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Pubblicato il Notiziario 28 - Associazione culturale Monti del Tezio

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co Renzo non bacia <strong>il</strong> sorriso di Lucia. AlloraCompresso diventa la chiave di lettura <strong>del</strong> fenomeno:la Chiesa e i nob<strong>il</strong>i ci lasciavano lalibertà di riprodurci – con annesso linguaggio- , ma l’amore che prende tutta la persona eralussuria: l’anima appartiene a Dio, <strong>il</strong> corpo allavoro. A dire la verità Dante come tanti altrinob<strong>il</strong>i, borghesi e abati hanno praticato unascrittura giocosa, licenziosa, erotica e a volteporno, ma qualcuno o qualcosa per secoli neha limitato la diffusione. Già che ci sono, i sapientoni<strong>del</strong>la critica sono stati degli opportunisti.Basta.Gettulio andò incontro all’ospite che arrivavacol postale; da Compresso era sceso al Collein bicicletta; e quando la ragazza mise i piedi aterra fu <strong>il</strong> primo a restare confuso; per dare ordinea quello che vedeva gli ci vollero due o tremoccoli, qualche imprecazione, e alla fine unaparola semplice semplice, “bella”. Non vedevala nepote da quando sua sorella si era sposatae trasferita a Pisa. Ora Flavia, finiti gli stud<strong>il</strong>iceali, si prendeva una vacanza nel podere deinonni e <strong>del</strong>lo zio, che, tra ammirazione e dubbi,si mise a legare con una cordicella la valigiaalla bici; poi spingendola presero a salire versocasa. Due ch<strong>il</strong>ometri che attraversavano mezzatenuta, tagliando cinque o sei poderi. Caso ocuriosità, quel giorno sembrava che tutti avesseroda fare lungo la strada: “Che bella signorina,è venuta in campagna dai nonni? E bravae brava.” L’accoglienza si ripeteva e tutti sisentivano stupidi per aver detto quattro parolerituali, mentre non avevano trovato <strong>il</strong> mododi dare forma alla sorpresa, e al complimentoche avevano sulla punta <strong>del</strong>la lingua. I nostrifinora se l’erano cavata con: “che puledra,che polanghina, che gettinodi linorio!” Ma le solite sim<strong>il</strong>itudininon funzionavano, eper intendersi la chiamaronola “forestiera”. Nei giorni seguenti,in quell’ordinata aiolache era Compresso, tutti contribuironoal ritratto linguisticodi Flavia. Chi selezionava icolori e chi (le ragazze) scarabocchiava,qualcuno aggiungevaluce, altri intorbidivanocon insinuazioni. Almeno unrisultato fu raggiunto: la forestieraa partire dal nome eradiversa dalle tante Maria, Peppae Rosina che affollavano <strong>il</strong>circondario. Franco appena lavide sentì che le gambe gli sipiegavano: ebbe due settimane per capire <strong>il</strong>motivo; tutta la vita per ricordare.Era tempo di scortecciare <strong>il</strong> granturco, equell’anno gli aiuti non mancarono. L’aia diGettulio verso sera sembrava una festa, soprattuttodi gioventù. E si notava un particolare,tutti erano vestiti un po’ meglio <strong>del</strong> solito. Per<strong>il</strong> fresco, ci si mise in cerchio su seggiole nanee banchetti. Franco si piazzò di fronte a Flavia,che fu costretta a tenere <strong>il</strong> viso chino; lui robusto,moro, in soggezione. Il crepuscolo poifece onore alla figura di Flavia: seduta con garbo,misurata nel lavoro, con l’ultima luce imprigionatanegli occhi. Di solito con l’oscuritài giovanotti si scatenavano: allusioni, stornelliche mordevano, spighe tirate come corteggiamento.Quella sera c’era un’insolita etichetta.Quasi imbarazzante. E le ragazze si accorseroche dopo <strong>il</strong> tramonto tutti gli sguardi dei maschiconvergevano in un punto. Dopo un po’i presenti ricevettero un piatto cupo e un cucchiaio.Poi, annunciata da un odore di aglio erosmarino, si fece avanti la massaia con unatarina di quadrucci e ceci; Flavia seguiva con<strong>il</strong> ramaiolo. A metà <strong>del</strong> cerchio fu la volta diFranco, che con la forza <strong>del</strong>la timidezza alzògli occhi e ne incontrò due altrettanto timorosi.Il ramaiolo tremava e fece sonare <strong>il</strong> piatto. Lacosa si ripetè al momento di versare <strong>il</strong> vino. Ilboccione incontrò <strong>il</strong> bicchiere di Franco e fece“cin cin”, o per lo meno lui lo volle credere.E in quel momento fece una promessa a meche gli avrebbe impedito di scappare: “io e tedomani sera torniamo qui, a veglia”.E non fu solo la sera successiva. Dopo cena,per tredici giorni, Franco mi attese in fondoalle scale, e insieme chiedevamo permesso27

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