Il lavoro nero vale il 32% del PilAmbra DragoIl lavoro nero nell’agricoltura sembra essere la nuova frontieradell’illiceità, complice il perdurare di una crisi economica chenon accenna a diminuire.Nei primi 6 mesi del 2014 l'incidenza di questa illegalità sul prodottointerno lordo è del 32%, quasi il 5% in più rispetto al 2011 elo 0,3% rispetto allo scorso anno. E’ quanto emerge da una indaginedi Eurispes-Uila “Sottoterra secondo la quale questo fenomenoverrebbe incentivato da una pressione fiscale in continuoaumento e dalla mancanza di concrete proposte provenienti dallepolitiche del lavoro.L’Eurispes ha anche estrapolato un dato relativo ai primi sei mesidel 2014, dove l’incidenza del sommerso in agricoltura (32%) é inaumento rispetto agli ultimi anni: 27,5% nel 2011, 29,5% nel 2012,31,7% nel 2013. L’Italia è in stagnazione e il Pil non aumentaormai da tre anni, ovvero dal 2° trimestre del 2011.Secondo il segretario generale della Uila (Unione italiana lavoriagroalimentari), Stefano Mantegazza: «I dati della ricerca mostranoche il lavoro nero e irregolare rappresenta per l’Italia, moltopiù che per gli altri paesi europei, una realtà grave e di ampia dimensionecon la quale il Paese deve fare i conti e farli in fretta.Non possiamo permetterci di presentarci all’appuntamento di Expo2015 con un’agricoltura che nel definirsi “di qualità”, nasconde dietrodi sé un’incidenza di oltre il 30% di lavoro nero o irregolare.Occorre che Governo e Parlamento diano un segnale forte echiaro trasformando in legge la proposta unitaria di Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil, che mira a realizzare una “rete del lavoro agricolo”per promuovere e gestire l’incontro domanda-offerta di lavoro in unquadro di trasparenza e incentivazione per le imprese virtuose».In Italia, sempre in base ai dati Eurispes-Uila, la superficie agricolautilizzata è pari a circa 12 milioni e 750 mila ettari, le aziendeagricole ammontano nel 2012 a 1.618.000 e realizzano una produzionedi 42,6 miliardi di euro ed un valore aggiunto di 23,8 miliardi.Le unità di lavoro annue occupate nelle aziende agricolesono 969.000, 190.000 delle quali dipendenti.Nel 96,7% dei casi si tratta di imprese individuali, il 97,9% è aconduzione diretta. Il fatturato, nell’89,5% delle aziende agricolenazionali, rimane al di sotto dei 50.000 euro. L’11,4% produceesclusivamente per l’autoconsumo. Le aziende multifunzionali costituisconol’11% del totale, ma la loro produzione raggiunge il27,9% del totale nazionale .L ’Unione Europea dal canto suo ha avviato numerose iniziativevolte a espandere l’economia agricola, favorendo soprattutto l’impiegodei giovani.La percentuale di soggetti impiegati nel settore dell’agricoltura siè mantenuta stabile dal 2007 al 2012, mostrando una discreta capacitàdel settore di assorbire i contraccolpi della crisi (-0,3% perl’Ue a 27 paesi ), salvandosi dal crollo occupazionale che ha invececoinvolto il settore industriale (-2,3%).L’Europa, con 28 paesi membri, ospita più di 12 milioni di impreseagricole di dimensioni più o meno rilevanti che creano occupazione:mediamente due persone per azienda.E’ pur vero che ci sono differenze tra il numero di occupati neipaesi membri e il numero di unità di lavoro agricole registrate , ilche é determinato da un frequente ricorso al lavoro part-time o dicarattere occasionale, sia stagionale che non. Infatti, agli oltre 25milioni di soggetti impegnati a vario titolo nel settore agricolonell’Ue corrispondono meno di 10 milioni di Ula (unità di lavoroagricolo).I paesi mediterranei (Italia, Malta, Cipro, Croazia, Grecia) e centro-orientali(Bulgaria e Romania) mostrano una discrepanzatra numero di addetti e di Ula in un rapporto di 3 o anche 4 a 1,il che indica che lavoro part-time e stagionale rappresentanouna pratica diffusa in questi paesi.La scelta dell’ Unione Europea fa parte di una politica economicapropulsiva volta a far cambiare marcia al nostro Paese,ma necessita di misure preventive per contrastare l’emersionedel lavoro nero, che sfrutta principalmente i sogni e i bisognidei tanti stranieri pronti a sottostare a qualsiasi condizione purdi non abbandonare quella che per loro appare la “Terra Promessa”.Come emerso da un Censimento dell’Istat il primo posto per irregolaritàoccupazionale spetta al Mezzogiorno dove il tassosupera la soglia del 25% (Campania e Calabria in testa). Maancora più drammatico appare il caso della Puglia. Per la Direzioneregionale del lavoro nel 2013 è risultata in nero la metàdei lavoratori delle aziende sottoposte ad ispezione: la quotavaria dal 70% nella zona del Salento al 54% nella provincia diBari, al 40% in quella di Foggia. Le irregolarità riguardano nellagran parte dei casi il salario, che generalmente ammonta allametà di quello previsto dai contratti.La manodopera familiare è utilizzata nella quasi totalità delleaziende agricole italiane ed i settori in cui è più diffuso il lavorosommerso (lavoro domestico, servizi di cura, costruzioni, agricoltura)sono anche quelli in cui è più elevata la presenza di lavoratorimigranti.EE sono i lavoratori stranieri a rappresentare la quota più consistentedegli irregolari., veri e propri “nuovi schiavi”,costretti avivere in baraccopoli c fatiscenti, sottopagati con carichi e oraridi lavoro inaccettabili.C’è chi riceve appena 20 euro al giorno in30 23febbraio2015 asud’europa
nero, per 12 ore di lavoro dall'alba al tramonto, ovvero 1,60 eurol'ora, un quinto del minimo sindacale.E sono le organizzazioni criminali a controllare strettamente il compartoagroalimentare in tutta la sua filiera, dai campi agli scaffali,per accrescere, tramite questo i sfruttamento, i propri guadagni.Per l’Eurispes il volume d’affari complessivo dell’agromafia é dicirca 14 miliardi di euro: solo due anni fa questa cifra si attestavaintorno ai 12,5 miliardi .Un ruolo rilevante nel controllo del sistema di sfruttamento vienericoperto dal caporalato, infatti più del 60% dei lavoratori e delle lavoratricisarebbero controllati da caporali – la maggior parte straniericomunitari e non – e non avrebbero accesso ai servizi igienicie all’acqua corrente.Questo sistema ha ripercussioni non solo sul gettito fiscale maanche nelle tasche dei cittadini. Solo in termini di mancato gettitocontributivo il caporalato costerebbe più di 600 milioni di eurol’anno. I lavoratori impiegati dai caporali percepiscono un salariogiornaliero inferiore di circa il 50% di quello previsto dai contrattinazionali e provinciali di lavoro. A questo bisogna aggiungere unulteriore sfruttamento, dal trasporto (circa 5 euro), all’acquisto diacqua (1,5 euro a bottiglia) di cibo (3,5 euro per un panino) e altrigeneri di prima necessità.Soprattutto al sud, i lavoratori sono costretti anche a pagare acario prezzo l’ affitto degli alloggi fatiscenti o i posti letto in ghettilontani dai centri urbani.A fronte di queste drammatiche realtà il nostro ordinamento prevedesolo una norma (art. 603bis del codice penale) che puniscesolo il caporale e non gli imprenditori che si avvalgono della lorointermediazione nonché la mancata applicazione delle previsioninormative previste dal recepimento della Direttiva europea n.52,che avrebbe dovuto assicurare un regime di protezione specialeper i lavoratori e le lavoratrici sfruttate. In particolare sono le donnee i bambini ad essere l’anello piùdebole dello sfruttamento.Sul tema abbiamo sentito i vertici delle tre organizzazioni datorialisiciliane Cia, Coldiretti e Confagricoltura.Il lavoro sommerso secondo l’Eurispes ha un’incidenza sulprodotto interno lordo del 32%. Quali possono essere lecause di un fenomeno che in realtà nel corso degli anni nonè mai venuto meno.“Le cause sono certamente diverse - spiega Rosa Giovanna Castagnadella Confederazione Italiana Agricoltori - da un lato c’è sicuramenteun elevato costo del fisco e della contribuzione, chelegato ad una compressione dei prezzi, induce le aziende a tagliarenei costi di produzione, con la conseguenza del ricorso al lavoronero. A ciò si aggiunge anche, in alcuni casi, una scarsacultura della legalità. E’ innegabile che ci siano anche fenomeni disfruttamento della manodopera con il solo scopo di aumentare iprofitti, ma vanno scisse, dal punto di vista analitico le due cose.In entrambe le circostanze comunque, subiscono le conseguenzeanche le imprese sane, costrette a subire la concorrenza sleale dichi opera nell’illegalità”.L’Unione Europea sponsorizza e adotta misure economichevolte a favorire il comparto agricolo. Ritenete sufficienti gliaiuti e i finanziamenti che vengono erogati.“Non ci si può certamente ritenere soddisfatti dagli aiuti, ma l’allargamentodel numero dei Paesi aderenti all’Unione Europea, unitamenetealle ristrettezze di bilancio e alla posizione di alcuniPaesi membri orientata a ridurre il budget agricolo, sta producendogià da qualche anno una riduzione degli aiuti. In questa fase occorreconcentrarsi sulla qualità della spesa, affinché questa producai benefici attesi dalle imprese agricole. Occorrerà alleggerirei vincoli burocratici e indirizzare le risorse in politiche di sviluppovolte a fare acquisire maggiore competitività alle imprese agricolee far si che le politiche a sostegno delle imprese producano peresse un maggiore reddito”.Il nostro ordinamento prevede solo una norma volta a punireil caporalato. Quali misure legislative potrebbero esseremesse in atto per arginare questo fenomeno maanche per evitare che la criminalità organizzata mettamano negli interi processi produttivi.“Il caporalato non ha nulla a che vedere con le piccole e medieimprese agricole che adoperano poche unità di manodoperastagionale; il caporalato è un vero e proprio fenomeno criminaleche sfrutta la povertà e il bisogno della povera gente, degliimmigrati, dei clandestini. Non si può contrastare con le ordinariepolitiche di emersione, ma, per le sue caratteristiche,anche di contiguità con le mafie, va affrontato con Leggi adeguate,ma soprattutto con forti azioni di contrasto nel territorio.Le agromafie non si limitano a sfruttare la manodopera, con fenomenianche di schiavitù, ma estendono la loro attività in tuttii processi delle filiere agricole. La questione è molto complessae difficile da affrontare, occorre lavorare sulla trasparenza dellafiliera per contrastare tutti i fenomeni distorsivi della libera concorrenzaliberando i centri di produzione, i mercati all’ingrosso,i trasporti e la distribuzione dall’abbraccio mortale della criminalità.Ma la trasparenza della filiera deve approdare all’equaremunerazione dell’anello più debole della filiera attualmenterappresentato dagli agricoltori”.Secondo Lei, c’è una spiegazione particolare sul fatto cheil lavoro sommerso sia più diffuso in Sicilia ed in particolarelocalizzato pin alcuni centri comune Ragusa e Vittoria?“Una ricerca Eurispes del 2012 indicava la Sicilia al primo postotra le regioni d’Italia per lavoro sommerso; le province più colpitedal fenomeno risultavano essere tra le più produttive nelcomparto ortofrutticolo, Ragusa era al secondo posto. Non vi èuna particolare propensione delle imprese agricole del ragusanoad evadere gli obblighi di Legge. Tali fenomeni sonouguali in tutta Italia laddove si concentra una forte richiesta dimanodopera poco specializzata. Le caratteristiche produttivedella zona, fortemente orientate alla produzione di ortaggi inserra necessitano di una grande quantità di manodopera perla raccolta ed il confezionamento dei prodotti. E’ il caso in cui23febbraio2015 asud’europa 31
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