PRIMO PIANO4con sè un fioco barlume, un’eco scintillantedi quella melodia vibrante.Joe non si mosse dall’angolo della strada,continuando a suonare, come se maisi fosse accorto che altri erano venuti pressodi lui ad ascoltarlo.Quando scese la sera e per le vie dellacittà iniziò a corricchiare un vento frizzantino,Joe staccò le sue labbra dallostrumento e prese un grande respiro.Due vecchietti, con grandi occhi neri, eranorimasti per tutto il pomeriggio ad ascoltarlosu di una panchina, tenendosi permano come facevano da giovani. Nel sentireche la musica era cessata, però, si eranoalzati entrambi, stupefatti.“<strong>De</strong>ll’acqua. Ho la gola secca”, disse Joe aidue, pizzicandosi la pelle sotto il mento condue dita. La vecchietta subito si prodigò nelcercare quanto richiesto dal musico, mentrel’anziano gli si avvicinò lento lento. “Machi accidenti sei?”, chiese il vecchio con lavoce roca e qualche dente in meno.Joe rispose solo con un sorriso. Allora l’altrolo incalzò, aggrottando la fronte. “Di,sarai mica quello scapestrato di Gilbert?”La vecchina, tornata in quel momento conun bicchierone d’acqua, apostrofò il marito.“Ma quale Gilbert! Non vedi che hai capelli scuri?”“Si possono sempre scurire! A me son caduti,donna, non capisco perchè a lui nonpossano essersi..”Ma Joe li zittì, dopo aver bevuto un grandesorso ed essersi così dissetato. “Vi ringrazio.Ora se non vi spiace, tornerò asuonare.”I due vecchi restarono ammutoliti, poichéJoe era davvero tornato a strimpellarenote.Nessuno lo interruppe più, quel giorno.La cosa stupefacente è che Joe suonò pertutta la notte, senza fermarsi un attimo. Lasua melodia raggiunse tutte le abitazionivicine, si infiltrò tra le fronde degli alberiove si appese ai rami e rimase, come filidi seta morbida, frusciando nel vento.Le coppie di amanti che percorrevano quellevie sotto la luce delle stelle, sentendoquella musica si stringevano un poco dipiù, come persi. Le note avevano la capacitàdi portarli lontano, in terre all’apparenzafamiliari, ma dal cuore sconosciuto.Anche dentro la casetta dal tetto rosso,quel bambino che tutti credevano muto,ascoltò la musica di Joe.TIME OUT • n°3 - 4 • Marzo/Aprile 2007La ascoltò per tutta la notte, tendendol’orecchio e sporgendosi ogni tanto dallafinestra. Anche la Luna, nel cielo, siinnamorò di quelle note rimaste impigliatetra le stelle.La ascoltò per tutta la notte, tendendo l’orecchioe sporgendosi ogni tanto dal cielotrapunto di diamanti scintillanti.Nessuno contò i giorni che Joe trascorse all’angolodella via, suonando ininterrottamentela sua tromba, fermandosi solo perbere un po’ d’acqua portata dai vecchietti.Fatto sta che si abituarono a lui: quando glipassavano davanti lo salutavano con un sorriso,con un cenno; alle volte restavano lìvicino, tentando di capire quale segreto ostoria quell’uomo nascondesse.Iniziarono a fantasticare su di lui, qualcunose lo immaginava come un grandemusicista in fuga dal passato. Altri lo dipingevanocome un’entità senza tempo.Nessuno conosceva il suo nome. Joe nonparlava. Joe suonava, questo era tuttoquello che poteva donare loro.Una mattina il bambino che tutti credevanomuto scese nella via, camminandoper strada con gli occhi bassi.Si avvicinò a Joe e rimase a guardarlo perun po’. Come d’incanto il musicista smisedi suonare, alzò la testa e guardò a suavolta il bambino.“Ehy!” salutò Joe con un grande sorriso,un sorriso luminoso come il suo strumento.Il bambino restò zitto, come sempreda anni.“È muto” borbottò una ragazzina dai capellibiondi, che stava osservando la scenada lontano. Piano piano tutti i passantisi fermarono, perchè Joe aveva smessodi suonare e loro se ne erano accorti.“Sei muto, ragazzino?” chiese Joe al bimbo,come a cercare conferma.Il bimbo non rispose. I suoi occhi si riempironodi lacrime e scappò via.La ragazzina si mise a ridere. “È muto epure scemo!”Joe corrugò la fronte e tornò a suonare.La gente riprese la sua vita, tranquillizzatadalla musica vibrante.La notte seguente Joe stava suonando ininterrottamenteda ore, quando sentì la golapizzicargli. Era un’arsura che gli nascevadalla punta della lingua, gli infiammavai polmoni e gli seccava la gola. Smisedi soffiare nella canna della tromba, gli occhigli lacrimarono. “Acqua!”, pensò con
insistenza, “acqua!”. Ma gli abitantidella città erano chiusi nelleloro case, dormivano cullatidal ricordo dei suoni di tutto ilgiorno: nessuno avrebbe portatoda bere a Joe.D’un tratto, dalla fine della viabuia, una figura di donna preseforma. Era vestita con un abito argentato,stretto, e aveva un voltorotondo, morbido. Gli occhi eranochiari e la sua pelle sembravaemanare un chiarore soffuso.“Tu devi essere Joe”, disse ladonna. Tra le mani aveva unabrocca d’acqua. Joe restò ad osservarla,pensando che fosse ladonna più bella mai vista. La donna perla quale suonava il suo strumento, unadonna che ancora non aveva mai incontrato,prima d’allora.“Ti ho portato l’acqua. Così potrai tornarea suonare.”“Come conosci il mio nome?”, chiese Joe,stupefatto, prendendo la brocca che ladonna gli porgeva con pacatezza.“Io so molto di te, Joe: ho ascoltato la tuamusica da quando sei giunto qui, ed essaparla più di quanto tu creda. Ha mormoratoalle mie orecchie la tua vita e miha permesso di conoscerti.”Joe restò in silenzio, divenendo partecipedi una verità di cui mai si era reso conto.“Ricordati di queste parole, Joe”, disse ladonna, poi gli diede le spalle e si allontanò,svanendo nella notte.Quando Joe riprese a suonare, la luna eracalata oltre le colline e i suoi crateri grigierano come tesi in un amorevole sorriso.Come era possibile?Joe se ne andava, doveva riprendere ilsuo cammino.Le stagioni si susseguono, il vento soffiasulle foglie attaccate ai rami e poi le trascinagiù, quando è autunno.Alla notte segue il giorno. E c’è sempre,che lo si voglia o meno, un addio.Tutti accorsero per salutarlo. Alcuni eranoarrabbiati con lui. Altri si limitaronoad un sospiro. Nessuno accettò indifferentel’abbandono.Anche il bambino che tutti credevano mutovenne a trovare Joe. Un po’ timidamenteil piccolo si fece avanti tra gli adulti, iragazzini, le vecchie, i cani e i gatti chedurante le ore notturne erano stati gli unicispettatori del musicista. Gli fecero spaziocon più facilità quando videro conquanta determinazione si avvicinava all’angolodella via occupato dal musicista.Si creò il silenzio quando il bambino finalmenteraggiunse la sua meta. Joe fececenno al bambino di avvicinarsi di piùe il bambino lo fece, senza paura. Il musicistaallora tese la sua mano in una carezza.Quindi lasciò tra le braccia del piccolola sua tromba.“Soffia forte!”, gli disse con un sorriso, mentretutti, attorno a loro, sembravano scettici.La ragazzina del giorno prima scossela testolina. Qualcuno bisbigliò mezze frasidal suono un po’ aspro. Joe fece fintadi non sentirli e anche il bambino, perchèeseguì l’ordine, ma timidamente. Dallatromba uscì un suono fioco e buffo, chesembrava lo starnuto di un elefante.“Forte, ragazzino! Forte!”E allora il ragazzino soffiò con tutta l’ariache aveva nei polmoni: il suono ne uscìrotolando verso il cielo limpido e tutti sentironocon le loro orecchie, tutti, nessunoescluso..., che il bambino aveva parlato.Joe rise, una risata metallica.Il bambino fece un grande sorriso. Tuttierano sbalorditi. “Questa sarà la tua nuovavoce, ragazzino. E ora va’ a farti conosceredal mondo”.Quel giorno la cittadina di Riveldown perseun musicista, ma ritrovò un bambino,un bambino che tutti credevano muto, mache aveva atteso in silenzio di poter farsentire il suono della sua Voce.Non tutte le storie insegnano qualcosa,ma state pur certi che ognuna ha unsuono diverso.PRIMO PIANOTIME OUT • n°3 - 4 • Marzo/Aprile 2007 5