IL PASSAGGIO DEL FRONTELeonardo Angelici22La mattina di Pasqua <strong>del</strong> 1976, Eugenia Boceranived. Piattellini si svegliò con la luce cheentrava dalle ante sfessurate che estate e invernosi aprivano sulla sua stanza. Si sedette sulletto, ritrovò con i piedi le pantofole, le inf<strong>il</strong>ò.Per un attimo pensò di alzarsi in piedi, esitò,si passò le dita sugli occhi, e si ritrovò nellamano sinistra un pezzo di vetro, rosa, spesso,<strong>del</strong>la grandezza di un’unghia. Quella reliquiasi trasformò in un boato abbagliante. La nonnasi contenne per pudore come era stato per tuttala sua sobria esistenza. Più tardi a colazione,imperturbata, aprì la mano di fronte a noi tuttiincuriositi.Inevitab<strong>il</strong>mente <strong>il</strong> passaggio <strong>del</strong> fronte: lo zioPietro, geometra con l’uzzolo <strong>del</strong>la precisione,incorniciò i fatti.Il XX Giugno <strong>del</strong> ‘44, gli alleati erano entratiin Perugia e i Tedeschi un po’ combattendoun po’ affrettando <strong>il</strong> passo si dirigevano versoUmbertide. La ritirata ut<strong>il</strong>izzò anche la stradache dalla Forcella porta al Pantano, perché isoldati marciando a ridosso di Monte <strong>Tezio</strong>si sentivano più sicuri. Alla fattoria di Compressopresero tutto quello che potevano e attaccaronoal legnetto Fiorella per alleggerirsi<strong>il</strong> trasporto. La cavalla, di solito mansueta,non capiva gli ordini urlati in tedesco e non simuoveva neanche con le frustate; alla fine lostalliere Checco, impietosito, carezzò la bestiae con un la mise in marciae non la rivide più. Sempre come animali dasoma furono ut<strong>il</strong>izzati alcuni giovani, tra cu<strong>il</strong>o stesso Pietro, per portare munizioni e viveri.Questi marciavano da più di due ore quando unaereo alleato cominciò a mitragliare: i soldatisi misero a correre, i giovani si stesero a terrae poi tornarono indietro saltando per i campi.Ma veniamo a noi. I tedeschi prima di allontanarsiavevano minato i tre bracci di strada chelambiscono la fattoria. Pochi giorni dopo, eranoi primi di luglio, arrivarono le avanguardiealleate, in testa gli sminatori di colore. Tuttopareva andare bene, una ad una le mine chesembravano pa<strong>del</strong>le venivano rintracciate, disinnescatee appoggiate al muro <strong>del</strong>la fattoria.L’ultima, fatalità, provocò l’esplosione, fu <strong>il</strong> fi-In questi giorni si parla molto, tradi noi, di molte cose particolariavvenute durante la “Guerra”.A voler confermare in parte quantodetto, ed a rendere quasi romanzostorie di vita vissuta dainostri genitori, non più tardi disettant’anni fa, Leonardo ci hainviato questo suo flash di ricordiancora non spenti e che aleggianotra le pieghe di Monte <strong>Tezio</strong>.nimondo: <strong>il</strong> muro angolare <strong>del</strong> fabbricato crollòe la famiglia <strong>del</strong> Dott. Mulas rimase sottole macerie. Questo medico sardo era sfollatoda Perugia per paura dei bombardamenti, <strong>il</strong>destino fece <strong>il</strong> resto. Anche i due locali doveGiovanni Piattellini aveva <strong>il</strong> suo studiolo damagazziniere furono danneggiati. Lui rimaseferito e con lui la moglie Eugenia, che colpitadai vetri di una credenza rischiò di perdere unocchio. Trentadue anni dopo, quel pezzo di vetrodimenticato dai medici si fece strada, e conlui altri ricordi.Prima ancora, io, che avevo due anni, con <strong>il</strong>babbo e la mamma Leopoldina ero stato nascostonella stalla di Celestino Saia, alle pendicidi Monte <strong>Tezio</strong>. Celestino era un uomoeccezionale sempre allegro, che scherzava anchecon la sua gamba di legno, “regalo” <strong>del</strong>laI Guerra Mondiale. Quando avevo paura deisib<strong>il</strong>i <strong>del</strong>le cannonate, lui prendeva <strong>il</strong> frustino efaceva finta di spaventarle. Io, poi, lo prendevoin giro dicendogli: «Cittadini co’ ‘sta paglia!».Lamentela con cui lui cercava di limitare <strong>il</strong>consumo che noi ne facevamo per dormire piùcomodi.Quell’estate fu ost<strong>il</strong>e anche per la pioggia, cosìquando sembrava che i tedeschi se ne fosseroandati e gli alleati prossimi, i miei decisero dirientrare nella casa che i Piattellini avevano alVoc. Morello, attaccata a quella <strong>del</strong>la famigliaFioroni. Persone cui sono rimasto legato per
tutta la vita. Man mano che crescevo, più voltedomandai a Tito, <strong>il</strong> capofamiglia, come maizoppicava, che cosa gli fosse successo, ma nélui né i suoi mi dissero mai la verità. Da grandemia madre trovò le parole <strong>del</strong> coraggio. Eratempo di mietitura, un tedesco sbandato capitòal Morello, entrò nella stalla dei Fioroni e neuscì tirandosi dietro un vitellino. Leopoldinacon <strong>il</strong> suo carattere ribelle si mise a urlare einveire contro <strong>il</strong> soldato; <strong>il</strong> primo ad accorrerefu Gettulio Fioroni, uno che non sopportavasoprusi, e cercò di riprendersi la bestiola conspinte e imprecazioni. Di suo Leopoldina diedeun morso alla mano <strong>del</strong> razziatore. Al rumore,Tito, dal campo si avvicinò a casa; camminavacon le mani lungo i fianchi e la falce chequasi toccava terra. Il tedesco si girò all’ultimomomento, lo vide, ebbe paura, gli sparò allagamba destra. Io lo ricordo stentato nel camminare,mite, attento a non farmi sapere niente.Gli affetti hanno priv<strong>il</strong>egiato i ricordi fam<strong>il</strong>iariscombinando le tacche <strong>del</strong> tempo, ma meritanomenzione anche certi fatti di cui ho sentitoparlare.Fino al 21 febbraio <strong>del</strong> ‘42, Tec Sans’, la divinitàetrusca che ha dato <strong>il</strong> nome al <strong>Tezio</strong>, era riuscitaa tenere lontana la guerra dalle sue pendici,come a proteggere i pastori e i contadiniche da m<strong>il</strong>lenni le abitavano in pace. Ma quellasera nebbiosa, quando tutti dormivano o aspettavanoche finisse lo stoppino <strong>del</strong>la lucerna, untrimotore tedesco Junkers da nord tentava diaffacciarsi sulla valle <strong>del</strong>la Caina.Ci riuscì, ma dopo aver lasciato un’ala sulversante nord-est ed essere stato catapultatodall’altra parte, dove si fermò rottame fra gliscogli. Il monte si prese tre giovani. Due sopravvissero.Circa due anni dopo, era <strong>il</strong> 12-1-44, di notte,Pietro Piattellini e Giuseppe Ercolanelli dalpiazzale di Compresso Vecchio si “godevano”<strong>il</strong> bombardamento di Sant’Egidio. I due ragazzierano calamitati dagli scoppi e dalle traccianti<strong>del</strong>la contraerea. Ad un certo punto unaereo americano che sorvolava Monte Malbesi prese la scena lasciando cadere tutto <strong>il</strong> caricodi bombe, come per alleggerirsi. Ma fu subitochiaro che l’areo diretto verso <strong>il</strong> <strong>Tezio</strong> ormaiperdeva quota e si annunciava con uno sferragliaredi lamiere. «Cade, cade!»: si disseroi due seguendolo fino all’impatto col monte,dove la benzina residua tributò al velivolo l’onore<strong>del</strong> fuoco, e consegnò all’eternità sei vitecarbonizzate.Se qualcuno crede che <strong>il</strong> mare, i fiumi e i montihanno un’anima vendicativa, potrebbe trovareconferma nel naufragio di un elicottero che nel2005 si schiantò più o meno nello stesso puntodei due aerei.Ma questo con le ferite <strong>del</strong> ‘44 non c’entra. Lepersone che subirono quegli errori li hanno ridottia cicatrici <strong>del</strong>la memoria.Indifferente, <strong>il</strong> monte sta lì, e ci unisce. Non soper quale mistero.V<strong>il</strong>la di Compresso come si presentava fino al 1957Foto gent<strong>il</strong>mente concessa dal Sig. Pietro Piattellini23