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Confische, inerzie e inefficienze nella gestioneAntimafia, l'ombra del sospetto su MontanteE' Palermo la capitale in Italia per numero di beni confiscatialle mafie. Ben il 40% del totale di tutti i beni tolti a Cosa nostra,Camorra, 'Ndrangheta e Sacra Corona unita si trovanel capoluogo siciliano e nella sua provincia. A fornire il dato èstato il prefetto Umberto Postiglione, direttore dell'Agenzia nazionaleper l'amministrazione e la gestione dei beni confiscati e sequestratialla criminalità organizzata, durante un'audizione dellacommissione Antimafia dell'Assemblea siciliana, presieduta daNello Musumeci. Sulla gestione dell'agenzia e dei beni confiscatisi era espresso in toni molto critici il procuratore nazionale antimafia,Franco Roberti, nella relazione della Dna per il nuovo annogiudiziario. Dalla relazione emergono “gravi inadempienze dell'Agenziaper l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestratie confiscati alla criminalità”, diretta da giugno proprio dalprefetto Umberto Postiglione: di 8.500 beni confiscati non si hannonotizie certe, probabilmente sono ancora occupati. In più, al Nordsu 1.301 immobili confiscati almeno 259 non sono stati liberati. Alcentro, sono almeno 380 su 1.038 i beni dei quali lo Stato non èentrato in possesso. Al Sud, un buco nero: solo in Sicilia, 2.358 immobilisarebbero quasi tutti occupati. Dalla sua, Postiglione, in trasfertaa Palermo, ha proposto di “Vendere al fondo immobiliaredella Cassa Depositi e prestiti i beni di pregio confiscati alle mafiee con le risorse ricavate finanziare a Palermo, a Napoli, a Bari edove è necessario, la sistemazione di alloggi di superficie idoneeper affrontare l'emergenza casa”. Postiglione ha poi aggiunto che“In questo modo si otterrebbero diversi benefici: non cementifichiamoulteriormente le città, riqualifichiamo il territorio urbano enon creiamo 'isole di difficoltà' evitando concentrazioni di nucleicon problemi e dando speranza di vita migliore. Attraverso questosistema - ha proseguito - forse si potrebbe risolvere il problemadell'assegnazione degli alloggi la cui manutenzione costa e i comunicome si sa hanno difficoltà finanziarie”. Di ombre nella gestioneha parlato anche il presidente della commissione regionaleAntimafia, Nello Musumeci, che ha presieduto l'audizione all'Ars eche ha annunciato la preparazione di un dossier: “Da più parti riceviamodenunce che rivelano la persistenza di molte ombre nellagestione dei beni confiscati alla mafia. Dopo le trascrizioni, le trasmetteremoalla magistratura e al ministero dell'Interno per le necessarieverifiche”. “In alcuni casi abbiamo ricevuto denunce diincompatibilità, eccessiva concentrazione di incarichi, in altri tentatividi favorire società o studi professionali vicini all’amministratore- ha aggiunto. Abbiamo richiamato l'attenzione del prefettoPostiglione su questa realtà che richiede urgenti ed efficaci strategiedi revisione normativa. Ora stiamo elaborando, insieme conla commissione Lavoro dell'Ars, una proposta di modifica dellalegge nazionale vigente - ha concluso Musumeci - ponendo particolareattenzione a due problemi: la tutela dei dipendenti di quelleaziende che spesso chiudono dopo la confisca; il patrimonio diedilizia abitativa da destinare, a nostro avviso, alle famiglie indigentie alle Forze dell'ordine piuttosto che restare inutilizzato e incompleto abbandono”.A complicare la situazione, negli stessi giorni, sono arrivate le dimissionidi Antonello Montante, delegato nazionale per la legalitàdi Confindustria che si è autosospeso dal consiglio direttivo dell'Agenziadei beni confiscati in seguito alla pubblicazione su “Repubblica”di alcune notizie su due distinte indagini che avrebberoavviato le procure antimafia di Catania e Caltanissetta, notizianon confermata né smentita dalle procure. Alla basedell'inchiesta ci sarebbero le accuse infamanti di concorsoesterno da parte di alcuni pentiti. “Mai avrei pensato – ha dettoMontante - di dovermi trovare in una situazione simile dopoanni trascorsi in trincea, insieme a altri imprenditori, sempre alfianco delle istituzioni. Le persone che vedo citate negli articoligiornalistici pubblicati in questi giorni sono state da noi tutte denunciatee messe alla porta, così come è possibile leggere indocumenti pubblici consegnati in commissione Antimafia, in occasionedei Comitati per l’ordine e la sicurezza pubblica e, comunque,a tutti gli organi antimafia del Paese. Lo abbiamo fattosubendo minacce gravissime e mettendo a rischio la nostravita. E lo abbiamo fatto sempre al fianco d’investigatori, magistratie funzionari dello Stato. Tutto, per affermare una rivoluzioneinnanzitutto culturale”.Un vulnus a un simbolo dell'antimafia (tra gli artefici del codiceetico di Confindustria e di un rating antimafia come premio alleimprese sane) ora accusato di frequentazioni pericolose conambienti mafiosi: uno di questi collaboratori di giustizia sarebbeSalvatore Dario Di Francesco, arrestato un anno fa. Di Francescoavrebbe parlato di appalti pilotati tra il 1999 e il 2004 nell'Areadi sviluppo industriale di Caltanissetta, dove prestavaservizio. In quel periodo a capo della Confindustria nissenac'era Pietro Di Vincenzo, poi arrestato per mafia, contro cui siscagliò il gruppo di giovani industriali, tra cui proprio Montante."Montante ha fatto una scelta opportuna e un gesto di responsabilitàcorretto”, ha commentato Rosy Bindi, presidente dellaCommissione parlamentare Antimafia.“Al di là delle notizie di questi giorni su cui va fatta al più prestochiarezza – ha detto Bindi - la presenza di un autorevole esponentedi Confindustria nel direttivo dell'Agenzia configurava unpossibile rischio di conflitto d'interessi, come del resto era statosegnalato nelle sedi opportune dalla Commissione Antimafia".“Si faccia chiarezza al più presto - sostiene Vito Lo Monaco -presidente del Centro La Torre - anche per capire se c’è qualcunoall’interno o all’esterno, che lavora per delegittimare la posizioneantimafia assunta dalla Confindustria negli anni recenti”.A.L.23febbraio2015 asud’europa 37

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