35


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

determinato dall’Acquirente unico. Nella stessa delibera, vengono definiti dei prezzi minimi<br />

garantiti per l’elettricità prodotta da impianti con potenza fino a 1 MW, stabiliti per scaglioni<br />

di produttività.<br />

La delibera n. 281 del 2005 dell’AEEG stabilisce le regole per la connessione degli impianti<br />

alla rete elettrica. Tale delibera contempla le regole per la connessione alla rete elettrica di<br />

clienti finali consumatori di energia, di centrali elettriche convenzionali e da fonti rinnovabili.<br />

Il proponente dell’impianto di produzione a fonte rinnovabile fa richiesta di connessione al<br />

gestore di rete (che può essere il gestore <strong>locale</strong> fino a 10 MVA o Terna per potenze superiori).<br />

Il gestore ha l’obbligo di connessione e propone una soluzione tecnica minima. Se accettata<br />

dal proponente l’opera, questi dovrà pagare al gestore un corrispettivo stabilito dal gestore<br />

stesso, che per gli impianti da fonte rinnovabile è ridotto del 50%. Se il proponente l’impianto<br />

a fonte rinnovabile realizza a proprie spese l’impianto di connessione alla rete (rispettando<br />

i requisiti tecnici per favorire a sicurezza e la continuità del servizio elettrico), il corrispettivo<br />

da versare al gestore di rete è pari a zero.<br />

I rapporti tra il gestore di rete ed il proponente l’impianto vengono regolati mediante<br />

apposito contratto di connessione, redatto sulla base delle condizioni elencate nella delibera<br />

281. La convenzione riguardante connessioni di impianti a fonti rinnovabili ha la priorità<br />

sulle altre e deve concludersi entro 180 giorni.<br />

Il decreto del 24 ottobre 2005 del Ministero delle Attività Produttive, aggiorna le direttive<br />

per l’incentivazione dell’energia prodotta da fonti rinnovabili. 29 È stabilito che la produzione<br />

netta di elettricità da fonti rinnovabili ha diritto, per i primi 8 anni di esercizio successivi<br />

all’entrata in esercizio commerciale, ai certificati verdi. 30 Il certificato verde ha un valore<br />

unitario di 50 MWh, viene emesso dal gestore di rete entro 30 giorni, su comunicazione del<br />

produttore relativamente alla produzione netta da fonte rinnovabile imputata all’anno precedente.<br />

La produzione è arrotondata al 50 MWh con criterio commerciale. Su richiesta del produttore,<br />

sono emessi certificati verdi sulla producibilità 31 attesa dell’anno in corso e dell’anno<br />

successivo. Il Gestore di rete provvede, con cadenza triennale, alla verifica di congruità tra<br />

valori di produzione attesi ed i valori dichiarati dai produttori e certificati dall’Ufficio tecnico<br />

di finanza (Utf). I certificati verdi sono oggetto di libero mercato sia all’interno della sede<br />

prevista e preparata dal Gestore di rete, sia al di fuori di tale sede.<br />

Il Gestore della rete pubblica, con cadenza annuale, un bollettino informativo contenente<br />

l’elenco degli impianti a fonti rinnovabili in esercizio, in costruzione ed in progetto con<br />

qualifica delle garanzie di origine emesse e dei certificati verdi emessi. 32<br />

Successivamente, il sistema dei certificati verdi è stato modificato dalla Legge 244/07<br />

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge Finanziaria<br />

2008), da un Decreto ministeriale collegato del 12.12.2008 33 e dalla legge 99/09. Il Decreto<br />

Bersani del 1999 imponeva un obbligo agli operatori che immettono in rete più di 100 GWhe/<br />

29 Il decreto stabilisce anche che tutti i produttori e gli importatori di elettricità devono autocertificare le importazioni di<br />

energia non rinnovabile al gestore di rete. Per la quota parte di energia importata di provenienza rinnovabile, il soggetto può<br />

chiederne l’esenzione dal conteggio relativo alla quota di energia da bilanciare con fonti rinnovabili, come stabilito dal D.lgs. 387.<br />

30 Dall’attribuzione dei certificati verdi sono esclusi gli impianti alimentati da fonti assimilate.<br />

31 La producibilità di un aerogeneratore viene espressa in MWh e va intesa come numero di ore annue di funzionamento alla<br />

piena potenza nominale (espressa in MW).<br />

32 Nel novembre 2005, il gestore di rete ha pubblicato la Procedura di qualificazione degli impianti alimentati a fonti rinnovabili.<br />

Edizione n. 2. In tale documento, sono sinteticamente riportati i passi che i proponenti devono intraprendere per arrivare<br />

alla qualifica dei propri impianti alimentati a fonti rinnovabili (IAFR). Nella procedura sono previsti sia gli impianti nuovi che i<br />

rifacimenti parziali e totali, nonché le riattivazioni di vecchi impianti, riguardanti tutte le tipologie di impianti da fonti rinnovabili.<br />

33 Il decreto “Incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, ai sensi dell’articolo 2, comma 150, della<br />

legge 24 dicembre 2007, n. 244” è stato adottato il 18 dicembre 2008 dal Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto col<br />

36


4. Il quadro normativo nazionale<br />

anno che almeno il 2% dell’elettricità provenisse da impianti a fonti rinnovabili entrati in<br />

esercizio o ripotenziati, limitatamente alla producibilità aggiuntiva, in data successiva al<br />

1/4/99. Tale obbligo è stato incrementato dello 0,35% dal 2004 al 2006 e dello 0,75% dal<br />

2007 al 2012. La Legge 99/09 trasferisce tale obbligo sui soggetti che concludono con Terna<br />

contratti di dispacciamento di energia elettrica in prelievo.<br />

Alla produzione degli impianti alimentati da fonte rinnovabile entrati in esercizio prima<br />

del 2008, che abbiano ottenuto la qualifica IAFR, viene associato un certificato verde ogni<br />

MWhe/anno prodotto (in caso di nuova costruzione, rifacimento o riattivazione). I certificati<br />

verdi vengono emessi, ai fini dei riconoscimenti previsti dal Decreto Bersani, per:<br />

• 12 anni in base all’art. 267 comma 4 lettera D del D.lgs. 152/06, per tutti gli impianti<br />

alimentati da fonti rinnovabili, entrati in esercizio dal 1-4-99 al 31-12-07;<br />

• 15 anni per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili entrati in esercizio dal 2008. 34<br />

Gli impianti a fonte rinnovabile entrati in esercizio dal 2008 a seguito di nuova costruzione,<br />

rifacimento o potenziamento, riceveranno per 15 anni certificati verdi pari al<br />

prodotto della produzione netta di energia elettrica da fonti rinnovabili moltiplicata per un<br />

coefficiente, riferito alla tipologia della fonte. Per questa tipologia di impianti viene inoltre<br />

riconosciuta una tariffa fissa omnicomprensiva stabilita in funzione della potenza nominale<br />

dell’impianto e variabile a seconda della fonte utilizzata. La tariffa fissa viene riconosciuta<br />

in alternativa al sistema dei certificati verdi e dello scambio sul posto (accessibile, per impianti<br />

entrati in esercizio dal 2008, per taglie di potenza comprese tra 20 kW e 200 kW) per<br />

gli impianti alimentati da fonti rinnovabili di potenza non superiore ad 1 MW (200 kW per<br />

gli impianti da fonte <strong>eolica</strong>), entrati in esercizio dal 2008. Il coefficiente moltiplicativo e<br />

la tariffa fissa potranno essere rivisti ogni 3 anni, con Decreto Ministeriale, assicurando la<br />

congruità della remunerazione ai fini dell’incentivazione dello <strong>sviluppo</strong> delle fonti energetiche<br />

rinnovabili.<br />

Il produttore può decidere di utilizzare i certificati verdi per assolvere al suo obbligo<br />

ovvero di cederli a terzi secondo le seguenti modalità:<br />

1. cessione diretta tramite contratto bilaterale;<br />

2. cessione ad un intermediario;<br />

3. vendita sulla piattaforma della Borsa dei certificati verdi;<br />

4. cessione al GSE al prezzo pieno di riferimento.<br />

Di norma la cessione avviene per i casi 1. e 2. al prezzo di riferimento del GSE con uno<br />

sconto di qualche punto percentuale, per la vendita in borsa ad uno sconto ancora inferiore<br />

ed al GSE al prezzo pieno. I certificati verdi rilasciati per le produzioni riferite agli anni fino<br />

a tutto il 2010, vengono ritirati su richiesta dei detentori nel triennio 2009-2011, dal GSE,<br />

ad un prezzo pari al prezzo medio di mercato del triennio precedente all’anno nel quale viene<br />

presentata la richiesta di ritiro. 35<br />

In sintesi, in base alla Finanziaria 2008, entro il mese di giugno di ciascun anno, fino al<br />

raggiungimento dell’obiettivo minimo della copertura del 25% del consumo interno di ener-<br />

Ministro dell’<strong>Ambiente</strong>, e dà attuazione ai meccanismi di incentivazione già introdotti dalla Legge 24 dicembre 2007, n. 244<br />

(Legge Finanziaria 2008) e dalla Legge 29 novembre 2007, n. 222 (Collegato alla Finanziaria 2008).<br />

34 I certificati verdi vengono anche emessi per 8 anni per impianti alimentati da rifiuti non biodegradabili, qualificati ed<br />

entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2006 e impianti di cogenerazione abbinata a teleriscaldamento alimentati da fonte non<br />

rinnovabile. Inoltre, sono riconosciuti ulteriori 4 anni al 60% agli impianti alimentati da biomasse da filiera entrati in funzione<br />

prima del 2008 o da rifiuti non biodegradabili entrati in esercizio da febbraio 2004 e dicembre 2006. Si segnala infine che il D.L.<br />

78/09 come convertito dalla Legge 102/09 prevede il rilascio di certificati verdi per l’energia elettrica associata a calore utile<br />

prodotta da impianti di cogenerazione “connessi ad ambienti agricoli”.<br />

35 Così come previsto dall’art. 2, comma 149, della legge n. 244 del 24 dicembre 2007 e dall’art. 15, comma 1, del decreto<br />

del Ministro dello <strong>sviluppo</strong> economico 18 dicembre 2008.<br />

37


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

gia elettrica con fonti rinnovabili (e di successivi aggiornamenti derivanti dalla normativa<br />

dell’Unione Europea), il GSE è tenuto a ritirare, su richiesta del produttore, i certificati verdi<br />

in scadenza nell’anno in eccesso rispetto a quelli necessari per assolvere all’obbligo dell’anno<br />

precedente a un prezzo pari al prezzo medio riconosciuto ai certificati verdi registrato nell’anno<br />

precedente dal gestore del mercato elettrico. 36<br />

Inoltre, ai fini di garantire la transizione tra il vecchio e il nuovo sistema di incentivazione<br />

introdotto dalla Finanziaria 2008, il D.M. 18 dicembre 2008 ha obbligato il GSE a ritirare,<br />

fino al 2011, tutti i certificati verdi rilasciati per le produzioni fino al 2010 di cui i detentori<br />

richiedevano il ritiro in alternativa alla vendita sul mercato. In questo caso, il prezzo di ritiro<br />

era pari al prezzo medio di mercato del triennio precedente.<br />

Nel corso del 2010 il governo ha elaborato e inviato a Bruxelles il Piano di Azione Nazionale<br />

per le fonti rinnovabili (PAN) che rappresenta uno tassello molto importante verso la costruzione<br />

di una strategia in grado di raggiungere l’obiettivo generale di un apporto del 17%<br />

delle fonti a energie rinnovabili ai consumi finali lordi nel 2020 e gli altri obiettivi specifici<br />

posti all’Italia dalla direttiva 2009/28/CE.<br />

Intanto, un segnale positivo è arrivato sul fronte autorizzativi nel 2010. Infatti, sono<br />

state definite le “Linee guida per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di<br />

produzione di elettricità da fonti rinnovabili nonché linee guida tecniche per gli impianti stessi”,<br />

previste in base all’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 e approvate in<br />

Conferenza Unificata l’8 luglio scorso. 37 Tali Linee guida sono finalizzate ad armonizzare un<br />

quadro regolatorio e normativo fino a questo momento frammentato e disomogeneo a livello<br />

regionale, e stabiliscono i processi autorizzatori per le diverse tipologie e grandezze di<br />

impianto considerato, oltre che le misure di mitigazione e quelle compensative per gli enti<br />

locali ospitanti l’impianto. Le Linee guida dovrebbero contribuire ad accelerare l’iter burocratico<br />

soprattutto perché danno finalmente il via libera alla autorizzazione unica: tutti gli enti<br />

preposti a dare il via libera per gli impianti a fonti rinnovabili sono riuniti in una conferenza<br />

di servizi. Chi chiederà un’autorizzazione non deve più sottoporsi allo sfibrante gioco delle<br />

cosiddette sette chiese, ma dovrebbe avere in tempi certi (180 giorni) un parere positivo o<br />

negativo al proprio progetto, con enormi vantaggi su tempi di realizzazione.<br />

Rispetto agli impianti eolici, l’elemento di maggiore interesse contenuto nelle Linee<br />

guida sono le indicazioni da seguire per assicurare il corretto inserimento nel paesaggio e<br />

nell’ambiente naturale degli impianti, oggetto di uno specifico allegato. È indubbio che in un<br />

paese, come l’Italia, ad alta intensità abitativa e varietà naturale del paesaggio, il territorio<br />

è un bene prezioso, sia per la sua relativa scarsità per gli usi primari, agricoli, silvicoli e<br />

zootecnici, sia per la conservazione di habitat necessari alla biodiversità. Per tale motivo l’attenzione<br />

principale è posta sull’impatto paesaggistico dell’impianto eolico, la cui “visibilità”<br />

si estende ben oltre il territorio impattato direttamente o indirettamente per l’installazione<br />

delle torri. In particolare, le linee guida stabiliscono che per l’eolico che il Ministero dei<br />

beni culturali e la soprintendenza partecipa sia nell’ambito di istruttoria di VIA per impianti<br />

superiori ad 1 MW anche non vincolati, sia per impianti inferiori alla soglia precedente, ma<br />

ricadenti in aree sottoposte a tutela.<br />

36 In sostanza, il prezzo riferito all’acquisto dei certificati verdi da parte del GSE è il risultato della differenza tra il valore<br />

di riferimento pari a 180 euro/MWh e il valore medio annuo del prezzo di cessione dell’energia. L’AEEG con Delibera 24/2008 ha<br />

determinato tale valore di cessione in 67,12 euro/MWh, che detratto dai 180 euro dà il prezzo dei certificati verdi emessi dal<br />

GSE, ovvero 112,88 euro/MWh.<br />

37 In questi anni, in mancanza di Linee guida nazionali, si è prodotta una proliferazione di Linee guida regionali disomogenee<br />

che hanno reso difficoltoso operare in un panorama nazionale contraddistinto da atteggiamenti e prescrizioni estremamente<br />

diversificate.<br />

38


4. Il quadro normativo nazionale<br />

Line Guida nazionali e regionali e l’individuazione dei siti non idonei<br />

Al fine di accelerare l’iter di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti alimentati<br />

da fonti rinnovabili, in attuazione delle disposizioni delle Linee guida nazionali, le Regioni e le<br />

Province autonome possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di<br />

specifiche tipologie di impianti secondo le modalità e sulla base dei criteri previsti dalle Linee guida<br />

stesse. L’individuazione della non idoneità dell’area è operata dalle Regioni attraverso un’apposita<br />

istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell’ambiente, del<br />

paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità<br />

e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l’insediamento,<br />

in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero,<br />

pertanto, una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione. Gli<br />

esiti dell’istruttoria dovranno contenere, in relazione a ciascuna area individuata come non idonea<br />

in relazione a specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, la descrizione delle incompatibilità<br />

riscontrate con gli obiettivi di protezione individuati nelle disposizioni esaminate. Tra i siti che sono<br />

dichiarati non idonei per la localizzazione di impianti eolici da parte delle Linee guida nazionali<br />

figurano tra gli altri:<br />

• i siti inseriti nel patrimonio mondiale dell’Unesco e le aree ed i beni di notevole interesse culturale<br />

e pubblico;<br />

• zone all’interno di coni visuali la cui immagine è storicizzata e identifica i luoghi anche in termini<br />

di notorietà internazionale di attrattività turistica;<br />

• zone situate in prossimità di parchi archeologici e nelle aree contermini ad emergenze di particolare<br />

interesse culturale, storico e/o religioso;<br />

• le aree naturali protette ai diversi livelli (nazionale, regionale, <strong>locale</strong>);<br />

• le zone umide di importanza internazionale designate a i sensi della Convenzione di Ramsar;<br />

• i siti che fanno parte della rete Natura 2000 istituiti ai sensi dell’art. 6 della direttiva 92/43/<br />

CE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali nonché della flora e della fauna<br />

selvatiche, recepita nell’ordinamento italiano con l’art. 5 del Regolamento di attuazione DPR 357/97<br />

e successive modificazioni. Tali siti sono costituiti dalla ZPS (Zone di Protezione Speciale) dedicate<br />

alla protezione dell’avifauna, che derivano dall’applicazione della direttiva 79/409/CE, e dai SIC (Siti<br />

di Importanza Comunitaria) che derivano dalla applicazione della direttiva 92/43/CE e che sono designati<br />

come ZSC (Zona Speciale di Conservazione) dal ministero dell’<strong>Ambiente</strong>, d’intesa con ciascuna<br />

Regione interessata;<br />

• le Important Bird Areas (IBA);<br />

• le aree agricole interessate da produzioni agricolo-alimentari di qualità (produzioni biologiche,<br />

produzioni DOP, IGP, STG, DOC, DOCG, produzioni tradizionali) e/o di particolare pregio rispetto al<br />

contesto paesaggistico-culturale.<br />

Infine, è importante sottolineare che il sistema dei certificati verdi introdotto dalla Finanziaria<br />

2008 è stato messo in discussione dall’articolo 45 Decreto Legge 31 maggio 2010,<br />

n. 78, rubricato “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività<br />

economica” e pubblicato in G.U. 31 maggio 2010, n. 125, S.O (cd. “Manovra Economica”), che<br />

prevedeva l’abolizione dell’obbligo da parte del GSE di ritirare, ogni anno, i certificati verdi<br />

prodotti in eccesso rispetto alla quantità che i produttori di energia convenzionale sono tenuti<br />

ad acquistare. Il provvedimento ha scatenato l’immediata reazione da parte del settore<br />

della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. La maggior parte degli operatori<br />

riteneva che il sistema istituito per il triennio 2009-2011 sarebbe stato prorogato almeno<br />

per un altro triennio, oppure reso stabile con qualche meccanismo di verifica e valutazione<br />

39


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

permanente per il suo adeguamento (anche in considerazione delle dinamiche di riduzione<br />

dei costi delle tecnologie), in modo da dare maggiore certezza e continuità agli investimenti,<br />

mentre nessuno certamente aveva previsto che potesse essere abrogato.<br />

Negli ultimi anni, i produttori di energia rinnovabile sono diventati sempre più numerosi,<br />

incoraggiati dal generoso sistema di incentivi, tanto che l’offerta di energia rinnovabile (e<br />

quindi di certificati verdi) è divenuta superiore agli obblighi di acquisto, imposti ai produttori<br />

da fonti convenzionali. 38 Per questo motivo, la Finanziaria 2008 ha introdotto l’obbligo<br />

per il GSE di ritirare l’eccesso di certificati venduti in Borsa. La sovrapproduzione di certificati<br />

verdi ad opera dei produttori di energia da fonti rinnovabili è un problema perché aumentando<br />

l’offerta fa calare i prezzi di vendita dei certificati e, quindi, la redditività degli investimenti.<br />

Trattandosi inoltre di beni non indefinitamente tesaurizzabili (devono essere utilizzati<br />

entro tre anni dalla emissione), i produttori che non riescano a venderli sono ancor più penalizzati<br />

rispetto a quelli che li hanno venduti a prezzi resi bassi da un mercato “lungo”. La<br />

scelta operata dal legislatore nella Finanziaria 2008 è stata quella di istituire un meccanismo<br />

di acquisto dei certificati rimasti invenduti ed in scadenza, da parte del GSE, ad un prezzo<br />

fisso. Tale meccanismo, secondo l’AEEG, avrebbe avuto un costo, per il solo anno 2009, pari a<br />

630 milioni di euro. Fra l’altro, tale costo non è sostenuto dalle casse dello Stato, in quanto<br />

le risorse in oggetto sono ricavate dalla componente tariffaria A3 della bolletta elettrica, a<br />

carico della generalità degli utenti, mentre, invece, il provvedimento avrebbe potuto causare<br />

addirittura minori entrate di IVA dai mancati investimenti. C’è anche da considerare il fatto<br />

che il settore bancario ha investito circa 6,8 miliardi di euro per finanziare le centrali eoliche<br />

in esercizio ed un’eventuale crollo del prezzo dei certificati verdi metterebbe in difficoltà anche<br />

questi affidamenti in essere. 39 Da ultimo, è stato sottolineato come il freno agli incentivi<br />

sulle rinnovabili, come disposto dalla manovra, avrebbe esposto l’Italia al rischio probabile<br />

di future sanzioni.<br />

Le alternative per ristabilire un riequilibrio dei fondamentali (domanda e offerta), tale da<br />

consentire lo <strong>sviluppo</strong> delle iniziative necessarie al raggiungimento dell’obiettivo del settore<br />

elettrico al 2020 – da alcune parti caldeggiate – sarebbero quelle di agire sulla parte di costi<br />

relativa al finanziamento “CIP 6”, che prevede, ancora oggi, ingenti finanziamenti alle fonti<br />

assimilate, 40 peraltro già assegnati in anni in cui era necessario aumentare la produzione di<br />

energia in Italia e nuovamente ampliati in tempi recenti (si pensi, ad esempio, che gli impianti<br />

che bruciano rifiuti potrebbero essere finanziati dal CIP 6 anche per la parte non biodegradabile),<br />

o di allargare la base di calcolo dell’obbligo di restituzione dei certificati verdi<br />

(cancellando per esempio alcune delle molte esclusioni) o di aumentare la quota di obbligo<br />

38 A metà 2010, i certificati emessi dal GSE erano circa 11 TWh a fronte di una domanda dei soggetti obbligati di circa 7 TWh<br />

all’anno, quindi con uno scarto tra domanda e offerta pari a 3 TWh.<br />

39 Altri 5,6 miliardi di euro sono stati impegnati da banche italiane ed estere nel settore fotovoltaico.<br />

40 Secondo i dati forniti dall’AEEG, gli incentivi per le rinnovabili, infatti, pesano per meno della metà del totale degli oneri<br />

di sistema caricati sulle bollette elettriche degli italiani: nel 2010 circa 2,7 miliardi di euro (69% della componente A3) su un<br />

totale di oltre 5,8 miliardi di euro. Gli oneri per le rinnovabili nel 2010 sono stati distribuii nel modo seguente:<br />

• 940 milioni di euro (34%) per i certificati verdi ritirati dal GSE;<br />

• 777 milioni di euro (28%) per il CIP 6 (impianti effettivamente rinnovabili);<br />

• 826 milioni di euro (30%) per il fotovoltaico;<br />

• 213 milioni di euro (8%) per l tariffa omnicomprensiva.<br />

Tra gli oltre 3 miliardi di euro non destinati alle rinnovabili nel 2010 ci sono stati:<br />

• oltre 1,2 miliardi di euro (31% della componente A3) per il CIP 6, che seppure in esaurimento incentiva le assimilate, un<br />

incentivo al fossile, in verità;<br />

• 285 milioni di euro (5% sul totale degli oneri) destinati all’eredità nucleare;<br />

• 355 milioni di euro (6% sul totale degli oneri) le agevolazioni che riguardano le Ferrovie dello Stato.<br />

Infine, c’è da considerare che su tali oneri i consumatori elettici che ne sostengono il peso, debbono pagarci anche l’IVA come<br />

se acquistassero un bene o un servizio: un miliardo di euro nel 2010 (17% sul totale degli oneri).<br />

40


4. Il quadro normativo nazionale<br />

(6,80% per il 2011) da parte dei soggetti obbligati (produttori e importatori da fonti convenzionali).<br />

In tal modo si ripartirebbe l’onere sulle imprese obbligate alla restituzione, cosa<br />

che permetterebbe di regolare il mercato in modo più naturale senza “drogare” la domanda.<br />

I commenti all’art. 45 del Decreto Legge contenente la Manovra Economica sono stati da<br />

subito accesi e contrari all’intervento. Associazioni di categoria ed imprenditori del settore<br />

del rinnovabili hanno espresso la loro forte perplessità, sostenendo che in ogni caso qualsiasi<br />

aggiornamento del sistema di incentivazione dovrebbe avere una durata almeno quinquennale<br />

ed essere pubblicato con un congruo anticipo che tenga conto del time-to-market delle<br />

iniziative rispetto al momento dell’applicazione, tale da consentire l’adeguamento delle strategie<br />

degli operatori coinvolti. Le stesse istituzioni (GSE in testa) hanno palesato una certa<br />

difficoltà ad ipotizzare le conseguenze sul mercato dei certificati verdi. Anche i lavori parlamentari<br />

per l’approvazione della Legge di conversione del D.L. 78/2010 hanno evidenziato<br />

tale spaesamento. Dopo varie ipotesi di emendamento la soluzione è stata trovata all’interno<br />

del maxi emendamento adottato in Senato e confermato alla Camera con il ricorso alla fiducia<br />

il 28 luglio scorso. Il Disegno di Legge S. 2228, di “Conversione in legge, con modificazioni,<br />

del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione<br />

finanziaria e di competitività economica”, è stato infatti definitivamente approvato alla Camera<br />

il 29 luglio e il testo dell’art. 45 “Disposizioni in materia di certificati verdi e di convenzioni<br />

CIP6/92” è il seguente:<br />

[…] 3. All’articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, dopo il comma 149 è inserito il<br />

seguente: «149-bis. Al fine di contenere gli oneri generali di sistema gravanti sulla spesa energetica<br />

di famiglie ed imprese e di promuovere le fonti rinnovabili che maggiormente contribuiscono<br />

al raggiungimento degli obiettivi europei, coerentemente con l’attuazione della direttiva<br />

2009/28/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, con decreto del Ministro<br />

dello <strong>sviluppo</strong> economico di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita<br />

l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, da emanare entro il 31 dicembre 2010, si assicura che<br />

l’importo complessivo derivante dal ritiro, da parte del GSE, dei certificati verdi di cui al comma<br />

149, a decorrere dalle competenze dell’anno 2011, sia inferiore del 30 per cento rispetto a<br />

quello relativo alle competenze dell’anno 2010, prevedendo che almeno l’80 per cento di tale<br />

riduzione derivi dal contenimento della quantità di certificati verdi in eccesso».<br />

La soluzione è stata quindi quella di prevedere un taglio del 30% del valore dei certificati<br />

verdi rispetto a quello fissato nel 2007. Taglio successivamente (3 marzo 2011) ridotto al<br />

22% con il Decreto Legislativo che dà attuazione ad una direttiva del Parlamento Europeo e<br />

del Consiglio, la 2009/28/CE del 23 aprile 2009 relativa alla promozione dell’uso dell’energia<br />

elettrica prodotta da fonti rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, recante modifica<br />

e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE. 41 Il decreto, infatti,<br />

prevede che fino alla fine del 2015 il GSE acquisti dal mercato il surplus di certificati verdi<br />

invenduti ad un prezzo pari al 78% di quello massimo di riferimento.<br />

Inoltre, tale provvedimento prevede la definizione di un nuovo sistema di incentivi per<br />

gli impianti da fonti rinnovabili che entrano in esercizio dal 1° gennaio 2013, differenziato<br />

per gli impianti di taglia minore e maggiore. L’art. 22 introduce un meccanismo con aste<br />

competitive al ribasso (per le cui modalità di funzionamento, però si rimanda ai decreti<br />

41 Da notare che il Capo dello Stato ha firmato il decreto con qualche riserva e con l’auspicio che si proceda in tempi brevi<br />

ad aggiustare e correggere/integrare per quanto possibile il decreto stesso attraverso i decreti attuativi che il governo si è<br />

impegnato a varare entro la fine di aprile.<br />

41


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

attuativi) 42 per la definizione del parametri del “regime di sostegno” per impianti con potenza<br />

superiore ai 5 MW a partire dal 2013, mentre per quelli fino a 5 MW il meccanismo del feed<br />

in (tutto riconosciuto in tariffa) prenderà il posto dei certificati verdi e sarà differenziato per<br />

fonte e scaglione di potenza. Tale articolo avrebbe impatti negativi sul sistema dei certificati<br />

verdi. Infatti, fra il 2012 e il 2015 la quota d’obbligo di ritiro da parte di produttori da fonti<br />

convenzionali e da importatori verrà ridotta gradualmente e dalla base d’obbligo verrà esclusa<br />

l’energia elettrica importata, con il risultato di ridurne il prezzo sul mercato. Nel complesso,<br />

questo provvedimento - secondo le associazioni e gli operatori del settore – ha creato un<br />

regime di incertezza che mette a rischio la fattibilità e bancabilità di investimenti già decisi<br />

e in fase di progettazione.<br />

Io ho chiesto spesso alla casa madre tedesca di potermi occupare degli altri Paesi del Mediterraneo<br />

perché, secondo me, c’è molto da fare. Il vero salto di qualità sarebbe di poter aprire una<br />

fabbrica in Italia. Ma, come si fa ad aprire una fabbrica se non c’è visione e se non c’è chiarezza<br />

su quello che l’Italia vorrà fare nei prossimi anni Come si fa ad investire qui se dall’oggi al<br />

domani approvano un Decreto che assolutamente non dà chiarezza sul futuro delle rinnovabili,<br />

in particolare su quello dell’eolico Le “non scelte” sono un freno economico allo <strong>sviluppo</strong>. Ci<br />

sono molti investitori che hanno deciso che in Italia non ci vengono perché è troppo complicato.<br />

Adesso si sa, ad esempio, quanto varranno i certificati verdi fino alla fine del 2015, dopo non<br />

si sa. Dal momento che tutti i progetti sono in project financing e la banca per definizione è<br />

“conservativa”, come può finanziare un progetto in cui si sa che si ha il ritorno garantito solo<br />

fino al 2015 Allora, c’è chi va avanti e chi decide di no. REpower ha firmato l’ultimo progetto<br />

nel luglio del 2009, poi ne ha firmati degli altri che però non sono ancora partiti, perché sono<br />

in attesa di finanziamento. E non è che noi andiamo male rispetto agli altri. I nostri concorrenti<br />

sono nella stessa nostra situazione. I tempi di finanziamento si sono allungati. Quando<br />

ho iniziato io nel 2005, erano di quattro mesi, poi sono diventati otto, adesso da quando si<br />

inizia a parlare con la Banca a quando si arriva alla delibera passa un anno. Si tratta di progetti<br />

economicamente rilevanti, di diverse decine di milioni di euro, quindi non c’è solo una banca a<br />

finanziare, ma un pool di banche. C’è una banca “capogruppo” che poi distribuisce il debito ad<br />

altre banche. Quindi, un progetto “medio” oggi è finanziato da almeno tre banche. Ci vogliono<br />

tre delibere, tre assessment, e ogni banca si adegua alle condizioni “più conservative”. Quindi,<br />

anche per i nostri clienti il processo si presenta difficilissimo. Una volta le banche erano contente<br />

di finanziare un parco eolico perché non c’era questa incertezza normativa che oggi invece<br />

c’è (Carlo Schiapparelli, REpower).<br />

Le tensioni che si sono scatenate prima e dopo l’emanazione del Decreto legislativo<br />

hanno fatto emergere posizioni e interessi assai diversi all’interno del mondo industriale e associativo<br />

(Cfr. Cianciullo 2011b; Gervasio, 2011; Giliberto, 2011a/b/c/d; Giliberto e Rendina,<br />

2011; Picchio, 2011; Rendina 2011a/b; Savioli, 2011, Valentini, 2011), evidenziando come<br />

attualmente in Italia il peso politico ed economico dell’imprenditoria del settore delle rinnovabili<br />

sia ancora molto debole rispetto a quello di altri settori industriali più tradizionali.<br />

Il problema del nostro paese – a differenza di quanto è avvenuto in questi anni con sistemi<br />

di incentivazione tedeschi e spagnoli – è che non si è ancora vista la nascita di una vera filiera<br />

industriale delle rinnovabili “nostrana”. Mentre in Germania e Spagna, gli incentivi hanno portato<br />

a costruire aziende grandi locali che oggi comandano il mercato mondiale – a parte i grandi<br />

produttori cinesi -, per l’Italia questo non è successo o quanto meno è successo solo in minima<br />

42 Fin da ora, però, appare chiaro che nell’ambito di un sistema di aste competitive al ribasso, a ottenere il bonus saranno<br />

solo gli impianti che chiederanno al governo incentivi più leggeri.<br />

42


4. Il quadro normativo nazionale<br />

parte. Non abbiamo molti casi. Abbiamo delle piccole e medie realtà produttive che cominciano<br />

ad essere interessanti, però parliamo di alcuni settori specifici, quasi di nicchia. Ad esempio,<br />

nel micro/minieolico ci sono delle realtà industriali che sono dei leader a livello mondiale. Sul<br />

solare termico abbiamo creato una filiera industriale nazionale grazie ad alcuni gruppi industriali<br />

come la Merloni. Sul fotovoltaico e sull’eolico industriale questo non è successo. Abbiamo<br />

importato competenze su cui si è innestata qualche possibilità nostrana. Penso, ad esempio,<br />

allo stabilimento di Vestas a Taranto con circa 1.000 persone che ci lavorano. È un impianto<br />

nazionale, ma la Vestas è danese, anche se opera in Italia dal 1968. Lo stabilimento di Taranto<br />

segue i parchi eolici in Italia e quelli situati nell’ambito del Nord Africa e sud dei Balcani. Ci<br />

sono alcune realtà industriali di media grandezza che stanno nascendo in Italia. Nel fotovoltaico,<br />

ad esempio, non c’è un’industria italiana. Sta nascendo ora qualche azienda, ma si tratta di<br />

aziende di assemblaggio. Sharp e Enel faranno una filiera più sostanziale, ma parliamo di pochi<br />

megawatt rispetto ai grandi numeri di altri paesi. Il problema più grosso è che non c’è una<br />

filiera industriale di livello pesante, in grado di fare pressione e di evitare che venga emanata<br />

questa normativa negativa. Quando c’è una lobby industriale potente, come c’è in Germania, il<br />

governo non si azzarda a fare cose di questo tipo. Dentro Confindustria, il comparto delle rinnovabili<br />

c’è e funziona, però non ha ancora una vera capacità di incidere. Abbiamo un sistema di<br />

PMI interessante, dinamico, attivo, ma non abbiamo i grandi players industriali in grado di dare<br />

sostanza. Questo è un dato oggettivo. Di sicuro, è mancata una politica industriale, ma d’altra<br />

parte questo è un governo che si distingue per l’assenza di politiche industriali per qualsiasi<br />

settore. La mancanza di un Piano Energetico Nazionale è una delle facce di questa assenza.<br />

Gli incentivi per l’industria 2015, messi in piedi dal governo precedente, tenevano a creare una<br />

politica industriale, mentre ora manca un indirizzo in questo senso. Dall’altro, c’è da dire che<br />

forse i nostri industriali non hanno brillato e non hanno compreso l’importanza di creare una<br />

filiera industriale nazionale di grosse dimensioni. Confindustria ha discusso a lungo su questo<br />

tema, ma poi ha fatto poco in questo senso (Domenico Belli, Greenpeace).<br />

Da un lato, le associazioni dei comparti delle rinnovabili – APER, ANEV, Assosolare,<br />

Assoenergie future, GIFI-ANIE, ISES, Grid Parity Project, insieme a quelle ambientaliste prorinnovabili<br />

(Legambiente, WWF, Greenpeace, Kyoto Club) e a Rete Imprese Italia, hanno<br />

definito il decreto, “ammazza rinnovabili”, annunciando un’ondata di ricorsi contro il provvedimento<br />

e paventando il blocco degli investimenti e la conseguente perdita di migliaia di<br />

posti di lavoro.<br />

Malumori sono stati espressi anche dai dirigenti delle grandi banche italiane (Unicredit,<br />

Banca Intesa San Paolo, Montepaschi, etc.) più esposte nel finanziamento di progetti di centrali<br />

rinnovabili, ma soprattutto dall’Associazione delle banche estere in Italia (AIBE) che ha<br />

messo in guardia il governo: se il testo non sarà modificato, risulteranno a rischio non solo<br />

gli investimenti sulle rinnovabili, ma tutti gli investimenti esteri nelle infrastrutture (strade,<br />

autostrade, ospedali) cambiando le regole del gioco in corsa si confermerebbe “un rischio di<br />

inaffidabilità del legislatore italiano, già oggetto di attenzione da parte delle agenzie di rating”<br />

(Lonardi, 2011).<br />

A fronte delle proteste degli operatori delle sole rinnovabili e delle banche, fanno riscontro<br />

le posizioni, ben diverse, di molte associazioni dei consumatori e degli stessi operatori<br />

energetici tradizionali, anche quelli che hanno una quota crescente di energie rinnovabili.<br />

Emblematica la posizione espressa dall’amministratore delegato dell’ENEL, Fulvio Conti: il decreto<br />

è “positivo, perché sostanzialmente spinge allo <strong>sviluppo</strong> della tecnologia che progredisce”<br />

(Rendina, 2011a). 43<br />

43 Mentre Piero Gnudi, presidente dell’ENEL, ha ricordato che le rinnovabili sono importanti, ma che il posto ideale per<br />

produrle è l’Africa Settentrionale, mentre “il nucleare, se ci fosse stato, ci avrebbe dato una maggiore indipendenza” (Giliberto,<br />

43


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

La Confindustria ha espresso “viva soddisfazione per la posizione di equilibrio” del governo<br />

perché “le rinnovabili sono un’opportunità di crescita importante per il paese, ma è necessario<br />

evitare inefficienze e distorsioni del mercato”. La razionalizzazione “avrà una ricaduta positiva<br />

sul costo dell’energia, fattore determinante per un paese ad alta vocazione manifatturiera”.<br />

Poche le posizioni dissonanti rispetto a questa posizione ufficiale dell’associazione 44 e<br />

all’interno di Confindustria sono soprattutto i comparti industriali energivori, rappresentati<br />

dal Comitato energia e mercato (il Tavolo della domanda dei consumatori industriali), il cui<br />

vicepresidente Agostino Conte (presidente è la Marcegaglia che ha tenuto per sé la delega<br />

sull’energia) ha espresso apprezzamento per la “una scelta equilibrata, una strada improntata<br />

alla razionalità e all’efficienza, evitando sovraincentivzioni perniciose…”. Ora, i grandi consumatori<br />

industriali di energia si attendono che la riduzione degli incentivi alleggerisca le<br />

bollette elettriche.<br />

In un intervento su Il Sole 24 Ore il presidente del Consorzio Grandi Industriali Energivori<br />

45 e di Assocarta, Paolo Culicchi (2011), dopo aver dato un giudizio positivo sul decreto<br />

approvato, perché “si avvia un percorso che coniuga efficienza e <strong>sviluppo</strong>, con una grande<br />

attenzione ai passi da gigante della tecnologia che garantisce un continuo miglioramento delle<br />

performance ed una costante riduzione dei costi delle fonti incentivate”, esprime invece<br />

… preoccupazione per il passo indietro operato con il ritocco del prezzo di ritiro del Certificato<br />

Verde: il ritocco del parametro dal 70% al 78% rappresenta un aumento del costo del 10%,<br />

aumento che si somma alla incentivazione in essere e che è comunque la più alta d’Europa, non<br />

certo una minore diminuzione del certificato, come sembrano avvalorare giornalisti poco attenti<br />

al corretto riscontro delle affermazioni (Culicchi, 2011).<br />

Culicchi riconosce che grandi sono gli interessi in gioco anche all’interno del mondo<br />

industriale “dove è sempre più difficile superare le contrapposizioni alimentate dalle lobby interessate<br />

al mantenimento di queste ingiustificate e deleterie rendite”. Per i grandi industriali<br />

energivori, l’energia è un fattore di competitività, un driver della crescita, e quindi c’è bisogno<br />

di costi ragionevoli. Le fonti rinnovabili di energia sono molto importanti ed è giusto<br />

incentivarle finché gli aiuti non creano “distorsioni” e “ingiustificate rendite con un forte aggravio<br />

di costi in capo alla nostra industria”. 46 Soprattutto va rafforzato l’intervento in materia<br />

di efficienza energetica, un settore che secondo uno studio di Confindustria vede la presenza<br />

di una filiera tecnologica di 400 mila aziende con quasi 3 milioni di addetti, dall’edilizia<br />

all’automotive, all’elettronica.<br />

2011d).<br />

44 A parte le posizioni espresse dalle associazioni dei comparti rinnovabili aderenti a Confindustria, si segnala il giudizio<br />

negativo del vicepresidente di Confindustria e presidente del Comitato per la sicurezza, Samuele Gattegno, che ha sostenuto<br />

che “il decreto, in assenza di correttivi, rischia di produrre un effetto catastrofico” (Cianciullo, 2011b), per poi rettificare che si<br />

trattava solo di una sua “opinione personale”.<br />

45 Del consorzio fanno parte le seguenti associazioni settoriali di Confindustria: Andil, Assocarta, Assofond, Assomet, Assovetro,<br />

Cagema, Confindustria Ceramica e Federacciai.<br />

46 Posizioni analoghe hanno espresso anche Franco Manfredini, presidente di Confindustria Ceramica, Giusepe Pasini, industriale<br />

siderurgico e presidente di Federacciai, Vincenzo Boccia, presidente di Piccola industria di Confindustria, e Federchimica:<br />

il sistema annullato dal decreto avrebbe fatto rincarare le bollette elettriche in modo pesante, aggravando in modo insostenibile<br />

il divario di competitività sui costi energetici che soffrono le imprese italiane (Gervasio, 2011; Giliberto, 2011c/d). Manfredini<br />

stima in 30 milioni di euro il sovraccarico dell’incentivo all’energia pulita per il settore delle piastrelle e della ceramica. Per<br />

Pasini si rischia “l’insostenibilità del carico sulla bolletta energetica delle aziende che dovranno subire ricarichi importanti, 20% e<br />

oltre, che rischiano di mettere fuori competitività interi settori energivori, come quello siderurgico ma non solo, esposti alla concorrenza<br />

internazionale”. Secondo Boccia, la spesa potrebbe arrivare a 3,7 miliardi: “è impensabile che tale aumento possa gravare<br />

principalmente sulle PMI che già pagano l’energia elettrica circa il 37% in più dei principali competitor europei”. Infine, secondo<br />

Federchimica: “i settori industriali, che consumano circa il 47% del totale consumo nazionale, non possono sopportare un ulteriore<br />

aggravio di 25 euro/MWh, che si vanno ad aggiungere al nostro costo dell’energia all’ingrosso, già più alto in Europa”.<br />

44


4. Il quadro normativo nazionale<br />

Dovremmo invece focalizzare sull’efficienza energetica, laddove l’Italia è portatrice di tecnologie<br />

di avanguardia, in grado di migrare con successo all’estero. È qui che dobbiamo impegnarci,<br />

in un campo che ci può vedere vincenti in Europa e nel mondo e che può contribuire molto al<br />

raggiungimento degli obiettivi tramite la contrazione del denominatore, i consumi da ridurre, e<br />

non solo sul costoso numeratore (Culicchi, 2011).<br />

Al fine di cercare di mediare tra le diverse posizioni emerse all’interno del mondo confindustriale,<br />

la presidente Marcegaglia ha proposto un regime transitorio con un “leggerissimo”<br />

calo degli incentivi per le rinnovabili nel 2011 (dall’1% di luglio per arrivare al 5% a novembre<br />

e al 10% a novembre) e una graduale diminuzione dal 2012 (partendo con un 15% per<br />

arrivare al 30% in meno nel 2016), per avere uno stop degli aiuti dal 2017 in poi, prevedendo<br />

anche un cap alla spesa complessiva 47 (Picchio, 2011).<br />

47 L’ipotesi di Confindustria prevede che il valore complessivo cumulato degli incentivi per il fotovoltaico non superi i 6 miliardi<br />

di euro a decorrere dal 1° gennaio 2017. Altro elemento suggerito da Confindustria, al fine di contrastare le speculazioni,<br />

è che a partire dal 31 gennaio 2011 la priorità di accesso agli incentivi sia stabilita da una graduatoria temporale tramite un<br />

registro informatico presso il GSE. Requisito per la registrazione sarà l’obbligo di deposito di una fideiussione proporzionale alla<br />

potenza nominale dell’impianto, a garanzia dell’effettiva realizzazione.<br />

45


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Quadro di sintesi sul percorso normativo in tema di certificati verdi<br />

Normativa<br />

Effetto<br />

Introduzione sistema “quota system”: obbligo di<br />

Dir. CE 96/92/CE<br />

immettere in rete una quota minima di energia<br />

rinnovabile<br />

D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79 – art.11. c.1-c.2-c.3 Quota d’obbligo pari al 2% energia immessa<br />

DM 11 novembre 1999<br />

Dir. CE 2001/77/CE<br />

DM 18 marzo 2002<br />

D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387<br />

Incremento della quota d’obbligo dello 0,35% annuo.<br />

Periodo di riconoscimento dei CV per 8 anni.<br />

DM 24 ottobre 2005 – art. 9<br />

D.Lgs. 3 aprile 2006, n.152<br />

L. 27dicembre 2006, n.296 Periodo di riconoscimento da 8 a 12 anni<br />

L. 29 novembre 2007, n.222<br />

DM 21 dicembre 2007<br />

Incentivi solo per IAFR, esclude la parte non biodegradabile<br />

dei rifiuti<br />

Approvazione procedura tecnica di qualifica.<br />

Il valore del CV non è più indipendente dalla relativa<br />

FR (si agevola il moto ondoso, si penalizza<br />

il gas di discarica e la geotermica). Modifica del<br />

sistema di determinazione del prezzo di riferimento<br />

dei CV. Introduzione di un sistema “feed-in<br />

L. 24 dicembre 2007, n.244<br />

tariff”:tariffa fissa omnicomprensiva alternativa<br />

ai CV. Estensione periodo di riconoscimento a 15<br />

anni. Incremento quota d’obbligo di 0,75%. Fa salvi<br />

finanziamenti ed incentivi per gli impianti che<br />

utilizzano i rifiuti (per emergenza rifiuti)<br />

L. 2 agosto 2008, n.129<br />

DM 17 settembre 2008<br />

Proroghe di termini<br />

DM 18 dicembre 2008<br />

Il GME diviene controparte per gli scambi<br />

Il GSE deve ritirare, su richiesta, i CV fino a tutto<br />

il 2010 al prezzo medio di mercato del triennio<br />

L. 30 dicembre 2008, n.210<br />

precedente. Applica le misure previste dalla Finanziaria<br />

2008 (es. periodo=15 anni)<br />

Dir. CE 2009/28/CE<br />

L. 23 luglio 2009, n.99 Incentivi agli inceneritori (emergenza rifiuti)<br />

La direttiva a cui darebbe attuazione lo schema di<br />

D.Lgs. in esame<br />

L.30 luglio 2010, n.122<br />

D.Lgs 3 marzo 2011<br />

CV: certificati verdi<br />

FR: fonti rinnovabili<br />

IAFR: impianti alimentati da fonti rinnovabili<br />

Aggiornamento tabella per differenziazione valore<br />

CV in base alla FR<br />

La spesa annuale del GSE per il riacquisto dei CV<br />

dovrà essere ridotta del 30%<br />

La spesa annuale del GSE per il riacquisto dei CV<br />

dovrà essere ridotta del 22%<br />

46


4. Il quadro normativo nazionale<br />

Costi e sovracosti dell’eolico in Italia<br />

È senz’altro vero che gli incentivi per l’eolico in Italia sono più alti se comparati con gi altri Paesi, ma<br />

secondo l’Anev e gli operatori in Italia ci sono degli extracosti dovuto soprattutto a delle inefficienze<br />

del nostro Paese (barriere amministrative, economiche e tecnologiche) che vanno ad incidere sul costo<br />

degli impianti e che rendono l’eolico più caro che nel resto d’Europa. Secondo l’Anev oggi il costo<br />

medio di un impianto è di 1,59 milioni a MW e con una azione di semplificazione si potrebbe scendere<br />

a 1,25 milioni a MW, consentendo di far scendere l’incentivo da 159 €/MWh i oggi a 119,30 €/MWh.<br />

“Quando si fanno i confronti si dice che in Germania l’incentivo è il 20% in meno che in Italia. Grazie,<br />

in Germania non si pagano:<br />

• i 3 milioni di euro per impianto eolico per la connessione alla rete Terna;<br />

• il 5% che in media viene dato ai comuni, calcolato sulla produzione/sul fatturato. Su questo noi siamo<br />

intervenuti affinché nelle Linee Guida nazionali si stabilisse un tetto uniformato del 3% per quanto<br />

riguarda ciò che viene dato ai Comuni;<br />

• l’ICI, perché anche gli impianti eolici pagano l’ICI;<br />

• l’affitto dei terreni (100-150 mq) su cui si mettono le pale, mediamente intorno ai 5 mila euro a<br />

MW/a palo all’anno, per cui se il generatore è di 3 MW paga 15 mila euro all’anno.<br />

Se si sommano tutti questi costi e poi si analizza il livello di incentivazione in Italia e nel resto d’Europa,<br />

ci si rende conto che è vero che l’incentivazione nel resto d’Europa è pari al 20% in meno dell’Italia, ma<br />

in Europa hanno mediamente il 30-40% di spese in meno” (Simone Togni, ANEV).<br />

Di seguito si riportano le voci di spesa per un impianto eolico che l’Anev identifica come gli extra<br />

costi dell’eolico in Italia rispetto al resto d’Europa:<br />

€/MWh % su ricavo<br />

Sviluppo del progetto* 9,26 5,79<br />

Instabilità regolatoria 1,30 0,81<br />

Costi finanziari 4,54 2,84<br />

ICI 1,39 0,87<br />

Royalties Comuni 8,00 5,00<br />

Connessione alla rete 0,93 0,58<br />

Fidejussioni<br />

a) connessioni 0,01 0,01<br />

b) smantellamento fine vita 0,01 0,01<br />

c) certificati verdi a preventivo 1,28 0,80<br />

Sottostazione elettrica 3,70 2,31<br />

Mortalità progetti 2,59 1,62<br />

Modulazione – mancato riconoscimento dei certificati verdi 2,55 1,59<br />

Affitto terreni 2,78 1,74<br />

Assicurazioni 1,39 0,87<br />

TOTALE 39,7 24,0<br />

* in Italia durano in media 4 anni a fronte dei 5 mesi della media europea<br />

47


5. Il ruolo del sistema finanziario<br />

Un impianto eolico industriale, mediamente, costa 1 milione e 800 mila euro a MW installato,<br />

per cui ad esempio un parco eolico industriale di medie dimensioni da 10 MW costa tra<br />

i 17 e i 20 milioni di euro. Generalmente, il soggetto che realizza un parco eolico industriale<br />

ricorre al finanziamento bancario o al project leasing o al project financing. Banche italiane<br />

ed estere hanno sino ad oggi finanziato progetti su base no-recourse (quindi con il massimo<br />

livello di rischio e facendo affidamento sul regime incentivante) per complessivi circa 6,8<br />

miliardi di euro nel settore eolico.<br />

Le istituzioni finanziarie (banche, società finanziarie, istituti di credito internazionali,<br />

fondi di investimento) entrano in partecipazione con chi realizza il progetto, mettendo parte<br />

delle risorse finanziarie, normalmente il 75-80% del capitale di rischio complessivo, recuperandole<br />

poi nel corso dei 15-20 anni in cui l’impianto è destinato a generare reddito. Le<br />

istituzioni finanziarie entrano in scena quando il progetto del parco eolico è nella fase finale,<br />

cioè quando viene emessa e pubblicata l’autorizzazione unica. Mediamente per realizzare un<br />

parco eolico ci vogliono dai 12 ai 18-24 mesi. Per le torri eoliche ci vogliono circa 12 mesi per<br />

la consegna, a cui è necessario aggiungere il tempo occorrente alla realizzazione della cabina<br />

primaria e degli allacciamenti alla rete. L’istituzione finanziaria interviene a stato avanzamento<br />

lavori, finanziando insieme all’investitore il progetto, dall’inizio alla fine.<br />

Gli impianti si realizzano in project leasing o financing e questo significa che l’imprenditore<br />

privato si espone per 20 milioni di euro, facendo ricorso alla finanza di progetto, con cui compra<br />

i macchinari da chi li vende, affitta il terreno, fa la convenzione con l’ente <strong>locale</strong>, realizza<br />

un’opera, dà lavoro a delle persone – la UIL stima che oggi in Italia sono 29 mila persone che<br />

lavorano nel settore eolico – e, quindi, nel complesso, fa un investimento. Dove lo fa Dove c’è<br />

vento perché altrimenti non potrà mai remunerarlo, dato che la legge prevede che non vi può<br />

essere nessun altro tipo di ritorno se non la produzione elettrica certificata dal contatore Utf,<br />

dalla quale dipende anche l’accesso ai certificati verdi (Simone Togni, Anev).<br />

È importante sottolineare che le istituzioni finanziarie non entrano nel merito degli<br />

aspetti tecnici connessi al rischio industriale del progetto, anche perché il parco eolico deve<br />

essere realizzato secondo quanto è stato previsto nel progetto autorizzato.<br />

L’attività che noi possiamo fare di consulenza è “post”. Se un progetto “non performa”, tramite<br />

studi tecnici esterni, possiamo andare a dare un consiglio, ma andarlo a dare preventivamente su<br />

49


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

come fare un impianto, poi corriamo il rischio di essere accusati del perché non funziona. Molto<br />

spesso un cliente decide, ad esempio, di comperare la pale da Vestas, la piazzola da un’impresa<br />

<strong>locale</strong>, l’installazione elettrica da un altro fornitore, etc.. Laddove i progetti richiedono degli<br />

investimenti rilevanti, chiediamo che ci sia un contratto unico. La più grossa difficoltà che può<br />

emergere è che nascano dei conflitti tra imprese, per cui “la colpa” è sempre degli altri. Quindi,<br />

noi diamo assistenza anche nella fase di cantiere, nella fase di analisi, in quella progettuale<br />

ed esecutiva, perché tramite società esterne andiamo ad analizzare le problematiche insieme<br />

a loro. Diamo delle indicazioni di merito che sono strettamente rapportate al finanziamento.<br />

Però, sulla tecnologia, sulla scelta delle pale, dei rotori o delle navicelle, non interveniamo. Noi<br />

andiamo a discutere con il fornitore le garanzie, i pagamenti, però sulla scelta delle macchine<br />

non interveniamo, perchè è un tema delicato. Anche nella scelta del notaio sceglie il cliente.<br />

Certamente noi andiamo a verificare se quel fornitore di fiducia è per noi “bancabile”, però le<br />

figure professionali le sceglie il cliente, in modo che siano univoche le scelte. In questo modo,<br />

evitiamo contestazioni. La scelta è sempre quella di “andare sul cliente” (Alberto Lincetti,<br />

Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).<br />

Il project leasing e il project financing sono operazioni di finanza strutturata in cui entità<br />

e durata del finanziamento dipendono dall’esistenza di flussi di cassa sufficienti a ripagare i<br />

costi di gestione e del servizio del debito durante la vita operativa del progetto. Per contro,<br />

sempre ai fini del finanziamento, l’insieme delle attività e dei beni dell’iniziativa da finanziare<br />

– il parco eolico nel suo complesso – costituiscono una garanzia collaterale del prestito.<br />

Se guardo al panorama italiano l’alternativa al leasing è il finanziamento. Sono prodotti concorrenti<br />

e in linea di massima hanno le stesse caratteristiche. Uno può essere più conveniente<br />

in quel momento perché la banca spinge sul leasing piuttosto che sul finanziamento. In linea<br />

di massima hanno caratteristiche di garanzia e di costi abbastanza allineate. Sulla scelta dello<br />

“strumento”, se uno guarda all’aspetto fiscale, probabilmente il leasing permette una fiscalità<br />

migliore perché può permettere di abbattere l’investimento in 18 anni. Come tempi di delibera,<br />

su progetti fino ai 5-10 milioni di Euro sono similari tra finanziamento e leasing. Se andiamo<br />

su un project di 20-30 milioni, i tempi leasing sono probabilmente, quando c’è un pool, più<br />

lunghi. Il project non entra mai in operazioni sotto i 25-30 milioni, perché ci sono tempi di<br />

delibera tra i 5 e i 6 mesi e costi più alti della media di mercato; questo perché il project è<br />

un’operazione abbastanza particolare. Nella fascia intermedia tra i 20 e i 30 milioni, probabilmente<br />

il leasing riesce a spuntarla perché come tempi di delibera è leggermente più veloce ed<br />

ha una facilitazione maggiore sull’aspetto Iva che è il 10% dell’investimento e che nel leasing è<br />

una partita di giro. Ci sono piccoli aspetti di diversità però in realtà è sempre l’imprenditore che<br />

decide; se vuole fare il project è difficile fargli cambiare idea. Non dimentichiamo che la banca<br />

ha anche il credito al consumo e alle imprese fino ad un valore di 2,5 milioni di Euro (Alberto<br />

Lincetti, Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).<br />

L’elemento distintivo delle operazioni di project leasing e project financing consiste nella<br />

circostanza secondo cui, nella valutazione della capacità di rimborso del debito, le prospettive<br />

che hanno rilevanza riguardano principalmente le previsioni di reddito dell’iniziativa e<br />

non l’affidabilità economico-patrimoniale dei promotori. Le tecniche del project leasing e del<br />

project financing consentono la realizzazione e la gestione di opere complesse e di grande impegno<br />

finanziario, come i grandi parchi eolici industriali, aggregando e coinvolgendo, ognuno<br />

per le sue specifiche caratteristiche, fornitori di macchinari e servizi, operatori finanziari,<br />

compagnie di assicurazione, produttori ed utenti, con l’obiettivo di massimizzare il rendimento<br />

e di distribuire in proporzione, in base ad impegni assunti, i rischi e le responsabilità tra<br />

50


5. Il ruolo del sistema finanziario<br />

i partecipanti. La condivisione diretta dei rischi costituisce la garanzia che la realizzazione<br />

dell’opera avvenga nei limiti di tempo e spesa previsti.<br />

A meno che non si tratti di progetti di natura corporate, cioè che chi investe sia una grande<br />

azienda del settore come, ad esempio, ENEL SpA attraverso ENEL Green Power, lo <strong>sviluppo</strong><br />

del parco eolico è affidato ad una società, appositamente costituita (una società di scopo, di<br />

norma creata dai promotori), il cui oggetto sociale esclusivo è la realizzazione e a gestione<br />

dell’iniziativa. Ad essa fanno riferimento tutti i diritti e gli obblighi relativi all’investimento.<br />

Se l’investimento viene fatto da una società di scopo, in cui sappiamo che all’interno c’è un<br />

sponsor che ha le capacità e che è valido, però è un’operazione no recourse al 100% e, quindi,<br />

l’imprenditore dice: “voglio che il progetto si regga con la sola operatività”. Nel caso del<br />

project leasing, la società di scopo è il soggetto gestore del parco eolico nei confronti del GSE,<br />

mentre la proprietà è della società di leasing. Le linee guida della nostra società prevedono<br />

un equity 20 – 80 e parlo delle energie rinnovabili “tradizionali” che sono il fotovoltaico e le<br />

biomasse fino ad 1 MW. Su impianti di più grosse dimensioni, mediamente l’equity richiesta è<br />

di 25-30%. Questo dipende dall’incertezza della tariffa incentivante. L’eolico è 25% (Alberto<br />

Lincetti, Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).<br />

Sul mercato nazionale le due soggetti leader del mercato finanziario nel settore delle<br />

energie rinnovabili sono il Gruppo Intesa San Paolo e il Gruppo Unicredit, ma altre realtà<br />

finanziarie importanti sono anche UBI e Montepaschi. Nel caso di progetti che richiedono un<br />

investimento superiore ai 50 milioni di euro si costituiscono dei pool bancari e IntesaSanPaolo<br />

o Unicredit fanno generalmente da capofila.<br />

La difficoltà tra questi attori principali è di dividere le quote, perché rischi di dividere quote da<br />

5 – 6 milioni. Quando parliamo di in investimento da 100 milioni, se il Gruppo Intesa ci mette<br />

30 milioni, 30 li mette Unicredit, se devo andare a intermediare gli altri 40 milioni su 8 società<br />

diventa difficile costituire un pool. Molto spesso si cerca di arrivare a 2 – 3 finanziatori, perché<br />

coordinare 4 – 5 società diventa difficile anche perché ognuno, anche se ha una quota minoritaria,<br />

vuole una garanzia in più (Alberto Lincetti, Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).<br />

Inoltre, a sostegno del settore delle energie rinnovabili interviene la Banca Europea per<br />

gli Investimenti (BEI) che fornisce alle banche delle linee di credito agevolato.<br />

La Bei non interviene sul singolo progetto, mette a disposizione una somma per le rinnovabili a<br />

una “provvista” di 20 centesimi più bassa rispetto a quella del mercato. Loro si fanno garantire<br />

dai flussi dei progetti e poi si fanno garantire dalla banca. Il rimborso alla BEI è assicurato dalla<br />

banca in primis. Quindi, io non vado a fare “provvista” sul mercato, vado a fare “provvista”<br />

sul fondo BEI e invece di pagare un tasso di mercato, pago un determinato a monte. Più che<br />

un effetto “leva”, c’è un effetto “prezzo”. Il 25-75 di rapporto base resta, ma per effetto di<br />

una provvista fatta ad hoc posso fare a quel cliente anziché il 4%, il 3,50%. Questo per effetto<br />

di quella parte di “provvista” agevolata che ricevo per progetti di energie rinnovabili da BEI.<br />

L’anno scorso su 1,2 miliardi di Euro erogati da noi, probabilmente avevamo 200-300 milioni di<br />

euro di fondi BEI; quindi un rapporto di 1 a 5, 1 a 4. Anche perché i Fondi Bei hanno una struttura<br />

complessa per l’agevolazione. Vi accede chi è maggiormente organizzato perché è richiesta<br />

tutta una serie di documenti che il piccolo imprenditore quasi sempre non riesce a predisporre.<br />

Lo “stock” fondamentale è l’analisi, è la VIA non tecnica che solo il grosso imprenditore si può<br />

permettere (Alberto Lincetti, Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).<br />

51


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Negli ultimi tempi si sono avvicinati all’eolico e alle altre rinnovabili delle nuove categorie<br />

di investitori: da un lato, i piccoli e medi investitori alla ricerca di settori alternativi<br />

al tradizionale investimento nel settore immobiliare, dall’altro, i grandi fondi pensionistici,<br />

assicurativi e istituzionali nazionali ed internazionali alla ricerca di investimenti di medio e<br />

lungo termine.<br />

Negli ultimi tempi, vedo effervescente il mercato dei progetti di piccola dimensione fino ad 1<br />

MW sia perché dovrebbero rientrare in un progetto di DIA, per cui l’iter autorizzativo da sei anni<br />

potrebbe scendere ad 1 anno, un anno e mezzo, sia perché ci credono alcuni produttori di aerogeneratori<br />

come il Gruppo Leitner 48 di Vipiteno. Se riuscisse a dare una sistemazione adeguata<br />

e certa al quadro normativo credo che questo sia un settore che ci darà soddisfazione ancora per<br />

molti anni, anche perché c’è un mondo che sta affrontando questi investimenti che è il mondo<br />

imprenditoriale medio-piccolo: dal notaio al professionista che ha dei soldi da investire. Questa<br />

categoria di investitori non va a investire sul mega parco eolico da 10–20 MW, il loro sogno è di<br />

avere la pala <strong>eolica</strong> massimo da 1 MW, investendo 500–600mila euro. Questa assicura 15 anni<br />

di rendita per quell’investimento. Perché c’è tanto interesse intorno alle energie rinnovabili<br />

Perché crollato il mito dell’investimento immobiliare, fermo il mondo del mercato immobiliare<br />

industriale, commerciale, residenziale, chi investiva prima nel mattone, oggi sta cercando la differenziazione.<br />

Quindi, qual è il prodotto che può dare un minimo di rendimento È il “prodotto”<br />

delle energie rinnovabili. Abbiamo passato la fase degli investitori che lo facevano in termini<br />

speculativi, oggi si stanno avvicinando al mondi delle rinnovabili i grossi fondi internazionali,<br />

sia “private” sia istituzionali, quindi fondi assicurativi, pensionistici e istituzionali che devono<br />

investire parte della raccolta. Adesso in Italia ci sono 3-4 fondi nati sulle energie rinnovabili.<br />

Una caratteristica di questi investitori è di intervenire ad investimento esaurito, perché non<br />

vogliono il rischio industriale: vogliono qualcuno che produca l’investimento, “chiavi in mano”,<br />

una volta connesso, ottenuto i contributi e tutto perfezionato. Vogliono intervenire e avere la<br />

remunerazione da investitori (Alberto Lincetti, Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).<br />

Anche per le banche i maggiori problemi che incontrano nelle loro attività di finanziamento<br />

si riferiscono soprattutto all’incertezza e farraginosità del quadro normativo e di<br />

incentivazione che negli ultimi mesi hanno contribuito a ritardare l’avvio e, addirittura, a<br />

bloccare nuove operazioni di finanziamento o la sospensione delle erogazioni di finanziamenti<br />

già deliberati, con impatto sui nuovi investimenti e sulla liquidità dei produttori.<br />

Partecipo spesso a convegni, in particolare laddove ci sono investitori esteri, e non è facile<br />

andare a specificare che abbiamo la normativa regionale che viene resa incostituzionale dalla<br />

Stato e che poi lo Stato rimanda alle Regioni per impianti entro 1 MW o che abbiamo lo strumento<br />

della DIA, del permesso a costruire, e quello della SCIA. Non è facile avere chiarezza.<br />

Poi ci sono certe province dove se anche faccio l’autorizzazione unica però non richiedo la VIA<br />

perché non c’è bisogno, e quindi l’impianto viene declassato ad avere la DIA e non ha più l’autorizzazione<br />

unica….. Non è facile in Italia. L’iter autorizzativo allunga notevolmente i tempi.<br />

Ogni provincia che vai trovi un documento diverso che ti richiedono. Questo è un male atavico.<br />

Poi, ad esempio, per il fotovoltaico abbiamo anche i problemi fiscali con l’Ufficio del Registro<br />

quando vai a registrare un impianto, perché il Ministero delle Finanze non ha ancora deciso<br />

se è strumentale o immobiliare, se va tassato nel primo o nel secondo caso. Paga o non paga<br />

l’ICI L’Ufficio delle Entrate dichiara che quell’impianto è strumentale, mentre l’Ufficio del <strong>Territorio</strong>,<br />

che fa sempre parte del Ministero della Finanze, dichiara che è un progetto immobiliare.<br />

Quando l’Ufficio delle Entrate nei convegni dà dei chiarimenti ovviamente per non smentire sé<br />

48 http://it.leitwind.com/<br />

52


5. Il ruolo del sistema finanziario<br />

stesso dice: ”per me è strumentale, però laddove siano rilevanti i costi di trasferimento di un<br />

impianto, questo per me è di natura immobiliare”. Quando un progetto diventa strumentale<br />

Ovviamente, l’Agenzia ha risposto ai convegni dicendo: ”analizziamo caso per caso e vi diremo<br />

se è assoggettabile all’imposta strumentale o immobiliare”. Questo perché È chiaro che laddove<br />

ci sia un interesse a tassarlo più lungamente, è meglio che sia un impianto “immobiliare”,<br />

perché il cliente ha utili ed è meglio che paghi le tasse subito; laddove non c’è un interesse particolare<br />

l’impianto è “strumentale”. Sull’ICI; ufficialmente se seguiamo la normativa, l’impianto<br />

è assoggettabile ad ICI. Noi ci muoviamo con progetti che riguardo ai terreni su cui sorgono le<br />

torri eoliche prevedono l’acquisto o della piena proprietà o del diritto di superficie pagato in 20-<br />

25 anni, quindi con un diritto reale…. Comunque, la normativa fiscale che non ci dà chiarezza:<br />

se è immobiliare deve andare a ICI, però c’è la diatriba che gli impianti che producono energia<br />

sono impianti che svolgono un’attività di interesse pubblico, e se c’è interesse pubblico non può<br />

essere tassato a ICI. Qualcuno ha fatto ricorso, qualcuno ha aspettato le cartelle esattoriali<br />

e ha fatto ricorso… e come al solito siamo in Italia e quindi, ad esempio, a Bologna danno<br />

ragione al ricorrente, in Puglia gli hanno dato torto e gli hanno fatto pagare l’ICI. Non c’è<br />

certezza di nulla. C’è poca chiarezza, o quanto meno un’incertezza perché se si dà un consiglio<br />

in un senso e poi il cliente riceve altre indicazioni…. Quello che noi diciamo al cliente si basa<br />

sul parere dei nostri fiscalisti, poi il cliente è libero di pagare l’ICI, di ricorrere, etc. Ma, come<br />

fai a fare un business plan di un progetto o a chiedere la giusta equity, se ogni quattro mesi<br />

cambia il quadro tariffario e normativo (Alberto Lincetti, Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).<br />

Il crollo del 40% del valore dei certificati verdi registrato nel corso dell’ultimo anno e il<br />

taglio del 22% del valore dei certificati verdi introdotto dal D.lgs di recepimento della Direttiva<br />

2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili hanno determinato<br />

incertezza, apprensione e sfiducia sia degli investitori che del sistema finanziario, poco<br />

propensi a investire e finanziare ingenti risorse in un settore che fino all’anno scorso aveva<br />

potuto contare su un sistema incentivante funzionale con determinati punti di riferimento<br />

che garantivano agli operatori il ritorno degli investimenti effettuati, ma che ora si trova a<br />

confrontarsi con un quadro di grande incertezza e preoccupazione sui prossimi provvedimenti.<br />

53


6. Gli elementi di criticità<br />

Diversi sono gli ostacoli che sinora hanno impedito o ritardato la realizzazione di centrali<br />

eoliche in Italia. Si tratta di barriere che non vanno sottovalutate, che occorre affrontare<br />

seriamente e che vanno risolte se si intende permettere la diffusione degli impianti eolici<br />

nel nostro paese, povero di risorse fossili endogene, ma dotato in buona misura di vento e di<br />

altre fonti rinnovabili.<br />

6.1 Le difficoltà tecniche<br />

Occorre tenere presente che l’Italia è caratterizzata da un’orografia complessa, in particolare<br />

nelle aree interne dell’Appennino centro-meridionale dotate di un buon regime anemologico,<br />

con siti talvolta difficilmente raggiungibili dai mezzi pesanti, necessari per il<br />

trasporto dei componenti degli aerogeneratori non sezionabili, come la navicella e le pale.<br />

Una ulteriore difficoltà, collegata alla conformazione fisica del territorio, è rappresentata<br />

talvolta dall’assenza di linee elettriche adeguate nelle aree montane marginali o nelle zone<br />

rurali, lontane dai grandi centri abitati, generalmente prescelte come sede di localizzazione<br />

degli impianti eolici. Negli ultimi anni, la sostenuta crescita dell’eolico e del fotovoltaico<br />

ha posto in risalto i problemi legati all’inadeguatezza dell’infrastruttura elettrica. 49 Questo<br />

inconveniente comporta tempi lunghi per le realizzazioni di elettrodotti ad alta tensione e<br />

cavidotti di collegamento di media tensione, con conseguenti dilatazioni dei costi che, nei<br />

casi peggiori, possono determinare anche l’abbandono del progetto.<br />

Si verificano situazioni molto penalizzanti per chi realizza gli impianti quando il gestore della<br />

rete ci mette molto tempo a garantire la connessione. L’autorizzazione è unica per la realizzazione<br />

e la connessione. Ma, se poi uno l’impianto lo realizza in 6 mesi, mentre chi deve venire<br />

per fare l’allacciamento alla rete ci mette un anno e mezzo… È come se uno compra casa e<br />

inizia a pagare le rate del mutuo, ma poi l’Enel o l’Acea non arrivano a portare l’elettricità, per<br />

il proprietario sta un anno nella casa al freddo, senza elettricità e contatore. Chi realizza un<br />

impianto eolico spende i soldi, fa tutto in regola, ha la banca che gli chiede il pagamento delle<br />

49 Il riconoscimento di questa inadeguatezza della rete ha di recente portato all’intesa tra Ministero dello Sviluppo Economico,<br />

quattro regioni del Mezzogiorno – Calabria, Campania, Puglia e Sicilia – e l’ENEL Distribuzione che gestisce le reti di media<br />

e bassa tensione, per 123 milioni di euro di investimenti (risorse del POI <strong>Energia</strong>). In particolare, sono stati individuati gli<br />

interventi (comprese le cabine primarie e gli elettrodotti di raccordo alla rete di distribuzione di media tensione e alla rete di<br />

trasmissione nazionale) da realizzare nei prossimi 4 anni per rendere più facile la costruzione e l’allacciamento di nuove centrali<br />

elettriche alimentate da fonti rinnovabili di energia.<br />

55


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

rate del mutuo, anche se poi Terna non gli fa l’allacciamento alla rete e, quindi, è costretto a<br />

tenere fermo l’impianto (Simone Togni, ANEV).<br />

Inoltre, alcune linee della rete elettrica in alta tensione hanno dimostrato di non essere<br />

più dotate di sufficiente capacità di trasporto per garantire il dispacciamento di energia<br />

prodotta dagli impianti eolici negli intervalli di tempo caratterizzati da ventosità sostenuta.<br />

Ciò conduce a frequenti congestioni di rete che si traducono per gli impianti eolici necessariamente<br />

in interventi di riduzione di potenza (mediamente intorno al 7%) che TERNA ha<br />

facoltà di imporre per garantire la sicurezza della rete. Le direttrici più colpite sono Andria-<br />

Foggia, Campobasso-Benevento e Benvenuto-Montecorvino, sulle quali insistono più di 1.500<br />

MW eolici. La causa principale di questa situazione risiede nel ritardo con cui si sono avviati<br />

i piani di potenziamento della rete di fronte a previsioni di <strong>sviluppo</strong> dei soli impianti eolici,<br />

già valutabile dopo i primi anni di avvio del CIP 6 e localizzabile sulla base dell’Atlante Eolico<br />

del nostro Paese. Viceversa gli investimenti di TERNA sono stati dell’ordine delle centinaia di<br />

milioni di euro fino al 2004, quando, con eccessivo ritardo, sono passati ai miliardi di euro,<br />

finalmente congrui con le esigenze di potenziamento a seguito dello <strong>sviluppo</strong> delle fonti a<br />

energia rinnovabile.<br />

La rete elettrica è dello Stato che l’ha data in concessione per un certo numero di anni a Terna<br />

che la deve esercire secondo dei criteri:<br />

• tutti si possono allacciare perché è un servizio pubblico;<br />

• se c’è richiesta di domande di concessione da una certa parte, il soggetto che la gestisce<br />

deve costruire delle linee.<br />

Questo, in 15 anni, per quanto riguarda l’eolico non è avvenuto, perché, anche dando le scusanti<br />

del caso a Terna, non hanno mai ritenuto affidabili le domande presentate per gli impianti<br />

eolici e, più in generale, da fonti rinnovabili. Ancora pochissimi anni fa le rinnovabili erano<br />

viste come un qualcosa che probabilmente non si sarebbe mai fatto… Per cui, gli arrivavano le<br />

domande per gli allacci degli impianti eolici, fotovoltaici, etc., ma loro non hanno mai creduto<br />

che questi impianti si facessero sul serio e, quindi, non hanno investito nello <strong>sviluppo</strong> della rete.<br />

Che poi l’abbiano fatto coscientemente o meno, che ci abbiano giocato perché le rinnovabili<br />

danno fastidio ai grossi operatori o ai gestori della rete, questo non lo so. So soltanto che in<br />

questi 15 anni Terna non ha sviluppato la rete sulla base delle domande di impianti presentate,<br />

disattendendo il mandato statutario. Questo comporta che nelle aree dell’Appennino meridionale,<br />

dove c’è vento, almeno fino a 3 anni fa, quando c’è stato un cambio di faccia, Terna non<br />

ha investito nel potenziamento della rete in queste aree. Ora, chi realizza un impianto che deve<br />

fare Ha fatto domanda 5 anni fa dicendo a Terna che avrebbe fatto l’impianto in un determinato<br />

sito, ora la sua colpa quale è Che ha fatto sul serio l’impianto (Simone Togni, ANEV).<br />

L’incremento della produzione elettrica da fonte <strong>eolica</strong> pone numerose e complesse sfide<br />

alla pianificazione e all’esercizio dei sistemi elettrici, chiamando in causa aspetti tecnici ed<br />

economici. Infatti la generazione <strong>eolica</strong> è fortemente variabile (in particolare sulle scale<br />

temporali delle ore e dei giorni), e questa variabilità deve essere compensata dalla generazione<br />

convenzionale se si vuole alimentare il carico senza interruzioni: ciò comporta che i<br />

gruppi di generazione convenzionale siano sempre più utilizzati per prestare questo servizio<br />

anziché coprire il “carico di base”. Inoltre, poiché le previsioni meteo del vento sono affette<br />

da errori, anche le previsioni di produzione <strong>eolica</strong> presentano incertezze: per questo occorre<br />

predisporre maggiori margini di riserva da parte dei gruppi convenzionali. Tutti questi fattori<br />

comportano costi aggiuntivi per la gestione del sistema elettrico. Ad essi si aggiungono gli<br />

oneri necessari per potenziare il sistema di trasmissione, al fine di facilitare l’immissione in<br />

56


6. Gli elementi di criticità<br />

La rete e il dispacciamento<br />

Se da un lato, in virtù dei vantaggi legati allo sfruttamento delle fonti rinnovabili, la produzione<br />

elettro<strong>eolica</strong> gode della “priorità di dispacciamento”, dall’altro è comunque necessario che ciò avvenga<br />

nel rispetto del corretto funzionamento della rete, la cui gestione è affidata a TERNA che, nel<br />

contempo, si fa garante della sicurezza del sistema. In sostanza, la necessità di una massimizzazione<br />

del dispacciamento in rete dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili è una condizione necessaria<br />

per il raggiungimento degli obiettivi 2020, ma al momento deve fare i conti con le frequenti<br />

congestioni e criticità della rete elettrica esistente. Peraltro, le recenti imposizioni di limiti al dispacciamento<br />

(e, quindi, alla produzione) dell’energia <strong>eolica</strong> da parte del Gestore, attraverso ordini di<br />

dispacciamento impartiti ai produttori durante lo svolgersi del normale esercizio dell’impianto, sono<br />

prevalentemente dovuti alla carenza infrastrutturale delle reti elettriche che, nelle aree ventose del<br />

Centro-Sud e delle isole, presentano un basso grado di magliatura e di interconnessione, divenendo<br />

inadatte al sostentamento di fonti primarie non programmabili, quali l’eolico e il fotovoltaico.<br />

Le centrali eoliche, per quanto piccole, hanno comunque delle potenze significative ed è, quindi,<br />

sempre necessaria un’attenta valutazione sul possibile comportamento della rete elettrica <strong>locale</strong> soggetta<br />

all’immissione dell’energia (oltre tutto variabile nel tempo) prodotta da fonte <strong>eolica</strong>. Le centrali<br />

con potenza installata superiore ai 10 MW sono normalmente collegate ad una rete di trasmissione<br />

o distribuzione ad alta tensione. Oltre alla maggiore capacità di trasporto di energia, una tale rete è<br />

caratterizzata da una maggiore stabilità e, soprattutto, da una minore frequenza di interruzioni. Si<br />

possono riscontrare centinaia di interruzioni su una rete a media tensione, mentre quelle di una linea<br />

ad alta tensione sono nell’ordine della decina all’anno. Quest’ultimo fatto è di particolare importanza<br />

perché gli aerogeneratori, almeno fino ad oggi, sono stati fatti funzionare secondo una logica che<br />

si limita, da un lato, ad accettare in rete tutta la produzione <strong>eolica</strong> senza modulazioni e, dall’altro<br />

lato, a comandare l’immediato distacco dell’impianto eolico non appena si verifica un guasto non solo<br />

all’impianto stesso, ma anche sulla rete esterna. È evidente che, se gli aerogeneratori si fermano dopo<br />

ogni interruzione sulla rete, si hanno frequenti perdite di produzione elettrica, oltre che maggiori<br />

sollecitazioni strutturali sulle turbine stesse.<br />

“C’è un problema di portata e di gestione della portata, delle caratteristiche dell’energia da immettere<br />

nella rete che riguarda Terna e GSE. Ci danno delle indicazioni e può capitare, ad esempio, che la Sicilia<br />

entra in isola perché non ha più la connessione con il continente. La gestione della sicurezza della rete,<br />

tenerla stabile, evitare il black out, gestirla in modo corretto, vuol dire avere conoscenze, istante per<br />

istante, di chi sta apportando energia alla rete. E’ importante, perché se io immetto energia, ma poi<br />

non ho possibilità di esportarla, creo delle perturbazioni di rete che possono o non essere tollerate,<br />

gestite o non gestite. Più si è a conoscenza di ciò che sta accadendo, di chi sta apportando energia<br />

e con quali caratteristiche, e più si è nelle condizioni di poterla gestire. Nel momento in cui si creano<br />

delle condizioni di non tollerabilità dell’impianto, chi gestisce la rete ha priorità ed è giusto che sia così<br />

perché alla fine sono loro che devono garantire il funzionamento dell’intero sistema. Terna dà un ordine<br />

di dispacciamento per cui l’impianto deve essere limitato a un tot, non può produrre più di un tot.<br />

Questo avviene raramente e in zone diverse del paese. Dove la rete è interconnessa, come in continente,<br />

ha più possibilità di accettare e, quindi, succede molto di rado. Le isole, invece, hanno meno capacità<br />

di connessione e, quindi, di esportare, pertanto sono soggette ad un controllo più severo e agli ordini<br />

di dispacciamento. Sono anche territori dove l’eolico è molto presente” (Refrigeri, Enel Green Power).<br />

Le tematiche del dispacciamento e dei servizi di rete richiesti agli impianti eolici sono state oggetto<br />

di studi, norme e atti di regolamentazione da parte di diversi enti del settore. Attualmente, dal punto<br />

di vista tecnico, il riferimento nazionale è la norma CEI 11-32 (Allegato 6), recepita all’interno del<br />

Codice della Rete di TERNA (Allegato A17) nella sua versione modificata e approvata dall’AEEG. Essa<br />

si riferisce ai nuovi impianti sul territorio nazionale e riconosce che comunque eventuali riduzioni di<br />

potenza possano essere richieste in situazioni di criticità del sistema elettrico. * Tale misura, ad ogni<br />

modo, attribuisce ai produttori il carico e l’onere di far fronte all’incapacità della rete elettrica di<br />

accogliere l’immissione di energia elettrica proveniente da fonti non programmabili. Recentemente,<br />

57


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

l’AEEG ha inoltre previsto, sulla base del Codice di Rete, una compensazione di carattere economico<br />

relativamente alla mancata energia prodotta e valorizzata a prezzi di mercato perchè non immessa<br />

in rete per congestioni di rete. Con la delibera 330/07 dell’AEEG, infatti, è stato introdotto un meccanismo<br />

di indennizzo dei produttori per la mancata produzione dovuta a limitazioni di potenza.<br />

Inizialmente, però, tale meccanismo ha mostrato notevoli lacune, non garantendo di fatto un riconoscimento<br />

adeguato dell’effettiva energia perduta. L’AEEG ha quindi provveduto a riformare il sistema<br />

di indennizzo per l’energia producibile, ma persa per effetto delle limitazioni attraverso la Delibera<br />

ARG/elt 5/10, affidando al GSE il compito di predisporre un sistema di stima della mancata produzione<br />

di energia più aderente alla realtà.<br />

* In caso di criticità e congestioni della rete, soprattutto quando c’è molta produzione <strong>eolica</strong>, si è costretti ad intervenire,<br />

a seguito di un ordine di dispacciamento da parte di Terna, staccando la produzione e mettendo le pale in stallo. La limitazione<br />

del dispacciamento è un fenomeno che coinvolge regolarmente gli impianti convenzionali programmabili. Per legge, infatti,<br />

prima di limitare/staccare gli impianti eolici e da altre rinnovabili, si devono limitare/staccare gli impianti da combustibili<br />

fossili, poi ridurre al minimo quelli tecnici e, infine, si possono limitare/staccare quelli da rinnovabili. Per l’eolico la limitazione<br />

del dispacciamento significa una perdita pari al 7% della producibilità complessiva di energia elettrica, un dato enorme<br />

per il settore, ma che è molto più contenuto rispetto a quello delle centrali convenzionali e a cicli combinati che arrivano a<br />

perdere il 20-30%.<br />

rete della potenza <strong>eolica</strong> evitando “congestioni” dei collegamenti: spesso, infatti, la fonte<br />

<strong>eolica</strong> è disponibile in zone lontane dai nodi principali della rete. L’accesso alla rete elettrica<br />

è in effetti una questione vitale per lo <strong>sviluppo</strong> dell’eolico.<br />

Pertanto, vanno potenziati gli interventi mirati per rendere più sopportabile l’inserzione<br />

delle centrali eoliche in zone che prima erano solo passive ed ora possono diventare attive,<br />

almeno localmente. Lo <strong>sviluppo</strong> delle reti elettriche andrebbe ridefinito in modo ben diverso<br />

da quello adottato sino a pochissimo tempo fa: è necessario pensare a un sistema che sostenga<br />

le fonti rinnovabili e la generazione distribuita, differente da quello implementato negli<br />

anni passati e che era pensato per trasportare energia dalle grandi unità produttive a carichi<br />

distribuiti sul territorio. Va rapidamente implementato il programma, avviato con il Ministero<br />

dello <strong>sviluppo</strong> economico, sulle 4 regioni convergenza (Puglia, Calabria, Campania e Sicilia)<br />

sia per irrobustire le reti elettriche e insieme la larga banda digitale, dato che la loro integrazione<br />

è alla base della smart grid. In Puglia si stanno iniziando ad installare nuove cabine<br />

dotate di intelligenza interna e connessione in fibra ottica, in grado di fornire istantaneamente<br />

ai centri di controllo i dati sull’attività delle centrali eoliche e dei campi fotovoltaici,<br />

e di regolarne l’interazione con la rete. Al tempo stesso, Terna ha in programma lo <strong>sviluppo</strong><br />

di nuove e più robuste dorsali elettriche, come quella prevista al centro della Sicilia e i nuovi<br />

cavi sottomarini nello Stretto di Messina. 50<br />

6.2 Procedure amministrative<br />

In questi anni, c’è stata una carenza di buona politica e buona amministrazione pubblica<br />

sia a livello centrale che <strong>locale</strong>, basti dire che ci sono voluti 7 anni per avere delle regole nazionali<br />

- le Linee guida previste dal Decreto 287/2003 - per l’approvazione e valutazione dei<br />

progetti, e che manca ancora la ripartizione (burden sharing) da parte del governo centrale<br />

50 Il collegamento della Sicilia con il resto del Paese dovrebbe avvenire entro il 2013 con la realizzazione di un cavo di 105<br />

chilometri, con un costo previsto di 700 milioni di euro. Mentre di recente è stato inaugurato il collegamento sottomarino via<br />

cavo ad alta potenza (1.000 MW), lungo oltre 450 chilometri e costato 750 milioni di euro, tra la penisola e la Sardegna (Borgo<br />

Sabotino, provincia di Latina-Flumesanto, provincia di Sassari).<br />

58


6. Gli elementi di criticità<br />

delle quote di produzione di energia rinnovabile – diviso in funzione delle differenti tipologie<br />

di rinnovabili, in accordo con le naturali vocazioni delle diverse realtà territoriali – di cui<br />

ogni Regione deve farsi carico per raggiungere gli obiettivi europei. Inoltre, larga parte delle<br />

regole approvate dalle Regioni propongono un approccio cautelativo nei confronti dell’eolico<br />

senza alcuna idea proiettata nel rapporto con il territorio, le sue risorse e il suo <strong>sviluppo</strong>.<br />

Nel complesso, si può affermare che, salvo alcune eccezioni, in questi anni le Regioni sono<br />

state le grandi assenti nel processo di diffusione dell’eolico in Italia, lasciando i Comuni come<br />

deboli solitari protagonisti. 51<br />

Nel resto d’Europa c’è un sistema-Paese più forte che da noi. C’è una forte integrazione tra le<br />

imprese, gli enti locali autorizzativi, lo Stato, che marciano molto compatti verso gli obiettivi.<br />

Qui, da noi, arriva una legge statale che chiede alle Regioni di intervenire, le Regioni intervengono<br />

e il Governo fa ricorso al Tar e al Consiglio di Stato per azzerare la legge regionale. Sette<br />

leggi regionali sono state distrutte negli ultimi 3 anni. Con le nostre norme sulle autorizzazioni<br />

degli impianti ci vogliono più avvocati che ingegneri per andare a dirimere il problema (Mario<br />

Gamberale, Kyoto Club).<br />

Una ragione di queste difficoltà sta nel fatto che gli impianti eolici hanno fatto da apripista<br />

nel complicato, e spesso contraddittorio, processo di liberalizzazione del mercato energetico<br />

e di trasferimento dei poteri di programmazione energetica e approvazione dei progetti<br />

alle Regioni, che certamente non hanno brillato per efficacia e coerenza.<br />

Se c’è stato un difetto originario in tutta la partita delle rinnovabili è che non ha certo giovato<br />

la deregulation del mercato energetico. Deregulation che nel caso delle energie rinnovabili, anche<br />

sulla base di quanto è avvenuto in altri paesi del Nord Europa, è stata adottata in maniera<br />

molto cruda, senza considerare che gli altri paesi nordeuropei hanno un diverso concetto del<br />

bene comune. La Germania, ad esempio, è piena di torri eoliche, però loro hanno un diverso<br />

approccio al bene comune, lo difendono fino allo stremo. Se uno parcheggia male, sul marciapiede,<br />

subito chiamano la polizia e quella viene e fa la multa. Da noi, non solo nessuno chiama<br />

la polizia, ma anche se questa fosse chiamata, non verrebbe e non farebbe la multa. Quando<br />

ho chiesto alla signora perché avesse chiamato la polizia, mi ha risposto che il marciapiede è<br />

anche suo. Quindi, lì c’è la cultura del rispetto della regola, cosa che da noi non c’è. Quando<br />

loro hanno detto che incentivavano i privati a fare quello che già facevano, anche i privati che<br />

operano in Germania hanno il senso del bene comune, e quindi lo hanno fatto con un approccio<br />

molto diverso da quello che c’è stato in Italia. In Italia, quello che è mancato è stato proprio<br />

il peso delle istituzioni. Anche qui a Roma, quando hanno voluto fare i parcheggi hanno detto:<br />

“chiunque è interessato a fare un parcheggio secondo la Legge Tognoli, alzi il dito e mi dica<br />

dove vuole farlo”. Ognuno si è accaparrato lo spazio dove andarlo a fare e, poi, se il parcheggio<br />

serve o non serve o se la sua realizzazione sia compatibile con la staticità dei palazzi esistenti,<br />

sono tutte domande che nessuno si è posto seriamente. Il pubblico ha delegato al privato una<br />

programmazione su questa tematica, mentre invece prima il pubblico avrebbe dovuto fare una<br />

seria programmazione per poter poi dare degli indirizzi ai privati. Quindi, abbiamo da una parte<br />

un scarsa presenza da parte delle istituzioni a governare i fenomeni a tutti i livelli e dall’altra<br />

51 Anche a proposito delle Linee guida, ora che sono state emanate quelle nazionali, di tratta di vedere quali saranno gli<br />

indirizzi programmatori concreti che daranno le Regioni. Alcuni primi segnali non sembrano essere molto confortanti: “Il Lazio<br />

ha cominciato male, perché ha semplicemente recepito le Linee Guida nazionali con una delibera della Giunta regionale, revocando<br />

quelle precedenti, senza però fare quello che è previsto dalle Linee Guida nazionali, cioè fare un’analisi delle aree dove non è possibile<br />

installare impianti eolici. Oggi, di fatto, nel Lazio è possibile fare impianti ovunque perché manca una espressa individuazione delle<br />

aree dove non è possibile fare impianti. Secondo me, non se ne sono neanche accorti, perché hanno pensato che bastasse recepire<br />

le Linee Guida nazionali per individuare automaticamente le aree dove non sarà possibile fare l’eolico. Non è così perché ci vuole<br />

un’analisi di scouting per identificare concretamente i luoghi non idonei. Questo non è stato fatto.” (Domenico Belli, Greenpeace).<br />

59


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

parte abbiamo anche un certo timore da parte del mondo imprenditoriale a investire con un programma<br />

che sia non solamente speculativo, che massimizzi adesso il profitto, ma che sia qualcosa<br />

che vada a mettere radici un poco più profonde (Stefano Leoni, presidente WWF Italia).<br />

Anche quando presenti, non sempre i piani energetici regionali (ma anche provinciali e<br />

comunali) sono risultati e risultano adeguati alle nuove funzioni che sono loro richieste e che<br />

derivano da due fondamentali innovazioni introdotte nell’ultimo quindicennio: la modifica<br />

del Titolo V della Costituzione e la liberalizzazione del mercato dell’energia. Due innovazioni<br />

apparentemente contraddittorie perché:<br />

• la prima ha caricato Regioni ed enti locali di responsabilità normative e regolamentari;<br />

• la seconda sottrae potere programmatorio sia allo Stato che alle Regioni.<br />

Il discorso relativo alla pianificazione/programmazione è reso difficile dal fatto che siamo<br />

in un mercato elettrico liberalizzato e in un sistema burocratico che impiega 5-6 anni per<br />

autorizzare un progetto. 52 I piani energetici quando sono stati fatti sono rimasti nei cassetti.<br />

In materia energetica il soggetto privato, l’imprenditore, ha spesso una capacità di azione che<br />

sovrasta le possibilità di governo del processo da parte dell’ente <strong>locale</strong>. Le amministrazioni<br />

locali non hanno validi strumenti programmatori perchè la disciplina statale delle rinnovabili<br />

dà a queste ultime una priorità assoluta su tutto, in quanto sono considerate di pubblica utilità,<br />

indifferibili ed urgenti, per cui non ci si può appellare con motivazioni ambientali se non<br />

in sede di valutazione di impatto ambientale e non ci si può appellare a motivazioni di tipo<br />

urbanistico a meno di non fare delle forzature, ad esempio, rendendo tutte le aree edificabili<br />

e vincolandole a parco, e quindi, rendendole non idonee per l’insediamento di parchi eolici.<br />

Comunque, anche i vincoli alla destinazione d’uso non sono efficaci perché la legge dice che<br />

un parco eolico si può fare in qualunque tipo di terreno e non cambia la destinazione d’uso<br />

dell’area. In sostanza, è il privato che liberamente sceglie sito, potenza, modalità realizzative,<br />

senza che ci sia una vera politica di indirizzo dei Governi regionali, con individuazione<br />

delle aree disponibili, delle compatibilità ambientali e delle tipologie costruttive. In questa<br />

situazione, la capacità negoziale dei territori locali sta solo nella loro capacità di fare interdizione,<br />

producendo lungaggini, carte che si perdono, autorizzazioni che non vengono mai<br />

concesse, campagne di stampa, sit-in e proteste da parte della cittadinanza, etc.<br />

Faccio parte di una commissione di valutazione sull’energia in provincia di Foggia e poso testimoniare<br />

che la Provincia ha fatto un ottimo lavoro di screening di tutte le richieste di impianti<br />

eolici e fotovoltaici sul territorio, andando a vedere quello che è il realizzato e i progetti in<br />

autorizzazione dal 2004 ad oggi. Il quadro è il seguente: ci sono tanti progetti realizzati e,<br />

52 La lentezza dell’iter amministrativo fa sì che il progetto che viene approvato è di fatto obsoleto. In 5-6 anni nel settore<br />

eolico la tecnologia fa degli enormi passi avanti abbassando drasticamente i costi in rapporto alla potenza, Ma, il progetto<br />

autorizzato non può essere modificato. “Un progetto viene realizzato tenendo conto della tecnologia del momento. Non è possibile<br />

inserire in un progetto per un iter autorizzativi una tecnologia che non esiste. La tecnologia del momento prevede macchine con<br />

determinate altezze, dimensioni delle pale, potenze. Tutti elementi che sono importanti per la valutazione e le analisi di impatto<br />

ambientale. Una macchina di 50 metri e una di 80 hanno impatti ambienti diversi, ad esempio, in relazione alle rotte migratorie<br />

dell’avifauna. Quindi, se un progetto parte con una certa tipologia di macchine e arriva in fondo, non è possibile cambiare. Si deve<br />

procedere soltanto con la realizzazione delle caratteristiche originaria che sono state analizzate ed autorizzate. Se si dovesse cambiare<br />

macchina è corretto ri-iniziare l’iter per verificare se le nuove dimensioni e caratteristiche sono in linea con tutte quelle che<br />

sono le necessità del sito, quindi, le varie criticità e caratteristiche che si trovano nella comunità <strong>locale</strong>. La visibilità da lontano può<br />

aumentare perché le torre sbuca fuori dalla collina e quando di guarda la chiesa o il duomo c’è la pala che è visibile, se si alza di<br />

5-10 metri la torre. La lentezza dell’iter autorizzativi crea degli inconvenienti, ma il progetto non può essere modificato anche se la<br />

tecnologia in 3-4 anni va avanti molto velocemente. Questo è un settore in cui la tecnologia ha subito delle evoluzioni rapidissime,<br />

perché il mercato ha imposto dei ritmi velocissimi. Pertanto, un iter lento rischia di far sì che le soluzioni tecnologiche adottate<br />

siano superate dalla evoluzione della tecnologia. Però, se consideriamo che la vita utile di un parco deve essere di circa 15-20 anni.<br />

Dal punto di vista dell’incentivazione oggi sono 15 anni, questo come vita finanziaria di un parco, dal punto di vista della tecnica/<br />

tecnologica, la vita di un parco è intorno ai 20 anni. È chiaro che ci troviamo davanti a dei parchi eolici che dal punto di vista<br />

tecnologico vengono superati facilmente in questo momento” (Roberto Refrigeri, Enel Green Power).<br />

60


6. Gli elementi di criticità<br />

aggiungendo gli impianti in autorizzazione, sostanzialmente, esce fuori che tutto il territorio è<br />

coperto, al netto delle case e delle strade. Non ci sarebbero più spazi liberi, incluse le aree di<br />

espansione della rete elettrica. Oggi, se Terna dovesse fare un elettrodotto, in alcuni comuni<br />

della provincia di Foggia, non potrebbe farlo perché tutto è già coperto da un diritto di richiesta<br />

di autorizzazione di grandi impianti eolici e fotovoltaici. Come si affronta questo problema Il<br />

fatto è che l’accerchiamento, in realtà, è sostanzialmente sulla carta, perché la stragrande maggioranza<br />

di questi progetti non verrà mai realizzata. Le istituzioni soffrono terribilmente per il<br />

fatto di trovarsi, a causa della loro stessa complessità burocratica, a dover accumulare dal 2005<br />

al 2011 centinaia di progetti che non riescono a valutare e che non riescono ad approvare o bocciare.<br />

Il problema c’è pure in Germania, ma in misura enormemente ridotta. Perché un progetto<br />

lo proponi, lo guardo e in 60 giorni è approvato e al 61° giorno cantieri. Quando arriva quello<br />

dopo di te, che mi chiede di realizzarlo nella stessa area, io lo boccio semplicemente perché sta<br />

là, perché già se ne sta realizzando uno. Se invece ho un sistema che mi genera centinaia di<br />

puntini sul territorio continuamente ad una velocità spaventosa, allora si ha:<br />

• un proliferare di carte e di costi generati, assolutamente inutile, perché non porteranno poi<br />

kWh;<br />

• un senso si oppressione sulle istituzioni locali;<br />

• un senso di inadeguatezza della rete elettrica, la quale su quei numeri non sarebbe mai in<br />

grado di programmare gli interventi.<br />

Per cui, cosa succede a Foggia L’accerchiamento è tale che alla fine la Regione insabbia tutto,<br />

blocca ogni tipo di procedimento e tu aspetti. Prima di rinunciare, dopo aver magari già speso<br />

un milione di euro di progettazione e consulenze, accetti di partecipare ad un tavolo di negoziazione,<br />

in cui tutti gli operatori, di fronte all’evidenza dell’ingessamento della situazione,<br />

si riducono il numero degli aerogeneratori previsti nei progetti e tutti accettano e presentano<br />

la variante di progetto. Questa è una sorta di “pianificazione da concertazione”, con spazio<br />

ovviamente per mille tipi di pressioni politiche, perché tutto si risolve non per via normativa,<br />

ma per decisione discrezionale (Mario Gamberale, Kyoto Club).<br />

Tre appaiono le strade possibili per cercare di sbloccare la situazione:<br />

• abbandonare il regime di liberalizzazione del mercato elettrico per tornare ad un regime<br />

di pianificazione, ipotesi resa difficile o addirittura impraticabile se non altro perché le<br />

direttive comunitarie recepite dall’Italia in questi ultimi 15 anni lo impediscono;<br />

• avviare una drastica azione di sburocratizzazione, con un azzeramento della situazione,<br />

ma anche questa è una strada difficile da percorrere perché ci sono i diritti acquisiti;<br />

• fare in modo che le Regioni si diano uno strumento di programmazione che dimensioni<br />

la quantità di <strong>sviluppo</strong> di eolico verso cui si vuole tendere e fissi con chiarezza i criteri dal<br />

punto di vista territoriale, e poi prendere delle risorse finanziarie dalla tariffa elettrica per<br />

destinarle a pagare dei professionisti o gli stessi funzionari dell’ente <strong>locale</strong> per espletare la<br />

valutazione dei progetti nei tempi previsti dalla legge.<br />

Se l’impianto è compatibile, domani cantieri, se non è compatibile, perché c’è ne è già uno<br />

attaccato o sulla stessa area, lo boccio. A quel punto ci sarebbe una regolazione sull’evidenza<br />

degli impianti autorizzati e realizzati (Mario Gamberale, Kyoto Club).<br />

Inoltre, rispetto alla governance istituzionale, sebbene alle Regioni sia affidata la competenza<br />

amministrativa sulle fonti rinnovabili, appare troppo debole e lacunoso il raccordo con<br />

i livelli amministrativi sottostanti quello regionale. La condivisone con gli enti locali diventa<br />

pertanto fondamentale e condizionante il processo di attuazione, specie per quanto riguarda<br />

azioni che intercettano le competenze dei Comuni e la loro potestà di governo del territorio<br />

e regolamentare, anche in virtù dell’adeguamento e dell’adozione di strumenti e norme inno-<br />

61


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

vativi, come nel rispetto degli impegni presi aderendo al Patto dei Sindaci (programmazione<br />

territoriale e regolamentazione <strong>locale</strong> edilizia, pianificazione urbanistica integrata con le reti<br />

energetiche - teleriscaldamento, mobilità, etc.).<br />

Per quanto riguarda le procedure amministrative per la formazione dei titoli abilitativi<br />

alla costruzione ed esercizio degli impianti di produzione di energia <strong>eolica</strong> e più in generale<br />

da fonte rinnovabile, diverse sono le criticità che fino ad oggi si sono manifestate:<br />

1. Il mancato rispetto del termine di 180 giorni per la conclusione del procedimento di autorizzazione<br />

unica appare essere ormai sistematico. Sono eccezionali, infatti, i casi in cui il titolo<br />

Il Patto dei Sindaci<br />

Circa 2000 sono le città europee, di cui oltre 500 quelle italiane, aderenti al Patto dei Sindaci e che<br />

hanno preso l’impegno di ridurre le proprie emissioni di gas climalteranti di almeno il 20% entro il<br />

2020. Da questo punto di vista il Patto dei Sindaci rappresenta l’azione più forte attualmente in atto<br />

per coinvolgere i governi locali nella lotta ai cambiamenti climatici. Il Piano di azione nazionale italiano<br />

per le fonti rinnovabili indica la campagna SEE (www.campagnaSEEitalia.it), e il patto dei Sindaci<br />

che opera al suo interno, come una delle principali iniziative di sensibilizzazione in atto nel nostro<br />

Paese. Le singole città aderenti al Patto si impegnano a redigere, sulla base di apposite linee guida, un<br />

Piano di Azione per l’<strong>Energia</strong> Sostenibile (PAES), documento programmatico (da presentare in Consiglio<br />

Comunale, nonché alla Commissione Europea) per descrivere il percorso e le azioni che seguiranno da<br />

qui al 2020 per ridurre le proprie emissioni di gas climalteranti. In Italia, la prima città ad aver approvato<br />

il proprio PAES in Consiglio Comunale è stata Avigliana, seguita da Torino, Udine, Verona. La Fondazione<br />

Cariplo ha emesso un bando che mette a disposizione 2 milioni di euro proprio per sostenere<br />

i comuni nella redazione dei PAES. Diverse Regioni e Province stanno mettendo in sinergia le proprie<br />

attività proprio al fine di convogliare risorse economiche, derivanti ad esempio dai Fondi Strutturali,<br />

verso azioni propedeutiche all’attuazione del Patto dei Sindaci. A livello europeo, è possibile accedere<br />

a risorse finanziarie attraverso il fondo ELENA, gestito dalla BEI e il bando comunitario <strong>Energia</strong> Intelligente<br />

per l’Europa (EIE). Dal punto di vista operativo, il PAES si compone di tre parti ben distinte:<br />

• una prima parte riguarda la creazione di una strategia generale di lungo termine del singolo Comune<br />

(o del gruppo di Comuni associati allo stesso PAES), con l’identificazione di adeguate strutture<br />

amministrative con adeguate risorse umane e finanziarie all’interno dei singoli Comuni, del target<br />

di riduzione al 2020, delle azioni prioritarie da perseguire, delle tendenze in atto e delle principali<br />

opportunità. Per quanto riguarda il target di riduzione delle emissioni, esso può essere calcolato in<br />

valori assoluti o pro-capite, cioè per numero di abitanti;<br />

• una seconda parte riguarda l’analisi dello stato dell’arte in termini di emissioni, cioè la preparazione<br />

dell’inventario delle emissioni della città nell’anno riferimento, per poi analizzare il trend<br />

delle emissioni da qui al 2020 al fine di stimare le emissioni attese al 2020 e programmare quindi<br />

le azioni di riduzione in sintonia con lo <strong>sviluppo</strong> della città. Infine, in questa fase si analizza anche<br />

la produzione di energia a livello <strong>locale</strong>, in particolare valorizzando gli impianti a fonte di energia<br />

rinnovabile. I settori principali sui quali si pone l’attenzione sono quelli relativi agli edifici, strutture<br />

e industrie locali, nonché quello dei trasporti, sia pubblici che privati;<br />

• la terza fase riguarda l’individuazione dei settori sui quali intervenire e, quindi, le azioni da<br />

mettere in campo per tipologia e fonte di energia utilizzata. Il consumo di energia riguarda tutti i<br />

settori del vivere quotidiano nelle città: trasporti, residenziale, piccola e media industria, agricoltura,<br />

terziario e, al loro interno, la tipologia di energia utilizzata (termica, elettrica, carburanti) e la fonte<br />

di provenienza (fossile o rinnovabile). Questa fase deve veder coinvolta la società civile al fine di<br />

condividere insieme le scelte strategiche per lo <strong>sviluppo</strong> sostenibile della città.<br />

62


6. Gli elementi di criticità<br />

autorizzatorio viene rilasciato entro 180 giorni. Tale termine costituisce principio fondamentale<br />

della materia ed è volto a garantire la celere conclusione del procedimento su tutto il<br />

territorio nazionale. Oggi, la media dei tempi di autorizzazione di un impianto eolico è di<br />

3-5 anni, poiché sono aggravati spesso da ingiustificati oneri ed atteggiamenti discrezionali<br />

da parte delle amministrazioni e degli preposti a dare l’assenso al progetto. L’omesso rispetto<br />

del termine costringe gli operatori a rivolgersi all’autorità giudiziaria per obbligare l’amministrazione<br />

competente a pronunciarsi entro un termine fissato in sede giurisdizionale. Con<br />

ciò, tra l’altro, gravando le corti amministrative – ma anche le stesse amministrazioni coinvolte<br />

nei procedimenti, con i conseguenti costi – di contenziosi che potrebbero essere evitati<br />

se l’amministrazione improntasse l’azione amministrativa al principio del buon andamento.<br />

2. Le discipline regionali adottate nelle more dell’adozione delle Linee guida nazionali, non<br />

solo hanno creato un panorama normativo assai disomogeneo, ingenerando grave disorientamento<br />

tra gli operatori interessati ad operare in più territori regionali, ma hanno provocato<br />

un nocumento ben maggiore al settore. Spesso, infatti, le discipline adottate dalle Regioni si<br />

sono poste in aperto contrasto con i principi giuridici in materia di energia dettati a livello<br />

nazionale e comunitario. Si tratta, ad esempio, di disposizioni di contingentamento della<br />

potenza o del numero o della tipologia di impianti installabili, della sospensione a tempo<br />

indeterminato dei procedimenti autorizzativi (le cosiddette moratorie), dell’introduzione di<br />

requisiti di accesso al procedimento non previsti dalla disciplina nazionale di principio, della<br />

individuazione di aree aprioristicamente non idonee alla installazione di impianti, della creazione<br />

di società energetiche regionali a partecipazione pubblica idonee a competere direttamente<br />

con i potenziali produttori privati. Tali discipline, da un lato, hanno avuto l’effetto di<br />

rendere particolarmente gravosa o addirittura di paralizzare l’installazione di potenza <strong>eolica</strong>/<br />

rinnovabile sul territorio. Dall’altro, esse si sono tradotte in barriere all’accesso al mercato<br />

di produzione di energia da fonte rinnovabile, nonché, in ingiustificate distorsioni della<br />

concorrenza tra operatori localizzati in differenti zone del territorio nazionale.<br />

3. Le informazioni e le condizioni di accesso alle stesse sono tutt’altro che definite. Basti<br />

pensare che non esiste, salvo qualche caso isolato, un elenco chiaro, completo e univoco:<br />

• della documentazione da allegare all’istanza di autorizzazione unica o alla denuncia di<br />

inizio attività edilizia;<br />

• degli enti coinvolti nel procedimento;<br />

• dei pareri che essi devono rendere e dei termini entro cui essi devono esprimersi;<br />

• del ruolo e del peso che hanno i singoli enti (soprattutto i Comuni) all’interno del procedimento.<br />

Ciò ha sino a ora reso scarsamente trasparenti le procedure autorizzative. Se, da un lato,<br />

si auspica, quindi, che le Linee guida effettivamente introducano l’obbligo, per le amministrazioni<br />

competenti, di rendere disponibili e facilmente accessibili le informazioni elencate,<br />

nondimeno si ritiene necessario che tale obbligo venga esteso anche ai Comuni che si renderanno<br />

destinatari di un numero sempre maggiore di istanze (D.I.A. e comunicazioni) per la<br />

installazione di impianti di piccola taglia.<br />

4. Il collegamento tra amministrazioni dovrebbe avvenire nell’ambito del modulo procedimentale<br />

della conferenza di servizi (che ha natura istruttoria) attraverso il responsabile del<br />

procedimento, unico tramite tra il proponente e le amministrazioni interessate. In concreto,<br />

ciò avviene raramente. Sono assai frequenti, infatti, i casi in cui le amministrazioni coinvolte<br />

63


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

nel procedimento si pronunciano al di fuori della conferenza di servizi, snaturandone così lo<br />

scopo cui essa tende: raccogliere gli enti attorno a un tavolo per valutare contestualmente e<br />

in modo integrato il progetto sottoposto alla loro attenzione. Analogamente, le amministrazioni<br />

spesso si rivolgono direttamente al proponente, anziché veicolare le proprie richieste<br />

attraverso il responsabile del procedimento che non è più in grado di operare quel necessario<br />

coordinamento tra enti e proponente. Sarebbe pertanto necessario rafforzare il ruolo del<br />

responsabile del procedimento.<br />

5. Le procedure semplificate sino a oggi introdotte per rendere più celere l’installazione degli<br />

impianti a fonti rinnovabili sono costituite dalla denuncia di inizio attività edilizia prevista<br />

per impianti al di sotto di una certa soglia di potenza, nonché dalla mera comunicazione<br />

contemplata per gli interventi minori. Tuttavia, si segnala che, ai sensi della disciplina<br />

di principio (articolo 12, D.Lgs. 387/2003), il procedimento ordinario di autorizzazione è<br />

necessario, non solo per la realizzazione di nuovi impianti, ma anche per le ipotesi di modifica,<br />

rifacimento totale o parziale (re-powering) e riattivazione di impianti già esistenti. A tal<br />

proposito, da parte degli operatori si suggerisce l’introduzione di procedure semplificate per<br />

queste tipologie di lavori, anche allo scopo di rendere la disciplina abilitativa coerente con<br />

quella incentivante che favorisce la realizzazione dei citati interventi. La semplificazione<br />

potrebbe consistere nell’introduzione di ulteriori fattispecie da assoggettare a denuncia di<br />

inizio attività, ovvero nella previsione di un procedimento autorizzatorio snello cui partecipano<br />

solo le amministrazioni che si devono esprimere sugli interventi e che si conclude<br />

entro un termine breve.<br />

6. Le spese di istruttoria relative allo svolgimento dei procedimenti di autorizzazione unica<br />

e/o degli endoprocedimenti (ad esempio, di natura ambientale) necessari hanno costituito<br />

spesso un ostacolo alla massima diffusione degli impianti a fonti rinnovabili. Sotto un profilo<br />

meramente formale, esse sono state spesso introdotte da disposizioni non di rango legislativo,<br />

in violazione dell’articolo 23 della Costituzione. Dal punto di vista dei contenuti poi,<br />

esse sono spesso apparse esorbitanti e, più in generale, si sono tradotte, di fatto, in misure<br />

di compensazione (vietate dall’ordinamento) in quanto, tra l’altro:<br />

Il re-powering<br />

L’obsolescenza di molti impianti eolici presenti sul territorio è tale da rendere necessario lo smantellamento<br />

e la sostituzione degli aerogeneratori. In questi casi si procede al re-powering o re-wamping,<br />

sostituendo le macchine – in genere da 200-350-800 kW – con macchine da 800 kW-2,5 MW, che vengono<br />

installate con un rapporto di 1 ogni 2-3 macchine smantellate, in funzione delle caratteristiche<br />

del luogo. Ciò consente un incremento della producibilità, a parità di territorio occupato, di circa il<br />

20-40%, e altezza delle torri di sostegno compresa tra i 50 e i 100 metri, diminuendo sensibilmente<br />

l’affollamento delle unità presenti, a parità di potenza installata.<br />

Si segnala che, ai sensi della disciplina dell’articolo 12, D.Lgs. 387/2003, il procedimento ordinario di<br />

autorizzazione è necessario, non solo per la realizzazione di nuovi impianti, ma altresì per le ipotesi<br />

di modifica, rifacimento totale o parziale e riattivazione di impianti già esistenti. Dato che questa<br />

evenienza si presenta in modo spiccato nel caso di impianti eolici, andrebbero pertanto introdotte<br />

procedure semplificate per tali lavori e meccanismi che permettano una migliore efficienza e rendimento<br />

delle apparecchiature da sostituire, prevedendo la possibilità di aumentare la potenza della<br />

macchina a fronte di una (eventuale) riduzione nel numero delle stesse.<br />

64


6. Gli elementi di criticità<br />

• erano imposte quale conseguenza automatica della installazione di impianti a fonti<br />

rinnovabili;<br />

• venivano previste a favore delle Regioni;<br />

• avevano natura meramente economica.<br />

Occorre aprire una nuova fase dello <strong>sviluppo</strong> eolico in Italia, nella quale vi siano finalmente<br />

regole chiare per la valutazione e approvazione dei progetti. Servono regole chiare e<br />

procedure trasparenti per poter interloquire in modo attivo con le imprese e per valutare nel<br />

tempo la diffusione dell’eolico e delle altre fonti rinnovabili, con una programmazione che<br />

consenta alle amministrazioni di valutare la compatibilità dell’insieme dei progetti rispetto<br />

ai territori.<br />

La questione delle royalty e delle misure compensative per i Comuni<br />

Le Linee guida nazionali stabiliscono i criteri per l’eventuale fissazione di misure compensative per i<br />

Comuni. Innanzitutto, le Linee guida (sulla base del parere del Consiglio di Stato n. 2849 del 14 ottobre<br />

2008) stabiliscono il criterio che la semplice circostanza che venga realizzato un impianto di produzione<br />

di energia da fonti rinnovabili, a prescindere da ogni considerazione sulle sue caratteristiche e dimensioni<br />

e dal suo impatto sull’ambiente, non dà luogo a misure compensative. Fermo restando, quindi,<br />

che per l’attività di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili non è dovuto alcun corrispettivo<br />

monetario in favore dei Comuni, l’autorizzazione unica può prevedere l‘individuazione di misure compensative*,<br />

a carattere ambientale e territoriale e non meramente patrimoniale, a favore degli stessi<br />

Comuni e da orientare su interventi di miglioramento ambientale correlati alla mitigazione degli impatti<br />

riconducibili al progetto, ad interventi di efficienza energetica, di diffusione di installazioni di impianti<br />

a fonti rinnovabili e di sensibilizzazione della cittadinanza sui tali temi. Le “misure di compensazione e<br />

di riequilibrio ambientale e territoriale” sono determinate in riferimento a “concentrazioni territoriali di<br />

attività, impianti ed infrastrutture ad elevato impatto territoriale”, con specifico riguardo alle opere in<br />

questione**. Devono essere “concrete e realistiche”, cioè determinate tenendo conto delle specifiche<br />

caratteristiche dell’impianto e del suo specifico impatto ambientale e territoriale. Sono solo “eventuali”,<br />

e correlate alla circostanza che esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni<br />

territoriali di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale. Non possono<br />

comunque essere superiori al 2% dei proventi, comprensivi degli incentivi vigenti, derivanti dalla valorizzazione<br />

dell’energia elettrica prodotta annualmente dall’impianto. Ovviamente, questa limitazione<br />

non è vista di buon occhio da parte di molti dei sindaci dei piccoli comuni dove sono localizzati gli<br />

impianti eolici industriali. “Accadia è stato il primo comune che ha fatto una convenzione 20 anni fa<br />

pensando che avremmo tracciato una via “industriale”. In realtà, è tutto un fallimento. L’ultima è stata<br />

la telefonata del gestore di un parco eolico che mi ha detto: “vi abbiamo foraggiati”. Per loro foraggiati<br />

significa l’1,50%, cioè briciole che a noi sono servite per devastare un territorio che è l’unico patrimonio<br />

di bellezza del Sub-Appennino. In realtà, le società che vengono ad installare i parchi eolici, colonizzano,<br />

fanno quello che vogliono e se ne vanno. E se qualcuno pretende qualcosa in più rischia di essere querelato<br />

e mandato sotto processo. La realtà è che c’è un connubio, una connivenza di interessi tra la politica a<br />

livello centrale e il mondo industriale, altrimenti non si spiegherebbe questa colonizzazione sul territorio<br />

senza nessuna ricaduta reale. Quando poi ci vengono ad imporre che non ci devono essere le royalty, perché<br />

il Governo dice che le royalty non sono legali, vuol dire una cosa: che i grossi gruppi industriali, hanno fatto<br />

accordi con la politica centrale” (Pasquale Murgante, Accadia).<br />

* Le misure compensative sono definite in sede di conferenza di servizi, sentiti i Comuni interessati, anche sulla base di<br />

quanto stabilito da eventuali provvedimenti regionali e non possono unilateralmente essere fissate da un singolo Comune. Nella<br />

definizione delle misure compensative si tiene conto dell’applicazione delle misure di mitigazione in concreto già previste, anche<br />

in sede di valutazione di impatto ambientale. A tal fine, con specifico riguardo agli impianti eolici, l’esecuzione delle misure di<br />

mitigazione di cui all’allegato 4 delle Linee guida, costituiscono, di per sé, azioni di parziale riequilibrio ambientale e territoriale.<br />

** Sentenze Corte cost. n. 383/2005 e n. 248/2006 in riferimento all’articolo 1, comma 4, lettera f), della legge 239/2004.<br />

65


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Ora, che finalmente ci sono le Linee guida nazionali per i progetti che fissano i riferimenti<br />

che devono valere in tutta Italia rispetto alle rotte di migrazione dell’avifauna e alle<br />

attenzioni da avere rispetto agli impatti, le Regioni, che hanno la responsabilità di valutare<br />

ed approvare i progetti, devono calare nella propria realtà le indicazioni di tutela (ossia<br />

dove i grandi impianti eolici non devono essere realizzati perché in presenza di aree di pregio<br />

naturalistico come SIC e ZPS, rotte di migrazione di avifauna e fauna, paesaggi unitari e<br />

riconosciuti) e indicare dove e con quali attenzioni, studi, valutazioni degli impatti invece<br />

realizzarlo in modo migliore e in tempi certi in tutte la altre aree.<br />

Alle amministrazioni comunali spetta, invece, il compito di verificare le condizioni locali<br />

di realizzazione, le opportunità di valorizzazione del territorio <strong>locale</strong>, l’informazione dei cittadini.<br />

La trasparenza delle procedure e la partecipazione dei cittadini alla costruzione delle<br />

decisioni risulta decisiva propria per anticipare e comprendere i motivi di timore, valorizzare<br />

nei progetti le potenzialità dei luoghi.<br />

6.3 La carenza di una informazione corretta<br />

Tra gli elementi di criticità va considerata anche la carenza di una informazione corretta<br />

rispetto all’energia <strong>eolica</strong> e, più in generale, alle fonti rinnovabili, con le maggiori responsabilità<br />

attribuibili alle pubbliche amministrazioni, ma anche ai mezzi di comunicazione, che non<br />

sempre hanno illustrato e illustrano nel modo dovuto lo scenario energetico italiano di liberalizzazione<br />

e concorrenza tra operatori, le caratteristiche delle tecnologie rinnovabili e, soprattutto,<br />

i loro benefici effetti sull’ambiente e le ricadute positive in termini occupazionali. 53<br />

Stando alla lettura che sempre più spesso danno i mass media dello <strong>sviluppo</strong> delle rinnovabili<br />

in Italia, fotovoltaico a terra, eolico on/off shore, centrali a biomasse, sembrano essere<br />

diventati i nuovi nemici dell’ambiente e della legalità. Da una parte, i difensori integerrimi<br />

della bellezza del paesaggio rurale, dall’altra, i nuovi affaristi delle rinnovabili favoriti da un<br />

sistema degli incentivi troppo generoso, 54 con gli “sviluppatori”, le infiltrazioni mafiose, la<br />

corruzione, il malaffare, gli sfregi al paesaggio, i facili guadagni e gli impianti costruiti e<br />

mai collegati alla rete. Ma, rappresentare l’eolico come un’attività in mano alla mafia e alla<br />

‘ndrangheta nel Mezzogiorno o alla P3 in Sardegna, sostenere che gli impianti beneficiano di<br />

incentivi anche se sono fermi, che si sta rischiando di riempire l’Italia di migliaia di impianti<br />

per produrre pochissima energia elettrica significa offrire una rappresentazione falsa, alimentando<br />

insinuazioni, allarmismi e la ricerca esasperata della polemica a ogni costo. 55<br />

In primo luogo, perché è la mafia il problema del Mezzogiorno e l’eolico casomai è<br />

vittima, come tutte le attività imprenditoriali, del controllo del territorio da parte della<br />

53 In questo senso, va sottolineate l’attenzione che il Decreto Legislativo che dà attuazione alla direttiva 2009/28/CE dedica<br />

al tema dell’informazione, attraverso:<br />

• la realizzazione da parte del GSE di un portale informatico;<br />

• accordi del GSE con le autorità locali e regionali, per elaborare programmi di informazione, sensibilizzazione, orientamento<br />

o formazione al fine di informare i cittadini sui benefici e sugli aspetti pratici dello <strong>sviluppo</strong> e dell’impiego di energia da fonti<br />

rinnovabili;<br />

• modalità con cui i fornitori o installatori dovranno informare i clienti sui costi e le prestazioni degli impianti.<br />

Il ruolo fondamentale assegnato al GSE è di per sé una garanzia, purché gli siano fornite le risorse necessarie, onde evitare che<br />

il nuovo impegno vada a detrimento di quelli già in essere.<br />

54 È senz’altro vero che gli incentivi in Italia sono più alti se comparati con gi altri Paesi, ma questo è un problema e una<br />

responsabilità di Governo e Parlamento. Come abbiamo visto in precedenza, gli incentivi per l’eolico sono gli stessi delle altre<br />

fonti rinnovabili – solare escluso che finora ne ha avuti di ben più vantaggiosi – e non sono in concorrenza, per cui non esiste<br />

una maggiore generosità verso l’eolico o la possibilità che si sottraggano risorse.<br />

55 A questo proposito, si vedano, ad esempio, gli articoli comparsi nell’ultimo anno su grandi quotidiani nazionali come Il<br />

Sole 24 Ore (Amadore, 2010; Galullo, 2010; Giliberto e Rendina, 2011), Il Messaggero (Cirillo, 2010a/b/c/d/e), La Repubblica<br />

(Casacci, 2010a; Pirani, 2010, 2011) e Il Corriere della Sera (Rizzo, 2011). Si veda anche la puntata dedicata all’eolico del programma<br />

televisivo Report di RAI 3 del 28 novembre 2010.<br />

66


6. Gli elementi di criticità<br />

criminalità organizzata. A nessuno viene in mente di sostenere che i centri commerciali o la<br />

costruzione di ospedali e strade, o i rifiuti siano settori “intrinsecamente” mafiosi, perché in<br />

alcuni territori sono in mano alle mafie.<br />

Dove c’è attività imprenditoriale c’è sempre il rischio che ci sia infiltrazione da parte di soggetti<br />

malavitosi di vario genere. Si legge da qualche parte che non bisogna fare più le autostrade o<br />

costruire palazzi o fare pizzerie perché c’è la mafia che ci si infila dentro, chiede il pizzo o si<br />

pagano le tangenti No, semmai si deve combattere il rischio, che peraltro nell’eolico c’è, ma<br />

molto marginale, come certificato anche da un recente rapporto sulla legalità di Legambiente.<br />

Premesso che il rischio che la malavita organizzata entri nella realizzazione degli impianti<br />

eolici è di per sé molto basso perchè questi impianti sono realizzati per il tramite del project<br />

financing. Dato che anche la eventuale proprietà del parco non garantisce la banca di poter<br />

poi recuperare il capitale investito, la banca entra in partnership con l’operatore, cioè diventa<br />

suo socio. Quindi, è evidente che vengono fatte delle verifiche antimafia sulle persone fisiche e<br />

sulle società. Ci può essere un problema sulla parte delle opere civili, cioè le piccole costruzioni,<br />

il movimento terra, il cemento, etc. Su questo, noi come associazione abbiamo seguito dei<br />

percorsi che ci sembrava necessario seguire per evitare che anche in questo potesse succedere<br />

qualcosa. Abbiamo fatto dei protocolli da sempre con Legambiente, WWF e Greenpeace sul corretto<br />

inserimento degli impianti nel paesaggio, per la minimizzazione degli impatti. Abbiamo<br />

delle linee guida interne e un codice deontologico che vietano una serie di comportamenti illeciti<br />

o addirittura semplicemente poco corretti. E in più abbiamo sottoscritto il protocollo sulla<br />

legalità Ministro degli Interni-Confindustria e l’abbiamo reso obbligatorio per i nostri associati.<br />

La realtà è che la mafia non ci riesce ad entrare, dato che il project financing è uno schema<br />

che ti blocca dai grossi ricavi. La mafia ha i soldi in contanti. La domanda ultima è – dato che<br />

uno legge questi articoli su Il Sole 24 Ore 56 e sente le accuse del ministro Tremonti all’eolico<br />

– se uno legge che sono stati sequestrati beni pari a 1,5 miliardi di euro al “re dell’eolico”.<br />

Lei ed io, quando abbiamo letto questo articolo abbiamo pensato che Vito Nicastri di Alcamo<br />

(Trapani), il “re dell’eolico”, fosse stato arrestato e gli avessero sequestrato i beni. Lei sa che<br />

Vito Nicastri in questo tipo di operazioni non ha subito nessun tipo di restrizione personale<br />

Non lo sapevo neanche io, ma l’ho viso successivamente e mi sono domandato come fosse<br />

possibile. Se gli hanno sequestrato i beni, fa il mafioso e manco l’arrestano È strana questa<br />

cosa. Dopo di che mi sono chiesto: se gli sono stati sequestrati beni per 1,5 miliardi di euro,<br />

facendo un rapido calcolo, mi sono immaginato che siano stati sequestrati quantomeno tutti i<br />

parchi eolici della Sicilia. Invece, non hanno sequestrato neanche un aerogeneratore. Premesso<br />

che questo non è un imprenditore dell’eolico, né un nostro associato, ma è uno che sviluppava<br />

progetti, lei lo sa a chi li vendeva questi progetti Ad Enel, Edison, E.ON. Quindi, dato che lui<br />

non era proprietario di impianti eolici – e questo è quello che mi ha fatto riflettere e indagare<br />

sulla cosa – ho chiamato Enel, Edison ed E.ON per chiedere loro se gli avevano sequestrato gli<br />

impianti eolici in Sicilia. No, no, no. Perché se fosse stato così Maroni avrebbe detto che Enel,<br />

Edison ed E.ON erano mafiose. Cosa gli hanno sequestrato a questo Vito Nicastri Progetti, cioè<br />

carta. 1,5 miliardi di euro di progetti… Ma su quali basi si arriva a questa valutazione Tutto<br />

questo è significativo del fatto che c’è una attenzione a far uscire le cose sull’eolico in un certo<br />

modo (Simone Togni, Anev).<br />

Per fare chiarezza sulla situazione dell’eolico, Legambiente ha presentato nell’estate<br />

del 2010 un dossier con l’obiettivo di mettere in luce il quadro delle inchieste in corso e la<br />

situazione dell’eolico in Italia. La fotografia dell’eolico che ne esce fuori restituisce un settore<br />

sano, fatto in stragrande maggioranza di imprese serie e di progetti che hanno trovato<br />

56 Il riferimento è agli articoli di Amadore, 2010 e di Galullo, 2010.<br />

67


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

il consenso del territorio, perché ben integrati nel paesaggio. Insomma, i numeri sembrano<br />

smentire le accuse circolate negli ultimi tempi riguardo alla permeabilità di questo settore<br />

rispetto alla criminalità. 57<br />

Legambiente ha voluto mettere in evidenza le sette inchieste, condotte dal 2006 ad oggi, che<br />

riguardano l’eolico. Si tratta di indagini che hanno conosciuto un’accelerazione dal 2009 e<br />

che riguardano in particolare cinque Regioni: Sardegna, Sicilia, Campania, Puglia e Calabria.<br />

Eppure, nonostante la presenza invasiva in queste Regioni delle organizzazioni mafiose e gli<br />

ovvi interessi di chi cerca ogni occasione utile per ottenere illegalmente facili profitti, l’eolico<br />

è di gran lunga il settore economico meno condizionato da fenomeni criminali e d’illegalità in<br />

genere. Basta confrontare questi numeri con quelli del traffico illecito di rifiuti oppure con quelli<br />

del ciclo illegale del cemento. Nel periodo gennaio 2006-luglio 2010 sono state compiute in<br />

Italia 111 operazioni contro i trafficanti di rifiuti con 69 arresti e 360 aziende coinvolte. Vale<br />

la pena sottolineare, peraltro, che delle indagini in corso soltanto una si è già conclusa con<br />

una sentenza di condanna in primo grado – l’operazione Eolo -, mentre diverse non sono ancora<br />

arrivate alla fase del rinvio a giudizio. Inoltre, provvedimenti cautelari scaturiti dalle inchieste,<br />

sequestri, denunce, arresti. Sono quasi sempre stati emessi durante le fasi di progettazione<br />

e autorizzazione, bloccando cioè gli impianti ancora sulla carta, prima che si realizzassero le<br />

opere e che i parchi cominciassero a produrre energia. Il che significa che grazie all’attività degli<br />

investigatori oggi non c’è pressoché traccia di energia <strong>eolica</strong> “illegale” che viaggi nella rete<br />

elettrica (Zanchini, 2010a:60-61).<br />

In secondo luogo, non è vero che chi investe nell’eolico possa beneficiare di fondi europei<br />

o pubblici per la realizzazione degli impianti. Da tempo in Italia gli incentivi vengono<br />

concessi solo per l’energia elettrica effettivamente prodotta. Proprio per questo, se le pale<br />

sono in aree dove non c’è vento e rimangono ferme l’investimento è un totale fallimento che<br />

nessuno farebbe.<br />

Oggi, dal punto di vista degli incentivi l’Italia ha una quadro di norme relativamente avanzato<br />

che è stato costruito dal governo Prodi sul modello prevalente in Europa del conto energia. Questo<br />

modello ha eliminato alcune delle principali distorsioni. In assenza di questo tipo di sistema<br />

di incentivazione era effettivamente possibile che chi decidesse di realizzare, ad esempio, un<br />

parco eolico potesse ottenere delle incentivazioni a prescindere dal fatto che quel parco eolico<br />

immettesse energia in rete. Questo dal 2004 non è più così, nel senso che un impianto eolico è<br />

incentivato nella misura in cui produce elettricità. 58 La favola che continua ad essere raccontata,<br />

che uno possa prendere dei soldi per realizzare l’impianto a prescindere dal fatto che il parco<br />

eolico produca effettivamente della elettricità (cioè che le pale girino), non è stata una favola<br />

in passato (prima del 2004), ma oggi non corrisponde alla realtà dei fatti. Se un mafioso, per<br />

essere chiari, vuole speculare sull’eolico non può farlo se non produce elettricità. La possibilità<br />

che questi incentivi siano fasulli e che non incentivino altro che speculazioni private, oggi non<br />

esiste più (Roberto Della Seta, senatore).<br />

57 Anev ha lanciato un segnale preciso in proposito, firmando il Protocollo di legalità tra Confindustria e Ministero dell’<strong>Ambiente</strong>.<br />

58 Fino al 2004 era possibile avere diritto all’incentivazione sull’energia prodotta, usufruendo al contempo di contributi pubblici<br />

previsti dalla Legge 488/92, destinati alle aree depresse del Paese. Va comunque segnalato che detti finanziamenti erano<br />

erogati solo a fine costruzione e raggiungevano l massimo il 10% del costo documentato dell’investimento. Alcune inchieste<br />

della magistratura indagano sull’eventualità che, per l’installazione di pochi impianti diversi anni fa, siano stati ottenuti illecitamente<br />

tali fondi.<br />

68


6. Gli elementi di criticità<br />

Infine, poiché gli impianti eolici si possono realizzare laddove il vento soffia davvero,<br />

che non è ovunque, il futuro di questa fonte energetica sta nel concorrere insieme alle altre<br />

rinnovabili in un processo di riconversione energetica e non di rappresentare l’alternativa, da<br />

sola, al petrolio.<br />

Certamente, non si devono nascondere errori e sottacere speculazioni da parte di alcuni<br />

imprenditori o l’assenza di regole e controlli nazionali che ha fatto sì che in questi anni in<br />

ogni territorio si è andati in ordine sparso.<br />

Bisogna partire dalla consapevolezza di chi disegna scenari di devastazione per le montagne<br />

dell’Appennino ha gioco facile nell’indicare l’area dei rilievi tra Puglia, Campania e Abruzzo<br />

dove sono concentrati due terzi dei MW installati in Italia. Strutture a volte intrusive rispetto<br />

ai caratteri del paesaggio italiano e spesso realizzate in assenza di qualsiasi programmazione<br />

o regola di inserimento in territori rimasti fino ad oggi ai margini dello <strong>sviluppo</strong>. Impianti<br />

“infelici” (come a Castiglione Messer Marino), o addirittura fermi (come a Collarmele) prestano<br />

il fianco alle polemiche, come prova che l’eolico rappresenti una ferita per il paesaggio e<br />

che si stia diffondendo solo grazie ad incentivi e contributi pubblici senza dare un contributo<br />

energetico significativo. In alcune parti dell’Appennino troviamo anche situazioni paradossali<br />

da stigmatizzare: chilometri di torri differenti per dimensione, colore e forma, che chiudono<br />

completamente i crinali e il paesaggio, realizzati da aziende diverse proprio sui confini amministrativi<br />

dei comuni (Zanchini, 2004:162).<br />

Rimane un elemento distorsivo che è la tendenza, l’inflazione della figura dell’intermediario,<br />

di chi non avendo la vocazione poi a gestire l’impianto, producendo elettricità, ricopre semplicemente<br />

il ruolo dello “sviluppatore”, di attraversare tutte le fasi dell’iter autorizzato, per poi<br />

consegnare il progetto autorizzato chiavi in mano a chi poi lo deve concretamente realizzare e<br />

gestire. Ora, di per sé, questa è una figura che potrebbe anche starci in un sistema efficiente<br />

e trasparente. Certamente, in Italia, e soprattutto nel Mezzogiorno, lo spazio di questo tipo di<br />

azione è molto grande e ogni tanto si presta anche a degenerazioni. Dal punto di vista legislativo/normativo<br />

un intervento lo vedrei soprattutto in questa direzione, nel limitare lo spazio,<br />

il peso di questa figura, o se non altro di renderla il più possibile trasparente e controllata.<br />

Però, questo riguarda l’eolico, ma anche tutti gli altri settori delle politiche ambientali, come<br />

ad esempio lo smaltimento dei rifiuti, dove c’è un problema di intermediazione che spesso<br />

diventa il modo per riuscire e sottrarsi ai controlli democratici di trasparenza (Roberto Della<br />

Seta, senatore).<br />

Quello che ha fatto male all’eolico è che tanti senza avere le competenze tecniche e finanziarie<br />

per fare progetti, chiedevano l’autorizzazione e poi se la vendevano. Questo ha creato un<br />

mercato delle autorizzazioni dove poi ci si è infilata anche la camorra, la mafia, la malavita, e<br />

sono venuti fuori dei parchi eolici che avevano come “peccato originale” quello di essere stati<br />

avviati da gente assolutamente incompetente, purissimi speculatori….. Forse bisognerebbe<br />

combattere questi fenomeni più che l’eolico. In Italia stanno riuscendo a fermare l’eolico, ma<br />

la malavita va avanti lo stesso, trova altre strade, altri investimenti. Anche noi abbiamo delle<br />

responsabilità. Se in Italia ci fossero delle regole chiare non ci sarebbe la necessità di prendere<br />

delle scorciatoie, invece non è così. Ci vogliono 4–5 anni per ottenere un autorizzazione, quindi<br />

è chiaro che qualcuno viene “tentato” (Schiapparelli, REpower).<br />

Secondo gli ambientalisti più favorevoli allo <strong>sviluppo</strong> delle rinnovabili, le criticità e le<br />

distorsioni che si stanno palesando nei territori sono la risultante della mancanza di regole<br />

semplici e valide per tutti che ha fatto impazzire il mercato:<br />

69


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

• favorendo le figure di intermediari, gli “sviluppatori”, primo luogo di infiltrazione della<br />

corruzione e della moltiplicazione delle offerte; 59<br />

• rendendo deboli i Comuni nella trattativa con le aziende proponenti, così che hanno<br />

trovato cittadinanza progetti insulsi e dannosi;<br />

• costruendo delle procedure estremamente complesse con poteri tutti centralizzati presso<br />

i ministeri per l’eolico offshore.<br />

Eventuali infiltrazioni criminali e comportamenti speculativi trovano origine proprio<br />

nell’interstizio di arbitrarietà e incertezza che deriva dalla continua stratificazione normativa<br />

e dall’onerosità e discrezionalità delle procedure.<br />

Da più parti viene avanzato il sospetto che dietro le polemiche e le deformazioni informative<br />

sull’eolico e sulle altre rinnovabili da parte dei mass-media ci siano dei precisi<br />

interessi – i settori energetici concorrenti, a cominciare dai petrolieri e dai nuclearisti – che<br />

si avvantaggiano dalla confusione creata, mentre si diffonde un atteggiamento secondo cui<br />

non ci sono fonti energetiche buone o cattive, ma tutte hanno qualche scheletro nell’armadio<br />

da nascondere.<br />

A leggere le prime pagine dei giornali o i commenti autorevoli che accompagnano le inchieste<br />

della magistratura, sembra quasi che oggi in Italia l’installazione di torri eoliche sia in cima alle<br />

attività criminali condotte in danno dell’ambiente. Non è così. Questa distorsione della realtà<br />

è il frutto, da un lato, di un meccanismo di comunicazione comprensibile: l’energia <strong>eolica</strong>, rinnovabile<br />

pulita, fa notizia quando attira affari sporchi (un po’ sulla falsariga del “padrone che<br />

morde i cane”). E dietro la rappresentazione di una “battaglia sull’eolico” ci sono spesso ragioni<br />

di interesse o di ricerca di visibilità mediatici evidenti in alcuni protagonisti. Ma, dall’altro,<br />

si avverte il rischio di una strumentalizzazione che, partendo da fatti ed episodi anche gravi,<br />

su cui la magistratura e le forze dell’ordine sono impegnate a fare la massima chiarezza, arrivi<br />

a mettere sotto accusa, in maniera del tutto immotivata, una fonte di energia che già rappresenta<br />

(e ancora meglio potrà farlo in futuro) una delle risposte più efficaci a disposizione del<br />

nostro Paese, per rendere più moderno e pulito il proprio sistema energetico, nonché rispettare<br />

gli obiettivi fissati dall’Unione Europea nella lotta ai cambiamenti climatici. … Dietro queste<br />

posizioni, a spiegare l’incedibile spazio mediatico che spesso trovano, ci sono anche i solidi interessi<br />

di chi ha da guadagnare dalle polemiche intorno alle rinnovabili e punta ad evidenziarne<br />

i limiti. E che oggi guarda con preoccupazione come questo processo stia dando risultati reali<br />

e rischi di mandare in crisi la campagna mediatica sui vantaggi dell’atomo o del carbone per le<br />

famiglie italiane (Zanchini, 201:62, 63).<br />

La diffusione di false rappresentazioni dell’energia <strong>eolica</strong>, basate su insinuazioni, allarmismi<br />

e la ricerca esasperata della polemica ad ogni costo, contribuisce talvolta ad alimentare<br />

movimenti di opposizione, piuttosto che stimolare il dialogo e ricercare il confronto<br />

tra favorevoli e contrari, precludendo la ricerca di soluzioni soddisfacenti o per lo meno<br />

accettabili dalle popolazioni coinvolte. Il problema dei gruppi di persone e dei comitati<br />

locali che si oppongono all’installazione di parchi eolici è, quindi, riconducibile, in parte,<br />

59 Uno dei principali bersagli delle polemiche contro l’eolico è la figura, considerata anomala (ma, in realtà, tipica del capitalismo<br />

relazionale all’italiana, tradizionalmente povero di capitali e di specifiche competenze tecnologiche ed innovative),<br />

dello sviluppatore, ovvero quel soggetto che, spesso senza alcuna competenza specifica, ma grazie alla propria conoscenze del<br />

territorio, “cura” i rapporti con il territorio stesso, propone progetti pur non avendo le risorse necessarie, definisce accordi con<br />

le amministrazioni locali e, solo alla fine, cede l’affare, il progetto autorizzato, alle imprese vere e proprie che realizzano l’impianto.<br />

Gli sviluppatori sono considerati i maggiori responsabili della bolla speculativa che negli ultimi anni ha investito l’eolico<br />

(ma anche il fotovoltaico) che ha fatto sì che a fronte di un potenziale eolico stimato dal governo in 16 mila MW al 2020, siano<br />

state presentate domande di autorizzazione di impianti eolici per una potenza complessiva di 94 mila MW. Moltissime di queste<br />

domande si sovrappongono, per cui per uno stesso territorio/sito/crinale sono stati presentati più progetti di impianti. È chiaro<br />

a tutti, quindi, che solo una piccola parte di questi progetti potrà essere effettivamente autorizzata dalle Regioni.<br />

70


6. Gli elementi di criticità<br />

alla confusione determinata dalla mancanza di conoscenza specifica del settore e di studi<br />

approfonditi sull’impatto <strong>locale</strong> di una centrale elettrica <strong>eolica</strong>. Questo aspetto rappresenta<br />

un passaggio molto delicato nell’acquisizione del consenso generale all’iniziativa nella fase<br />

di pianificazione. Per questo occorre una maggiore collaborazione tra enti governativi, pubbliche<br />

amministrazioni, associazioni ambientaliste ed aziende del settore per promuovere una<br />

cultura dell’energia da fonte rinnovabile in generale e dal vento in particolare, che consenta<br />

di stabilire un dialogo sereno tra gli operatori del settore e la società civile. Occorre uno<br />

sforzo da parte di tutti i soggetti interessati per far accettare quella che, allo stato attuale,<br />

è la fonte rinnovabile più matura che già consente di evitare di bruciare ingenti quantità di<br />

combustibili fossili, a tutto vantaggio dell’ambiente e della salute umana.<br />

71


7. Impatto ambientale e paesaggistico<br />

Se da un parte è ormai assodato che gli impianti eolici sono, al momento, insieme a quelli<br />

fotovoltaici, gli impianti a fonti rinnovabili che possono sostituire quote significative di carico<br />

elettrico, abitualmente prodotto con fonti fossili, con una importante quota di emissioni<br />

inquinanti evitate (anidride carbonica, anidride solforosa, ossidi di azoto), 60 dall’altra, tali<br />

impianti producono un impatto ambientale e paesaggistico che può essere più o meno evidente.<br />

Qualsiasi intervento dell’uomo sull’ambiente determina, infatti, un impatto.<br />

Si riconoscono le seguenti tipologie di impatto paesaggistico/ambientale:<br />

• impatto visivo;<br />

• impatto su flora, fauna e avifauna;<br />

• impatto acustico ed elettromagnetico.<br />

L’inserimento in un contesto paesaggistico di un impianto eolico, sia esso di tipo industriale<br />

o di tipo mini o microeolico, determina certamente un impatto che a livello percettivo<br />

può risultare più o meno significativo in funzione della sensibilità del soggetto che subisce<br />

nel proprio habitat l’installazione delle pale eoliche ed in funzione della qualità oggettiva<br />

dell’inserimento. Molte persone definiscono i moderni aerogeneratori come valore aggiunto<br />

ai propri territori grazie alla loro eleganza e bellezza, rappresentando anche il simbolo di una<br />

vita di maggiore qualità ambientale (testimonianza ne è il fatto che sempre più spesso anche<br />

nelle pubblicità si scelgano come paesaggio proprio le centrali eoliche).<br />

L’eolico lo si può vedere non come un tema infrastrutturale, ma culturale. L’eolico è un “paesaggio<br />

culturale” come le colline della Toscana. Paesaggi che non sono naturali, ma culturali,<br />

costruiti, e questo è un punto di vista interessante. Chi si oppone all’eolico, molto spesso,<br />

“sta fuori” al territorio, sono dei “cittadini” che vogliono vedere un paesaggio, ma che non si<br />

occupano della crescita sociale di quei luoghi. Sono luoghi spopolati, assolutamente depressi,<br />

quindi l’opposizione all’eolico è una critica snobistica, non viene da chi vive il territorio (Daniela<br />

Moderini, architetto del paesaggio).<br />

60 Per ogni kWh elettrico non prodotto dal mix di centrali elettriche convenzionali, ma da impianti eolici, viene evitata<br />

l’emissione in aria in Italia di circa 0,51 kg di anidride carbonica e di altri agenti inquinanti. Altri benefici fondamentali dell’eolico<br />

sono:<br />

• la riduzione della dipendenza dall’estero;<br />

• la diversificazione delle fonti energetiche;<br />

• la regionalizzazione della produzione.<br />

73


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Ci sono realtà in cui i parchi eolici sono meta di visite turistiche e didattiche e altrove<br />

dove una ferma opposizione ha bloccato la installazione degli impianti. Generalmente, le<br />

maggiori resistenze alla localizzazioni dei parchi eolici sono esercitate da chi ritiene che<br />

questi impianti costituiscano elementi detrattori del paesaggio, un’insopportabile intrusione.<br />

Chi mette al centro delle propri preoccupazioni il paesaggio così com’è (a volte bellissimo,<br />

altre con minor pregio estetico) è preoccupato dalle alterazioni del territorio. Non serve far<br />

osservare che altre intrusioni sono avvenute e avvengono senza che si noti un altrettanto<br />

organizzato e diffuso dissenso. Ci sono in Italia 55.000 piloni di elettrodotti, per non parlare<br />

delle migliaia di antenne televisive o per la telefonia. … Il nostro territorio presenta un abusivismo<br />

edilizio che grida vendetta, parabole e condizionatori d’aria sono appesi ovunque….<br />

(Silvestrini, 2004:24).<br />

Gli impianti eolici, dovendo essere collocati in siti ad elevata ventosità, sono, per forza<br />

di cose, ben visibili e rappresentano un segno innovativo rispetto ai caratteri di molti paesaggi<br />

e per questo possono non piacere. Il cuore della polemica e della resistenza nei confronti<br />

degli impianti eolici è l’estetica. Chi si batte contro l’eolico lo fa innanzitutto perché<br />

ritiene quegli impianti un rischio di trasformazione irreversibile e in negativo del paesaggio<br />

e del territorio agricolo.<br />

I conflitti creati dall’installazione delle centrali eoliche sono generati da una sostanziale incapacità<br />

di interpretare il paesaggio come un elemento dinamico nel quale identificarsi attraverso<br />

una consapevole costruzione di nuovi simboli. Si è di fronte ad una sorta di terrore dell’ignoto,<br />

del non conosciuto, la paura dell’errore che conduce all’immobilità (Battistella, 2010:216).<br />

L’impatto paesaggistico è uno degli ostacoli maggiori da superare visto il grande patrimonio<br />

naturale, storico ed artistico presente in Italia che, a detta di alcune associazioni<br />

ambientaliste, renderebbe inadeguata l’installazione delle centrali eoliche. 61 L’eolico è una<br />

tecnologia che va utilizzata in altri paesi, perché l’Italia è troppo pregiata e il contributo<br />

energetico è limitato; oppure, al contrario, che si può utilizzare, ma in quantità limitate e,<br />

quindi, con una produzione marginale. 62<br />

Vale davvero la pena imbracciare le armi contro l’eolico, come qualche novello Don Chisciotte<br />

propone, per salvare il paesaggio italiano dai pericoli portati da questi “smisurati giganti” 63<br />

61 Tra le associazioni che si battono contro “l’eolico selvaggio” si segnalano: il Comitato Nazionale per il Paesaggio (www.<br />

comitatonazionalepaesaggio.it), Via dal Vento (www.viadalvento.org), Italia Nostra (www.italianostra.org), Amici della Terra<br />

(www.amicidellaterra.it), Mountain Wilderness, LIPU (www.lipu.it), il blog www.infiltrato.it. Contro i parchi eolici industriali si<br />

sono dichiarate anche la <strong>Coldiretti</strong> e il CAI - Club Alpino Italiano (CAI, 2008; Salsa, 2010).<br />

62 Inoltre, questi oppositori dell’eolico ritengono che il meccanismo di incentivazione delle rinnovabili sia profondamente<br />

sbilanciato a favore dell’eolico e tale squilibrio toglie spazio alle altre rinnovabili. Secondo loro, l’Italia può e deve imboccare<br />

una strada diversa: rifiutare l’eolico e puntare decisamente sul solare (ma non sul fotovoltaico a terra) e sulle fonti rinnovabili<br />

termiche; tale scelta, insieme ad un maggiore risparmio ed efficientamento energetico, dovrebbe poter consentire ugualmente<br />

di raggiungere gli obiettivi nazionali di riduzioni delle emissioni e di diversificazione dell’approvvigionamento energetico. La<br />

posizione più estrema è quella di Carlo Ripa di Meana, presidente del Comitato Nazionale per il Paesaggio che nega il problema<br />

dell’accelerazione dei cambiamenti climatici, sostenendo che c’è troppo allarmismo, e preferisce il nucleare all’eolico (www.<br />

comitatonazionalepaesaggio.it).<br />

63 Il riferimento è al Don Chisciotte della Mancia di Miguel Cervantes, laddove (Parte I, VIII) il testo recita: “La fortuna<br />

guida le nostre cose meglio di quel che potremmo desiderare; perché guarda lì amico Sancho Panza, dove si scorgono trenta,<br />

o poco più, smisurati giganti con i quali mi propongo di venire a battaglia e di ucciderli tutti, in modo che con le loro spoglie<br />

cominceremo ad arricchirci, che questa è un buona guerra, ed è rendere un gran servigio a Dio togliere questa mala semenza<br />

dalla faccia della terra.” “Che giganti” domandò Sancho Panza. “Quelli che vedi lì” rispose il suo padrone ”dalle lunghe braccia,<br />

che alcuni possono averle di quasi due leghe.” “Badi signoria vostra” replicò Sancho “che quelli che si vedono là non son giganti,<br />

ma mulini a vento, e ciò che in essi sembrano braccia solo le pale che, girate dal vento, fanno andare la pietra del mulino.” “È<br />

74


7. Impatto ambientale e paesaggistico<br />

Pochi temi come l’eolico sollecitano discussioni, dividono i giudizi e muovono passioni in<br />

uno scontro che raccoglie grande attenzione da parte dei media. Ad alcuni secoli di distanza,<br />

l’intrusione nel paesaggio di una delle immagini più efficaci del fascino e della modernità del<br />

nuovo scenario delle fonti rinnovabili (basta guardare il largo uso che si fa delle pale eoliche<br />

nelle campagne pubblicitarie) provoca discussioni confuse e a volte violente. Diventa dunque<br />

importante capire le ragioni profonde dietro questa situazione, i motivi per cui all’ampio consenso<br />

con cui i cittadini guardano allo <strong>sviluppo</strong> delle fonti rinnovabili seguano poi convulse<br />

polemiche sugli interventi. Perché dietro la rappresentazione di una “battaglia sull’eolico” non<br />

ci sono solo ragioni di interesse o di visibilità mediatici – che pure sono evidenti in alcuni<br />

protagonisti – ma anche questioni ineludibili che occorre affrontare se si vuole coltivare una<br />

prospettiva di cambiamento del modello energetico e di <strong>sviluppo</strong> incentrato sulle fonti rinnovabili.<br />

Una prima questione riguarda l’Italia e il tipo di discussione che si svolge nel nostro Paese<br />

sull’eolico. … Contro i mulini a vento si sono organizzati comitati, arruolati testimonial famosi,<br />

promossi referendum comunali. L’eolico viene accusato di sottrarre risorse alle altre fonti<br />

rinnovabili, in particolare al solare, di dare un apporto energetico inutile a fronte di incentivi<br />

milionari, e da qualcuno addirittura si rappresentare il maggiore pericolo per il paesaggio<br />

italiano. Eppure se si vuole restare nell’ambito di una discussione che guardi al rapporto con<br />

il territorio, gli impianti eolici installati in Italia interessano una porzione di spazio limitata<br />

(meno del 3% dei Comuni). I numeri e gli impatti non sono poi lontanamente paragonabili<br />

con quelli delle cave (18 mila tra attive e abbandonate) o con quelli che ogni anno determina<br />

nel nostro Paese la piaga dell’abusivismo edilizio (30 mila abitazioni realizzate ogni anno).<br />

Perché allora nei confronti dell’eolico si levano maggiori polemiche e una apparente più forte<br />

indignazione … Una seconda riflessione riguarda in particolare l’ambientalismo che sembra<br />

vivere un insanabile conflitto tra due ragioni fondanti del suo messaggio: da un lato la tutela<br />

del territorio e dall’altro la ricerca di un diverso modello energetico per salvare il pianeta dai<br />

cambiamenti climatici. Proprio nel momento in cui le politiche pubbliche e gli investimenti<br />

privati vanno nella direzione, per tanti anni sospirata, delle fonti rinnovabili si evidenzia una<br />

fragilità della spinta ambientalista proprio intorno alla tecnologia in maggiore diffusione<br />

(Zanchini, 2010a:3-4).<br />

Altre associazioni del mondo ambientalista, 64 invece, considerano centrali le preoccupazioni<br />

per le alterazioni climatiche che rischiano di devastare il pianeta nel corso dei<br />

prossimi decenni e, di conseguenza, ritengono decisivo il contributo dell’eolico e delle<br />

altre fonti rinnovabili per la costruzione di un diverso modello energetico. Considerano le<br />

energie rinnovabili come strumento per contrastare i cambiamenti climatici e, quindi, sono<br />

aperte verso l’eolico, pur sostenendo con forza la necessità di escludere l’installazione degli<br />

impianti dai parchi e riserve nazionali e regionali, dalle aree della Rete Natura 2000, dalle<br />

rotte di migrazione degli uccelli e così via. Queste posizioni si coniugano con l’impegno<br />

da parte di queste associazioni affinché a livello <strong>locale</strong> lo <strong>sviluppo</strong> delle energie rinnovabili<br />

avvenga in modo corretto, attraverso scelte in armonia con il territorio, nel rispetto<br />

del paesaggio, della flora, dell’avifauna e fauna e consenta di innescare forme positive di<br />

<strong>sviluppo</strong> sostenibile.<br />

chiaro” disse don Chisciotte “che non te ne intendi di avventure; quelli sono giganti; e se hai paura togliti da qui e mettiti a<br />

pregare, mente io combatterò con essi un’aspra e impari battaglia”.<br />

64 Tra le associazioni che esprimono posizioni favorevoli all’eolico si segnalano: Greenpeace, Legambiente e WWF.<br />

75


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Il concetto di paesaggio<br />

Attraverso l’evoluzione giurisprudenziale la nozione di paesaggio ha subito rilevanti modifiche, passando<br />

da un’originaria concezione meramente culturale ed estetica per giungere ad una elaborazione<br />

più complessa, che include elementi naturali (foreste, coste, laghi, fiumi, etc.) e le relazioni con le<br />

comunità locali.<br />

A livello europeo, il paesaggio è così definito: “Il paesaggio designa una determinata parte di territorio,<br />

così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali<br />

e/o umani e dalle loro interrelazioni” (art. 1 della Convenzione Europea sul Paesaggio, sottoscritta<br />

a Firenze il 20 ottobre del 2000). La connotazione di questo concetto è quindi chiaramente, ed in<br />

maniera assai circonstanziata, legata al paesaggio come prodotto dell’interpretazione che la specie<br />

umana ne può dare e che essa stessa ha contribuito a modellare. La Convenzione Europea sul Paesaggio<br />

impegna gli Stati firmatari ad adottare politiche volte alla promozione e alla tutela della qualità<br />

del paesaggio estesa all’intero territorio nazionale, coinvolgendo le popolazioni locali nei processi<br />

decisionali ed attuativi. Come ampiamente argomentato dalla letteratura di settore, la questione del<br />

paesaggio è affermazione del diritto delle popolazioni alla qualità di tutti i luoghi di vita, sia straordinari<br />

sia ordinari, attraverso la tutela/costruzione della loro identità storica e culturale.<br />

L’art 9, comma 2 della Costituzione italiana recita: La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio<br />

storico e artistico della Nazione. Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, approvato con D.lgs<br />

42/2004, è oggi la legge fondamentale di tutela. Beni culturali e beni paesaggistici costituiscono nel<br />

Codice un insieme denominato “patrimonio culturale”, con espresso riferimento all’art. 9 Cost: ad esso<br />

riferiscono le definizioni di tutela e valorizzazione, due aspetti che “concorrono a preservare la memoria<br />

della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo <strong>sviluppo</strong> della cultura”.<br />

In un territorio come l’Italia, che conosce la presenza umana da decine di migliaia di anni, l’evoluzione<br />

del paesaggio non può assolutamente prescindere dall’opera dell’uomo. Masserie fortificate,<br />

cascinali isolati, abbazie e monasteri, torri costiere, castelli e fortezze, stazioni di posta e ponti,<br />

stalle e fienili, malghe e masi, baite e stazzi, blockhaus contro i briganti ottocenteschi e ricoveri per<br />

il bestiame, muretti a secco e basolati, silos e capanne votive, mulini e fornaci, rappresentano fli<br />

immobili e multiformi sigilli creati dall’uomo per marcare il suo dominio sul territorio e sull’ambiente<br />

naturale, spesso inospitale e temuto. Questo almeno fino ad un secolo fa, prima che l’uso del cemento<br />

armato e di altre tecniche costruttive moderne si diffondesse con imperiosa invadenza.<br />

La nostra posizione sull’eolico discende da quella del WWF internazionale che ha fissato una<br />

mission del WWF che è legata soprattutto a due grandi tematiche che sono:<br />

• lotta ai cambiamenti climatici;<br />

• lotta alla perdita di biodiversità.<br />

Queste sono le due grandi emergenze ambientali che vengono a definire i nostri programmi. Il<br />

tema della produzione di energia è incluso nel tema della lotta ai cambiamenti climatici, anche<br />

se tangenzialmente può avere una ricaduta sul tema della lotta alla perdita di biodiversità. In<br />

generale, la produzione di energia da petrolio, con la ricaduta della contaminazione può generare<br />

poi una ricaduta anche sulla produttività dei sistemi e quindi una perdita di servizi ai sistemi<br />

stessi e una conseguente perdita di biodiveristà. Sappiamo bene che, se non si frena l’eccesso di<br />

velocità verso i cambiamenti climatici, poi quello che noi vogliamo tutelare, ovvero la biodiversità,<br />

è destinata a scomparire, perché cambia proprio il ciclo della vita nel nostro pianeta. Noi,<br />

in questa posizione, riteniamo che l’eolico sia una fonte rinnovabile e come tale debba essere<br />

promossa e sostenuta. Ovviamente, quella italiana non è una realtà vergine e occorre disciplinare<br />

questo settore, quindi, la costruzione, la manutenzione, e lo smontaggio, e così via, ma<br />

anche il posizionamento degli aerogeneratori. L’eolico funziona se c’è vento, per cui sappiamo<br />

benissimo che in Italia si può fare solo in alcune parti. Ora, esiste anche un uso concomitante<br />

76


7. Impatto ambientale e paesaggistico<br />

del vento da parte di alcune specie migratorie. Questo è un elemento che per noi aggiunge delle<br />

difficoltà, perché l’Italia è un paese di transito per alcune specie di volatili. La migrazione già<br />

di per sé comporta rilevanti perdite per lo stress della stessa e per cause naturali, poi ci sono<br />

anche i cacciatori che li aspettano al varco. Il problema che temiamo è che il posizionamento<br />

delle torri eoliche venga a turbare questo processo naturale a due livelli:<br />

• in quanto si aggiunge come minaccia suppletiva rispetto a quelle che ho già citato;<br />

• che addirittura possa turbare il flusso migratorio in quanto tale e quindi costringere i migratori<br />

ad evitare certe parti del territorio.<br />

Per questi motivi, noi abbiamo sviluppato un documento con delle linee guida, in cui abbiamo<br />

indicato quali potrebbero essere i criteri con cui andare ad autorizzare gli impianti eolici in<br />

Italia. Mettendo dei paletti, dicendo no in certe parti, soprattutto in quelle che sono tutelate<br />

da un vincolo che non è di natura paesaggistica, ma proprio legata a classificazioni di aree<br />

naturali, come ad esempio i SIC e soprattutto le ZPS, che sono quelle fatte grazie alla direttiva<br />

comunitaria 407/79/CE sulle rotte migratorie. Come c’è la mappa del vento, c’è la mappa delle<br />

grandi rotte migratorie. In sostanza, noi vogliamo inquadrare il tema dell’eolico da un punto<br />

di vista strettamente scientifico, perché non siamo i tutori del paesaggio. Il paesaggio è qualcosa<br />

di antropico ed è anche un po’ soggettivo, può piacere o no. Ha un valore attributivo e,<br />

in quanto valore, ognuno li vede soggettivamente. Quindi, non ci interessa tanto il paesaggio,<br />

perché non è possibile legittimarlo su una base e in un ambito prettamente scientifico, anche se<br />

come concetto può essere utile quando per paesaggio si intende una vocazione (Stefano Leoni,<br />

presidente WWF Italia).<br />

Secondo queste associazioni, in Italia non si corre il rischio di intaccare la naturalità dei<br />

siti per il semplice fatto che gli attuali paesaggi sono stati costruiti dall’uomo nel corso dei<br />

secoli, trasformazione dopo trasformazione. Gli stessi che si scandalizzano per una fila di torri<br />

eoliche nulla dicono su altre ben più pesanti trasformazioni, come i centri commerciali che<br />

guidano l’urbanizzazione selvaggia consumando nuovo suolo, o le cave, che punteggiano il<br />

Bel Paese; tutti interventi irreversibili. Inoltre, la bellezza del paesaggio è un fattore storico<br />

e con forti elementi di soggettività, da cui è difficile evadere. 65 Gli impianti eolici, se ben inseriti,<br />

possono rappresentare un’ulteriore evoluzione del paesaggio italiano, perché l’identità<br />

non si dà una volta per tutte, ma continuamente si evolve.<br />

Noi come Greenpeace siamo assolutamente a favore dell’eolico. Alcune associazioni ambientaliste<br />

la pensano diversamente da noi, mentre noi crediamo che l’eolico sia necessario per<br />

raggiungere gli obiettivi per il 2020. Crediamo che l’eolico comporti una alterazione paesaggistica<br />

accettabile rispetto agli obiettivi che ci si propone e anche paragonato a quegli impianti<br />

ad energia fossile che sono stati realizzati anche di recente che erano e sono dannosi sia per<br />

l’impatto paesaggistico sia per la salute umana, l’eolico ha quantomeno il pregio di non essere<br />

dannoso per la salute. Non crediamo che l’eolico cambi la visibilità e la bellezza del paesaggio,<br />

anzi, dal nostro punto di vista, l’eolico spesso migliora pure il paesaggio…. Poi, siamo d’accordo<br />

che ci sia bisogno di una regolamentazione, ad esempio, delle aree dove vietare l’installazione<br />

di impianti eolici: i parchi nazionali, le aree protette, i SIC, le ZPS, le montagne sopra i<br />

1.600 metri (Domenico Belli, Greenpeace).<br />

La grande confusione in ambito normativo che ha caratterizzato, e in parte ancora caratterizza,<br />

le procedure di approvazione degli impianti eolici ha fatto sì che molti di questi<br />

65 Basti, per tutti, l’esempio della Tour Eiffel, ferocemente contestata al momento della sua costruzione per l’Esposizione<br />

Universale del 1900, tanto che per mettere a tacere le polemiche si decise di smontarla alla fine dell’evento; dopo 110 anni la<br />

Tour Eiffel è lì, simbolo di Parigi, segno indelebile dello skyline parigino.<br />

77


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

venissero costruiti in assenza di un’appropriata valutazione di impatto ambientale e con una<br />

forte disattenzione alla progettazione e all’estetica del paesaggio, con la conseguenza di<br />

consolidare le resistenze esercitate oggi nei confronti di tali impianti. Ad esempio, l’assenza<br />

di regole per una corretta ed efficace programmazione territoriale ha portato a realizzare in<br />

alcune parti dell’Appennino tra Puglia, Campania e Molise chilometri di torri differenti per<br />

dimensione, colore e forma, che chiudono completamente i crinali e il paesaggio, realizzati<br />

da aziende diverse proprio sui confini amministrativi dei Comuni.<br />

Da quando sono stati introdotti gli incentivi volti a favorire lo <strong>sviluppo</strong> delle energie rinnovabili,<br />

e in particolare quelle da fonte <strong>eolica</strong>, ci siamo trovati di fronte a una serie frammentata di<br />

aggressioni al territorio agricolo, in particolare nelle regioni del Sud. Vittima di questo processo<br />

è rimasto il territorio agricolo. Dico vittima, perché noi abbiamo registrato una sufficiente<br />

arroganza e prepotenza di tutte le imprese che in prevalenza investono nell’energia <strong>eolica</strong>. Ci<br />

sono importanti soggetti che hanno ritenuto di occupare questo spazio di mercato garantito<br />

senza monitorare eventuali impatti o conseguenze che l’economia <strong>locale</strong> ne poteva subire. Dico<br />

l’economia <strong>locale</strong>, perché il territorio agricolo, cioè dove si svolge la vita rurale, è sicuramente<br />

complesso, è anche un tessuto sociale e oggi molte imprese investono anche nell’economia<br />

dei servizi. Inoltre, la qualità dei luoghi costituisce un elemento di competitività: c’è la logica<br />

della multifunzionalità, c’è l’ospitalità, l’esplorazione del territorio da parte di flussi di cittadini<br />

consumatori che nei loro viaggi e nelle soste conoscono il territorio e acquistano prodotti. Per<br />

cui, in alcune aree la visione di un ambiente conservato, oggetto di una manutenzione molto<br />

attenta da parte delle imprese, si è trovato di fronte a progetti di inserimento diffuso, molto<br />

spesso irrazionale – irrazionale, perché magari alcuni comuni assentivano alla iniziativa e altri<br />

ai confini la escludevano – e, quindi, la perimetrazione dei parchi eolici è risultata asimmetrica<br />

rispetto ad uno svolgimento ponderato. Questo ha determinato una serie notevole di frizioni.<br />

Abbiamo partecipato, organizzato e condiviso molte iniziative sul territorio di lettura critica di<br />

questi interventi (Stefano Masini, <strong>Coldiretti</strong>).<br />

L’attuale tendenza di semplificare le procedure – ribadita dall’emanazione delle Linee<br />

Guida nazionali nel 2010 - demanda alle Regioni o ad altri soggetti istituzionali (le Province)<br />

designati da queste, la responsabilità delle autorizzazioni per la costruzione e l’esercizio degli<br />

impianti di produzione di energia rinnovabile. Ma, per essere efficace, questa semplificazione<br />

delle procedure autorizzative dovrebbe essere accompagnata dalla previsione di:<br />

• modalità di gestione degli eventuali conflitti emergenti, ogni qual volta si intenda<br />

costruire un nuovo impianto, attraverso il coinvolgimento attivo degli abitanti dei luoghi<br />

che si vanno a trasformare con l’inserimento delle centrali eoliche;<br />

• predisposizione di uno specifico progetto architettonico e paesaggistico, in grado di<br />

determinare una trasformazione di qualità del paesaggio. 66<br />

Le Linee Guida sono fatte da persone che non hanno mai fatto un progetto. Per ogni luogo devi<br />

“inventarti” un procedimento diverso. Noi abbiamo lavorato sui Pirenei, in Puglia, in Romania,<br />

in Armenia, però pur avendo fatto decine di progetti non c’è un criterio. Anzi, c’è un criterio<br />

che è quello di elaborare un progetto fatto coerentemente con il territorio. Devi prima saperlo<br />

66 A questo proposito, si veda più avanti e l’Allegato 4 Impianti eolici: elementi per il corretto inserimento nel paesaggio e sul<br />

territorio delle Line guida nazionali. Nel dicembre 2006 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC) ha pubblicato delle<br />

linee guida per l’inserimento di impianti eolici nel paesaggio, in risposta alla ratifica da parte del governo della Convenzione<br />

europea del paesaggio, firmata il 14 gennaio 2006 (si veda il manuale Gli impianti eolici: suggerimenti per la progettazione e la<br />

valutazione paesaggistica che fa parte della collana Linee guida per l’inserimento paesaggistico degli interventi di trasformazione<br />

territoriale, a cura della Direzione generale per i beni architettonici e paesaggistici del MiBAC ed è frutto di un lavoro congiunto<br />

tra il MiBAC e il Politecnico di Milano).<br />

78


7. Impatto ambientale e paesaggistico<br />

“leggere” e sono tutti diversi e questo è il problema. Quindi la generalizzazione diventa sterile<br />

(Daniela Moderini, architetto del paesaggio).<br />

Lo <strong>sviluppo</strong> dell’energia <strong>eolica</strong> può innescare processi virtuosi se i progetti sono capaci<br />

di legarsi alle risorse locali, se risultano attenti ai problemi del paesaggio e delle attività<br />

economiche. Serve per questo una chiave di attenzione <strong>locale</strong> capace si ragionare sui territori<br />

e le prospettive di riqualificazione, ma anche una forte attenzione al consenso, alla diffusione<br />

di informazioni e di partecipazione attiva alle scelte.<br />

Per avere un parco, e arrivare alla sua gestione, è importante avere l’accettazione sociale. Gestire<br />

un parco nella prospettiva di essere presente per 20–25 anni su quel territorio, significa<br />

che sia vissuto bene dalla popolazione. Nel nostro caso, il fatto di avere una filiera che parte<br />

dallo scouting e dalla misurazione anemometrica dei siti e arriva alla gestione del parco, fa sì<br />

che ci poniamo non da “speculatori”, ma come “attori” che iniziano a vivere un pezzo di storia<br />

del territorio. Ci siamo resi conto che è importante calarsi nel territorio e, di conseguenza,<br />

puntiamo a sviluppare l’eolico cercando di capire quali sono le esigenze del territorio, anche in<br />

funzione di quali opere di compensazione, mitigazione e di valorizzazione territoriale c’è bisogno.<br />

Quindi non solo l’eolico che porta ricchezza in quanto royalty, prassi normale nel settore,<br />

ma per cercare di portare “valore aggiunto”. Ad esempio, a Stella, 67 ci siamo accorti. Quindi,<br />

abbiamo pensato di fare dei tabelloni per le famiglie, perché ci siamo accorti frequentando il<br />

sito che lì che il sabato e la domenica era tipico per la gente del paese fare una scampagnata in<br />

quei posti. Altri siti hanno bisogno di altre cose. Il Parco lo cuciamo sulle necessità del paese.<br />

Quindi, là dove si fa eolico è fondamentale cercare di capire qual è esigenza territoriale principale<br />

e, in questo senso, è importante è avere l’appoggio dell’amministrazione <strong>locale</strong>. Alla fine,<br />

i nostri parchi sono effettivamente tra i più produttivi d’Italia, perché abbiamo un interesse<br />

principale e cioè nel fare parchi là dove servono (Giulia Canavero, FERA Srl).<br />

C’è una grossa differenza fra l’energia <strong>eolica</strong> come idea generale e le turbine a vento<br />

come strutture accettabili nel paesaggio. Nei sondaggi realizzati a livello nazionale, le persone<br />

sostengono l’idea generale delle energie rinnovabili e di quella <strong>eolica</strong>. 68 Ma, quando si<br />

passa a progetti concreti per il territorio <strong>locale</strong>, l’accettazione sembra spesso scomparire.<br />

Questo è definito la sindrome del Not in my back yard o, in breve, la sindrome Nimby. 69 La<br />

teoria di base è che le persone sostengono l’energia <strong>eolica</strong> a livello astratto (nei sondaggi,<br />

circa l’80% dei cittadini italiani ed europei è favorevole all’eolico), ma mettono in discus-<br />

67 Il parco eolico di Stella (SV), inaugurato nel Giugno del 2007 e composto da tre aerogeneratori da 800 kW per complessivi<br />

2,4 MW. A testimonianza della cura messa nella progettazione e costruzione del parco eolico, il Comune di Stella è stato<br />

premiato nel 2007 attraverso il Premio Pimby: “Per aver contribuito a dimostrare come infrastrutture e tutela dell’ambiente si<br />

possono conciliare quando si tengono in particolare considerazione gli equilibri ambientali e l’armonia del paesaggio”. Attenti<br />

studi di integrazione paesaggistica e di mitigazione degli impatti hanno permesso di ridurre le trasformazioni dei siti. Inoltre,<br />

sono stati effettuati monitoraggi dell’avifauna sia prima che dopo la realizzazione del parco eolico, e percorsi per i cittadini<br />

che accompagnano il visitatore alla scoperta del parco. L’impianto è in grado di produrre 6.000 MWh/anno, pari al fabbisogno<br />

energetico di circa 1.500 nuclei domestici, pari al 100% del fabbisogno elettrico delle famiglie residenti.<br />

68 Ogni sondaggio sull’eolico mostra come i cittadini italiani siano in nettissima maggioranza favorevoli all’eolico. In merito<br />

alla accettabilità della tecnologia <strong>eolica</strong>, una recente (giugno 2010) indagine demoscopica della società ISPO commissionata<br />

da APER indica nell’80% il consenso per l’eolico sul campione nazionale, dato che scende di poco, al 71%, negli intervistati dei<br />

comuni ove i parchi eolici esistono.<br />

69 Questa etichetta della sindrome Nimby è un po’ malevola perché suggerisce che gli oppositori locali siano mossi da interessi<br />

spregevoli, egoistici e particolaristici. E tuttavia, se ragioniamo a mente fredda, dobbiamo riconoscere che le comunità<br />

interessate possono avere ottime ragioni per non sobbarcarsi una servitù a vantaggio dell’intera collettività. E infatti esse tendono<br />

ad usare un argomento cui è molto difficile controbattere: “perché proprio qui”, “perché deve toccare proprio a noi”. Le<br />

comunità locali sono quasi sempre in grado di difendersi efficacemente. Si formano comitati spontanei di cittadini. Si tengono<br />

assemblee popolari affollate. Si organizzano proteste. È probabile che qualche politico sia tentato appoggiare (qualcuno potrebbe<br />

dire: strumentalizzare) la protesta e finisca così per incrinare la compattezza delle istituzioni. Gli esempi di queste evoluzioni<br />

sono ormai innumerevoli.<br />

79


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

sione specifici progetti locali a causa delle temute conseguenze riguardo principalmente agli<br />

impatti visivi e al rumore.<br />

La sindrome Nimby non è caratteristica degli impianti eolici. Si verifica in molte altre<br />

situazioni. Nuove strade, ponti, gallerie, ospedali, aeroporti, impianti nucleari e altre strutture<br />

per la produzione di energia, tutti incontrano resistenze a livello delle comunità locali.<br />

Gli studi su questi fenomeni concludono che sull’atteggiamento del pubblico nei confronti<br />

di un progetto, più degli impatti reali legati alle dimensioni dell’impianto, come le trasformazioni<br />

del paesaggio, pesano altri fattori, come: chi lo realizza, il ruolo dei decisori locali, le<br />

modalità in cui si struttura il processo complessivo di decisione (Ammassari e Palleschi, 2007;<br />

Bobbio, 2004; EWEA, 2009b:399-411; Oteri, 2009; Wolsink, 2007). L’opposizione <strong>locale</strong> è spesso<br />

basata sulla sfiducia, sulle reazioni negative verso coloro (gli sviluppatori, le autorità e gli<br />

operatori energetici) che cercano di realizzare gli impianti, e sulle modalità con cui vengono<br />

pianificati e gestiti i progetti, e non tanto sul rifiuto degli aerogeneratori in sé stessi.<br />

Sento anche dalla nostra base, dai nostri volontari sul territorio che localmente si trovano dei<br />

comitati “contro” se non vedono la finalità positiva del progetto. Noi di comitati viviamo, per<br />

cui sappiamo che con loro ci vuole una grande pazienza. In realtà, i comitati sono una forma<br />

di partecipazione che non deve essere sottovalutata. Se si arriva al comitato qualcosa ha fallito<br />

prima, nella capacità di presentare un progetto. Poi, c’è il comitato “strumentale” o il caso<br />

politico, ma sono 5–10, mentre gli altri 150, 200, 300, sono indicatori che qualcosa c’è, che è<br />

mancato un passaggio: è mancata la capacità di far partecipare le popolazioni ad una scelta<br />

di trasformazione territoriale (Costanza Pratesi, FAI).<br />

Pertanto, gli studi suggeriscono che un approccio partecipativo al progetto di localizzazione<br />

ha effetti positivi sull’opinione pubblica e conduce a una diminuzione delle resistenze.<br />

Come afferma Wolsink (2007:1204):<br />

the best way to facilitate the development of wind projects is to build institutional capital<br />

(knowledge resources, relational resources and the capacity for mobilisation) through collaborative<br />

approaches to planning.<br />

Quello che conta è coinvolgere la popolazione <strong>locale</strong> nella procedura di localizzazione,<br />

entro processi di piano trasparenti e con un alto livello informativo (assemblee pubbliche,<br />

seminari, sportelli informativi, etc.). Se si vogliono ridurre al minimo le opposizioni, tutte le<br />

parti in causa devono avere effettiva opportunità di influenzare un progetto.<br />

Le decisioni prese sopra la testa delle popolazioni locali sono il modo più diretto per generare<br />

proteste. La carenza di comunicazione fra chi abita dove sarà realizzato un impianto e<br />

chi lo vuole realizzare, le burocrazie locali, l’ambito della decisione politica, diviene un catalizzatore<br />

perfetto per trasformare lo scetticismo <strong>locale</strong> in azioni concrete contro progetti specifici.<br />

Al contrario, informazione, dialogo e partecipazione sono la strada per l’accettazione.<br />

Le Linee guida nazionali prevedono che “il coinvolgimento dei cittadini in un processo di<br />

comunicazione e informazione preliminare all’autorizzazione e realizzazione degli impianti o di<br />

formazione per personale e maestranze future” sia uno dei requisiti per la valutazione positiva<br />

dei progetti. 70<br />

70 Le Linee guida, da una parte si rivolgono ai progettisti che si applicano ad un nuovo progetto di realizzazione di un impianto<br />

eolico di qualsiasi dimensione, perchè prendano coscienza dell’opportunità di un’integrazione del punto di vista paesaggistico/ambientale,<br />

a partire dalle prime fasi di progettazione. Ma, sono rivolte anche ai valutatori, ai quali spetta il compito di<br />

verificare le compatibilità degli interventi dal punto di vista paesaggistico/ambientale, affinché abbiano gli strumenti necessari<br />

80


7. Impatto ambientale e paesaggistico<br />

La partecipazione del pubblico è espressamente richiesta nelle direttive UE 85/337, come modificata<br />

dalla direttiva 97/11 relativa alla VIA e 2001/42 relativa alla VAS. Entrambe, infatti,<br />

impegnano gli Stati membri ad attivare strumenti di libera e facile informazione sui dati ambientali,<br />

anche quelli non sistematici o riservati. A questo proposito vi è una specifica direttiva,<br />

la 90/313, che stabilisce il libero accesso alle informazioni ambientali, recepita ormai da quasi<br />

tutti gli Stati, Italia compresa. … In Italia, tuttavia, nonostante la tendenza positiva verso<br />

una maggiore partecipazione nei processi di valutazione e un miglioramento della comunicazione<br />

ambientale, gli sforzi fatti in questa direzione da parte dei promotori dei progetti e dei piani<br />

sono ancora insufficienti. Le autorità pubbliche ambientali non hanno dedicato abbastanza<br />

tempo e risorse in questa direzione, così che la problematica rimane ancora affrontata in modo<br />

inadeguato. … I promotori dei progetti e dei piani non vedono con favore la partecipazione<br />

del pubblico nei processi decisionali riguardanti le opere, per diversi motivi legati al rischio di<br />

vedere aumentare i costi, di protrarre indefinitamente - per interessi e priorità dei diversi gruppi<br />

che si esprimono sul progetto stesso - i tempi di attesa prima di decidere la realizzazione di un<br />

progetto e alla preoccupazione che la decisione possa essere influenzata più da gruppi locali<br />

molto attivi, piuttosto che sollecitata da interessi più generali. Per questi motivi i proponenti<br />

non utilizzano positivamente le relazioni con il pubblico, limitandole agli obblighi procedurali e<br />

considerandole un inevitabile ulteriore problema da risolvere per ottenere l’approvazione del loro<br />

progetto. D’altra parte, la partecipazione del pubblico ha avuto spesso connotati di sola opposizione<br />

ai progetti o ai piani, anche perché l’esperienza è sostanzialmente limitata alla VIA. In<br />

questo caso la procedura ha avuto, fino ad oggi, uno specifico momento per la partecipazione,<br />

quello delle così dette “osservazioni del pubblico”, limitandone quindi oggettivamente il contributo<br />

ai soli aspetti critici, in quanto unico momento per poter esprimere una opinione contraria<br />

alla proposta. Anche da parte delle autorità ambientali che si esprimono sulla compatibilità dei<br />

progetti, o che dovranno farlo sui Piani/Programmi, l’apporto del pubblico è raramente visto<br />

in una ottica costruttiva; anche quando l’informazione è effettivamente garantita, questa non<br />

assume quasi mai il carattere di una partecipazione alle scelte o alle soluzioni quanto bensì di<br />

un condizionamento, più o meno forte alla decisione finale. Questo limite, che potrebbe essere<br />

meno forte nella VAS rispetto alla VIA, per il carattere di processo della procedura e quindi più<br />

adatto alle interazioni e retroazioni, potrebbe trovare una soluzione qualora la partecipazione<br />

del pubblico non fosse limitata ad una fase specifica del processo decisionale (Ammassari e<br />

Palleschi, 2007:45-46).<br />

Anche il Protocollo d’intesa Anev-Legambiente-WWF-Greenpeace prevede che vengano<br />

definite prioritariamente azioni di informazione e sensibilizzazione per la condivisione del<br />

progetto da parte delle popolazioni e delle autorità locali. Spesso i conflitti intorno alle<br />

proposte di impianti eolici nascono da forzature, da impianti sovradimensionati con una<br />

impronta “speculativa”.<br />

Dove dissensi e conflitti sono stati gestiti bene, nel quadro di un confronto trasparente<br />

e chiaro con il territorio sulle scelte, questo ha portato ad una modifica dei progetti in base<br />

alle proposte fatte dal territorio, ma i parchi eolici si sono installati e l’ostilità pregressa si è<br />

trasformata in molti casi in una benevola accettazione determinata non solo dalla constatazione<br />

di potere convivere con gli aerogeneratori, ma anche dal fatto che quelle torri entrano<br />

a far parte del paesaggio esattamente come è successo per le modifiche apportate dall’uomo<br />

al contesto naturale nel corso dei secoli. Alcuni sondaggi hanno evidenziato come il parere<br />

positivo degli abitanti si sia incrementato dopo la realizzazione dei parchi eolici.<br />

ad una valutazione ponderata, nel merito delle proposte progettuali. Secondo le Linee guida il processo di progettazione deve<br />

partire dall’analisi attenta dei luoghi con la consapevolezza che gli interventi eolici possono portare un grande cambiamento al<br />

territorio e, quindi, è necessario intervenire in maniera compatibile, appropriata e condivisa.<br />

81


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Dove tale conflitto è stato ben gestito si è rilevata non solo una buona assimilazione nell’ambiente<br />

antropizzato delle centrali, ma anche una consapevole presa d’atto che gli aerogeneratori<br />

sono espressione di una naturale evoluzione che vede l’uomo come artefice della costruzione di<br />

nuovi paesaggi. Gli esempi di maggiore successo mostrano che, oltre a considerare gli aspetti<br />

prettamente tecnici, è necessario prevedere un impegno nella consultazione delle amministrazioni<br />

locali e nell’instaurare un rapporto diretto con i residenti, informandoli sulle reali conseguenze<br />

dell’operazione (Battistella, 2010:22).<br />

Interventi territoriali e processi partecipativi<br />

Negli ultimi due decenni in Italia e in Europa sono state realizzate diverse esperienze di <strong>sviluppo</strong><br />

<strong>locale</strong> (dai Patti territoriali ai Contratti di quartiere, agli Accordi di programma, dalle Conferenze di<br />

servizi ai Comitati locali per l’educazione degli adulti, ai Piani sociali di zona), incentrate sul coinvolgimento<br />

degli attori locali e dei cittadini nelle scelte che li riguardano. Lo <strong>sviluppo</strong> dei processi<br />

partecipativi/inclusivi (processi di concertazione, partenariato, partecipazione, consultazione, negoziazione,<br />

accordi, intese) deriva dalla convergenza di motivazioni ideali e pressioni pratiche molto<br />

diverse tra di loro e, in parte, anche contraddittorie. Il principale banco di prova di queste esperienze<br />

sono state le politiche di rigenerazione/riqualificazione urbana. I governi locali hanno cominciato a<br />

rendersi conto che non potevano procedere dall’alto con i loro progetti di <strong>sviluppo</strong>, senza offrire ai<br />

cittadini coinvolti la possibilità di interloquire con l’amministrazione e di negoziare soluzioni accettabili.<br />

Il problema non si è posto soltanto per progetti immobiliari di tipo speculativo, che miravano<br />

ad eliminare le abitazioni di tipo popolare (e i loro abitanti). Anche i progetti nati con le migliori<br />

intenzioni per migliorare le condizioni di vita dei residenti hanno finito per incontrare opposizioni e<br />

resistenze da parte dei loro potenziali beneficiari, scatenando la cosiddetta sindrome Nimby. Quello<br />

che gli urbanisti o i pianificatori consideravano come un “miglioramento” non era necessariamente<br />

percepito come tale dai diretti interessati. Hanno, quindi, cominciato a diffondersi, tra le amministrazioni,<br />

pratiche di ascolto e di negoziazione con i comitati degli inquilini e i comitati di quartiere,<br />

grazie anche alle elaborazioni sviluppate da parte di sociologi urbani, architetti e urbanisti impegnati<br />

nel “lavoro di comunità” in stretto contatto con i leader locali della protesta. Dall’Inghilterra, dove<br />

è nata, l’”urbanistica partecipata” si è diffusa in tutte le grandi città europee.<br />

L’idea di fondo, che ha cominciato a circolare tra i governi locali, è che non si tratta semplicemente<br />

di offrire servizi ai propri cittadini secondo buoni standard tecnici e di qualità decisi dall’alto, ma il<br />

problema è quello di favorire l’empowerment dei cittadini stessi, ossia di accrescere i loro poteri, la loro<br />

capacità di incidere sul loro stesso futuro. Le pratiche di partecipazione si sono estese anche ad altri<br />

settori, per esempio nel campo delle politiche sociali, economiche o sanitarie, allo scopo di ottenere<br />

una percezione più precisa dei bisogni (sempre più personalizzati) e di incoraggiare i cittadini stessi<br />

nella autonoma ricerca di soluzioni.<br />

A spingere in questa direzione è stata anche la diffusione e la frammentazione dei movimenti di<br />

protesta condotti da micro-comunità per la difesa, poniamo, di un parco pubblico o contro un insediamento<br />

giudicato sgradevole per i cittadini, che dovevano subirlo (l’apertura di un centro commerciale,<br />

l’allargamento di un aeroporto, l’installazione di un impianto per lo smaltimento rifiuti). Di<br />

fronte a queste reazioni, di piccola scala, ma assai energiche, le amministrazioni locali hanno dovuto<br />

aprirsi a qualche forma di dialogo con i cittadini coinvolti, allo scopo di concordare la ridefinizione<br />

dei progetti, l’introduzione di mitigazioni o l’elargizione di compensazioni.<br />

“La partecipazione del pubblico, come anche provato dall’esperienza, permette di condividere le informazioni<br />

su un progetto o un piano, chiarire gli equivoci, ottenere una migliore comprensione delle<br />

questioni di rilievo, sviluppare le precedenti problematiche sulla valutazione, individuare e approfondire<br />

gli aspetti conflittuali quando la proposta progettuale è ancora in fase iniziale. Le considerazioni e le<br />

risposte suscitate dalle osservazioni del pubblico sono un contributo unico in grado di suggerire al pro-<br />

82


7. Impatto ambientale e paesaggistico<br />

gettista misure fondamentali per evitare le opposizioni locali e alcuni problemi ambientali. Le misure<br />

che derivano dall’interazione col pubblico possono essere probabilmente più innovative, percorribili e<br />

accettabili di quelle proponibili solo dai progettisti in base a considerazioni meramente tecniche. Le<br />

modifiche ai progetti, effettuate nelle fasi iniziali della pianificazione e della progettazione, sono più<br />

facili e economicamente meno rilevanti di quelle effettuate in una fase avanzata della progettazione<br />

o addirittura in corso d’opera. I Progetti, i Piani e i Programmi che non devono essere modificati sono<br />

infatti molto più economici, efficaci e tempestivi. Una partecipazione fin dalle prime fasi è efficace e<br />

previene il crescendo di frustrazioni e contrapposizioni che si manifesta quando le decisioni sono prese<br />

ignorando le istanze locali, evitando quindi la successiva partecipazione forzata che si ha quando le<br />

posizioni sono ormai radicalizzate. La realizzazione di un progetto procede di solito con costi più contenuti<br />

e senza particolari asprezze se i residenti locali sono d’accordo con la proposta. Le proteste sono<br />

minori, gli sforzi più costruttivi e alcuni impatti possono essere evitati o sensibilmente ridotti. Ricerche<br />

anche recenti hanno dimostrato come il giudizio del pubblico, e le pressioni che eventualmente possono<br />

essere esercitate, siano considerate tra i fattori più importanti nella preparazione degli studi di impatto<br />

ambientale, determinandone la qualità. L’esperienza ormai acquisita dimostra, quindi, che i benefici<br />

complessivi superano di gran lunga i costi della partecipazione, nonostante le spese e l’impegno che un<br />

processo partecipativo completo, integrato in tutte le fasi della pianificazione e progettazione, potrà<br />

avere” (Ammassari e Palleschi, 2007:47).<br />

Indubbiamente, il coinvolgimento diretto dei cittadini nelle scelte di governo resta un’esperienza<br />

minoritaria, punteggiata da un crescente numero di “buone pratiche”, riconosciute e incentivate<br />

dall’Unione Europea oltre che dalle politiche urbane e di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> degli stati nazionali, ma non<br />

si configura ancora come una prassi consolidata e indiscussa. Si tratta, comunque, di un campo di<br />

sperimentazione che riguarda in modo più specifico i governi locali, contribuendo così a distinguerli<br />

dalle amministrazioni di rango nazionale e segnando la più netta rottura rispetto alle pratiche delle<br />

amministrazioni burocratiche del ‘900.<br />

All’interno di un approccio partecipativo, si possono trovare metodi e tecniche diversi per raggiungere<br />

gli obiettivi proposti. I metodi rappresentano diverse e alternative interpretazioni operazionali<br />

degli approcci, ed individuano puntualmente come preparare e condurre un processo partecipativo<br />

nel suo complesso. Le tecniche sono strumenti con fini conoscitivi, analitici, rappresentativi, comunicativi<br />

e così via, mirati a risolvere singoli passaggi operativi all’interno dell’approccio metodologico<br />

scelto. Metodi diversi usano spesso tecniche simili, ad esempio per raccogliere informazioni, preferenze<br />

o giungere a decisioni condivise. Molte delle tecniche - quali quelle sulla gestione di dinamiche<br />

di gruppo - vengono da campi anche molto lontani dalla pianificazione e progettazione di interventi<br />

di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, come la psicologia, applicata a contesti di promozione del cambiamento nei contesti<br />

più diversi, compresi quelli del settore privato.<br />

Gli approcci possono essere distinti sulla base dei gradini della scala di Arnstein (1969) della partecipazione<br />

(vedi tabella): egli ha messo in luce non solo che esistono vari livelli di partecipazione,<br />

ma anche che “poca partecipazione” può significare “falsa partecipazione” (tokenism, cioè “dare un<br />

contentino”).<br />

Potere ai cittadini<br />

Partecipazione irrisoria<br />

Non partecipazione<br />

Controllo ai cittadini – autoproduzione/autogestione<br />

Potere delegato<br />

Partenariato – collaborazione/coinvolgimento<br />

Consultazione<br />

Informazione/comunicazione<br />

Smorzamento<br />

Trattamento terapeutico<br />

Manipolazione<br />

83


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Gli approcci vengono distinti prendendo in considerazione i gradini della partecipazione al di sopra<br />

del livello della non-partecipazione, ossia:<br />

• informazione/comunicazione (passiva e/o interattiva): attraverso la presentazione della proposta,<br />

la pubblicizzazione tramite i media e la raccolta delle osservazioni del pubblico; vi è scambio d’informazioni,<br />

ma non partecipazione diretta all’elaborazione progettuale;<br />

• consultazione (raccolta aperta di opinioni/preferenze e ascolto strutturato su alternative definite):<br />

attraverso udienze pubbliche di presentazione e discussione; a questo livello il pubblico, sebbene<br />

informato e ascoltato, ancora non partecipa direttamente all’elaborazione della proposta;<br />

• collaborazione/coinvolgimento attivo (ad esempio, attraverso approcci che mirano a: creare visioni/strategie<br />

comuni, progettare a scala urbana, progettare a scala edilizia, conoscere/valutare,<br />

educare/esplorare): si svolge con commissioni consultive, gruppi di lavoro organizzati; il pubblico<br />

partecipa direttamente all’elaborazione della proposta;<br />

• autoproduzione/autogestione: con organismi delegati, commissioni e gruppi di lavoro; in questo<br />

caso è lo stesso pubblico, con un’assistenza tecnica, che elabora la proposta progettuale.<br />

Ognuno degli approcci, inoltre, si distinguono oltre che per alcuni presupposti concettuali anche per<br />

il modo in cui si affrontano una serie di questioni, quali:<br />

• chi promuove la partecipazione;<br />

• a quale scopo viene promossa;<br />

• come è strutturato il processo di partecipazione (metodo);<br />

• quale è l’ampiezza dell’ambito di partecipazione.<br />

Infine, i diversi approcci possono essere raggruppati in tre famiglie principali, a seconda dei problemi<br />

che essi si propongono di affrontare, distinguendo tra:<br />

• tecniche per l’ascolto, ossia metodi che aiutano a capire come i problemi sono percepiti dagli stakeholders<br />

e dai comuni cittadini. Possono essere impiegati soprattutto nella fase preliminare, quando<br />

si tratta di avviare un processo inclusivo, individuare i possibili interlocutori e capire quali sono i<br />

temi su cui lavorare;<br />

• tecniche per l’interazione costruttiva, ossia metodi che aiutano i partecipanti a interloquire tra<br />

di loro e a produrre conclusioni interessanti. Possono essere impiegati per organizzare e gestire il<br />

processo decisionale inclusivo;<br />

• tecniche per la risoluzione dei conflitti, ossia metodi che aiutano ad affrontare questioni controverse.<br />

Possono essere impiegati quando sorge un conflitto.<br />

7.1 Impatto visivo<br />

Non si può prescindere dal fatto che gli aerogeneratori sono strutture che si evidenziano<br />

nel paesaggio e vanno a relazionarsi e ad interagire con altri elementi territoriali. È pressoché<br />

impossibile nascondere un parco eolico, con torri alte 90 metri, perché per funzionare al meglio<br />

deve essere esposto il più possibile al vento. 71 Le odierne turbine eoliche sono macchine<br />

di grandi dimensioni, questo è dovuto al fatto che esse debbono generare discrete quantità<br />

di energia elettrica da una fonte (il vento) a bassa densità di potenza. La turbina <strong>eolica</strong> tipo<br />

è una macchina che ha una torre dai 70 ai 90 metri ed un rotore tra i 60 e gli 80 metri di<br />

diametro. Volendo produrre una quantità significativa di energia sarà necessario installare tra<br />

i 10 e i 40 aerogeneratori ed interessare un vasta porzione di territorio. Gli aerogeneratori<br />

con le loro strutture di sostegno, le cabine di trasformazione, le strade che mettono in collegamento<br />

tra loro le torri eoliche e gli apparati di consegna dell’energia prodotta, compresi<br />

71 È proprio la visibilità degli impianti eolici, la loro distribuzione decentrata sul territorio e la loro prossimità alla vita<br />

quotidiana dei cittadini, che differenzia questi impianti da fonte rinnovabile da quelli convenzionali a fonti fossili che hanno<br />

un carattere centralizzato, distante, separato e “sotterraneo”.<br />

84


7. Impatto ambientale e paesaggistico<br />

gli elettrodotti di connessione alla rete, concorrono a determinare l’impatto sul territorio. Le<br />

strade di accesso, ad esempio, possono risultare comode agli agricoltori locali, ma rappresentano<br />

comunque una modifica dei terreni.<br />

Il vero impatto dell’eolico riguarda il progetto “a terra”. Chiaramente l’aspetto visivo è fondamentale<br />

e genera un nuovo orizzonte, però come si struttura il progetto a terra ha a che fare<br />

con l’acqua, con le divisioni catastali, con i campi, con la morfologia, con le frane…. Ho visto<br />

progetti ad elevato impatto: grandi sbancamenti, strade che non hanno nessuna coerenza con<br />

il territorio e così via. Alla fine, quelli sì che sono veramente dei lavori irreversibili, al contrario<br />

delle torri che prima o poi verranno smontate. Anche il fatto di saper lavorare sul territorio è<br />

una cosa che fanno veramente in pochi. Seguire le linee catastali, seguire le proprietà diventa<br />

quasi automatico, però vedo che non c’è molta attenzione sul fatto di sbancare, di rilevare, di<br />

modificare completamente la morfologia, piuttosto che allungare una strada preesistente o fare<br />

un progetto più accurato (Daniela Moderini, architetto del paesaggio).<br />

Noi ci preoccupiamo di un problema ambientale che è quello della perdita della superficie agricola,<br />

del suolo, a cui annettiamo una grande importanza non soltanto sul piano economico, ma<br />

anche su quello ambientale, per quanto riguarda le funzioni che il suolo assolve più in generale.<br />

Nella programmazione energetica noi non abbiamo costruito attraverso un piano, ma sono stati<br />

gli incentivi a guidare gli industriali nell’investimento nel settore. Nel caso di nuovi impianti la<br />

presenza in aree anche fragili sul piano economico determina delle conseguenze che non sono<br />

state soppesate. Noi dobbiamo fare attenzione a quello che è succede, perchè ho visto casi - ad<br />

esempio, a Volterra, nell’Alta Val di Cecina, in aree dove la forestale eleva contravvenzioni ai<br />

nostri agricoltori per il taglio irregolare di fustaie o di vecchi cedui -di sbancamenti che lasciano<br />

perplessi per l’assoluta mancanza di rispetto dei luoghi. C’è qualcosa che non va in questo e<br />

credo che questa sia stata la forza degli incentivi cha ha portato a delle situazioni che abbiamo<br />

anche denunciato. Ora, perché in questo paese, che coltiva una economia della qualità, non si<br />

debba pensare ad inserire in modo tecnologicamente più adeguato le torri, in un contesto economico<br />

diverso da quello dell’Olanda o della Germania. Noi, è vero che prendiamo a riferimento<br />

alcuni paesi, ma questi paesi con noi non spartiscono, almeno per quanto riguarda il sistema<br />

agroalimentare, le stesse caratteristiche di qualità. Nei settori dell’alta tecnologia il nostro paese<br />

molto spesso non è il riferimento, ma nell’alimentare credo che il made in Italy sia un valore<br />

che oggi esprime tante componenti immateriali. Se non toviamo il giusto equilibrio tra bellezza<br />

ed efficienza, alcune parti dei nostri settori economici non riescono a trovare quelle condizioni<br />

per poter poi esprimere i loro asset più profondi. Oggi, ad esempio, il vino ha bisogno di essere<br />

venduto in America in relazione all’idea che si ha di un certo paesaggio. Ma, se quel paesaggio<br />

diventa uguale a quello dell’Olanda o della Germania, non è più qualcosa di unico e irripetibile,<br />

come sono le nostre colline toscane, ad esempio (Stefano Masini, <strong>Coldiretti</strong>).<br />

Attraverso accorte scelte e tecniche progettuali paesaggistiche che permettono di controllare<br />

il valore della emergenza visiva 72 o della capacità di assorbimento visuale, impiegate<br />

come parametro e criteri di progetto, è possibile mitigare e mantenere basso il disturbo al<br />

paesaggio. Inserire le macchine in modo che la variazione di forma e di altezza non disturbi<br />

la lettura scenica del paesaggio può essere estremamente utile e funzionale. Deve essere per-<br />

72 L’emergenza visiva viene definita (Serecchia, 2008:235) come la variazione <strong>locale</strong> dell’altezza media degli oggetti visibili,<br />

dal punto di stazione su giro d’orizzonte di 360° compiuto in ciascuna delle direzioni dei 4 settori cardinali e comprendenti<br />

l’impianto in progetto, il tutto mediato con peso individuato sulla base degli sfondi, della illuminazione e delle condizioni<br />

meteorologiche prevalenti. Il punto di stazione è costituito da un punto di osservazione coincidente con un luogo scenicamente,<br />

naturalisticamente o socialmente importante dal punto di vista dell’interesse da salvaguardare. Così come è stata definita,<br />

l’emergenza visiva permette di valutare le modifiche tridimensionali provocate al paesaggio dall’inserimento di una centrale<br />

<strong>eolica</strong>.<br />

85


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

seguito il mantenimento del disegno geometrico territoriale originario, cercando di ottenere<br />

continuità tra disposizione delle macchine e territorio. Eseguire installazioni lungo le linee<br />

dei crinali delle colline oppure entro valli è una prassi legata alla necessità di sfruttare siti<br />

con più elevate velocità medie annuali. L’impatto visivo che ne consegue può essere validamente<br />

contenuto mediante il ricorso a diverse tecniche di progettazione del paesaggio e<br />

del territorio (Amadio, 2004; Battistella, 2010; Serrecchia, 2008; Zanchini, 2010a/b, 2004,<br />

2002).<br />

Utilizzando adeguati metodi di inserimento, attraverso corrette procedure di disegno del<br />

paesaggio, infatti, si possono minimizzare gli effetti intrusivi e, in alcuni casi, arrivare addirittura<br />

a una sottolineatura di alcuni elementi paesistici e paesaggisticamente interessanti,<br />

dovuta proprio alla presenza di queste macchine.<br />

Per quanto riguarda la localizzazione dei parchi eolici caratterizzati da un notevole impegno<br />

territoriale, l’inevitabile modificazione della configurazione fisica dei luoghi e della percezione<br />

dei valori ad essa associati, tenuto conto dell’inefficacia di misure volte al mascheramento,<br />

la scelta della localizzazione e la configurazione progettuale, ove possibile, dovrebbero essere<br />

volte, in via prioritaria, al recupero di aree degradate laddove compatibile con la risorsa <strong>eolica</strong><br />

e alla creazione di nuovi valori coerenti con il contesto paesaggistico. L’impianto eolico dovrebbe<br />

diventare una caratteristica stessa del paesaggio, contribuendo al riconoscimento delle sue<br />

specificità attraverso un rapporto coerente con il contesto. In questo senso l’impianto eolico<br />

determinerà il progetto di un nuovo paesaggio (Linee guida, 2010:44).<br />

Si possono elaborare progetti che non cerchino di nascondere, di far apparire le cose<br />

come non sono, ma che, al contrario, sappiano interpretare le nuove condizioni e sappiano<br />

esprimerne le potenziali risorse estetiche, paesistiche ed urbanistiche. Questa possibilità è<br />

stata dimostrata sia in Italia che altrove, in aree di rilievo paesaggistico, nelle quali, attuando<br />

specifici criteri di ingegneria naturalistica, di architettura del paesaggio e del territorio,<br />

si sono potuti ottenere risultati veramente brillanti.<br />

… le centrali eoliche sono in grado di costruire nuovi paesaggi con una forte dignità, rappresentativa<br />

dei valori della nostra epoca. … Le centrali eoliche non solo sono in grado di integrarsi<br />

nel paesaggio, ma sono anche in grado di valorizzarlo, rivalutarlo e farsi portatrici di nuovi<br />

contenuti formali, simbolici ed estetici, rappresentativi dei luoghi e del tempo che li ospitano.<br />

Quindi, trattandosi di simboli che uniscono alla produzione la rappresentatività di una società,<br />

è lecito non cercare una progettazione che miri alla semplice mitigazione ma, al contrario, che<br />

dichiari i propri valori attraverso la ricerca formale che trova nell’architettura e nel paesaggismo<br />

le discipline di riferimento (Battistella, 2010:11).<br />

In generale, l’inserimento in linea su singola fila degli aerogeneratori risulta essere il<br />

meno impattante dal punto di vista visivo, con l’accortezza di posizionare le macchine assecondando<br />

le conformazioni topografiche del luogo e seguendo i profili territoriali più evidenti,<br />

ad esempio, le linee dei crinali. 73 Il problema è che, nella stragrande maggioranza dei casi,<br />

le zone migliori per l’inserimento in linea risultano essere le sommità dei crinali.<br />

Nell’eventualità che il crinale domini un centro abitato sottostante, l’inserimento degli<br />

aerogeneratori sulla cima del crinale ha sicuramente un impatto significativo a livello di<br />

73 Esistono sostanzialmente tre forme possibili di configurare una centrale <strong>eolica</strong>: rettangolare, a gruppi, attraverso allineamenti.<br />

Analisi condotte per mezzo di sondaggi hanno assegnato a quest’ultima la preferenza da parte della maggioranza<br />

degli intervistati. Preso atto delle possibili preferenze da parte delle persone, tale preferenza va interpretata in funzione delle<br />

contingenze morfologiche e anemologiche del luogo.<br />

86


7. Impatto ambientale e paesaggistico<br />

disturbo percepito. Una soluzione pratica comunemente adottata per questa problematica,<br />

è quella di collocare le pale eoliche sui fianchi del crinale in prossimità della cima. Tale<br />

modalità di mitigazione dell’impatto visivo comporta però una riduzione della producibilità<br />

(espressa in ore equivalenti annue) energetica dell’impianto.<br />

Nel caso di una centrale <strong>eolica</strong> realizzata su plateau, un corretto inserimento nel paesaggio<br />

da un punto di vista strettamente visivo è più facile, perché l’impianto non domina un<br />

intera vallata, bensì risulta inserito all’interno di una piana, generalmente con vegetazione<br />

boschiva o a macchia mediterranea nelle aree attigue agli impianti, che permette di evitare<br />

un impatto visivo troppo accentuato finché non si è in prossimità degli aerogeneratori.<br />

Occorre sottolineare che l’impatto visivo non è sempre proporzionale al numero o all’altezza<br />

delle macchine. Valutare l’emergenza visiva significa misurare la variazione di altezza,<br />

la variazione di forma, la variazione di colore, le diverse condizioni di illuminazione, le condizioni<br />

meteorologiche prevalenti, tenere presente lo sfondo e altre caratteristiche. 74<br />

La centrale, in funzione della densità delle macchine (numero di aerogeneratori rispetto alla<br />

potenza totale installata) e dell’affollamento relativo (numero di aerogeneratori per cluster), a<br />

sua volta, risulta più o meno invasiva rispetto al territorio anche in dipendenza dell’orografia<br />

dello stesso e della tipologia del suo <strong>sviluppo</strong> planimetrico. Pertanto, la maggiore o minore<br />

visibilità di una centrale e, più in generale degli aerogeneratori che la compongono, è influenzata<br />

innanzitutto dalla posizione assoluta delle macchine e poi dalla loro posizione relativa.<br />

Ovviamente, tutto ciò a prescindere dalle condizioni atmosferiche che influenzano la visibilità<br />

in misura determinante. Ad esempio, un controluce al tramonto o a mezzogiorno forniranno<br />

un effetto diverso in funzione di altri parametri quali la distanza tra osservatore e oggetti<br />

osservati. La presenza di bruma o di caligine o, ancora, di foschia possono esaltare talune macchine<br />

oppure farle sparire sullo sfondo a seconda se, questo, è costituito dal cielo oppure dalle<br />

montagne. In una giornata tersa e soleggiata, magari in inverno, macchine disposte su una<br />

cresta in piena illuminazione, sia diffusa che concentrata possono essere più o meno evidenti in<br />

funzione della distanza, del tipo di torre (traliccio meno visibile, cilindrica un po’ più evidente)<br />

e della maggiore o minore sottolineatura dovuta alla esistenza di altri punti di riferimento nella<br />

vista ed entro l’angolo d’abbraccio. L’affollamento relativo, in quest’ultimo caso, gioca un ruolo<br />

determinante come mostrano molte delle ben note immagini sul Altamont Pass, Tehachapi e<br />

San Gorgonio in California (Gargini e De Pratti, 2008:133).<br />

Alcuni criteri sono comunque ormai prassi consolidata come, ad esempio, la distanza minima<br />

tra le macchine: in genere, di 3-5 diametri sulla stessa fila e di 5-7 diametri sulle file parallele.<br />

Questo perché installare macchine troppo vicine può causare due ordini di problemi:<br />

• si possono determinare interferenze aerodinamiche che portano anche a riduzioni del<br />

50% della producibilità;<br />

• una centrale <strong>eolica</strong> “affollata”, dovuta all’inserimento di un numero consistente di<br />

aerogeneratori in un’area ridotta, causerebbe un impatto visivo particolarmente rilevante,<br />

creando il cosiddetto “effetto barriera” o “effetto selva”.<br />

74 La normativa di sicurezza aeronautica prevede un disegno a strisce di colore rosso da realizzarsi sull’estremità superiore del<br />

pilone di sostegno dell’aerogeneratore o sulle estremità delle pale. L’introduzione della livrea strisciata, in genere, è limitata alle<br />

macchine eoliche collocate nei punti più alti della centrale <strong>eolica</strong>. Vengono, inoltre, utilizzati apparati luminosi lampeggianti<br />

collocati al vertice dei piloni di sostegno per la segnalazione notturna. Le colorazioni più idonee alla mitigazione dell’impatto<br />

paesaggistico sono quelle neutre come il bianco o il grigio chiaro, ma anche il verde se lo sfondo è la vegetazione o l’azzurro se<br />

lo sfondo è il cielo, con l’utilizzo di vernici antiriflesso. Per la base dei piloni, al fine di non interrompere la continuità con la<br />

linea di orizzonte, è possibile prevedere una colorazione simile al tipo di terreno su cui poggiano le torri eoliche (diverse tonalità<br />

di verde e/o marrone).<br />

87


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

L’impatto dovuto all’occupazione territoriale da parte di una centrale <strong>eolica</strong> (turbine e<br />

opere accessorie) è assai basso, con valori non maggiori del 2-3% dell’area di riferimento.<br />

Quasi sempre l’area circostante mantiene le funzioni precedenti all’installazione, come, ad<br />

esempio il suo utilizzo per il pascolo di animali e per i seminativi. Questo dato di fatto consente,<br />

quindi, di considerare la fonte <strong>eolica</strong> come quella fonte energetica che occupa meno<br />

terreno rispetto a qualsiasi altra.<br />

7.2 Impatto su flora, fauna e avifauna<br />

Gli impianti eolici possono avere delle possibili interazioni con la flora, la fauna e soprattutto<br />

con l’avifauna, sia quella di tipo stanziale che quella migratoria. Pertanto, la presenza<br />

degli impianti eolici deve necessariamente conciliarsi con la conservazione della biodiversità,<br />

i cui valori sono diffusi nel nostro paese con una concentrazione superiore al resto d’Europa.<br />

75 Molte sono le specie che trovano rifugio stanziale o stagionale proprio nella zona<br />

Appenninica, interessata dallo <strong>sviluppo</strong> delle installazioni eoliche (La Mantia et alter, 2004).<br />

L’impatto sulla flora è connesso alla realizzazione di elettrodotti, strade di accesso e di<br />

servizio interne alla centrale <strong>eolica</strong>, ai plinti di fondazione della struttura di sostegno della<br />

turbina elica, alle opere di sbancamento e di cantierizzazione, in generale necessarie alla realizzazione<br />

di questi interventi, possono determinare un calo demografico delle specie floristiche<br />

presenti in sito, causandone nel breve periodo la scomparsa. Un’adeguata progettazione,<br />

a partire da un’attenta fase di cantierizzazione è l’unica risorsa disponibile per mitigare gli<br />

effetti impattanti sulla flora. A valle della chiusura del cantiere, deve essere prevista la ricostruzione<br />

della cotica erbosa nel rispetto del germoplasma <strong>locale</strong> originario senza far ricorso<br />

a germoplasmi provenienti da realtà ecologiche diverse. Nella fase di smantellamento, a valle<br />

del fine vita dell’impianto, occorre prevedere un tipo di recupero che dovrà necessariamente<br />

tener conto degli ambienti e delle specie presenti localmente.<br />

Per quanto riguarda la fauna, è la fase di cantierizzazione di un impianto eolico quella<br />

che determina un disturbo in termini di riduzione dell’habitat originario per le specie faunistiche<br />

presenti in loco. Questo tipo di impatto può essere comunque mitigato mediante<br />

un’attenta organizzazione del cantiere ed è, comunque, una fase impattante reversibile, annullandosi<br />

alla chiusura del cantiere.<br />

Per quanto riguarda l’avifauna stanziale e migratoria, alla luce delle rilevazioni e degli<br />

studi effettuati, risulta che la frequenza delle collisioni degli uccelli e dei chirotteri con gli<br />

aerogeneratori è estremamente ridotta. 76 Il problema potrebbe divenire reale solo nei casi in<br />

cui il parco eolico si trovi lungo le rotte migratorie e nei pressi delle aree utilizzate dall’avifauna<br />

durante gli spostamenti stagionali. È da specificare che tali zone sono ormai da tempo<br />

ritenute zone di esclusione per le installazioni eoliche, per cui il rischio di interazione con<br />

l’avifauna è per certi versi più teorico che pratico. Ad ogni modo, si parla spesso di corridoi<br />

avifaunistici, di aree di nidificazione o di caccia per i rapaci e di flussi migratori di uccelli<br />

che possono impattare sui rotori. La quota geostrofica su un ambiente a orografia complessa<br />

come quello italiano è di circa 500-600 metri sul piano della campagna e i flussi migratori,<br />

secondo gli zoologi e gli ornitologi, seguono tale quota. Quindi, la distanza dalle turbine eoliche<br />

(anche quelle di tagli maggiore con altezze vicino ai 100 metri) resta sufficientemente<br />

75 A questo proposito, è importante sottolineare l’importante contributo fornito dal WWF Italia con il documento Eolico &<br />

Biodiversità (2009) che contiene delle linee guida rispetto al tema dell’impatto sulla biodiversità da parte degli impianti eolici<br />

industriali. Il documento fornisce indicazioni e prescrizioni affinché la realizzazione di impianti eolici industriali possa essere<br />

subordinata alla corretta e rigorosa valutazione degli impatti sulle componenti della biodiversità presenti a scala <strong>locale</strong>.<br />

76 Vari studi hanno rilevato che gli uccelli sono in grado di notare le nuove strutture eoliche e di conseguenza imparare ad<br />

aggirarle senza incorrere in una collisione accidentale con la macchina.<br />

88


7. Impatto ambientale e paesaggistico<br />

ampia. Le soluzioni che sembrano concorrere positivamente alla prevenzione degli urti con i<br />

volatili, anche ai fini della individuazione visiva per i sorvoli a bassa quota, sono:<br />

• un opportuno distanziamento tra una turbina e l’altra (per le turbine di grande dimensione<br />

si va da un minimo di 3-5 volte il diametro del rotore tra le file perpendicolari alla<br />

direzione del vento ad un massimo di 5-7 diametri tra quelle poste sulla direzione del vento);<br />

• la creazione di corridoi di passaggio tra un gruppo di turbine e l’altro (da 250 a 800<br />

metri in funzione delle dimensioni delle turbine e delle condizioni topo-morfologiche del<br />

sito, soprattutto in passaggi obbligati (gole, valichi o corridoi) interessati dalle migrazioni<br />

primaverili e autunnali;<br />

• una buona segnalazione della macchine (con colori per il giorno, con luci per la notte,<br />

quando pare sia maggiore il pericolo di collisioni)<br />

• l’emissione di segnalazioni acustiche nel campo degli ultrasuoni disturbanti, nello specifico,<br />

l’avifauna ed altri animali in genere.<br />

Resta tuttavia una certa carenza di studi di settore condotti sul territorio italiano e<br />

nella più vasta gamma di situazioni possibili. In effetti, ogni porzione di territorio è caratterizzata<br />

da aspetti assolutamente particolari che devono essere analizzati direttamente sul<br />

luogo, caso per caso (anche in relazione a fattori quali il numero delle turbine installate o da<br />

installare, la posizione, la concentrazione, etc.), con strumenti idonei e con le conoscenze<br />

specifiche del settore.<br />

7.3 Impatto acustico ed elettromagnetico<br />

Per quanto riguarda il rumore prodotto dalle turbine eoliche, si può affermare che i costanti<br />

progressi tecnologici che hanno visto una grande evoluzione sia nei singoli componenti<br />

sia nel loro assemblaggio, nonché l’insonorizzazione della navicella contenente alcuni degli<br />

elementi fonte di rumore, fanno sì che oggi l’impatto acustico sia tollerabile. 77 Pertanto, a<br />

distanza di 200 metri, il rumore prodotto dalla turbina (di 40-50 dB) è sostanzialmente poco<br />

distinguibile dal rumore di fondo di una zona ventosa. Comunque, la rotazione delle pale di<br />

una turbina <strong>eolica</strong> crea un’alterazione del campo del flusso atmosferico, generando regioni<br />

di scie e di turbolenza connesse con variazioni locali della velocità e della pressione statica<br />

dell’aria. Viene così a crearsi un campo sonoro libero, che si sovrappone a quello preesistente<br />

a causa del flusso atmosferico e della sua interferenza con le strutture naturali dell’ambiente,<br />

quali la vegetazione e l’orografia del territorio.<br />

Le moderne tecnologie hanno consentito notevoli progressi nella riduzione del rumore<br />

emesso dagli aerogeneratori e molte turbine consentono di regolare il livello di emissione<br />

acustica intervenendo sulla velocità di rotazione della macchina. 78 Questo permette di ridurre<br />

i giri del rotore quando il vento è più debole e consente velocità lineari delle estremità delle<br />

pale più contenute, a tutto vantaggio dell’abbattimento del rumore.<br />

In generale, la riduzione dei livelli di emissione acustica comporta una riduzione delle<br />

caratteristiche prestazionali dell’aerogeneratore con conseguente minore produzione di<br />

energia. È dunque fondamentale una corretta analisi previsionale dell’impatto acustico, oltre<br />

77 Per quanto riguarda l’impatto acustico, la normativa italiana di riferimento è rappresentata dal DPCM 14 novembre 1997,<br />

Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore, che riunisce integrandoli, il DPCM 1 marzo 1991 e la Legge quadro<br />

447/95.<br />

78 Esistono macchine a velocità fissa e macchine a velocità variabile. La prima conformazione è rappresentata da macchine<br />

che raggiungono le condizioni ottimali di rendimento solo a determinate condizioni. Le macchine a velocità variabile, invece,<br />

sono in grado di adattarsi a diverse condizioni del vento, in quanto il rotore può funzionare ad altri valori di efficienza per<br />

un ampio intervallo di velocità del vento, con effetti positivi anche sulla rumorosità dovuti al fatto che è possibile regolare la<br />

velocità di rotazione del rotore, abbattendo il rumore in condizioni di bassa ventosità.<br />

89


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

che per la verifica dei limiti di legge, anche al fine di determinare il corretto settaggio della<br />

macchina (miglioramento della linea d’assi), così da provvedere ad un corretto inserimento<br />

ambientale nel rispetto dei ricettori sensibili e, contemporaneamente, non penalizzare eccessivamente<br />

le performance dell’impianto.<br />

D’altra parte, il fatto che la maggior parte dei siti siano localizzati in aree agricole con<br />

scarsa densità abitativa consente di affermare la scarsa rilevanza del disturbo alla quiete<br />

pubblica causato dagli aerogeneratori in funzione.<br />

Le interferenze elettromagnetiche a bassa frequenza (frequenza industriale 50 Hz) sono<br />

di rilevanza ridotta, riguardano essenzialmente l’interferenza con onde radio e sono determinate<br />

dalla componentistica elettrica delle turbine eoliche e, comunque, gli effetti risultano<br />

di gran lunga inferiori rispetto a quelli dovuti alle installazioni di antenne radiotelevisive e<br />

telefoniche o a quelli provocati dagli elettrodotti. 79 Si tratta, comunque, di valori sempre al<br />

di sotto della normativa vigente. Le turbine sono comunque schermate per limitare l’inquinamento<br />

elettromagnetico. Ad impatto zero sono i sistemi micro-minieolici.<br />

7.4 Criteri per una corretta progettazione delle centrali eoliche<br />

Per arrivare ad una corretta ed efficace progettazione delle centrali eoliche è necessario<br />

un approccio interdisciplinare. Da un approccio che finora ha spesso visto la progettazione<br />

delle centrale eoliche orientata quasi esclusivamente da priorità tecnico-ingegneristiche, occorre<br />

volgere l’attenzione anche ad aspetti, linguaggi, strumenti e modi di lettura del territorio<br />

di carattere urbanistico, architettonico, paesaggistico e sociale.<br />

Il vento occorre imbrigliarlo, domarlo, incanalarlo: noi ingegneri sappiamo bene come farlo,<br />

conosciamo la fisica e la tecnica; ma spuntano torri, cabine di controllo, strade nuove, strutture<br />

di supporto che prima non esistevano, quasi sempre in luoghi belli e incontaminati. Una gara<br />

rivolta anche agli architetti ci ha dato la possibilità di sviluppare quel lato della progettazione<br />

più sensibile all’inserimento armonico delle strutture nel paesaggio. Paesaggi del vento, appunto:<br />

l’equilibrio tra ambiente, panorama, utilizzo della risorsa energetica e tecnologia avanzata<br />

finalmente raggiunto. … La gara di idee ha indicato la via per una nuova metodologia di lavoro,<br />

evidenziando il grande potenziale di ricerca ancora inesplorato e di conseguenza gli ampi spazi<br />

di crescita del settore, non solo eolico (Pietrogrande in Zanchini, 2002:8). 80<br />

Ferma restando l’adesione alle recenti Linee guida nazionali e regionali e alle norme<br />

vigenti in materia di tutela paesaggistica e ambientale e alle distanze e fasce di rispetto,<br />

per una corretta progettazione delle centrali eoliche, sulla base delle buone pratiche ricavate<br />

79 L’effetto sulle telecomunicazioni in termini di interferenze prodotte dal sistema di aerogeneratori non è classificabile<br />

come un impatto paesaggistico-ambientale, ma piuttosto come un impatto di tipo operativo-funzionale. La torre <strong>eolica</strong>, come<br />

qualsiasi ostacolo, può influenzare le caratteristiche di propagazione delle telecomunicazioni in termini di forma e di qualità del<br />

segnale, generando una perdita o alterazione dell’informazione trasportata dal segnale steso. Si può porre rimedio a questo tipo<br />

di inconveniente distanziando opportunamente tra loro le torri eoliche. Infine, è da sottolineare come gli accorgimenti imposti<br />

dal Protocollo di intesa Anev-Legambiente-WWF-Greenpeace siano una garanzia per quanto riguarda il controllo e l’eliminazione<br />

di questo tipo di interferenza. Nello specifico è richiesto il totale interramento dei cavidotti interni al parco e di collegamento<br />

dello stesso alla rete di trasmissione nazionale.<br />

80 Prefazione di Paolo Pietrogrande, all’epoca amministratore delegato di ENEL Green Power, al volume curato da Zanchini<br />

(2002) di presentazione dei progetti presentati per il bando di concorso di idee Paesaggi del vento, indetto da Erga (Gruppo<br />

ENEL) e Legambiente, uno strumento operativo fino ad allora mai usato per le centrali eoliche, con l’esplicito obiettivo di<br />

“coinvolgere il mondo dell’architettura per affrontare una delle sfide più difficili e affascinanti data la qualità del paesaggio italiano.<br />

L’inserimento di infrastrutture sul territorio per la produzione di <strong>Energia</strong> da Fonti Rinnovabili rappresenta infatti una della<br />

priorità strategiche per ridefinire un corretto rapporto dell’uomo con l’ambiente e uno <strong>sviluppo</strong> equilibrato del territorio” (Zanchini,<br />

2002:23). Si veda anche Pietrogrande, 2003.<br />

90


7. Impatto ambientale e paesaggistico<br />

dalle esperienze fatte in questi anni e della letteratura specialistica, 81 occorre prestare attenzione<br />

ai seguenti aspetti:<br />

• le caratteristiche orografiche, geo-morfologiche storici, culturali e simbolici del sito, con<br />

particolare riguardo ai sistemi che compongono il paesaggio (acqua, vegetazione, uso del<br />

suolo, viabilità carrabile e percorsi pedonali, conformazione del terreno, colori);<br />

• la disposizione degli aerogeneratori sul territorio, lo studio della loro percezione e<br />

dell’impatto visivo rispetto a punti di vista prioritari (insediamenti concentrati o isolati), a<br />

visioni in movimento (strade e ferrovie);<br />

• i caratteri delle strutture, le torri, con indicazioni riguardanti materiali, colori, forma,<br />

etc. e con particolare attenzione alla manutenzione ed alla curabilità;<br />

• la qualità del paesaggio, i caratteri del territorio e le trasformazioni proposte (interventi<br />

di rimodellazione dei terreni, di ingegneria naturalistica, di inserimento delle nuove strade<br />

e strutture secondarie, etc.), la gestione delle aree e degli impianti, i collegamenti tra le<br />

strutture;<br />

• le forme e i sistemi di valorizzazione e fruizione pubblica delle aree e dei beni paesaggistici<br />

(accessibilità, percorsi e aree di fruizione, servizi, etc.). Uno degli aspetti che può contribuire<br />

all’inserimento dell’intervento nel territorio riguarda il passaggio da una percezione<br />

odierna di un paesaggio sostanzialmente integro, ma inaccessibile, ad una nuova immagine<br />

del territorio con le nuove strutture eoliche integrate nel paesaggio;<br />

• le indicazioni per l’uso del materiali meno invasivi possibile o innovativi (ad esempio,<br />

ghiaia stabilizzata, resine colorate, cemento ecologico) nella realizzazione dei diversi interventi<br />

previsti dal progetto (percorsi, aree funzionali, strutture), degli impianti arborei e<br />

vegetazionali (con indicazione delle specie autoctone previste), eventuali illuminazioni delle<br />

aree e delle strutture per la loro valorizzazione nel paesaggio.<br />

Il progetto, come una nuova traccia calligrafica scaturisce dall’incrocio di numerose componenti<br />

geomorfologiche, anemometriche, vincolistiche e proprietarie, ed una profonda lettura della<br />

spazialità del sito, interpretato e decodificato nella sua essenza nell’intento di sottolineare la<br />

singolarità. Il layout deve aspirare ad essere la migliore combinazione tra ottimizzazione produttiva<br />

ed una combinazione tra ottimizzazione produttiva ed una composizione paesaggistica<br />

che ricerchi costantemente una nuova proporzione tra il luogo e la nuova infrastruttura, una<br />

relazione tra i vecchi e nuovi segni. Consapevoli della profonda (anche se temporanea) trasformazione<br />

spaziale che un parco eolico apporta. Il forte vento, le caratteristiche geomorfologiche<br />

e le evidenti tracce del paesaggio storico e agricolo, suggeriscono in forma paradigmatica<br />

i temi per strutturare un impianto eolico di contemporanea concezione. La conformazione<br />

morfologica, la struttura particellare del terreno, i colori, i sentieri e le strade, la vegetazione,<br />

possono suggerire le modalità per realizzare le infrastrutture servizio dell’impianto. La ricerca<br />

dei giusti rapporti ed equilibri tra il nuovo sistema di segni costituito dall’impianto eolico ed<br />

i valori storici, culturali e paesaggistici di un luogo, diventa quindi tema prioritario all’interno<br />

della questione progettuale legata agli impianti eolici ed è determinante nella costruzione di un<br />

nuovo paesaggio. Il progetto va allora considerato come uno strumento fondamentale che può<br />

indagare con grande attenzione le reali implicazioni e i rapporti complessi che possono intercorrere<br />

tra un’infrastruttura di produzione energetica da fonte <strong>eolica</strong> e il territorio che l’accoglie;<br />

81 Si vedano anche i protocolli tra le associazioni ambientaliste Legambiente, WWF e Greenpeace e l’ANEV che hanno fissato<br />

dei criteri per la progettazione e un corretto inserimento degli impianti eolici nel paesaggio e puntato ad allargare l’informazione<br />

nei territori sull’eolico. Attraverso questi protocolli sono state fissate le analisi e le attenzioni che i progetti devono sviluppare,<br />

in modo da rendere chiari gli effetti degli impianti sul paesaggio, valutarli e limitarli, ma anche gli ambiti dove non realizzare<br />

parchi eolici; individuando una delle chiavi proprio nella ricerca sulla percezione, sulla disposizione nel paesaggio, sulle soluzioni<br />

cromatiche.<br />

91


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

quello che necessita è dare spazio ad una progettazione attenta a sensibile, l’unica condizione<br />

che può garantire la compatibilità paesaggistica degli impianti e determinare elementi di valore<br />

aggiunto anche in termini esattici e di promozione e valorizzazione dei luoghi. Attraverso una<br />

progettazione capace di controllare contemporaneamente più scale, adottando precisi allineamenti<br />

e dispositivi compositivi si introducono nuove forme di relazione tra luoghi distanti tra<br />

loro. Sono aspetti che attengono alle tecniche proprie dell’architettura del paesaggio e alla sua<br />

specificità disciplinare basata sulla ricerca di nuove qualità nel dialogo tra il nuovo e l’esistente,<br />

e il parco eolico può essere intesa come struttura di riferimento a scala territoriale che, data la<br />

posizione dominante rispetto all’intorno, può trasformarsi in un prezioso dispositivo segnaletico<br />

e di conoscenza. Sotto questa ottica, assume un significato diverso anche il tema dell’impatto<br />

visivo (Moderini, 2010:10-11).<br />

Con riferimento agli obiettivi e ai criteri di valutazione individuati, i criteri di base che<br />

dovrebbero essere utilizzati nella scelta delle diverse soluzioni progettuali e realizzative, al fine<br />

di migliorare l’inserimento dell’infrastruttura nel territorio, senza tuttavia trascurare i criteri di<br />

rendimento energetico determinati dalle migliori condizioni anemometriche, sono i seguenti:<br />

• rispetto dell’orografia del terreno (limitazione delle opere di scavo/riporto);<br />

• massimo riutilizzo della viabilità esistente e realizzazione della nuova viabilità rispettando<br />

l’orografia del terreno e secondo la tipologia esistente in zona o attraverso modalità<br />

di realizzazione che tengono conto delle caratteristiche percettive generali del sito;<br />

• impiego di materiali che favoriscano l’integrazione con il paesaggio dell’area per tutti<br />

gli interventi che riguardino manufatti (strade, cabine, muri di contenimento, etc.) e sistemi<br />

vegetazionali;<br />

• attenzione alle condizioni determinate dai cantieri e ripristino della situazione ex ante<br />

con particolare riguardo alla reversibilità e rinaturalizzazione delle aree occupate temporaneamente<br />

da camion e autogrù nella fase di montaggio degli aerogeneratori.<br />

Le attenzioni progettuali previste dal Protocollo d’intesa Anev-Legambiente-WWF-<br />

Greenpeace<br />

Nella realizzazione di nuovi impianti da parte degli associati Anev è stato preso l’impegno di seguire<br />

delle attenzioni progettuali che possono garantire delle attenzioni progettuali che possano garantire<br />

un controllo degli impatti su territorio, ambiente e paesaggio.<br />

A. Per minimizzare l’impatto sul territorio e sull’ambiente:<br />

L’obiettivo è di controllare e minimizzare attraverso il progetto gli impatti, di far tornare alle attività<br />

preesistenti il territorio non occupato dalle macchine, e eventualmente di verificare le forme di fruizione<br />

delle aree inserite in contesti panoramici.<br />

Attenzioni progettuali:<br />

• Minimizzazione delle modifiche dell’habitat in fase di cantiere e di esercizio, e ripristino della<br />

eventuale flora eliminata nel corso dei lavori di costruzione e restituzione alla destinazione originaria<br />

delle aree di cantiere.<br />

• Attenzione alla stabilità dei pendii evitando pendenze in cui si possono innescare fenomeni di<br />

erosione.<br />

• Utilizzo dei percorsi di accesso presenti se tecnicamente possibile ed adeguamento dei nuovi<br />

eventualmente necessari alle tipologie esistenti se pienamente integrate nel paesaggio.<br />

92


7. Impatto ambientale e paesaggistico<br />

Aree dove escludere la realizzazione di impianti<br />

• Aree di nidificazione di rapaci o uccelli che utilizzano pareti rocciose e a grotte utilizzate da<br />

popolazioni di chirotteri.<br />

• Aree corridoio per l’avifauna migratoria interessate da flussi costanti nei periodi primaverili e<br />

autunnali.<br />

• Aree con presenza di alberi ad alto fusto.<br />

• Zone A di parchi regionali e nazionali.<br />

• Aree archeologiche.<br />

• Ambiti con insediamenti posti ad una distanza inferiore ai 300 metri dagli impianti.<br />

B. Per minimizzare l’impatto visivo e paesaggistico<br />

Obiettivo è di tenere conto nel progetto dell’impatto prodotto dall’impianto, limitando l’interferenza<br />

sul contesto e intervenendo in forma consapevole nel modificare una porzione del paesaggio, per<br />

quanto possibile arricchendola di un nuovo elemento culturale antropico.<br />

Attenzioni progettuali<br />

• Limitare l’interferenza visiva degli impianti considerando i punti di vista prioritari della porzione<br />

di territorio da cui l’impianto è chiaramente visibile.<br />

• Limitare e impedire l’alterazione del valore panoramico del sito oggetto dell’installazione ossia del<br />

quadro dei centri abitati e delle principali emergenze storiche, architettoniche, naturalistiche e dei<br />

punti di vista panoramici da cui l’impianto è chiaramente visibile.<br />

• Riduzione degli effetti visivi negativi dovuti all’addensamento di impianti dai punti di vista più<br />

sensibili, in particolare dai limitrofi centri abitati.<br />

• Utilizzo di torri tubolari o eventualmente a traliccio, per questi ultimi deve essere dimostrato,<br />

attraverso un apposito studio, la migliore compatibilità paesaggistica rispetto al paesaggio oggetto<br />

di intervento.<br />

• Utilizzo di soluzioni cromatiche neutre e di vernici antiriflettenti.<br />

• Interramento dei cavidotti a media e bassa tensione, propri dell’impianto e di collegamento alla<br />

rete elettrica.<br />

A tutto questo vanno aggiunte alcune considerazioni più generali legate alla natura<br />

stessa del fenomeno ventoso e alla conseguente caratterizzazione dei siti idonei per lo sfruttamento<br />

di energia <strong>eolica</strong>. Tali considerazioni costituiscono la base per una ricerca delle più<br />

avanzate modalità di approccio al tema complesso del rapporto tra infrastruttura e paesaggio,<br />

intendendo quest’ultimo come spazio complesso di relazioni.<br />

Tema prioritario per la progettazione di impianti eolici è la ricerca dei giusti rapporti ed equilibri<br />

tra approcci apparentemente antitetici, quali lo sfruttamento di una forma di energia pulita<br />

ed inesauribile e una relazione con il territorio improntata all’innovazione e ai valori storici,<br />

culturali e paesaggistici. Il tema dell’inserimento paesaggistico degli impianti eolici e pertanto<br />

fatto assai più complesso e radicale del semplice impatto visivo, poiché coinvolge la struttura<br />

sociale dei territori, interviene all’interno di un sistema di segni e trasformazioni, anche fisiche,<br />

che vanno oltre al stessa vita stimata di un impianto. In tale senso il termine paesaggio va<br />

espresso nella più ampia accezione possibile, intendendo per esso la stratificazione di tracce,<br />

forme, strutture sociali e testimonianze di passati più o meno prossimi che ne hanno determinato<br />

l’attuale configurazione, e le cui tracce possono risultare elementi guida e per ulteriori<br />

trasformazioni. Questo, infatti, è il punto di partenza per affrontare la progettazione di tali<br />

93


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

infrastrutture nel territorio, pensandole come capaci di inserirsi all’interno del significato specifico<br />

dei luoghi (Moderini, 2010:10).<br />

Scientificamente il vento, come spostamento prevalentemente orizzontale delle masse<br />

d’aria tra zone di differente pressione, caratterizza luoghi connotati dall’evidenza dei fenomeni<br />

ad esso associati. Il vento erode e disegna i profili e i rilievi, alimenta percezioni visive<br />

legate al movimento (dell’acqua, della vegetazione, delle nuvole), genera e propaga i suoni<br />

(assumendo un ruolo fondamentale nella costruzione del paesaggio sonoro).<br />

Per lo stesso motivo, come tutti i fenomeni naturali che producono effetti facilmente<br />

percepibili, ha sviluppato nel tempo una grande carica simbolica. I luoghi ventosi idonei per<br />

l’utilizzo dell’energia <strong>eolica</strong> presentano aspetti geografici simili: situati su crinali che quasi<br />

sempre coincidono con i confini amministrativi o su pianori in leggero declivio, si distinguono<br />

per analoghe caratteristiche geomorfologiche e vegetazionali. La direzione e l’intensità del<br />

vento e le curve della “vena fluida” della massa d’aria che definisce lo spazio vuoto ricco di<br />

energia disegnano una mappa che si intreccia con quella geografica e topografica, che evoca<br />

nelle sue tracce il racconto di un paesaggio, stratificazione di eventi naturali e artificiali,<br />

di storia dell’uomo, di miti, di leggende. È possibile allora strutturare un impianto eolico<br />

riappropriandosi di un concetto più vasto di energia associata al vento, utilizzando le tracce<br />

topografiche, gli antichi percorsi, esaltando gli elementi paesaggistici, facendo emergere gli<br />

aspetti simbolici e i culti arcaici, giocando con il movimento e l’intensità delle correnti d’aria,<br />

con la vegetazione, con i suoni, modulando le caratteristiche percettive (visive e sonore)<br />

prodotte dagli stessi aerogeneratori.<br />

Questi straordinari oggetti tecnologici in movimento e dall’accurato design, possono far parte<br />

a pieno titolo dell’estetica del “paesaggio del vento”; la loro valenza segnaletica può essere<br />

utilizzata come un formidabile strumento di riconoscibilità dei luoghi (Moderini, 2010:10).<br />

L’asse tecnologico e infrastrutturale dell’impianto eolico, ubicato nei punti con migliori<br />

condizioni anemometriche e geotecniche, incrociandosi con le altre trame, diventa occasione<br />

per far emergere e sottolineare le caratteristiche peculiari di un sito. Dare un nuovo senso<br />

all’infrastruttura tecnica può calamitare nuove attenzioni sui territori facenti parte del bacino<br />

eolico: un nuovo paesaggio, il paesaggio del vento e nuovi itinerari, le strade del vento, si<br />

incrociano con quelli archeologici, monumentali, storici, naturalistici, enogastronomici già<br />

da tempo consolidati.<br />

Quello che l’esperienza di questi anni ha mostrato è che nelle storie di successo i progetti eolici<br />

hanno avuto una chiave di attenzione <strong>locale</strong>, che ha permesso di innescare processi virtuosi,<br />

attenti a inserirsi rispetto ai crateri del paesaggio e a mantenere gli usi presenti nelle aree, ma<br />

anche a riportare servizi, attività e lavoro in molte realtà interne (Zanchini, 2010a:6).<br />

94


8. Ricadute territoriali<br />

e buone pratiche<br />

8.1 Piccole e grandi royalties<br />

L’interesse sviluppatosi attorno agli investimenti nei grandi impianti eolici industriali<br />

pone il problema di quali siano le ricadute sulle comunità locali che vivono nei territori dove<br />

si collocano gli impianti. Sentendo propria la “risorsa vento”, come un bene comune del territorio,<br />

appare più che legittima l’attesa delle popolazioni locali che iniziative a carattere<br />

economico apportino vantaggi tangibili là dove la risorsa viene sfruttata. Se l’ostilità delle<br />

popolazioni locali alla localizzazione di parchi eolici nel loro territorio sta cominciando a<br />

condizionare lo <strong>sviluppo</strong> di questa energia da fonte rinnovabile, spesso questa ostilità non è<br />

motivata soltanto sulla base di percezioni e valutazioni negative in termini di un temuto impatto<br />

paesaggistico e/o ambientale, ma anche (e soprattutto) sulla convinzione che il valore<br />

aggiunto della produzione degli impianti realizzati con i benefici dell’incentivazione pubblica<br />

esce quasi totalmente dal circuito <strong>locale</strong> di produzione e di distribuzione della ricchezza.<br />

Assai diffusa, infatti, è la percezione che ci siano “tanti interessi che passano sopra le teste<br />

degli amministratori locali e dei cittadini” e che alla fine “chi fa gli affari sono solo i gestori dei<br />

parchi eolici e le banche che li finanziano”.<br />

Da un punto di vista dell’analisi territoriale, si possono riconoscere tre diversi atteggiamenti<br />

in relazione al tema della valutazione delle ricadute degli impianti eolici sulle comunità<br />

locali:<br />

• di resistenza difensiva al cambiamento, che si esprime in quelle aree dell’”osso” appenninico<br />

meridionale che subiscono, più che vivere in maniera attiva e da protagoniste, i processi<br />

di modernizzazione dell’economia e della società: luoghi oggi interessati da processi di<br />

invecchiamento, spopolamento, perdita di identità, ed al contempo dalla presenza di nuova<br />

residenzialità immigrata di origine straniera che pone sotto minaccia la tenuta della comunità<br />

<strong>locale</strong>. Sono i luoghi dove è prevalente il “rancore” verso chi e verso ciò che determina<br />

discontinuità e innovazione;<br />

• di apertura, come risultato del processo di interconnessione di queste aree con i centri<br />

capoluogo e/o di fondovalle, le aree distrettuali, le nuovi cattedrali del consumo costituite<br />

da centri commerciali, outlet, centri residenziali, cinema multisala, stazioni di servizio, etc.<br />

Qui, meglio che altrove, si evidenzia una capacità di comprendere le potenzialità economiche,<br />

culturali, socio-professionali ed imprenditoriali che possono scaturire a livello <strong>locale</strong><br />

dalla realizzazioni di impianti eolici. Di fatto, vi è una maggiore consapevolezza della questione<br />

energetica;<br />

95


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

• di sospensione, sono le aree che necessitano, a differenza delle prime due, di un intenso<br />

e specifico progetto di accompagnamento delle comunità locali. Sono quei luoghi che meglio<br />

di altri, hanno avuto la capacità di mettere a valore la propria distintività in termini di turismo<br />

ambientale, di ricerca di eccellenze gastronomiche ed agroalimentari, di specificità territoriali<br />

e che di conseguenza possono mettere meglio a valore anche una distintività legata<br />

ai temi delle energie rinnovabili, della qualità ambientale e del green marketing nella promozione<br />

del territorio e dei suoi prodotti/servizi, come leva per sfruttare nuove opportunità di<br />

crescita e per rinforzare la posizione competitiva del tessuto imprenditoriale territoriale.<br />

Il settore eolico si è andato costruendo nel tempo, anche con accelerazioni e contraddizioni<br />

locali, per cui ci sono tanti impianti realizzati senza alcun confronto con il territorio<br />

e ce ne sono molti altri in cui invece gli imprenditori hanno avuto qualche attenzione, ma<br />

il tutto è avvenuto in modo assolutamente casuale, non essendoci stata mai una regola o<br />

premialità rispetto al ruolo di interlocuzione con il territorio.<br />

Siccome la materia dell’energia non è molto diffusa e penetrata nel contesto sociale – perché,<br />

altrimenti, non avremmo conosciuto in questo paese il CIP6 in componente A3 – credo che sia<br />

importante che un progetto di <strong>sviluppo</strong> energetico, anche per il comune più piccolo, sia esposto<br />

e sia resa edotta la comunità di cosa si vuol fare. Da questo punto di vista, nella mia esperienza<br />

di lavoro negli ultimi 3-4 anni, non mi sono mai trovato nella condizione di trovare delle “best<br />

practices” da citare come elemento di avvio di un progetto di <strong>sviluppo</strong> sul territorio adeguato<br />

e credibile (Stefano Masini, <strong>Coldiretti</strong>).<br />

Tutto è dipeso dalle capacità dei territori. Ci sono stati alcuni Comuni che hanno cercato<br />

di costruire un percorso, obbligando le aziende a lasciare qualcosa nel territorio anche in<br />

termini di investimenti in rapporto alla redditività dell’impianto realizzato. Altri che invece<br />

hanno pensato solo a fare cassa.<br />

In questi anni, le principali ricadute in termini di benefici per i territori locali sono state<br />

le seguenti:<br />

• il ricorso, non sempre garantito, a imprese e a manodopera <strong>locale</strong> per la realizzazione<br />

delle parti più convenzionali dell’impianto (tipicamente le opere civili: movimento terra,<br />

scavi e sbancamenti, realizzazione di strade, fondazioni e piazzole, etc.), per la manutenzione<br />

ordinaria e la sorveglianza; 82<br />

• qualche realizzazione infrastrutturale, generalmente legata al miglioramento della viabilità;<br />

82 Generalmente la manutenzione degli aerogeneratori è di competenza dell’impresa costruttrice. “Chi compra le turbine REpower,<br />

firma con noi due contratti. Il primo per la fornitura e l’installazione delle macchine, l’altro per l’assistenza e la manutenzione<br />

che ha una durata variabile tra gli 8-10-12 anni. Adesso, ci chiedono anche 15 anni di manutenzione. Noi ci prendiamo in carico il<br />

parco eolico, lo gestiamo in maniera completa, diamo delle garanzie di disponibilità, garantendo che il parco eolico sarà disponibile<br />

a produrre per il 97% del tempo. Abbiamo del personale dedicato e abbiamo una squadra di due persone ogni 20 turbine più il<br />

personale indiretto. Quindi, facciamo tre persone ogni 20 turbine. Il nostro personale deve avere tre caratteristiche: deve capire l’inglese,<br />

capire di elettrotecnica ed essere piuttosto giovane e fisicamente a posto per salire dentro il “fusto”. In REpower siamo in 55<br />

persone, di cui 30 fanno lavori di global service. Diamo la precedenza al personale <strong>locale</strong> che però è difficilissimo da trovare perché<br />

si tratta di trovare del personale disponibile a mettersi la tuta, a fare l’operaio ed avere delle competenze tecniche e linguistiche<br />

che in genere ti portano ad avere altre ambizioni. Abbiamo un rapporto costante con due società di ricerca del personale, quando ci<br />

trovano le persone le prendiamo, le formiamo, anche se non ne abbiamo bisogno subito le prendiamo lo stesso. Facciamo un anno<br />

di formazione e appena assunti vanno in Germania. Qualcuno viene assunto, qualcuno viene con contratti tramite ManPower, però<br />

non prolunghiamo il contratto oltre un anno. Dopo un anno entrano in REpower. Entrano, fanno un periodo in Germania, fanno<br />

prima un introduction week, che qui dentro abbiamo fatto tutti, dove spiegano le “basi” del vento. Da che cos’è un anemometro,<br />

fino al mercato del vento. Poi. dopo escono con le squadre tedesche, fanno un periodo di training presso i nostri principali fornitori.<br />

Alternano un po’ di presenza a Foggia e nell’area dove poi dovranno lavorare e dopo un anno sono considerati “maturi”, i più bravi<br />

diventano già caposquadra. L’altra caratteristica di questi lavoratori e che devono avere la disponibilità a rimanere fuori casa, questo<br />

soprattutto il primo anno. È un mestiere difficile perché bisogna garantire la reperibilità visto che anche il sabato e la domenica ci<br />

sono delle squadre pronte ad intervenire” (Carlo Schiapparelli, REpower).<br />

96


8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />

• i fitti dei terreni interessati dalle installazioni (anche se sovente il soggetto realizzatore<br />

acquista, perché altrimenti non riesce a concludere le operazioni di project leasing o di<br />

project financing);<br />

• qualche forma di partecipazione marginale da parte degli enti locali ai ricavi prodotti<br />

(con variazioni dall’1,5% al 5%). 83<br />

Sull’eolico c’è un certo ritorno e si può promettere una certa ricaduta sul territorio, perché<br />

l’ENEL pensa sempre alle compensazioni ambientali in senso lato, come ricaduta occupazionale,<br />

industriale, economica dell’indotto diretto e indiretto. Spesso nell’eolico quello che ci chiedono<br />

i Comuni è una ricaduta in termini di compensazione ambientale con la realizzazione di un<br />

impianto fotovoltaico sopra il tetto della scuola o sull’edificio del comune per pagare le utenze.<br />

Questo noi lo facciamo e già questo è un segno di integrazione. Poi, ovvio, se possiamo permetterci<br />

di fare anche un altro impianto può essere possibile fare anche una strada o altro. Se<br />

possiamo fare 2-3 impianti su un Comune, a quel Comune possiamo promettere molto di più<br />

e possiamo veramente risollevare in maniera sensibile lo stato economico di un Comune. Se si<br />

riesce magari a fare un impianto da 20 MW di eolico e due impianti da 10 MW da fotovoltaico,<br />

magari in quel comune si può aprire una sede dell’ENEL. Le rinnovabili sono tecnologie anche<br />

complementari. Eolico e solare sono entrambe fonti non programmabili, ma dissociate: il solare<br />

funziona solo di giorno e, quindi, va bene per sopperire la produzione elettrica di giorno, l’eolico<br />

quando c’è vento. Potrebbe esserci vento e sole di giorno, ma anche vento di notte. Per cui, se<br />

lì mettiamo solo l’impianto fotovoltaico sappiamo che d’inverno lavora tot ore, d’estate altre<br />

e comunque nella curva di massimo impiego. Se a questo ci associamo un impianto eolico,<br />

potremmo sopperire alla necessità di energia anche la notte. Le due cose fanno sì che essendo<br />

due fenomeni statisticamente indipendenti – perché sole e vento non sono strettamente correlati<br />

– potremmo sopperire meglio alle necessità energetiche. La stessa cosa con l’idroelettrico.<br />

Se tutte queste fonti sono singolarmente difficilmente programmabili, questo non vuol dire che<br />

il mix delle 3 non sia più facilmente programmabile, perché quando non c’è una, c’è l’altra e<br />

facendo i controlli alla rete possiamo, con un mix energetico, garantire maggiore erogazione di<br />

energia alla comunità. Noi abbiamo tutto l’interesse a tenere un rapporto diretto con i piccoli<br />

Comuni che sono quelli più favorevoli. Sono quelli in cui gli impianti “danno meno fastidio”,<br />

perché essendoci una densità demografica più bassa, l’impatto sulle persone è minore e dove<br />

la ricaduta occupazionale ed economica è sentita come un valore aggiunto addizionale. Quindi,<br />

questa è una strada che perseguiamo, perché è una sinergia economica, anche dal punto di<br />

vista di esercizio ed è anche più facile da gestire dal punto di vista istituzionale. E ci dà anche<br />

più soddisfazione, perché andiamo in un posto dove siamo più apprezzati (Ivano Bruni, Enel<br />

Green Power).<br />

Dal punto di vista dell’impatto economico, un impianto eolico è in grado di offrire alle<br />

casse dei Comuni, spesso piccoli e con bilanci esigui, un gettito annuo di alcune centinaia<br />

di migliaia di euro (utile sulla produzione, corrispettivo di potenza, canoni di affitto terreni).<br />

Oggi, i comuni dell’eolico in Italia sono 374 e nei casi più virtuosi questo introito viene<br />

generalmente utilizzato per interventi di compensazione ambientale, di miglioramento della<br />

qualità dei servizi, per realizzare infrastrutture ambientali: in questo modo può divenire evi-<br />

83 Tra l’altro le Linee guida previste dal D.lgs. 387/03 ed emanate solo di recente di fatto vietano qualsiasi forma di royalties<br />

e misura compensativa in denaro. Oggi, nel distretto eolico del Fortore (province di Foggia, Benevento e Avellino) ci<br />

sono comuni come Roseto Valfortore (1.205 abitanti) che con 6 parchi eolici – 60 aerogeneratori per una potenza complessiva<br />

installata di 76,9 MW – incassa 350 mila euro di royalty, con un bilancio comunale di 1.670 mila euro; Rocchetta S. Antonio (2<br />

mila abitanti), 4 parchi eolici (43 aerogeneratori per 90 MW) e royalties di 800.000-1.000.000 euro, con un bilancio comunale<br />

di 2.100.000-2.300.000 euro; Monteverde (903 abitanti), 1 parco eolico (9 aerogeneratori, 6 MW) e una royalty di 12 mila euro,<br />

con un bilancio comunale di 450 mila euro.<br />

97


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

dente ai cittadini l’impatto positivo degli impianti eolici anche a livello <strong>locale</strong>. 84 Può risultare<br />

chiaro come l’opzione <strong>eolica</strong> possa essere una scelta non solo responsabile per la salvaguardia<br />

del pianeta, ma anche per lo <strong>sviluppo</strong> sostenibile <strong>locale</strong>.<br />

Nel bene, conosco dei sindaci interessati all’eolico e alle energie rinnovabili, perché in alcune<br />

aree interne l’energia viene vista come uno degli ultimi vagoni per lo <strong>sviluppo</strong> territoriale.<br />

Sindaci in buona fede, in questo caso, pensano che questa sia un occasione utile per il loro<br />

comune. Vedo che questa parte che recitano è legata proprio all’inserimento in un’economia<br />

nuova, moderna (Stefano Masini, <strong>Coldiretti</strong>).<br />

Nel comune di Stella il parco eolico è accettato, è proprio parte della comunità e le persone<br />

sono contente. Poi, la bravura del sindaco di Stella è quella di sfruttare i proventi per opere intelligenti<br />

ed interessanti. A Stella c’è lo scuolabus gratuito, ad esempio. Inoltre, si è avviato un<br />

meccanismo virtuoso perché gli abitanti hanno iniziato a fare degli impianti di mini eolico. Ci<br />

avevano chiesto cosa fare e avevamo organizzato un convegno per spiegare la tecnologia mini<br />

<strong>eolica</strong> anche coinvolgendo l’APER. Il Comune si è fatto garante presso le banche delle iniziative<br />

dei singoli e l’agriturismo che c’è sotto il nostro impianto ha messo il mini eolico.<br />

A Santa Luce in Provincia di Pisa, c’è un nostro progetto non ancora realizzato, però approvato<br />

dalla Regione. Qui, il sindaco è molto attivo, sta facendo delle politiche integrate per portare<br />

avanti su più fronti il tema delle rinnovabili. Sta sponsorizzando la produzione <strong>locale</strong> di biodisel<br />

per alimentare i trattori e le macchine comunali, sta portando avanti un discorso con le cooperative<br />

locali per produrre biomassa “a km. 0” con gli scarti dei residui agricoli per alimentare<br />

un piccola centrale <strong>locale</strong>, ha istallato i pannelli fotovoltaici sul tetto della scuola, e l’eolico<br />

entra attraverso un bando in questo grande progetto ecosostenibile del Comune. Con i proventi<br />

dell’eolico il Comune vuole fare la mensa gratuita, lo scuolabus, istituire delle borse di studio<br />

per i ragazzi meritevoli. Ha inserito la mensa biologica nella scuola, sta facendo una serie di<br />

attività e l’eolico è una di quelle attività che può portare delle risorse finanziarie per fare tutto<br />

questo. L’eolico serve un po’ come “cassa” per finanziare servizi innovativi per la comunità<br />

<strong>locale</strong> (Giulia Canavero, FERA Srl).<br />

In tal senso, lungi dal viziare la concorrenza nel settore energetico, si evidenzia come<br />

l’ente <strong>locale</strong> può avere un ruolo fondamentale di regolamentazione, di funzione esemplare<br />

verso la cittadinanza e gli attori che insistono sul territorio, di guida e stimolo della filiera<br />

<strong>locale</strong> delle rinnovabili. Per questo l’ANCI ha sottolineato più volte al Governo la necessità di<br />

introdurre tra le deroghe già previste all’applicazione di sanzioni in caso di mancato rispetto<br />

del Patto di Stabilità anche quella inerente i diversi proventi e incentivi percepibili dagli enti<br />

locali tramite l’utilizzo di fonti rinnovabili ed efficientamento energetico. 85 Oggi, inoltre, non<br />

84 In molti dei comuni dove sono installati dei parchi eolici ci sono dei programmi didattici e delle giornate di sensibilizzazione<br />

e informazione organizzati da enti locali, associazioni ambientaliste, scuole del territorio e operatori eolici, in cui le centrali<br />

sono aperte, per cui chiunque può accedere agli impianti. In questo modo, si vuole far conoscere la tecnologia e far vedere<br />

cosa si sta facendo, soprattutto coinvolgendo le scuole. “Si cerca di far conoscere gli impianti a chi vive sul territorio o anche a<br />

chi viene da fuori, in modo da favorire la conoscenza e fare in modo che ci sia un impatto positivo in relazione all’eolico, cercando<br />

anche di abbattere quelli che sono gli eventuali stereotipi e pregiudizi negativi verso queste tecnologie ed impianti. Le persone<br />

possono tranquillamente passeggiare all’interno di un parco eolico. La strada di accesso viene sistemata e si cerca di ottimizzare il<br />

sito” (Roberto Refrigeri, Enel Green Power).<br />

85 Inoltre l’ANCI ha siglato un protocollo d’intesa con l’ACRI, l’associazione che rappresenta collettivamente le Fondazioni di<br />

origine bancaria, a favore della tutela e della valorizzazione dell’ambiente. Si intende così stimolare presso le rispettive compagini<br />

associative lo <strong>sviluppo</strong> di progetti e di iniziative per l’educazione e la formazione ambientale, la tutela e la valorizzazione<br />

delle biodiversità, la promozione del risparmio energetico e dell’utilizzo di fonti di energia rinnovabili. Le due associazioni si<br />

impegnano a divulgare e a diffondere presso i propri associati le conoscenze e le modalità operative individualmente sviluppate,<br />

ma anche a stimolare la realizzazione di attività congiunte. In particolare l’ACRI si impegna a sollecitare le Fondazioni associate,<br />

già fortemente impegnate sul fronte della salvaguardia del territorio e dell’ambiente con erogazioni filantropiche che superano<br />

i 40 milioni di euro all’anno, a mettere a disposizione dell’ANCI informazioni sulle proprie attività in questo comparto, raccolte<br />

98


8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />

viene operata alcuna distinzione tra spese correnti e investimenti sostenuti dai Comuni: ai<br />

fini del patto di stabilità valgono allo stesso modo. Così, si penalizzano i Comuni che investono,<br />

soffocando le potenzialità e le capacità degli enti locali.<br />

Il problema vero per gli enti pubblici è lo stesso che hanno anche i privati. I privati non hanno<br />

i soldi e nessuno glieli dà. Gli enti pubblici non hanno i soldi o se li hanno non li possono<br />

spendere per il vincolo del patto di stabilità. D’accordo non andare ad incrementare il debito<br />

pubblico, ma un conto è fare un investimento che produce reddito per un comune e un conto è<br />

fare un investimento che richiede reddito per il suo esercizio. Fare una scuola significa che poi<br />

questa deve essere manutenuta, che bisogna fare la strada per arrivarci, le fogne, etc. Fare un<br />

parco eolico per un comune significa, invece, avere ogni anno qualche milione di euro di reddito<br />

da poter reinvestire. Sono due cose diverse. Basterebbe che il nostro ministro Tremonti facesse<br />

2+2 come gli viene richiesto dall’ANCI. Non capisco perché non lo faccia… È il ragionamento più<br />

sbagliato del mondo, perché da una parte si fa una manovra finanziaria dove i Comuni vengono<br />

penalizzati e dall’altro si pensa di risolvere i problemi finanziari dei Comuni con un finto federalismo<br />

fiscale e ancora non gli si consente neanche di avere delle risorse che sono a loro portata<br />

di mano, immediata. Credo che sia una politica sbagliata, qualsiasi governo – di centrodestra o<br />

di centrosinistra – che questo faccia. Oggi, purtroppo non esiste una vera contabilizzazione di<br />

quello che ci costerà in futuro il non avere delle massicce installazioni di impianti da energie<br />

rinnovabili sul territorio. Questo perché noi facciamo solo i conti con quanto ci costa non rispettare<br />

il Protocollo di Kyoto entro il 2012 – 46 centesimi al secondo, ovvero 4 miliardi di euro<br />

l’anno -, ma se non rispettiamo i limiti per lo smog Altri 2 miliardi di euro all’anno. E l’85% di<br />

energia che importiamo dall’estero ai prezzi che decidono loro Ci costerà. E tutti quelli che ogni<br />

anno si ammalano per lo smog per malattia ai polmoni, dovuta all’inalazione di PM10, come<br />

vengono contabilizzati Non ci sono nella contabilizzazione. Quindi, non abbiamo una vera<br />

contabilizzazione della quantità di danni causati dall’innalzamento globale della temperatura<br />

di quel grado, grado e mezzo, come si è verificato negli ultimi anni. Allora, bisogna incominciare<br />

a ragionare che, investire risorse in questo da parte del governo centrale e consentire la<br />

liberalizzazione delle procedure anche per i Comuni, è fondamentale per l’economia italiana.<br />

È chiaro che un costo basso dell’energia è anche un costo minore per l’imprenditore che deve<br />

investire nel nostro paese (Flavio Morini, ANCI e Scansano).<br />

Fino all’anno scorso i Comuni ottenevano delle tariffe più elevate se investivano e diventavano<br />

loro gestori e, quindi, qualcosa hanno tentato di fare. Ma, i Comuni devono rispettare il patto<br />

di stabilità, per cui molti comuni non hanno una finanza sufficiente per poter fare questi investimenti.<br />

Fanno un impianto fotovoltaico nel parcheggio del cimitero o sul tetto della scuola….<br />

sono impianti medio-piccoli da 200 mila euro di investimento con una valenza sociale. Il GSE<br />

voleva premiare il comune “virtuoso” che fa l’impianto e che quindi utilizza energia auto prodotta.<br />

L’idea non è malvagia, però poi ci sono tutte le distorsioni del caso. Faccio un esempio:<br />

c’è la giunta che vuole essere pagata in contanti tutto e subito perché è in scadenza elettorale,<br />

piuttosto che fare un impianto che mi produca una redditività per 20 anni. Poi, c’è una difficoltà<br />

ricorrente: quando si emettono i bandi, il Comune mischia sempre quello che è l’investimento<br />

industriale con l’investimento finanziario. Cosa che non siamo mai riusciti a far capire al mondo<br />

“del pubblico”. Se intervengo, lo faccio con un finanziamento, non posso avere la responsabilità<br />

e coordinate da un’apposita Commissione ambiente creata in ambito ACRI, e a destinare risorse economiche a iniziative da realizzare<br />

congiuntamente con i Comuni. Per quanto riguarda l’ANCI, essa si impegna a sensibilizzare i Comuni alla buona gestione<br />

degli edifici pubblici di pertinenza e all’adozione di condotte di risparmio energetico, di riduzione delle emissioni climalteranti e<br />

di incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili. Sollecita, inoltre i propri associati all’assunzione di investimenti<br />

per il settore ambientale, alla destinazione ad esso di quote delle proprie disponibilità economiche, nonché allo <strong>sviluppo</strong> di progetti<br />

e di iniziative congiunti con le Fondazioni, mettendo a disposizione le dovute risorse umane (da ACRI Notizie, 22/06/2010,<br />

n. 159: 3).<br />

99


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

di chi realizza l’impianto, non può essere chiamata in causa la società di leasing o la banca per<br />

quello che è l’impianto fatto. Se mi devo prendere il rischio industriale faccio un altro tipo di<br />

scelta. Lo dico sempre agli amministratori: “se devo rischiare il 100%, se mi devo anche assumere<br />

il rischio industriale non è che ho bisogno del Comune per fare l’investimento”. Per questo<br />

dico che il mondo “del pubblico” è sempre stato un mondo particolare. L’altra “diatriba” è che<br />

molto spesso, se il terreno è di proprietà comunale, il Comune lo dà in comodato, e questo è un<br />

diritto reale che non posso accatastare e se lo accatasto perdo la proprietà del bene e, quindi,<br />

anche in questo caso le società di leasing sono un po’ limitate nell’intervenire. Comunque,<br />

queste iniziative sono molto interessanti, sono difficoltose da realizzare perché: primo devi fare<br />

l’accordo con ENEL perché sia disposta a fare l’auto consumo o lo scambio sul posto (Alberto<br />

Lincetti, Leasint-Gruppo Intesa San Paolo).<br />

Purtroppo, in altri casi i Comuni, sopraffatti da tagli e da vincoli, sono stati tentati di<br />

utilizzare l’eolico e le altre fonti rinnovabili per “fare cassa” per pagare le spese correnti,<br />

con molta attenzione agli incentivi e alle cosiddette royalties/ristori una tantum e poca al<br />

risparmio in termini di consumo proprio e della collettività, spesso in balia di soggetti non<br />

qualificati, correndo il rischio di “svendere il territorio”.<br />

Negli anni il nostro territorio è stato deturpato dalle pale eoliche. Gli effetti prodotti sono<br />

stati un “litigio” nelle comunità per la localizzazione delle pale. Queste vicende hanno creato<br />

divisioni all’interno della comunità. Alla fine, si é giocato sul Comune che prendeva più royalty<br />

di un altro Comune, pensando che con quei soldi si risolvessero i problemi di una comunità. In<br />

cinque anni che sono sindaco ho sentito un bel po’ di colleghi che dicevano: “ho fatto questo e<br />

questo…”, ma alla fine si trattava sempre di manifestazione nel sociale e di qualche servizio<br />

in più alla comunità. A questo siamo finora. Fino ad oggi le società che hanno impiantato i<br />

parchi eolici nei nostri territori si sono sostituiti in parte ai trasferimenti pubblici dello Stato<br />

che nel frattempo sono diminuiti. Ogni Comune pensava di aver fatto un buon affare a fare la<br />

convenzione – al 2-3% negli ultimi anni e all’1,5% dieci anni fa che sembrava già una manna.<br />

Se leggete i verbali dei Consigli comunali sulle prime convenzioni che ogni comune stipulava,<br />

sembrava che tutti i problemi del Meridione si sarebbero risolti con 10 torri eoliche. Ma, le pale<br />

non hanno prodotto questo effetto. Scuole chiuse. Ogni anno negoziamo con i direttori regionali<br />

per non farci chiudere le scuole. Non so fino a quando, perché se abbiamo 5–6 bambini forse<br />

si riesce a fare qualche cosa, però siamo quasi a nascita zero. Non so negli altri Comuni, ma nel<br />

mio sono anni che ne nasce 1 o 2, a volte 0. Quindi, teniamo nascita zero ed è improponibile<br />

andare a difendere una scuola senza alunni. La popolazione diventa sempre più anziana. Fino<br />

ad oggi, tutti questi discorsi sulle rinnovabili sono stati infruttuosi per i nostri territori. Teniamo<br />

un territorio che prima veniva apprezzato per l’aria buona, il paesaggio, e adesso teniamo<br />

tutte queste pale che girano e che, fortunatamente, non producono danni. A me le pale non<br />

danno fastidio se servono per investire sui nostri giovani, per fare in modo che non se ne vadano.<br />

Ma, se servono solo per fare la festa patronale o per dare qualche servizio in più alle nostre<br />

comunità, mi danno fastidio. Dovrebbero servire per fare accordi con l’Università per realizzare<br />

dei centri di ricerca o per mettere in piedi una filiera produttiva che poi darebbe opportunità a<br />

tutti. Noi dei miliardi di euro spessi per i parchi eolici abbiamo visto solo le briciole. Abbiamo<br />

migliorato in ogni comune le feste patronali, abbiamo preso cantanti a 40mila euro, però di<br />

ritorno “di <strong>sviluppo</strong>” non ce ne è stato. Non è che teniamo molto margine per contrastare il<br />

potere degli operatori, anche se poi i cittadini ci accusano di non essere in grado di contrastarli.<br />

Il futuro sono i giovani, non gli anziani, e i giovani se ne vanno, e tutti i discorsi che facciamo<br />

non servono a niente. Non so chi sarà il Sindaco che sfortunatamente dovrà chiudere le porte<br />

perché non ci sono più abitanti (Francesco Ricciardi, Monteverde).<br />

100


8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />

Stretti tra svuotamento delle casse comunali e mancanza di personale in grado di analizzare<br />

con la dovuta competenza le proposte, troppo spesso i sindaci, inseguendo il bisogno di<br />

nuovi introiti, non si trovano nelle condizioni e con i giusti rapporti di forza per governare il<br />

fenomeno e chiedere sostanziali modifiche e diversificazioni.<br />

Le amministrazioni pubbliche dovrebbero iniziare a costruire delle richieste concrete sui temi<br />

della green economy. Le amministrazioni locali, soprattutto i piccoli comuni, hanno poca<br />

progettualità, non hanno finanza, non hanno persone. Trovi qualche società che propone al<br />

Comune qualche beneficio di qualche genere, però sono pochi i Comuni in grado di sviluppare<br />

una programmazione. Le società danno le royalty, però in alcuni casi questi soldi non sono<br />

spesi in modo intelligente (Daniela Moderini, architetto del paesaggio).<br />

In Puglia vedo una difficoltà rispetto ad altre regioni dove lo <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> ha una maggiore<br />

solidità come in Toscana, che è quella di avere un’economia “dipendente” e la mancanza di<br />

filiere agroalimentari, di produzioni di qualità. In Puglia, il discorso sullo <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> è reso<br />

più difficile dal fatto che ci sono poche filiere agricole ed alimentari di qualità rispetto alle<br />

grande distese “del granaio”. La dipendenza è tale che bisogna passare attraverso la costruzione<br />

di un’imprenditoria <strong>locale</strong> soprattutto nella filiera agroalimentare, nella multifunzionalità<br />

dell’agricoltura, nella policoltura, nell’introdurre una maggiore complessità di produzione.<br />

L’energetica potrebbe essere un elemento che contribuisce, ma adesso l’energetica è vissuta<br />

esattamente come la “dipendenza dal Regno di Napoli”. Il vento dell’Appennino Dauno non<br />

ha reso un tubo agli abitanti e non possono più mettere capre e pecore. In Puglia siamo di<br />

fronte a questa difficoltà: da una parte una società <strong>locale</strong> “debole”, perché abituata ad una<br />

storia di dipendenza economica e abusivismo e dall’altra la presenza di questi “grandi poteri”<br />

rappresentati da ditte spagnole, tedesche, olandesi che hanno scoperto che il vento pugliese è<br />

il migliore del bacino del Mediterraneo. Il Sindaco di Avetrana si è presentato con dei tedeschi<br />

dicendo che aveva venduto e cercavano l’assenso del Piano Paesaggistico (Alberto Magnaghi,<br />

Università di Firenze).<br />

Le amministrazioni locali interessate dalla localizzazione di grandi centrali eoliche industriali<br />

sono tra quelle più disperate, povere e spesso non in grado di garantire una buona gestione<br />

della cosa pubblica. Il meccanismo, favorito anche da norme del “paternalismo autocratico”<br />

coltivato fino ad adesso, in base al quale il sindaco di un piccolo comune non avendo nessuna<br />

competenza si trova di fronte il grande player globale come Gamesa che gli promette straordinarie<br />

royalty in una fase in cui i trasferimenti sono venuti meno e la finanza comunale è<br />

in condizioni drammatiche, ovviamente rende il piccolo comune la preda ideale, favorendo il<br />

fatto che queste amministrazioni si siano poste in una condizione di sostanziale conflitto di<br />

interesse con le iniziative che venivano realizzate sul territorio. Questo meccanismo è perverso<br />

di per sé e non c’è da scandalizzarsi che poi si sia sviluppato in una certa maniera in assenza<br />

totale di una programmazione nazionale e meno ancora della capacità di sviluppare meccanismi<br />

di programmazione e di pianificazione “locali”. Va anche detto che questi soldi finiscono nelle<br />

mani delle Amministrazioni e non della collettività e questo è un guaio enorme perché l’amministrazione<br />

ne fa un uso che nel “breve” paga, però nel lungo periodo è difficilissimo valutarlo.<br />

Invito spesso ad andare a vedere il rapporto della Banca d’Italia sull’utilizzo dei 140milioni di<br />

euro all’anno di royalty che l’ENI paga ai territori della Basilicata, in parte alle Regione e in<br />

parte direttamente ai Comuni, che poi vengono distribuiti sul bacino petrolifero, per guardare<br />

quanto questi soldi sono entrati nel circuito dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>. La verità è che un comune<br />

come quello di Viggiano 86 con poco più di 3mila abitanti incassa 15 milioni di euro l’anno e<br />

86 Si veda http://www.comuneviggiano.it/petrolio/estrazione_petrolifera.htm#royaltyes. A Viaggiano, in Val d’Agri, L’ENI<br />

sfrutta i pozzi petroliferi dalla fine degli anni ’90. Oggi, vengono estratti 80 mila barili al giorno e l’accordo con gli enti locali<br />

101


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

quest’anno si fa la piscina olimpionica, quando ha lastricato d’oro i marciapiedi che cosa altro<br />

può fare Il tema delle linee guida riguarda non solamente l’eolico e lo <strong>sviluppo</strong> delle fonti rinnovabili<br />

e del sistema energetico, ma riguarda, più in generale, i problemi dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

in questo Paese soprattutto nelle aree rurali e ancora di più in quelle montane, per uscire dalla<br />

logica dello “svantaggio” compensato “paternalisticamente” (Tommaso Dal Bosco, Uncem).<br />

Certamente, l’eolico e le altre fonti di energia rinnovabili possono avere un impatto<br />

positivo importante a livello economico per l’ente <strong>locale</strong> comunale, ma questo dovrebbe<br />

essere la risultante di una molteplicità di fattori come il risparmio, i costi sociali e ambientali,<br />

l’entrate da investimenti diretti nella produzione energetica rinnovabile e da servizi<br />

aggiuntivi, etc., e non il primo o l’unico obiettivo dell’ente <strong>locale</strong>. Il Comune dovrebbe<br />

innanzitutto conoscere le potenzialità e le opportunità energetiche del proprio territorio,<br />

utilizzare tutte le leve tutelandolo, migliorando la qualità dei servizi e della vita dei propri<br />

cittadini. Ora, le Linee guida dispongono che siano previste misure compensative adeguate,<br />

sebbene non monetarie, dirette ad attivare investimenti coerenti con gli interventi sostenuti<br />

sul territorio stesso. Questa misura mira a stimolare la pratica virtuosa nel considerare<br />

in modo integrato la comunità e il territorio, con i suoi bisogni, i suoi consumi complessivi<br />

e le sue potenzialità complessive in termini energetici, focalizzando sulla concomitanza di<br />

produzione ed incremento dell’efficienza energetica, stressando la componente di risparmio,<br />

e valorizzando al massimo la distribuzione e l’autonomia energetica, a partire dal patrimonio<br />

immobiliare pubblico. Molto deve e potrà essere fatto in questa direzione da parte degli enti<br />

locali nel prossimo futuro.<br />

L’installazione di impianti da fonti rinnovabili va avanti ed è fondamentale, ma va abbinata<br />

alla risorsa vera della nostra nazione che è l’efficientamento energetico degli edifici. L’Istituto<br />

Mondiale per l’<strong>Energia</strong> stima che entro il 2030 il 55% del recupero e risparmio di emissioni deriverà<br />

dall’efficientamento energetico degli edifici. Questo edificio dove siamo adesso, consuma<br />

circa 250 kW calorici a metro quadro. Se fosse efficientato con una serie di interventi che vanno<br />

dagli infissi all’impianto a pavimento, all’alimentazione di un certo tipo all’involucro/copertura,<br />

questo edificio potrebbe consumare 60-70 kW calorici a metro quadro. Siccome il 35% dell’energia<br />

è consumato da edifici come questo in Italia, se si riuscisse a ridurre questa incidenza di<br />

4 volte, si recupererebbe un 15-20% dell’energia consumata. Questo sarebbe un risparmio vero<br />

che metterebbe in azione una economia <strong>locale</strong>… (Flavio Morini, ANCI e Scansano).<br />

Una ricaduta per la quale si erano create grandi aspettative nei “territori del vento” e<br />

che invece oggi, a 15 anni dalle prime installazioni di parchi eolici commerciali, si ritiene<br />

sia ormai andata persa era quella relativa alla nascita di filiere industriali locali legate alla<br />

produzione di componenti e sistemi eolici.<br />

Da diversi anni abbiamo prodotto una serie di iniziative per sollecitare, sostenere e anche<br />

supportare la Regione su delle scelte che hanno consentito di realizzare una serie di progetti<br />

sul nostro territorio. In questo momento, queste iniziative si portano con sé i tanti problemi<br />

che sono stati evidenziati dalla stampa, dai mezzi di comunicazione. Un’idea del malaffare,<br />

consentirebbe all’ENI di salire solo a 104 mila. Ora, l’ENI ha chiesto di aumentare a 120-130 mila barili al giorno l’estrazione.<br />

Naturalmente, più barili si estraggono e più royalties finiscono nelle casse del Comune di Viggiano e della Regione (di recente,<br />

con una legge il governo le ha aumentate dal 7 al 10% del valore della produzione, per finanziare una sorta di petrocard riservata<br />

ai soli patentati della Basilicata), ma, almeno da parte della presidenza regionale, la richiesta non è tanto di più soldi, quanto di<br />

posti di lavoro (in Basilicata il tasso di disoccupazione medio è del 12%, ma tra i giovani è molto più alto). Oggi, il petrolio dà<br />

lavoro a 500 persone in Val d’Agri. Il numero potrebbe forse raddoppiare calcolando l’indotto, ma è chiaro che in questo settore<br />

l’aumento della produzione non corrispose ad un aumento degli occupati.<br />

102


8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />

dell’interesse criminoso, un’idea di distruzione del territorio, un’idea in generale molto negativa<br />

che è passata solo dal punto di vista mediatico, ma poi in realtà se si osservano i dati sulle<br />

ricerche condotte sull’accettazione da parte delle Comunità delle iniziative, in realtà le risposte<br />

sono molto più confortanti. Ciò non toglie che ci troviamo di fronte ad una situazione in cui<br />

non c’è affatto chiarezza, c’è difficoltà a realizzare. Una montagna di problemi che inizia con<br />

le procedure, gli iter amministrativi, e poi ci si scontra con i problemi tecnici per realizzare<br />

queste iniziative. Sicuramente, credo che l’occasione si sia un po’ persa, perché non c’è stata<br />

una reale possibilità di fare <strong>sviluppo</strong> della filiera. Su questo noi amministratori locali ci siamo<br />

molto impegnati e appassionati, perché convinti che quello sarebbe stato il vero ritorno per<br />

questi territori. Ma, questo <strong>sviluppo</strong> non c’è stato e credo che con l’andar del tempo diventerà<br />

sempre più difficile poter immaginare di realizzarlo in modo certo, coinvolgendo i principali interlocutori<br />

come le aziende leader locali, nazionali ed internazionali. Credo che questa idea di<br />

cercare di costruire una filiera su questi territori si sia appannata, sia andata un po’ smarrita.<br />

La frammentazione decisionale e il pasticcio delle leggi e leggine fatte negli anni passati con<br />

le bocciature della Corte Costituzionale hanno evidenziato la difficoltà che c’è a capire l’importanza<br />

delle energie rinnovabili, di questa vera rivoluzione che solo in parte si è realizzata, e<br />

questo forse ha fatto perdere il treno su cui tutti un po’ avevamo puntato. Certamente, i ritorni<br />

alle comunità, le risorse derivate dalle rinnovabili sono sicuramente positive, ma ci sono stati<br />

in questi anni tutta una serie di aspetti che hanno condizionato, bloccato, limitato, le possibilità<br />

di crescita, di <strong>sviluppo</strong> delle fonti rinnovabili in questi nostri territori come “motori” di<br />

crescita di ricchezze, di opportunità vere (Ranieri Castelli, Rocchetta Sant’Antonio).<br />

8.2. Alcune esperienze del rapporto tra grande eolico e territorio<br />

Negli ultimi 15 anni sono state realizzate esperienze importanti, da cui prendere spunto,<br />

da parte di alcune realtà territoriali che hanno compreso la necessità di un protagonismo<br />

<strong>locale</strong> per rendere l’eolico una opportunità di <strong>sviluppo</strong> e valorizzazione del territorio. Le<br />

situazioni di maggiore successo, dove cioè si registra un alto grado di accettabilità e protagonismo<br />

sociale da parte della popolazione e del territorio <strong>locale</strong> verso l’eolico e le altre<br />

rinnovabili sono quelli in cui gli enti locali (Comuni, Comunità Montane e Province) hanno<br />

svolto un ruolo come co-proponente o comunque un ruolo molto attivo. Pertanto, la possibilità<br />

che lo <strong>sviluppo</strong> dell’eolico avvenga in maniera equilibrata e condivisa sembra passare<br />

attraverso un forte e convinto coinvolgimento da parte della pubblica amministrazione e,<br />

soprattutto, dei Comuni, cioè del livello istituzionale più vicino ai problemi, alle attese e alle<br />

domande dei cittadini.<br />

Se c’è una caratteristica dell’economia energetica basata sulle rinnovabili è nel suo carattere distribuito.<br />

L’economia e l’energia delle rinnovabili si basa su una produzione distribuita, capillare<br />

che inevitabilmente deve nascere non solo dalla condivisione, ma anche dal protagonismo delle<br />

comunità. Non è solo un fatto energetico, ma anche di democrazia e di evoluzione dell’idea di<br />

come si produce e si consuma energia. Questa esigenza è ancora più spinta per il fotovoltaico,<br />

perché è fatto di taglie ancora più piccole dell’eolico, ma credo che valga anche per l’eolico<br />

(Roberto Della Seta, senatore).<br />

Di seguito, si presentano alcuni casi territoriali che nel corso della ricerca sono stati<br />

segnalati dai testimoni privilegiati intervistati in quanto considerati delle rappresentazioni<br />

di esperienze significative in grado di fornire supporti esemplificativi alle riflessione per<br />

quanto riguarda le dinamiche di partecipazione e coinvolgimento attivo degli attori locali,<br />

l’attenzione alla qualità del progetto, le ricadute economiche e sociali sul territorio <strong>locale</strong>.<br />

103


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

* * *<br />

Santa Luce (PI)<br />

Il Comune di Santa Luce (1.800 abitanti) in Bassa Val di Cecina ha compiuto in questi<br />

ultimi anni un interessante percorso sulle energie rinnovabili che lo ha portato ad avere sul<br />

territorio una serie di impianti (per un investimento complessivo di circa 50 milioni di euro,<br />

una ventina di posti di lavoro e positive ricadute anche sulle finanze del Comune) che sono<br />

strettamente collegati alla vocazione agricola del territorio secondo una logica che mira a<br />

sviluppare una green economy a livello <strong>locale</strong>, cioè un’agricoltura multifunzionale di qualità.<br />

Fa piacere raccontare quello che è stato un po’ un sogno nostro che si è concretizzato negli<br />

ultimi 4 anni. A maggio ci sono le elezioni e tutto quello che abbiamo fatto l’abbiamo fatto in<br />

questa legislatura. Siamo partiti dal non avere alcuna attenzione per la green economy, al fatto<br />

che nel nostro territorio c’è stato un fiorire di attività. Sabato prossimo andiamo a presentare<br />

l’utilizzo di una stalla per l’allevamento di bovini che viene “convertita” al biogas e ha i tetti<br />

fotovoltaici. È l’ultimo tassello di un percorso che abbiamo fatto sulle rinnovabili e che è partito<br />

dall’eolico, ma poi ha abbracciato tanti altri settori. Questo perché investimento chiama investimento,<br />

ma soprattutto perché il nostro comune si è connotato con l’immagine di un territorio<br />

che avendo una vocazione agricola importante, aveva la voglia di investire sul proprio futuro<br />

legandolo alle energie rinnovabili, all’utilizzo del suo territorio e, quindi, delle sue risorse, siano<br />

esse le risorse del vento, da biomassa o dall’agricoltura. Un sistema che dovrebbe nella logica<br />

del nostro “sogno” mettere insieme quella che è una sostenibilità di attività nel nostro comune<br />

con le nuove tecnologie, su un futuro a energia pulita, con investimenti che porteranno nuove<br />

attività e alla possibilità di creare tante micro attività collegate alle rinnovabili. Questo potrà<br />

consentire a chi vive in questo comune di viverci stabilmente e di impiantare la propria attività.<br />

Poi ci siamo posti traguardi sempre più importanti: entro il 2011 vogliamo firmare il Patto dei<br />

Sindaci per poi lavorare ad un Piano Energetico Comunale per il recupero delle risorse per la<br />

ristrutturazione degli edifici (Federico Pennesi, Santa Luce).<br />

Il punto di avvio di questo percorso è stata la decisione di realizzare un impianto di<br />

eolico industriale da 26 MW distribuiti su 13 aerogeneratori (si stima che a regime l’impianto<br />

produrrà 58 mila MWh/anno, ovvero energia pulita corrispondente al fabbisogno di 19.500<br />

famiglie). In questo percorso, l’ente <strong>locale</strong>, pur non avendo investito direttamente proprie<br />

risorse nella realizzazione degli impianti, ha giocato un ruolo fondamentale, perché è riuscito<br />

ad imporre “un metodo” di condivisione delle scelte con la popolazione <strong>locale</strong>, promuovendo<br />

la partecipazione dei cittadini e coinvolgendo anche del Dipartimento di Energetica “Lorenzo<br />

Poggi” e del Dipartimento di Ingegneria Civile “Laboratorio di Ingegneria dei Sistemi Territoriale<br />

e Ambientale” dell’Università di Pisa.<br />

L’eolico è stata l’iniziativa “forte”. Siamo partiti a luglio 2006 coinvolgendo la popolazione su<br />

una proposta che ci arrivò da un privato. Quello che abbiamo fatto in questi anni, è stato di<br />

elaborare ”un metodo” con cui abbiamo condiviso le nostre scelte con la popolazione. Questo è<br />

l’unico modo per far passare qualsiasi tipo di progetto importante per un territorio al vaglio del<br />

consenso sociale. Quello che abbiamo fatto da subito è stato quello di presentare i progetti alla<br />

popolazione, di discutere con loro della proposta, approfondire vari aspetti e, quindi, coinvolgerli<br />

nella scelta. Oggi, la chiamano partecipazione, ma è un modo di condividere le scelte con<br />

chi vive in un territorio. Noi l’abbiamo fatto e questo ha pagato. Noi abbiamo fatto un referendum<br />

dopo pochi mesi dalla presentazione della proposta di realizzare un parco eolico e ci fu un<br />

plebiscito per l’iniziativa. Tutti quanti erano d’accordo. A questo referendum partecipò quasi il<br />

104


8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />

90% degli aventi diritto. Fu una cosa piacevole perché si era creato un clima di aspettativa, una<br />

voglia anche di pensare a qualcosa di diverso per il nostro comune. Avevamo coinvolto l’Università<br />

di Pisa perché volevamo un parere di un soggetto terzo e in tutti questi anni l’Università è<br />

stato per noi un partner importante. Ci ha assistito in tutte le scelte e ci ha anche indirizzato<br />

nella decisione più “utile” per il nostro territorio. Sul parco eolico l’Università ci ha dato un<br />

supporto sulle scelte di carattere ambientale, su come minimizzare l’impatto ambientale, sul<br />

fatto che la produttività di un impianto dipende dalla sua collocazione, etc. Una serie di scelte<br />

e di parametri che è stato frutto di un lungo lavoro da parte loro. Questo, abbinato al fatto che<br />

abbiamo sempre informato la popolazione dei risultati del lavoro tra Comune e Università, ha<br />

consentito di condividere la scelta. Tutte le nostre scelte sulle energie rinnovabili del Comune di<br />

Santa Luce sono sempre state prese all’unanimità in Consiglio Comunale, caso abbastanza raro<br />

nella realtà italiana, perché queste sono scelte politicamente importanti per un comune. Nel<br />

nostro caso non c’è stata divisione proprio perché il coinvolgimento, la discussione, il dibattito<br />

sulle varie scelte è sempre avvenuto con serietà, con approfondimenti dei soggetti responsabili<br />

e con il fatto di chiedere fin dall’inizio alla popolazione cosa ne pensava dell’intervento. È vero<br />

anche che siamo un comune di 1.800 abitanti per cui la partecipazione e il coinvolgimento<br />

diventa anche più semplice, mentre forse, quello che abbiamo fatto noi è difficilmente “esportabile”<br />

in un comune più grande. È vero che se il metodo è quello di partire coinvolgendo i<br />

cittadini in un percorso, il cittadino poi dopo do il suo supporto anche nelle scelte successive.<br />

Anche il passaggio che facciamo sabato per l’ultimo impianto, un impianto da biogas e 1 MW di<br />

fotovoltaico sul tetto della stalla, viene da una scelta di un imprenditore privato che vedendo<br />

il favore con cui vengono accolte sul territorio certe iniziative, si è convinto nel fare un investimento<br />

che sfiora i 10 milioni di euro. Investimenti che nel nostro comune non si registravano<br />

da decenni. Passare da zero a quasi 100 milioni di investimento in rinnovabili in 4 anni per noi<br />

è stato un boom incredibile, quasi un Piano Marshall. Sono tutti investimenti privati (Federico<br />

Pennesi, Santa Luce).<br />

La proposta del parco eolico è stata fatta al Comune da un privato che avrebbe voluto<br />

realizzarlo su un terreno del demanio forestale regionale denominato “Bosco di Santa Luce”. 87<br />

Il Comune, con la consulenza dell’Università di Pisa (che ha realizzato uno “Studio per la localizzazione<br />

di un parco eolico nel territorio del Comune di Santa Luce”), ha verificato alcuni<br />

aspetti tecnici, normativi e giuridici e ha deciso di fare una gara pubblica per l’affidamento<br />

del terreno per il parco eolico.<br />

Era un bando abbastanza innovativo, perché avevamo messo in evidenza pubblica l’utilizzo di<br />

un’area per scopi energetici legati all’eolico. Quindi, in base a questo chiedevamo tutta una<br />

serie di parametri, in modo da avere un progetto importante, ma che tenesse conto di tutta<br />

una serie di attenzioni ambientali per minimizzare l’impatto sul nostro territorio. Con quello<br />

che abbiamo definito con l’Università di Pisa abbiamo avuto una base per chiedere alle aziende<br />

concorrenti determinate caratteristiche nella realizzazione del parco eolico e siamo stati anche<br />

nella condizione di poter valutare quello che di migliorativo ci veniva proposto dai partecipanti<br />

al bando. La FERA, che è l’azienda che ha vinto il bando, ha fatto una proposta che abbiamo<br />

giudicato molto interessante e che poi ha avuto anche l’autorizzazione regionale per la realizzazione<br />

dell’impianto. Noi, come ente <strong>locale</strong> gli abbiamo dato il terreno su cui fare questo<br />

investimento (Federico Pennesi, Santa Luce).<br />

87 Questo risulta essere il primo esempio in Italia di parco eolico realizzato in area demaniale regionale, pertanto l’iniziativa<br />

avrà ricadute economiche non solo sul Comune di Santa Luce, ma in parte anche sulla Regione Toscana.<br />

105


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Il percorso autorizzativo per il parco eolico è durato 4 anni. I lavori di costruzione<br />

sono iniziati nel 2011 e dureranno fino all’estate 2012. Grazie alle nuove risorse derivanti<br />

dalla realizzazione del parco eolico il Comune vuole assicurare ai cittadini servizi gratuiti e<br />

promuovere iniziative volte alla promozione di uno <strong>sviluppo</strong> sostenibile tra cui, ad esempio:<br />

• bonus ADSL;<br />

• bonus scuolabus (dalla materna alle superiori);<br />

• bonus bebè (1.000 euro per ogni nuovo nato);<br />

• abbattimento dei costi dell’asilo.<br />

Parallelamente, si è avviato anche un altro impianto eolico più piccolo. Un progetto di<br />

parco eolico realizzato su un terreno privato, sempre nell’area dove è in essere il progetto<br />

della FERA, a cavallo del confine con il comune confinante di Casciana Terme (una parte del<br />

parco è sul territorio di Santa Luce e una parte su quello di Casciana Terme).<br />

Inoltre, è stato avviato un progetto legato alle biomasse che si lega alla ripresa di un<br />

gestione attiva dell’esteso patrimonio boschivo esistente sul territorio. Il progetto, studiato<br />

dalla società Ago <strong>Energia</strong> Srl, prevede un impianto di cogenerazione acqua/vapore che in<br />

parte produrrà elettricità (7.000 MWh/anno, pari al fabbisogno di circa 2.000 famiglie),<br />

in parte calore per l’essiccazione della biomassa combustibile e in parte realizzerà pellet<br />

che sarà venduto a prezzi politici ai cittadini del comune per l’alimentazione delle proprie<br />

caldaie domestiche. Il carico complessivo dovrebbe essere di 40-50 mila tonnellate annuo<br />

di biomasse. Alle cooperative agricole della zona è affidato il compito di “nutrire” la centrale<br />

secondo il meccanismo della filiera verde. Vale a dire che il mondo agricolo, senza<br />

cambiare il ciclo di produzione, ma semplicemente recuperando gli scarti della lavorazione,<br />

delle potature e del taglio programmato dei boschi, potrebbe mantenere l’industria in un<br />

sistema-terrtiorio basato sulle biomasse vergini raccolte entro 70 chilometri di distanza<br />

dall’impianto. La localizzazione nella zona industriale dovrebbe poi garantire un rifornimento<br />

di energia pulita per le industrie locali che attualmente non hanno il collegamento con<br />

il metanodotto.<br />

Abbiamo portato avanti un progetto legato alle biomasse perché è una delle nostre vocazioni<br />

territoriali in quanto il nostro territorio presenta estese superfici boschive. Negli ultimi 60 anni<br />

erano state abbandonate, per cui l’idea di utilizzarle anche per utilizzare questo materiale a<br />

fini energetici è una scelta che riteniamo importante. Sempre con l’Università di Pisa abbiamo<br />

fatto una serie di analisi e abbiamo cercato nel panorama italiano ed europeo, le aziende e le<br />

tecnologie che potevano essere adatte alla nostra realtà. Anche qui, l’investimento sarà realizzato<br />

a partire da marzo 2011 da un privato che costruirà un impianto di cogenerazione da<br />

1 MW elettrico e utilizzerà il calore per produrre circa 30mila tonnellate di pallet. Trasformerà<br />

le biomasse del bosco in combustibile alternativo al petrolio (Federico Pennesi, Santa Luce).<br />

Il percorso di condivisione con i cittadini ha avuto una rilevanza pubblica che ha contribuito<br />

a modificare l’immagine di Santa Luce e a far nascere altre iniziative in campo energetico<br />

da rinnovabili e, più in generale, in campo ambientale. Tra le altre cose, il Comune<br />

sta supportando due cooperative locali che stanno pianificando la coltivazione di piante<br />

oleaginose adatte ai terreni di Santa Luce e la costruzione e messa in funzione di un frantoio<br />

per la realizzazione di biocarburanti a partire dai semi. Il biocarburante prodotto andrà ad<br />

alimentare sia il parco macchine agricole degli agricoltori che quello del Comune. Si sta anche<br />

valutando la possibilità di effettuare il riscaldamento dell’ostello, degli edifici scolatici e<br />

comunali attraverso questo combustibile.<br />

106


8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />

Dal momento che tutte queste attività sono state oggetto di convegni, serate, approfondimenti,<br />

dibattiti pubblici, incontri con l’Università dove facevamo i vari passaggi con i cittadini, con la<br />

stampa, tutti sanno cosa sta facendo il Comune di Santa Luce. La stampa <strong>locale</strong> ci ha sempre<br />

tenuto d’occhio anche perché queste tecnologie sono vendibili dal punto di vista giornalistico.<br />

Santa Luce è diventato il comune da seguire sulle energie rinnovabili e la gestione del territorio.<br />

Questo ci ha fatto conoscere in un contesto più ampio del nostro ambito <strong>locale</strong>. Da lì poi<br />

sono nate tutta una serie di iniziative che coinvolgono le cooperative locali, attività legate al<br />

mondo dell’agricoltura che negli ultimi anni ha visto decrescere la propria capacità di produrre<br />

reddito e che quindi ha necessità di differenziare il reddito anche attraverso nuove attività. Ci<br />

sono aziende che hanno differenziato l’attività agricola con impianti fotovoltaici a terra dentro<br />

la soglia “accettabile” dei 200 kW stabilita dalle Linee guida regionali. Poi, c’è stata una<br />

cooperativa che ha investito nella produzione di carburanti e di olii al fine di commercializzali<br />

per i certificati verdi. Questa cooperativa è impegnata da qualche anno nella coltivazione di<br />

colture oleose per estrarre olio. Ora, stanno realizzando un frantoio per produrre direttamente e<br />

commercializzare l’olio, invece che vendere i semi, con l’idea di poter realizzare un impianto di<br />

cogenerazione per bruciare l’olio e i derivati dei semi. Per il momento stanno mettendo in piedi<br />

il frantoio per la trasformazione dei semi in olio. Questa realtà è nata sull’onda del movimento<br />

creato dalle due iniziative più importanti nell’eolico e nella biomassa. Ci sono due iniziative<br />

legate al fotovoltaico. La prima, riguarda un progetto comunale che prevede l’installazione di<br />

pannelli sul tetto del complesso scolastico per una potenza di 18 kW. La seconda, invece noi la<br />

consideriamo abbastanza marginale perché non è mai stata una scelta che ci ha entusiasmato<br />

più di tanto. Noi pensavamo di utilizzare le risorse del territorio in funzione di quelle che sono<br />

le esigenze dell’agricoltura e di chi ci vive. Il fotovoltaico, soprattutto a raso, sui terreni agricoli<br />

è una scelta non condivisa nè da noi amministrazioni nè dalla popolazione. Questo fondamentalmente<br />

perché ha un impatto paesaggistico importante e non genera posti di lavoro, in<br />

definitiva c’è solo un investimento molto limitato alla singola realtà e non coinvolge nemmeno<br />

l’azienda agricola, perché le aziende agricole locali non sono interessate ad affittare terreni per<br />

realizzare questi impianti. Sul fotovoltaico abbiamo sempre tirato i freni anche perché siamo<br />

in Toscana e l’impatto visivo sul paesaggio è un elemento importante. Invece, dalle biomasse<br />

avremo 25 posti di lavoro diretti nell’impianto di produzione di pellet. È nata una cooperativa<br />

composta da tre cooperative di Santa Luce più altri operatori che gestiranno tutta la movimentazione<br />

del materiale intorno all’impianto. Abbiamo quindi coinvolto tutto un tessuto di<br />

persone e di realtà aziendali che hanno forti aspettative verso questo movimento che si crea<br />

dagli investimenti sulle rinnovabili. Stessa cosa per l’impianto a biogas della stalla perché crea<br />

un indotto dai trasporti, al concime, a tutta una serie di prodotti che entreranno nell’impianto<br />

stesso. Ridendo e scherzando negli ultimi 2 anni sono nate una decina di aziende legate alle<br />

rinnovabili. La green economy ha portato un’idea forte. Siamo partiti dall’eolico e a catena<br />

sono uscite tutta una serie di attività satellite. Queste nuove aziende produrranno reddito e<br />

creeranno posti di lavoro sul territorio. Si tratta d scelte che derivano da un’idea iniziale che<br />

si è venuta perfezionando e che porterà, ne sono convinto, ad ulteriori sviluppi. È un mondo<br />

che si apre e che potrà portare interessanti sviluppi sia in termini di economia, ma anche di<br />

occupazione, investimenti, di capacità di migliorare l’ambiente e il territorio. È una sequenza<br />

di attività che vanno perfezionando l’idea iniziale legata alla realizzazione di un parco eolico a<br />

Santa Luce. Qui, abbiamo anche discusso di royalty. Noi abbiamo sempre detto che se ci sarà<br />

un ritorno economico per il nostro Comune, questo sarà investito in servizi al cittadini (Federico<br />

Pennesi, Santa Luce).<br />

Il Comune di Santa Luce ha privilegiato un approccio “privato” al tema delle rinnovabili.<br />

Questa è stata una scelta che è stata discussa con la cittadinanza, valutandone i pro e i<br />

contro.<br />

107


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Quella di un azionariato misto pubblico-privato e di un azionariato diffuso è una scelta che<br />

abbiamo preso in considerazione e che abbiamo affrontato anche con i concittadini. In vari<br />

passaggi che abbiamo fatto - non tanto per il parco eolico che effettivamente è un investimento<br />

fuori dalla nostra portata - sull’impianto a biomasse avevamo pensato che poteva essere l’ente<br />

pubblico comunale e un gruppo di azionisti–cittadini a poter finanziare l’investimento. Abbiamo<br />

scelto la “concretezza del fare” che veniva da aziende che facevano investimenti e avevano<br />

i loro ritorni economici. Però, abbiamo “preteso” per il territorio dei “ritorni” importanti e li<br />

abbiamo ottenuti anche perché avevamo già fatto tutto il processo di approfondimento. Solo<br />

sulle biomasse, le due aziende vinicole locali hanno stipulato dei contratti di fornitura dei<br />

sottoprodotti a prezzi doppi rispetto al valore di mercato. Domani questo valore, chiamiamolo,<br />

“politico”, chiesto e mediato dall’amministrazione, ricadrà su tutte le attività agricole del<br />

territorio. Abbiamo cercato di fare gli interessi di chi vive nel territorio in rapporto a chi viene<br />

a fare investimenti. Sicuramente sarebbe stato “più nobile” come intento e ci sarebbero stati<br />

dei ritorni importanti per l’amministrazione nel caso dell’azionariato, ma dovevamo impegnare<br />

l’amministrazione in scelte importanti, forse anche difficili da sostenere per il nostro ente. Noi<br />

non siamo operatori che lavorano nel settore e, quindi, avremmo potuto anche sbagliare e sbagliare<br />

in maniera importante. Abbiamo fatto i dovuti approfondimenti vedendo le possibilità di<br />

aprire un mercato nuovo, con tutta una serie di possibilità di investimenti e poi abbiamo deciso<br />

concretamente di far sì che queste investimenti li facesse chi era un operatore del settore. C’è<br />

un problema di “taglia” del Comune, ma fondamentalmente c’è un problema di gestione, perché<br />

noi abbiamo visto altri esempi in Italia di impianti a biomasse fatte dai Comuni. Quando<br />

siamo andati a visitarli erano fermi da mesi, perché non avevano l’operatore che era qualificato<br />

per far funzionare l’impianto. Quesiti impianti hanno anche beneficiato di contributi regionali<br />

pubblici in maniera importante, però fai un investimento, metti un impianto e magari non lo<br />

tieni acceso perché non riesci a gestirlo e hai tutta una serie di difficoltà. Fino a che punto ne<br />

vale la pena Forse è meglio farlo gestire a qualcun altro in modo che vi siano dei benefici in<br />

termini economici e ambientali per tutto il territorio. Quando crei un’economia le ricadute vanno<br />

a finire sui tutti i vari settori. È vero che quelli che potevano essere i benefici economici per<br />

l’amministrazione potevano essere molto più alti, ma alla fin fine non ci interessava diventare<br />

“la Montecarlo” delle rinnovabili, ma avere la sostenibilità che significa avere e mantenere dei<br />

servizi in grado di creare anche altre attività. Abbiamo fatto la scelta politica di far partire le<br />

attività nei tempi minori possibili (Federico Pennesi, Santa Luce).<br />

* * *<br />

Fortore <strong>Energia</strong><br />

L’area compresa tra la Campania e la Puglia attraversata dal fiume Fortore (che funge<br />

anche da confine tra la Puglia e il Molise), che coincide con i territori delle Comunità Montane<br />

dei Monti Dauni Settentrionali (FG) e del Fortore (BN) che accorpano ventotto Comuni<br />

Appenninici, a cavallo delle province di Foggia e Benevento, già nel 2000 ospitava il distretto<br />

eolico italiano: dei circa 700 MW installati in Italia, sull’Appennino Appulo-Campano erano<br />

in produzione impianti per una potenza complessiva di circa 500 MW, quasi tutti installati<br />

a partire dal 1996. Tale distretto era destinato a crescere ulteriormente, proprio grazie alle<br />

innovazioni normative introdotte a partire dal Decreto legislativo 79/99 (cosiddetto “Decreto<br />

Bersani”) inerente il recepimento della Direttiva europea 96/92/CE sul mercato interno<br />

dell’elettricità che ha definito le linee generali del riassetto del settore elettrico in Italia.<br />

Inoltre, accanto all’eolico, il territorio disponeva di risorse per favorire lo <strong>sviluppo</strong> di altre<br />

fonti rinnovabili: la produzione di biomassa, l’acqua, il sole. Dalla trasposizione dei dati del<br />

Libro bianco per la valorizzazione energetica delle fonti rinnovabili (6 agosto 1999), Libro Bianco<br />

Italiano riferiti a tutte le fonti rinnovabili - con l’esclusione dell’idro medio e grande - per<br />

108


8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />

le province di Campobasso, Benevento, Avellino, Potenza e Foggia – emergevano i seguenti<br />

dati indicativi:<br />

• la potenza installabile potenziale delle varie fonti era di circa 1.000 MW, che corrispondeva<br />

a circa il 20% del potenziale delle fonti rinnovabili in Italia nell’anno 2006;<br />

• l’ammontare totale degli investimenti era equivalente a circa 1.000 milioni di euro, che<br />

corrispondevano a circa il 15% dell’ammontare totale degli investimenti attesi per l’Italia nel<br />

2006;<br />

• rispetto all’impatto occupazionale degli investimenti previsti si poteva prevedere, al<br />

2010, un aumento di circa 1.000-2.000 posti nuovi di lavoro netti;<br />

• la riduzione annuale totale di CO2 prodotta sarebbe stata uguale a 1,6 milioni di tonnellate/anno<br />

che corrispondeva a circa il 15% del contributo italiano previsto per le fonti<br />

rinnovabili;<br />

• l’energia risparmiata in fonti primarie sarebbe stata uguale a 0,51 milioni di TEP, pari al<br />

14,5% del risparmio totale ottenibile dalle fonti rinnovabili in Italia.<br />

Nell’ambito di riferimento sopra accennato le Comunità Montane dei Monti Dauni Settentrionali<br />

(FG) e del Fortore (BN) e il CODIF (Consorzio per la DIFfusione dell’uso razionale<br />

dell’energia e delle fonti rinnovabili, composto da Enea e da alcune tra le più importanti<br />

imprese di Pubblici Servizi italiane) hanno promosso il Progetto integrato Energie Rinnovabili<br />

per lo Sviluppo Ecocompatibile dell’Appennino (P.E.R.S.E.A.), con lo scopo di sollecitare uno<br />

<strong>sviluppo</strong> economico e sociale del territorio dell’Appennino Appulo-Sannitico:<br />

• compatibile con le esigenze di rispetto dell’ambiente;<br />

• coerente con gli obiettivi nazionali di riduzione dei gas serra;<br />

• attento alle aspettative delle popolazioni locali;<br />

• capace di creare nuove occasioni di lavoro e di <strong>sviluppo</strong> in un contesto disagiato.<br />

Le due Comunità Montane e il CODIF, titolare di un Progetto di Iniziativa Comunitaria<br />

(PIC) finanziato dalla Unione Europea, hanno sviluppato quanto previsto in un Patto promosso<br />

a valle della Conferenza Nazionale per l’<strong>Energia</strong> e l’<strong>Ambiente</strong> (novembre 1998), attraverso una<br />

serie di seminari informativi e di work-shop, tenuti nei Comuni della Daunia e del Fortore.<br />

Questi attori hanno, in sintesi, verificato il livello di attenzione degli attori locali (amministratori,<br />

imprenditori e cittadini) verso un nuovo modello di partecipazione al business della<br />

produzione di energia da fonti rinnovabili, nel quale essi potessero essere “soggetti attivi”,<br />

capaci di determinare e di condizionare le scelte imprenditoriali. Avuto un forte riscontro<br />

positivo, le azioni sono state portate dal piano istituzionale a quello imprenditoriale e sono<br />

entrate in gioco le imprese “ex municipalizzate” socie del CODIF, gli imprenditori locali e alcuni<br />

loro partners tecnologici provenienti da altre regioni. Le associazioni datoriali (Confservizi<br />

Cispel, Federelettrica) e di rappresentanza dei lavoratori (CGIL, CISL, UIL) e Legambiente hanno<br />

partecipato ai diversi incontri/seminari, fornendo elementi importanti per lo <strong>sviluppo</strong> del<br />

progetto e hanno partecipato alla sottoscrizione dell’accordo volontario nazionale P.E.R.S.E.A.<br />

Il Progetto P.E.R.S.E.A. è stato avviato e sviluppato su due livelli.<br />

Un primo livello, di carattere istituzionale ha previsto:<br />

• la sottoscrizione di un Patto promosso da Enea e dalle Comunità Montane dei Monti<br />

Dauni Settentrionali e del Fortore nell’ambito della Conferenza Nazionale per l’<strong>Energia</strong> e<br />

l’<strong>Ambiente</strong> (novembre 1998);<br />

• la sottoscrizione di un accordo volontario nazionale nell’ambito delle attività della<br />

Commissione Bicamerale Affari Regionali (2000);<br />

• la sottoscrizione tra le Comunità Montane dei Monti Dauni Settentrionali (FG) e del<br />

Fortore (BN) di un protocollo di intesa per la redazione di uno studio di fattibilità per la<br />

109


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

valutazione delle potenzialità dell’area e la costituzione di una società mista, pubblicoprivata,<br />

per la produzione di energia da fonti rinnovabili.<br />

Un secondo livello, di carattere imprenditoriale, ha previsto la costituzione per pubblica<br />

sottoscrizione di una società per azioni conformata ai principi di una public company. Essendo<br />

chiaro che i benefici maggiori sarebbero stati assegnati a coloro che sarebbero stati capaci<br />

di promuovere e di realizzare gli investimenti, le Comunità Montane hanno:<br />

• sottoscritto un accordo con il Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> per la realizzazione di uno studio<br />

di fattibilità sociale, tecnico, economico, finanziario e amministrativo di <strong>sviluppo</strong> della produzione<br />

di energia da fonti rinnovabili;<br />

• avviato una serie di contatti con imprese di pubblici servizi (le ex municipalizzate) e<br />

con imprese private potenzialmente interessate a partecipare ad una public company (nessun<br />

socio avrebbe potuto avere più del 25% del capitale, né si sarebbero potuti fare patti di<br />

sindacato superiori a tale percentuale);<br />

• promosso la costituzione, per pubblica sottoscrizione, di una società per azioni, Fortore<br />

<strong>Energia</strong> SpA.<br />

La Fortore <strong>Energia</strong> SpA, costituita ad ottobre 2002 per pubblica sottoscrizione presso<br />

un notaio di Lucera (FG), ha stabilito la propria sede legale a Volturara Appula (FG), il paese<br />

più piccolo delle due Comunità Montane. I soci promotori sono stati: Comunità Montana dei<br />

Monti Dauni Settentrionali (10%), Comunità Montana del Fortore (10%), Fen <strong>Energia</strong> SpA di<br />

Brescia (25%), Soluzioni Scarl di San Giorgio del Sannio (BN) (20%). 88 I soci sottoscrittori<br />

sono stati 3 multitutility del Centro-Nord: Meta SpA di Modena (10%), AGSM SpA di Verona<br />

(10%), Sageter <strong>Energia</strong> SpA di Rovato (BS) (15%).<br />

Iscritta nel registro delle imprese, la Fortore <strong>Energia</strong> SpA, ha sottoscritto, con le due<br />

Comunità Montane, una convenzione per la realizzazione di uno studio di fattibilità, cofinanziato<br />

dal Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> e denominato “<strong>Energia</strong> da fonti rinnovabili: un volano<br />

per lo <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> auto-sostenibile” (Soluzioni Società Cooperativa, 2033). Lo studio ha<br />

riguardato l’Appennino Appulo-Sannitico e, in particolare, direttamente le Comunità Montane<br />

promotrici dei Monti Dauni Settentrionali e del Fortore e indirettamente quelle aree per le<br />

quali è presumibile un’espansione del progetto di promozione della produzione di energia da<br />

Fonti Rinnovabili (Gargano - FG; Monti Dauni Meridionali - FG; Tammaro - BN; Riccia - CB).<br />

All’interno di questi territori sono stati individuati dei bacini omogenei composti dai territori<br />

dei Comuni nei quali sono stati realizzati approfondimenti specifici. Nella individuazione dei<br />

bacini si è tenuto conto delle installazioni di impianti da fonti rinnovabili, soprattutto eolici,<br />

già realizzati e della volontà dei Comuni di aderire ufficialmente e di contribuire alla realizzazione<br />

dello studio di fattibilità. Questo ultimo si è articolato in cinque fasi:<br />

1. Raccordo con gli attori locali: sono stati organizzati, in ciascun bacino, dei seminari ai<br />

quali hanno partecipato: amministratori, imprenditori, rappresentanti delle associazioni e<br />

dei cittadini. L’obiettivo è stato quello di coinvolgere i diversi attori sociali - con i loro specifici<br />

bagagli di competenze, professionalità ed esperienze - nelle azioni da intraprendere in<br />

considerazione delle opportunità e dei problemi che le realtà locali devono affrontare. Sono<br />

stati, altresì, promossi accordi e convenzioni tra i Comuni che avrebbero composto ciascun<br />

bacino e la società che avrebbe realizzato il programma imprenditoriale (Fortore <strong>Energia</strong><br />

SpA). Gli accordi hanno previsto:<br />

88 A parte le due Comunità montane, in realtà i soci locali erano tre: il commercialista Michele Raffa di San Giorgio del Sannio<br />

(BN), Antonio Salandra di Biccari (FG) e Riccardo Ducoli, l’unico che già lavorava nel settore energia con la Fen <strong>Energia</strong> di<br />

Brescia. A loro si è aggiunto Pietro Stampone di Biccari (FG) nel 2002 (Borrillo, 2009).<br />

110


8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />

• l’adesione allo studio di fattibilità per la realizzazione di impianti per la produzione di<br />

energia da fonti rinnovabili;<br />

• la promozione di progetti e programmi integrati e multisettoriali per la valorizzazione<br />

delle risorse naturali, umane e finanziarie locali.<br />

2. Valutazione delle potenzialità delle fonti di energia rinnovabili: sono stati effettuati lavori<br />

di definizione delle potenzialità nei diversi settori di riferimento delle fonti rinnovabili<br />

(tecnologia <strong>eolica</strong>, biomasse, solare termico, solare fotovoltaico, miniidro). Le analisi sono<br />

state effettuate mediante tre livelli di approfondimento:<br />

• macro (livello provinciale);<br />

• medio (livelli di Comunità Montana);<br />

• micro (aree omogenee di aggregati di Comuni).<br />

Sulla base dei dati territoriali è stata effettuata una valutazione con metodo “swap” per<br />

valutare le potenzialità sui tre livelli di approfondimento sulla tecnologia <strong>eolica</strong>. In base ai<br />

dati territoriali dell’ISTAT è stata effettuata una valutazione con indicatori specifici per la<br />

definizione delle potenzialità sui tre livelli di approfondimento per le tecnologie biomasse,<br />

solare termico, fotovoltaico, minidro.<br />

3. Promozione di iniziative di business: è stato realizzato un piano di marketing territoriale<br />

che, tenendo conto delle caratteristiche peculiari del territorio delle Comunità Montane,<br />

caratterizzate da uno <strong>sviluppo</strong> assai contenuto di attività produttive, ha illustrato una ipotesi<br />

di <strong>sviluppo</strong> centrata sul settore energetico, come settore portante per una pianificazione<br />

integrata multisettoriale in grado di coinvolgere, oltre all’indotto (componenti impianti da<br />

fonti rinnovabili e servizi), i sistemi produttivi tradizionali locali e cioè l’agricoltura, le PMI e<br />

gli artigiani locali e il turismo (rurale, ambientale, culturale). Sono stati, inoltre, predisposti<br />

e definiti i business plan degli impianti da fonti rinnovabili da realizzare nei diversi bacini,<br />

le iniziative dell’indotto, di produzione e di servizi, potenzialmente attivabili nell’area e le<br />

iniziative dei settori tradizionali che avrebbero potuto trovare beneficio dal volano delle<br />

energie rinnovabili. Una particolare attenzione è stata posta in questo ultimo caso alla<br />

definizione delle opportunità per le imprese agricole di diventare agri-energetiche (ovvero<br />

imprese agricole con piccoli impianti da rinnovabili costruiti ad hoc per le singole esigenze),<br />

per le PMI di utilizzare “kW Verdi”, per il turismo di utilizzare “le strade del vento”.<br />

4. Studio degli strumenti finanziari: è stato caratterizzato dalla ricerca, lo <strong>sviluppo</strong> e la<br />

promozione degli strumenti finanziari più qualificati per il finanziamento: dagli investimenti<br />

diretti (impianti da rinnovabili), a quelli dell’indotto (produzione e servizi) fino a quelli<br />

dei settori tradizionali (agricoltura; PMI; turismo). Il lavoro svolto ha riguardato, quindi,<br />

l’individuazione dei programmi generali di <strong>sviluppo</strong> delle fonti energetiche rinnovabili, specifici<br />

di agevolazione e di finanziamento degli impianti, di agevolazione e di finanziamento<br />

dell’indotto, di agevolazione e di finanziamento dell’azienda agri-energetica e di qualità, di<br />

agevolazione e di finanziamento delle PMI “verdi” e di agevolazione e di finanziamento del<br />

turismo rurale. Un’attenzione particolare è stata posta al tema della raccolta del risparmio<br />

da orientare al finanziamento delle iniziative imprenditoriali da implementare nella fase di<br />

attuazione dello studio e da remunerare con tassi mediamente più elevati di quelli del mercato,<br />

anche evidenziando, da un lato, una elevata propensione al risparmio da parte della<br />

popolazione nell’area <strong>locale</strong>, dall’altro, una bassissimo rapporto tra raccolta e impieghi delle<br />

istituzioni bancarie e finanziarie.<br />

111


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

5. Definizione dei percorsi autorizzativi: sono state definite la contrattualistica e la modulistica<br />

per le convenzioni con gli enti locali e i privati, le procedure necessarie per le autorizzazioni<br />

e le concessioni per ciascuna fonte rinnovabile, nonché quelle per il funzionamento<br />

degli sportelli unici dei Comuni e/o delle Comunità Montane.<br />

Costituita la Fortore <strong>Energia</strong> SpA con un capitale sociale di 7,5 milioni di euro raccolti<br />

con la modalità della “pubblica sottoscrizione”, realizzato lo studio di fattibilità che ha<br />

evidenziato le possibilità di promuovere investimenti per oltre 500 milioni di euro con notevoli<br />

riflessi occupazionali diretti nel settore energetico ed indiretti in quelli delle attività<br />

tradizionali dell’area (agricolo, alimentare; turistico, artigianale; etc.) e avendo raggiunto<br />

l’obiettivo di dare un chiaro indirizzo al progetto di <strong>sviluppo</strong> dei propri territori, le due Comunità<br />

Montane non hanno più partecipato agli aumenti di capitale che hanno portato alla<br />

realizzazione dei campi eolici.<br />

I primi progetti di parchi eolici vengono presentati nel 2002, ma il primo che viene<br />

portato in cantiere è del 2005: il parco da 22 MW (11 aerogeneratori Enercon da 2 MW ciascuno)<br />

di San Chirico nel comune di Roseto Valfortore (FG). Nel 2005 si è avuto, altresì, un<br />

turnover tra gli azionisti: le “ex Municipalizzate” Meta SpA di Modena, AGSM SpA di Verona,<br />

Sageter <strong>Energia</strong> SpA di Rovato, detentrici del 35% del capitale della società, prese da problemi<br />

interni di riorganizzazione ed esterni di aggregazione, hanno lasciato il posto al Consorzio<br />

Romagna <strong>Energia</strong> di Cesena, formato da un gruppo di imprese agroalimentari guidato<br />

da Amadori, Orogel e Conserve Italia che avevano investito in Capitanata (Amadori per gli<br />

allevamenti dei polli) e avevano interesse ad acquistare energia “pulita”. 89 Sono state queste<br />

importanti realtà imprenditoriali che hanno fornito risorse finanziarie sia per gli investimenti<br />

diretti (realizzazione dei parchi eolici), sia per quelli indiretti (aziende agri-energetiche).<br />

Viene così costituita la Holding Fortore <strong>Energia</strong> (prima Srl e poi SpA) che rileva il 98,5% di<br />

Fortore <strong>Energia</strong> SpA. Il 50% della nuova società viene rilevato dai soci romagnoli, mentre il<br />

rimanente 50% va a Wind Farm Fortore <strong>Energia</strong> di San Giorgio del Sannio (BN) che raccoglie i<br />

soci appulo-campani (Fen <strong>Energia</strong>, ETS e Dear). Inoltre, viene stabilito che l’intera produzione<br />

elettrica di Fortore <strong>Energia</strong> sia commercializzata attraverso il Consorzio Romagna <strong>Energia</strong>.<br />

Noi siamo partiti da uno studio di fattibilità: come orientare lo <strong>sviluppo</strong> di un territorio usando<br />

come volano le energie rinnovabili. Un lavoro che è stato fatto prima che nascesse la società.<br />

Uno studio co-finanziato dal Ministero dell’<strong>Ambiente</strong> che aveva diversi capitoli. Uno dei<br />

capitoli diceva: “premesso i benefici che può portare il settore delle energie rinnovabili… per<br />

avere una ricaduta sul territorio è importante che ci sia una realtà territoriale che copre buona<br />

parte della filiera, tranne la produzione dei componenti”, anche se, in un capitolo successivo<br />

dello studio si ragionava anche sulla componentistica e sulla strutturazione di un distretto<br />

industriale. Il primo passaggio era quello di costituire una società che progettasse, realizzasse<br />

89 Romagna <strong>Energia</strong> è nata come consorzio il 22 Dicembre 1999, in concomitanza con la liberalizzazione del mercato elettrico,<br />

dall’associazione di grandi aziende della Romagna, in particolare del settore agro-alimentare; nel 2008, a seguito di un<br />

enorme <strong>sviluppo</strong> sia in termini di volume che, conseguentemente, di bilancio, è divenuta Romagna <strong>Energia</strong> Società Consortile.<br />

Romagna <strong>Energia</strong> è un fornitore di energia elettrica e di gas naturale, si rivolge a tutte le imprese esistenti sul territorio italiano,<br />

alle cosiddette utenze “non civili”. Ad oggi è uno dei principali player del mercato energetico nazionale con 500 consorziati e<br />

oltre 2000 siti in fornitura (alta, media e bassa tensione), 1,5 miliardi di KWh di energia elettrica dispacciata e un fatturato<br />

di circa 191 milioni di euro (anno 2009). Romagna <strong>Energia</strong> è il primo consorzio associativo italiano per punti di prelievo e il<br />

secondo per volumi di energia; è presente in tutte le regioni d’Italia ed è in continua crescita. La società è senza scopo di lucro<br />

con obiettivo di bilancio zero attraverso ristorni sulla tariffa dell’ energia. I soci sono rappresentati dai consumatori stessi, a differenza<br />

della maggior parte delle società di vendita presenti sul mercato; l’utente finale non rappresenta solamente un semplice<br />

cliente, ma diventa socio di un progetto per fornire energia e servizi di elevata qualità, utilizzando le tecnologie più efficienti e<br />

compatibili con l’ambiente. L’attività di Romagna <strong>Energia</strong> in ambito energetico non si limita alla sola fornitura di energia e gas,<br />

ma offre anche capacità e conoscenze in ambito di fonti rinnovabili, autoproduzione, certificati verdi, etc.<br />

112


8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />

e gestisse impianti e possibilmente nella compagine societaria dovevano esserci anche delle<br />

realtà locali che furono identificate nelle Comunità Montane. Quindi, è nata Fortore <strong>Energia</strong><br />

come realizzazione dell’ultimo capitolo e cioè “facciamo una società che lavora con il territorio<br />

e per il territorio”. In questa prima fase, eravamo quattro gatti, le Comunità Montane avevano<br />

una piccola partecipazione insieme con alcuni soggetti locali e alcune multitutility pubbliche<br />

del Centro-Nord. Chiaramente non c’erano soldi e quindi il coinvolgimento dei professionisti,<br />

me compreso, è avvenuto sull’ipotesi di realizzazione del progetto. Sono state fatte una serie<br />

di progettazioni dove vi era un collegamento con i sindaci “amici” cioè che aderivano al progetto<br />

perché interessati. Abbiamo sviluppato dei progetti in questi Comuni. Questi progetti<br />

hanno seguito un iter lunghissimo di autorizzazioni perchè “di sconti” non ne sono stati fatti<br />

a nessuno e poi si è passati alla fase successiva perché alcuni progetti sono stati approvati e,<br />

quindi, potevano essere messi in cantiere. A quel punto è cambiato tutto perché una società<br />

<strong>locale</strong>, sostenuta da dei partner locali, non ha la forza per accedere “al debito”, cioè di accedere<br />

al sistema di credito bancario. Questo è un punto importante. Perché una società piccola<br />

con un progetto così ambizioso, così legato al territorio, deve necessariamente e lentamente<br />

andare con soggetti esterni al territorio che ti portano dalle banche Qui, c’è un problema di<br />

accesso al credito, e questo è il primo tema. Per accedere al credito abbiamo scelto un gruppo<br />

di appoggio che non fosse una multinazionale, ma un gruppo che in qualche modo aveva un<br />

collegamento con il territorio. Abbiamo individuato il gruppo romagnolo formato da Amadori,<br />

Orogel e Conserve Italia di Cesena che hanno diversi soci in Puglia legati agli allevamenti. Loro<br />

sono entrati in società con una quota maggioritaria. Il Gruppo Amadori con tutte le società<br />

collegate ci ha consentito di realizzare il primo parco eolico, cioè ci hanno accompagnato in<br />

banca, la banca ci ha dato il finanziamento e loro ci hanno messo quella parte di equity che<br />

serviva. L’altro aspetto interessante è che l’energia prodotta è stata conferita non a ENEL, ma<br />

al Consorzio Romagna <strong>Energia</strong> che acquista direttamente l’energia. Quindi, nel 2005 c’è stato<br />

già un primo scollamento dal <strong>locale</strong> “stretto”: dato che non c’era un sistema finanziario <strong>locale</strong><br />

adeguato, abbiamo dovuto per forza allearci con soggetti esterni. In un progetto di filiera questo<br />

passaggio poteva non esserci, se c’era un sistema “a monte” che capiva il valore di questa<br />

iniziativa. Tutto questo nonostante la Puglia sia anche piena di banche locali. Il problema è<br />

che i soldi che servono a fare un parco eolico sono tanti (Giovanni Alessandro Selano, Holding<br />

Fortore <strong>Energia</strong> SpA).<br />

Negli anni successivi vengono rapidamente realizzati altri sette impianti eolici nell’area<br />

Fortorina:<br />

• il parco da 18 MW (9 aerogeneratori Enercon da 2 MW) di Spina nel Comune di Roseto<br />

Valfortore (FG) nel 2006; 90<br />

• il parco da 12,3 MW (6 aerogeneratori REpower da 2,05 MW) di Monticelli nel Comune<br />

di Roseto Valfortore (FG) nel 2007;<br />

• il parco da 20 MW (10 aerogeneratori Enercon da 2 MW) di Buglia nel Comune di<br />

Rocchetta S. Antonio (FG) nel 2007;<br />

• il parco da 29,9 MW (13 aerogeneratori Enercon da 2,3 MW) di Franciosa nel Comune di<br />

Rocchetta S. Antonio (FG) nel 2007;<br />

• il parco da 26 MW (13 aerogeneratori Enercon da 2 MW) di Alberona nel Comune di<br />

Alberona (FG) nel 2008;<br />

• il parco da 12 MW (6 aerogeneratori Enercon da 2 MW) di Biccari nel Comune di Biccari<br />

(FG) nel 2009;<br />

90 Nel dicembre 2006, in occasione del 28° anniversario della nascita della Comunità Emmaus di Foggia, c’è stata anche<br />

l’inaugurazione di una torre <strong>eolica</strong> nel Villaggio-comunità di accoglienza Emmaus di Foggia, realizzata con il supporto finanziario<br />

della Banca Popolare Etica. La Comunità può così risparmiare sui costi dell’energia elettrica e in pochi anni ottenere un introito<br />

della vendita dell’energia prodotta in eccedenza.<br />

113


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

• il parco da 40 MW (20 aerogeneratori Enercon da 2 MW) di Serro di Luca nel Comune di<br />

Rocchetta S. Antonio (FG) nel 2010.<br />

Nel 2009-2010 Fortore <strong>Energia</strong> arriva ad avere 8 impianti in esercizio con una potenza<br />

installata di 180,2 MW, ma altri 7 impianti sono in costruzione per complessivi 175 MW e altri<br />

7 sono in <strong>sviluppo</strong> per complessivi 396,8 MW.<br />

Fortore <strong>Energia</strong> nasce con una partecipazione di sue Comunità Montane locali, ma oggi è una<br />

società privata. È comunque una società nata sul territorio e, quindi, diventa quasi automatico<br />

lavorare in un certo modo, perché altrimenti se l’ambiente ti è ostile non si lavora più. Visto<br />

che è tutta gente del posto, dal presidente ai responsabili di progetto, necessariamente devi<br />

operare in una certa maniera. In più, ci sono una centinaio tra dipendenti, consulenti, giovani<br />

che lavorano lì e che altrimenti sarebbero in giro per l’Italia, se non per il mondo, perché in<br />

realtà come quelle un geologo, un ingegnere meccanico o un laureato in economia non hanno<br />

nulla da fare. Questo è un altro aspetto che sicuramente dà forza alla struttura. Non è una<br />

società che viene da “altrove” e che trova il posto più conveniente dove lavorare. Nei principi<br />

della società c’è sempre stato quello di non fare esclusivamente la produzione, ma di trovare<br />

sempre formule per cui si traino anche altre economie. Michele Raffa è stato il fondatore della<br />

Fortore <strong>Energia</strong> SpA ed è uno dei soci principali. Lui, dieci anni fa, ha realizzato uno studio<br />

di fattibilità attraverso la sua società, la Soluzioni Scarl, che è una realtà collocata a San<br />

Giorgio del Sannio (BN) che si occupa di studi economici e di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>. La Fortore è<br />

stata fondata attraverso uno studio di fattibilità su tutta la valle del Fortore, indagando tutte<br />

le potenzialità in relazione alle energie rinnovabili, per capire il nuovo marketing del territorio<br />

legato all’energia, a come tutte queste “nuove economie” potevano essere strutturate in materia<br />

organica. È una cosa interessante perché si è preso un territorio e si sono analizzate le<br />

potenzialità energetiche. Da questo, si partiva con l’idea di coinvolgere le comunità locali, ma<br />

soprattutto portare uno <strong>sviluppo</strong> territoriale attraverso un’economia “di punta”. Il tema è anche<br />

che “l’economia di punta” non rimanga isolata, che ci sia una crescita di vario tipo: turistica,<br />

occupazionale, di benessere generale. Il problema della “non accettazione” alla fin fine è più<br />

prodotto “dall’esterno” che da chi vive il territorio perché comunque ci sono dei vantaggi. A<br />

parte gli affitti dei terreni, c’è stata una crescita sia in termini di occupazione che di imprese.<br />

In alcuni casi, c’è stato un miglioramento della qualità dei paesi, dei servizi o anche degli sgravi<br />

fiscali. Raffa è stato il primo ad avere questa visione, adesso è necessità avere una visione di<br />

questo tipo. Una necessità perché intanto bisogna organizzare quello che c’è e in più capire<br />

come andare avanti, cosa fare, ma in una visione più globale. Alla fine, l’intervento sull’energia<br />

è quello che può trainare altre economie meno forti. Quindi, lo start up di tante altre attività<br />

può essere fatto con un’economia dell’energia. Tutto questo è un tema sociale importante, ma<br />

funziona anche dal punto di vista economico. Se viceversa prevale un atteggiamento molto<br />

“industriale”, spesso non c’è l’appoggio delle popolazioni locali, non c’è l’appoggio della società<br />

che deve sostenere l’iniziativa e poi si ferma lì, non cresce, non evolve (Daniela Moderini,<br />

architetto del paesaggio).<br />

Nello statuto di Fortore <strong>Energia</strong> SpA è stabilito che parte degli utili realizzati deve essere<br />

reinvestito per lo <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> e nella implementazione dei risultati dello studio di<br />

fattibilità, per rafforzare il rapporto con gli enti locali e i cittadini, la società - oltre a un<br />

significativo aumento delle royalties pagate ai Comuni e i fitti/diritti di superficie riconosciuti<br />

ai privati (scelte che hanno “smosso” il mercato dello <strong>sviluppo</strong> dei campi eolici, regolato fino<br />

ad allora da un oligopolio di fatto) – ha cercato di promuovere una ipotesi di <strong>sviluppo</strong> del<br />

territorio centrata sulla produzione di energia da tutte le fonti rinnovabili (quindi non solo<br />

ed esclusivamente dal vento, ma anche da biomassa, dal sole, dal mini-idro), come volano<br />

per una pianificazione integrata multisettoriale dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> auto-sostenibile (risorse<br />

114


8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />

naturali, umane e finanziarie endogene) per cercare di coinvolgere, oltre all’indotto (componenti<br />

impianti da rinnovabili e servizi), i sistemi produttivi tradizionali locali:<br />

• l’agricoltura con le “fattorie del vento”:<br />

L’incontro del sistema di qualità agro-alimentare con l’utilizzo delle energie rinnovabili in un<br />

contesto di sapori e di saperi tipici dell’Italia minore può far fare il salto di qualità a questi<br />

territori. Il raggiungimento della “competitività territoriale” costituisce uno degli obiettivi<br />

prioritari di un programma di <strong>sviluppo</strong> rurale. Un territorio diviene competitivo non soltanto<br />

quando produce materie prime agricole a buon mercato, ma quando è in grado di affrontare la<br />

concorrenza del mercato garantendo, al tempo stesso, una sostenibilità ambientale, economica,<br />

sociale e culturale basata sull’organizzazione e su forme di articolazione inter-territoriale. Le<br />

Fattorie del Vento sono una nuova formula imprenditoriale che unisce la vocazione agricola<br />

delle aree interne collinari e montane con la crescente affermazione della produzione di energia<br />

da fonti rinnovabili. Fondere in questi territori la tematica dello <strong>sviluppo</strong> rurale con il concetto<br />

della multifunzionalità, attraverso la produzione e l’utilizzo delle energie rinnovabili, costituisce<br />

una grande opportunità (Raffa, 2007:103-104).<br />

• le PMI e gli artigiani locali con l’eco-distretto:<br />

Enti pubblici, imprese e cittadini possono richiedere di acquistare tanta energia prodotta da<br />

fonti energetiche rinnovabili, quanti sono i loro consumi annui, a dimostrazione che non tutta<br />

l’energia disponibile ai propri contatori è uguale, bensì può essere differenziata e frutto di<br />

un’attenta scelta. Chi sceglie di certificare l’origine della energia consumata compie un’azione<br />

che ha diversi riflessi:<br />

• introduce il fattore “scelta” nell’ambito del consumo di energia;<br />

• contribuisce a creare un “movimento” a favore della domanda di rinnovabili.<br />

La diffusione della scelta attraverso un “movimento” consente di riconoscere un “valore aggiunto”<br />

ai prodotti e ai servizi ottenuti, contribuendo alla soluzione di emergenze globali.<br />

La partecipazione ai programmi da parte di imprese, oltre a rappresentare una precisa scelta<br />

nella direzione della sostenibilità energetica, costituisce un vantaggio commerciale perché si<br />

ha la possibilità di poter usufruire del relativo logo o label per certificare i prodotti /servizi<br />

che vengono offerti. Inoltre, al di là della produzione e del consumo di kWh verdi, le soluzioni<br />

di intervento ambientale più innovative (produzione di eco-combustibili; recupero ambientale;<br />

riduzione impatti) - che puntano al risparmio, al recupero e alla salvaguardia di risorse ambientali<br />

- sono sicuramente quelle che avranno, in prospettiva, il più alto valore, sia in termini<br />

di ritorno degli investimenti (sottoforma di nuovi ricavi e/o di minori costi), sia in termini di<br />

comunicazione (Raffa, 2007:104).<br />

• il turismo (rurale, ambientale, culturale) con le “strade del vento”.<br />

Si tratta di un progetto che sta promuovendo Fortore <strong>Energia</strong> Spa in collaborazione con i Comuni<br />

nei quali sta realizzando gli impianti eolici. Si sviluppa lungo la dorsale pre-appenninica<br />

meridionale parallelamente alle linee di costa adriatica e tirrenica, prevalentemente in direzione<br />

nordovest sud-est. Le “Strade del Vento” consentono di dare un nuovo senso alle infrastrutture<br />

tecniche eoliche e agli altri interventi nel campo delle Fonti Energetiche Rinnovabili e potrà<br />

calamitare nuove attenzioni sui territori facenti parte dei bacini eolici. I nuovi itinerari “Strade<br />

del Vento”, si potranno incrociare con quelli archeologici, monumentali, storici, naturalistici,<br />

enogastronomici che potranno essere creati o legati ad essi. Più che un itinerario in senso<br />

stretto, le “Strade del Vento” possono intendersi come una linea che collega luoghi straordinari<br />

per caratteristiche geografiche, ambientali, paesaggistiche e storico culturali dalle grandi<br />

115


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

potenzialità turistiche: crinali, pianori, leggeri insellamenti garantiscono le migliori condizioni<br />

per utilizzare al massimo l’energia generata dal vento e al tempo stesso rappresentano possibili<br />

mete di escursioni o punti mediani all’interno di itinerari di altissimo livello. A completare<br />

l’elencazione dei caratteri dominanti è compreso il vento, il principale fenomeno percepibile,<br />

che insieme alla luce forte e abbagliante da sempre accompagna i viaggiatori e gli abitanti di<br />

queste terre (Raffa, 2007:104-105).<br />

A partire dal 2008 inizia la transizione da una struttura organizzativa basata sulla centralità<br />

di Fortore <strong>Energia</strong> SpA, la società operativa proprietaria dei campi eolici in esercizio,<br />

di quelli in costruzione e di quelli in <strong>sviluppo</strong>, a una struttura “satellitare” di “Gruppo”, che<br />

evidenzia le centralità della Holding Fortore <strong>Energia</strong>. Ad essa già faceva capo la stessa Fortore<br />

<strong>Energia</strong> SpA; ad essa fanno capo anche alcune società (sub-holdings) che dovrebbero consentire<br />

una diversificazione territoriale, settoriale e dimensionale dei business. Territoriale,<br />

perchè a Fortore <strong>Energia</strong> SpA fanno capo solo iniziative eoliche in Puglia, Campania, Basilicata<br />

e Molise, in esercizio e in costruzione. Settoriale, perchè a Fortore <strong>Energia</strong> SpA fanno<br />

capo solo iniziative nel settore eolico. Dimensionale, perchè a Fortore <strong>Energia</strong> fanno capo gli<br />

impianti “industriali” di produzione di energia <strong>eolica</strong>. Per la diversificazione territoriale viene<br />

costituita la sub-holding Fortore Energie Rinnovabili. Ad essa fanno capo, nel settore eolico:<br />

• i progetti in iter autorizzativi e in <strong>sviluppo</strong>;<br />

• la società CRETA Energie Speciali (35% di proprietà di un Consorzio di Comuni, prevalentemente<br />

della Calabria);<br />

• la new-co che sarà costituita con GENCO Srl (50% di proprietà di un gruppo di sviluppatori<br />

campani, titolari di una pipeline di circa 200 MW);<br />

• tutte le altre società costituite con altri sviluppatori.<br />

Per la diversificazione territoriale è stata costituita per le attività all’estero (avviate dal<br />

2007), ENDE:<br />

• proprietaria dell’80% di Enerce, una società che opera in Brasile;<br />

• il 100% di Eoliana, per la Romania;<br />

• l’80% di Arenergy, per l’Armenia;<br />

• tutte le altre partecipazioni in società estere (Turchia, Grecia, Albania e Montenegro).<br />

Per la diversificazione settoriale per la produzione di energia sono state costituite: 91<br />

• Fortore Biomasse, per la realizzazione degli impianti di produzione di energia e calore<br />

alimentati da biomasse vegetali;<br />

• Fortore Fotovoltaico, per la realizzazione degli impianti di produzione di energia dal sole<br />

(a inizio 2009 entrano in funzione tre impianti realizzati sui tetti delle grandi unità produttive<br />

del Gruppo Amadori a Sogliano e Santa Maria in provincia di Forlì-Cesena e a Notaresco<br />

e Mosciano in provincia di Teramo);<br />

• Fortore Idro, per la realizzazione degli impianti di produzione di energia da mini-idro;<br />

• Fortore Agroenergie Srl che si occupa della realizzazione di progetti finalizzati allo<br />

<strong>sviluppo</strong> dei piccoli Comuni attraverso la valorizzazione delle risorse energetiche locali, in<br />

particolare attraverso l’iniziativa “Borghi di Eolo” per il recupero dei borghi in disuso che<br />

vede la partecipazione della energy service company Innesco della Banca Popolare Etica.<br />

Gli elementi “chiave” del progetto “Borghi di Eolo” sono:<br />

• la disponibilità della risorsa <strong>eolica</strong> e l’attenzione per la realizzazione del campo eolico<br />

91 Nel 2009, la Encap Srl, società attiva nelle rinnovabili, di cui Fortore <strong>Energia</strong> detiene il 30% del capitale, ha sottoscritto<br />

l’aumento di capitale della società KR Energy quotata in Borsa, acquisendo in portafoglio un pacchetto pari al 4,3% del capitale<br />

per 10 milioni di euro.<br />

116


8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />

“dimensionato” al progetto di recupero del patrimonio immobiliare;<br />

• la disponibilità almeno trentennale del patrimonio immobiliare (proprietà, concessione,<br />

fitto, altro) e delle autorizzazioni necessarie per il recupero.<br />

I soggetti “chiave” del progetto sono:<br />

• Gruppo Fortore <strong>Energia</strong>: garantisce il know how necessario per la progettazione, la realizzazione<br />

e la gestione del progetto di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> e degli impianti FER;<br />

• Comune: garantisce la disponibilità degli immobili e il supporto negli iter autorizzativi degli<br />

impianti FER e di recupero degli immobili;<br />

• Cittadini residenti ed emigrati: partecipano, eventualmente, al progetto con l’ottica di creare<br />

un moltiplicatore di opportunità;<br />

• Società di Gestione (cooperativa o società <strong>locale</strong>, nuova o esistente): fornisce le competenze<br />

per la gestione dell’albergo/villaggio o del parco (http://www.soluzioni-net.it/fortore2/<br />

iborghidieolo/default.asp).<br />

È utile ricordare ciò che si è realizzato in termini di parchi eolici a Roseto. Questo significa che<br />

l’amministrazione ci ha creduto fin dall’inizio, non soltanto come parte finanziaria - le quote<br />

che entrano nelle casse comunali -, ma anche e soprattutto per quello che poteva essere l’indotto.<br />

Usando per quanto riguarda gli introiti, lo <strong>sviluppo</strong> del sociale, la nascita di iniziative verso<br />

le attività produttive, il turismo, l’occupazione. La cosa importante è quello che siamo riusciti<br />

negli anni a fare con Fortore <strong>Energia</strong>. Mancano pochi giorni all’avvio dei lavori di un parco eolico<br />

di due torri comunali in partnership con la Fortore. Si tratta di due aerogeneratori per una potenza<br />

totale di 4,6 MW. Ma, la cosa più importante è che, anche grazie al supporto della Banca<br />

Popolare Etica, ci sarà una parte di azionariato diffuso e quindi la partecipazione anche dei<br />

cittadini. Questa parte si deve ancora fare, però è stata fatta una convenzione, il grosso è già<br />

in campo, gli atti sono stati portati avanti, dobbiamo solo realizzare le torri. Una percentuale<br />

di utile andrà a beneficio di chi vuole investire nell’eolico. Intorno a questo progetto ci sono<br />

anche altre cose: la realizzazione del Borgo di Eolo per il rifacimento ed il recupero di tutti gli<br />

alloggi abbandonati. Appartenevano a persone che hanno lasciato il paese di origine, e quindi<br />

il recupero di case e appartamenti abbandonati, il patrimonio urbanistico del centro storico.<br />

Ancora, la realizzazione di una struttura per l’attività didattica aperta alle scolaresche, non solo<br />

classi di scuole medie ed elementari, ma anche e soprattutto verso gli universitari, e quindi un<br />

motivo di attrazione culturale verso il nostro territorio. Si tratta di un Parco Ecodidattico, che<br />

attraverso un percorso che parte dal centro storico si sviluppa sul fiume Calore attraverso il recupero<br />

di alcuni mulini, si arriva al centro che è composto da una serra fotovoltaica, un piccolo<br />

impianto a biomasse e poi un sentiero che arriva sopra ai campi eolici. Questo centro costituisce<br />

un momento di collegamento tra attività turistica e attività didattica. Il Comune di Roseto ha<br />

già un Osservatorio Ecologico Appenninico e un centro di accoglienza ambientale che durante<br />

il periodo delle gite scolastiche funziona molto. In due anni abbiamo registrato più di 7mila<br />

presenze legate ad attività di didattica con le scuole. In questi anni, con le royalty dei parchi<br />

eolici, Roseto non ha migliorato solo la festa patronale. Da 4-5 anni, a Roseto nascono da 6 a<br />

12 bambini l’anno, che non compensano le morti, però sono un segno di vitalità per un paese<br />

che ha 1.200 abitanti. Nell’indotto dell’eolico lavorano più di 30 ragazzi, sono giovani che sono<br />

rimasti in paese, diversamente sarebbero andati via, coppie che si sono sposate (Lucilla Parisi,<br />

Roseto Valfortore).<br />

Alla riorganizzazione in una struttura di Gruppo viene impressa un’accelerazione improvvisa<br />

a partire dal giugno 2009, allorquando dal Gruppo Holding Fortore <strong>Energia</strong> SpA viene creata<br />

Fortore Wind Srl alla quale vengono trasferiti tutti i 7 impianti eolici all’epoca in esercizio<br />

e i 15 in costruzione e in <strong>sviluppo</strong>. Il 33% del capitale di Fortore Wind Srl viene rilevato dalla<br />

117


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

BKW Italia SpA, 92 controllata italiana del Gruppo Svizzero BKW FMB Energie SA (controllato<br />

dal cantone di Berna e partecipato al 20% da E.On).<br />

Questo accordo viene presentato da entrambe le parti come una “partnership strategica”<br />

finalizzata alla crescita, all’espansione e a nuovi massicci investimenti (Borrillo, 2009).<br />

Entrambi i gruppi, infatti dichiarano che l’accordo di collaborazione ha come obiettivo 600<br />

MW eolici entro il 2016. Fortore Wind dispone di impianti eolici in esercizio per un totale<br />

di 140 MW (che ne fanno il 5° operatore in Italia dopo i gruppi Ivpc, Edens, e International<br />

Power), di impianti eolici in costruzione e prossimi al completamento entro l’anno 2011 per<br />

un totale di 190 MW, nonché di un portafoglio progetti eolici in <strong>sviluppo</strong> per un totale di 360<br />

MW che verranno completati per almeno 275 MW entro l’anno 2016. L’investimento complessivo<br />

di Fortore Wind per il completamento degli impianti in costruzione e la realizzazione dei<br />

progetti in portafoglio è stimato in oltre 1.000 milioni di euro nel periodo 2009/2016. Ma,<br />

l’ambizione è anche quella di chiudere il ciclo dell’eolico, entrando anche nella produzione<br />

industriale di componenti e aerogeneratori.<br />

Il gruppo Fortore sta promuovendo la realizzazione della “filiera <strong>eolica</strong>” tra le regioni della Puglia<br />

e della Campania. Una filiera che prevede la realizzazione di impianti produttivi per <strong>sviluppo</strong> e<br />

produzione di semilavorati e/o finiti per il settore eolico; assemblaggio aerogeneratori; installazione<br />

e manutenzione impianti. Abbiamo cominciato come sviluppatori per progettare impianti,<br />

poi realizzatori con l’ingresso di Amadori e Lucchi, poi abbiamo proseguito con la costruzione<br />

degli impianti fino alla costituzione di un consorzio per la commercializzazione. Per chiudere la<br />

filiera siamo infine passati alla realizzazione di progetti di componenti industriali: il risultato più<br />

importante consisterà nella realizzazione di un aerogeneratore di marchio italiano: “Wind Italia”.<br />

Vogliamo costruire noi le pale, i tempi sono maturi, ci sono le figure professionali e le esperienze<br />

necessarie per questo salto di qualità. Noi le torri in cemento già le facciamo con un’azienda barese<br />

di Modugno: basta guardare ai parchi di Alberona e Biccari. Adesso come gruppo puntiamo a<br />

creare un’atra unità operativa per la produzione delle torri: una unità per assemblaggio e manutenzione<br />

degli aerogeneratori e altre unità per la realizzazione di parti meccaniche. Abbiamo acquisito<br />

sette ettari a Macchia sui suoli ex Sindyal, ottenendo anche l’okay dell’ASI. L’idea è quella<br />

di utilizzare Bicccari (dal prossimo autunno) per costruire torri in cemento. Lacedonia, Candela<br />

e Ascoli per la realizzazione di parti meccaniche delle pale e Manfredonia-Macchia per l’assemblaggio.<br />

A regime l’operazione darà lavoro a non meno di 400 unità direttamente impegnate e<br />

altre 400 nell’indotto. Il sistema entro il 2015 dovrebbe consentire al territorio di produrre ogni<br />

anno una ricchezza pari 3-400 milioni di euro parte dei quali resteranno sul territorio (Antonio<br />

Salandra, presidente della Holding Fortore <strong>Energia</strong> SpA, citato in Borrillo, 2009).<br />

Ma, questi ambiziosi piani devono fare i conti con gli effetti negativi della crisi economica<br />

internazionale che contribuisce a mettere a nudo la debolezza finanziaria dell’intero gruppo.<br />

Per fare fronte alle difficoltà finanziarie, infatti, nel dicembre 2010, per la prima volta il<br />

gruppo è costretto a vendere 4 dei parchi eolici in esercizio (San Chirico, Spina, Monticelli e<br />

Franciosa) con una potenza complessiva di 82 MW (che producono elettricità per un totale<br />

di oltre 160 GWh) alla BKW Italia SpA che nel quadro di questa operazione cede a Fortore<br />

92 La capacità di generazione elettrica della BKW Italia SpA in Italia comprende otto impianti idroelettrici ad acqua fluente<br />

in Lombardia per un totale di 42 MW nominali, una partecipazione del 33% in Fortore Wind Srl (140 MW di impianti eolici in<br />

esercizio), una partecipazione del 25% in E.ON Produzione Centrale Livorno Ferraris SpA (centrale a ciclo combinato da 800 MW)<br />

ed ulteriori partecipazioni di minoranza in impianti a biomasse. BKW Italia SpA dispone inoltre di una partecipazione pari al 48%<br />

in Tamarete <strong>Energia</strong> Srl (centrale a ciclo combinato di picco da 104 MW) ed il controllo del 100% della Volturino Wind Srl (parco<br />

eolico da 25 MW) entrambi in fase di realizzazione. La strategia di BKW in Italia è quella di sostenere i propri volumi di vendita<br />

di energia elettrica anche attraverso il progressivo incremento della propria capacità di generazione da fonti convenzionali e<br />

rinnovabili, pertanto oggi la società è fortemente impegnata nella finalizzazione dei progetti attualmente in <strong>sviluppo</strong> e nella<br />

ricerca di ulteriori opportunità sul territorio italiano.<br />

118


8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />

<strong>Energia</strong> la sua quota (33%) di partecipazione in Fortore Wind. I costi della transazione non<br />

sono stati resi noti.<br />

Fatto il primo parco eolico, abbiamo realizzato il secondo, poi il terzo e così via. La Fortore <strong>Energia</strong><br />

non ha mai venduto, ha sempre operato per svilupparsi, ma a un certo punto ha dovuto vendere<br />

una parte dei suoi parchi perché non poteva più sostenere finanziariamente la crescita. Nel frattempo,<br />

intorno al gruppo Fortore <strong>Energia</strong>, si è creata la possibilità di lavorare, per cui da 5 persone<br />

siamo diventati tantissimi, più di 130 persone tecnici ed ingegneri tra le sedi di Lucera e San<br />

Giorgio del Sannio che fanno tutte le attività dalla misurazione al progetto, al progetto esecutivo,<br />

etc.. Nel frattempo è stata creata anche una società collegata che costruisce parchi eolici. Quindi,<br />

dalla progettazione alla gestione. Poi, che cosa è successo Quando realizzi qualcosa ti vengono a<br />

cercare, e quindi si sono aperte tantissime opportunità, e abbiamo iniziato ad elaborare progetti<br />

ovunque. Poi, alla fine capisci che non puoi andare avanti su tutto, alcune cose le devi valorizzare<br />

e, quindi, alcuni dei parchi eolici già in funzione sono stati ceduti alla società svizzera BKW. Sono<br />

stati passaggi obbligati perché tantissima progettazione non è andata a buon fine, è rimasta<br />

“impelagata” negli iter burocratici che non si sono chiusi, e comunque c’era tantissima gente a<br />

lavorare che non puoi mandare a casa il giorno dopo. Purtroppo, i tempi di approvazione dei progetti<br />

sono molto lunghi. Su questo c’è da dire che il sistema istituzionale “non segue”, anzi tende<br />

a rallentare piuttosto che …. non dico a favorire. Sulla carta loro avevano i 180 giorni per fare le<br />

cose e invece sono diventati tempi biblici. Tempi segnati da dei contrasti tra Ufficio <strong>Ambiente</strong> e<br />

Ufficio Industria, tra Ufficio Industria e Ufficio Urbanistica. In sostanza, la Regione ha dimostrato<br />

di non essere all’altezza, e sto parlando degli uffici e non del governo. Uffici che non avevano le<br />

competenze e che quindi non erano in grado di gestire le autorizzazioni. Nel frattempo, l’eolico<br />

era un “business”, e di conseguenza qui in molti si sono lanciati a fare progetti. Sono arrivati<br />

sui tavoli della Regione centinaia e centinaia di progetti. La Regione ha tentato di regolamentare<br />

queste iniziative, ma alcuni articoli sono stati dichiarati anticostituzionali. Insomma, c’è stato un<br />

pasticcio e alla fine una società come la nostra subisce anche l’onta di avere il via libera per dei<br />

parchi eolici e poi ottenere un’autotutela della Regione che revoca l’autorizzazione unica. Questo<br />

ha bloccato i finanziamenti delle banche, ma si dovevano pagare i fornitori, il che ha comportato<br />

che parte delle attività di proprietà di una società <strong>locale</strong> come la nostra sono dovute essere cedute<br />

ad una società che con la Puglia e con l’Italia non c’entra nulla, Alla fine anche queste attività<br />

della Regione “non coordinate” portano dei danni: non ti rendi conto che una decisione non la<br />

puoi prendere “ a cuor leggero” perché metti in crisi un meccanismo (Giovanni Alessandro Selano,<br />

Holding Fortore <strong>Energia</strong> SpA).<br />

Comunque, i piani ambiziosi non vengono abbandonati, cercando di raggiungerli attraverso<br />

una nuova “alleanza strategica” con Epuron (www.epuron.de), società del Gruppo<br />

Conergy (www.conergy.it) leader in Europa nello <strong>sviluppo</strong> e nel finanziamento dei progetti<br />

eolici, fotovoltaici e bio-energia, che porta alla nascita di Forturon, nuovo marchio che unisce<br />

Fortore <strong>Energia</strong> a Epuron al fine di progettare, finanziare, costruire, gestire e manutenere<br />

impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. 93 In occasione dell’annuncio della<br />

partnership viene presentato il progetto per un nuovo aerogeneratore che dovrebbe essere<br />

prodotto negli stabilimenti di San Bartolomeo in Galdo. La filosofia di Forturon è coerente<br />

con la storia di Fortore <strong>Energia</strong>: la società realizza impianti eolici per promuovere lo <strong>sviluppo</strong><br />

auto-sostenibile del territorio, promuovendo la costruzione di società miste per i comuni. La<br />

93 Forturon installa impianti prodotti da società controllate. In particolare opera con un suo aerogeneratore assemblato nella<br />

fabbrica di San Bartolomeo in Galdo (BN). Forturon realizza gli impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile utilizzando<br />

servizi, impianti e componenti prodotti da società del gruppo Conergy e Fortore: Fotovoltaico (Inverters, Sistemi di voltaggio,<br />

Trackers, Sistemi di monitoraggio e misurazione), Solare termico (Sistemi completi solare termico), Eolico (Turbine per mini<br />

eolico da 8kW)<br />

119


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

proposta prevede la realizzazione di una società a responsabilità limitata per la realizzazione<br />

del campo eolico: il 51% della società posseduta dal comune e il 49% viene acquistato dal<br />

socio privato operativo di minoranza. Il socio operativo di minoranza provvede a finanziare<br />

l’intero investimento impegnandosi a ricercare sia il debito che a procurare l’intera equity.<br />

* * *<br />

Tocco da Casauria (PE)<br />

Tocco da Casauria è un piccolo comune (2.700 abitanti) delle montagne d’Abruzzo (vicino<br />

al Parco della Majella), in provincia di Pescara, 94 che di recente è stato oggetto di un servizio<br />

da parte del New York Times (2010) per la sua politica ambientale ed energetica. Oggi, Tocco<br />

produce tutta l’energia elettrica di cui ha bisogno (con un surplus del 30%) con un impianto<br />

eolico (realizzato e gestito da FERA) da 3,2 MW, composto da 4 aerogeneratori tripala Enercon<br />

E48 da 800 kW ciascuno (per un investimento complessivo di circa 4,5 milioni di euro)<br />

per una produzione elettrica annua di circa 7.200 MWh, con un impianto fotovoltaico da 24<br />

kW installato sul magazzino del cimitero e alcuni grandi impianti idroelettrici (Salvia, 2010).<br />

L’impianto è inserito in modo armonioso nel paesaggio: gli aerogeneratori non spiccano sul<br />

crinale della montagna, come spesso succede, ma si trovano su un pendio in un uliveto secolare,<br />

con vista sul castello ducale del XIII sec.<br />

A Tocco, il nostro parco è inserito in un uliveto. Abbiamo comperato i terreni vicini al parco<br />

eolico, per cui siamo proprietari di alcuni ulivi. Tutti gli anni nel “ponte dei morti”, andiamo a<br />

raccogliere le olive e facciamo la vita dei Toccolani: prendiamo le olive, le portiamo al frantoio<br />

e lì incontriamo la comunità e vedono che anche noi siamo legati al territorio. Tutti gli anni andiamo<br />

a raccogliere le olive perché è un momento di team bulding per l’azienda, ma anche “di<br />

vivere il territorio”. Il nostro olio fa parte dei gadget aziendali. È ovviamente biologico, perché<br />

oltre alla potatura canonica non facciamo niente, se non raccogliere le olive (Canavero, FERA).<br />

Nel 1989 il paese venne scelto dall’Unione Europea come sede per un progetto dimostrativo<br />

sull’energia <strong>eolica</strong>, per cui nel 1992 furono installati 2 aerogeneratori monopala M30 da<br />

200 kW ciascuno che producevano al massimo il 25% dell’energia necessaria per far fronte ai<br />

consumi di elettricità del paese e che soprattutto facevano un gran rumore. Tale impianto è<br />

stato smantellato nel 2006, mentre nel 2007 sono stati installati i primi due nuovi aerogeneratori<br />

(gli altri due sono attivi dal 2009). 95<br />

Oggi, il Comune di Tocco di Casauria incassa circa 170 mila euro all’anno dalle royalties del<br />

campo eolico, il 7% dell’inero bilancio comunale. Soldi che sono serviti per abolire le imposte<br />

locali, nonché la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e per assumere due spazzini<br />

in più, 96 per rimettere a posto prima il castello (Gervasio, 2007) e poi la scuola danneggiata<br />

dal terremoto dell’Aquila, e per tenere bassa la retta della mensa scolastica. L’impianto fotovoltaico<br />

è costato 21 mila euro, tra sette anni il comune inizierà a guadagnare, mentre già<br />

oggi gli abitanti ne beneficiano, dato che non pagano più i 15 euro all’anno per la corrente del<br />

94 Tocco da Casauria fa parte della Comunità montana della Maiella e del Morrone. Il paese sorge su un colle nella valle del<br />

fiume Pescara, a circa 40 km dal capoluogo di provincia, lungo la strada che la collega a Roma, poco prima delle Gole di Popoli.<br />

95 In sostanza, nel caso del nuovo impianto si è trattato di un progetto di re-powering.<br />

96 Per “Comuni Ricicloni 2010”, il rapporto di Legambiente sulla gestione dei rifiuti e la raccolta differenziata in Italia, Tocco<br />

da Casauria è al 57esimo posto nella graduatoria di categoria: secondo tra i comuni della Regione Abruzzo e primo nella Provincia<br />

di Pescara. Un risultato che è frutto anche di piccole, ma significative attenzioni, dalla raccolta porta a porta al sistema di<br />

raccolta degli olii esausti e di frittura, all’utilizzo di materiale biodegradabile nella mensa scolastica.<br />

120


8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />

lumino. Inoltre, in paese sono già 13 le famiglie che hanno messo i pannelli sul tetto della loro<br />

casa, mentre un allevatore di pecore e capre li ha montati sul tetto della sua stalla. 97<br />

Attualmente, il Comune sta studiando la costruzione di un quinto aerogeneratore gestito<br />

direttamente dal comune che raccoglierebbe i soldi dai cittadini con l’azionariato popolare.<br />

Inoltre, il Comune è impegnato nello <strong>sviluppo</strong> di un programma di abbattimento dei<br />

quantitativi di rifiuti che ancora oggi vengono destinati alla discarica. Due sono i progetti<br />

in programma. Innanzitutto, un incentivo economico alle famiglie che affrontano l’avventura<br />

della nascita di un bimbo, alle quali saranno rimborsati 300 € qualora decidessero di<br />

sostituire (almeno in parte) l’uso dei pannolini usa e getta con quello di pannolini lavabili,<br />

ormai in commercio da anni. Il secondo passo è quello di aderire alla campagna europea per<br />

l’abolizione dell’uso dei sacchi in plastica. Infine a gennaio 2010 è stato approvato il nuovo<br />

regolamento per l’edilizia sostenibile che introduce obblighi per l’isolamento termico e orientamento<br />

dei nuovi edifici, per la riduzione dei consumi idrici nonché introduce una serie di<br />

incentivi a favore dell’installazione delle fonti di energia rinnovabili.<br />

* * *<br />

Scansano (GR)<br />

La centrale <strong>eolica</strong> di Scansano (Grosseto) è formata da 10 aerogenertori della spagnola<br />

Gamesa per un capacità totale di 20 MW, in grado di produrre elettricità per 22 mila famiglie.<br />

Nel corso degli ultimi 10 anni questo impianto è stato uno di quelli maggiormente al centro<br />

delle polemiche tra associazioni che difendono il paesaggio e associazioni ambientaliste.<br />

La campagna mediatica contro l’eolico è un attacco scientifico finalizzato a creare il mostro. In<br />

questi anni, il mostro è stato l’impianto di Scansano in Toscana che è stato etichettato come<br />

tale. Mario Pirani ne ha parlato tante volte su La Repubblica. Mi ricordo interventi di Fulco<br />

Pratesi a convegni e in Tv in cui diceva: “si rischia di creare degli ecomostri come Scansano”.<br />

Pratesi non l’aveva neanche visto il progetto di Scansano, perché io glielo ho chiesto. In questi<br />

casi si entra dentro un loop per cui si nomina sempre un progetto. L’impianto di Scansano è<br />

un bellissimo progetto. Se oggi si va a Scansano e si dice ai cittadini di toglierlo ti dicono:<br />

“ma di che stai parlando”, perché è un impianto che sta in una zona in cui uno solo lo vede,<br />

il Biondi Santi (importante produttore di vino Montalcino e Morellino, ndr), che è quello che,<br />

insieme ad Italia Nostra, ha fatto i ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato per bloccarlo. Noi, come<br />

Legambiente, abbiamo pure giocato un ruolo in questo caso. Quando all’inizio il progetto era in<br />

fase di impostazione, ci sono state le polemiche, e noi abbiamo detto alla Gamesa e al Comune<br />

di cercare di costruire un percorso di partecipazione e di informazione e poi di investire in un<br />

percorso in loco dato che si tratta di un posto particolarmente bello dal punto di vista panoramico,<br />

perché si vede dall’Amiata fino al mare. Questo è stato realizzato, con pochi soldi, perché<br />

le aziende tendono sempre a mettere pochi soldi in questi aspetti del progetto, però questo<br />

oggi permette di far diventare quello un posto che le persone vanno a visitare, a vedere. Oggi, è<br />

un nuovo paesaggio, anche vissuto, mentre prima era una zona dove non ci andava nessuno. Il<br />

motivo per cui è stato fatto lì l’impianto di Scansano è stato perché c’era un mega elettrodotto,<br />

per cui è stato detto a Gamesa di farlo lì in modo da eliminare quell’infrastruttura fortemente<br />

impattante. Però, si è preferito creare il mostro (Edoardo Zanchini, Legambiente).<br />

97 Tocco è noto anche per la Centerba, un liquore ricavato dalla distillazione di diverse piante della Maiella, inventato dal<br />

farmacista Beniamino Toro come medicamento. Nel 1817 diviene prodotto di consumo. Per quanto riguarda l’olio d’oliva, la<br />

provincia di Pescara, e quindi Tocco, è stata tra le prime in Italia ad ottenere il riconoscimento ufficiale da parte dell’Unione<br />

europea per la denominazione di origine protetta (D.O.P.) del suo Olio di Oliva Extravergine “Aprutino Pescarese”; questo marchio<br />

certifica l’alta qualità dell’olio extravergine prodotto in questa zona. Il vino prodotto è di ottima qualità ed è quello tipico della<br />

cultura abruzzese: Montepulciano, Cerasuolo e Trebbiano con ottime caratteristiche organolettiche, di gusto e retrogusto.<br />

121


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Conosco molto bene, perché l’ho seguito, un caso che riguarda il Comune toscano di Scansano,<br />

dove l’amministrazione comunale, il sindaco in particolare, Flavio Morini, sono stati i principali<br />

fautori di questa scelta. Una scelta che ha anche provocato l’opposizione di Biondi Santi. Questo<br />

è un caso tipico in cui l’opposizione che è stata presentata come l’opposizione della comunità era,<br />

assolutamente legittima dal suo punto di vista, di un signore al quale le pale eoliche rompevano<br />

le scatole perché le vedeva dalla finestra della sua tenuta. È un caso tipico in cui il problema<br />

dell’accettazione sociale è stata molto ingigantita, ma è anche un caso tipico in cui la comunità<br />

ha accettato questa scelta e anzi l’ha sentita come una scelta propria, vedendo in questa scelta la<br />

possibilità anche di un modello di produzione di energia non solo meno impattante da un punto<br />

di vista ambientale, ma anche conveniente per quel territorio. Per cui credo che un modello come<br />

questo, poi ce ne sono altri in giro per l’Italia, ma questo di Scansano è quello che ho seguito<br />

di più e, quindi, conosco meglio, sia un modello di successo perché il controllo democratico,<br />

pubblico, sulle scelte, non avviene soltanto nelle forme di contrasto, di dialettica, per cui nasce il<br />

comitato, ma avviene dall’inizio, nella misura in cui un Comune – una amministrazione che poi<br />

come hanno dimostrato le elezioni gode della fiducia dei cittadini – non solo è il proponente di<br />

quella iniziativa, ma ne diventa anche il garante (Roberto Della Seta, senatore).<br />

L’impianto è stato completato nel 2006, ma nel 2007 è stato bloccato dal Tar, mentre<br />

nel 2008 una sentenza del Consiglio di Stato ha sbloccato definitivamente la situazione, respingendo<br />

tra l’altro le osservazioni dei ricorrenti, l’azienda agraria Montepò di Jacopo Biondi<br />

Santi e Italia Nostra, in merito all’inquinamento acustico, all’altezza massima delle torri e ad<br />

altre obiezioni sull’iter amministrativo. Veniva anche sollevata l’incompatibilità dell’impianto<br />

con le vigne da cui si ricavano il Brunello e il Morellino e che tappezzano le vallate circostanti.<br />

Le motivazioni sono state ritenute tutte prive di fondamento dal Consiglio di Stato, tranne<br />

una: l’aver affidato il monitoraggio dell’impatto degli aerogeneratori sull’avifauna all’azienda<br />

titolare. Una decisione ritenuta “contraddittoria” nell’iter stabilito dalla Regione.<br />

Il parco eolico di Scansano è da 20 MW e soddisfa circa 22 mila famiglie come fabbisogno. È composto<br />

da 10 aereogeneratori da 2 MW ciascuno, per un investimento di circa 30 milioni di euro.<br />

Perché è importante questo parco Dopo tutte le vicende giudiziarie che ha avuto, adesso funziona<br />

e funzione per come era stato progettato, cioè produce energia per quelle 22 mila famiglie,<br />

anzi quest’anno, rispetto alle 1.600 ore programmate di vento, ne ha fatte 1.800, perché tutti e<br />

10 gli aereogeneratori funzionano. Perché è importante questo parco rispetto ad altri parchi eolici,<br />

anche più grandi È importante perché se un parco eolico, così contestualizzato nel paesaggio,<br />

diventa un parco didattico per i ragazzi che, oltre a produrre energia, spiega come funziona l’energia<br />

rinnovabile e viene così ben inserito nel paesaggio agrario toscano, dove ci sono quei bocage<br />

di siepi, per cui diventa chiaramente un fuori scala rispetto all’aereogeneratore alto 90 metri, vuol<br />

dire che il grande eolico, se fatto bene, può essere fatto chiaramente dove c’è vento, ma anche<br />

rispettando criteri di buon inserimento nel paesaggio esistente (Flavio Morini, ANCI e Scansano).<br />

In questi anni, il sindaco di Scansano è riuscito, con successo, anche ricontrattare i termini<br />

della convenzione tra il Comune e l’operatore del parco, riuscendo ad alzare le royalties<br />

per che vanno all’amministrazione comunale.<br />

Quando è stata fatta la convenzione per il parco eolico il sindaco di Scansano non ero io. Noi<br />

avevamo una convenzione assurda. Non so come mai sia stata firmata. Io non l’avrei mai<br />

firmata. Una convenzione fatta al contrario, per due motivi. Il primo, si basava su una percentuale<br />

a decrescere. Per assurdo, il parco produce poco all’inizio e tanto dopo, quindi tu fai<br />

una convenzione a crescere, anche perché le spese all’inizio si ammortizzano meno per cui si<br />

pagano più volentieri a crescere che a decrescere. Probabilmente, il sindaco precedente l’aveva<br />

122


8. Ricadute territoriali e buone pratiche<br />

fatta secondo il suo mandato. Peraltro, recuperava una percentuale bassissima perché alcune<br />

opere – come la strada e altre infrastrutture – venivano fatte nella sua legislatura, ma quelle le<br />

fanno comunque tutti. La storicizzazione della royalty era: il 2% per i primi 5 anni, l’1,8% dal<br />

5° all’8° anno e l’1,5% dall’8° anno in poi. E purtroppo questo solo sulla produzione di energia,<br />

mente, come si sa, la vera rendita dei parchi eolici oggi è la vendita dei certificati verdi, più<br />

che la produzione di energia. Tant’è che allora la produzione di energia stava a 40 euro a MW,<br />

mentre i certificati verdi stavano a 170 euro. Praticamente, questo parco per il Comune produceva<br />

un introito quasi nullo – circa 20 mila euro all’anno. Una vergogna! Quando sono diventato<br />

sindaco, sono andato dall’operatore che prima era la società spagnola Gamesa, poi diventata<br />

Endesa, e poi E.On, sostenendo che questa convenzione era ridicola. Era la più bassa in tutta<br />

Italia. Loro hanno annuito, ma mi hanno anche detto che noi l’avevamo firmata e che non avevano<br />

intenzione di ritoccarla. Allora, io dissi che voleva dire che quando avrei parlato di E.On ne<br />

avrei parlato male. Loro si sono dimostrati disponibili a parlarne e l’abbiamo rivista. Abbiamo<br />

rifatto una convenzione che non è l’ottimale che si sarebbe potuto fare all’inizio, ma è 4-5 volte<br />

superiore alla precedente. Abbiamo stabilito delle percentuali in base alle condizioni di vento.<br />

Minimo dell’1,6%, sia sulla produzione di energia che sui certificati verdi. L’1,8% se si sta tra<br />

le 1.700 e le 1.800 ore, l’1,8% se si sta tra le 1.800 e le 2.000 ore, il 2% se è oltre le 2.000, e<br />

sopra le 2.100 è il 2,2%. Quindi, siamo arrivati ad una percentuale che si è avvicinata a quella<br />

che si sarebbe potuto fare normalmente intorno al 2,5-3%. Le pale funzionano dal 2006, però<br />

ci sono state delle sentenze con problemi giuridici, per cui non si poteva fare la manutenzione.<br />

Si diceva che il parco di Scansano non produceva. Chiaro, se di 10 pale, 7 erano ferme! Ora che<br />

ne funzionano 10, il parco quest’anno ha prodotto per 1.800 ore di vento. Quindi, il parco è<br />

andato a regime solo nel 2010, dopo 4 anni di tribolazioni giudiziarie. Tenga conto che io sono<br />

l’architetto di Biondi Santi e gli ho fatto la cantina. Lui, quando mi vede, mi dà una pacca<br />

sulla spalla, perché mi vuole bene, e poi mi dice un po’ di ingiurie, perché ho contribuito alla<br />

realizzazione del parco. Non me ne pento e rimprovero a lui un fatto: invece di dire che il parco<br />

non lo voglio, fa schifo e non lo voglio vedere, perché non dice che il suo vino è più buono perché<br />

viene prodotto in un territorio dove ci sono le energie rinnovabile, sfruttando questo come<br />

marketing territoriale. Cosa che altri hanno fatto. La popolazione <strong>locale</strong> è felicissima del parco<br />

eolico, È fondamentale, quando si fanno questi impianti, non agire da soli, come sindaci e amministratori,<br />

perché se no vieni massacrato. Bisogna sempre coinvolgere la popolazione <strong>locale</strong>,<br />

chiedendogli che ne pensa e soprattutto far capire il prima e il dopo cosa può comportare sotto<br />

vari aspetti. Nel nostro caso, oltre ad avere circa 3 mila persone l’anno, Murci, che è la frazione<br />

dove è il parco, si sta popolando di attori, proprio perchè un posto bellissimo, ottocentesco,<br />

con una natura incontaminata. Nel mio comune ci sono solo 16 abitanti per kmq. La gente<br />

viene a stare lì e non solo non gli dà fastidio il parco, ma gli fa piacere perché vuol dire che un<br />

ente pubblico si è mosso nella direzione della sostenibilità (Flavio Morini, ANCI e Scansano).<br />

Le royalties che il Comune di Scansano incassa dall’operatore in base alla produzione<br />

di energia elettrica del parco eolico vengono reinvestiti in progetti legati alle rinnovabili e<br />

all’educazione ambientale.<br />

Quello che la politica deve fare, cosa è È fare in modo che si crei una filiera anche dove si fanno<br />

in grandi impianti. Un grande impianto si può fare. A Scansano è stato fatto un parco eolico,<br />

ma cosa è stato fatto con i proventi del parco eolico Sono stati reinvestiti per fare fotovoltaico<br />

sulle scuole, per fare educazione ambientale per i cittadini, è stato creato un centro didatticoambientale<br />

dove si parla di energie rinnovabili. Lì c’è un parco che viene visitati da circa 3 mila<br />

persone all’anno, dove si spiega tutto il percorso dell’eolico, ci sono delle altane da dove si può<br />

osservare il paesaggio, dove si illustra la flora e la fauna presente. Quindi, il parco eolico è diventato<br />

per il territorio un punto di riferimento. Nessuna di quelle 3 mila persone sarebbe andata<br />

sul quel territorio. Ha riaperto il piccolo bar, ha riaperto il piccolo ristorante, l’agriturismo lavora<br />

123


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

di più. Quindi, legato al mondo del parco eolico c’è un altro mondo. Non è che queste cose sono<br />

necessariamente negative, dipende da come le si fa (Flavio Morini, ANCI e Scansano).<br />

* * *<br />

Peglio (PU)<br />

Il piccolo Comune di Peglio (PU) è stato tra i comuni premiati da Legambiente nel 2011<br />

per la realizzazione di un parco minieolico (inaugurato il 10 ottobre 2010). L’impianto, situato<br />

nell’area degli impianti sportivi, è formato da due torri da 50 kW ciascuna con una produzione<br />

netta di 162 MWh annui in grado di coprire da soli il 21% dei consumi elettrici domestici<br />

dell’intero Comune. L’intervento è costato circa 228.000 euro ed è stato finanziato dalla<br />

Comunità Montana dell’Alto e Medio Metauro di cui il Comune di Peglio fa parte. L’impianto<br />

permette di evitare l’emissione di oltre 90 tonnellate di CO2 l’anno. Il Comune di Peglio è<br />

interessante anche per gli obiettivi energetico-ambientali che si è proposto di raggiungere<br />

entro il 2014, che riguardano lo <strong>sviluppo</strong> di impianti da fonti rinnovabili in edifici pubblici e<br />

privati, e di sistemi per il risparmio energetico. Tra le realizzazioni in corso si può segnalare<br />

il nuovo impianto fotovoltaico da 19,44 kW di potenza installato sulle coperture del centro<br />

polifunzionale, a cui si affiancherà un impianto fotovoltaico da 36 kW che verrà installato<br />

sulle coperture del cimitero. Per quanto riguarda il solare termico si segnala l’installazione di<br />

15 mq di pannelli per la produzione di acqua calda sanitaria necessaria al centro sportivo. Tra<br />

i progetti in corso, c’è il piano strategico per l’illuminazione pubblica che prevede la sostituzione<br />

delle lampade meno efficienti con un risparmio di 13.000 kWh annui, mentre il Comune<br />

ha in programma la realizzazione di una centrale a biomassa da cippato di piccole dimensioni<br />

(500 kW) alla quale verrà collegata una piccola rete di teleriscaldamento.<br />

* * *<br />

Mammola (RC)<br />

Un altro caso interessante è quello del parco eolico di 11 aerogeneratori della potenza<br />

di 9,35 MW attualmente in corso di realizzazione (dovrebbe entrare in funzione nel 2011) di<br />

Piano di Canolo nel territorio del comune di Mammola. La vicenda da cui è nata l’idea risale<br />

al lontano 2003. Dopo vari sopralluoghi di agenti di imprese nazionali ed internazionali, i<br />

quali avevano intuito le grandi potenzialità che l’Aspromonte poteva offrire in fatto di energie<br />

rinnovabili, l’allora presidente del Parco d’Aspromonte, Tonino Perna, aveva convocato diversi<br />

sindaci dell’area aspromontana. Nacque inizialmente un patto tra quindici comuni ed il Parco<br />

chiamato “Alleanza dei figli di Eolo”. Nello stesso periodo, all’interno del Consiglio direttivo<br />

del Parco, alcuni consiglieri avevano espresso il desiderio di occuparsi seriamente della questione<br />

delle energie rinnovabili. Maturò così l’idea di dar vita ad una società denominata Eolo<br />

21 SpA dal sindaco di Mammola Antonio Longo. 98 La società, inizialmente, era formata da<br />

sette comuni (Mammola, Canolo, Cittanova e San Giorgio Morgeto) ed il Parco d’Aspromonte<br />

che allora aveva la quota maggioritaria poi venduta al Gruppo ICQ di Roma (che ora ha una<br />

partecipazione del 49%). Canolo, Cittanova e San Giorgio Morgeto. L’attuale obiettivo della<br />

società la realizzazione di circa 180 MWe eolici e 10 MW alimentati a biomasse e piccoli idroelettrici<br />

per un investimento previsto di euro 120.000.000,00.<br />

98 Da notare che Mammola è stato uno dei pochi comuni che ha fatto tesoro dei finanziamenti dei POR Calabria 2000/2006<br />

che riguardavano il risparmio energetico, con cui il comune ha portato avanti dei lavori di ammodernamento della rete di illuminazione<br />

pubblica, sostituendo tutti gli apparecchi illuminanti con altri a basso consumo energetico.<br />

124


9. Aprire una seconda fase:<br />

rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

In questi 15 anni, lo <strong>sviluppo</strong> dell’energia <strong>eolica</strong> e delle altre rinnovabili è avvenuto quasi<br />

esclusivamente a seguito della diffusione sul territorio di grandi impianti industriali. Impianti<br />

di grande taglia sono presenti in 260 dei 374 Comuni dell’eolico. Oggi, aprire una seconda<br />

fase della diffusione dell’eolico e delle altre rinnovabili, significa avviare una programmazione<br />

capace di disegnare un modello che non sia costituito esclusivamente da impianti di grandi<br />

dimensioni.<br />

Il modello di energia verso il quale dobbiamo tendere è quello di un modello energetico distribuito,<br />

non fatto solo da grandi impianti, ma anche da piccoli impianti distribuiti sul territorio.<br />

La tecnologia ci aiuta in questo, perché ormai oggi esistono degli aereogeneratori altri 1 metro<br />

e ½ - 2 metri che si possono montare sul tetto di casa, sulla terrazza o lungo le nostre vie.<br />

L’evoluzione tecnologica va avanti e il modello deve essere distribuito perché l’energia prodotta,<br />

se consumata sul posto, elimina tutta una serie di problemi: dalla perdita di carica dovuta al<br />

trasporto, al sovraccarico della rete e, quindi, allo stand by degli impianti e al dispacciamento.<br />

Ma, soprattutto, consente due fattori importanti:<br />

1. che si muove tutta un’attività economica intorno a questo tipo di energia distribuita sul<br />

territorio;<br />

2. che gli incentivi che ci sono possono essere messi a frutto in un quadro più ampio, mi riferisco<br />

ad esempio agli imprenditori agricoli che in questo momento hanno necessità anche di<br />

poche migliaia di euro all’anno per mantenere il paesaggio e le aziende agricole in esercizio.<br />

La politica per essere saggia per il nostro territorio dovrebbe favorire l’installazione massiccia<br />

delle rinnovabili a basso impatto, quindi di piccole dimensioni, distribuite al massimo sul<br />

territorio. La politica dovrebbe consentire, attraverso accordi fatti con il credito, attraverso un<br />

fondo di rotazione o comunque uno strumento finanziario, agli agricoltori di avere un prestito<br />

a basso tasso o a tasso quasi nullo, per installare impianti eolici o fotovoltaici, in modo che lo<br />

possano restituire nel momento in cui il GSE gli ridà il contributo, dal momento che l’impianto<br />

è entrato in funzione. Chiaramente, questi sono soldi che passano attraverso gli incentivi e che<br />

derivano dalla bolletta dei cittadini e che sarebbe corretto che venissero reimpiegati per queste<br />

questioni (Flavio Morini, ANCI e Scansano).<br />

È, dunque, importante proprio per le caratteristiche del territorio italiano, approfondire<br />

anche l’opportunità di aerogneratori di dimensione ridotta, che risultano più facilmente in-<br />

125


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

tegrabili rispetto a quelli di grande taglia in aree agricole estensive ed anche insediamenti<br />

artigianali/industriali. 99<br />

È pensabile un coinvolgimento attivo con una ricaduta che non sia solo sui proprietari dei<br />

terreni come avviene adesso, nel caso del mini eolico, che potrebbe avere un certo <strong>sviluppo</strong> e<br />

soddisfare delle esigenze locali. C’è un incentivo molto buono e siamo solo agli inizi di questa<br />

tecnologia. Per questo si potrebbe vedere un ruolo attivo perché consentirebbe di produrre energia<br />

a coloro che la consumano direttamente, come realtà dell’agricoltura o della piccola e media<br />

industria (Gianni Silvestrini, Kyoto Club).<br />

Oggi, sono 123 i Comuni che possiedono nel proprio territorio impianti minieolici, cioè<br />

torri di potenza sotto i 200 kW, per una potenza complessiva di 4,2 MW (Legambiente,<br />

2011:63-64). I notevoli progressi nella sperimentazione realizzati nel Nord Europa hanno<br />

permesso di verificare la fattibilità tecnico-economica anche in aree con condizioni di vento<br />

medie, dove si può soddisfare il fabbisogno di una domanda di energia diffusa nel territorio,<br />

con investimenti che in pochi anni diventano competitivi e la possibilità di creare una filiera<br />

di aziende agroenergetiche e artigianali. Per arrivare così a sviluppare un modello energetico<br />

innovativo, che in parte utilizza/consuma direttamente sul posto l’energia prodotta e in parte<br />

la interscambia in rete.<br />

Per quanto riguarda l’estero: in Germania si fanno molti più parchi eolico, ma più piccoli e<br />

quasi mai in project financing. Vanno in banca, chiedono il prestito, non devono costituire una<br />

società dedicata a quel parco eolico. Ad esempio, un grosso consorzio agricolo che decide di<br />

installare tre turbine, va in banca e si fa finanziare. Siccome c’è certezza di quanto guadagneranno<br />

per i prossimi 15 anni, la banca li finanzia perché c’è stabilità. I parchi eolici in Germania<br />

sono più piccoli perché ci sono anche degli investitori privati che lo fanno, che vedono una<br />

convenienza nel fare questo. In Germana ci sono parecchi agricoltori che si consorziano per<br />

costruire un parco eolico. Le banche locali tedesche certamente supportano il business (Carlo<br />

Schiapparelli, REpower).<br />

A noi piacerebbe avere tante piccole torri eoliche – minieolico – disseminate nelle nostre imprese<br />

oppure disseminate sul territorio per creare energia spendibile localmente per lo scambio sul<br />

posto o attraverso delle reti che guidino delle possibilità di uso. Anzi, questo potrebbe essere un<br />

elemento apprezzabile di valorizzazione dell’insediamento sul territorio. Abbiamo anche cercato<br />

in qualche occasione di costruire qualche buon rapporto con dei soggetti disponibili. Magari<br />

poter sviluppare questa tecnologia nelle imprese agricole o comunque sul territorio (Stefano<br />

Masini, <strong>Coldiretti</strong>).<br />

Nel caso del mini e micro eolico, i vantaggi di integrazione nel paesaggio sono evidenti,<br />

perché stiamo parlando di una o due torri di piccole e medie dimensioni integrate all’interno<br />

di attività compatibili. Chiari sono anche i vantaggi energetici, legati ad un approvvigionamento<br />

rinnovabile e diffuso, riducendo così la produzione da fonti fossili, ma anche la necessità<br />

di grandi reti di distribuzione.<br />

99 In Italia, dall’inizio del 2009 (Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 18/12/2008), è stato introdotto l’incentivo<br />

di € 0,30/kwh (tariffa onnicomprenisva) per l’energia messa in rete dagli impianti eolici fino a 200kW (mini-eolici), entrati<br />

in esercizio dopo il 31 dicembre 2007. L’incentivo, la cui durata è di 15 anni, è un’alternativa ai certificati verdi e allo scambio<br />

sul posto. Al termine di questo periodo, l’energia elettrica prodotta sarà remunerata alle condizioni economiche previste dall’art.<br />

13 del Decreto Legislativo 387/03. Per mantenere la congruità della remunerazione, la tariffa onnicomprensiva potrà essere<br />

variata ogni 3 anni tramite decreto del Ministero dello Sviluppo Economico.<br />

126


9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Noi siamo convinti che nell’eolico la fase dei grandi impianti finirà. Era ed è una fase necessaria<br />

perché ha consentito una industrializzazione massiccia dell’eolico, del fotovoltaico e delle altre<br />

energie rinnovabili. Oggi, se un pannello costa il 50% in meno rispetto ad un anno fa, è perché<br />

la produzione è aumentata del 100%. Quest’anno avremo quasi 15 GWh di potenza prodotta,<br />

15 volte tanto rispetto a 4 anni fa. I costi si sono abbassati. Questa fase dei grandi impianti<br />

era necessaria. A breve questa fase andrà a scemare, se non a terminare, anche perché in tutti<br />

i paesi gli incentivi per i grandi impianti andranno a declinare, mentre il privato sarà sempre<br />

più incentivato a fare piccoli impianti. Quindi, noi diciamo: bene i grandi impianti, grazie agli<br />

incentivi, ma ora iniziamo anche ad orientare gli investimenti verso questo tipo di impianti,<br />

orientando maggiormente gli incentivi verso i piccoli impianti. Questo è sicuramente il futuro<br />

che noi ci aspettiamo. Minieolico, minifotovoltaico, la biomassa da filiera corta, i piccolissimi<br />

impianti da biogas che hanno un futuro enorme anche per il disinquinamento delle aree. Tutte<br />

le fonti hanno le potenzialità per i piccoli impianti. Oramai i piccoli motori Sterling ad alto<br />

rendimento da 3-5 kW condominiali sono una realtà e saranno il prossimo passo. Ad oggi, per<br />

i condomini si è fatto poco e il nuovo conto energia prevede degli incentivi per i condomini,<br />

anche se non sarà facile, ci vorranno anni, perché sappiamo le difficoltà con cui si prendono le<br />

decisioni a livello condominiale. Però, ad esempio, le caldaie a condensazione per il riscaldamento<br />

centralizzato. Comunque, la tecnologia sta andando verso una miniaturizzazione degli<br />

impianti, per cui di sicuro arriveremo ad una generazione distribuita molto facile da fare (Domenico<br />

Belli, Greenpeace).<br />

Ma, aprire una seconda fase dello <strong>sviluppo</strong> dell’eolico e delle altre rinnovabili non significa<br />

soltanto promuovere la diffusione capillare di micro e mini impianti, ma soprattutto<br />

cercare di collegare in modo veramente sinergico lo <strong>sviluppo</strong> di queste tecnologie con le<br />

dinamiche di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> dei territori, nella convinzione che l’accettabilità sociale delle<br />

rinnovabili dipenda dalla capacità che queste hanno di integrarsi con le specificità, le vocazioni<br />

e i settori produttivi territoriali.<br />

L’energia <strong>eolica</strong> svolge un ruolo decisivo… ma proprio perché stiamo ragionando di impianti<br />

che hanno un impatto sul paesaggio dobbiamo individuare soluzioni efficaci per integrare gli<br />

impianti nel territorio, capire le accortezze e i limiti nelle aree più delicate. Sono proprio le<br />

aree interne montane, i centri cosiddetti minori, i piccoli comuni, gli ambiti dove questa sfida<br />

è più delicata e avvincente. È infatti necessario dialogare e interagire con le realtà territoriali,<br />

perché lo <strong>sviluppo</strong> di impianti eolici può essere una concreta opportunità per riportare servizi e<br />

far sopravvivere usi e culture agricole, ma può rivelarsi anche un rischio e un impatto gravissimo<br />

per il paesaggio. Per questo occorre superare i limiti di questa prima fase “pionieristica” del<br />

processo di diffusione dell’eolico in Italia e evitare errori dovuti alla mancanza di regole e alla<br />

forza degli interessi economici (Realacci, in Zanchini, 2002:9).<br />

9.1 Rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Il concetto di “<strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>” e, parallelamente, di “buone pratiche” per lo <strong>sviluppo</strong><br />

<strong>locale</strong> è entrato ormai a far parte del linguaggio corrente. La letteratura in materia ha individuato<br />

diversi “modelli” di <strong>sviluppo</strong>, sovente interrelati tra loro: tra i principali è possibile<br />

ricordare lo “<strong>sviluppo</strong> economico sostenibile” o “autosostenibile”, lo “<strong>sviluppo</strong> endogeno”,<br />

lo “<strong>sviluppo</strong> integrato”, lo “<strong>sviluppo</strong> sociale”, lo “<strong>sviluppo</strong> dall’alto” (top down) e lo <strong>sviluppo</strong><br />

dal basso (bottom up), ovvero, per l’appunto, lo <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> in senso proprio. In quest’ultimo<br />

caso è di norma prevista la partecipazione e/o il coinvolgimento di una pluralità di<br />

attori pubblici e privati, partecipazione finalizzata alla individuazione di percorsi di <strong>sviluppo</strong><br />

integrati (e relativi strumenti di attuazione), ovvero coerenti con le potenzialità e le risorse<br />

127


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

locali, siano esse economiche, naturali, umane e, in generale, territoriali. Lo <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>,<br />

per essere sostenibile, duraturo ed effettivo deve nascere dal pensiero, dalla scelta partecipe<br />

e dal coinvolgimento attivo delle popolazioni locali, delle comunità locali, che si prendono<br />

nelle mani – attraverso la scelta consapevole di gestire le proprie risorse – il proprio futuro.<br />

In questo senso, un progetto di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> deve saper cucire con il filo della specificità<br />

territoriale materie diverse fra loro come l’agricoltura e il turismo, l’industria e i cambiamenti<br />

climatici, le energie rinnovabili e la biodiversità, l’accessibilità <strong>locale</strong> e i servizi di interesse<br />

generale, l’interconnessione con le reti e l’innovazione, la formazione e la ricerca, la diversità<br />

culturale e la capacità di connettersi con il mondo globale.<br />

Lo <strong>sviluppo</strong> diffuso sul territorio dell’eolico e delle altre rinnovabili, quindi, può collegarsi<br />

in maniera stretta con lo <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, può esserne una delle leve, dei driver, ma occorre<br />

innanzitutto che il territorio sia considerato come un giacimento patrimoniale a molti livelli:<br />

ambientale, territoriale, energetico, produttivo e culturale. In questo modo, può risultare<br />

evidente che le caratteristiche e le potenzialità dei mix energetici dei territori sono differenti<br />

a seconda delle specifiche condizioni ambientali di contesto, della composizione sociale, del<br />

sistema produttivo e dei consumi.<br />

Quello che cerchiamo di segnalare – in perfetto accordo con UNCEM – è che occorre creare delle<br />

reti/sinergie locali, perché sappiamo che il territorio ha delle specificità diverse anche a soli<br />

pochi chilometri di distanza. Quindi, è giusto creare delle aree, anche non omogenee territorialmente,<br />

ma di compensazione e di fruizione in loco del consumo energetico. Noi proponiamo un<br />

mix energetico con impianti distribuiti sul territorio, stressando la componente di distribuzione<br />

(Giada Maio, ANCI).<br />

L’Italia è un paese fatto anzitutto, e soprattutto, di montagne, di coste, di isole, di<br />

ruralità, oltre che di città medie e di città grandi. E, quindi, di diversità, di complessità, di<br />

esigenza di analisi e comprensione mirata alle specificità territoriali, che tenga conto delle<br />

reali vocazioni e delle potenzialità delle diverse fonti rinnovabili presenti su ciascun territorio<br />

e suscettibili di sfruttamento (valutazione e definizione delle potenzialità energetiche<br />

territoriali e identificazione degli ambiti territoriali). Purtroppo, al momento mancano studi<br />

locali, infraregionali, in grado di individuare i bacini territoriali alla scala giusta (non può<br />

essere dato per scontato che sia quella del singolo comune) per capire quale può essere il mix<br />

energetico (energy modeling o diagnosi energetica del territorio) di ciascun bacino. 100<br />

I bacini sono tutti diversi. In uno c’è il mare, in un altro la montagna, in un altro ci sono i<br />

boschi, l’altro ha le città. Ho lavorato un po’ di anni fa per il Contratto di Fiume dell’Olona, e<br />

facendo gli studi per un progetto di riqualificazione del fiume, del sistema fluviale, è venuto<br />

fuori che la metà della portata che riguarda il deflusso vitale minimo in estate è data dai reflui<br />

urbani. Questo vuol dire che se tolgo i reflui urbani il fiume non esiste. Di conseguenza, devo<br />

pensare ad un sistema di depurazione che non sia composto dai grandi depuratori, ma da una<br />

piattaforma di quartiere tra Varese e Milano in cui io costruisco un sistema “di digestione” dei<br />

reflui. Bisogna iniziare a pensare al territorio come ad un produttore di energia. Una cosa che<br />

non si può fare in astratto, in astratto si può fare una centrale nucleare, così come una centrale<br />

<strong>eolica</strong>, cioè posso fare un qualcosa in astratto che mi mette in rete l’energia e poi la distribuisce<br />

ai vari territori. Se io devo pensare ad una produzione “<strong>locale</strong>” di energia, soprattutto legata ad<br />

100 L’UNCEM sta accompagnando alcune comunità montane locali nell’elaborazione delle linee guida per lo <strong>sviluppo</strong> sostenibile<br />

che riguardino le funzioni fondamentali di gestione e valorizzazione del territorio, dentro le quali la partita energetica è un<br />

driver fondamentale, coniugata al tema dei servizi ambientali.<br />

128


9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

un tema di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, devo innanzitutto modificare l’analisi territoriale, integrandola con<br />

un’analisi delle potenzialità energetiche viste in modo integrato (Alberto Magnaghi, Università<br />

di Firenze).<br />

In questi ultimi 10 anni, lo <strong>sviluppo</strong> delle rinnovabili è stato guidato dal mercato, cioè<br />

da investitori e gruppi imprenditoriali privati che liberamente hanno scelto siti, potenze,<br />

modalità realizzative, senza che ci sia stata una vera politica di indirizzo e di pianificazione<br />

territoriale da parte degli enti locali (Regione, Province, Comunità Montane, Unioni dei Comuni<br />

e Comuni), con l’individuazione delle aree-bacino ottimali, delle compatibilità ambientali<br />

o delle tipologie costruttive degli impianti.<br />

Di fronte a noi c’è un campo completamente libero, per cui arriva l’imprenditore e presenta<br />

un progetto per un parco eolico nel mio comune e mi trovo a prendere quello che mi vuol dare<br />

perché altrimenti se ne va. Quindi, devo stare al “buon cuore” dell’imprenditore, se ci tiene o<br />

meno al territorio e ha voglia di sviluppare qualcosa insieme “ai locali”. Non c’è una legge che<br />

tutela i nostri territori. La Regione in qualche modo con i PRIE aveva dato almeno la facoltà di<br />

scegliere se fare o non fare eolico. Tutto questo è venuto meno, perché la Corte Costituzionale<br />

ha detto che quella legge regionale è nulla. E ripartiamo. La Regione ha fatto le linee guida<br />

nuove che alcuni imprenditori hanno già contestato. Ci rimettiamo a giocare un’altra volta, ma<br />

intanto il tempo passa e il metro di valutazione se funziona l’eolico al Sud, è vedere a Rocchetta,<br />

piuttosto che a Roseto o a Bovino, l’andamento demografico nell’anno 2010. Se questi<br />

comuni continuano a perdere abitanti, vuol dire che con tutta la buona volontà che ci stiamo<br />

mettendo, la gente continua ad andarsene e, quindi, grossi frutti non ne abbiamo portati. Questo<br />

è il nocciolo della questione. Siamo partiti con delle buone intenzioni, ma alla fine stiamo<br />

rimasti con il 3–4 % di royalty al Comune. Questa grossa opportunità che aveva l’Appennino<br />

Meridionale la vedo persa, ma non l’ha presa neanche la nazione, perché chi produce le pale<br />

viene da fuori e la maggior parte dei fondi di investimento sono stranieri. Quindi, a noi che<br />

rimane (Michele Dedda, Bovino).<br />

Il punto di caduta di tutta questa situazione, è che l’ente <strong>locale</strong> – se anche si svincola<br />

da situazioni poco lineari e assume su di sé il giusto ruolo di programmazione e controllo del<br />

territorio, ma anche di utilizzo delle opportunità che il territorio ha, magari dimensionandolo<br />

con altre amministrazioni locali limitrofe e/o sovraordinate - oggi si trova nelle condizioni di<br />

non conoscere quali sono le progettualità che insistono sul proprio territorio o cosa la Regione<br />

decide o cosa decide e presenta il privato, e molto spesso si scopre privo, oltre che di competenze<br />

tecniche, anche di reali poteri decisionali in materia di programmazione territoriale.<br />

Secondo me, al di là delle esperienze più o meno “virtuose” di tutti i Comuni, e dei rapporti problematici<br />

con le società, credo che noi, in quanto sindaci, dovremmo recuperare intanto un ruolo.<br />

Tutti frequentiamo dei partiti, abbiamo rapporti con rappresentanti degli enti sovraordinati,<br />

presenziamo in organismi di rappresentanza come l’ANCI, ebbene oggi non riusciamo, al di là di<br />

alcuni sfoghi che facciamo, ad incidere sugli aspetti fondamentali di questa materia. Questa è<br />

una cosa che dovremmo almeno tentare di fare. È probabile che nelle “alte sfere” non si terrebbe<br />

conto di questo tentativo, però il dato di fondo è che noi non lo facciamo. Il primo grosso<br />

problema del nostro territorio non è il rapporto con gli operatori, ma che ci mancano gli strumenti<br />

normativi per poter incidere in questa vicenda. I Comuni non rilasciano le autorizzazioni,<br />

partecipano alle Conferenze di Servizio, ma soltanto per esprimere dei pareri non vincolanti.<br />

Non hanno più nemmeno la facoltà e la capacità di programmare il proprio <strong>sviluppo</strong> territoriale<br />

perché se prima questo avveniva attraverso i PIR e i PRIA, adesso è stata superata pure questa<br />

fase. Oggi, le decisioni sono sempre più complesse e noi non possiamo decidere dove vogliamo<br />

129


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

che le torri vengano installate e dove invece vogliamo che il nostro territorio abbia un’altra<br />

vocazione. Tutti quanti possiamo fare i piani regolatori e decidere la direzione di <strong>sviluppo</strong> del<br />

territorio, ma nel caso dell’energia non lo possiamo fare. Il fatto che non si possa pensare “oltre”<br />

è un’assurdità. Quando qualcuno parla della nostra posizione di svantaggio contrattuale<br />

nei confronti di chi vuole fare eolico nel nostro territorio, non si riferisce soltanto all’aspetto<br />

economico, si riferisce anche all’aspetto funzionale delle competenze. Ad esempio, non c’è un<br />

canale privilegiato nel caso in cui il proponente di una iniziativa <strong>eolica</strong> fosse un ente pubblico.<br />

Addirittura, oggi si sostiene che i Comuni non possono più fare energia. Non possiamo decidere<br />

la nostra pianificazione territoriale, ci hanno ridotto o negato la possibilità di fare società miste<br />

che potevano essere una soluzione per fare energia e scegliere l’operatore. Se fai un bando per<br />

cercare un partner privato, puoi promuovere lo <strong>sviluppo</strong> territoriale con il coinvolgimento di un<br />

soggetto che presenta delle caratteristiche e dei requisiti che scegli, il quale giocoforza deve<br />

anche condividere le finalità di pubblico interesse. Ma, nemmeno questo si può fare. Avremmo<br />

bisogno di consulenti e di energy mananger nei nostri comuni, ma noi non abbiamo piante<br />

organiche che sono in grado di poter gestire questo fenomeno. I nostri uffici tecnici fino a 5-6<br />

anni fa facevano permessi “a costruire” per abitazioni, molto spesso non superiori ai due piani<br />

e si sono ritrovati di fronte a fenomeni che non hanno la possibilità di governare. Ammesso che<br />

abbiamo le risorse, non possiamo dotarci di consulenti perché la normativa lo vieta o riduce<br />

questa possibilità ad un massimo del 20% della spesa pregressa. Quindi, innanzitutto dobbiamo<br />

evidenziare queste problematiche che attengono ai poteri dell’ente <strong>locale</strong> per poi recuperare<br />

un ruolo politico nei confronti di chi le norme le deve fare. Ad esempio, le ultime Linee guida<br />

regionali sono state fatte in fretta perché c’era la scadenza del 31 dicembre dettata dalle linee<br />

guida nazionali, però sono state fatte in maniera unilaterale. Non sono stati sentiti né l’ANCI<br />

né i Comuni. Il governo regionale non vuole che si faccia più eolico e non a caso le linee guida<br />

vanno in senso restrittivo, bypassando anche il volere delle amministrazioni locali. In questo<br />

modo, siamo esposti al solito ricatto per cui dobbiamo cercare di prendere quello che si può e<br />

non fare quello che invece vorremmo (Gianfilippo Mignogna, Biccari).<br />

È chiaro che in queste condizioni la diffusione dell’eolico e delle altre rinnovabili sul<br />

territorio non si è realizzata sulla base di un’analisi integrata delle potenzialità locali collegate<br />

alle caratteristiche e dinamiche dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>. Le decisioni territoriali sono<br />

state governate esclusivamente dalle imprese attive nella produzione di energia. Sui territori<br />

sono arrivati dei soggetti esterni, in molti casi imprese multinazionali, attratti dalla possibilità<br />

di sfruttare la disponibilità di vento e di incentivi generosi, realizzando un impianto<br />

eolico industriale. Pertanto in questi ultimi 15 anni nell’eolico (ma, spesso anche nelle altre<br />

rinnovabili, si pensi, ad esempio, al fotovoltaico 101 , alle grandi dighe idroelettriche) è stata<br />

privilegiata la dimensione del grande investimento industriale, in sostanziale continuità con<br />

il modello energetico fordista basato su un sistema centralizzato, verticale e polarizzato in<br />

pochi grandi/mega impianti. 102<br />

Finora il modello applicativo delle rinnovabili è stato deficitario rispetto alle premesse per un<br />

mancanza di governance. Dai territori arrivano al FAI, come alle altre associazioni di tutela,<br />

esposti da parte di cittadini che si difendono “contro” l’impianto sia di eolico sia di fotovoltai-<br />

101 In Italia gli incentivi del conto energia sono stati distribuiti quasi per il 90% a grandi impianti fotovoltaici a terra di<br />

potenza superiore ai 20 kWp, quindi esclusi dallo scambio sul posto, che molto spesso hanno devastato il paesaggio o addirittura<br />

provocato l’espianto di vigneti e oliveti. “Gli incentivi, tra le difficoltà burocratiche, le complicazioni sul consenso sociale,<br />

sono andati solo a favorire i grandi gruppi che avevano il tempo e la capacità di supportare investimenti per 4-5 anni in attesa di<br />

un’autorizzazione, di ungere e ruote, perché dopo c’erano incentivi straordinari. Invece, hanno scoraggiato i piccoli” (Tommaso Dal<br />

Bosco, UNCEM).<br />

102 Anche l’energia nucleare, fattore rischio a parte, è ancora legata a una fonte destinata a un rapido esaurimento (come<br />

petrolio e metano) e a un impianto ipercentralizzato, che richiede addirittura una militarizzazione preventiva del territorio.<br />

130


9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

co, quando si tratta di impianti abbastanza estesi. Questa è una sconfitta da registrare, perché<br />

è evidente il fatto che non sia riusciti a far passare, a governare, questa grande novità e oggi<br />

si arrivi ad avere invece l’opposizione da parte delle popolazioni. Questo vuol dire che qualcosa<br />

non ha funzionato. Noi che cosa vediamo non di buon occhio Il fatto che il modello dell’eolico<br />

che ha la meglio sia “fordista”, quindi fatto di grandi impianti industriali. Questa, però, è<br />

la stessa politica di qualsiasi altro impianto, cioè di un progetto avulso dal suo territorio che<br />

per motivi strettamente economici viene insediato, ma che rispetto ad altri impianti produttivi<br />

non ha neanche il “plus” della forza lavoro. Crediamo invece che sia su un modello diverso<br />

che si dovrebbe iniziare a procedere. Un modello che parta dalle popolazioni locali, lavori sulla<br />

progettazione, sulla qualità del progetto e sul buon senso di avere o non avere un impianto, e<br />

di quale tipo, in quella località. Una prospettiva che rimanda al “tema del progetto” e di non<br />

avere un corpo estraneo sul territorio (Costanza Pratesi, FAI).<br />

Ancora quasi del tutto inesplorata è la possibilità di applicare all’eolico e alle altre rinnovabili<br />

il modello postfordista dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, della specializzazione flessibile e del<br />

sistema a rete basato su una molteplicità di piccoli e medi impianti diffusi e distribuiti sul<br />

territorio laddove sono disponibili le risorse energetiche.<br />

Il passaggio dall’era dei combustibili fossili a quella delle energie rinnovabili, o anche solo la<br />

sua promozione, impongono un cambio di paradigma. L’economia degli idrocarburi è un sistema<br />

centralizzato. È fatto di campi petroliferi e pozzi minerari distanti migliaia di chilometri dai suoi<br />

utilizzatori finali, di oleodotti e gasdotti, di grandi petroliere, di convogli giganteschi e di navi<br />

carboniere e metaniere, di raffinerie e centrali di generazione elettrica di grande taglia, di grandi<br />

kombinat industriali, di elettrodotti ad alta tensione, di società di prospezione, di gestione e di<br />

distribuzione, pubbliche e private, di dimensioni mondiali e di capitali proporzionati: un sistema<br />

che produce sempre più centralizzazione, dispotismo e guerre; il trasporto e i suoi impatti costituiscono<br />

una quota crescente dei costi ambientali ed economici della filiera. La logica di un’economia<br />

delle fonti rinnovabili richiede invece un sistema distribuito, che migliora la sua efficienza quanto<br />

più è decentrato. Ogni comunità dovrà produrre, attraverso mix di fonti che variano da un contesto<br />

all’altro, la maggior parte dell’energia che consuma e le reti di vettoriamento dell’energia elettrica<br />

saranno asservite esclusivamente al riequilibrio tra le diverse utenze (Viale, 2011:10).<br />

Il nostro auspicio è che si riesca a garantire attraverso le diverse fonti rinnovabili l’effettiva autosufficienza<br />

dei piccoli nuclei, perché il problema energetico è dato anche dalla perdita di energia<br />

nella sua distribuzione. Quindi, la capacità, di volta in volta, di autolimentarsi consentendo una<br />

efficienza nella produzione di energia. Per questo noi siamo favorevoli al micro-eolico o a impianti<br />

di misura mediana. Mi ricordo di aver visto in altri paesi europei, in Baviera, ad esempio,<br />

quelle che sono chiamate centrali diffuse, ma questo modello può funzionare solo se è articolato<br />

su più fonti di energia. L’eolico è un fonte di energia non continua e, quindi, non offre da sola<br />

determinate sicurezza, ma all’interno di un sistema integrato di fonti rinnovabili può funzionare.<br />

Attualmente, nelle rinnovabili l’iniziativa sta in capo al privato che va giù, progetta, negozia<br />

realizza e gestisce. Investire sulla popolazione, costa. Quindi, non lo fa. Questo è un compito<br />

che dovrebbe assumere il pubblico che dovrebbe aprire una discussione pubblica – un forum – su<br />

quello che si vuole e si deve fare. Credo che l’ente <strong>locale</strong> possa assumere il ruolo di soggetto<br />

catalizzatore in questa direzione, un po’ perché la dimensione comunale corrisponde anche a<br />

quella della gestione del territorio e un po’ perché è più controllabile politicamente dato che il<br />

sindaco è nominato ed eletto da chi sta sul territorio. Credo che si possa ragionare con sindaci<br />

e amministratori locali illuminati su un piano di lavoro per riuscire a far sì che su un contesto<br />

<strong>locale</strong> si possa andare a produrre energie da diversi tipi di fonte. Ad esempio, nelle zone agricole<br />

si può utilizzare il biogas, riutilizzando i liquami degli allevamenti. Il modello italiano di centrale<br />

diffusa ancora non si ancora visto perché purtroppo, soprattutto sul fotovoltaico c’è sempre<br />

131


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

il problema legale della proprietà del terreno o della superficie su cui viene ad inserirsi e della<br />

titolarità del soggetto che gestisce per conto di tutti il sistema (Stefano Leoni, presidente WWF).<br />

Nel processo di riconversione da un’economia dipendente dalle risorse energetiche fossili<br />

a un sistema maggiormente sostenibile, fondato sull’utilizzo crescente delle risorse locali, una<br />

delle maggiori riserve energetiche a disposizione di una comunità, unitamente allo sfruttamento<br />

delle fonti energetiche rinnovabili presenti sul territorio medesimo, è costituita dall’efficienza,<br />

ovvero dall’uso razionale dell’energia. In questo senso le politiche nazionali ed internazionali<br />

supportano l’uso combinato delle due strategie - efficienza consumi e fonti rinnovabili - per il<br />

raggiungimento degli obiettivi di contenimento degli impatti sul clima dell’effetto serra.<br />

Scenari di riduzione del contenuto di CO2 in emissioni correlate alla produzione<br />

di energia<br />

Fonte: OECD/IEA, 2008.<br />

La transizione verso una produzione energetica maggiormente sostenibile è un obiettivo<br />

strategico planetario, ma è materia complessa: le fonti energetiche fossili (carbone, petrolio<br />

e metano) non sono facilmente sostituibili con nessuna delle fonti rinnovabili singolarmente<br />

prese, la cui introduzione andrebbe collocata nel territorio, attraverso una corretta modulazione<br />

delle risorse e dei fabbisogni.<br />

In questo quadro il nuovo concetto di l’interconnessione a livello <strong>locale</strong> con reti intelligenti<br />

e interattive, risulta un tassello fondamentale.<br />

Un modello di questo genere può consentire effettivamente di legare lo <strong>sviluppo</strong> delle<br />

rinnovabili allo <strong>sviluppo</strong> del territorio, favorendo anche l’integrazione della produzione di<br />

energia con la “chiusura” dei cicli locali, incrementando così il livello di sostenibilità dello<br />

stile di vita complessivo.<br />

Investire in efficienza energetica e rinnovabili, oltretutto, costituisce una buona politica,<br />

che può avere ripercussioni su diversi ambiti: può essere una risposta alla crisi economica,<br />

non solo per le nuove filiere industriali, ma anche per ridurre la dipendenza dall’estero per<br />

l’approvvigionamento energetico.<br />

<br />

132


9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

E se fosse proprio il territorio il laboratorio di una rivoluzione energetica incentrata sulle fonti<br />

rinnovabili A guardare quello che sta accadendo nei Comuni italiani sembrerebbe proprio di sì,<br />

sono decine di migliaia gli impianti installati negli ultimi anni – piccoli, grandi, da fonti diverse<br />

–, migliaia i progetti in corso di realizzazione, che stanno dando forma a un nuovo modello di<br />

generazione distribuita. Impianti solari fotovoltaici, solari termici, mini idro-elettrici, geotermici<br />

ad alta e bassa entalpia, da biomasse e biogas, integrati con reti di teleriscaldamento e<br />

pompe di calore: lo scenario cambia completamente rispetto al modo tradizionale di guardare<br />

all’energia e al rapporto con il territorio. Ed è diverso perfino dalle “vecchie” rinnovabili italiane,<br />

il grande idroelettrico e la geotermia, quelle che dalla fine del 1800 hanno accompagnato la<br />

prima industrializzazione del Paese. Eppure il dibattito pubblico sull’energia non sembra ancora<br />

aver compreso la portata di questo processo e l’importanza di guardare al territorio per capire<br />

come sviluppare le fonti rinnovabili. Per un riflesso condizionato qualsiasi ragionamento sembra<br />

non poter prescindere da un approccio centralizzato e quantitativo, fatto di MW installati per<br />

impianto. Ma questo modo di ragionare di energia risulta inevitabilmente datato, inadeguato<br />

rispetto a un processo che apre delle strade assolutamente nuove. Se si ragiona delle attuali<br />

tecnologie rinnovabili occorre partire dalle risorse presenti nei diversi territori, guardare alla<br />

domanda di energia di case, uffici e aziende, per capire come soddisfare con le soluzioni più<br />

adatte ed efficienti utenze collegate da una rete moderna che permette di scambiare energia<br />

(Legambiente, 2010:4).<br />

Per quanto riguarda il fotovoltaico sociale si stanno facendo alcune esperienze. Le amministrazioni<br />

locali mettono a disposizione delle aree loro, raccolgono le adesioni e i finanziamenti<br />

dei privati, costruendo l’impianto fotovoltaico, la cui quota azionaria è divisa tra i cittadini.<br />

Ad esempio, uno che vive in un centro storico non può farsi un impianto fotovoltaico sul tetto<br />

di casa, ma può dare la sua quota parte equivalente a 3 kW al Comune che quando costruisce<br />

l’impianto fotovoltaico a 10 km di distanza, gli gira l’1%, il 3% o il 5% di introito di quell’impianto.<br />

Ci sono un paio di comuni che stanno facendo questo. Anche Frosinone ci sta lavorando,<br />

sta preparando il bando. Queste iniziative permettono a persone che vivono in contesti come i<br />

centri storici di poter partecipare allo <strong>sviluppo</strong> e alla redditività dell’energia fotovoltaica. Queste<br />

sono iniziative che ci piacciono molto perché noi come Greenpeace sosteniamo come principio<br />

la generazione distribuita di energia, una capillarità nella produzione di energia. Questa è per<br />

noi la vera rivoluzione energetica (Domenico Belli, Greenpeace).<br />

In una logica di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, sempre maggiore attenzione deve essere dedicata dagli<br />

amministratori locali all’integrazione tra più fonti sul territorio, come già succede in molti<br />

Comuni per ottimizzare le caratteristiche del territorio e dare spazio adeguato, oltre all’eolico<br />

e al fotovoltaico, anche alle biomasse e in generale alle agroenergie. Secondo Legambiente<br />

(2011), oggi sono 7.661 i Comuni in Italia dove è installato almeno un impianto da fonte<br />

energetica rinnovabile. Erano 6.993 nel 2010, 5.580 nel 2009, 3.190 nel 2008. In pratica le<br />

fonti pulite che fino a 10 anni fa interessavano con il grande idroelettrico e la geotermia le<br />

aree più interne, e comunque una porzione limitata del territorio italiano, oggi sono presenti<br />

nell’94% dei Comuni. Sono 7.273 i Comuni del solare, 374 quelli dell’eolico, 946 quelli del<br />

mini idroelettrico, 290 i comuni della geotermia e 1.033 quelli che utilizzano biomasse e<br />

biogas. In particolare, escludendo i grandi impianti idroelettrici, sono 964 (circa il 12%) i<br />

Comuni 100% rinnovabili, cioè che grazie ad una sola fonte rinnovabile (mini-idroelettrica,<br />

<strong>eolica</strong>, fotovoltaica, da biomasse o geotermica) producono più energia elettrica di quanta ne<br />

consumano, mentre sono 274 i Comuni che grazie a impianti di teleriscaldamento collegati a<br />

impianti biomassa o da geotermia superano il proprio fabbisogno, e 27 quelli che superano<br />

sia il fabbisogno elettrico che termico.<br />

133


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Il contesto di intervento non deve essere solo un piano energetico tout court, ma un piano<br />

territoriale che possa mettere in moto delle valenze positive, il cui impatto, cioè, è che si hanno<br />

degli attori territoriali che diventano molto attivi per sostenerlo. Voglio dire che il piccolo<br />

comune determina un circolo virtuoso che va dai rifiuti all’energia, e questo lo fa diventare<br />

un comune d’eccellenza. Dentro un contesto del genere, certamente le esperienze di energie<br />

rinnovabili hanno un impatto di racconto e di sopportabilità più forte rispetto a “piazzarle lì”<br />

senza un contesto. Se operi dentro il contesto è molto più facile ottenerne il consenso e magari<br />

hai il comitato “pro” e non “contro”. Occorre tenere conto che l’obiettivo 20-20-20 impone un<br />

richiamo ad una comunità nel creare una reazione o un’azione. Non può essere solo un ambito<br />

che viene toccato, ma uno deve cercare di mettere in moto più elementi. C’è un problema<br />

anche di efficienze. Se in un Comune si apre la sfida di utilizzare il 30% dell’energia da fonti<br />

rinnovabili, non si può non avere la raccolta differenziata dei rifiuti e così via. Quella comunità,<br />

quella realtà <strong>locale</strong> deve mettere in moto diverse cose per avere un’accettabilità forte, per<br />

avere il comitato “pro” e non “contro”. Il tema, a mio avviso, è quello di riuscire a coinvolgere<br />

le realtà, le comunità, le imprese di quel” territorio. Che cosa vuol dire coinvolgere una realtà<br />

territoriale Ad esempio, che quel Comune abbia non solo una ricaduta nel fare il marciapiede,<br />

ma che si sappia che può spendersi”, perché usa energie rinnovabili. Bisogna mettere nella<br />

“carta d’identità” di quella realtà comunale o intercomunale che le pale hanno una virtuosità<br />

di ricaduta. Devono balzare ai primi posti nella classifica dei comuni dove si utilizzano energie<br />

alternative. Però, non devono fare solo questa cosa. Se ci sono le pale bisogna fare in modo<br />

che quel territorio possa essere spendibile perché ha una serie di altre azioni coerenti con lo<br />

“sforzo” dell’eolico che sono degli indicatori dell’impresa virtuosa e di una storia comunitaria<br />

virtuosa. Se si fa questo si può vendere il prodotto, l’abitare e tutto quello che si vuole in un<br />

modo diverso con una ricaduta economica diretta e vera sugli attori di quel territorio, perché<br />

l’energia costa meno, perché si creano dei nuovi posti di lavoro, perché dà una classificazione<br />

al tuo prodotto che può andare meglio sul mercato. Se però questo non si fa, si avrà sempre un<br />

conflitto forte con questi impianti (Franco Pasquali, <strong>Coldiretti</strong>).<br />

Allo stesso tempo, però, occorre ricordare che i processi che concorrono a una riconversione<br />

del sistema economico in grado di portare il pianeta fuori dall’era dei combustibili fossili<br />

non si limitano al ricorso alle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica. Ne comprendono<br />

molti altri, tra cui la dematerializzazione dei consumi, l’agricoltura biologica, la mobilità<br />

flessibile, la cultura della manutenzione, etc.<br />

Sono tutti l’esatto contrario delle “grandi opere” e delle produzioni di massa di tipo fordista<br />

a cui i governi di tutto il mondo hanno cercato di affidare l’”uscita dalla crisi”; e richiedono<br />

tutti un diverso tipo di regia. Perché sono interventi distribuiti e diffusi sul territorio, altamente<br />

differenziati, legati alla specificità degli ambienti e dei contesti sociali; per essere efficaci<br />

richiedono, sì, risorse cognitive specialistiche – ormai largamente diffuse in segmenti specifici<br />

di ogni comunità – ma soprattutto conoscenze pratiche del contesti sociali: conoscenze che solo<br />

chi vive e opera al loro interno può avere. Richiedono informazioni e tecnologie disponibili a<br />

livello globale, ma sono tanto più efficaci quanto più sanno adeguarsi alla dimensione <strong>locale</strong><br />

della produzione e del consumo (Viale, 2011:12).<br />

Ragionare in modo integrato può consentire di andare nella direzione dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>,<br />

ovvero di considerare il territorio come un patrimonio energetico, di aria, acqua, suolo,<br />

culture produttive, agricolture, cioè di tutti gli aspetti che connotano un modello integrato<br />

di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, inserendo all’interno un driver energetico. In questo senso risulta evidente<br />

che poiché gli impianti eolici si possono realizzare laddove il vento soffia davvero, che non è<br />

ovunque, il futuro di questa fonte energetica sta nel concorrere insieme alle altre rinnovabili<br />

134


9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

in un processo di riconversione energetica e non nel rappresentare l’alternativa, da sola, al<br />

petrolio. Un’analisi integrata del potenziale energetico territoriale dovrebbe essere richiesta<br />

alle Regioni, Province e Comuni, perché la loro risposta alla diffusione delle rinnovabili non<br />

può continuare ad essere solo “difensiva”, tutta giocata sull’introduzione di sempre maggiori<br />

vincoli all’interno di linee guida che identificano le aree non idonee, in modo da cercare di<br />

limitare la libertà di fare impianti ovunque e di qualsiasi dimensione. Bisognerebbe superare<br />

la visione “vincolistica” per andare verso una visione “progettuale”. Una visione che deve essere<br />

condivisa dalla platea dei portatori di interessi territoriali (autonomie locali e funzionali,<br />

rappresentanze degli interessi, associazioni, imprese, istituzioni finanziarie, saperi e cittadini),<br />

mentre il vincolo lo fissa la Sopraintendenza.<br />

In Puglia si disattende completamente l’obiettivo della VIA. Nella VIA, uno dei temi è l’aspetto<br />

socioeconomico. Qui, viene fatta solamente sugli aspetti ambientali, sul vincolo. È ovvio che<br />

un progetto sull’eolico industriale ha un peso socioeconomico, ma questo non viene per niente<br />

valutato. Dire che un impianto eolico si vede è dire un’ovvietà, però dire che è ben fatto e in<br />

più porta dei vantaggi, permette di introdurre dei “pesi”. La valutazione “ambientale” si fa<br />

solo su aspetti “ambientali”. Liberi da vincoli sono dei territori che invece avrebbero necessità<br />

di interventi molto più strutturati. In questa situazione, succede che tutti gli operatori si sono<br />

concentrati su queste aree che già erano degradate e dequalificate, e le hanno ricoperte con<br />

centinaia di impianti fatti per la sola ragione che lì si potevano fare. Questi territori hanno<br />

la “fortuna” di non avere vincoli, e la sfortuna che per lo stesso motivo, nessuno li ha messi<br />

“al centro” di un ragionamento. Comuni come San Severo, che sono privi di vincoli, e hanno<br />

produzioni vinicole importanti, si trovano sommersi da centinaia di iniziative per il solo fatto<br />

che sono un’area bianca in mezzo ad aree vincolate. Che senso ha Se si lascia alle imprese la<br />

totale libertà di presentare progetti nelle “aree bianche”, e chi arriva prima realizza, così si fa<br />

un danno, perché lì non si avrà nessun vantaggio, perchè quel territorio non è stato veramente<br />

coinvolto. La programmazione non si fa sui vincoli. Oltretutto una torre <strong>eolica</strong> è alta 100metri,<br />

e allora che senso ha salvaguardare un’area a ridosso Produci solo una “sperequazione”. Il<br />

rischio è che tu posizioni le torri nei posti sbagliati, e penalizzi il comune vicino che è vincolato<br />

(Giovanni Alessandro Selano, Holding Fortore <strong>Energia</strong> SpA).<br />

Sull’eolico posso agire in due modi. O come abbiamo fatto la Puglia giocoforza, cioè fare delle<br />

Linee Guida che dicono “qui no, qui no, qui no, restano queste aree, fate quello che volete”.<br />

Lo stesso stanno facendo in Toscana, cioè prendono le Linee Guida nazionali e le specificano,<br />

sottraendo una serie di aree di pregio, come le aree protette, alla localizzazione dell’eolico. Va<br />

già meglio che dire “liberi tutti, mettetele dove volete”, però è chiaro che questo è un atteggiamento<br />

“difensivo” e non è programmatorio, non è progettuale rispetto al territorio. Il progettuale<br />

richiederebbe un ragionamento integrato sulle potenzialità di un mix energetico per micro<br />

regioni. Qui abbiamo le valli appenniniche, le pianure, il mare. Non possiamo dire “la Toscana”,<br />

la Toscana è tante cose, sono 52 i sistemi territoriali riconosciuti dalla Regione, ognuno dei<br />

quali è diverso dal punto di vista delle potenzialità energetiche e soprattutto di come trattare<br />

“il mix” (Alberto Magnaghi, Università di Firenze).<br />

È necessario innescare un processo di condivisione delle scelte che miri al potenziamento delle<br />

risorse locali attraverso il consenso. E per fare questo il primo passo da compiere è quello di<br />

definire un quadro di conoscenze da trasmettere ad amministrazioni e a gente comune sulle<br />

relazioni tra energia, ambiente e territorio nel nuovo contesto del libero mercato dell’energia.<br />

In questo modo sarà possibile sviluppare al meglio le peculiarità dei luoghi nello sfruttamento<br />

delle rinnovabili, dando vita ad una nuova identità ad antichi luoghi. Chi avrebbe detto, infatti,<br />

fino a pochi anni fa, che un elemento naturale come il vento, così caratterizzante per alcune<br />

135


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

aree d’Italia, potesse divenire una risorsa economica La storia ci sta offrendo la possibilità di<br />

valorizzare la vocazione di aree spesso contraddistinte da una forte povertà, sviluppando un<br />

nuovo senso di appartenenza. Ma per fare questo occorre un serio progetto di coordinamento del<br />

territorio (a scala nazionale e regionale) che veda un’organica diffusione delle fonti rinnovabili<br />

(Battistella, 201:71).<br />

Mix vuol dire creare dei circuiti di produzione e consumo che sono adatti al territorio,<br />

quindi più aderenti, sia come capacità produttiva che come consumo, alle peculiarità di ogni<br />

sistema territoriale. E’ chiaro che costruire un sistema di produzione e consumo nel Tavoliere<br />

Pugliese è diverso che sull’Appennino Dauno o sulla piana di Bari. Questo è ovvio per tutti,<br />

però attualmente non si ragiona così. Il non affrontare il problema in questo modo, rende<br />

impotenti tutti gli enti pubblici che hanno interesse a qualche forma di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>. Se<br />

non sono individuate, area per area, quali sono le ottimizzazioni possibili del mix, arrivano<br />

le ditte che “comperano” i Comuni che magari sono in crisi perché devono pagare le spese<br />

correnti e, quindi, tutto avviene in forme “pre-pianificatorie”.<br />

Il petrolio non è diverso dal vento, però noi abbiamo le società spagnole che vengono qui, mettono<br />

le pale e se ne vanno. In realtà, il 70-80% degli impianti è un tentativo di corruttela verso<br />

gli amministratori per poter far sì che l’autorizzazione riguardi una società piuttosto che un’altra.<br />

Per fortuna penso che gli amministratori siano abbastanza onesti e corretti da non cadere<br />

in questo tipo di trappole. Ma, c’è un’arroganza fondata sull’uso delle leggi, per cui vengono a<br />

mettere quello che vogliono. Quando c’è questo tipo di atteggiamento nei riguardi delle nostre<br />

comunità, che è di emarginazione psicologica, politica, industriale, di che parliamo È ora che<br />

ci svegliamo e iniziamo a dire che qui c’è in atto un’emarginazione verso le nostre comunità che<br />

sono già emarginate da secoli (Pasquale Murgante, Accadia).<br />

Posso arrivare all’assurdo, come in Toscana, che a Pontedera essendo il vento sotto i 4ms, danno<br />

al Comune il 2% in royalty, mentre se vanno un po’ più in alto lungo la valle gli danno il 7%.<br />

Questo per dire che questa vicenda di Pontedera è simbolica per il Comune (Alberto Magnaghi,<br />

Università di Firenze).<br />

Occorre partire da un progetto di <strong>sviluppo</strong> socio-economico del territorio e deve essere<br />

questo a guidare le scelte di settore nei vari ambiti. Altrimenti, se non si ha questo progetto<br />

non si hanno neanche i parametri valutativi. Le Linee guida hanno dei parametri valutativi di<br />

settore: quali sono le disponibilità di suolo, le quantità che si possono installare e poco altro.<br />

Ma se si ragiona in questo modo non si riesce a riportare il ragionamento allo <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>.<br />

Muoversi all’interno di una visione “progettuale” dello <strong>sviluppo</strong> delle rinnovabili in rapporto<br />

allo <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> comporta il trasferimento, a territori più o meno circoscritti e alle<br />

comunità che li abitano, di larga parte delle responsabilità di governo dei processi economici<br />

attualmente consegnate all’impresa e finanza privata. Questo, per un Comune o un gruppo di<br />

Comuni significa dover svolgere un ruolo molteplice:<br />

• svolgere servizi animazione socio-culturale e di supporto informativo, diffondendo le<br />

informazioni sulle evoluzioni tecnologiche e sugli indirizzi politici e normativi in vigore<br />

riguardanti lo svolgimento di attività economiche (dirette e indirette) per la produzione<br />

di energia da fonti rinnovabili, le modalità autorizzative e di accesso alle agevolazioni, la<br />

struttura produttiva del territorio <strong>locale</strong>; 103<br />

103 Concretamente, i comuni possono organizzare attività e iniziative finalizzate a coinvolgere la popolazione nelle operazioni<br />

di trasformazione del territorio: convegni, escursioni nelle aree di trasformazione, stabilire punti di ascolto e di informazione<br />

136


9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

• essere un canale per veicolare e garantire risorse finanziarie altrimenti non mobilitabili;<br />

• svolgere un ruolo di garante della trasparenza dell’iter di riferito a ciascuna domanda di<br />

autorizzazione di nuovi insediamenti produttivi;<br />

• essere un volano per promuovere nuove iniziative imprenditoriali attraverso la trasformazione<br />

del proprio modo di operare e di gestire il proprio patrimonio;<br />

• essere fonte di legittimazione di nuove pratiche agli occhi della cittadinanza;<br />

• essere nodo del coordinamento e della diffusione di pratiche replicabili, ancorché nate in<br />

contesti locali e specifici, nei confronti degli altri territori o all’interno del territorio stesso;<br />

• affiancare alle funzioni tradizionali della pubblica amministrazione quelle relative alle<br />

politiche di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, promuovendo la partecipazione integrata di tutti gli attori del<br />

territorio (autonomie locali e funzionali, rappresentanze degli interessi, istituzioni finanziarie,<br />

associazioni, imprese, saperi e cittadini).<br />

Soprattutto, significa non “svendere il territorio” per “quattro soldi” di royalty/compensazioni,<br />

per provare a costruire dei progetti di impianti rinnovabili a capitale misto pubblicoprivato<br />

e/o con forme di azionariato diffuso tra i cittadini. Un forte radicamento pubblicoprivato<br />

della proprietà degli impianti consentirebbe di sviluppare politiche di <strong>sviluppo</strong> delle<br />

rinnovabili molto attente alle potenzialità e ai bisogni del territorio. Per operare ci vogliono<br />

imprese, vecchie o nuove, pubbliche o private, o miste, o cooperative, o sociali. In questa<br />

dimensione, il carattere <strong>locale</strong> dell’impresa – o un suo radicamento a livello <strong>locale</strong>, ancorché<br />

nel quadro di una rete a filiera lunga – è molto più importante delle dimensioni e per questo<br />

può ritrovarsi in vantaggio.<br />

Ma, il “terzo attore” di una redistribuzione del potere di governo dell’economia a livello<br />

<strong>locale</strong> è la comunità stessa o, meglio, la “cittadinanza attiva”, attraverso le sue espressioni<br />

organizzate – università e centri di ricerca, sindacati, associazioni professionali, scuole, parrocchie,<br />

volontariato, comitati civici, etc. – e il suo coinvolgimento diretto nelle iniziative<br />

intraprese. È a questo livello che risiedono quei saperi diffusi di cui la popolazione è depositaria<br />

e sempre più, anche, fonte di elaborazione. 104 Occorre cercare di esplorare strade nuove<br />

e avanzate, promuovendo la crescita di un desiderio di auto-organizzazione delle istituzioni<br />

locali e delle popolazioni, destinato ad alimentare una sempre più forte e impegnativa forma<br />

di “imprenditorialità collettiva”. In questo senso, la costruzione di forme di partenariato<br />

esprime:<br />

• un’assunzione di responsabilità da parte dei gestori (enti o privati) degli impianti, delle<br />

imprese del territorio e delle collettività locali;<br />

• la volontà di ripartire in modo migliore i benefici della produzione energetica da fonti<br />

rinnovabili sul territorio;<br />

sui progetti in atto e sulle energie rinnovabili e sullo scenario energetico generale, mostrare possibili simulazioni di come può<br />

apparire il progetto della centrale una volta realizzato.<br />

104 Il modello oggi più diffuso di questo “trasferimento di poteri”, ancorché di dimensioni minime e di valore quasi esclusivamente<br />

esemplare, è forse rappresentato dai GAS: Gruppi di acquisto solidale. Sono associazioni volontarie di cittadini attivi<br />

che si organizzano per saltare l’intermediazione commerciale – e i suoi costi – e per accedere in modo diretto ad acquisti di<br />

qualità controllata: prevalentemente, ma non solo, in campo alimentare (prodotti dell’agricoltura biologica o di lavorazioni tradizionali).<br />

Nel promuovere la loro pratica mettono al lavoro e sviluppano nuovi saperi: quelli che permettono loro di esercitare<br />

un controllo sulla qualità di ciò che comprano. Ma, al tempo stesso, stimolano un numero crescente in imprese agricole e di<br />

trasformazione ad adeguarsi agli standard richiesti e, quindi, ad imboccare la strada di una riconversione ambientale. In questo<br />

processo lo stimolo è reciproco: il produttore che apre la sua azienda alla verifica del consumatore, gli trasmette – trasmette<br />

ad alcuni, i più disponibili a farsene coinvolgere - i suoi saperi e ne riceve a sua volta nuovi stimoli. Manca ancora, in questo<br />

intreccio, il terzo attore: l’amministrazione <strong>locale</strong>. In alcuni, rari, casi comincia a fare la sua comparsa. Per esempio con i<br />

farmers market e con la diffusione degli orti urbani. Ma se la promozione dei GAS, da iniziativa spontanea di gruppi ristretti di<br />

cittadini attivi, venisse adottata da un’amministrazione <strong>locale</strong>, garantendo il coinvolgimento organizzato degli utenti, potrebbe<br />

gradualmente coinvolgere un numero crescente di cittadini, favorire una vera riconversione del territorio agricolo circostante,<br />

investire progressivamente altre produzioni: non solo, necessariamente, locali ma sempre caratterizzate da un rapporto diretto<br />

con interlocutori che esprimono le esigenze di una comunità.<br />

137


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

• la volontà di trovare soluzioni adeguate per favorire una più equa distribuzione della<br />

ricchezza prodotta;<br />

• la volontà di una più capillare diffusione delle innovazioni.<br />

Sulle rinnovabili il ragionamento che si dovrebbe fare è quello più complessivo dello <strong>sviluppo</strong><br />

<strong>locale</strong>, per ricondurre il loro <strong>sviluppo</strong> sul territorio all’interno di un progetto più complessivo di<br />

<strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>. In questo modo, si dà la possibilità alle popolazioni locali di prendere parte<br />

effettivamente al processo, al limite solo in termini di distribuzione dei benefici economici<br />

dell’iniziativa. Il problema è che ormai c’è una finanziarizzazione esasperata in tutti i settori.<br />

L’altro giorno sono andato da un sindaco che ha avuto una proposta, perché qualcuno ha saputo<br />

che dovevano ampliare il cimitero. Unicredit gli ha detto che glielo fanno loro, basta che il Comune<br />

sottoscrive un mutuo ventennale. Questo sindaco, con tutti i parametri di stabilità, non<br />

può accendere mutui, però quelli di Unicredit gli hanno detto che loro una soluzione la trovano.<br />

La sesta potenza del mondo deve fare i cimiteri in project financing Qui, c’è il buco nella vasca<br />

e i fa finta che non c’è… Nelle valli del Tirolo hanno fatto degli interventi molto piccoli per la<br />

produzione di energia idraulica che sono stati finanziati attraverso l’azionariato popolare. Quindi,<br />

ci sono cittadini che non solo non pagano la bolletta, ma a fine anno ricevono anche un dividendo.<br />

Questa è una logica che va nella direzione dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>. Se deve esserci <strong>sviluppo</strong><br />

<strong>locale</strong> è chiaro che innanzitutto deve essere la popolazione <strong>locale</strong> a trarre vantaggio da queste<br />

operazioni. Giustamente, chi fa tecnologia deve avere il suo ritorno, però anche la popolazione<br />

non può non avere il suo. Questo, secondo me, è il problema, perché qua non scatta la molla<br />

Non c’è dubbio che questo è un affare e che per alcuni diventa anche l’affare del secolo, ma<br />

vogliamo distribuirlo in maniera più diffusa Oppure stiamo sempre tra i Guelfi e i Ghibellini. Non<br />

sono d’accordo con i Ripa di Meana nel merito – loro sono dei fondamentalisti perchè dicono no<br />

a priori -, però il ragionamento dietro c’è. Perché mai in questa operazione deve guadagnarci uno<br />

solo, l’operatore economico Bisognerebbe fare un ragionamento di questo tipo. Se riusciamo a<br />

fare questo saltino si riuscirebbe davvero a mettere in moto un percorso che riterrei accettabile.<br />

Bisogna, però, coinvolgere veramente la popolazione e non mettere in piedi dei finti processi<br />

partecipativi solo per far ingoiare quello che è già deciso. Mi rendo conto che una partecipazione<br />

vera fa perdere tempo all’operatore economico, però questo può essere messo nel bilancio<br />

d’azienda, tenendolo in conto dall’inizio. Con il consenso si può andare pure più lontano, col<br />

tempo si può aumentare la potenza dell’impianto, altrimenti comincia una guerriglia che secondo<br />

me non ci porta più da nessuna parte. In questo senso prevedere anche forme di azionariato<br />

popolare può essere buona soluzione (Paolo Berdini, Università di Roma Tor Vergata).<br />

Ci sono esperienze di azionariato popolare. Ad esempio, c’è il Comune di Peccioli (PI), in Val<br />

d’Era, che ha fatto una società pubblico-privata con azionariato popolare e l’ha fatta per l’uso<br />

di una tecnologia di recupero di gas da una discarica e adesso pensano di trasferirlo sul fotovoltaico,<br />

sull’eolico, etc. Quasi tutte le iniziative energetiche “sono “esogene” nel senso che il<br />

territorio prende dei soldi, ma poi non decide nulla, non ha possibilità di governo. Qui si sta<br />

riproducendo quello che è stato in Italia la follia delle Aree di Sviluppo Industriale (ASI) dove<br />

ogni comune ha voluto la sua per incamerare gli oneri di urbanizzazione. Che cosa abbiamo<br />

creato Un disastro, un’occupazione di suolo pazzesca, diseconomie perché queste aree si devono<br />

poi collegare all’autostrada, superstrade, cioè delle diseconomie di lungo periodo. Sulle<br />

energie rinnovabili stiamo andando nella stessa identica direzione e cioè ogni Comune contratta<br />

o viene contrattato dalle ditte e ogni comune ha il suo impianto eolico. In Val D’Era una unione<br />

di Comuni sta tentando di ragionare - essendoci questa esperienza di Peccioli sull’azionariato<br />

popolare - a livello di valle sia per la localizzazione ottimale e sia per la redistribuzione dei<br />

vantaggi. Però se non c’è una proprietà dei Comuni degli impianti, un meccanismo diverso da<br />

quello della ditta che tratta con il singolo comune e con il singolo agricoltore, tutto questo<br />

meccanismo non si riesce a mettere in piedi (Alberto Magnaghi, Università di Firenze).<br />

138


9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Se il meccanismo è esclusivamente quello delle royalties, è evidente che il singolo Comune<br />

(salvo casi eccezionali) non è in grado di incidere veramente o riuscire a fare un suo<br />

piano. Ci vuole un progetto in cui il Comune o un gruppo di Comuni predispone un piano energetico<br />

territoriale complessivo, anche introducendo degli elementi di innovazione rispetto a<br />

piano regionale e provinciale sulla base delle potenzialità che possono emergere dallo studio<br />

del mix <strong>locale</strong> e che il piano regionale/provinciale può non aver considerato del tutto o in<br />

parte. Il territorio <strong>locale</strong> - e la sua filiera istituzionale fatta di Comune, Comunità Montana e<br />

Provincia - può cercare di “governare” il processo solo se riesce a riportare la produzione di<br />

energia all’interno del progetto di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>. Un approccio “progettuale” da parte del<br />

territorio <strong>locale</strong> può essere la chiave per un “risveglio dell’economia margine che scopre la sua<br />

modernità” (Rullani, 2009). Grazie a questa forza, e non solo alle opportunità (contingenti)<br />

del mercato, si può avviare un processo di innovazione diffusa in territori marginali, che in<br />

precedenza potevano essere al massimo considerati aree deboli, l’”osso”, appunto: da sostenere<br />

in base a criteri perequativi assistenziali, rispetto alle aree “centrali” più produttive (la<br />

Il progetto di distretto energetico vento-legno della Comunità Montana di Camerino<br />

Il PEAR (Piano Energetico Ambientale della Regione Marche) nel differenziare in modo oggettivo<br />

(tecnico-economico) l’effettivo contributo delle varie fonti energetiche rinnovabili, reputa le biomasse<br />

e la fonte <strong>eolica</strong> tra quelle in grado di incidere a breve sul bilancio energetico regionale, favorendo<br />

peraltro le aree interne, rispetto a quelle che invece, seppur considerate strategiche, necessitano di<br />

tempi attuativi più lunghi come l’energia solare-fotovoltaica e la geotermia b-t più adatte a contesti<br />

agricoli e/o urbani. La Comunità Montana di Camerino, in conformità con tali obiettivi di pianificazione<br />

regionale, ha quindi individuato nella valorizzazione diretta e integrata delle fonti energetiche<br />

rinnovabili disponibili sul territorio, principalmente vento (con un parco eolico da 34 MW) e<br />

biomasse, il fattore di “volano” per realizzare un proprio modello di nuovo <strong>sviluppo</strong> auto-sostenibile<br />

in termini di miglioramento ambientale e e progresso socio-economico <strong>locale</strong>. “In effetti, l’intuizione<br />

e la volontà di rilanciare generiche e indebolite competenze di valorizzazione socio-economica e<br />

ambientale del proprio ambito grazie alla sopraggiunta vocazione energetica dello stesso intermini di<br />

fonte <strong>eolica</strong> (ventosità idonea oltre i 900 m slm) e di biomassa agro-forestale (la superficie a boscopascolo-seminativo<br />

è pari al 90% del totale), stanno ridisegnando per questo Ente montano un ruolo<br />

istituzionale e una strategia d’azione davvero al passo coi tempi e con le sopravvenute esigenze locali e<br />

non” (Marchetti, 2009:257). I benefici attesi dalla realizzazione del progetto di distretto energetico<br />

montano sono così sintetizzabili:<br />

• presidio e manutenzione permanenti dell’ecosistema montano e forestale con riduzione e prevenzione<br />

del rischio incendi, del dissesto idrogeologico e del degrado ambientale;<br />

• creazione/riconversione occupazione <strong>locale</strong> connessa con le attività economiche di filiera e con<br />

l’indotto ad esse collegato (multifunzionalità in agricoltura, ecoturismo, turismo didattico e congressuale,<br />

certificazione ambientale del patrimonio boschivo, del processo e dei prodotti di filiera);<br />

• formazione e informazione/sensibilizzazione sulla filiera agro-energetica nei confronti degli attori<br />

locali pubblici e imprenditoriali;<br />

• trasformazione per l’utilizzo energetico in loco dei residui da a attività agro-silvicole, di matrici<br />

organici preselezionate (raccolte differenziate di sfalci e potature da utenze private e pubbliche),<br />

dei reflui zootecnici eccedenti le esigenze locali di fertilizzazione;<br />

• risparmio energetico per autoconsumo in impianti termici a biomasse, riduzione dell’utilizzo di<br />

combustibili fossili e dell’emissione di gas serra;<br />

• sussidiarietà e integrazione tra le fonti energetiche rinnovabili tradizionali (biomasse) e tecnologiche<br />

(eolico) implementabili nel territorio con queste ultime, in quanto più immediatamente praticabili<br />

e remunerative, sostenere lo <strong>sviluppo</strong> dell’intera filiera energetica da incentrare sulle prime.<br />

139


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Nel progetto è stata coinvolta anche l’Università di Camerino e Ancona, per le competenze e le ricerche<br />

connesse, ma soprattutto sono state mobilitate le risorse di imprenditorialità collettiva locali, sia<br />

sul piano degli enti e delle comunità coinvolte, che su quello delle imprese e delle loro associazioni.<br />

Ma, l’implementazione pratica del progetto non è stata affatto facile. Nonostante le cautele impiegate<br />

per ridurre l’impatto ambientale, e l’esito positivo del processo autorizzatorio (VIA, conferenza<br />

dei servizi, autorizzazione regionale) ha suscitato l’opposizione della Sovrintendenza ai Beni Architettonici<br />

e Paesaggio delle Marche, aprendo una vertenza dagli esiti ancora incerti.<br />

“polpa”), ma non da valorizzare come luoghi che si pongono – nel campo prescelto – all’avanguardia<br />

nell’esplorazione del nuovo.<br />

I territori non vanno lasciati soli nello studio di queste politiche e d interventi nel<br />

campo energetico, anche perché possono essere preda di attori “egoisti” che in realtà non<br />

hanno alcun interesse all’esito collettivo di queste politiche e interventi, ma hanno fini solo<br />

speculativi. Pertanto, anche considerata la grande distanza che c’è tra la realtà attuale e la<br />

possibilità di fare un ragionamento sullo <strong>sviluppo</strong> delle rinnovabili in relazione allo <strong>sviluppo</strong><br />

<strong>locale</strong>, sarebbe importante realizzare un’azione di sistema per provare ad accompagnare con<br />

un approccio sperimentale qualche territorio che volesse affrontare il tema delle energie rinnovabili<br />

in modo integrato attraverso una valutazione dei mix energetici, arrivando a definire<br />

dei piani energetici locali con un obiettivo di autosufficienza energetica.<br />

La domanda che ci si deve porre è se è possibile, partendo dalle aree che hanno delle rinnovabili<br />

insediate attraverso l’eolico, immaginare che quei territori possano diventare in modo consapevole<br />

delle comunità integralmente sostenibili A questa domanda è difficile rispondere, ma è<br />

una buona sfida. Noi abbiamo dei territori in cui è già significativa “la buona pratica” rispetto<br />

ad un tema di sostenibilità e di fronte a processi innovativi come questi bisogna “accompagnare”<br />

(Antonio Saturnino, Formez).<br />

Buoni segnali che arrivano dal territorio noi li abbiamo dalla Campania, in tutta la zona<br />

dell’Agro Nocerino Sarnese, dove ci sono dei comuni lungimiranti, che magari compaiono poco<br />

nelle classifiche, ma che manifestano una buona predisposizione fare governance. Hanno<br />

una buona classe di amministratori e una immensa potenzialità di risorse sul territorio. Loro,<br />

ad esempio, hanno tutto il sistema legato alle biomasse e alla quota idrica che non è da sottovalutare.<br />

Quello potrebbe essere un esempio di ecosistema che potrebbe utilizzare le leve<br />

programmatiche sull’energia per potenziare quella filiera, anche con la partecipazione privata e<br />

utilizzare poi anche la leva dei beni e delle risorse culturali che sarebbe una naturale sinergia,<br />

anche come sbocco occupazionale e di visibilità. Questo potrebbe essere un modello di integrazione,<br />

di mix (Giada Maio, ANCI).<br />

Ci vuole un accompagnamento istituzionale e tecnico dei territori. A noi questo sembra giusto e<br />

ragionevole, anche perché le strade che abbiamo percorso fino ad adesso non hanno funzionato.<br />

La programmazione nazionale e regionale non esiste e dove c’è è fallace o sbagliata. Bisogna<br />

provare a prendere il problema da un altro lato. Quello che abbiamo cercato di fare in questi<br />

anni è stato di coltivare il rapporto con il territorio. Ci sono almeno 5-6 punti diversi, sparsi<br />

dal Veneto, al Trentino, alla Basilicata, alla Campania, alla Calabria, alla Sicilia, dove noi facciamo<br />

questo ragionamento della comunità sostenibile in cui il driver fondamentale è l’utilizzo<br />

energetico in forma sostenibile delle risorse del territorio. Ce li abbiamo a non faccio fatica a<br />

dire che è difficile coltivarli, perché cerchiamo di farlo in una maniera che poi lasci a loro la<br />

capacità di alzarsi sui pedali e di fare la propria strada, cercando la loro identità, coltivando un<br />

140


9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

proprio progetto di <strong>sviluppo</strong>. Fare questo lavoro di scouting, di valutazione del potenziale delle<br />

risorse, è faticoso, difficile e presuppone poi anche la capacità di tenersi fuori, di non andare<br />

ad asfaltare, anche concettualmente, il pensiero (Tommaso Dal Bosco, UNCEM).<br />

9.2 Rinnovabili e agricoltura<br />

All’interno di una prospettiva di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, una diffusione sul territorio degli impianti<br />

di energia da fonti rinnovabili deve mirare a produrre effetti moltiplicativi in diversi<br />

campi. Innanzitutto, in campo ambientale, attraverso il contenimento dei fenomeni di<br />

inquinamento, con particolare riferimento alle emissioni di gas serra. Inoltre, nel campo<br />

dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, attraverso la valorizzazione delle risorse presenti in maniera diffusa<br />

sul territorio, spesso in aree marginali con scarsità di prospettive di <strong>sviluppo</strong> economico, e<br />

attraverso lo <strong>sviluppo</strong> integrato del territorio - ad esempio, con il collegamento dell’uso delle<br />

fonti rinnovabili (anche per la forza comunicazionale che oggi ha la leva ambientale) con lo<br />

<strong>sviluppo</strong> del sistema agro-alimentare, del sistema delle piccole e medie imprese artigianali ed<br />

industriali, col turismo, con la produzione artistica e culturale, etc. - e la creazione di nuove<br />

opportunità di lavoro e d’impresa.<br />

In questa visione multisettoriale integrata, particolare importanza e complessità riveste il<br />

rapporto tra la diffusione delle rinnovabili e l’agricoltura. Le attività agricole e forestali, infatti,<br />

assumono funzioni complesse di produzione anche di beni pubblici. Con la produzione agricola<br />

si svolgono funzioni di: salvaguardia idrogeologica, conservazione della fertilità dei suoli e<br />

della complessità ecosistemica (biodiversità), valorizzazione del paesaggio agrario, sostenibilità<br />

complessiva dello <strong>sviluppo</strong>. Anche il bosco rientra nella visione integrata dello <strong>sviluppo</strong> e,<br />

quindi, viene considerato come “sistema forestale integrato” che vede nel piano di forestazione<br />

il suo strumento privilegiato in grado di: organizzare l’attività di forestazione e di taglio nonché<br />

tutte le attività produttive connesse, di sviluppare le interazioni sinergiche con l’occupazione,<br />

il turismo e l’ambiente. In agricoltura, l’offerta non solo del prodotto (di qualità) ma anche del<br />

suo sistema (ambientale, storico, culturale) produce ricadute positive sullo stesso mercato del<br />

settore a fronte dell’evoluzione della domanda e dell’importanza del turismo.<br />

L’agricoltura oggi, almeno nel nostro Paese, non si presenta competitiva in termini di rendimenti<br />

di scala, di grandezze, in termini di rendimenti produttivi, ma in termini di qualità, la somma<br />

delle qualità: paesaggio, ambiente, natura, cultura, mestieri, tradizioni, storia, bellezza, luoghi<br />

che vengono messi dentro la cassetta di vino o di olio che rappresentano quei valori immateriali<br />

che fanno si che il nostro prodotto possa essere molto competitivo se dotato di informazioni<br />

lungo la catena alimentare e presso il punto vendita (Stefano Masini, <strong>Coldiretti</strong>).<br />

La definizione e la costruzione di questa visione sistemica comporta per la produzione<br />

agricola una trasformazione radicale del peso economico, culturale e sociale del mondo rurale<br />

rispetto a quello (marginale) attribuitogli dalla società industriale. Le innovazioni (metodologiche,<br />

di atteggiamento scientifico, di sensibilità ecologica e sociale) portano nel territorio<br />

agricolo la voglia di fondare nuove comunità, il gusto della sperimentazione (biologica, 105<br />

105 L’agricoltura biologica costituisce una reale risposta alle problematiche poste dal riorientamento dell’attività agricola ed<br />

in particolare della diversificazione colturale collocate nel contesto più generale della conservazione ambientale. Si qualificano<br />

biologici, infatti, quei prodotti che derivano da una agricoltura ecologicamente sostenibile e che utilizza sistemi di produzione<br />

naturali, senza aggiunta di agenti chimici, che evita ogni forma di inquinamento, che riduce al minimo l’impatto sull’ambiente<br />

e sulla vita animale, che valorizza il potenziale dei cicli biologici e che ha un approccio globale alla produzione. In tal senso<br />

l’agricoltura biologica, da un lato, offre prodotti sani e privi di residui di origine chimica e, dall’altro, elimina i rischi di contaminazione<br />

ed inquinamento dell’ambiente naturale. Obiettivo dell’agricoltura biologica non è l’ottenimento di elevate rese produttive<br />

pur richiedendo di norma un maggior impiego di manodopera, bensì il raggiungimento di obiettivi: di carattere ambientale<br />

(impiego meno intensivo del terreno e dei fattori produttivi, conservazione degli insediamenti umani nell’ambiente rurale, tutela<br />

141


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

biodinamica), il tentativo di arricchire il complesso delle attività che si svolgono nella campagna<br />

di funzioni terziarie alte, e così via. L’agricoltura sostenibile richiede inoltre la ripresa<br />

e o il rafforzamento delle attività di manutenzione attiva del territorio. La riqualificazione<br />

del paesaggio, la sua difesa, l’intervento nel caso di disastri naturali o artificiali (alluvioni,<br />

incendi, erosione, frane, siccità, etc.) richiedono una osservazione continua del territorio, un<br />

monitoraggio sensibile delle trasformazioni ambientali, una partecipazione consapevole, anche<br />

collettivamente organizzata, alla gestione del patrimonio naturale e paesistico. La manutenzione<br />

del territorio richiede uno stile di vita individuale sensibile verso la terra, uno stile<br />

di vita della collettività basato sulla cooperazione e l’aiuto reciproco, una partecipazione<br />

diretta e sapiente alle vicende del suolo e dell’ambiente, una collaborazione con gli organismi<br />

istituzionali di pianificazione e di gestione. Da qui, la rivalutazione dell’agricoltore in rapporto<br />

all’evoluzione dei bisogni reali e alla costante ricerca di risposte adeguate, all’interno<br />

di una rete di relazioni complesse con il territorio di cui fa parte e ha cura. La stessa azienda<br />

agricola si configura come una struttura complessa (agroterziaria), che fa riferimento a reti<br />

territoriali dense ed estese nell’attivare finalità sociali, culturali, formative e di ospitalità.<br />

Su questa base lo <strong>sviluppo</strong> agricolo del territorio deve concorrere a: migliorare la qualità<br />

dell’ambiente divenendo elemento propulsivo per il riassetto idrogeologico, sviluppare la<br />

produttività del terreno contro la perdita costante di potenzialità e la desertificazione progressiva,<br />

sviluppare la diversificazione produttiva caratterizzando le diverse produzioni fino<br />

alla costituzione di marchi, sviluppare le filiere produttive per l’integrazione di produzione<br />

- processi di lavorazione e trasformativi - commercializzazione. In relazione a ciò, le politiche<br />

per lo <strong>sviluppo</strong> delle aree rurali non sono più limitate alle tradizionali politiche agrarie,<br />

ma sono un “mix” delle politiche dello <strong>sviluppo</strong> quali, quelle dell’artigianato, del turismo,<br />

dell’ambiente, dell’agricoltura, etc. Si tratta di politiche indirizzate a tutto ciò che non è<br />

soltanto agricolo, ma rurale.<br />

Pertanto, la diffusione della produzione di energia da fonti rinnovabili da parte delle<br />

imprese agricole rappresenta una sfida importante e di sicuro interesse, soprattutto se interpretata<br />

in chiave multifunzionale. L’agricoltura, infatti, può contribuire in maniera significativa<br />

al raggiungimento degli obiettivi di produzione di energia da fonti rinnovabili stabiliti a<br />

livello internazionale, nell’ambito delle strategie di mitigazione del cambiamento climatico.<br />

L’interesse del settore agricolo allo <strong>sviluppo</strong> della produzione di energia da fonti rinnovabili<br />

si evince, ad esempio, dal sostegno dato dalle organizzazioni di rappresentanza all’adozione<br />

dell’articolo 1, comma 423 della legge n. 266/05 (Legge Finanziaria 2006), mediante il quale,<br />

è stata riconosciuta la qualifica di attività connessa alla produzione ed alla cessione di energia<br />

elettrica e calore da fonti agroforestali e fotovoltaiche. Da qui, il diffondersi del modello<br />

dell’azienda agri-energetica, cioè di un’azienda agricola che può ricoprire un ruolo molto importante:<br />

nel mercato <strong>locale</strong> delle piccole applicazioni per la produzione di energia da fonti<br />

rinnovabili, nella produzione, soprattutto, di reddito incrementale per le aziende stesse e il<br />

sistema agricolo nel suo complesso.<br />

In questi ultimi anni è cresciuto rapidamente il numero imprese agricole che hanno visto<br />

la realizzazione di impianti (propri o di terzi) di produzione da energia rinnovabile sui propri<br />

terreni. In questo modo, il reddito prodotto da queste installazioni va ad integrare quello<br />

delle attività agricole primarie e collegate, sostenendole, sia dal punto di vista finanziario<br />

sia dell’immagine.<br />

e salvaguardia del territorio), di carattere agricolo (economia di gestione aziendale, valorizzazione delle produzioni, garanzia di<br />

reddito degli operatori), di carattere alimentare (prodotti con tecniche a ridotti “input” e qualità certificata), di riequilibrio dei<br />

mercati (riavvicinamento della domanda e dell’offerta), di tutela del consumatore.<br />

142


9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

L’energia rinnovabile non deve essere vista come in competizione con l’agricoltura, ma ad interazione<br />

di questa, come quell’elemento che può rilanciare l’agricoltura, dandogli un reddito fisso,<br />

stabile, senza oscillazioni che dipendono dalle variazioni nel prezzo del grano o della carne<br />

o delle condizioni climatiche stagionali, e magari permettono di fare uno <strong>sviluppo</strong> agricolo di<br />

qualità. Se uno ha già una rendita può fare anche un investimento su una serra per fare una<br />

primizia (Ivano Bruni, Enel Green Power).<br />

Ci sono delle piccole aziende che iniziano a dire: ”il nostro prodotto è realizzato con energia<br />

da fonti rinnovabili”. È un segnale anche piccolo, ma c’è. Ci sono dei segmenti che cominciano<br />

a trovare una risposta nella certificazione di qualità. Comincia ad esserci un’attenzione e<br />

disponibilità in questo senso anche all’interno delle nostre comunità (Virgilio Caivano, Piccoli<br />

Centri Europei).<br />

Tuttavia, le associazioni di rappresentanza del mondo agricolo guardano con crescente<br />

preoccupazione alla diffusione di grandi impianti eolici e fotovoltaici su suolo agricolo, perché<br />

ritengono che queste grandi strutture (e le necessarie infrastrutture di contorno) finiscano<br />

per danneggiare l’esercizio dell’attività agricola stessa, oltre che la qualità del territorio.<br />

C’è una certa “antipatia” per gli impianti eolici che conosciamo oggi – perché poi possiamo anche<br />

parlare di quelli che vorremmo conoscere – perchè si tratta di iniziative che, a differenza di<br />

altre rinnovabili, non vedono protagonista l’imprenditore agricolo. In fondo, l’imprenditore cede<br />

il terreno per una iniziativa imprenditoriale di terzi. Nel momento in cui si instaurano contratti<br />

di filiera per le biomasse o il biogas, lo sfruttamento del legname, il recupero e la valorizzazione<br />

dei residui, l’imprenditore agricolo con la sua struttura aziendale è coinvolto, cioè partecipa ad<br />

un progetto di <strong>sviluppo</strong> energetico, diventa attore del territorio, anche attraverso la eventuale<br />

creazione di piccoli consorzi di produttori. Invece, gli impianti eolici industriali sono apparsi<br />

come un qualcosa che cala dall’alto – e lo sono oggi soprattutto dopo che si sono costruiti dei<br />

percorsi di accesso ad aree svantaggiate, in cui c’è la traccia paesistica di una strada e di un<br />

percorso di torri -, e molto spesso il territorio non ha una vera ricaduta occupazionale, non c’è<br />

economia <strong>locale</strong>, si è creato un investimento che dà i suoi frutti distribuiti in dividendo in società,<br />

che è qualcosa di molto diverso dal nostro modello di compartecipazione nello <strong>sviluppo</strong> delle<br />

energie. Da questo punto di vista, lo <strong>sviluppo</strong> dell’energia fotovoltaica, per quanto in alcuni<br />

casi si registrano le medesime finalità speculative, consente di rendere partecipi gli agricoltori.<br />

È chiaro che in questo caso noi siamo di fronte ad ettari di terreno investito a tetti fotovoltaici.<br />

L’agricoltore cede il fondo, si abbandona il presidio di una determinata area, lo <strong>sviluppo</strong><br />

prende una direzione diversa e cosa rimane Rimane l’alterazione del mercato fondiario, perché<br />

in quell’area i prezzi dei terreni a quel punto oscillano su valori che non corrispondono a quelli<br />

tradizionali legati alla produzione di foraggio. Il problema è che bisogna rendersi conto che il<br />

concetto di <strong>sviluppo</strong> in rete delle microenergie deve pure trovare una logica di componimento<br />

sul territorio altrimenti si ha solo un irradiamento in maniera frazionata sul territorio che determina<br />

molti scompensi nell’economia agricola (Stefano Masini, <strong>Coldiretti</strong>).<br />

Secondo le rappresentanze agricole, tale tipologia di impianti può determinare impatti<br />

ambientali rilevanti, anche in virtù degli effetti cumulativi, come, ad esempio, la perdita<br />

di permeabilità del suolo, disequilibri idrogeologici, fenomeni alluvionali, di erosione e<br />

desertificazione, danni alla biodiversità, alterazioni microclimatiche, produzione di ingenti<br />

quantitativi di rifiuti nelle fasi di smantellamento, effetti negativi legati alla necessaria infrastrutturazione<br />

di trasporto dell’energia.<br />

In particolare, per quanto riguarda la diffusione di grandi impianti fotovoltaici sul suolo,<br />

si evidenzia come questi abbiano una potenza tale da dover impegnare ampie superfici<br />

143


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

agricole, nonostante l’uso dei terreni dovesse rappresentare – nelle intenzioni del legislatore<br />

– una alternativa secondaria rispetto all’uso di superfici più idonee, come i capannoni industriali<br />

e le discariche in fase post operativa. A ciò si lega, inoltre, la preoccupante diffusione<br />

del fenomeno dell’affitto di terreni agricoli da parte di soggetti estranei al settore, spesso<br />

con manifesti fini speculativi. Tutto ciò comporta il rischio di una ulteriore riduzione della<br />

superficie agricola disponibile.<br />

Per avere un’idea della portata del fenomeno si deve pensare che il 64% degli impianti fotovoltaici<br />

installati in Italia ha una taglia superiore a 20 kW ed il 44% della potenza installata non<br />

è integrata. Si pensi, ad esempio, che nel Comune di Canaro, in Provincia di Rovigo, sono stati<br />

occupati ben 120 ettari di terreno per un totale di 240.000 pannelli di una dimensione pari<br />

ad 80x100 centimetri. Inoltre, in Puglia, l’Agenzia Regionale per la Prevenzione e la Protezione<br />

dell’<strong>Ambiente</strong> ha comunicato ai competenti uffici regionali di formulare “parere contrario” ad<br />

ogni nuovo insediamento di impianti di generazione di energia da fonte solare in ambito agricolo,<br />

almeno fino a quando non siano stati definiti approfonditi ed esaustivi studi di valutazione<br />

di alcuni elementi di forte criticità e l’autorità competente non abbia provveduto ad una programmazione<br />

attenta in questo ambito. Le stime fornite dall’Arpa Puglia relative alla potenza<br />

installata e alla superficie agricola regionale occupata (nel 2009: 738,323 MW installati per<br />

una superficie agricola totale di 2.214 ettari) dimostrano l’assoluta rilevanza del fenomeno.<br />

Per quanto riguarda, poi, la diffusione di grandi impianti eolici, si evidenzia come la maggior<br />

parte delle torri eoliche siano alte fino a 100 metri, con pale di 30 metri di diametro, con un<br />

area di assoggettamento, per ognuna, calcolata in circa 400 metri quadri, cosa che comporta,<br />

ad oggi, la perdita di circa 25.000 ettari di territorio, con effetti paesaggistici, ambientali ed<br />

economici che si estendono, peraltro, in una area molto più vasta e che potrebbero presto moltiplicarsi,<br />

visti i 10.000 MW di energia <strong>eolica</strong> già autorizzati e gli oltre 40.000 MW in istruttoria<br />

(Stefano Masini, <strong>Coldiretti</strong>).<br />

Per tutti questi motivi, la <strong>Coldiretti</strong> ha accolto con soddisfazione le linee guida nazionali<br />

per il corretto inserimento nel paesaggio degli impianti da fonti rinnovabili, sulla base delle<br />

quali le Regioni possono individuare le aree del proprio territorio non idonee alla loro realizzazione.<br />

Tali aree sono identificabili, in particolare, in quelle agricole di pregio e nelle aree<br />

protette a livello regionale, nazionale ed internazionale.<br />

La produzione di energia rinnovabile deve sempre avvenire nel rispetto di alcuni principi generali,<br />

quali, proprio, un ridotto consumo di suolo, il riutilizzo di aree già degradate da attività<br />

antropiche, come i siti industriali o contaminati, ed una progettazione legata alle specificità<br />

dell’area. Nell’autorizzare progetti localizzati in zone agricole caratterizzate da produzioni<br />

agro-alimentari di qualità e/o di particolare pregio rispetto al contesto paesaggistico-culturale,<br />

ad esempio, è necessario verificare che non compromettano o interferiscano negativamente<br />

con la valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, la tutela della biodiversità, del<br />

patrimonio culturale e del paesaggio rurale. La preoccupazione di <strong>Coldiretti</strong> circa una diffusione<br />

indiscriminata degli impianti eolici e fotovoltaici di grossa taglia nasce dal timore<br />

che, nel promuovere questi impianti, non si proceda alle opportune valutazioni degli impatti<br />

paesaggistici ed economici, rischiando, così, di compromettere gli investimenti delle imprese<br />

agricole finalizzati a rendere il territorio un vero e proprio fattore produttivo, cui legare le<br />

produzioni tipiche, di qualità ed identitarie, così come le attività agrituristiche e ricreative,<br />

che rappresentano strumenti capaci di garantire la vitalità e la competitività di un’agricoltura,<br />

oggi, indissolubilmente legata al territorio di appartenenza. Nella valutazione di impatto degli<br />

impianti energetici, anche quando si tratti di fonti rinnovabili, non si può prescindere, quindi,<br />

da un’analisi circostanziata dei costi-benefici, che tenga in debito conto quale reale valore<br />

144


9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

abbia l’integrità ambientale, territoriale e paesaggistica per le imprese agricole. L’impatto<br />

della diffusione delle centrali di energia sul territorio, con la facile compromissione dei valori<br />

del suo paesaggio, rischia di indebolire l’importante processo di rigenerazione dell’agricoltura,<br />

non più finalizzato a produrre in termini quantitativi, ma mirato alla qualità e, sempre con<br />

maggiore convinzione, alla valorizzazione del territorio. Auspichiamo che le linee guida possano<br />

costituire effettivamente uno strumento adeguato, capace di contribuire alla definizione di<br />

politiche territoriali, che sono efficaci nella misura in cui ricercano ed attuano idonei strumenti<br />

normativi di regolazione dei processi economici e di salvaguardia del territorio e dei segni della<br />

sua identità (Stefano Masini, <strong>Coldiretti</strong>).<br />

Infine, c’è da considerare la possibilità che l’installazione dei parchi eolici e degli altri<br />

impianti da fonti rinnovabili può essere anche un’opportunità per incrementare i flussi del<br />

turismo rurale. Negli ultimi anni si è enormemente sviluppata, in Italia, l’offerta e la fruizione<br />

del cosiddetto turismo enogastronomico, che punta alla valorizzazione dei territori rurali<br />

attraverso la conoscenza e la promozione di produzioni vitivinicole, olearie ed alimentari<br />

tipiche e tradizionali di alta qualità. Oggi, è possibile partire dalle grandi aree metropolitane<br />

e avventurarsi nelle aree rurali alla scoperta di luoghi di interesse storico, artistico, ambientale.<br />

Ai movimenti come Slow Food, il Touring Club, oltre che ai più specializzati come<br />

il Movimento del Turismo del Vino o l’Associazione Città dell’Olio, supportati anche dagli<br />

incentivi europei e dalle conseguenti legislazioni italiane in materia, va il merito di aver<br />

introdotto nuove abitudini, nuove curiosità, nuovi ritmi tra i turisti che attraversano la penisola.<br />

Si sono moltiplicate in tutte le regioni le “Strade del Vino”, “Strade dell’Olio”, “Strade<br />

dei Sapori” e “dei prodotti tipici”. In questa accezione, le “strade” sono percorsi segnalati e<br />

pubblicizzati con appositi cartelli, caratterizzati da particolare interesse sotto diversi punti<br />

di vista: naturale, culturale e ambientale. Questi percorsi si snodano lungo vigneti, cantine,<br />

aziende agricole aperte al pubblico, che costituiscono strumento attraverso il quale i territori<br />

e le relative produzioni possono essere divulgati, commercializzati e fruiti in forma di offerta<br />

turistica. Si sviluppano così attività di ricezione e di ospitalità, compresa la degustazione dei<br />

prodotti aziendali e l’organizzazione di attività ricreative, culturali e didattiche.<br />

A questa tipologia turistica potrebbero fare riferimento nei territori dove già oggi c’è una<br />

forte concentrazione di parchi eolici installati, la creazione di “Strade del Vento”, con l’intento<br />

di valorizzare di percorsi, interni, longitudinali e trasversali che seguono o incrociano<br />

le dorsali appenniniche e pre-appeniniche meridionali. Itinerari che possono riservare grandi<br />

sorprese dal punto di vista paesaggistico e che possono far conoscere le potenzialità di <strong>sviluppo</strong><br />

di questi territori. Un intervento di questo tipo potrebbe contribuire a dare impulso<br />

a una zona a tradizionale vocazione rurale non più (non solo) attraverso le sue produzioni<br />

agricole tipiche, ma attraverso la scoperta delle sue potenzialità energetiche, che sfruttano<br />

un elemento altamente caratterizzante di questi luoghi: il vento. È un filo conduttore poetico<br />

e potente, che può articolarsi, analogamente ai modelli sperimentati per le altre “strade”,<br />

secondo diversi punti di vista. Primo tra tutti la conoscenza del tipo di produzione, che può<br />

concretizzarsi in questo caso con la visita agli impianti eolici, con lo scopo della divulgazione<br />

della tematica dell’utilizzazione delle fonti di energia rinnovabile, anche per sgombrare<br />

il campo da tanti equivoci ambientalistici che rendono alcuni tendenzialmente diffidenti dal<br />

ricorso a fonti energetiche rinnovabili. Le piccole aziende agricole potrebbero essere visitate<br />

con occhio diverso, come strutture autosufficienti dal punto di vista energetico, luoghi<br />

idonei allo <strong>sviluppo</strong> di progetti-pilota per l’impianto di aerogeneratori di piccola taglia. La<br />

sensibilità al mondo del biologico nella sua accezione più ampia, che i movimenti turistici<br />

sopra ricordati hanno ampiamente contribuito a radicare, favorisce senz’altro un approccio<br />

145


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

interessato a tali argomenti. All’aspetto “didattico” si può affiancare quello tradizionalmente<br />

culturale, per la presenza di centri piccoli e poco conosciuti, ma ricchi di storia e di testimonianze<br />

artistiche, archeologiche e medioevali.<br />

9.3 Rinnovabili e aggregazioni territoriali<br />

Spesso oggi dietro l’opposizione di comuni adiacenti a quello su cui insiste un impianto<br />

eolico vi è non tanto una questione estetica e/o ambientale, quanto un comprensibile malumore<br />

per il mancato coinvolgimento ai benefici economici di quella attività, al punto che,<br />

probabilmente, ove fosse stata prevista una ripartizione degli utili su scala territoriale più<br />

ampia rispetto a quella comunale in alcuni casi si sarebbero potute superare le resistenze.<br />

Tempo fa avevamo fatto un progetto nel comune di Delicato in provincia di Foggia per iniziare<br />

a capire quali erano le aree potenzialmente interessanti e che problematiche ognuna di queste<br />

avesse. In quel caso vi era una collina che volevamo diventasse una specie di “distretto”<br />

energetico, quindi eolico, piantagioni da biomasse, etc. Insomma, abbiamo lavorato per creare<br />

una “collina energetica”, coinvolgendo tutti. Questo per provare a capire se tutti i proprietari<br />

della zona potevano entrare nel progetto e non solamente chi aveva “la torre” nel suo campo.<br />

Questo è un grosso problema perché chi si ritrova la “torre” ha l’affitto annuale e quello a un<br />

metro di distanza non ha nulla. Questo problema si supererebbe facendo “dei comparti” come<br />

si fa in edilizia, per cui tutti quanti partecipano e non solamente pochi fortunati. È una cosa<br />

complicata, non ci sono i meccanismi. Molto spesso i crinali sono sui confini comunali per cui<br />

può succedere che il maggiore impatto visivo c’è l’ha il comune limitrofo che però non ha nessun<br />

beneficio. Queste cose non hanno senso, andrebbero trovate delle formule diverse (Daniela<br />

Moderini, architetto del paesaggio).<br />

Per questo c’è chi pensa che ci sia bisogno di una regia di area, di un coordinamento tra<br />

gli Enti locali, anche attraverso la gestione associata o l’obbligo di formare dei consorzi tra<br />

comuni limitrofi. 106 In questo modo si può effettuare una valutazione dei progetti considerando<br />

un ambito sovra comunale per capire dove le torri si vanno a collocare e verificare come<br />

si relazionano rispetto a progetti già realizzati o in corso di approvazione o realizzazione, e<br />

per introdurre così correttivi e adattamenti.<br />

Il comune che chiede il 10% di royalty monetarie, che adesso chiaramente con le Linee Guida<br />

non sono più possibili, perché lo fa Perché c’è qualcuno che dall’altra parte bussa alla porta del<br />

sindaco e gli propone alcune cose, assicurando che si possono fare. Non può essere altrimenti,<br />

perché il comune non ha ancora questa capacità su questi settori. Sono pochi i comuni che<br />

hanno un energy manager o altre figure competenti. La percentuale di competenza comunale<br />

è ancora bassissima anche perché la maggior parte dei comuni italiani sono dimensionati in<br />

modo tale da non avere una struttura dedicata. Qua, sarebbe importante il ruolo delle Province o<br />

106 Un caso di successo è senz’altro il Consorzio CeV di Verona (ww.consorziocev.it), un Consorzio di 1.001 enti pubblici,<br />

costituito in base al codice civile, che si sono uniti per abbattere tutti i costi dell’energia, per usufruire gratuitamente di importanti<br />

servizi che ne semplificano la gestione, ma soprattutto per costruire, insieme, una nuova cultura dell’energia all’interno ed<br />

all’esterno dell’ente e nella comunità. Da sempre attento alle tematiche dell’ambiente, che oggi con grande enfasi coinvolgono<br />

istituzioni ed opinione pubblica, CeV rappresenta una realtà unica, competente ed affermata nel panorama nazionale, in grado<br />

di garantire un supporto concreto all’ente:<br />

• risparmiare sui costi d’acquisto dell’energia garantendosi una fornitura 100% proveniente da fonti rinnovabili;<br />

• gestire al meglio tutti gli aspetti tecnici dell’energia;<br />

• produrre energia da fonti rinnovabili senza costi per l’ente;<br />

• formare del personale esperto per gestire le complessità e le opportunità della liberalizzazione.<br />

In costante ascesa, il Consorzio CeV ha fatto dello spirito di aggregazione un meccanismo virtuoso che sino ad oggi ha garantito<br />

un risparmio complessivo di 14 milioni di Euro ad esclusivo vantaggio dei soci. Tutti i Comuni possono aderire a CeV, poiché<br />

l’adesione non è in contrasto con le limitazioni previste dall’art. 2 della finanziaria 2008.<br />

146


9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

comunque di una gestione associata. Noi, la gestione associata di molti processi l’abbiamo proposta<br />

anche come emendamento alla bozza di decreto di recepimento della direttiva 28. Si vuole<br />

la procedura semplificata, va bene, ma è un altro titolo di inizio che è la procedura semplificata<br />

per gli impianti da energie rinnovabili. Noi abbiamo accettato, perché è meglio che reintrodurre<br />

la vecchia Scia che ci toglie il potere di controllo sul territorio. Però, abbiamo detto che occorreva<br />

dare al comune di mille abitanti almeno la possibilità di farlo in gestione associata, al di là che ci<br />

sia una delega alla Provincia, perché sappiamo che purtroppo oggi pochi sono i territori dove c’è<br />

una cooperazione tra i diversi livelli della filiera istituzionale-amministativa (Giada Maio, ANCI).<br />

Mi pare che in Italia le condizioni per uno <strong>sviluppo</strong> forte di forme vere e proprie di azionariato<br />

popolare siano ancora assenti o molto, molto deboli. Invece, c’è la possibilità che i Comuni si<br />

consorzino per progetti di questo tipo. È una possibilità che in qualche misura viene praticata<br />

ed è assolutamente positiva perché ovviamente se a promuovere progetti di produzione energetica<br />

da fonti rinnovabili sono i comuni, l’attenzione ai dati legati all’impatto paesaggistico e in<br />

generale all’accettazione sociale è inevitabilmente più grande, più spiccata. Quindi, credo che<br />

forme di questo tipo, con il coinvolgimento dei comuni nei progetti, naturalmente se avviene in<br />

forme trasparenti, credo che sia un fatto assolutamente positivo e che può anche ridurre i rischi<br />

di accettazione sociale degli impianti (Roberto Della Seta, senatore).<br />

In questa direzione le Regioni dovrebbero spingere progetti che coinvolgano, anche nelle<br />

procedure di approvazione, un bacino più ampio di Comuni, in modo da evitare speculazioni<br />

e permettere una valutazione che aiuti l’integrazione nel paesaggio e nel contesto socio-economico<br />

<strong>locale</strong>. La direzione dovrebbe essere quella di spingere progetti integrati in contesti<br />

territoriali e visivi che vanno oltre i confini comunali e per questo la soluzione più efficace<br />

appare quella di prevedere il coinvolgimento di più Comuni (anche nei vantaggi economici)<br />

in tutti i casi in cui gli impianti sono posti entro una distanza stabilita dai confini oppure<br />

sono visibili le torri, ad esempio, da centri abitati nei Comuni confinanti.<br />

Per governare le trasformazioni del paesaggio non si può contare solo sulla spontanea capacità<br />

delle comunità locali di mettere insieme i Comuni, ma occorre obbligare i Comuni a consorziarsi,<br />

perché è nel rapporto diretto tra imprenditore e Comune che si crea o qualcosa di positivo o<br />

qualcosa di estremamente negativo. Occorre obbligarli ad arrivare a delle soluzioni condivise e<br />

trasparenti (Edoardo Zanchini, Legambiente).<br />

Sono sindaco di un Comune che vede il business dell’eolico passare, cioè che guarda le torri<br />

eoliche degli altri comuni, ma non ci ricava quasi niente perché il territorio comunale è di solo<br />

1.000 ha. Nel ‘94-’95 è stato realizzato il primo impianto eolico in questo territorio nel Comune<br />

di Monteleone, confinante con il mio, con 10 torri eoliche della potenza di 1,5Mw e con una<br />

royalty dell’1,5%. All’epoca non conoscevamo quant’era la produzione, quindi mi limitai a fare<br />

un’indagine per vedere se queste installazioni potessero dare dei problemi alla popolazione.<br />

Appurai che le onde elettromagnetiche si annullavano entro i 20-40 metri, e allora diedi anch’io<br />

per la mia piccolissima parte l’assenso. Quindi, Monteleone e Anzano sono stati i primi a partire<br />

sull’eolico. Inizialmente, ci ricavavamo circa 20 milioni di lire, oggi la produzione si è talmente<br />

abbassata che ci ricavo circa 1.000 euro all’anno. Pertanto, il nostro ricavo si è quasi completamente<br />

azzerato e, quindi, io non ho neppure l’opportunità che qualche comune ha di risanare<br />

il proprio bilancio. Che cosa vedo per il nostro territorio Noi storicamente siamo vissuti in un<br />

territorio marginale con delle risorse marginali, per cui era difficile andare avanti. Oggi, alla<br />

luce di tutto questo, vedo che queste nostre risorse “marginali”, che una volta non valevano<br />

niente, oggi valgono tantissimo, perché sono rappresentate dal vento, dal sole, dalle biomasse<br />

legnose e vengo utilizzate per produrre energie che servono alle zone “avanzate”. Credo che<br />

147


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

dobbiamo iniziare a vedere la presenza di queste risorse energetiche non soltanto come una<br />

posizione di rendita, perchè questo ci può consentire soltanto di sopravvivere per 10-15 anni.<br />

Dobbiamo immaginare di andare oltre al beneficio immediato, per avere anche uno <strong>sviluppo</strong><br />

sostenibile per le generazioni future. Questa è la vera scommessa che dobbiamo portare avanti.<br />

Come Io credo che bisogna cominciare ad “obbligare”, a far considerare a chi vuole investire<br />

sul nostro territorio per riconversioni o per ampliamento, non solo il parametro dell’“utilità economica”,<br />

ma anche quello dell’occupazione. Quanta occupazione mi dai Altrimenti, qui non ci<br />

metti piede. L’occupazione non può essere solo quella del cantiere edile che non produce niente,<br />

ma deve essere anche quella qualificata legata alla produzione e manutenzione di queste torri.<br />

Analogamente, possiamo estendere il discorso alle biomasse. Le imprese hanno bisogno di noi<br />

come territorio ed è questa è la nostra vera ricchezze. Se noi siamo capaci di sfruttare bene<br />

questa nostra posizione allora ci sarà un futuro anche per noi. Alle imprese dobbiamo chiedere<br />

che facciano formazione, ma se questo lo vado a chiedere come singolo piccolo Comune, probabilmente<br />

vengo sopraffatto dalle mie necessità economiche e se mi danno il contentino dello<br />

0,5% in più, oggi accetto tutte le condizioni. Questo perché i continui tagli ai trasferimenti<br />

dello Stato ci obbligano anche a fare questi tipi di accordi. Viviamo in una situazione in cui<br />

tutti i Comuni non riescono più a fare il bilancio e quei pochi che ci riescono è solo perché<br />

hanno queste piccole entrate, ma sono situazioni che non portano da nessuna parte. Quello che<br />

bisogna chiedere a chi vuole investire qui è di aiutarci a costruire un vero <strong>sviluppo</strong> sostenibile<br />

e per far questo dobbiamo agire non più come singoli Comuni ma come sistema territoriale,<br />

magari anche a seguito di una legge che obbliga i Comuni che vogliono ampliare o allargare ad<br />

altre forme di energia sostenibile, l’obbligo di stare insieme. Questa potrebbe essere modo per<br />

avviare un processo di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, altrimenti saremo sempre sopraffatti dai nostri stessi<br />

bisogni (Antonio Rossi, Anzano di Puglia).<br />

Queste sono questioni che riguardano un’area “vasta”, non riguardano singoli comuni, e vanno<br />

quindi organizzate in maniera collettiva. Sono questioni che vanno ragionate insieme e organizzate<br />

insieme, per rispondere insieme. Non c’è dubbio che abbiamo vissuto una fase in cui eravamo<br />

assolutamente ignoranti rispetto a questo fenomeno, parlo degli anni ’90, e quindi quel<br />

poco che veniva dato come royalty veniva visto come la manna. Ma, anche quando abbiamo<br />

capito che in realtà nessuno ci stava regalando niente, e anzi, ci stavano derubando, abbiamo<br />

fatto poco per modificare la situazione. Questo è un patrimonio che in Italia solo quest’area<br />

o poche altre aree del Paese posseggono. Così come la Val d’Agri ha un po’ di petrolio, il Sub-<br />

Appennino Appulo–Irpino ha il vento. È esattamente la stessa cosa. Però non sappiamo come<br />

farcelo valorizzare. I sindaci che ricevono il 3-4% pensano di aver spuntato chissà che cosa.<br />

Questo perché è mancata un’azione sinergica. Quello che voglio dire è che gestisco in Master<br />

ma gli studenti vengo più da fuori che da queste aree. C’è un’esigenza di formazione, ma credo<br />

che vi sia innanzitutto un’esigenza di “fare sistema”. C’è il problema del Decreto 387 che<br />

stabilisce che le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e le<br />

opere connesse, come le infrastrutture necessarie alla costruzione e all’esercizio degli impianti,<br />

si devono considerare di pubblica utilità, indifferibili ed urgenti e, quindi, al di fuori del<br />

potere decisionale discrezionale degli enti locali. Così come ANEV, cioè qualche grossa azienda<br />

dell’eolico, riesce ad influenzare l’attività legislativa del Parlamento, piuttosto che del Governo,<br />

allora mi chiedo perché questo intero “comprensorio del vento” non riesce a fare sistema per<br />

fare lobbying a Bari, piuttosto che a Roma. Perché Bari ha fatto in due mesi le Linee guida<br />

senza sentire assolutamente nessuno Perché lo steso ha fatto il governo nazionale Cantiamo<br />

il federalismo, ma forse solo perché dobbiamo spostare i soldi dal Sud al Nord, però di dare voce<br />

e forza al territorio, alle popolazioni, alle aree marginali come sono queste, non si parla. Credo<br />

che i sindaci abbiano una grande responsabilità. Purtroppo, per quegli errori del passato non<br />

ci si può fare niente, però poniamo rimedio per il futuro. Intanto c’è bisogno di fare sistema.<br />

Cominciamo ad imparare qualcosa dai sindaci dell’Irpinia: 31 comuni che si mettono insieme e<br />

148


9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

creano un distretto. Perché questo non si può allargare alla sponda pugliese o alla sponda lucana<br />

Cominciano a fare sistema al di là della colorazione politica o partitica, cominciamo a fare<br />

sistema perché è l’unico modo per poi poter incidere sulle scelte che si fanno a Bari piuttosto<br />

che a Roma (Giuseppe Martino Nicoletti, Università di Foggia).<br />

In Italia c’è una legge, la 959/53, che è quella che istituisce i Consorzi dei Bacini Imbriferi<br />

Montani imponendo alle imprese idroelettriche un sovracanone in favore dei comuni<br />

montani, che è una legge che, pur avendo 60 anni, ripescata e riutilizzata parzialmente per<br />

sostenere un processo di regolazione sullo <strong>sviluppo</strong> delle energie rinnovabili potrebbe essere<br />

un buon punto di partenza. Riconoscendo che la dimensione municipale è troppo esigua e<br />

limitata per un ritorno fiscale efficace, lo Stato promuove la costituzione di un “ambito ottimale”<br />

che si trasforma in “consorzio di bacino imbrifero montano” in maniera obbligatoria<br />

qualora i tre quinti dei Comuni compresi in ciascun bacino lo richiedano. Nelle intenzioni<br />

della legge, il sovracanone è da destinare ad opere di sistemazione montana e di valorizzazione<br />

del territorio a compensazione dei disagi causati alle popolazioni locali dalla presenza<br />

di opere di captazione.<br />

Tali Consorzi venivano chiamati gestire le rimesse fiscali derivanti da dall’autentico provvedimento<br />

rivoluzionario della legge: le società titolari di concessioni per grandi derivazioni di<br />

energia elettrica i cui impianti sono compresi all’interno di un bacino imbrifero montano venivano<br />

obbligate a versare, a decorrere dall’entrata in vigore della legge, un “sovraccanone” per<br />

ogni kilowatt di potenza nominale media concessa. Tali sovraccanoni dovevano essere utilizzati<br />

dai Consorzi “esclusivamente a favore del progresso economico sociale delle popolazioni”. La<br />

legge 959 è ancora oggi, in epoca di riformisti parolai e inconcludenti, un faro e un esempio<br />

di innovazione profonda in tema di politica montana, forse la più democratica e valida in tema<br />

di decentramento si tutti gli anni cinquanta. Sancisce infatti il criterio di giustizia distributiva<br />

nei confronti della montagna, depredata da sempre delle sue risorse per il bene della pianura e<br />

della città e l’utile di imprenditori e finanzieri non certo montani. Inoltre riconosce il principio<br />

di autonomia <strong>locale</strong> per l’ampia libertà nell’utilizzo dei fondi lasciata ai Comuni raggruppati<br />

in Consorzio, con la promozione del concetto comprensoriale e comunitario per l’impiego delle<br />

risorse (Borghi, 2009:61-62).<br />

Secondo Enrico Borghi, presidente dell’UNCEM, se i 70-80 milioni di euro che “tornano”<br />

alla montagna italiana dai sovracanoni idroelettrici fossero utilizzati dalla settantina di Consorzi<br />

esistenti non meramente in termini di redistribuzione generale come accade oggi, ma<br />

come fondo di investimento che consenta alle autonomie locali di essere protagoniste nello<br />

<strong>sviluppo</strong> dell’energia rinnovabile, quei fondi ritornerebbero sul territorio in dimensioni molto<br />

più dilatate.<br />

In questo modo il territorio montano italiano avrebbe risolto in sé la capacità, da un lato di<br />

garantire investimenti e servizi, dall’altro di fare la perequazione indispensabile per la coesione<br />

sociale e al stessa competitività del sistema (Borghi, 2009:87).<br />

Questo tipo di soluzione può essere utile anche per due ulteriori ragioni legate alla<br />

programmazione territoriale degli impianti. Una prima, che occorre guardare con attenzione<br />

allo <strong>sviluppo</strong> dell’eolico nei prossimi anni, considerando che ci sono almeno due diverse e<br />

specifiche situazioni:<br />

• territori dove non esistono impianti e quindi dove servono specifiche valutazioni;<br />

149


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

• territori dove sono già presenti impianti e si dovrebbe rendere coerente il quadro visivo<br />

(minimizzando le conseguenze più negative dell’“effetto cumulativo”), magari mettendo<br />

ordine rispetto al tipo di torri e colori, agli allineamenti.<br />

Una seconda ragione, riguarda soprattutto alcune Regioni dove occorre organizzare una<br />

procedura che permetta di valutare i tanti progetti presentati e la specifica attenzione da<br />

avere nei confronti di impianti da sostituire o di situazioni invece dove i progetti si vanno a<br />

collocare in contesti già fitti di impianti (dove magari mettere ordine), oppure di aree delicate<br />

e prive di progetti.<br />

In questo contesto, si può pensare anche ad un serio protagonismo delle Province, che<br />

metta a disposizione degli Enti locali competenze, piani di realizzazione, criteri e regole<br />

per ottenere il massimo senza deturpare il territorio o subire speculazioni insostenibili, in<br />

modo che i Comuni, soprattutto i piccoli Comuni, non si espongano indifesi alle pressioni<br />

degli operatori. In una dimensione provinciale, inoltre, sarebbe anche più facile fare massa<br />

critica sufficiente per poter puntare anche sullo <strong>sviluppo</strong> di una filiera produttiva completa<br />

nel campo delle rinnovabili e, quindi, avere maggiori ricadute produttive ed occupazionali<br />

sul territorio.<br />

Legata alla filiera di installazione e gestione degli impianti da rinnovabili, bisogna cercare<br />

di creare una filiera <strong>locale</strong> produttiva, sia questa turistica sia questa di opifici. L’impianto<br />

fotovoltaico da 30 MW che hanno richiesto di fare gli industriali sul mio territorio – ne hanno<br />

chiesti di fare 20 di impianti, ma quell’uno che si farà -, oltre a rispettare tutti quei criteri di<br />

paesaggio e, quindi, essere realizzato su terreni agricoli ormai dismessi da anni, oltre a non<br />

vedersi, etc., deve produrre non solo un introito per il Comune da riversare sui cittadini in termini<br />

di servizi, ma deve anche produrre un introito che deve dare delle risorse alla collettività<br />

provinciale, insieme ad introiti di altri, per mettere sul territorio magari anche una filiera di<br />

produzione di pannelli o un centro di ricerca sulle energie rinnovabili collegato all’università.<br />

Queste filiere vanno aperte. Se ci si limita a far fare l’impianto, magari al gruppo straniero che<br />

poi i soldi che incassa li prende e se li porta via per investirli altrove, questo è un problema.<br />

La politica deve consentire, anche sacrificando una minima parte del territorio, la realizzazione<br />

di certi impianti, limitatamente ad alcune localizzazioni che siano altamente compatibili,<br />

che abbiano un ritorno non solo in royalty per i sindaci, ma abbiano un ritorno anche in<br />

occupazione e nello <strong>sviluppo</strong> dell’economia <strong>locale</strong> più complessiva. Certo, non dappertutto<br />

potranno nascere imprese della filiera industriale, ma ogni territorio può avere la sua filiera.<br />

In questo senso, è giusto pensare anche ad una filiera di territorio che sia anche provinciale,<br />

che la Provincia la coordini, perché se no ogni sindaco potrebbe volere un impianto nel proprio<br />

territorio, anzi lo vorrebbe in quello degli altri, però i posti di lavoro li vorrebbe nel suo. Per<br />

questo, ci deve essere un coordinamento tra i comuni limitrofi. Faccio un esempio a livello<br />

di coordinamento provinciale della provincia di Grosseto. Se si fanno 28 impianti da 10 MW,<br />

per un totale di 280 Mw, in 28 comuni, questi mettono in moto, se si considera anche solo<br />

l’1%, qualche milione di euro da dare alla Provincia per investire. È chiaro che l’investimento<br />

va fatto nell’area industriale dove c’è, non necessariamente nel singolo comune, però tutta la<br />

manutenzione degli impianti, che comprenda quindi una filiera di cooperative e di lavoratori,<br />

quella può essere messa in quel territorio. Se faccio 70 MW e ci sono 5-6 persone che ci devono<br />

lavorare è giusto che siano dei ragazzi del mio territorio. È questo che in quei comuni dove<br />

vengono messi gli impianti, si faccia della formazione gratuita per i giovani che vogliono lavorare<br />

in questo settore. Una sorta di perequazione di livello più ampio la può fare la Provincia<br />

con un’azione di coordinamento ed è giusto che la faccia un ente superiore al singolo comune,<br />

ma è giusto anche che ci sia una perequazione <strong>locale</strong> che deve essere fatta dal sindaco con i<br />

propri cittadini. Per ora la Provincia non può svolgere questo ruolo di coordinamento, neanche<br />

in Toscana, perché non sono ancora stati definiti gli obiettivi nazionali di burden sharing per<br />

150


9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

le Regioni e le Province. Se la macchina non ha lo sterzo, è inutile che ci sia un bel motore o<br />

delle belle gomme, perché non si può guidare. Questo è il problema e da questo punto di vista<br />

siamo completamente ingessati (Flavio Morini, ANCI e Scansano).<br />

9.4 Rinnovabili, multiutilities e smart grid<br />

Rispetto al tema del rapporto tra <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> e <strong>sviluppo</strong> delle energie rinnovabili, al<br />

fine di superare l’asse tra localismo e i processi di resistenza e conflitto, vanno presi in considerazione<br />

altri due temi chiave che sono tra loro strettamente intrecciati:<br />

• il tema delle utilities;<br />

• il tema della modernizzazione della rete elettrica.<br />

In primo luogo, il tema delle utilities è cruciale perché, con pochissime eccezioni, le<br />

amministrazioni locali e soprattutto il loro personale politico (ma anche quello inquadrato<br />

nella struttura) non hanno la cultura, la sensibilità e le conoscenze per avviare, o anche solo<br />

aggregarsi, a processi di <strong>sviluppo</strong> integrato delle fonti rinnovabili. D’altra parte, anche se lo<br />

volessero, non dispongono, e disporranno sempre meno, di strumenti operativi. La legge italiana<br />

– a seguito di una interpretazione molto drastica e violenta di orientamenti dell’UE assai<br />

meno vincolanti - impone loro di dimettere entro breve le imprese controllate o partecipate,<br />

per affidarle a gestioni private e a processi di aggregazione che le allontanano sempre più<br />

dal territorio, dalle sue esigenze e, soprattutto, dalle sue possibilità di un controllo diretto<br />

da parte degli utenti/cittadini. Se questo processo andrà avanti, queste società, oggi sotto<br />

il controllo degli enti locali, si trasformeranno in holding coinvolte nel gioco finanziario<br />

planetario.<br />

Occorre, invece, che nei territori di loro competenze agli enti locali venga restituita la<br />

possibilità, nella massima trasparenza di fronte ai propri amministrati, di fare impresa, di<br />

promuovere accordi che garantiscono mercato a chi impegna in produzioni che corrispondono<br />

ad un disegno condiviso, di sostenere lo <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> delle energie rinnovabili.<br />

All’inizio del Novecento, per fornire alla parte meno privilegiata dei propri amministrati<br />

elettricità, acqua, gas, fognature, trasporto, e poi anche gestione dei rifiuti, sanità, assistenza,<br />

cultura, le amministrazioni a guida socialista o democratica del nostro Paese avevano<br />

fondato le imprese “municipalizzate” che esse potevano controllare direttamente grazie alla<br />

copertura di una legge nazionale voluta da Giolitti. Quel sistema di imprese pubbliche – molto<br />

presente al Centro-Nord e assai meno nel Mezzogiorno –, che ora l’art. 15 del D.L. 135/08<br />

(cosiddetto Decreto Ronchi), che ha modificato l’art. 23 bis della Legge 133/08 impone di<br />

smantellare, 107 è stato fatto in gran parte degenerare dal clientelismo. Nei casi in cui queste<br />

imprese pubbliche sono già state privatizzate, il cambiamento di proprietà non sembra aver<br />

apportato alcun miglioramento agli utenti, mentre ha contribuito comunque non poco ad<br />

alimentare una nuova ondata di “finanziarizzazione” dell’economia e l’”esternalizzazione” dei<br />

servizi, affidati a subappalti fondati sullo sfruttamento intensivo del lavoro.<br />

Le forme dell’intervento dei municipi nell’economia devono sicuramente cambiare. La<br />

trasparenza di tutte le operazioni effettuate, il coinvolgimento della cittadinanza attiva nella<br />

gestione ne devono diventare vincoli ineludibili, perché sono l’unico presidio nei confronti<br />

delle degenerazioni clientelari, che aprono poi le porte alle infiltrazioni e al controllo della<br />

107 Si prevede come forme ordinarie di affidamento la gara ad evidenza pubblica e la società mista pubblico-privato (nella<br />

quale il privato scelto attraverso gara, possegga almeno il 40% delle azioni), relegando come residuali e straordinarie persino le<br />

gestioni attraverso SpA a totale capitale pubblico. Con l’avvento delle SpA, non solo i cittadini, ma persino i consigli comunali<br />

perdono ogni capacità di controllo e di intervento sulle decisioni; e quando addirittura le società gestrici sono collocate in<br />

Borsa, ogni possibile vincolo può essere eliminato, in quanto considerato turbativo del buon andamento del titolo sul mercato<br />

finanziario.<br />

151


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

L’ACSM - Azienda Consortile per i Servizi Municipali del Primiero (Trento)<br />

L’ACSM (www.acsmprimiero.com) è una piccola multiutility – società per azioni la cui quota di larga<br />

maggioranza è detenuta dai Comuni del territorio - che opera nel territorio del Primiero, area sudorientale<br />

della provincia di Trento a ridosso della regione Veneto, che si compone di tre valli principali<br />

(Cismòn, Vanoi e Mis), con un concentrazione degli abitanti nel fondovalle (Marella e Baldo, 2009).<br />

L’ACSM si occupa della produzione e della distribuzione dell’energia idroelettrica del Primiero-Vanoi-Vanoi,<br />

della gestione degli acquedotti e dei rifiuti, oltre che di progetti innovativi per l’uso sostenibile di<br />

fonti energetiche rinnovabili (oltre all’idroelettrico, il bio-metano e il teleriscaldamento da biomasse<br />

legnose). Le risorse collettive (acqua e legno) che la società gestisce, sono strategiche per il territorio<br />

e ne fanno indirettamente un attore chiave della governance <strong>locale</strong>, uno spazio negoziale e di definizione<br />

degli indirizzi condivisi delle politiche per l’area vasta in alcune delle materie di competenza<br />

degli enti locali. “E interessante notare che i Comuni soci trovano ACM un ambito privilegiato per quanto<br />

riguarda l’elaborazione di risposte originali alle sfide complesse che si pongono nelle valli, grazie anche<br />

alle competenze tecniche e manageriali che il gruppo ha portato a sviluppare. Tale patrimonio <strong>locale</strong> di<br />

conoscenze e skills è in grado di supportare l’azione congiunta degli attori locali, che si snoda attraverso<br />

processi di negoziazione articolati, aventi come esito una gestione condivisa dei beni comuni del territorio<br />

con prospettive di lungo-lunghissimo periodo” (Marella e Baldo, 2009:241). Attualmente, l’ACSM sta<br />

costruendo un’offerta innovativa nel circuito internazionale delle Oil Free Zone, attraverso investimenti<br />

integrati sull’efficienza energetica, la produzione di energia da fonti rinnovabili e la creazione di un<br />

sistema di mobilità sostenibile integrato con un sistema di ospitalità e di animazione turistica sempre<br />

più specifico e innovativo. Si tratta di un sistema produttivo ancora in gran parte da costruire, ma<br />

molto promettente nei confronti della crescente area di domanda turistica green.<br />

malavita organizzata. Ma, non ci potrà essere uno <strong>sviluppo</strong> delle energie rinnovabili all’interno<br />

di processi di <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> senza un recupero radicale, da parte delle amministrazioni<br />

locali, del potere di intervenire nella gestione dei processi di produzione e consumo che<br />

interessano il loro territorio.<br />

In secondo luogo, il tema della modernizzazione della rete elettrica è cruciale perché il<br />

nuovo rapporto tra produzione e consumo è alla base della metamorfosi che si profila nel campo<br />

della generazione e distribuzione di energia elettrica. Il recente moltiplicarsi di impianti a<br />

fonti rinnovabili, infatti, impone un adeguamento dell’attuale sistema elettrico, ad oggi programmato<br />

e realizzato per una generazione centralizzata. Nel nuovo scenario caratterizzato<br />

da una ampia diffusione degli impianti a fonti rinnovabili, con riferimento all’evoluzione del<br />

sistema elettrico, inteso nel senso più generale, emergono due esigenze prioritarie:<br />

• come favorire le generazione di energia elettrica da fonte rinnovabile tipicamente caratterizzata<br />

da discontinuità produttiva, piccole taglie e localizzazione decentrata;<br />

• come far partecipare anche i piccoli impianti o i carichi di modesta entità al bilanciamento<br />

della domanda e dell’offerta di energia.<br />

Per perseguire questi due obiettivi, un ruolo importante è necessariamente svolto dalle<br />

reti di distribuzione elettrica, quelle reti prevalentemente esercite in media e bassa tensione<br />

che coprono capillarmente il territorio nazionale e garantiscono la fornitura alle utenze di<br />

piccole dimensioni, come quelle del settore domestico. Queste reti, però, non sono state<br />

progettate per soddisfare queste due esigenze:<br />

• la presenza di numerosi impianti di generazione di piccola taglia non programmabili<br />

richiede una revisione delle protezioni di linea e un controllo delle caratteristiche della fornitura,<br />

in primis della tensione, per salvaguardare la sicurezza e la qualità;<br />

152


9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Integrazione delle energie rinnovabili nel sistema elettrico: il ruolo della meteorologia<br />

La complessità dell’integrazione delle fonti rinnovabili nei sistemi elettro-energetici è legata essenzialmente<br />

alla non programmabilità di queste. Gli impianti di conversione dell’energia <strong>eolica</strong> e solare<br />

in elettrica producono energia elettrica solo nel momento in cui la fonte rinnovabile è disponibile/<br />

presente e sono, quindi, caratterizzate da una variabilità intrinseca (giornaliera/stagionale e atmosferico/meteorologica)<br />

che si ripercuote sulla rete elettrica. D’altronde la politica di incentivazione<br />

delle fonti rinnovabili dispone che la loro produzione goda della priorità di dispacciamento, ovvero<br />

dell’immissione in rete, rispetto alle fonti convenzionali. L’aleatorietà della produzione rinnovabile e<br />

la necessità di bilanciare istantaneamente domanda ed offerta di energia può, quindi, provocare sbilanciamenti<br />

che devono essere subito compensati dal gestore della Rete Elettrica Nazionale attraverso<br />

la gestione di quote di potenza generate da fonti rapidamente disponibili e modulabili. Attualmente<br />

le uniche fonti con queste caratteristiche e con potenza sufficiente sono le centrali idroelettriche<br />

con serbatoio e quelle turbogas. La quota di potenza che ogni giorno viene messa a disposizione per<br />

questa operazione si chiama “riserva” e viene acquistata dal gestore della Rete Elettrica Nazionale<br />

sul mercato libero. Al fine di aumentare il margine di modulazione, sono state costruite in passato<br />

le cosiddette centrali di pompaggio, in grado di immagazzinare energia mediante sollevamento<br />

dell’acqua durante i periodi di basso fabbisogno e fornire energia nei momenti di maggior bisogno.<br />

Lo <strong>sviluppo</strong> di questo metodo di accumulo è però condizionato dalla disponibilità di bacini idrici<br />

adatti a questo scopo. Tali bacini sono solitamente situati al nord, lontano dalle zone di produzione<br />

delle centrali eoliche e solari. Rispetto al passato, caratterizzato da un’offerta di potenza e un fabbisogno<br />

abbastanza prevedibili (centrali a carbone, olio, e idroelettrico modulabile), oggi l’immissione<br />

di quote sempre maggiori di potenza ad alta variabilità fa aumentare la necessità di modulazione e<br />

di previsione della riserva necessaria per l’operazione di bilanciamento. In aggiunta le attuali linee<br />

elettriche che collegano il nord con il sud non sono in grado di trasferire con efficienza l’energia<br />

necessaria per queste modulazioni.<br />

Le energie rinnovabili introducono un’altra difficoltà gestionale, di tipo economico, relativa alla<br />

vendita sul mercato operata dai singoli grandi produttori o dal GSE per conto dei piccoli. Per poter<br />

vendere in modo ottimale l’energia rinnovabile è necessario avere una stima, quanto più affidabile,<br />

del profilo orario che si produrrà il giorno dopo. Questa previsione è ovviamente ottenibile attraverso<br />

una buona previsione di vento e di radiazione solare sui siti degli impianti. A tutt’oggi tale attività<br />

è lasciata ai singoli produttori o al GSE e non esiste per ora in Italia l’intenzione di unificare i sistemi<br />

di previsione a beneficio di tutti: Gestore della Rete e produttori. Le previsioni meteorologiche<br />

sono utili anche nei casi in cui il Gestore della Rete ha la facoltà di scollegare i generatori eolici per<br />

evitare sbilanciamenti tali da compromettere la stabilità della rete. In queste occasioni il produttore<br />

“scollegato” riceve un indennizzo proporzionale all’energia che avrebbe prodotto durante il periodo di<br />

distacco. L’unico modo per calcolare questo indennizzo è quello di conoscere a posteriori il vento che<br />

ha agito sul sito del generatore distaccato. A tal fine è necessario che GSE, preposto a questa valutazione,<br />

disponga di misure affidabili oppure valutazioni modellistiche del vento per ogni parco eolico<br />

che ha subito un distacco. I modelli meteorologici vengono così incontro a diversi problemi sorti con<br />

lo <strong>sviluppo</strong> delle energie rinnovabili, sia per mezzo di una previsione nel futuro, sia ricostruendo il<br />

tempo passato. Essi partono da uno stato iniziale e, imponendo forzanti esterne (energia solare, oceano,<br />

terreno), simulano la dinamica di tutti i fenomeni atmosferici, restituendo stime delle principali<br />

variabili, quali temperatura, vento, radiazione solare, ecc. I modelli meteorologici sono già da tempo<br />

in uso nei paesi a forte penetrazione rinnovabile, come la Germania, Danimarca, Spagna, Olanda. Nel<br />

campo eolico questi paesi sono leader per la previsione meteorologica. Per l’energia solare invece il<br />

problema è complicato dall’influenza di fenomeni micro-fisici di difficile simulazione, come le nubi<br />

e la dinamica degli aerosol atmosferici. La ricerca scientifica sta però facendo passi da gigante in<br />

questo campo proprio perché spinta dalle criticità gestionali sollevate dalle energie rinnovabili, nella<br />

loro integrazione nelle reti elettriche.<br />

153


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

• la presenza di produzioni e carichi non programmabili richiederebbe lo <strong>sviluppo</strong> di<br />

nuovi servizi di rete, come il servizio di storage (attraverso sistemi di accumulo/stoccaggio<br />

dell’energia elettrica prodotta e non immettibile in rete), per non indurre un onere eccessivo<br />

al mercato del bilanciamento.<br />

Lo <strong>sviluppo</strong> della generazione <strong>eolica</strong> si inserisce in un contesto più ampio di profonda<br />

trasformazione del sistema elettrico, che parte dalle reti di distribuzione (quelle a media e<br />

bassa tensione, che alimentano la maggior parte dei carichi) e arriva fino al sistema di trasmissione<br />

(le “autostrade dell’energia”, 220-380 kV). La variabilità e volatilità introdotta dalla<br />

generazione <strong>eolica</strong> sulle reti di trasmissione e distribuzione richiedono strumenti avanzati<br />

di monitoraggio e controllo del sistema elettrico. In particolare le reti di distribuzione oggi<br />

hanno una struttura radiale e “a senso unico”, dalle stazioni di trasformazione verso i consumatori.<br />

Oggi, la rete elettrica è un sistema gerarchico complesso monodirezionale e controllato<br />

secondo canoni precisi. Con la diffusione delle rinnovabili sul territorio, le sorgenti<br />

diventano miriadi, fonti intermittenti, variabili, incostanti. Pertanto, occorrono modifiche<br />

concettuali alla struttura, ma soprattutto alla gestione delle reti, trasformando radicalmente<br />

il loro modus operandi, fra l’altro, le reti di distribuzione passano da sistemi “passivi”, in cui<br />

l’elettricità viene trasportata dal luogo di produzione a quello di consumo, a sistemi “attivi”,<br />

intelligenti e customer centric in cui ci sono:<br />

• sistemi di misura avanzati (smart metering 108 );<br />

• un controllo tempestivo dei flussi di rete;<br />

• sistemi bidirezionali di dialogo tra la rete e gli utenti che sono sia consumatori sia produttori;<br />

• nuovi usi dell’energia funzionali al condizionamento dei profili di carico alle interfacce<br />

con la rete di trasmissione nazionale.<br />

Una trasformazione questa che implica un adattamento delle infrastrutture elettriche e<br />

la creazione di vere e proprie smart grid, reti/apparati intelligenti, per dar vita ad un sistema<br />

elettrico più affidabile, flessibile, sicuro ed efficiente, in grado di:<br />

• far dialogare produttori e consumatori, accogliendo le nuove esigenze dei consumatori,<br />

come quella di partecipare attivamente al processo di produzione dell’energia;<br />

• accogliere l’energia non programmabile (fonti rinnovabili);<br />

• conciliare sistemi tradizionali di generazione centralizzati con quelli distribuiti, tipici<br />

delle fonti rinnovabili;<br />

• anticipare le esigenze degli utenti finali;<br />

• garantire ai fruitori un riscontro dei consumi energetici.<br />

Una smart grid è una rete con molti nodi e tecnologie intelligenti, capaci di bilanciare e<br />

ridistribuire i flussi di produzione delle diverse fonti, compensando automaticamente gli sbalzi<br />

che possono portare a black-out. La rete dovrà assicurare, mediante comunicazione interna,<br />

automazione digitale diffusa in ogni cabina elettrica, software per il bilanciamento delle<br />

tensioni e centri di controllo, la stessa identica stabilità di prima, prevedendo in tempo e poi<br />

correggendo ogni variabilità in pochi secondi. Si tratta di innovazioni basate sull’ottimizzazione<br />

della produzione elettrica a seconda della domanda e di una migliore gestione dell’energia<br />

da generazione distribuita. L’intelligenza rappresenta il fattore cruciale nell’adeguamento<br />

delle attuali reti di trasmissione e distribuzione elettrica. Solo aggiungendo elementi di<br />

“proattività” all’infrastruttura, infatti, potrà essere possibile ottimizzare il contributo delle<br />

108 L’Italia detiene il primato in Europa nello <strong>sviluppo</strong> di smart meter, i contatori elettronici capaci, sulle stesse linee elettriche<br />

di inviare alle centrali i dati dei consumi delle utenze. Entro il 2011 i 36 milioni di clienti finali potranno usufruire di<br />

contatori intelligenti. Il primo pese europeo, però, che ha raggiunto il 100% di copertura è stato la Svezia.<br />

154


9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

fonti rinnovabili alla produzione e al consumo di energia, gestire la convenienza con le altre<br />

fonti, garantire l’approvvigionamento a sistemi di mobilità “pulita”, aumentare l’efficienza<br />

complessiva della trasmissione e della distribuzione anche attraverso soluzioni di storage e,<br />

soprattutto, incrementare la quantità di informazioni che sulle reti possono viaggiare.<br />

Questo è un problema strutturale generale di un sistema che per un secolo è stato alimentato da<br />

poche grandissime centrali a combustibile programmabile e che ora deve fare la transizione verso<br />

un combustibile non programmabile, ma universalmente disponibile come il vento e il sole. È<br />

chiaro che una transizione di questo genere non la si fa in 10 anni. Probabilmente, ci vuole un<br />

secolo, perché si deve progressivamente, man mano che le rinnovabili si diffondono, avere dei<br />

punti di ingresso e uscita molto più capillari e, quindi, una moltiplicazione di cabine elettriche,<br />

realizzate anche là dove non ci sono delle utenze – questo è soprattutto il problema dell’eolico,<br />

mentre il fotovoltaico anche se è a terra normalmente sta vicino alle aree abitate. Questa è<br />

soltanto la prima fase. Nella seconda fase ci sarebbe bisogno di stoccarla quell’energia <strong>eolica</strong><br />

e, quindi, trasformarla in vettori che siano utilizzabili in maniera differita rispetto al consumo.<br />

Lì c’è tutto il tema dell’idrogeno, della trasformazione di un’energia aleatoria in un sistema di<br />

stoccaggio. Quello sarà un passo ulteriore, un problema che probabilmente affronteremo nella<br />

seconda metà di questo secolo. Dal 2050 in poi ci saranno già tecnologie – avendo il petrolio<br />

ormai un prezzo/disponibilità troppo più elevato rispetto alle fonti rinnovabili – in grado di<br />

adeguare la rete per valorizzare l’opzione più competitiva (Mario Gamberale, Kyoto Club).<br />

La tecnologia è in continua evoluzione e il mercato dei prodotti “intelligenti” deve<br />

ancora consolidarsi: spetta ai governi individuare le strategie da implementare e attuare,<br />

dando impulso all’industria. La complessità dei meccanismi di <strong>sviluppo</strong> di un sistema di reti<br />

intelligenti non deve essere sottovalutata. Non vi è dubbio che si tratti di progetti complessi<br />

che, oltre al lancio commerciale della tecnologia, presuppongono l’investimento di ingenti<br />

capitali, contestualmente allo <strong>sviluppo</strong> di una nuova governance e delle rete di fornitura e al<br />

coinvolgimento degli stakeholders.<br />

Lo scenario energetico che abbiamo davanti comporta dei cambiamenti radicali nelle reti. Non<br />

siamo in Cina, dove si decide da un lato di promuovere le rinnovabili e dall’altro di ristrutturare<br />

le reti, e quindi, si spende per fare entrambe le cose contemporaneamente in maniera coordinata,<br />

è un tutt’uno la decisione politica e l’azione. In Europa, invece, noi abbiamo il mercato<br />

dell’energia che è liberalizzato e, quindi, l’iniziativa è in mano ai privati, mentre le infrastrutture<br />

sono in mano allo Stato o a società parastatali che sono sempre in deficit di fondi, pertanto<br />

il processo è molto più complicato. Ci sono aree che hanno grande potenziale da vento e sole,<br />

dove il mercato spinge a realizzare grandi infrastrutture di produzione, e una rete che arranca<br />

nel tentativo di trovare risorse per provare ad adeguarla per consentire il diritto prioritario di<br />

dispacciamento, per intercettare quell’energia e quella potenza (Mario Gamberale, Kyoto Club).<br />

Sicuramente con le tecnologie disponibili oggi, e sempre più nel futuro, permetteranno<br />

la creazione di smart grid locali interconnesse, sviluppate tenendo conto dell’energy modeling<br />

di ciascun territorio.<br />

È il passaggio dal modello ad albero al modello a rete: non più una grande centrale con l’energia<br />

che scende per i rami, ma un network senza scala gerarchica. Una rivoluzione che consente una<br />

serie di risparmi. Il primo è nell’investimento, perché siriesce a produrre energia con una serie<br />

di piccoli e piccolissimi punti di produzione. Il secondo vantaggio è nel miglioramento della<br />

gestione degli impianti, che non sono più sottoposti allo stress del salto improvviso da un minimo<br />

di produzione a un picco, ma possono attestarsi sulla capacità ottimale e quindi durano<br />

155


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

di più. Il terzo beneficio è l’eliminazione delle perdite di trasmissione, che possono arrivare al<br />

30% dell’elettricità prodotta. A Roma abbiamo cominciato a costruire delle smart grid: una è<br />

alla Sapienza, una all’EUR, un’altra collega un gruppo di impianti sportivi (Livio Santoli, prorettore<br />

dell’Università La Sapienza di Roma e responsabile del nuovo piano energia del Comune<br />

di Roma, in Cianciullo, 2011d).<br />

E’ un modello che richiede un cambio radicale del sistema organizzativo: dal sistema di<br />

produzione alle connessioni, al controllo, tutto deve cambiare. Fra le innovazioni tecnologiche<br />

emerge anche il ruolo della corrente continua, che è quella fornita dagli impianti basati<br />

sulle rinnovabili e che oggi viene convertita in alternata utilizzando gli inverter. In questo<br />

contesto, risulta fondamentale rendere i consumatori parti attive nel processo di fornitura<br />

dell’energia, attraverso una giusta informazione che li incentivi gradualmente a modificare le<br />

proprie abitudini per accostarsi in modo “intelligente” a nuovi comportamenti di consumo.<br />

L’internazionalizzazione del mercato e l’accresciuta decentralizzazione della produzione<br />

energetica, poi, spingono verso l’interconnessione di impianti a fonti rinnovabili localizzati<br />

in zone geografiche diverse e il trasferimento di grandi quantitativi di energia attraverso l’installazione<br />

di diverse migliaia di chilometri di cavi sottomarini ad alta tensione in corrente<br />

continua (HVDC), così come previsto dal progetto Desertec e da quello per l’eolico offshore dei<br />

Paesi del Mare del Nord (con 140 GW di capacità <strong>eolica</strong> offshore già pianificati).<br />

Questa non è fantascienza, ma già oggi ci pone il problema di come andare a realizzare le<br />

infrastrutture solari energetiche nel Nord Africa e trasferire grandissime quantità di energia<br />

elettrica ad altissima tensione per alimentare la rete europea. La Germania ha un progetto su<br />

Gibilterra, la Francia da Tunisi attraverso la Sicilia. Dall’Albania verso l’Italia. Insomma, ci sono<br />

dei progetti operativi come Desertec, promosso da banche e utility europee, per un costo di<br />

3-400 miliardi di euro per iniziare a realizzare questo tipo di infrastrutture. In Marocco sono<br />

partiti i progetti preliminari con i layout degli impianti, finanziato da un fondo e dalla Banca<br />

Mondiale per avviare il processo (Mario Gamberale, Kyoto Club).<br />

156


Testimoni privilegiati<br />

Nominativo<br />

Battistella Alessio<br />

Belli Domenico<br />

Berdini Paolo<br />

Brandi Roberto<br />

Bruni Ivano<br />

Caivano Virgilio<br />

Canavero Giulia<br />

Caradonna Gerardo<br />

Castelli Ranieri<br />

Dal Bosco Tommaso<br />

Dedda Michele<br />

Della Seta Roberto<br />

Gamberale Mario<br />

Gurisatti Paolo<br />

Leoni Stefano<br />

Lincetti Alberto<br />

Magnaghi Alberto<br />

Maio Giada<br />

Marchisio Andrea<br />

Masini Stefano<br />

Midulla Maria Grazia<br />

Organizzazione<br />

Architetto, docente di progettazione del paesaggio, consulente<br />

RSE SpA<br />

Responsabile della campagna energia e clima di Greenpeace<br />

Italia<br />

Ingegnere, urbanista, docente all’Università di Roma Tor Vergata,<br />

già segretario generale dell’Istituto Nazionale di Urbanistica<br />

Consigliere e membro del Gruppo di lavoro energia del CNEL<br />

Generation market development – Italy development – Renewable<br />

Energies Division di Enel Green Power SpA<br />

Presidente della rete Piccoli Centri Europei<br />

(www.piccolicentrieuropei.com)<br />

Responsabile dell’ufficio ambiente e qualità di FERA Srl – Fabbrica<br />

Energie Rinnovabili Alternative<br />

Presidente ed amministratore delegato di PurEnergy SpA<br />

di Bisaccia (AV)<br />

Sindaco di Rocchetta Sant’Antonio (FG)<br />

Direttore generale di UNCEM<br />

Sindaco di Bovino (FG)<br />

Membro della XIII Commissione <strong>Territorio</strong>, <strong>Ambiente</strong>, Beni Ambientali,<br />

già presidente di Legambiente<br />

Responsabile energie rinnovabili del Kyoto Club<br />

Responsabile ricerca e <strong>sviluppo</strong> del Consorzio Habitech<br />

(www.dttn.it) e consulente ambiente e energia dell’UNCEM<br />

Presidente nazionale del WWF<br />

Responsabile prodotto energia di Leasint – Gruppo Intesa San<br />

Paolo<br />

Ordinario di pianificazione territoriale della Facoltà di Architettura<br />

dell’Università di Firenze<br />

Responsabile del settore energia di ANCI Nazionale<br />

Responsabile del settore eolico di APER – Associazione Produttori<br />

<strong>Energia</strong> da Fonti Rinnovabili<br />

Responsabile ambiente della <strong>Coldiretti</strong><br />

Responsabile clima ed energia del WWF Italia<br />

157


<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

Mignogna Gianfilippo<br />

Moderini Daniela<br />

Morini Flavio<br />

Murgante Pasquale<br />

Nicoletti Giuseppe Martino<br />

Parisi Lucilla<br />

Pasquali Franco<br />

Pennesi Federico<br />

Pratesi Costanza<br />

Raffa Michele<br />

Refrigeri Roberto<br />

Ricciardi Francesco<br />

Rossi Antonio<br />

Sacco Marina<br />

Saturnino Antonio<br />

Selano Giovanni Alessandro<br />

Schiapparelli Carlo<br />

Silvestrini Gianni<br />

Togni Simone<br />

Zanchini Edoardo<br />

Sindaco di Biccari (FG)<br />

Architetto e docente di architettura del paesaggio all’Università<br />

di Ferrara<br />

Sindaco di Scansano (GR) e delegato per l’ambiente dell’ANCI<br />

Nazionale<br />

Sindaco di Accadia (FG)<br />

Docente di Sistemi di gestione e certificazione ambientale e turismo<br />

sostenibile e coordinatore del Master di primo livello in<br />

Management delle imprese di servizi energetici e ambientali<br />

dell’Università di Foggia<br />

Vicesindaco di Roseto Valfortore (FG)<br />

Segretario generale della Col diretti<br />

Sindaco di Santa Luce (PI)<br />

Responsabile dell’ufficio paesaggistico e territorio del FAI – Fondo<br />

<strong>Ambiente</strong> Italiano<br />

Amministratore di Fortore <strong>Energia</strong> SpA<br />

Responsabile dell’unità di business di Napoli di Enel Green Power<br />

Sindaco di Monteverde (AV)<br />

Sindaco di Anzano di Puglia (FG)<br />

Referente APER – Associazione Produttori <strong>Energia</strong> da Fonti Rinnovabili<br />

Dirigente del settore ambiente del FORMEZ<br />

Responsabile tecnico progetti e <strong>sviluppo</strong> di Holding Fortore <strong>Energia</strong><br />

SpA<br />

managing director REpower System Italia<br />

Direttore scientifico del Kyoto Club<br />

Segretario generale ANEV – Associazione Nazionale <strong>Energia</strong> del<br />

Vento<br />

Responsabile dell’ufficio energia e clima di Legambiente<br />

158


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Se c’è un’immagine che, meglio di altre, connota la grande transizione dell’economia e<br />

della società dei paesi avanzati questa è certamente la pala di un generatore a vento. Simbolo<br />

e paradigma della green economy, dell’affermarsi di una via “alta” dello <strong>sviluppo</strong> che<br />

sappia incorporare e valorizzare una crescita sostenibile e compatibile con le risorse finite<br />

del pianeta, la turbina <strong>eolica</strong> prefigura una ridefinizione dei rapporti che collegano l’uomo<br />

con l’ambiente, il paesaggio, le fonti di energia, la società, l’economia, il consumo, la<br />

cultura. L’eolico e, più in generale, le energie rinnovabili si stanno sviluppando in Italia,<br />

diffondendosi sui territori locali a ritmi inimmaginabili solo 10 anni fa, nonostante fattori<br />

che incidono negativamente come le farraginosità degli iter autorizzativi o l’inadeguato<br />

<strong>sviluppo</strong> della rete elettrica. Ma, l’interesse sviluppatosi attorno agli investimenti nei grandi<br />

impianti eolici industriali pone il problema di quali siano le ricadute sulle comunità<br />

locali che vivono nei territori dove tali impianti vengono realizzati. Pertanto, ragionare sul<br />

tema dell’impatto sociale, dell’accettabilità culturale rispetto alla realizzazione di questi<br />

impianti di produzione energetica, significa misurarsi con l’insieme delle problematiche e<br />

delle opportunità connesse ai temi dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong> in contesti socio-economici che<br />

molto spesso sono rimasti ai margini del processo di civilizzazione industriale del Novecento<br />

e che finora hanno subito i processi di modernizzazione.<br />

Ricerca sul Sistema Energetico – RSE S.p.A. Sviluppa attività di ricerca nel settore elettro-energetico,<br />

con particolare riferimento ai progetti strategici nazionali, di interesse pubblico<br />

generale, finanziati con il Fondo per la Ricerca di Sistema. Le attività dell’azienda<br />

coprono l´intera filiera elettro-energetica in un´ottica essenzialmente applicativa e sperimentale.<br />

RSE S.p.A. è partecipata totalmente da capitale pubblico: socio unico GSE<br />

S.p.A.<br />

Analisi e Ricerche Territoriali – ART S.r.l. È impegnata in attività di analisi e di ricerca<br />

socio-economica e territoriale con un’attenzione particolare alle tematiche dell’animazione<br />

sociale e dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>.

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