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marzo-aprile 2007.pdf - Collegio San Giuseppe - Istituto De Merode

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IL BAMBINOCHE TUTTICREDEVANO MUTONON TUTTE LE STORIE INSEGNANO QUALCOSA, MA STATEPUR CERTI CHE OGNUNA HA UN SUONO DIVERSO.SÌ, PROPRIO COSÌ. SUONI. JOE LO SAPEVA BENE.iveldown era una cittadina pallida, suRun confine pallido di una nazione pallidaanch’essa. Molleggiava la monotoniatra le case dal tetto blu e le persone, chesi conoscevano tutte benissimo e non facevanoaltro che riprendersi dalla mattinaalla sera, avevano volti un po’ assonnatie poco coloriti.C’era un bambino in quella cittadina cheaveva perso la voce quando anche i genitorise ne erano andati. No, non morti, maproprio andati, partiti, per cercare la Fortunalontano. Quel bambino, che tutti credevanomuto da sempre, non aveva ideadi chi fosse la Fortuna, ma di certo si sentìmolto solo e molto sfortunato. C’era qualcunoche si occupava di lui, che lo portavaa scuola pazientemente e tentavadi Silvia Rognonedi renderlo felice. Ma nessuno era davverofelice, a Riveldown, ed ogni tentativodi far parlare il bambino risultò inefficace.Riveldown era una cittadina dal suonobasso e gorgogliante, soffuso, persa inuna nebbia di grigiore.Sarebbe rimasta così, se un giorno nonfosse arrivato Joe.Cosa ci fosse nella via quella sera, pochise lo seppero spiegare.Qualcuno ipotizzò che fosse un profumonell’aria, come quello che si sente a primavera.Altri osservarono il cielo, cercandovisfumature di colore diverse: magaridel cobalto, porpora, amaranto.Poi la voce si sparse, le persone si avvicinaronoall’angolo della via e trovaronoJoe.Joe era un uomo dall’età indefinita, unodi quegli uomini che si portano la lorostoria stampata sulle rughe del viso. Indossavaun gilet a quadri bianchi e neri,dei calzoni ricuciti più volte e degliscarponi vissuti, con i lacci mangiati daltempo.Joe teneva qualcosa tra le sue braccia, unqualcosa di dorato e luccicante. Uno strumentomusicale. Una tromba.Non si presentò, non disse da dove venivané, tanto meno, dove voleva andare.Si era fermato all’angolo della via, nessunolo aveva visto arrivare. Aveva tiratofuori quello strumento luminoso e avevainiziato a suonare.Le dita di Joe erano come i prolungamentidi quei tasti che egli pigiava con naturalezza.I suoi occhi erano chiusi, nessunopoteva sapere di che colore fossero,ma molti immaginarono che avessero lostesso colore dell’oro fuso.A lungo restarono ad ascoltare quella musicache non aveva nome e che da nessun’altraparte avevano mai sentito. Poi,uno ad uno, si allontanarono, tornando algrigiore dei loro impieghi, portando peròTIME OUT • n°3 - 4 • Marzo/Aprile 2007PRIMO PIANO3

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