Energia eolica e sviluppo locale - Ambiente e Territorio - Coldiretti
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<strong>Energia</strong> <strong>eolica</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>locale</strong><br />
Dove tale conflitto è stato ben gestito si è rilevata non solo una buona assimilazione nell’ambiente<br />
antropizzato delle centrali, ma anche una consapevole presa d’atto che gli aerogeneratori<br />
sono espressione di una naturale evoluzione che vede l’uomo come artefice della costruzione di<br />
nuovi paesaggi. Gli esempi di maggiore successo mostrano che, oltre a considerare gli aspetti<br />
prettamente tecnici, è necessario prevedere un impegno nella consultazione delle amministrazioni<br />
locali e nell’instaurare un rapporto diretto con i residenti, informandoli sulle reali conseguenze<br />
dell’operazione (Battistella, 2010:22).<br />
Interventi territoriali e processi partecipativi<br />
Negli ultimi due decenni in Italia e in Europa sono state realizzate diverse esperienze di <strong>sviluppo</strong><br />
<strong>locale</strong> (dai Patti territoriali ai Contratti di quartiere, agli Accordi di programma, dalle Conferenze di<br />
servizi ai Comitati locali per l’educazione degli adulti, ai Piani sociali di zona), incentrate sul coinvolgimento<br />
degli attori locali e dei cittadini nelle scelte che li riguardano. Lo <strong>sviluppo</strong> dei processi<br />
partecipativi/inclusivi (processi di concertazione, partenariato, partecipazione, consultazione, negoziazione,<br />
accordi, intese) deriva dalla convergenza di motivazioni ideali e pressioni pratiche molto<br />
diverse tra di loro e, in parte, anche contraddittorie. Il principale banco di prova di queste esperienze<br />
sono state le politiche di rigenerazione/riqualificazione urbana. I governi locali hanno cominciato a<br />
rendersi conto che non potevano procedere dall’alto con i loro progetti di <strong>sviluppo</strong>, senza offrire ai<br />
cittadini coinvolti la possibilità di interloquire con l’amministrazione e di negoziare soluzioni accettabili.<br />
Il problema non si è posto soltanto per progetti immobiliari di tipo speculativo, che miravano<br />
ad eliminare le abitazioni di tipo popolare (e i loro abitanti). Anche i progetti nati con le migliori<br />
intenzioni per migliorare le condizioni di vita dei residenti hanno finito per incontrare opposizioni e<br />
resistenze da parte dei loro potenziali beneficiari, scatenando la cosiddetta sindrome Nimby. Quello<br />
che gli urbanisti o i pianificatori consideravano come un “miglioramento” non era necessariamente<br />
percepito come tale dai diretti interessati. Hanno, quindi, cominciato a diffondersi, tra le amministrazioni,<br />
pratiche di ascolto e di negoziazione con i comitati degli inquilini e i comitati di quartiere,<br />
grazie anche alle elaborazioni sviluppate da parte di sociologi urbani, architetti e urbanisti impegnati<br />
nel “lavoro di comunità” in stretto contatto con i leader locali della protesta. Dall’Inghilterra, dove<br />
è nata, l’”urbanistica partecipata” si è diffusa in tutte le grandi città europee.<br />
L’idea di fondo, che ha cominciato a circolare tra i governi locali, è che non si tratta semplicemente<br />
di offrire servizi ai propri cittadini secondo buoni standard tecnici e di qualità decisi dall’alto, ma il<br />
problema è quello di favorire l’empowerment dei cittadini stessi, ossia di accrescere i loro poteri, la loro<br />
capacità di incidere sul loro stesso futuro. Le pratiche di partecipazione si sono estese anche ad altri<br />
settori, per esempio nel campo delle politiche sociali, economiche o sanitarie, allo scopo di ottenere<br />
una percezione più precisa dei bisogni (sempre più personalizzati) e di incoraggiare i cittadini stessi<br />
nella autonoma ricerca di soluzioni.<br />
A spingere in questa direzione è stata anche la diffusione e la frammentazione dei movimenti di<br />
protesta condotti da micro-comunità per la difesa, poniamo, di un parco pubblico o contro un insediamento<br />
giudicato sgradevole per i cittadini, che dovevano subirlo (l’apertura di un centro commerciale,<br />
l’allargamento di un aeroporto, l’installazione di un impianto per lo smaltimento rifiuti). Di<br />
fronte a queste reazioni, di piccola scala, ma assai energiche, le amministrazioni locali hanno dovuto<br />
aprirsi a qualche forma di dialogo con i cittadini coinvolti, allo scopo di concordare la ridefinizione<br />
dei progetti, l’introduzione di mitigazioni o l’elargizione di compensazioni.<br />
“La partecipazione del pubblico, come anche provato dall’esperienza, permette di condividere le informazioni<br />
su un progetto o un piano, chiarire gli equivoci, ottenere una migliore comprensione delle<br />
questioni di rilievo, sviluppare le precedenti problematiche sulla valutazione, individuare e approfondire<br />
gli aspetti conflittuali quando la proposta progettuale è ancora in fase iniziale. Le considerazioni e le<br />
risposte suscitate dalle osservazioni del pubblico sono un contributo unico in grado di suggerire al pro-<br />
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