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Energia eolica e sviluppo locale - Ambiente e Territorio - Coldiretti

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9. Aprire una seconda fase: rinnovabili e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />

co, quando si tratta di impianti abbastanza estesi. Questa è una sconfitta da registrare, perché<br />

è evidente il fatto che non sia riusciti a far passare, a governare, questa grande novità e oggi<br />

si arrivi ad avere invece l’opposizione da parte delle popolazioni. Questo vuol dire che qualcosa<br />

non ha funzionato. Noi che cosa vediamo non di buon occhio Il fatto che il modello dell’eolico<br />

che ha la meglio sia “fordista”, quindi fatto di grandi impianti industriali. Questa, però, è<br />

la stessa politica di qualsiasi altro impianto, cioè di un progetto avulso dal suo territorio che<br />

per motivi strettamente economici viene insediato, ma che rispetto ad altri impianti produttivi<br />

non ha neanche il “plus” della forza lavoro. Crediamo invece che sia su un modello diverso<br />

che si dovrebbe iniziare a procedere. Un modello che parta dalle popolazioni locali, lavori sulla<br />

progettazione, sulla qualità del progetto e sul buon senso di avere o non avere un impianto, e<br />

di quale tipo, in quella località. Una prospettiva che rimanda al “tema del progetto” e di non<br />

avere un corpo estraneo sul territorio (Costanza Pratesi, FAI).<br />

Ancora quasi del tutto inesplorata è la possibilità di applicare all’eolico e alle altre rinnovabili<br />

il modello postfordista dello <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong>, della specializzazione flessibile e del<br />

sistema a rete basato su una molteplicità di piccoli e medi impianti diffusi e distribuiti sul<br />

territorio laddove sono disponibili le risorse energetiche.<br />

Il passaggio dall’era dei combustibili fossili a quella delle energie rinnovabili, o anche solo la<br />

sua promozione, impongono un cambio di paradigma. L’economia degli idrocarburi è un sistema<br />

centralizzato. È fatto di campi petroliferi e pozzi minerari distanti migliaia di chilometri dai suoi<br />

utilizzatori finali, di oleodotti e gasdotti, di grandi petroliere, di convogli giganteschi e di navi<br />

carboniere e metaniere, di raffinerie e centrali di generazione elettrica di grande taglia, di grandi<br />

kombinat industriali, di elettrodotti ad alta tensione, di società di prospezione, di gestione e di<br />

distribuzione, pubbliche e private, di dimensioni mondiali e di capitali proporzionati: un sistema<br />

che produce sempre più centralizzazione, dispotismo e guerre; il trasporto e i suoi impatti costituiscono<br />

una quota crescente dei costi ambientali ed economici della filiera. La logica di un’economia<br />

delle fonti rinnovabili richiede invece un sistema distribuito, che migliora la sua efficienza quanto<br />

più è decentrato. Ogni comunità dovrà produrre, attraverso mix di fonti che variano da un contesto<br />

all’altro, la maggior parte dell’energia che consuma e le reti di vettoriamento dell’energia elettrica<br />

saranno asservite esclusivamente al riequilibrio tra le diverse utenze (Viale, 2011:10).<br />

Il nostro auspicio è che si riesca a garantire attraverso le diverse fonti rinnovabili l’effettiva autosufficienza<br />

dei piccoli nuclei, perché il problema energetico è dato anche dalla perdita di energia<br />

nella sua distribuzione. Quindi, la capacità, di volta in volta, di autolimentarsi consentendo una<br />

efficienza nella produzione di energia. Per questo noi siamo favorevoli al micro-eolico o a impianti<br />

di misura mediana. Mi ricordo di aver visto in altri paesi europei, in Baviera, ad esempio,<br />

quelle che sono chiamate centrali diffuse, ma questo modello può funzionare solo se è articolato<br />

su più fonti di energia. L’eolico è un fonte di energia non continua e, quindi, non offre da sola<br />

determinate sicurezza, ma all’interno di un sistema integrato di fonti rinnovabili può funzionare.<br />

Attualmente, nelle rinnovabili l’iniziativa sta in capo al privato che va giù, progetta, negozia<br />

realizza e gestisce. Investire sulla popolazione, costa. Quindi, non lo fa. Questo è un compito<br />

che dovrebbe assumere il pubblico che dovrebbe aprire una discussione pubblica – un forum – su<br />

quello che si vuole e si deve fare. Credo che l’ente <strong>locale</strong> possa assumere il ruolo di soggetto<br />

catalizzatore in questa direzione, un po’ perché la dimensione comunale corrisponde anche a<br />

quella della gestione del territorio e un po’ perché è più controllabile politicamente dato che il<br />

sindaco è nominato ed eletto da chi sta sul territorio. Credo che si possa ragionare con sindaci<br />

e amministratori locali illuminati su un piano di lavoro per riuscire a far sì che su un contesto<br />

<strong>locale</strong> si possa andare a produrre energie da diversi tipi di fonte. Ad esempio, nelle zone agricole<br />

si può utilizzare il biogas, riutilizzando i liquami degli allevamenti. Il modello italiano di centrale<br />

diffusa ancora non si ancora visto perché purtroppo, soprattutto sul fotovoltaico c’è sempre<br />

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