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Energia eolica e sviluppo locale - Ambiente e Territorio - Coldiretti

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<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

(916 aerogeneratori), in Campania (809) e in Sicilia (977) si concentrava a fine 2009 il 64%<br />

degli impianti eolici, anche se il tasso di crescita più interessante fra 2008 e 2009 è stato<br />

quello della Calabria con un +131,8%. 11 Significativi anche quelli di Molise (+45%), 12 Sicilia<br />

(44,5%), Puglia e Sardegna (entrambe +33,7%).<br />

Le collocazioni delle centrali eoliche riguardano prevalentemente le zone interne dell’Appennino<br />

e del Sub-Appennino delle regioni centro-meridionali (vedi box), nonché quelle<br />

insulari, ossia territori rimasti fino ad oggi ai margini dello <strong>sviluppo</strong>, quelle aree interne più<br />

deboli e povere del Sud che nelle descrizioni di Manlio Rossi Doria (1948, 1968, 1982, 2003,<br />

2005) degli anni ’40 e ’50 erano l’ “osso”, mentre la “polpa” erano quelle di pianura dove<br />

era possibile ipotizzare una moderna agricoltura e attività industriali. 13 Si tratta di territori<br />

collinari e montani dove prevalgono i piccoli e piccolissimi comuni (sotto i 5 mila abitanti)<br />

e un’economia ancora fortemente improntata alla ruralità. Aree interne povere dal punto di<br />

vista del reddito e delle iniziative imprenditoriali, spesso spopolate e in declino demografico,<br />

perché investite da un invecchiamento della popolazione, una riduzione dei nuclei familiari e<br />

del saldo naturale della popolazione, e quindi in cui l’interesse naturalistico e paesaggistico<br />

deve conciliarsi con le necessità di <strong>sviluppo</strong> socio-economico delle comunità locali. Soven-<br />

Le torri del vento sono, infatti, strutture temporanee; le concessioni di uso del terreno sono spesso ventennali e gli operatori si<br />

impegnano entro tale data al decomissionig dell’intera area, ed al suo completo ripristino nelle condizioni iniziali.<br />

11 In Calabria sono stati presentati alla Regione progetti per impianti eolici per una potenza complessiva di oltre 30 mila<br />

MW, cioè per il doppio della potenzialità nazionale, stimata da Anev in 16.200 MW.<br />

12 A fine 2010, in Molise risultavano installati 373 aerogeneratori, altri 155 erano stati autorizzati, mentre in Regione c’erano<br />

domande in attesa di essere esaminate per altri 1.340 aerogeneratori. Secondo gli oppositori dell’eolico “selvaggio”, già oggi<br />

il Molise sarebbe in grado di produrre fino al 72% del suo fabbisogno elettrico grazie all’eolico. Aggiungendo l’energia prodotta<br />

da fotovoltaico, idroelettrico, biomasse si arriverebbe al 110%. Se questi numeri fossero veri, permetterebbero al Molise di essere<br />

una regione all’assoluta avanguardia in Europa. “Il Molise in questo è surreale. La Navarra rivendica che vuole raggiungere il<br />

70% con l’eolico, il Molise forse lo ha anche raggiunto, ma lo tratta come fosse la peste. L’eolico si può guardare in modo positivo<br />

se l’amministrazione regionale dice che è la nostra idea di futuro, di energia pulita per i nostri figli. In Italia, invece, si subisce e<br />

questa è una grande differenza con il resto d’Europa” (Edoardo Zanchini, Legambiente).<br />

13 L’economista agrario e sociologo Manlio Rossi Doria fu il primo a distinguere - limitatamente al settore agricolo, dove<br />

le colture erano condizionate dalla fertilità del territorio sulla quale influiva l’altimetria - due diverse realtà socio-economiche<br />

territoriali nel Mezzogiorno italiano: la “polpa” e l’”osso”. Per Rossi Doria, la “polpa” comprendeva il Sud “alberato” - diffuso<br />

nella Terra di Bari, la Terra d’Otranto e la regione etnea della Sicilia - con agricoltura intensiva basata su colture ortive, vigne,<br />

agrumeti, alberi da frutto e oliveti. L’”osso”, invece, comprendeva il sud “nudo”, dominato dal latifondo capitalistico/padronale<br />

e contadino, terra di pascolo e di agricoltura estensiva di cereali che occupava circa il 90% della superficie coltivabile. Le condizioni<br />

di vita e le prospettive di <strong>sviluppo</strong> socio-economico nella prima area erano assai migliori rispetto a quelle della seconda<br />

le cui possibilità di <strong>sviluppo</strong> apparivano assai diverse. Secondo Rossi Doria, nelle aree della “polpa” esisteva la possibilità di<br />

un vero e proprio <strong>sviluppo</strong> interno che riposava su un razionale sfruttamento delle risorse e su una legislazione incentivante<br />

presso l’imprenditoria <strong>locale</strong> volta all’affrancamento da un tipo di gestione ormai superato. Nelle aree dell’“osso”, invece, solo<br />

interventi esterni (industrializzazione, turismo) avrebbero potuto dare il via a un progresso legato, però, alla diminuzione della<br />

popolazione conseguenza della emigrazione. Tale impostazione - una volta estesa dal settore agricolo all’economia in generale<br />

– ha anticipato le linee del futuro intervento programmatico nel Mezzogiorno, istituzionalizzando la divisione tra le due realtà<br />

meridionali e consigliando una distribuzione eterogenea degli investimenti sul territorio. Di conseguenza, a partire dai primi<br />

anni ’60 si è scelta la via di concentrare gli sforzi (attraverso il modello di <strong>sviluppo</strong> per poli agricoli, industriali ed urbani)<br />

sulla “polpa”, lasciando all’”osso” la esclusiva risorsa dell’emigrazione per i più qualificati, un livello minimo di occupazione e<br />

di sussistenza per gli emigrati potenziali, qualche miglioramento per i servizi e le infrastrutture nella lunga e difficile attesa di<br />

convincere qualche imprenditore ad investire capitali in quelle zone in cambio di particolari agevolazioni. Queste politiche di<br />

<strong>sviluppo</strong> territoriale hanno contribuito ad allargare il gap tra aree “polpa” e aree “osso”. In Campania, ad esempio, allo <strong>sviluppo</strong><br />

di parte della province di Napoli, Caserta e Salerno ha corrisposto il sotto<strong>sviluppo</strong> di Avellino e Benevento e di larghe zone nelle<br />

stesse province relativamente più avanzate; lo stesso fenomeno si è notato in Puglia, Calabria, Basilicata e Sicilia. Verso la fine<br />

degli anni ’70, ad individuare a livello provinciale ciò che costituiva la “polpa” rispetto a tutto il resto del territorio meridionale<br />

che restava “l’osso”, erano le carte del prodotto lordo e della densità della popolazione costruite dalla Cao Pinna (1979). La “polpa”<br />

era rappresentata dall’area che si sviluppa lungo le fasce costiere e pianeggianti delle Regioni meridionali (Caserta, Napoli e<br />

Salerno nella pianura campana, Bari, Brindisi e Taranto nel Tavolato Pugliese, Siracusa, Catania, Messina e Reggio Calabria, nella<br />

Sicilia ionica e nella contigua estremità meridionale della Calabria), corrispondente ad 11 delle 34 province del Sud, pari a circa<br />

un terzo della superficie complessiva ed in cui viveva ben il 60% della popolazione (20 mln/ab.) con buoni tassi di <strong>sviluppo</strong><br />

economico. L’”osso” corrispondeva, invece, al Mezzogiorno interno, cioè in parte al sistema delle province delle fasce collinari<br />

che fiancheggiano l’Appennino ed in cui vive un ulteriore 28% della popolazione del Sud (5,7 mln/ab.), ed in parte al sistema<br />

delle province interne appenniniche (l’Aquila in Abruzzo, Campobasso ed Isernia nel Molise, Matera e Potenza in Basilicata, Enna<br />

in Sicilia, Nuoro, Oristano e Sassari in Sardegna) in cui risiedeva il restante 12% della popolazione del Sud (2,3 mln/ab.) in una<br />

condizione di forte arretratezza economica.<br />

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