OUR GUESTS: - Capri.net

OUR GUESTS: LUCA CORDERO DI MONTEZEMOLO ANNA MARIA ARTONI
CLAUDIO ANGELINI LILIANA CAVANI PEPPINO DI CAPRI
MARCO FRANZELLI BRUNO MANFELLOTTO LUCIANO PIGNATARO
COPIA OMAGGIO EDIZIONI PRC COMPLIMENTARY COPY
EDIZIONE INTERNAZIONALE
22

SOMMARIO
DA “IL MITO E L’IMMAGINAZIONE” - ERI ED.
CAPRI
REVIEW
Periodico di
turismo, cultura, attualità
Anno XI - N. 22 - 2004
Registrazione al
Tribunale di Roma n. 83/94
dell’11.3.94
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WELCOME 4
PROTAGONISTI
Fuori dal mondo di Marco Franzelli 6
AVVENIMENTI
Ogni anno al Quisisana di Bruno Manfellotto 14
CINEMA
Un grande set di Alessandro Mauro 20
L’ISOLA
Perché Capri di Ciro Sandomenico 28
PORTFOLIO
Le pose del caffè 34
ANNIVERSARI
Un secolo di funicolare di Claudio Angelini 36
PERSONAGGI
Madame Colette di Giuseppe Mazzella 40
GOURMET
Sua maestà il raviolo di Luciano Pignataro 48
La Piazzetta 54
SHOPPING 56
TUTTO CAPRI
News 60
Libri 62
Hotel 64
Ristoranti 68
Tempo Libero 70
Numeri Utili 72

PROTAGONISTI
6

Luca Cordero
di Montezemolo,
presidente
della Fiat,
della Ferrari e
della Confindustria.
Luca Cordero
di Montezemolo,
Chairman of Fiat,
Ferrari and
the Confindustria.
REUTERS - CONTRASTO
Fuori
dal mondo
di MARCO FRANZELLI
Per Luca di Montezemolo Capri
è l’unico luogo dove il riposo
e il silenzio riempiono la vita
per Capri è pari a quello che ha per la Ferrari. Non potrebbe essere
altrimenti. Perché Capri ha un’energia segreta e potente del tutto simile
a quella che anima i motori con lo stemma del Cavallino rampante.
L’amore
Luca di Montezemolo è sbarcato molti anni fa sull’isola sulle rotte estive
della famiglia Agnelli, insieme all’Avvocato, a Umberto, a Susanna. A Maranello è entrato
giovanissimo, ad appena 26 anni, neo laureato chiamato accanto a sé da Enzo
Ferrari in persona perché lo aiutasse a vincere il campionato del mondo, perché seguisse
sulle piste le imprese di Lauda e Regazzoni. “Luca”, chiamavano così i capi
▼
M. MASTRORILLO
7

PROTAGONISTI
meccanici quel Luca di Montezemolo
in un momento
frenetico diretto- di relax con la moglie
Ludovica.
re sportivo, sem-
Luca di Montezemolo
pre agitato ai box
relaxing with his wife
e fuori. Adesso Ludovica.
“Luca” è diventato “Il Presidente”, della
Fiat, della Ferrari, della Confindustria.
Soltanto a Capri torna a essere semplicemente
“Luca”. Per i capresi non ci sono
titoli o incarichi. Smessi quegli abiti, c’è
soltanto un uomo che condivide con loro
il piacere di frequentare quell’isola che
Edwin Cerio, ingegnere, ottimo botanico,
collezionista d’antichità e uomo d’affari
presentò così nella sua Guida inutile:
«Improvvisamente appare un’immagine
inverosimile: un’antica stampa, una pittura
moderna? A guardarla meglio ci si
accorge che è un quadro d’autore: il ritratto
di Capri, firmato da Dio».
Un luogo nel quale esiliarsi senza sentirsi
in esilio. Ad accoglierlo c’è Roberto Massa,
“O’ professore”, figlio di una storica
famiglia caprese, con il quale “Luca” divide
il tempo dello svago e del mare. C’è
“Quando sono a Capri non faccio vita mondana.
Sto con i miei amici capresi”
“I don’t live the high life when I’m on Capri.
I just spend the time with my Capri friends”
il ristorante Paolino, alle spalle di Palazzo
a Mare, oppure Aurora, a due passi
dalla Piazzetta; c’è la musica coinvolgente
dell’Anema e Core di Guido Lembo o
il relax nel quale ritemprarsi del Capri
Palace di Tonino Cacace. Amici e punti
di riferimento. Del resto, parlando di Capri
Montezemolo dice: «Capri per me
rappresenta un luogo dove rifletto, leggo,
8
M. SESTINI - GRAZIA NERI
mi sento fuori dal mondo, penso, e dove
ho un contatto con le cose semplici e con
le persone che ci vivono tutto l’anno e a
cui voglio molto bene. Quando sono a
Capri, non faccio vita mondana. Sto con
i miei amici capresi».
Così, capita di vederlo in darsena mentre,
da vero marinaio, riordina da solo
la sua barca, un Itama 60 color rosso
amaranto a cui ha dato il nome di Mediterraneo
II e che ha sostituito il Mediterraneo
I, blu come i riflessi dell’acqua
davanti ai Faraglioni. Chi lo conosce
bene, dice che è un perfezionista, attento
ai dettagli, maniacale anche in quell’operazione
di rito al rientro serale.
Proprio come lo è dalla sua scrivania a
Maranello quando agli uomini della
Ferrari ripete, magari dopo un Gran
Premio vinto stracciando la concorrenza:
«Pancia a terra e pedalare. Dobbiamo
fare ancora di più. Todt, mi dica: in
che cosa possiamo migliorare?».
È capitato spesso che nelle domeni- ▼

OUT OF THIS WORLD
by MARCO FRANZELLI
Capri is the one place where
Luca di Montezemolo is able
to rest and enjoy peace and quiet
Loving Capri is like loving Ferrari. And
that’s a fact, because Capri’s powerful,
hidden energy is so like the energy that
drives on the racing cars boasting the Horse
Rampant. Luca di Montezemolo landed on the
island in his summer travels with the Agnelli
family – with Gianni (the Avvocato), Umberto
and Susanna, while he made it to Maranello
when he was still very young. Twenty-six years
old and having just graduated, he was
summoned by Enzo Ferrari himself to help him
conquer the world championship and to follow
the racing exploits of Lauda and Regazzoni.
Luca – as the enthusiastic sports director was
SIE
-
called by the head mechanics – was
always worked up, both in and out of the ▼
SIME

PROTAGONISTI
che d’estate Montezemolo seguisse da
Capri i gran premi trasmessi in tv. In
questo caso, la solitudine è un dovere
scaramantico. Si chiude in una stanza,
lontano da tutto e da tutti. «E chi per
caso è con me, per esempio mio figlio, ha
l’obbligo, e lo sa, di non parlare mai».
Era lì in clausura quando Schumacher,
il giorno di Ferragosto del 1998, nel decimo
anniversario della morte di Enzo
Ferrari, vinse a Budapest un indimenticabile
Gran Premio di Ungheria. «Era
in testa, per poco non mi prese un infarto
quando lo vidi perdere il controllo
della macchina, finire sul prato e poi
rientrare in pista per fortuna senza danni.
Stava rischiando e gli andò bene. Alla
fine, le barche nel porto di Capri fecero
suonare le sirene per festeggiare il
trionfo della Ferrari», racconta. O ancora
il primo posto di Irvine nel Gran Premio
di Germania del 1999, salutato con
una cena in trattoria da Aurora assieme
ai figli Matteo e Clementina, agli amici
Diego Della Valle e Paolo Borgomanero.
A Capri ha portato anche Schumacher e
Todt, «ricordo che era vestito con dei
pantaloncini corti e che indossava dei
mocassini molto eleganti», coinvolgendoli
in una memorabile partita a calcetto
con gli amici capresi. «Avevo messo
una sola condizione: parlare il meno
possibile di Formula Uno, della Mc Laren,
di Hakkinen, di gomme e regolamenti.
Doveva essere un fine settimana
di relax assoluto prima di rituffarci nella
bolgia del campionato del mondo».
10
ZEFA ROMA
“Capri per me rappresenta un luogo dove mi sento fuori dal mondo”
“Capri is a place where I feel far from the world”
La scaramanzia, quasi una regola in
Formula Uno. Todt tiene in tasca un
pezzettino di legno portafortuna, Schumacher
ha guidato e vinto portando con
sé la spazzola viola della figlia Gina Maria,
Montezemolo ha un corno di corallo
rosso regalo di un pescatore di Capri.
Una delegazione caprese, capitanata dai
ragazzi del Bar Tiberio, è invece andata
a Monza lo scorso dodici settembre
quando Barrichello e Schumacher hanno
conquistato i primi due posti nel Gran
Premio d’Italia.
Da qualche mese Montezemolo ha acquistato
una nuova casa, ad Anacapri,
nella parte più alta e riservata dell’isola,
lontana dal frastuono allegro e vociante
della Piazzetta. È una villa che apparteneva
a un architetto caprese che l’aveva
costruita per sé all’inizio del Novecento,
in stile napoletano, circondata dalla vegetazione
mediterranea e avvolta dai
profumi dei fiori che si mescolano
creando un’essenza inimitabile, divina e
seducente. Quella descritta da Majakovski
in una poesia del 1916: «Ma Capri
esiste. Con il suo alone di fiori, tutta l’isola
è una donna in una cuffia rosa». La
villa è vicina a “Il Rosaio”, che nel 1948
divenne la residenza dello scrittore inglese
Graham Greene il quale scelse
questo luogo defilato perché sosteneva
che Capri, così mirabilmente perfetta,
bella e aggressiva, gli impedisse la concentrazione
necessaria per scrivere.
Nel suo ruolo di presidente della Confindustria,
Montezemolo ha detto: «Se c’è
un potenziale imprenditoriale italiano è
quello legato al bello, all’arte, alla cultura
e al turismo e poi abbiamo Capri,
Pompei, Taormina e, con tutto il rispetto,
qualunque cinese avrà difficoltà a copiarci».
Così come nessuno potrà mai
copiare il Cavallino. Perché un mito, per
essere veramente tale, e Capri lo è da
tanti e tanti anni, «non si fonda né su

■ NOTARANGELO - FREE PRESS OLYCOM
momenti di moda, né su tendenze dell’ultima
ora. Si basa invece su una grande
sostanza». Proprio come la Ferrari.
Nel “rosso” del cavallino rampante ci
immergiamo ogni volta che vince così
come il futurista Marinetti si tuffava nell’acqua
di Capri e poi scriveva: «Ora io
nuoto come un pennello nel blùblù tra
lunghissime occhiate d’acqua».
box. Luca became Il Presidente – of Fiat,
Ferrari and Confindustria. Only in Capri has
he always been simply “Luca”. The people of
Capri don’t worry about titles or high positions.
Once you leave behind those ways of
thinking, there is just a man who shares their
delight to be on the island. This pleasure was
described in this way by Edwin Cerio –
engineer, expert botanist, antique collector
and businessman – in his Guida inutile
(Useless Guide), “Suddenly an unbelievably
beautiful image appears. Is it a fine old print, a
modern painting? Looking more closely, you
realize that it is a painting by a well-known
painter – a portrait of Capri, signed by God.”
This is a place where you can withdraw
without feeling like you are in exile.
One person who always welcomes
Montezemolo is Roberto Massa, “O’
professore”, son of a historic Capri family, with
whom “Luca” spends time sailing and relaxing.
There is the restaurant Paolino, behind the
Palazzo a Mare, or the Aurora, a few steps from
the Piazzetta. There is the engaging music of
Guido Lembo’s Anema e Core or the smooth
sound of Tonino Cacace’s Capri Palace to
restore your energy. Friends and familiar
scenes.
On the other hand, speaking of Capri,
Montezemolo said, “For me, Capri is a place
where I think things over, I read, I feel far from
the world. It’s where I have contact with the
simple things in life and the people who live
there all year round who I like so much. I don’t
live the high life when I’m on Capri. I just spend
the time with my Capri friends.”
So, you just might see him at the dockyard
working like a true sailor on his own boat – a
purplish-red Itama 60 he named Mediterraneo
II, which replaced Mediterraneo I, a boat
painted the blue of the water’s reflections out
by the Faraglioni. Those who know him well
say he is a perfectionist, careful about every
detail and even obsessive about the ritual
closing up of the boat at the end of the day.
The same way he is at his desk in Maranello
when he says to the Ferrari men, even after
winning a Grand Prix with flying colours: “Flat
out and pedal hard. We still have to do better.
Tell me, Todt, where is there room for
improvement?”
A summer Sunday often finds Montezemolo in
Capri following the Grand Prix on TV. At these
moments, solitude is his way to ward off bad
luck. He closes himself up in a room, far from
everything and everybody. “And whoever
happens to be with me, as my son for instance
knows very well, is not allowed to say a word.”
He was there in seclusion on the Feast of
Assumption of 1998, the tenth anniversary of
Enzo Ferrari’s death, when Schumacher won
the unforgettable Hungary Grand Prix in
Budapest. “He was in the lead. I almost had a
heart attack when I saw him lose control of the
the track with no damage done, thank God. He
took the risk and he pulled it off. In the end, the
boats in the port of Capri sounded their horns to
celebrate Ferrari’s victory,” he recalls.
Or Irvine’s first place in the German Grand Prix
in 1999 celebrated with a dinner at Aurora with
his children Matteo and Clementina and his
friends Diego Della Valle and Paolo
Borgomanero. He brought Schumacher and
Todt to Capri, too (“I remember that he was
wearing shorts and had on a pair of very
elegant moccasins,” recalled Todt), where they
played a memorable game of five-a-side with
some Capri friends. “There was just one
condition: to speak as little as possible about
Formula Uno, McLaren, Hakkinen, tires or rules
and regulations. It had to be a weekend of total
relaxation before diving back into the
pandemonium of the world championship.”
Good luck charms are almost a rule in the
Formula Uno. Todt keeps a little piece of wood
for good luck in his pocket; Schumacher drove
and won carrying his daughter Gina Maria’s
purple brush, Montezemolo has a piece of red
coral given to him by a Capri fisherman. A Capri
delegation, led by the young Bar Tiberio crowd,
was present in Monza last 12 September when
Barrichello and Schumacher won the first two
places in the Grand Prix of Italy.
A few months ago, Montezemolo bought a new
house in Anacapri, the highest and most discreet
part of the island, far from the noisy, high-spirited
commotion in the Piazzetta. It is a villa that
belonged to a Capri architect who built it for
himself in the beginning of the 1900s in the
Neapolitan style, surrounded by Mediterranean
vegetation and bathed in the perfumes of the
many flowers that blend into an utterly
captivating, heavenly scent. The same scent
described by Mayakovsky in a poem he wrote in
1916, “But Capri exists. With its halo of flowers,
the whole island is a woman in a rose-coloured
bonnet.” The villa is near Il Rosaio, where the
English writer Graham Greene lived after 1948
when he chose this secluded spot because he
claimed that the town of Capri – so marvellously
perfect, beautiful and aggressive – made it
impossible for him to maintain the concentration
he needed to write.
In his role as Chairman of Confindustria,
Montezemolo said, “The real business potential
in Italy is tied to beauty, to art, culture and
tourism. We have Capri, Pompeii, and Taormina,
which, if I dare say, the Chinese would have
trouble copying.” Just as no one could ever copy
the Horse. A real myth – and Capri has been one
for many, many years – “is not based on chic
times or the latest fashions. It has to be based on
its own greatness.” Like Ferrari. Into whose “red”
we plunge every time they win, like the futurist
Marinetti, who dove into the waters of Capri and
then wrote, “Ora io nuoto come un pennello nel
blùblù tra lunghissime occhiate d’acqua” (“Now I
swim like a painter’s brush in the blueblue
through the water’s longlong glances”).
car, end up on the grass and then get back onto ■
11

AVVENIMENTI
ARCHIVIO CONFINDUSTRIA
Ogni anno
al Quisisana
di BRUNO MANFELLOTTO
Da diciannove anni si rinnova a Capri
l’incontro dei Giovani industriali.
Uno specchio dell’Italia che cambia
In principio, a esser sinceri, fu
Santa Margherita Ligure. Prima
di Capri tra i Sessanta e i Settanta.
Erano anni in cui la Confindustria
vestiva di grigio o di nero e nel-
14
l’immaginario collettivo non era altro
che il “sindacato dei padroni”. I quali
se ne stavano nei loro opifici al nord
(ma qualcuno anche al sud) o nelle
grandi masserie del sud (ma qualcuno M.
BORCHI - SIE

Il Grand Hotel
anche al nord)
Quisisana
che tradizionalmente per sbarcare
ospita l’incontro
annuale dei Giovani di tanto in
di Confindustria.
A sinistra,
tanto a Roma
Anna Maria Artoni
dove una po-
durante il Convegno
dello scorso anno. tente struttura
The Grand Hotel burocratica di
Quisisana hosts
the Young
funzionari e
Entrepreneurs’ meeting
every year.
dirigenti trat-
Left, Anna Maria Artoni
tava con sin-
at last year’s
gathering.
dacati e governi,
ministri e parlamentari. Un pachiderma
sonnacchioso che si risvegliava
a ogni stagione contrattuale. O che
dava rassicuranti segni di vitalità
quando i suoi economisti analizzavano
bilanci, studiavano nuovi mercati,
disegnavano scenari: allora le porte
del santuario si aprivano per dare
un’occhiata fuori. Un po’ lobby, un
po’ ufficio studi. Rigorosamente in
doppiopetto.
Ma quella era anche la stagione in cui,
se non altro per ragioni anagrafiche, si
facevano avanti i giovani, i figli della ricostruzione
e del boom, i ragazzi vogliosi
di imparare, di succedere ai loro padri,
di dire la loro. Che alla fine, pur di
farsi sentire e vedere, si fecero, per così
dire, una loro Confindustria. Con tanto
di presidente, vice presidente e comitati
regionali sparsi per l’Italia intera. Tutti
giovani imprenditori under 40.
Andavano, quei giovanotti, a scuola di
Confindustria e vivevano un loro Sessantotto
nel solo modo in cui potevano:
cercando un dialogo con i sindacalisti
(che allora era come contestare un
professore in un’aula di università),
ragionando con l’opposizione (che
▼
15

AVVENIMENTI
era come portare Il Capitale a casa) e
andando a esplorare campi e tematiche
altrimenti ignorate o sottovalutate.
Qualcuno pensava che le stanze dell’Eur
fossero infestate dai diavoli.
Colui che tentò di fare dei giovani imprenditori
se non un soggetto politico
certamente un protagonista del dibattito
politico ed economico, fu Piero Pozzoli,
un ragazzone genovese vitale e intelligente
che non nascondeva le sue idee
radicali, nel senso di Marco Pannella.
Fu lui il primo ad aprire le finestre con-
GRAZIA NERI
findustriali e a far entrare un po’ d’aria
fresca. Ma solo in senso figurato, perché
il palazzone dell’Eur era stato attrezzato
dal progettista con circolazione forzata
dell’aria d’estate e d’inverno tale da
sconsigliare balconi e terrazze. Una volta,
addirittura, a metà degli anni Settanta,
Guido Carli paragonò i contestatori
a fastidiose mosche penetrate nel
bunker nonostante i vetri sigillati…
Pozzoli sentiva anche l’esigenza di un
appuntamento fisso sotto forma di
convegno che fosse dai giovani organizzato,
convocato, animato. La paro-
16
la d’ordine era “autonomia”; l’ispirazione
di fondo la critica all’establishment
confindustriale. La sede prescelta
fu Santa Margherita Ligure, a giugno.
Il successo arrivò subito, l’autonomia
un po’ meno. Si racconta di
“padri” che volessero essere informati
dei temi in discussione, e controllare la
lista degli ospiti (si gridò allo scandalo
quando per la prima volta fu invitato
il segretario della Uil Giorgio Benvenuto),
e perfino leggere in anticipo le
comunicazioni dei relatori.
Più che arginare il fenomeno, il clima
di censura preventiva e di preoccupazione
mal celata finì per dare all’appuntamento
un’aria di fronda e di
contestazione, ma anche per cementare
il gruppo dandogli una connotazione
forte. Più di quanto, in fondo, esso
stesso meritasse. Resta il fatto, però,
che da allora, a maggio d’ogni anno si
celebra nell’auditorium dell’Eur la
messa cantata degli industriali e della
loro organizzazione, e un mese dopo
un gruppo di discoli giovanotti si diverte
a intonare il controcanto.
Poi, da una volta l’anno si passò a
due. E da Santa Margherita a Capri.
Per volontà di Antonio D’Amato, imprenditore
napoletano con villa sull’isola,
quando vent’anni fa conquistò la
leadership dei Giovani, volle che all’appuntamento
di primavera se ne aggiungesse
un altro, a fine estate, alla
ripresa, quando si comincia a pensare
ai programmi per l’anno che verrà.
Certo, la scelta si spiega da sola. Ma
non fu solo un rigurgito di campanile a
portare gli industriali juniores in Piaz-
zetta e ai Faraglioni. Il fatto è che tesi,
relazioni e contenuti del convegno di
Santa Margherita venivano tradizionalmente
elaborati dalle delegazioni di Liguria,
Lombardia e Piemonte, il vecchio
triangolo industriale protagonista
della ricostruzione e del boom boom.
Ma il mondo era cambiato, anche il
centro sud dava segni di risveglio mentre
ora era il nord est a macinare record
di crescita (e più tardi proprio
l’insolita alleanza tra mezzogiorno e
nuovo nord porterà lo stesso D’Amato
alla presidenza della Confindustria de-

gli adulti) ed era opportuno trovare un
luogo dove sancire il riequilibrio territoriale
e di culture. E fu Capri, appunto.
Piena tra l’altro di forti suggestioni
per i più giovani. Per l’isola, infatti,
d’estate passavano prima o poi tutti i
grandi: almeno una volta l’anno si faceva
vedere Gianni Agnelli; e Leopoldo
Pirelli o Giorgio Falck incrociavano al
largo in regata o per diletto; e qui arrivò
Gardini per far vedere a tutti il suo
“Moro di Venezia”; e a pranzo da Luigi
ai Faraglioni o alla Canzone del Mare
scendevano Ford e Rockfeller, Rizzoli e
Mondadori. Oggi le cose non sono cambiate
e se in porto è sempre ancorata
una delle barche di Diego della Valle e
se Luca Cordero di Montezemolo (un
altro giovane che ha scalato la Confindustria
dei grandi) è di casa, anche Bill
Gates cerca casa a Capri…
L’evento quindi non ha fatto fatica a
imporsi. Anche perché industriali e
ospiti regalano all’isola un ultimo
scampolo d’estate. Sbarcati qui tra la
fine di settembre e i primi di ottobre,
vivono questo week-end di svago e
▼
EVERY YEAR
AT THE QUISISANA
by BRUNO MANFELLOTTO
The Young Enterpreneurs,
who reflect the changing
face of Italy, have been holding
their annual meeting
on Capri for nineteen years
To be honest, Santa Margherita
Ligure came before Capri – in the
1960s and 1970s, when the
members of Confindustria still dressed in
black and grey, and it was perceived as
“the bosses’ union.”
From their factories in the north (and a few
in the south) or vast farms in the south
(and a few in the north), they came to
Rome every now and then, where a
powerful bureaucratic structure of officials
and managers held talks with union
leaders and government representatives,
ministers and parliamentarians. It was like
a drowsy elephant that awoke whenever
contracts were being renewed and gave
reassuring signs of life when its
economists analyzed budgets, studied new
markets, or traced scenarios. Then the
doors of their sanctuary opened wide
enough for them to catch a glimpse of the
outside world. It was part lobby, part
research centre, and double-breasted suits
were de rigueur.
But that was the time when young people
were coming into their own. These were
the children of the reconstruction and the
boom, young people wanting to learn, to
take over from their fathers and to have
their say. To give themselves visibility and
a voice, you could say they created their
ARCHIVIO CONFINDUSTRIA
own Confindustria, with its own chairman,
vice chairman and regional committees
located throughout Italy – and all were
entrepreneurs under the age of forty.
These aspiring young men and women
were schooled by Confindustria and in
some way lived their 1968 protest in the
only way they could, by trying to establish
a dialogue with union leaders (which at
the time was like contradicting a professor
in a university lecture hall), trying to
reason with the opposition (like coming
home with a copy of Capital by Karl
Marx), and exploring otherwise ignored or
underrated areas and issues. There were
those who claimed that the EUR offices
were overrun by devils.
One man who sought to bring young
entrepreneurs onto the stage – if not
exactly as a political force at least as an
active presence in the country’s political
and economic life – was Piero Pozzoli, a
bright, dynamic young man from Genoa
who never tried to hide his radical ideas
(radical in line with the positions taken by
Marco Pannella). He was the first to open
the windows of Confindustria and let in a
breath of fresh air – only metaphorically
speaking, however, since the EUR tower
block was designed with year-round airconditioning,
to the point of making
balconies and terraces unattractive.
Once, in fact, in the mid-seventies, Guido
Carli compared protestors to annoying
flies that managed to make their way into
the bunker despite the sealed windows…
Pozzoli recognized the need for regular
meetings, in the form of a congress
organized, convened and led by these
young people. “Autonomy” was the
buzzword of the day and the underlying
mission was to critique Confindustria
establishment. Santa Margherita Ligure
was chosen for a June congress. Success
came quickly, autonomy less so. One
hears of “fathers” who insisted on being
informed of the topics to be discussed
and checking the guest list (a scandal
broke the first time UIL secretary Giorgio
Benvenuto was invited), and even wanted
to preview the speakers’ presentations.
Instead of stemming the phenomenon,
this climate of preventive censorship and
barely-disguised apprehension ended up
bringing to the meeting a spirit of rebellion
and opposition, which consolidated the
group and endowed it with a strong
character – more than it deserved,
actually. Nonetheless, it is a fact that
since then the sung Mass of the
industrialists and their organization is held
in the EUR auditorium every May and one
month later, a gang of cheeky youths get
a kick out of singing their “countermelody”.
▼
17

AVVENIMENTI
ARCHIVIO CONFINDUSTRIA
lavoro come scissi, seguendo una sceneggiatura
rigorosamente divisa in due
parti: alla mattina cravatta e doppiopetto,
aula gremita e talk-show, scenari
e polemiche al vetriolo; alla sera camicia
aperta sul petto e tutti da Guido
Lembo a cantare Reginella. Quasi la
metafora di un Paese eternamente sospeso
tra un presente da cicala e un futuro
da formica, tra consumi e tagli, sacrifici
e privilegi. Riflessivo e vitale. Celebrando
dunque l’appuntamento caprese
numero diciannove, sia consentito
un auspicio: che i Anna Maria Artoni
giovani, ormai di-
con la squadra
che la affianca
ventati adulti, e
alla presidenza
dei Giovani
smentendo i loro
di Confindustria.
maestri e predeces- Anna Maria Artoni,
Chairwoman
sori, riescano a tra- of the Young
sformare le due Ita-
Entrepreneurs,
with her team
lie – nord e sud, ci-
of collaborators.
cale e formiche – in una sola prendendo
il meglio dell’una e dell’altra. Intanto si
vivano quest’isola che, tutto sommato,
è già riuscita nell’impresa.
18
■
Later, the meetings were held not once
but twice a year and moved from Santa
Margherita to Capri, on the say-so of
Antonio D’Amato, the Neapolitan
entrepreneur with a villa on the island.
Twenty years ago, when he won the
leadership of the Young Entrepreneurs,
he called for the spring meeting to be
followed by another at the end of the
summer, when people get back down to
business and plans need to be made for
the coming year. The choice of Capri, of
course, needs no explanation. But it was
not simply hometown loyalty that brought
the junior industrialists to the Piazzetta
and Faraglioni. The truth is that the issues
and presentations of the Santa Margherita
convention had traditionally been
prepared by the delegations of Liguria,
Lombardy and Piedmont – the old
industrial triangle that led the
reconstruction and the boom. But the
world had changed in the meantime.
Central and southern Italy were showing
signs of a re-awakening while the
northeast was setting new records for
growth daily (later, the unlikely alliance
between the south and this new north
would bring D’Amato to the chairmanship
of Confindustria). It was time to find a
place that would set the seal on this new
territorial balance. And that place was
Capri. An exciting location for the younger
members, as well. In fact, all the VIPs
came to the island at some point in the
summer. Gianni Agnelli was seen there at
least once a year; Leopoldo Pirelli and
Giorgio Falck crossed paths in sailing
regattas or just boating; Gardini came to
let everyone see his boat Moro di Venezia
of America’s Cup fame; while members of
the Ford, Rockfeller, Rizzoli and
Mondadori families lunched at Luigi ai
Faraglioni or Canzone del Mare. Nothing
has changed. Diego della Valle always
keeps one of his boats moored in the port
and Luca Cordero di Montezemolo
(another young man who climbed to the
top of Confindustria) has a home here.
Even Bill Gates is looking for a house on
Capri…The event was an instant
success, in part because industrialists
and guests offered the island one last
breath of summer. Landing here between
the end of September and the beginning
of October, they live this weekend of
pleasure and work split down the middle,
following a script that has been neatly
divided into two. In the morning, dressed
in jacket and tie, they pack the
auditorium, and take part in venomous
scenes, argumentative “talk-shows” and
heated debates, while the evening finds
them altogether at Guido Lembo’s in their
open shirts singing Reginella. A kind of
metaphor for an analytical, dynamic
country eternally suspended between a
chitchat present and a hard-working
future, between consumption and cuts,
sacrifice and privilege. So, we make this
wish as we celebrate the nineteenth
meeting in Capri: may the young people
(now adults in their own right), belying
their teachers and predecessors,
succeed in transforming the two Italies –
north and south, chitchat and hard-work –
into a single unit, by taking the best of
both worlds. In the meantime, welcome to
this island which, all in all, has already
done that.
■

20
CINEMA
Un grande set
di ALESSANDRO MAURO
Da Totò a Godard, dalla Loren a BB:
passioni e avventure nei film di Capri
Anche senza pretesa di
esaustività, e in rigoroso
ordine sparso, una carrellata
sui film che hanno
avuto Capri come set non potrebbe che
cominciare da Lui, “Imperatore” sullo
schermo – e tra i Faraglioni – e Principe
nella vita: Antonio de Curtis, in arte
Totò, alle cui memorabili doti interpre-
tative si deve una delle pellicole più riuscite
tra quelle girate sull’isola. Quella
che quando si compie lo sforzo di memoria,
o di ricognizione enciclopedica,
per mettere insieme i tasselli di un’ideale
rassegna cine-caprese, viene in mente
e subito fa dire «ah già, certo!». È
L’imperatore di Capri, diretto nel 1950
da Luigi Comencini e interpretato, oltre
che dal mascelluto genio comico, da
Yvonne Sanson, che scambiando Totò
per un principe indiano (e sbagliando
quindi solo la nazionalità) gli dà modo
di sottrarsi agli asfissianti obblighi familiari
e diventare il villeggiante più famoso
dell’isola, dando così la stura all’ennesima
“qui pro quo-story”, terreno
in cui (basti pensare a Totò Le Mokò) il

▼
grande attore napoletano ha dato parte settima arte un rapporto privilegiato, restano insomma numerose e differenti
del meglio di sé.
sul quale la dicono lunga le innumere- testimonianze, anche precedenti alla
Ma non è che l’inizio, perché sebbene voli visite tributategli da divi e divine prova di Comencini-Sanson-Totò. È
non possa vantare primati nel cinema spesso d’oltreoceano, nonché, per limi- infatti datato 1949 l’interessante Ac-
insulare (alcuni rivali sono davvero tarci ai fatti più recenti, l’istituzione cadde in Settembre (September Affair,
troppo grandi, senza contare che del festival “Capri-Hollywood” nato diretto da William Dieterle e interpre-
Manhattan è un’isola), Capri, sulla cui proprio per sottolineare il filo diretto tato da Joan Fontaine e Joseph Cotten)
bellezza, luce e suggestione non è qui il che lega l’isola alla mecca del cinema. in cui un professionista americano e
caso di soffermarci granché, ha con la Di tale fascinazione cinefila per Capri una pianista inglese, sposati tutti e
SIME - SIE
21

CINEMA
WEB PHOTO
due, si incontrano e si innamorano durante
un viaggio in Italia. In conseguenza
di un disastro aereo entrambi
verranno dati erroneamente per morti,
decidendo così – novelli Mattia Pascal –
di restare insieme a Capri, e inaugurando
la tendenza cinematografica di
riconoscere all’isola lo statuto di luogo
dei sogni.
Anche di quelli lunghi una stagione,
ché senza dubbio il filone più nutrito
tra i film girati al largo di Napoli resta
quello cosiddetto “balneare”, in cui con
esiti e in periodi diversi le meraviglie
capresi, e il sollazzevole clima vacanziero,
fanno da cornice per amori, amoretti
o semplici flirt. È il caso di Avventura
a Capri (diretto nel ’58 da Giuseppe
Lipartiti e interpretato tra gli altri
da Maurizio Arena, Alessandra Panaro,
Nino Taranto e Leopoldo Trieste)
in cui due coppie incontratesi sull’isola
2
passano attraverso una sarabanda di
equivoci e malintesi per poi ricongiungersi
e di nuovo promettersi l’amore.
Non troppo diverso il parecchio precedente
L’isola del sogno - amori e canzoni
(1947, regia di Ernesto Remani
con, tra gli altri, Carlo Campanini, Clelia
Matania e Silvana Jachino), dove
pure varia il presupposto: Gianni infatti
è un cantante, e Giorgio compone
musica, insieme devono lavorare al copione
di una commedia musicale e per
poter operare in tranquillità sbarcano a
Capri. Ma senza fare i conti con l’atmosfera
che è propria del luogo: il sogno,
appunto, come esplicitamente evocato
dal titolo del film. I due infatti incontreranno
due belle ragazze, con buona
pace del lavoro da portare avanti.
Ma l’arte della conquista estiva, della
relazione sentimentale mordi e fuggi,
del dongiovannismo da spiaggia, il tutto
Brigitte Bardot e Michel Piccoli
sul tetto di Villa Malaparte
durante le riprese del film
di Jean-Luc Godard “Il disprezzo”,
tratto dall’omonimo romanzo
di Alberto Moravia.
Brigitte Bardot
and Michel Piccoli on the roof
of Villa Malaparte while filming
Jean-Luc Godard’s Le Mépris
based on the novel
by Alberto Moravia.
ammantato nell’atmosfera
giocherellona e in fondo pudica
dell’Italia balneare di un
tempo (o di come il cinema
l’ha immortalata), venne sistematizzata,
per quanto concerne
Capri, da Vittorio Caprioli nel
1962 con il suo Leoni al sole, che pure
interpretò al fianco di Carlo Giuffrè,
Philippe Leroy e della bravissima Franca
Valeri, e che attraverso una serie di
episodi dà allegramente conto di un ampio
spettro delle caratteristiche di questi
fulminei predatori delle vacanze.

Niente vacanze invece, e anzi una brusca
sterzata di clima per Il mare, diretto
nel 1963 da Giuseppe Patroni Griffi
e interpretato da Umberto Orsini,
Françoise Prévost e Dino Mele, che è
ambientato d’inverno e parla sì d’amore
ma, in sintonia meteo-narrativa con
la stagione, è privo di qualsiasi scanzo-
natezza balneare. Raccontando invece
la tormentata relazione che coinvolge
due uomini e una donna, il loro prendersi
e lasciarsi, con il movimento incessante
del mare a contrappuntare stilisticamente
l’andamento ondivago e
interminato delle loro passioni.
E già che ci siamo immessi in terri-
SIME -SIE
▼
CAPRI
IN THE MOVIES
di ALESSANDRO MAURO
From Totò to Godard,
Sophia Loren and BB, Capri has
a long history as a movie location
Although it does not claim to be exhaustive,
and although it does not follow any strict
order, this brief history of films set in Capri
must inevitably begin with Antonio de Curtis,
better known as Totò, an Emperor on the screen
– between the Faraglioni – and a Prince in real
life, whose memorable acting talent contributed
to one of the best movies shot on the island. A
movie which immediately springs to mind and
makes us think “Oh yes, of course!” when we
attempt to delve into our memory in order to put
together the various pieces of our “Capri film
collection”. The film in question is l’Imperatore di
Capri (The Emperor of Capri), directed in 1950
by Luigi Comencini. As well as the great Italian
comic genius, it stars Yvonne Sanson, who
mistakes Totò for an Indian prince (only getting
his nationality wrong) and thus gives him the
opportunity to escape from the stranglehold of
family duties and become the most famous
holiday-maker on the island. Yet another case of
mistaken identity, a scenario which often
provided fertile ground for the comic talents of the
great Neapolitan actor (Totò Le Mokò is another
classic example).
This is just the beginning, however. For although
it may not be the most famous island in the
history of the movies (some rivals are simply too
big, and we mustn’t forget that Manhattan, too, is
an island), Capri has always had a close
relationship with the seventh art. As is shown by
the innumerable stars who have come to visit the
island, many of them from the other side of the
Atlantic, and, to stick to more recent events, by
the foundation of the “Capri-Hollywood” festival,
which underlines the direct link between the
island and the home of the movies.
The attraction that Capri exerts on the movie
world has left us with many very different films,
some of them made before The L’imperatore di
Capri. One example is the interesting September
Affair (1949), directed by William Dieterle and
starring Joan Fontaine and Joseph Cotten. The
film is the story of an American businessman and
an English pianist, both married, who meet and
fall in love while travelling through Italy. Following
an air crash they are both mistakenly included in
the list of victims, after which they decide (like
fledgling Mattia Pascals) to remain together on
Capri, thus starting off the tendency in the film
world to consider the island as a place of
dreams.
Including dreams which last only a season, for
the most common genre of films shot on Capri is
the so-called “seaside holiday movie”, where,
▼
23

torio “serio”, Joan Fontaine
e Joseph Cotten
passiamo a men-
in una scena
di “Accadde
zionare due tra i in settembre”.
set più autorevo- Joan Fontaine
and Joseph Cotton
li che abbiano
in September Affair.
mai posato macchine
da presa e tutto l’armamentario
del cinema sull’isola. Il primo è quello
de Il disprezzo (Le mépris, 1963) diretto
nientemeno che da Jean-Luc Godard,
uomo di punta insieme a Truffaut
del fenomeno dapprima critico e
successivamente realizzativo passato a
notorietà planetaria con il nome di
Nouvelle Vague, e interpretato da un
cast che affianca Michel Piccoli, Jack
Palance e Fritz Lang alla leggendaria
Brigitte Bardot, la cui bellezza avrà
forse, chissà, offuscato per un attimo
agli occhi di qualcuno quella di Capri
stessa. Storia di amore, tradimento e
morte, il film è tratto dall’omonimo
romanzo di Alberto Moravia, origine
letteraria che lo accomuna a La pelle
(1981), tratto dal notevole lavoro di
Curzio Malaparte che fu, nella riduzione
cinematografica di Liliana Ca-
24
in different periods and with different outcomes,
the beauty of the island and the holiday
atmosphere are the backdrop for love affairs and
brief flirtations. This is the case with Avventura a
Capri (Adventure on Capri) (1958), directed by
Giuseppe Lipartiti and starring Maurizio Arena,
Alessandra Panaro, Nino Taranto and Leopoldo
Trieste. Here two couples who have met on the
island experience a series of misadventures
before finally getting back together and pledging
eternal love.
In the same vein is a film made eleven years
earlier, L’isola del sogno - amori e canzoni (The
Island of Dreams – Love and Song), directed by
Ernesto Remani and featuring Carlo Campanini,
Clelia Matania and Silvana Jachino. The storyline
is slightly different – Gianni is a singer, and
Giorgio composes music, and together they have
come to Capri to find peace and quiet in order to
work on the script of a musical. What they have
not reckoned with is the atmosphere of the island
– the atmosphere of dreams explicitly referred to
vani, un altro tra gli approdi cinema-
in the title. Gianni and Giorgio meet two beautiful
tografici “per eccellenza” in terra ca- girls, and their plans to work go up in smoke.
As far as Capri is concerned, the art of summer
prese anche grazie alla presenza di affairs and beach Don Juans, bathed in the
playful and essentially prudish atmosphere of
Marcello Mastroianni, Burt Lancaster
seaside Italy (at least as it was portrayed in the
e Claudia Cardinale, altra bellezza tra movies) was captured perfectly by Vittorio
Caprioli in his 1962 film Leoni al sole (Lions in
le innumerevoli che nel corso degli the Sun), starring the director himself together
anni sono sbarcate sull’isola.
with Carlo Giuffrè, Philippe Leroy and the
wonderful Franca Valeri. A whole series of
Di bellezza in bellezza, non poteva episodes paints a cheerful picture of the
characteristics of these holiday Romeos.
mancare Sophia Loren, le cui coordi-
In Il mare (The Sea), directed in 1963 by
nate geografiche e culturali, tra l’al- Giuseppe Patroni Griffi and starring Umberto
Orsini, Francoise Prévost and Dino Mele, there is
tro, prendono le mosse poco distante no holiday atmosphere – the film is set in winter.
It does deal with love, but in keeping with the
dalla baia di Napoli. E proprio così,
season there is no seaside lightheartedness. It
La baia di Napoli (It Started in Na- tells the story of the tormented relationship
between two men and a woman, with the
ples, diretto nel 1960 da Melville Sha- incessant movement of the sea as a counterpoint
velson) si chiama il film che la vide to the wave-like progress of their passions.
Since we’re now in “serious movie” terrain, we
protagonista al fianco di due calibri might mention two of the most prestigious films
shot on the island. The first is Le Mépris
quali Clark Gable e Vittorio De Sica.
(Contempt, 1963), directed by none other than
Vi si narra di un avvocato americano Jean Luc Godard, the main exponent together
with Truffaut of the movement that achieved
giunto in Italia per sistemare le vicen- critical acclaim and then worldwide fame under
the name Nouvelle Vague, and starring Michel
de ereditarie del figliolo di un suo fra-
Piccoli, Jack Palance and Fritz Lang together with
tello morto in un incidente d’auto. Il the legendary Brigitte Bardot, whose beauty might
even have dimmed that of Capri itself. A story of
piccolo vive con una zia alla quale è love, betrayal and death, the film is based on the
novel by Alberto Moravia. This literary origin is
molto affezionato (Sophia Loren).
shared by La Pelle (The Skin, 1981), based on
Non è difficile immaginare la fine, ma the celebrated novel by Curzio Malaparte. The
film version directed by Liliana Cavani is another
il film vale senz’altro una (ri)visione. of the great films made on the island, thanks to a
Così come può valerla, non fosse che fine cast including Marcello Mastroianni, Burt
Lancaster and Claudia Cardinale, another of
per uno sguardo a freddo su un fe- the many beautiful women who have landed ▼
▼

CINEMA
nomeno a suo tempo bistrattato
quant’altri mai, e lo stesso idolatrato da
schiere di fans, Un jeans e una maglietta,
diretto nell’83 da Mariano Laurenti.
Il fenomeno è Nino D’Angelo, quando
ben prima del restyling personale e artistico
vestiva i panni dello scugnizzo
che l’hanno reso famoso. La storia, pur
venata di interclassismo sentimentale,
WEB PHOTO
recupera in pieno l’atmosfera “amori a
Capri” di alcune delle pellicole già citate:
Nino, barista in un locale caprese, si
invaghisce di Annamaria, bella, ricca e
corteggiata. Riuscirà a conquistarla,
suscitando le ire del padre di lei, ma
“nessuno può proibire l’amore”.
Altra storia d’amore a vocazione interclassista
è quella de Il suo nome è
donna Rosa, musical che racconta di
un uomo di una certa età che vorrebbe
sposare l’anziana donna Rosa, ma
la di lei nobiltà sembra costituire un
ostacolo. Per facilitare il tutto il maturo
spasimante esorta la sua giovane figlia
a frequentare il figlio della signora,
ma lei preferisce un povero pesca-
26
tore napoletano. Diretto nel 1969 da
Ettore M. Fizzarotti, il film ha tutte le
carte in regola per diventare il vero
“cult” della Capri su celluloide. Sebbene
infatti non abbia segnato indissolubilmente
la storia del cinema, e si
faccia forse ricordare di più per alcuni
dei motivetti musicali, Donna Rosa
annovera tra i suoi interpreti Romina
e Al Bano, prima che il suc- I Faraglioni fanno
da sfondo a una scena
cesso nella canzone li strap- del film “Un jeans
e una maglietta” con
passe definitivamente al ci- Nino D’Angelo nei panni
di un cameriere-cantante.
nema, e una delle rarissime
interpretazioni di Pippo The Faraglioni provide
the backdrop for
Baudo. Quel che si dice, con a scene from Un jeans
e una maglietta starring
termine brutto ma accatti- Nino D’Angelo as a
singing barman.
vante, una “chicca”. Finita
in bellezza la carrellata, resta lo spazio
per una chiusa leggermente fuori
tema: a Capri infatti è stata anche girata
una puntata dell’arcinota serie
televisiva Love Boat, la nave dell’amore,
per la quale navigare dalle parti
di quest’isola – che l’amore ce l’ha come
secondo nome – è cosa, per così
dire, fisiologica.
■
on Capri over the years. The gallery of renowned
beauties would not be complete without Sophia
Loren, who was of course born and brought up
very near to the Bay of Naples. It Started in
Naples, directed in 1960 by Melville Shavelson,
stars Loren with two movie legends, Clark Gable
and Vittorio De Sica. It tells the story of an
American lawyer who has come to Italy to sort out
the inheritance of the young son of one of his
brothers, who has died in a car accident. The
young boy lives with an aunt (Loren) whom he
has become very fond of. It is not difficult to
imagine the way it ends, but the film is definitely
worth seeing (again). Another film worth seeing
again, if only to take an
objective look at a phenomenon
that was ridiculed by the critics
but loved by the fans, is Un
jeans e una maglietta (Jeans
and T-shirt), directed in 1983 by
Mariano Laurenti. The
phenomenon in question is Nino
D’Angelo, still playing the
Neapolitan scugnizzo before his
appearance and his act were
spruced up by the image-men.
Although the subject is “love
between the classes”, the film
draws widely on the Capri
romance genre mentioned
above. Nino, a barman in a pub
on the island, falls in love with
the beautiful, wealthy, and
much-courted Annabella. He
manages to win her love,
provoking the wrath of her
father, but “no-one can stop
love”. Another love story
between the social classes is Il
suo nome è donna Rosa (Her
Name is Donna Rosa), a
musical about an old man who
wants to marry the elderly
Donna Rosa, whose noble
background seems to be an
obstacle. In order to get round
the problems, the aging lover
encourages his young daughter
to go out with Donna Rosa’s
son, but his daughter prefers a
poor Neapolitan fisherman.
Directed in 1969 by Ettore M. Pizzarotti, the film
has what it takes to be the real Capri cult movie.
Although it might not have made a big mark on
movie history, and is best remembered for some
of the songs, it stars Romina and Al Bano before
their success as pop singers made them give up
the movies, and also features a rare film
appearance by Pippo Baudo. “Must be seen”, as
they say. Having ended our survey on a high
note, we can conclude with an interesting, though
not entirely relevant fact. Capri was also the
setting for an episode of the famous TV series
Love Boat – this, of course, is very natural,
since Capri is synonymous with love.
■

28
L’ISOLA
Perché
Capri?
di CIRO SANDOMENICO
Curiosità, ipotesi e leggende
sull’origine
del nome dell’isola
Associare l’incantevole isola azzurra a un bovide
artiodattilo quale la capra, non è certo facile da
accettare per coloro che amano Capri, attratti e
incantati dalle sue bellezze naturali, dai suoi colori,
dai profili sensuali delle sue coste, dai tanti richiami di
un passato affascinante e tant’altro ancora.
Che quest’isola meravigliosa abbia preso il proprio nome da
un animale “ossuto e segaligno” dalla “sensualità irrefrenabile
e vorace e dalla fame atavica e inesorabile” qual è la capra
– secondo le espressioni prese in prestito dallo storico
Giuseppe Galasso – è un’informazione troppo stridente con le
idee di bellezza, raffinatezza ed eleganza evocate da Capri.
Qualcuno potrebbe osservare che tante altre isole e promontori
traggono i nomi da etimi zoologici analoghi: Caprara,
Capraia, Caprera, tra i più immediatamente correlabili, ma
immergendosi nelle profondità, per molti misteriose e oscure
delle ricerche etimologiche e fonetiche, anche isole che a prima
vista esibiscono nomi più dolci e gentili, come ad esempio
l’Isola del Giglio, scava scava, si scopre che è anch’es- ▼
SIME - SIE
Per la maggior
parte dei filologi
moderni Capri è
“l’isola delle capre”.
For most of today’s
philologists Capri
is the “island
of goats”.

SIME - SIE
sa “l’isola delle capre”. Nell’antichità
il suo nome era Igilum, derivato
dal greco Aigílion e per allotropia
da Aigilia, la cui radice greca
aig- significa “capra”, almeno seguendo
i percorsi etimologici consigliati
da Domenico Silvestri in Capri
antica, la colta pubblicazione
edita da La Conchiglia.
Qualche attendibile scrittore di cose
di Capri afferma invece che il nome
Capri significa “l’isola delle aspre
pietre” e diciamo il vero, ci piacerebbe
di più, ma lo studioso non ci
fornisce alcuna spiegazione di tale

etimo che probabilmente deriva
questa volta dal latino asper (roccia
dura), modificato nel corso dei secoli
da misteriose contorsioni fonetiche
e anagrammatiche, in Capri, così
come credeva anche Norman Douglas.
Altri, con minore fantasia ma
più assonanza, affermano che a Capri
vi è stato un re che si chiamava
Capreus.
Di certo a questi zooetimi avremmo
preferito quello più poetico di Omero
che denominò Capri “isola delle
Sirene” in cui essendovi un prato,
detto Antemusso, l’isola venne an-
che detta Antemussa dal poeta
Apollonio nella bella descrizione del
viaggio dei suoi argonauti nel Cratere
partenopeo.
Comunque, per la gran parte dei filologi
contemporanei e moderni Capri
è “l’isola delle capre”. Ma di
quale capra? Ovviamente della capra
selvatica, capra aegagrus della
cui pelle era coperto lo scudo di
Giove Egioco.
Forse sarebbe stato preferibile che a
rappresentare l’isola fosse stato un
robusto muflone o un elegante stambeco,
se non iberico almeno alpi-
CORBIS - CONTRASTO
▼
WHY CAPRI?
by CIRO SANDOMENICO
Fascinating facts, fantasies
and fables about the origin
of the island’s name
Associating this enchanting blue island
with a bovine artiodactyl like the goat is
perhaps not acceptable for those who
love Capri, drawn and mesmerized by its
natural beauty, its colours, the sensual shape
of its coastline, the many echoes of its
fascinating history, and so much more.
That this marvellous island should have taken
its name from the “bony and wiry” goat or
capra, an animal with “unbridled, voracious
sensuality and ancestral, insatiable hunger”–
to borrow some expressions from historian
Giuseppe Galasso – is too much at odds with
the concepts of beauty, refinement and
elegance that Capri evokes.
Some people may remark that many other
islands and headlands also draw their names
from similar zoological etymology. Caprara,
Capraia, Caprera are just some of the names
linked to the word Capri. But delving into the
mysterious, obscure depths of etymological
and phonetic research, even islands that at first
seem to have more attractive and gentle
names may have some surprises in store. For
example, the Isola del Giglio (Island of the Lily)
which, if you look closer, is also associated
with goats. In antiquity, its name was Igilum,
deriving from the Greek Aigílion or Aigilia,
whose root aig- means “goat”, at least
according to the etymological routes suggested
by Domenico Silvestri in the erudite volume
Capri antica, published by La Conchiglia.
But one great authority on Capri maintains
that the name means “island of sharp stones”
and, to be quite honest, we prefer this version,
though the writer fails to provide any further
explanation for this, which probably derives
from the Latin asper (hard rock), corrupted
over the centuries by mysterious phonetic and
ungrammatical misuses until it became
“Capri”, as Norman Douglas also believed.
Others, who are less imaginative and are
swayed by assonance, consider that Capri
comes from the fact that it was once home to
a king called Capreus.
Certainly, rather than these zoological
associations, we would have preferred the
more poetic version of Homer, for whom Capri
was the island of the Sirens. Due to one of the
meadows there, known as Antemusso, the
island was also dubbed Antemussa by the
poet Apollonius, in his fine description of the
voyage of his Argonauts into the
Parthenopean crater.
However, for most modern and contemporary
philologists, the name Capri is linked to
the goat. But which goat? Obviously the
▼
31

L’ISOLA
no. Ma rassereniamoci
pensando che anche le
belle isole Canarie, se risuonano
anch’esse di
una etimologia almeno
foneticamente zoonimica,
vedono i loro sentieri
montuosi invasi da greggi
di armotragi o, se volete,
capre crinite.
D’altronde amando Capri
per tutto quanto è capace
di donarci, anche se da
alcuni tra noi riceve in
cambio oltraggi paesaggistici
e non solo, ricordiamo
che sulla campanina
di Capri – che dette al
gioielliere Pietro Capuano,
alias Chantecler, l’idea
di un gioiello multicolore,
talora impreziosito
di rubini e brillanti – e
originariamente sulle superfici
dorate di quella
che Olimpia Aprea, “madre”
di una delle più famose
gioiellerie di Capri, realizzò nel
1944 per essere offerta in dono dal
municipio di Capri al presidente degli
Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt,
è incisa l’antica leggenda del pastorello
e della capretta smarrita sulle
pendici del Monte Solaro. Il rintocco
di questa campana annunciò al mondo
la fine della Seconda guerra mondiale,
intanto la capra era entrata nel
mito di Capri.
Lasciamo quindi che la capra ci rappresenti
e immaginiamola come una
32
S. CELLAI - SIE
■
scultura vivente,
Un olio
wild goat, capra aegagrus whose
skin was used to cover the shield
of aegis-bearing Jove.
Perhaps it would have been
better had the island been
represented by a powerful muflon
or an elegant steinbock that is at
least Alpine, if not Iberian. But
some comfort might be drawn
from the thought of the delightful
Canary Islands: here too the
etymology is at least phonetically
zoological, and they too have
their mountain tracks invaded by
flocks of ammotragus, or capre
crinite.
On the other hand, we love Capri
for all it gives us, even if some of
us in exchange ruin the
landscape, to say the very least.
Remember that the ancient legend of the
immobile sul ci-
di Carlo Brancaccio
raffigurante il cortile
shepherd boy and the goat lost on the slopes
of Mount Solaro is engraved on Capri’s bell –
glio dell’alta rupe
del Monte Solaro
in atteggiamento
rigoroso e vigile,
mentre gli occhi
di una tipica casa
contadina caprese
alla fine
dell’Ottocento.
The garden
of a typical rustic
dwelling
at the end
the campanina that inspired the multicoloured
creation by jeweller Pietro Capuano (alias
Chantecler), inset with rubies and diamonds –
and on the gold surface of the bell that
Olympia Aprea, founder of one of Capri’s
best-known jewellers, created in 1945 as a gift
from Capri to the president of the United
States, Franklin Delano Roosevelt. The Capri
dorati scrutano
of the 19th century
in an oil painting
bell rang to announce the end of the Second
World War, and thus the goat had become a
l’orizzonte e le
by Carlo Brancaccio. part of the Capri myth.
So let us accept the goat as our emblem, and
corna ritorte sembrano antenne che si picture it as a living sculpture, poised high up
addentrano nel cielo per coglierne i
on top of Monte Solaro. In a stern and
watchful pose, its golden eyes scan the
messaggi da trasmettere all’uomo, horizon, its twisted horns like aerials seeking
to capture messages transmitted to man,
eterna creatura ingenua. that eternal and ingenuous creature.
■

PORTFOLIO
34
Le pose
del caffè
il silenzio…godiamoci questo caffè…questa è la bellezza!». Sembrano
le parole che, attraverso le due tazzine in copertina, vogliono sussurarci i Fara-
«Ascolta
glioni. Loro sono lì! Fermi…immobili. Uguali e diversi…uniti e divisi…vicini e
lontani. Instancabili osservatori-osservati e guardiani della magica atmosfera e dell’incantevole
bellezza di quest’isola. Testimoni di una natura incontaminata, ci fanno compagnia
mentre sorseggiano un ottimo caffè. Splendida “coppia” unica al mondo nell’isola più azzurra
del pianeta. E quante altre splendide coppie sono disposte a godersi un caffè nel silenzio
e nella bellezza di quest’isola?
to the silence … let’s enjoy this coffee … this is Beauty!»
«Listen
These seem to be the words that the Faraglioni are whispering to us
through the two cups of coffee on the cover. There they are! Still …
motionless. The same yet different … united and divided … so near and yet so far.
Tireless observed observers and guardians of the magic atmosphere and the
enchanting beauty of this island. Witnesses of an unspoilt nature, they keep us
company while we sip an excellent cup of coffee. A wonderful “couple”, absolutely
unique, on the bluest island in the world. And how many other wonderful couples
would like to enjoy a coffee in the silence and beauty of this island?
Liliana Cavani.
LE POSE DEL CAFFÈ
... A CAPRI
di Salvatore Sparavigna
Edizioni Coffee Break
E 40
Rocco Barocco.
Peppino di Capri e Giuliana Gagliardi.

Renzo Arbore.
Dino e Matha De Laurentiis.
35

ANNIVERSARI
Un secolo
di funicolare
di CLAUDIO ANGELINI
Da cento anni le rosse vetture
raggiungono in pochi minuti
il cuore dell’isola
Qualcuno “capalbiamente”,
le preferisce il fascino maremmano-chic
della Toscana
meridionale o l’esotismo
ormai sbiadito dei Caraibi e delle
Seychelles, ma l’isola di Capri continua
ad essere la regina del mare per chiunque
l’abbia assaporata soprattutto nei periodi
morti, quelli amati dai suoi esuli, come il
barone Fersen, Norman Douglas, Compton
Mackenzie. Difficile elencare
tutti i “gioielli” di questa
piccola terra cara ai
dandy di ogni epoca. Ci sono
i Faraglioni, c’è la Grotta Azzurra
e l’Arco Naturale. E
un’infinità di anfratti, siti,
passeggiate a contatto con il
Una cartolina di inizio Novecento.
Finita di costruire nel 1905,
la funicolare fu ufficialmente
inaugurata l’8 dicembre 1907.
An early 20th-century postcard.
The cable railway was finished
in 1905 and officially inaugurated
on 8 December 1907.
36
Dio che creò, con l’aiuto del vento, della
roccia e del mare, tutte queste bellezze.
Ma c’è qualcosa creato anche dall’uomo.
Non alludiamo alle villette che crescono,
facendosi spazio a gomitate, ogni inverno,
ma alla Funicolare, che dell’isola è un
simbolo ormai centenario. Certo non fu
accolta con gli onori e i mugugni suscitati
il 6 maggio 1880 dall’altra funicolare,
quella del Vesuvio, che prima fu definita

▼
«una profanazione…come togliere la salire faticosamente, quasi sudando, sul
No, la funiculare di Capri nacque nel
1905, in sordina, tanto che l’inaugurazione
vera e propria avvenne soltanto
dopo due anni. Ma non la vollero soltanto
i turisti, la pretesero gli isolani,
stanchi di andare da Marina Grande a
Capri città a piedi o a dorso di asinello,
mentre i villeggianti se la “spassavano”
su eleganti carrozze. Nel 1892 fu creato
un comitato promotore e in poco tempo
(almeno per quel periodo) la funicolare
venne costruita da una società italoamericana
creata per l’occasione, la
Sippic (Società imprese pubbliche e private
Ischia e Capri). Funzionava di
giorno e partiva ogni mezz’ora.
Quella macchina creò subito un mezzo
miracolo sociale: capresi e forestieri,
dentro le sue cabine, cominciarono a
conoscersi meglio e a fraternizzare. Poi
due altri piccoli miracoli, uno energetico,
l’altro educativo. L’elettricità che
spingeva la funicolare, grazie a una
centrale autonoma, si diffuse rapidamente
nell’isola. Ne beneficiarono gli
alberghi e le case dove gradualmente
sparirono i lumi a gas e le candele. In
nome del progresso, un parroco, Don
Giuseppe De Nardis, chiamò a Capri le
suorine di Santa Elisabetta che portarono
l’educazione: insegnarono a piccoli
e grandi a leggere, scrivere e a parlare
un dialetto un po’ meno astruso.
Crebbe il turismo, crebbe un piccolo
lusso che fece di Capri l’isola più invidiata
del Golfo.
poesia al monte», poi diventò poesia e Vulcano, composero quella Funiculì, fu- Siamo alla fine dell’Ottocento quando
canzone essa stessa. E quando il musiciniculà che è una delle leggende musicali vi giungono separatamente tre inglesi
sta Luigi Denza e il paroliere Peppino di Napoli e fu perfino un po’ scopiazzata che hanno voglia di cambiare aria dopo
Turco videro i suoi due primi vagoncini da Richard Strauss.
la condanna di Oscar Wilde per
SIME - SIE
37

ANNIVERSARI
ARCHIVIO SIPPIC
omosessualità.
Sophia Loren
e Clark Gable a Capri
Sono William
in occasione
delle riprese del film
Somerset Mau- “La baia di Napoli”.
gham, Edward
Sophia Loren
Frederick Ben- and Clark Cable
on Capri for
son e John Elli-
the shooting
of It Started in Naples.
gham Brooks.
Poi arriva anche Lord Alfred Douglas,
l’amico di Wilde. Nel 1897 lo raggiunge
lo stesso Wilde, uscito di prigione.
Capri è l’oasi del piacere dove nulla è
peccato. Nascono i club e i clan degli
esuli britannici, tedeschi e francesi che
staccano sempre più l’isola dalla terraferma.
E nel ’98 sbarca Fritz Krupp,
magnate dell’industria bellica. Ma non
cerca la guerra, organizza orge e festini
che i capresi non osano condannare
perché l’industriale è ricchissimo e ge-
38
■
neroso. Dona denaro a tutti e una stra- la della trasgressione, è l’isola dei bambida
bellissima all’isola azzurra, finché le ni e delle vacanze costumate. Più che il
voci diventano notizie. La Germania si fragore della risacca senti il frignare dei
infiamma e bolla di accuse infamanti bebè. Anche quando viaggi nella sua
Krupp, che lascia Capri e si uccide. “funiculì-funiculà”. A proposito, è bello
Però l’isola è ormai un crocevia di pec- viaggiarci, soprattutto quando piove,
catori. Vi costruisce una villa sontuosa e perché la pioggia è per quest’isola la
maledetta il barone Fersen, ricordato da prova del nove. Come una bella donna
Peyrefitte nel romanzo L’esule di Capri. colpita da un’improvvisa indisposizione
Anche lui, dopo una vita dissoluta e mostra nei giorni del malessere atmosfe-
chiacchierata, si toglie la vita, con cinrico la sua vera bellezza, non il fascino
que grammi di cocaina. Il suo suicidio acerbo di una giovinetta. E appena la
estetico assolve questa terra da ogni di- pioggia si attenua, il cielo si accende di
versità, la rende simile a un Olimpo do- squarci che sembrano gli occhi accecanti
ve tutto è permesso, poiché gli dei pec- di una sirena. Una sirena di calcare e
cano per poter assolvere più serenamen- arenaria ancorata a diciassette miglia da
te l’umanità.
Napoli e a pochi istanti dall’impero ro-
Ma la funicolare comincia a portare famano. Vista dalla funicolare, Capri è più
migliole borghesi. Oggi Capri non è l’iso- bella, è più isola di ogni altra isola.

A CENTURY
OF SERVICE
by CLAUDIO ANGELINI
For a hundred years, the red cars
of the funicular have been
bringing people to the very heart
of island life in just a few minutes
There are those who doggedly prefer the
Maremmo-chic lure of southern Tuscany
or the faded exoticism of the Caribbean
or the Seychelles. And yet, the island of Capri is
still the queen of the sea for those who have
delighted in it – especially in its lull season, the
period favoured by its residents in exile, such as
Baron Fersen, Norman Douglas and Compton
Mackenzie. It is hard to list all the gems of this
small land so dear to the dandies of every era.
There are the Faraglioni, the Blue Grotto, the
Natural Arch, and an infinite number of coves,
spots, and walks where one feels the presence
of the god who created all this beauty with the
help of the wind, the rocks and the sea. But
there is also something created by man. And we
don’t mean the small villas that appear every
winter, pushing their way onto the island. We
mean the funicular railway, which is now a
century-old symbol of the island. Admittedly it
was not welcomed with honours or the grumbling
that greeted the funicular on Vesuvius on 6 May
1880, which was first seen as “a profanation…
that deprives the mountain of its poetry”, only to
have songs and poems dedicated to it later. In
fact, when musician Luigi Cenza and lyricist
Peppino Turco saw the first two cars climb so
laboriously up the volcano, they composed
Funiculì, funiculà, creating one of the musical
legends of Naples, which was even slightly
plagiarized by Richard Strauss.
Indeed, Capri’s funicular started operating in
1905 virtually unnoticed, so much so that it was
not officially inaugurated until two years later. It
was not just something that tourists needed or the
islanders demanded – who were tired of going
from Marina Grande to the town of Capri on foot
or the back of a donkey while holiday-makers
enjoyed the ride in elegant carriages. So in 1892,
an organizing committee was set up, and in a
relatively short time – at least for those times –
the cable railway was completed by SIPPIC
(Consortium of Public and Private Enterprises on
Ischia and Capri), an Italo-American company
founded for that purpose, and operated every half
hour during the day. The railway soon worked a
kind of social miracle: inside its cabins, islanders
and outsiders began to fraternize and to get to
know each other. There were two other minor
miracles as well, one regarding energy, the other
education. Thanks to an independent energy
S. CELLAI - SIE
plant, the electricity that ran the funicular spread
rapidly throughout the island, illuminating hotels
and private homes, where gas lamps and
candles were put aside. In the name of
progress, a parish priest, Don Giuseppe De
Nardis, invited the Sisters of Saint Elizabeth to
Capri, who set about teaching young and old to
read, write and speak a slightly less obscure
dialect. Tourism grew, as did wealth, making
Capri the most sought-after island in the Gulf of
Naples. Meanwhile, at the end of the 1800s,
three Englishmen arrived, each on his own but
each fleeing the hostile atmosphere created in
England when Oscar Wilde was convicted of
homosexuality. Those three were none other
than William Somerset Maugham, Edward
Frederick Benson and John Ellingham Brooks.
Later Wilde’s friend Lord Alfred Douglas arrived,
joined by Wilde himself in 1897 on his release
from prison. Capri turned into a haven of
pleasure where nothing was considered sinful.
Private clubs sprang up along with “clans” of
British, German and French exiles, who isolated
the island increasingly from the mainland. Then
in 1898 the arms manufacturer Fritz Krupp
arrived, but not looking for war. On the contrary,
he organized orgies and wild parties that the
islanders did not dare condemn because the
industrialist was extremely wealthy and
generous. He distributed money to one and all
and paid for the construction of a magnificent
road. Yet when the gossip became full-fledged
news, Germany went into an uproar and
condemned Krupp, driving him to abandon Capri
and commit suicide. By this time, the island had
become a veritable crossroads of sinners. Baron
Fersen, for one, the subject of Peyrefitte’s novel
L’esule di Capri, built a sumptuous but accursed
villa. He too committed suicide (by taking five
grams of cocaine) after a dissolute, much-talkedabout
life. His aesthetic suicide absolved the
island of its “otherness”, elevating it to a kind of
Olympus where any and everything was allowed
– do not the gods themselves sin in order to
pardon humanity with greater ease!
Meanwhile, the funicular counted typical middleclass
families among its passengers. Today
Capri is no longer the island of transgression; it
is an island of children, a fashionable, regular
haunt, where the sound of babies crying is
louder than that of the crashing waves. Or the
clatter of the “funiculì-funiculà”. Which reminds
me, it is especially lovely to ride the funicular
when it rains, because rain is the real test on
Capri. Like a beautiful woman struck by an
unexpected ailment, the island shows its true
beauty – not the immature charm of a young girl
– when the weather suddenly breaks. And as
the rain fades away, the sky lights up with bursts
of sunlight like the flashing eyes of a siren – a
siren made of limestone and sandstone
“anchored” seventeen miles off Naples and just
a few moments away from the Roman Empire.
Seen from the funicular, Capri is truly more
beautiful, the island of islands, in fact.
■
39

PERSONAGGI
CORBIS - CONTRASTO
▼
Nel 1910, quando si recò
per la prima volta in Italia,
Colette aveva 37 anni. Era
ancora una scrittrice sco-
Il breve viaggio che la porterà a Roma e
a Napoli e che durerà solo poche settimane,
le cambierà la vita, trasformandola
da scrittrice fantasma in autrice fanosciuta,
nonostante avesse già pubblimosa e apprezzata per la scrittura imcato
con successo alcuni libri. La sua nopeccabile e per le storie umane e divertorietà,
infatti, era da anni soffocata pertenti, con le quali illuminerà la scena
ché le sue opere portavano tutte la firma letteraria francese della prima metà del
del marito e mentore Willy. Questo non Novecento.
impedì, però, a qualche critico più atten- Nata a Saint-Sauveur-en-Puisaye il 28
to, di affermare: «Willy hanno talento». gennaio 1873, Sidonie-Gabrielle Co-
40
Madame
Colette
di GIUSEPPE MAZELLA
Sedotta dalla bellezza dell’isola
la scrittrice francese acquistò una casa
ad Anacapri per trascorrere lunghi periodi
con i suoi inseparabili gatti
G. LALATTA
Un angolo del giardino
della villa che abitò Colette
durante i suoi soggiorni sull’isola.
A corner of the garden
at Colette’s villa on Capri, where
she lived for long periods.

PERSONAGGI
lette erediterà dal padre, il capitano a riposo
Jules-Joseph l’ambizione mai realizzata
di diventare scrittore. Sempre immerso
nei testi della sua ben fornita biblioteca,
conservava sulla scrivania con
ordine maniacale risme e risme di carta,
che alla sua morte si scoprirono assolutamente
bianche. Forse fu questa dolorosa
scoperta a spingere Colette a dedicarsi
alla letteratura. Dalla madre Sido
assorbì l’amore per la natura e gli animali,
specie per i gatti, in compagnia dei
quali, assieme a due sorelle e a un fratello
maggiore, visse un’infanzia dorata
nella casa immersa nella verde campagna
della Borgogna, della quale conserverà
per tutta la vita l’accento «grasso e
succoso».
Quegli anni felici finirono quando, a
vent’anni, conobbe e sposò Henri
Gauthier Villars, detto Willy, «dongiovanni
e scrittore, amatore di donne, di liquori
esteri e di giochi di parole», come
lui stesso amava descriversi; più prosaicamente
un abile imprenditore che faceva
lavorare per sé dei “negri” che scrivevano
libri che poi lui firmava e pubblicava.
Colette, sposandolo, cominciò subito
a far parte della sua “scuderia”, creando
un personaggio originale e molto apprezzato
dal pubblico e dalla critica: Claudine.
Colette fece così il suo ingresso nel
bel mondo parigino, all’inizio con timidezza
e con un atteggiamento remissivo
nei confronti del marito anche se, scriverà
in seguito Jean Cocteau, sempre
pronta con «la sua zampa di velluto a
mostrare fulmineamente i suoi artigli».
Passarono lunghi e faticosi anni di apprendistato
in cui la futura scrittrice for-
42
tificò la sua vocazione. Nello stesso
tempo i rapporti con Willy si
erano logorati, non solo a causa
dei suoi continui tradimenti, ai
quali lei rispondeva con i suoi
amori anche omosessuali, ma
perché era come se “Claudine”,
diventata adulta, sentisse il bisogno
d’indipendenza e di una
nuova vita. Nel 1905 decisero,
quindi, di separarsi, dando l’avvio
alla causa di divorzio.
Colette, inserita nella Parigi
mondana, decise di allacciare
nuove amicizie. Lo fece, subito,
alla sua maniera, legandosi con
Mathilde de Morny, detta Missy,
marchesa di Belbeuef, più anziana
di lei di dieci anni, con la quale
non si vergognava di mostrarsi
in pubblico. L’amante, molto ricca,
le regalò una bellissima dimo- Il grande giardino percorso da vialetti con
le colonne dipinte a calce. Nella pagina accanto,
ra, a Rozven, presso Saint Malo, un ritratto di Colette. La scrittrice amava indossare
spesso abiti maschili.
dove lei trasferì la sua residenza,
The large garden with paths and whitewashed
i suoi libri, i pochi mobili e tanti
columns. Opposite, a portrait of Colette,
gatti. Anni dopo scriverà nei suoi who often liked to dress as a man.
Souvenirs Elisabeth de Gramont:
«Colette è una donna che vive davanti al mito di donna libera che si divideva tra
focolare: i gatti, la luce, il calore e l’uo- numerosi amanti, convinta che «i sensi
mo». E le donne, possiamo aggiungere sono un inesorabile fascio di forze anni-
che, dopo la fine della relazione con Misdati nel corpo umano», che lei metteva
sy, si alternarono agli amori maschili scandalosamente in mostra, compreso il
nella sua vita.
seno nudo, vivendo «tutte le avventure
Perduta l’amica e dovendo far fronte alle impossibili».
esigenze quotidiane, Colette decise di de- Il suo viaggio in Italia nel 1910 coincise
dicarsi alla carriera artistica, calcando i con uno snodo cruciale della sua vita e
palcoscenici dei maggiori teatri di Parigi, l’inizio di una nuova stagione.
come ballerina e come mima, esibendosi Il tour le era stato regalato da Auguste
assieme all’allora già famosa Polaire. Heriot, figlio di una ricchissima famiglia
Erano gli anni in cui consolidava il suo parigina, proprietaria dei grandi magaz-

▼ G. LALATTA
zini del Louvre. Heriot la corteggiava,
invitandola nei migliori ristoranti di Parigi
e colmandola di regali. Il giovane
amante sperava con il generoso invito in
Italia di conquistarla definitivamente.
Erano appena arrivati in Italia, verso la
metà di luglio, che Colette fu raggiunta
dalla notizia della sentenza di divorzio.
Finalmente, dopo anni di immeritato
oblio, era libera di rivelarsi non solo come
autrice della serie di “Claudine”, ma
di firmare con il proprio nome Le Vagabonde,
il romanzo che sarà pubblicato a
puntate sulla rivista La Vie Parisienne.
La sosta romana la annoia. La città
sembra deserta e troppo silenziosa. Dedica
interi pomeriggi a portare a passeggio
i suoi cani a Villa Borghese o sui declivi
deserti del Palatino. La città le ap-
MADAME COLETTE
by GIUSEPPE MAZZELLA
Captivated by the island’s beauty,
the French writer bought a home
at Anacapri, where she spent long
periods together with her cats
Colette was thirty-seven when she first
visited Italy in 1910. She was still an
unknown writer then, despite the fact
that she had already published a number of
successful books. Fame had eluded her for
years because her works were all published
under the name of her husband and mentor
Henri Gauthier-Villars, known as Willy. But
this did not stop one of the more astute critics
from observing: “The Villars are talented.”
The short trip she took to Rome and Naples,
which lasted just a few weeks, changed her
life, and she went from ghost writer to famous
author, becoming known for her impeccable
style and her amusing, human stories that
enlivened the French literary scene during the
first half of the twentieth century.
Born in Saint-Sauveur-en-Puisaye on 28
January 1873, Sidonie-Gabrielle Colette
inherited from her father Jules-Joseph, a
retired army captain, his
unrealized ambition to become a
writer. He always had his nose
buried in a book from his wellstocked
library, and kept neatly
stacked reams of plain paper on
his desk – which after his death
were discovered to be completely
blank. Perhaps it was Colette’s
deep disappointment that drove
her to be a writer. She inherited a
love of nature and animals,
especially cats, from her mother,
Sido, with whom she and her two
sisters and elder brother spent a
privileged childhood in their home
immersed in the lush green
Burgundy countryside, and she
never lost her “rich and fruity”
accent.
Those happy years came to an
end when she met and Henri
Gauthier-Villars, known as Willy,
when she was twenty. He was a
“Don Juan and a writer, who had a
weakness for foreign liquor and
puns, as well as women,” as he
himself said, but he was also a
clever businessman who
employed ghost writers to pen
books that were published under
his name. When Colette married
him she immediately became part
of the “stable” and created
Claudine, an original character
G.B. BRAMBILLA - NERI
who became very popular with readers and
critics alike. Thus Colette entered the Parisian
beau monde, a little timidly and overshadowed
by her husband at first, although, as Jean
Cocteau later wrote, she was quite capable of
“showing her claws beneath the velvet glove.”
She spent many long, hard years working for
her husband, during which she honed her
skills. Then her relationship with Willy broke
up, not only because he constantly cheated on
her, to which she responded by having her
own, also lesbian, affairs, but also because it
was as if Claudine had become an adult and
felt the need to be independent and create a
new life for herself. In 1905, they decided to
separate and filed for divorce.
Now that she was firmly established in
Parisian high society, Colette set out to make
new friends in her own way, beginning a
relationship with Mathilde de Morny, known as
Missy, Marquise de Belbeuef, who was ten
years older, but with whom she was not
ashamed to be seen in public. Colette’s
wealthy lover gave her a stunning house at
Rozven, near Saint Malo, where she went to
live with her books, her few pieces of furniture
and her many cats. Years later Elisabeth de
Gramont wrote in Souvenir: “Colette is a
homebody: cats, light, warmth and a man.”
And, we might add, a woman, since she had
▼
43

PERSONAGGI
pare addormentata, anche se carica di
colori e di atmosfere. Decide allora di
scendere al sud. Heriot la segue senza
entusiasmo.
A novembre raggiungono Napoli e la costiera
amalfitana, da dove lei invia brevi
notizie alla madre preoccupata, per rassicurarla:
«Mia cara mamma, noi facciamo
colazione a Positano, in un paese
troppo bello perché creda sia vero». E il
giorno dopo: «Io sono arrivata e sono rimasta
abbagliata. Questa baia di Napoli,
lo confesso, non ha affatto rubato la sua
reputazione».
Il viaggio per la verità la stanca ed è pieno
di scomodità, ma le continue scoperte,
la luce, gli odori e la natura incontaminata
catturano i suoi sensi e la sua
mente. Stende poche note, scrive brevi
notizie alla madre e “sopporta” la corte
malinconica del compagno di viaggio. La
verità è che il giovane e inesperto spasimante
la annoia, confidando al suo amico
Léon Hamel: «Io non arriverò mai a
scrivere una lettera. Oggi: battello, vettura,
battello, tempesta». Insomma un tour
de force e un amico che non la diverte.
Nonostante il tempo incerto, la pioggia e
il mare mosso, decide di spingersi fino a
Capri. Il viaggio non è confortevole, a
causa del dondolio che le procura la
nausea. Costeggiando Procida, però, dimentica
tutto e si esalta alla visione dei
giardini «così vecchi, ornati di rose e di
aranceti». Al largo il mare si ingrossa e
ricominciano i fastidi. Finalmente Capri.
Colette resta incantata da tanta bellezza.
Le prende come una frenesia e in pochi
giorni la percorre tutta, su e giù senza
sosta. Vuol vedere ogni cosa, immergersi
44
G. LALATTA
nell’atmosfera dell’isola, conoscerne la
storia, la gente. Sempre più eccitata, visita
uno dei luoghi ormai entrati nella
leggenda: «Vado alla Grotta Azzurra,
dove si entra per una piccola entrata e
dove è tutto illuminato dal blu fosforescente
e indimenticabile», scrive come
rapita. È definitivamente conquistata
dall’isola azzurra.
Colette fa poi lunghe passeggiate per le
vie solitarie e poco frequentate. Ed è ad
Anacapri che scopre la “sua” nuova casa.
In quella che si chiama oggi via Timpone,
adocchia alcuni vecchi fabbricati
settecenteschi, del complesso monastico
di San Michele. Colette se ne innamora a
prima vista, ma non esprime a nessuno il
suo intimo desiderio, neanche al compagno
che la segue sempre più infelice e disperato.
La permanenza a Capri si chiu-
de, poco dopo, con la fine della storia
d’amore con Heriot, che per la verità
non era mai iniziata, e il cui carattere lei
descrive con parole profetiche al suo
confidente Hamel: «Il mio piccolo compagno
vi invia il suo saluto. Egli è molto
gentile quando è solo con me, ma non
sarà mai felice, perché è come costruito
su un fondo di tristezza».
Tornata a Parigi, a dicembre, fa la conoscenza
di Henry de Jouvenel, condirettore
al giornale Le Matin, e suo futuro marito,
che sposerà nel luglio del 1913, tre
mesi dopo la morte dell’amatissima madre
Sido. Da quell’unione nascerà una
bambina, alla quale verrà dato lo stesso
nome della madre.
Colette sta diventando ormai la primadonna
della letteratura parigina. I suoi
libri, della serie di “Claudine” e le nuove

La villa, situata nella parte
antica di Anacapri,
risale al XVII secolo.
Colette’s villa, located
in the old part of Anacapri,
dates back to the 17th century.
opere come Ces Plaisirs… e Chéri raggiungono
diverse migliaia di copie, mentre
i suoi servizi giornalistici sono attesi
da sempre più numerosi ammiratori entusiasti.
Nel luglio del 1915 torna in Italia, questa
volta come inviata speciale del giornale
Le Matin. Da Lugano raggiunge
Venezia e successivamente Roma. Come
nella sua prima visita, continua ad annoiarsi.
Trova la città stranamente ferma
nel tempo e lontana, anche allora
che si era in tempo di guerra. Decide, allora,
di ritornare a Capri. Qui raggiunge
Anacapri e va direttamente a via Timpone,
dove contratta l’acquisto della casa
scoperta cinque anni prima.
In poche settimane i vecchi muri dalle
volte a vela riprendono vita. Colette
adesso è ricca ed è tra i più grandi
▼
both male and female lovers
after her relationship with
Missy broke up.
After losing her amour, Colette
found herself having to earn
her living, and decided to
embark on a career in the
theatre, performing as a
dancer and mime at the
leading Parisian music halls,
together with the already
famous Polaire. During those
years she promoted the myth
of herself as a liberated
woman, who shared herself
with many lovers, in the belief
that “the senses are a source
of power in the human body.”
And she unashamedly showed
off her own body, even
exposing her breasts,
welcoming “every kind of
forbidden experience” and
creating a scandal.
Her visit to Italy in 1910
marked a turning point and the beginning of a
new stage in her life.
The trip was a gift from her young admirer
Auguste Heriot, son of a very wealthy
Parisian family that owned the Grand
Magasins du Louvre. Heriot had courted her,
invited her to the best restaurants in Paris and
showered her with gifts, and now he hoped to
win her heart forever by inviting her on this
holiday.
They had just arrived in Italy in mid-July,
when Colette was informed that her divorce
had become final. Now, after years of being
eclipsed, she was free not only to reveal that
she was the author of the Claudine series, but
to publish under her own name Le
Vagabonde, the novel that was serialized in
the magazine La Vie Parisienne.
She was bored during their stay in Rome,
finding the city empty and too quiet. She
spent whole afternoons walking her dogs in
the Villa Borghese or on the deserted slopes
of the Palatine Hill. To her, the city seemed to
be asleep, despite its myriad colours and
atmospheres. So she decided to go south,
and Heriot followed her reluctantly.
In November, they reached Naples and the
Amalfi coast, from where she sent brief letters
home: “My dear Mother, we are having lunch
in Positano, in a country that is too beautiful to
be true.” And the next day: “I was dazzled
when I arrived here. I have to confess that the
Bay of Naples lives up to its reputation.”
If truth be told, the journey tired her and she
experienced considerable discomfort, but the
constant discoveries, the light, the scents and
the uncontaminated scenery captivated her
senses and her mind. She wrote few notes,
sent only short messages to reassure her
mother and “put up with” her dispirited travelling
G.B. BRAMBILLA - NERI
companion’s advances. In actual fact, her young
and inexperienced beau bored her, as she
confided to her friend Léon Hamel: “I’m never
going to manage to write a letter. Today boat,
carriage, boat, storm.” In other words, it was a
“tour de force” with a friend who was no fun.
Despite the unpredictable weather, the rain
and the rough sea, she decided to go on to
Capri. She didn’t have a pleasant trip, because
the rocking of the boat made her seasick. But
when she sailed along the coast of the island
of Procida, she forgot everything and went into
raptures over the magnificent gardens that
were “so old, and filled with roses and orange
groves”. But the sea got rougher and she
started feeling seasick again. Finally they
docked at Capri. Colette was completely spellbound
by its beauty. She was seized with
tremendous energy, and in just a few days she
had seen everything, travelling the length and
breadth of the island without stopping. She
wanted to see every single thing, immerse
herself in the island’s atmosphere, get to know
its history, and the people. She became more
and more excited, and went to visit one of the
now legendary sites: “I am off to the Blue
Grotto, which you go into through a tiny
entrance and where everything is illuminated
by a phosphorescent and unforgettable blue
light,” she wrote, enthralled. The blue island
had captured her heart for ever.
Colette then started going for long walks along
the more isolated, quieter roads. And it was at
Anacapri that she found her new house. In the
street that is now known as Via Timpone, she
spotted some old eighteenth-century buildings
that were part of the San Michele monastery
complex. Colette fell in love with the place at
first sight, but told no one how much she
wanted the property, not even her increasingly
miserable and desperate companion.
Her stay on Capri ended soon after, as did her
liaison with Heriot – which had never really
come to anything – whose character she
described most insightfully to her confidant
Hamel: “My young companion sends his
greetings. He’s very kind when he’s alone with
me, but he’ll never be happy; it’s as if his
personality were rooted in sadness.”
When she returned to Paris in December she
met Henry de Jouvenel, co-editor of the
newspaper Le Matin and her future husband.
She married him in July 1913, three months
after her beloved Sido died. They had a baby
girl, who was named after Colette’s mother.
Colette was now becoming the leading light of
Parisian literary circles. Her books, including
the Claudine series and new works such as
Ces Plaisirs… and Chéri, sold thousands of
copies, and her newspaper articles enjoyed an
ever-wider enthusiastic readership.
In July 1915 she returned to Italy, this time as
Le Matin’s foreign correspondent. From
Lugano she went to Venice and then on to
Rome, where she was bored again. She felt ▼
45

PERSONAGGI
scrittori di Francia. Un gruppo di muratori
è impegnato a realizzare il suo
sogno caprese, restaurando e tinteggiando
a calce l’intero fabbricato e realizzando
un giardino chiuso, simile a
quello della casa dell’infanzia in Borgogna,
protetto da alti muri, scandito da
colonne e percorso da vialetti. Uno spazio
dove sostare, passeggiare e giocare
con i gatti che adesso, quasi a un misterioso
richiamo, arrivano da tutto il vicinato.
La scrittrice è felice e si
occupa di arredare personalmente
gli interni. Si
fa costruire in camera
da letto un’ampia
vetrata che dà
su un giardino di
agrumi, e sceglie
pavimenti in ceramica
con disegni
geometrici e
floreali. Alle pareti
dello studio appende
alcune stampe
francesi. Alle grate delle
finestre fa mettere il monogramma
intrecciato “Colette de Jouvenel”.
Colette sarà a Capri ancora nel 1917 e
nel 1918 e ogni volta che la sua vita avventurosa
glielo concederà. Elisabeth de
Gramont ricorda come Colette, amante
della cucina e della casa, si trasformasse
quando era nella sua nuova casa: «Nell’estate
mediterranea trascina una tavola
sotto la pergola, distende in pieno sole i
suoi potenti muscoli ricoperti di una pelle
fine e dorata e dà al braciere il colpo
adatto a farne scaturire la fiamma alta e
46
GAMMA - CONTRASTO
chiara che cocerà all’istante il pesce ai
ferri».
La sua vita avventurosa la porterà ancora
per lunghi anni a vivere amori e
successi, lontana dalla sua casa caprese.
Divorziata dal secondo marito, troverà
finalmente la felicità nel 1925, sposando
Maurice Goudeket, entrerà nell’Olimpo
della letteratura francese all’Accademie
Goncourt e sarà nominata nel
1953 anche Grand Officier de la Legion
d’Honneur.
Colette continuerà a scrivere
e ad amare, sempre
tesa a leggere il
cuore degli uomini
con i suoi occhi
acuti e implaca-
Colette, il cui vero nome era
Sidonie Gabrielle Colette,
fu insignita del titolo
di Grand Officier
de la Légion d’Honneur.
Colette, whose full name
was Sidonie Gabrielle Colette,
was appointed Grand Officier
de la Légion d’Honneur.
bili, «gli occhi più belli
del mondo, di un azzurro
profondo, come certi zaffiri, come il
Mediterraneo d’inverno, quando è tormentato
dal Mistral, e picchiettati d’oro».
Prima di spegnersi dolcemente nella
sua ultima casa di Port Royal il 3 agosto
del 1954.
La dimora caprese, dopo la sua scomparsa,
passò alla figlia e poi all’architetto
Biagio Accolti Gil e da questi alla sorella
Dinella, attuale proprietaria, che ha voluto
preservare il ricordo dell’illustre
ospite, conservandone ove possibile il carattere
originario.
■
that the city had remained in the past, that it
was remote, even though there was a war on.
So she decided to go back to Capri. When she
arrived, she went straight to Anacapri and Via
Timpone, and bought the house she had fallen
in love with five years previously.
Within just a few weeks, the ancient walls and
domical vaults began to take on new life.
Colette was wealthy now, since she had
become one of France’s most revered writers.
Builders worked to realize her Capri dream,
restoring and whitewashing the entire building
and creating an enclosed garden, similar to the
one at her childhood home in Burgundy,
surrounded by high walls and laid out with
columns and pathways. It was a place to sit,
stroll and play with the cats, which seem to
arrive from all over the neighbourhood, as if
they were mysteriously attracted to the owner.
She was happy, and she went about furnishing
the house herself. She had a large window put
into her bedroom that overlooked the garden
with citrus trees, and chose ceramic tiles with
geometric and floral patterns for the floors.
She hung some French prints on the walls of
her study, and had the monogrammed initials
CDJ (Colette de Jouvenel) placed on the
window gratings.
Colette returned to Capri in 1917 and 1918;
indeed, whenever her
adventurous life permitted.
Elisabeth de Gramont recalls how
Colette, a homebody who loved to
cook, changed when she was in
her new house: “During the
summer, she drags a table under
the pergola, stretches the wellformed
muscles beneath her
delicate golden skin in the hot
sun, and pokes the fire in the
brazier just enough to produce a
lively flame to grill the fish in an instant.”
She was to have many more loves and
successes during her daring life, all of which
took her away from her house on Capri. After
divorcing her second husband, she finally
found happiness when she married Maurice
Goudeket in 1925, then she entered France’s
literary hall of fame upon her election to the
Académie Goncourt, and was appointed
Grand Officier de la Légion d’Honneur in 1953.
Colette continued to write and love, always
able to read a man’s heart with her sharp,
implacable eyes, “the most beautiful eyes in
the world, deep blue – like certain sapphires or
the Mediterranean whipped by the mistral in
winter – and flecked with gold”. Until she died
peacefully at her last home in Port Royal, on 3
August 1954.
After her death, the house in Capri passed to
her daughter, to the architect Biagio Accolti
Gil, and then to his sister Pinella, the current
owner, who has honoured the memory of its
celebrated former owner by preserving as
much of its original character as possible.
■

GOURMET
Sua maestà
il raviolo
di LUCIANO PIGNATARO
È uno dei piatti simbolo dell’isola
e il suo segreto è tutto nel ripieno
Raviolo, raviolo delle mie
brame, quali i tuoi segreti?
Per conoscerli non basta
guardare, bisogna provare
perché il trucco avido per intrappolare
i gourmet è tutto nella composizione
della farcia che varia di regione
in regione, da famiglia a famiglia.
Più degli spaghetti è capace di rappresentare
l’unità nazionale italiana, per
lo meno a tavola. Non a caso il raviolo
è il primo tipo di pasta ripiena di cui
si abbia notizia certa e documentata a
cavallo tra il XII e il XIII secolo, quando
un colono savonese si impegna a
fornire al proprio padrone un pranzo
per tre persone durante la vendemmia
fatto di pane, vino, carne e ravioli. Fu
proprio nel corso del Duecento che
Genova cominciò a diffondere questa
pasta attraverso i suoi traffici nel Mediterraneo,
per molti secoli l’unica autostrada
italiana, quasi sempre più sicura
del viaggio in terraferma dove la
48
possibilità di incontrare banditi era
certa come la fatica di salire e scendere
tra colline e montagne senza avere
traccia di alcun sistema viario dopo la
caduta di Roma.
Non si conosce il significato del termine,
qualcuno lo fa derivare da rabiola,
ossia piccola rapa, c’è chi pensa al rovigliolo
inteso come groviglio per la
farcia, oppure semplicemente inventato
da un cuoco di nome Ravioli impegnato
a Gavi Ligure a cucinare per i
signori genovesi residenti nello strategico
paese roccaforte della Repubblica.
Già alla fine del Duecento a Parma
si trovano tracce del raviolus nella
cronaca di Fra Salimbene mentre la
consacrazione ufficiale è senza dubbio
nel Decamerone, quando Giovanni
Boccaccio ambienta i ravioli nel paese
del Bengodi dove, citiamo, c’era «una
montagna tutta di formaggio grattugiato,
sopra la quale stavan genti che
niuna altra cosa facevan che far mac-
ARCHIVIO AZIENDA AUTONOMA TURISMO CAPRI
cheroni e ravioli, e cuocerli in brodo di
capponi». D’altra parte il Larousse, nel
suo piccolo dizionario gastronomico,
concede proprio all’Italia l’invenzione
del raviolo. Giambattista Gaulli, detto

I ravioli ripieni di caciotta sono il vessillo
gastronomico dell’isola e possono essere
considerati un piatto completo tanto
per il goloso quanto per il nutrizionista.
Ravioli filled with cacciotta cheese
are the speciality of the island
and are considered a complete meal both
by gourmets and the more diet-conscious.
▼
“il Baciccio”, grande firma della pittu- parenti rimasti in Liguria. E se li di-
stosi secondo la tipica variante genovese
caratterizzata da una farcia di polpa
di vitello macinata con la borragine
e da frattaglie quali le animelle, le cervella
e gli schienali, ripieno estremamente
sofisticato nei sapori.
Sicuramente comunque oltre che in
Emilia Romagna il raviolo è presente
in tutta la dorsale appenninica meridionale
e poi, con la nascita della società
dei consumi di massa, apprezzato
ormai in tutta Italia. Le differenze
sono nella grandezza e ovviamente
nella farcia anche se questo
scrigno gastronomico è stato adottato
dall’alta ristorazione in mille varianti.
Ma nei paesi del Sud in genera
secentesca genovese, si faceva manvorava fra le impalcature mente dire si usa formaggio fresco, pecorino
dare a Roma, dov’era impegnato a dipingeva santi e madonne.
soprattutto, con qualche spezia e si
pingere la volta della chiesa del Gesù, Anche le memorie di Niccolò Paganini condisce sempre con il pomodoro
opulenti piatti di ravioli preparati dai sono popolate da ravioli fumanti e gu- per riequilibrare con l’acidità la
ZEFA ROMA
49

GOURMET
ZEFA ROMA
grassezza della farcia e la dolcezza
della pasta.
Ed è appunto la variante dolce, magari
con farcia di castagne e aggiunta finale
di miele, cannella e diavulilli, cioé piccole
perline di confetti colorati, ad essere
molto diffusa nel Cilento, nell’Irpinia
e in Calabria, cioé nelle zone interne
dove prevale la cultura della cucina di
montagna. Una cosa è certa, il raviolo
nasce lì dove non esiste la tradizione di
50
pasta di grano duro, come piatto della
festa e della gioia per i bambini.
Impossibile stabilire con certezza come
siano andate le cose anche perché conta
il fatto che oggi il raviolo più famoso
è appunto quello caprese, il piatto simbolo
dell’isola, i cui segreti sono custoditi
gelosamente dalle ultime massaie e
dagli chef al lavoro nei ristoranti e negli
alberghi.
E allora meglio dare subito la ricetta
classica per quattro persone. Utilizziamo
mezzo chilo di farina, un paio di
cucchiai di olio extravergine di oliva,
un po’ d’acqua per la pasta mentre nel
ripieno ufficialmente metteremo 300
grammi di caciotta secca, due uova, almeno
200 grammi di formaggio grattugiato,
un po’ di maggiorana. Ma qui
dobbiamo fermarci con le rivelazioni
perché ciascuno ha il suo segreto sulla
stagionatura del formaggio, decisiva

per la differente consistenza della farcia,
e soprattutto per le erbe aromatiche
mediterranee di cui Capri è sempre
stato un museo botanico.
Prepariamo la sfoglia mettendo in un
recipiente la farina, l’olio extravergine
di oliva, mezzo litro di acqua calda
mescolando energicamente fino ad ottenere
una pasta omogenea da far riposare
qualche ora. A differenza della
opulenta versione emiliana in questo
caso nella pasta non si mettono né uova
e né burro.
A parte avremo preparato la farcia
unendo la caciotta, in genere di latte
vaccino, il formaggio grattuggiato, la
maggiorana, le uova sbattute. Dopo
un po’ riprendiamo la pasta, la lavo-
▼
RAVIOLI, THE KING
OF PASTA
by LUCIANO PIGNATARO
A speciality of the island,
whose secret lies in the filling
Everyone loves ravioli, but what
is the secret? You have to
taste them, it is the ingredients
for the filling that tempt a gourmet’s
palate, which vary with each family
recipe, and from region to region.
It is ravioli, rather than spaghetti, that
is capable of uniting Italians, at least
around a table. And it is no accident
that ravioli is the first kind of filled
pasta to be documented between the
end of the twelfth and the beginning of
the thirteenth century, when a Savona
farm-worker made his employer a
lunch of bread, meat and ravioli during
the grape harvest. During the
thirteenth century, the Genoese began
to export this pasta via their
Mediterranean trading routes. For
many centuries, these highways of the
sea were the ones travelled by Italians.
They were almost always safer than
overland routes where you were as
likely to be attacked by bandits as you
were to find yourself trudging up and
down hills and mountains, since the
road systems built at the time of
Roman Empire no longer existed.
The origin of the word ravioli is unknown.
Some people say that it derives from
rabiola, a small turnip, others that it comes
from rovigliolo (similar to the Italian word
groviglio meaning “mesh”, which might
perhaps refer to the filling). Others believe
that the pasta was simply invented by a
cook called Ravioli, who created dishes for
the Genoese lords residing at Gavi Ligure,
a strategic stronghold of the Republic. At
the end of the thirteenth century, the
raviolus is mentioned in the chronicle of Fra
Salimbene of Parma. However, the word
“ravioli” first appears as such in the
Decameron, when Boccaccio associates
this pasta with the townsfolk of Bengodi:
“On a mountain, all of grated Parmesan
cheese, dwell folk that do nought else but
make macaroni and ravioli, and boil them in
capon’s broth.” Moreover, the Larousse
Gastronomique also attributes the invention
of ravioli to Italy.
When the renowned seventeenth-century
Genoese painter Giambattista Gaulli, called
Baciccio, painted the ceiling of the Church
of the Gesù in Rome, he ordered
magnificent dishes of ravioli prepared by his
relatives in Liguria to be sent to him, which
ZEFA ROMA
he enjoyed while taking a break from
painting the saints and madonnas.
In a more musical vein, Niccolò Paganini
often mentions in his memoirs the fine
flavour of piping hot, tasty ravioli stuffed with
minced veal flavored with borrage, and
sweetbreads, brains and marrow, according
to the traditional Genoese recipe.
Although ravioli originated in Emilia
Romagna and were soon enjoyed also as far
as Rome, they became a national dish with
the advent of the consumer society. The
differences lie in the size and filling, and
haute cuisine chefs have created a thousand
varieties of this gastronomic speciality.
However, in southern towns ravioli are
usually served with fresh cheese, especially
pecorino, with added spices, and tomato
sauce to counteract the richness of the filling
and the slightly sweet flavour of the pasta.
It is this sweet variety with a chestnut filling
topped with honey, cinnamon and hundredsand-thousands
that is typical of Cilento,
Irpinia and Calabria, namely those inland
areas where traditional mountain cooking is
the mainstay. One thing is certain, ravioli
were invented where durum-wheat pasta is
not traditionally eaten, as a dish for
celebrations, and one that children adore.
It’s impossible to say exactly how things
went, but what counts today is the fact that
the Capri ravioli are the most popular. They
are the speciality of the island, whose recipe
is jealously guarded by the last of the
traditional housewives and the chefs of the
island’s restaurants and hotels.
But what we can do is give you the basic
recipe for four people. You’ll need half a kilo
of flour, two tablespoons of extra-virgin olive
oil, and hot water for the dough, and 300
grams of hard caciotta cheese, two eggs, at
least 200 grams of grated cheese, and a
pinch of marjoram. But that’s all we can tell
you because everyone has their own secret
regarding the aging of the cheese, which is
critical to the consistency of the filling, and
the other aromatic Mediterranean herbs that
are used, of which Capri has an infinite
variety.
To prepare the dough, put the flour, extravirgin
olive oil and hot water into a bowl and
mix well to obtain a smooth dough, then
leave it to stand for an hour or so. Unlike the
richer Emilia-Romagna recipe, eggs and
butter are not used for the Capri ravioli.
The filling should be prepared beforehand,
by blending the caciotta (preferably made
with cow’s milk) grated cheese, marjoram
and beaten eggs, to a smooth paste. Then
take the dough, kneed it for a few minutes,
adding a little flour, and roll it out thinly. Cut
out the rounds for the ravioli, put a spoonful
of filling on each and seal the edges, which
can be jagged or scalloped. Cook them in
salted boiling water until they are al dente.
▼
51

GOURMET
ZEFA ROMA
riamo per qualche minuto infarinando
un po’ e infine la stendiamo con
un mattarello fino ad ottenere la sfoglia
sottile. Ricaviamo la forma del
raviolo, lo riempiamo e lo chiudiamo.
Giù poi nell’acqua bollente per cucinarlo.
Il condimento è sempre quello:
sugo di pomodoro fresco e basilico.
La forma è sempre rotonda ma irregolare,
il bordo è merlato o dentato se
preferite.
Con l’arrivo dell’opulenza Capri, isolata
sino all’arrivo di Ferdinando di Bor-
bone amante della caccia alle quaglie,
ha cominciato ad inserire molte varianti
nella farcia, anche di tipo non
tradizionale come la mozzarella o il
fiordilatte vaccino.
Io voglio cogliere l’occasione per darvi
la ricetta di uno chef che ha lavorato a
lungo sull’isola. Si tratta di Nazzareno
Graziano Menghini, della scuola di
Gualtiero Marchesi, re delle cucine del
Quisisana per molti anni prima del suo
trasferimento a Roma e dell’arrivo del
bravissimo Mirko Rocca.
Per la pasta useremo un chilo di fari-
52
na, mezzo litro di acqua calda e 50
grammi di olio di oliva secondo l’impostazione
tradizionale. Nella farcia,
invece, metteremo 600 grammi di ricotta
secca, 300 di fiordilatte, 100 di
ricotta, due tuorli d’uovo, una manciata
di parmigiano reggiano, una grattatina
di noce moscata, un mazzetto di
maggiorana. Anche in questo caso la
salsa è fatta con pomodoro e basilico.
Con i tempi che corrono, questo può
sicuramente considerarsi un piatto
mediterraneo completo tanto per il
goloso quanto per il nutrizionista ed è
sicuramente una delle bandiere della
cucina caprese così come si è classicizzata
nel corso degli anni Sessanta e
Settanta anche se si è diffuso anche a
Sorrento, Massa Lubrense e Vico
Equense dove viene proposto in quasi
tutti i ristoranti.
Sulla variante classica berremo un
rosso di pronta beva, un Piedirosso
dei Campi Flegrei o di Ischia lavorato
solo in acciaio va sicuramente bene
abbinato alla salsa di pomodoro e alla
farcia.
■
They are always served with a fresh tomato
sauce flavoured with basil.
When Capri began to enjoy economic
wellbeing, after a period of isolation that
ended with Ferdinand of Bourbon who had a
passion for hunting quail, many variations on
the filling were introduced, including
mozzarella made with buffalo or cow’s milk.
I would like to take this opportunity to give
you the recipe of a chef who worked for
many years on the island. His name is
Nazzareno Graziano Menghini, and he
studied under Gualtiero Marchesi, who
reigned supreme at the Quisisana Hotel for
many years before he moved to Rome and
was replaced by the very talented Mirko
Rocca.
For the dough you’ll need a kilo of flour, half
a litre of hot water and 50 grams of olive oil,
which you mix as described above. For the
filling, 600 grams of hard ricotta, 300 grams
of mozzarella made with cow’s milk, 100
grams of fresh ricotta, two egg yolks, a
handful of grated Parmesan cheese, grated
nutmeg, and a small bunch of marjoram.
These ravioli are also served with tomato
and basil sauce.
Nowadays, this can certainly be considered
a complete Mediterranean dish in every
sense of the word, both for people who love
their food and others who are more diet
conscious. It is certainly one of the calling
cards of Capri’s cuisine, where it became a
classic in the Sixties and Seventies, later
spreading to Sorrento, Massa Lubrense and
Vico Equense, where ravioli are on the
menu in almost all restaurants.
Capri’s traditional ravioli are best
accompanied by a red wine that is easy to
drink, a Piedirosso from Campi Flegrei or
Ischia, matured in steel casks, which
marries perfectly with the tomato sauce
and filling.
■
M. PANCI - SIE