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Arcipelago Itaca 8

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ARCIPELAGO itacaletterature, visioni ed altri percorsiideatore e curatore: Danilo MandoliniInserire disegno di Luigi Bartolini


[…]Ma ei non brama che veder dai tettisbalzar della sua dolce <strong>Itaca</strong> il fumo,e poi chiuder per sempre al giorno i lumi.Omero, Odissea - Libro IAVVERTENZA.ARCIPELAGO itaca è un’iniziativa realizzata senza fini di lucro, resa disponibile nel solo formato digitale e distribuita gratuitamente, via e-mail e tramiteinternet (www.arcipelagoitaca.it), a circa 800 tra associazioni ed operatori culturali, riviste di letteratura e non, critici, scrittori ed estimatori.ARCIPELAGO itaca non è da considerarsi una testata giornalistica in quanto non ha periodicità e non può pertanto essere ritenuta un prodottoeditoriale ai sensi della legge n. 62 del 07.03.2001.Testi ed immagini contenuti in ARCIPELAGO itaca sono riprodotti, quando possibile e per lo più, previo espresso consenso dei relativi autori (sonosempre e in ogni caso citati gli autori e/o le fonti di reperimento).ARCIPELAGO itaca è un marchio registrato.


Le riproduzioni di dieci acqueforti diLuigi Bartolinicommentano questa ottava apparizione di ARCIPELAGO itaca.In copertina: I trogloditi di Luigi Bartolini - 1949L’ordine di presentazione degli autori di VOCI - eccezion fatta per le rubriche OPERA PRIMA e RILETTURE,che sono in apertura, e SOLO INEDITI, che è in chiusura - è alfabetico.EchiUn ricordo di Claudia RuggeriLa poesia di Claudia Ruggeri: fuoco, vetta e cadutadi Stelvio Di SpignoTesti da Inferno minoreVociOPERA PRIMArsvp di Alessandra CavaPronta in bilico di Natalia PaciCon note di Danilo MandoliniRILETTURE - Patrizia CavalliGian Maria AnnoviLuca ArianoAnna RuotoloSOLO INEDITID’amore ideale e vita di Mauro BarbettiDa Bagnanti di Renata MorresiCollage Giuseppe Ungaretti1 - 3435 - 4445 - 5556 - 6263 - 9394 - 130131 - 165166 - 172173 - 180181EchiOttava apparizioneUn ricordo di Claudia RuggeriLa poesia di Claudia Ruggeri: fuoco, vetta e cadutadi Stelvio Di SpignoTesti da Inferno minoreVociOPERA PRIMArsvp di Alessandra CavaPronta in bilico di Natalia PaciCon note di Danilo MandoliniRILETTURE - Patrizia CavalliGian Maria AnnoviLuca ArianoAnna RuotoloSOLO INEDITID’amore ideale e vita di Mauro BarbettiDa Bagnanti di Renata MorresiCollage Giuseppe Ungaretti


Luigi BartoliniLuigi Bartolini (Cupramontana, 8 febbraio 1892 - Roma, 16 maggio 1963) è considerato, insieme a Giorgio Morandi e Giuseppe Viviani, tra i maggiori incisori italianidel Novecento. Formatosi all‘Accademia di Roma, le sue prime acqueforti risalgono al 1914. Il suo stile si riallaccia alla tradizione naturalista italiana dell'Ottocentoguardando, al contempo, alle stampe di Rembrandt, Goya, Telemaco Signorini, Giovanni Fattori e degli incisori del Settecento italiano. Partecipò, su invito, sia comeincisore che come pittore, a quasi tutte le edizioni della Biennale di Venezia dal 1928 al 1962, ricevendo il premio per l'incisione nel 1942. Sempre per l'incisione fupremiato anche a Firenze, nel 1932, con Morandi e Umberto Boccioni (alla memoria), alla Quadriennale di Roma, nel 1935, e a Lugano, nel 1950.Nel 1933 venne arrestato per motivi politici ad Osimo, dove risiedeva da qualche anno, dal regime fascista col quale pure aveva ampiamente collaborato. Dopo unmese di carcere ad Ancona venne confinato prima a Montefusco e poi a Merano dove rimarrà fino al 1938. Si trattò, secondo il suo biografo Luciano Troisio, di un«processo e di un confino farsa» perché «l'antifascismo di Bartolini è perlomeno strano, dato che i veri antifascisti erano in carcere, ridotti all'impotenza, al silenzio,e comunque derisi, e non avevano certo, come Bartolini, intere pagine delle riviste fasciste a loro disposizione, tutta la loro opera diffusa, le incisioni riprodotte, lepoesie pubblicate, le opere narrative recensite dagli organi del partito e pubblicizzate…» (Troisio, L'amoroso detective).Nel biennio 1949/1950 realizzò, insieme ad un autoritratto e per l’importante collezione Verzocchi di Forlì, Le mietitrici, oggi alla Pinacoteca civica di quella città.Fu presente a tutte le più importanti manifestazioni artistiche del suo tempo, sviluppando diverse “maniere” definite da lui stesso: "maniera bionda", "nera" e"lineare”. Utilizzando queste stesse “maniere” realizzò numerose acqueforti con paesaggi delle Marche e della Sicilia e le serie: Gli insetti, Le farfalle, Gli uccelli eScene di caccia. Notevole anche la sua attività di scrittore, poeta, critico d'arte e polemista, con oltre 70 libri pubblicati con le maggiore case editrici. Fucollaboratore delle principali riviste e testate giornalistiche italiane del suo tempo.Nel 1946 pubblicò, per l'editore Polin di Roma, il romanzo Ladri di biciclette dal quale Cesare Zavattini trasse spunto per la sceneggiatura dell‘omonimo film diVittorio De Sica. Nel 1965 gli viene dedicata una retrospettiva nell'ambito della IX Quadriennale di Roma.Luigi Bartolini


La scuola media - 1924


echi


Raccoglitrici d’olive - 1933Tre ragazze zingare al bagno - 1937


Claudia RuggeriPer lungo tempo dimenticata, praticamente mai “sbocciata al grande pubblico” a causa della sua prematura scomparsa,consumata dalla malattia psichica che la portò al suicidio (si gettò dal balcone di casa nell’ottobre del 1996).Si deve a Mario Desiati, narratore e poeta, pugliese anche lui, la riscoperta dell’opera di Claudia Ruggeri allorché, nella fined’anno del 2004, “Nuovi argomenti” le dedicò un ampio spazio del numero 28 della sua 5a serie.Quella dell’artista salentina è una voce ancora autentica ed inedita della poesia contemporanea. Lo era già negli anni in cuivisse tanto che si parlò di lei, allora giovanissima, come di una sicura promessa della letteratura italiana. La sua pronuncia èalta ed ardua al tempo stesso. Nel suo versificare si ravvisano i più disparati echi: Dante, la taroccologia, una certa misticaantica, la scuola di Federico II, la tradizione trobadorica e tanto altro ancora. A ragione Desiati si riferisce alla sua cifra stilisticae a lei in termini di «barocco non decadente» e di «mito giustificato».Si propone, a seguire, una nota bio-bibliografica di dettaglio dell’autrice, un saggio davvero esaustivo e puntuale diStelvio Di Spigno intitolato La poesia di Claudia Ruggeri: fuoco, vetta e caduta, un’ampia selezione di testi curata da DaniloMandolini e tratta dall’unica opera edita della scrittrice (Inferno minore) e, in chiusura, un breve carteggio intercorso, nel1990, tra la poetessa e Franco Fortini.Claudia Ruggeri


Claudia Ruggeri1Nacque a Napoli il 30 agosto del 1967 da madre napoletana e da padre leccese.Claudia Ruggeri Nel 1968 si trasferì, con la famiglia, a Lecce dove visse fino alla fine dei suoi giorni.Inferno minore Frequentò il Liceo Scientifico approfondendo, contemporaneamente, l’eserciziodella lingua inglese. In seguito si iscrisse alla facoltà di Lettere moderne e a quelladi Teologia. Nonostante avesse sempre ottenuto risultati brillanti nello studio,non riuscì mai a laurearsi. Questo: a causa dei problemi psichici che nel tempol’aggredirono, fino ad annientarla. Grande lettrice, la sua formazione risultòampiamente arricchita anche dai numerosi viaggi effettuati sin dall’infanzia.Particolarmente significativi per lei furono il lungo ed avvincente periplo dellaTurchia che la pose in contatto con il fascino di antiche civiltà nostre antenate. Inseguito partecipò, prima della caduta del muro di Berlino, ad un “tour” dei paesidell’est europeo (Polonia, Ungheria, Russia) durante il quale poté constatare, devisu, alcune realtà contemporanee ne alcune allora realtà pressoché contemporanee sconosciute allora alla pressoché maggior parte sconosciute degli occidentali. alla maggior Un’altra parteesperienza significativa fu rappresentata degli occidentali. da un Un’altra viaggio esperienza in India e nello significativa Sri Lanka. fu rappresentata da culturaleDall’età di circa 18 anni partecipò salentino.“Laboratorio di poesia”, creato nel 1985 dal Prof. Arrigo Colombo e dallostesso diretto. Questi - docente presso l’Università di Lecce, filosofo, scrittore e poeta - riuscì, con lacollaborazione di un altro intellettuale, il Prof. Walter Vergallo, a dare un forteimpulso al fermento culturale salentino. Nacque la rivista “L’incantiere” e prese ilvia il festival “Salentopoesia”. Si trattava dei primi reading pugliesi dove i miglioriautori italiani si cimentavano, per intere serate, nella lettura di poesie. Vipartecipò anche Claudia incantando la platea per il fascino delle sueperformance.Nel “Laboratorio di poesia” convergevano i maggiori poeti salentini. Claudia eratra questi: forte e fortemente creativa nel discorso lirico, straordinaria edincomparabile nella recitazione, personalissima sempre. Con la sua poetica arduae singolare, Claudia si impose per la vitalità espressiva e per l’uso quasispregiudicato della lingua, tanto che Franco Fortini, pur riconoscendo in lei le“stimmate” dell’artista, le rimproverò la foga letteraria in termini di “impunità”


Claudia Ruggeri2della parola. Fu in quegli anni che fece conoscenza, e sovente strinse relazioni diamicizia, con numerosi personaggi del mondo letterario ed artistico; dal già citatoFranco Fortini (a cui fu legata da un insolito vincolo di stima ed affetto), a DarioBellezza; e poi: Adolfo Oxilia, Giampiero Neri, Enzo Di Mauro, Antonio Verri,Bruno Brancher, Michelangelo Zizzi, M. Luisa Spaziani ed altri.La sua morte fisica sembrò segnare la sua “cancellazione” dalla mente e dal cuoredi quei tanti che le si erano proclamati amici ed estimatori. Tranne un numerodella rivista “L’incantiere” interamente dedicato ai suoi testi e a saggi critici sullasua poetica, pubblicato dopo la sua morte e in concomitanza di una seratacommemorativa organizzata presso l’Università di Lecce, più nulla accadde.Otto anni dopo la sua scomparsa lo scrittore Mario Desiati le dedicò, nel n° 28(ottobre-dicembre 2004) di “Nuovi argomenti”, un’ampia sezione della rivistapubblicando una significativa pubblicando selezione di pubblicando versi, testimonianze e ritratti fotografici.Fu lo stesso Desiati che in seguito, nel 2006, per conto della casa editrice peQuod, curò anche la stampa delvolume Inferno minore che contiene, altresì, Le pagine del travaso ed un cospicuo numero di altricomponimenti.Nel 2007, "Terra d'ulivi" di Lecce edita Oppure mi sarei fatta altissima: saggio sullapoetica di Claudia Ruggeri a cura di Alessandro Canzian.Nel dicembre dello stesso anno viene bandito, dall’omonima Associazioneculturale, il Premio letterario Claudia Ruggeri destinato ai giovani autori.È del 2010, infine, l’uscita, per l’editore Lietocolle, del volume La sposa barocca -Sette saggi su Claudia Ruggeri.È morta suicida, a Lecce, nell’ottobre del 1996.Buona parte dei manoscritti della poetessa si trova oggi a Firenze, presso ilGabinetto G.P. Vieusseux.www.claudiaruggeri.it


La poesia di Claudia Ruggeri: fuoco, vetta e cadutaDi Stelvio Di Spigno1. Adolescenza di un fenomeno.Trovarsi davanti al volume Inferno minore di Claudia Ruggeri [1], vuol dire, nello specifico, affrontare una sorta diMoloch gigantesco, inafferrabile, dotato di poteri quasi sovrannaturali e per questo ancora più terribile e sconvolgente:e lo specifico di cui parlo è un tentativo di lettura critica, ancorché provvisorio e superficiale, e di quando in quandofuorviato dall’enorme massa di informazioni che occorrono per tentare di creare una mappa delle funzioni letterarie epsichiche di questa scrittura. Il libro riassuntivo che raccoglie le sue poesie giovanili insieme all’unica raccolta compiutadell’autrice, introdotto da un commosso e lucido intervento di Mario Desiati, è una sorta di monumento all’oscurità ealla grandezza di una scrittura che ha rischiato, nell’arco di circa dieci anni, di finire nell’oblio, se non fosse stato lostesso Desiati a riproporla con forza all’attenzione nazionale nel 2006 con una sezione monografica apparsa sul numero28 di “Nuovi argomenti”. Della Ruggeri si sa poco. La sua breve vita non consente, per fortuna, facili e oziosicollegamenti tra la sua produzione letteraria e momenti più o meno significativi della sua esistenza, terminatatragicamente a 29 anni nel 1996. Ma non è detto che questo sia un male. Possiamo affermare che senza la melensaaneddotica e i tentativi di ricomposizione biografica che si sviluppano incontrollatamente in questi casi, la solaattenzione sui testi non possa che giovare alla causa.Claudia Ruggeri, in quest’ottica precisa, è la sua scrittura, la sua pronuncia abnorme, la sua casualità e caducitàletteraria e forse un mistero che tale rimarrà. Tocca a noi introdurci in questo budello dalle fattezze preistoriche,cercando di uscire vivi dalla matassa di mostri che l’autrice crea appositamente per i suoi coraggiosi lettori. Non èdifficile fornire, e al limite inventare, definizioni sulla poetica della Ruggeri. Si tratta di una scrittura così peculiare ecaratterizzata, tutta sbilanciata verso l’infrazione e l’esagitazione strutturale, che le etichette coniate fino a oggi nonrisultano peregrine. Si può agevolmente parlare di una scrittura barocca, irritabile fino al parossismo, espressionista einsieme ermetica e trobadorica, se a quest’ultimo termine forniamo l’accezione più comune di trobar clus, di unpoetare consapevolmente oscuro. Si può aggiungere che, già nelle poesie giovanili raccolte in volume, si riscontraquella capacità di creazione di mitologie personalizzate, di auto-miti e auto-simboli, simboli, che sarannocostantemente riprodotti in Inferno minore (l’unica opera compiuta dell’autrice) contribuendo a formarne la cifraessenziale. Alla Ruggeri non occorrevano i miti comunemente in uso nelle fragili produzioni mitopoietiche: le servivanopiuttosto degli archetipi, delle arcaiche formalizzazioni mitologiche sulle quali formare la propria griglia di titani eoggetti numinosi in perenne e folle movimento. Come pure non si può tralasciare quella padronanza totale dellasintassi poetica, talmente radicata e padroneggiata da poterla riportare a una furia naturale, a una forza della naturacalata nella testualità.ClaudiaRuggeri[1] C.Ruggeri, Infernominore, introduz. diM. Desiati, peQuod,Ancona 2006.3


La poesia di Claudia Ruggeri: fuoco, vetta e cadutaScrittura, quindi, barocca, inestricabile per oscurità, espressionista fino al più macerante dato biologico, ermetica,simbolica, a-sintattica, a-semantica e quant’altro. Tutti conseguimenti critici che devono però scontrarsi con unapronuncia talmente estesa e spettacolare da fondere audacemente questi elementi in una sintesi suprema. Ma seaccettiamo la rappresentazione di un riflusso finale di tutto l’universo della Ruggeri come fatto e non come circostanza,dobbiamo a maggior ragione cercare un movente, il principio o il cardine di questa energia poeticamente vulcanica, chene determini, almeno approssimativamente, un fine e un movimento primario. Abbiamo detto che Claudia Ruggeri è lasua scrittura. Il senso di questa affermazione è che essa svuota di significato la persona fisica di Claudia, la sua storiapersonale, le sue affezioni extraletterarie per riproporle, deformate e irriducibili a qualsiasi riferimento preciso, nelcampo magnetico degli automatismi della sua pagina. In questo caso, la scrittura assume una disposizione ludica,performativa, che bilancia l’enorme peso e l’enorme responsabilità che le spalle della poetessa adolescente dovevanosopportare sin dalle prime prove significative:Alla cute del Soleche per te bordeggiaper il ventoche sboccia il paesenella lucerinvigoriscono i piedipestando la terra,quando gli ultimi favoridi pioggiarischianola morbida azionedel tuo colloinferociscono i piedibattendo il suolo duroallora sfrecciatra gli alberi le stellela vitaper andare a gocciareattrattanegli occhi dell’ultimo nato [2]ClaudiaRuggeri[2] Ivi, p. 48.4


La poesia di Claudia Ruggeri: fuoco, vetta e cadutaQuesto testo, scritto tra i quindici e i ventidue anni, potrebbe rappresentare la prima tappa immaginaria del percorsodella Ruggeri. In esso si possono sentire, quasi fisicamente, i rumori, la durezza della terra, l’incipiente urgenza delcorpo a darsi come fattore disturbante. Eppure, questo testo già ipnotico e internamente necessitato, sembrerebbeappartenere a uno dei tanti epigoni ermetici (parlo qui dell’Ermetismo storico) che hanno imperversato, soprattutto alSud, ben oltre la fine dell’originario movimento fiorentino. Non mancano, nella prima produzione dell’autrice, altriesempi di questa tipologia. Ma essi non sono altro che la prima fase di una totale scomposizione dei valori omologantidel testo poetico tradizionale, a favore di una sorta di scrittura rabdomantica che ingloba,linguisticamente, praticamente di tutto. Accanto al testo riportato sopra, sempre nell’arco di tempo che va dai quindiciai ventidue anni dell’autrice, ecco una prima sedimentazione testuale che rasenta i limiti dell’informale, già pregna ditutta la convivenza linguistica di cui parleremo più diffusamente quando sarà il momento, il momento di Infernominore:l’elemento innerva corpo datoerrore di tempo probabile di casopercepito ipotesi) qualche stellascoppia in silenzio la chiamanoUna volta quando si dice una voltae lo si dice adesso - oggi persinoesiste un bosco acuto a nozze attintoal volo persino ha dato il suoloal passo che si spolpa al solespopolato verde fino alla soglial’ipotesi d’immagina checollassaspauritadentro il cuore [3]La propensione a centrifugare elementi stilistici diversi è già in atto: nasce con l’autrice e si perfezionerà sempre di piùman mano che non solo la sintassi, ma anche le più minuscole ipotesi di senso compiuto scompariranno, lasciando aitesti la loro sola esistenza fàtica. Tuttavia, proprio per la “medianità” di questo testo, possiamo cogliere alcuni aspettiche sembrano già attuativi del prosciugamento sintattico e semantico delle poesie successive: la non ravvisabilità delClaudiaRuggeri[3] Ivi, p. 27.5


La poesia di Claudia Ruggeri: fuoco, vetta e cadutareale, ridotto a un «elemento» che si coagula in un «corpo dato», una sorta di “corposità” del nulla; le primeprospettive di intervento del «caso», che si svilupperanno in chiave mitica; l’incertezza esistenziale dell’«errore» edell’«ipotesi»; l’iperletterarietà del settimo verso, posto ad arte nel diluvio di referenti naturali che gli si oppongono,configurando così un delizioso alterco arte-natura: «esiste un bosco acuto a nozze attinto»; la presentificazione dellascrittura come elemento a sé stante, tutto confitto in una ripetizione («Una volta… una volta») che preannuncia leinfinite propensioni della sua lingua verso esiti nichilistici: «Una volta quando si dice una volta / e lo si dice adesso»; einfine lo splendido, pilotato deflusso di tutto l’accumulo verbale verso il giocoso sentimentalismo degli ultimi due versi,indice di una magistrale padronanza dei vari registri emotivi e della dinamica del verso libero.Sebbene questo sia solo un assaggio, l’essenza stessa della scrittura della Ruggeri è già ravvisabile, seppure in nuce: unascrittura che dovrà lacanianamente compensare il vuoto (che la poetessa avverte come universale), planando suiterritori della psicosi (sentita come un destino ineluttabile), ma che al contempo dovrà, come scrittura, proiettarel’assenza assoluta dell’io, organizzare un discorso in absentia di se stessi e dei dati di realtà, con tutta la corona ditraumi e terrori che questo comporta. Ecco che l’io, da base sicura dalla quale partire, diventa un io, quello dellaRuggeri, che esiste solo dentro il discorso e non altrove, e quindi mai, se non in un conato creativo e ancestrale che è,per lei, ferita e medicamento, vetta e caduta. Eppure, è proprio in questo che risiede la grandezza di questa poetessa: lasua espressività proteiforme parte da una mancanza, da un’assenza a priori di tutto, da un gesto poetico invalidanteche deve fare da contrappasso: già esente dall’invadenza della personalità empirica e individuata, l’autrice puòpresentarsi al mondo come una dilaniante medium, una fessura nella roccia di grandezza indefinibile che soffre per ilsuo svuotamento psichico, ma che produce una poesia che è puro suono. Ma prima di arrivare a questo segno, vi sonoda demolire alcuni materiali inerenti al sogno di un’intenzione razionale che determina l’accadere delle cose.Il primo stadio di questo movimento è la sospensione, grazie alla quale può forgiarsi costantemente la scrittura.In Trilogia e sospensione blu [4], appartenente a un’altra “epoca” della vita dell’autrice, i poeti demitizzati e dimenticatidal favore del destino si fanno avanti, anzi «escono dalle tane», solo dopo che una distrazione fatale, la distrazione diDio nei confronti degli umani, diventa una malvagia e selvatica contraddizione verbale. Il secondo gradino di questadiscesa agli Inferi è la morte: tra le poesie scritte dalla Ruggeri tra i ventitre e ventinove anni (quindi coeve allaformazione di Inferno minore), ve ne sono due che metaforizzano l’assenza come visione terminale della vicendaumana e artistica del singolo [5]. Vorrei sottolineare che esse metaforizzano perché, piuttosto che essere degli epicedi“in morte di”, sono piuttosto dei fenotipi di un abbandono che compie un cerchio magico attorno a se stesso, per nonfarsi penetrare dalla privatezza delle occasioni dalle quali scaturiscono. La scrittura e la morte, in queste pagine, nonhanno nessun nesso di natura causale. La morte è un evento costituzionale, e la sua presenza accanto al mondoperimetrale dell’arte non fa che confermare che ogni motivazione esistenziale non è né trasmissibile né verificabile, maClaudiaRuggeri[4] Ivi, p. 69.[5] Mi riferisco a Perla morte diStefano e In morte diMarcello(giaculatoria), in C.Ruggeri, cit.,rispettivamente pp.65-6 e 78-9.6


La poesia di Claudia Ruggeri: fuoco, vetta e cadutatrae legittimazione solo dal fatto che l’espressione poetica non può essere repressa dal lutto. Raggiunta questaformulazione di inumana empietà, la scrittura può finalmente fluire senza più ostacoli. Nel suo più assoluto artificio,essa può costituirsi in forme dirette e orientate oppure crescere su se stessa come un infinita concrezione verbale.La Ruggeri può anche permettersi il lusso, consentito solo ai grandi scrittori, di scrivere della e sulla scrittura, di ridurreil contenuto a un ridicolo simulacro del passato, di affermare che ogni possibile senso da attribuire al testo è solo iltesto stesso, che si libera definitivamente dalla balzana ipotesi di un’idea che sorregga il discorso. Ed è, in gran parte, lafonicità rituale e incantata del Salento a guidarla in questo processo: le «frasi di contadini» in un foro immaginario, le«preci di donne nere e gonfie», il «lamento» di qualcuno «mentre sgozzava agnelli», una «strana melodia», una«musica benefica», «un lento accordo di pietra / e di divino» che la giovane Claudia ha assorbito, insieme a tutti gli altribrani fonografati dalla sua imponente memoria, per dedicarli all’amico morto, a un amante derelitto o a una qualcheentità non personificabile. È la terza tappa di questa marcia verso la libertà spirituale che occorre per ideare Infernominore: sembra una fuga in avanti, invece è un ritorno alle origini della lallazione poetica, al caos combinatorio dilettere e lemmi infuocati e divoranti. Ora davvero vexilla regis prodeunt inferni:ClaudiaRuggeriCanzone alla lunaFuor dalla terra del rattodel riccio, esco dall’interessepianura. tengo lo sguardo contro l’arsuracontro l’avverso colle verso il Paziente margineministro verso l’anziana Piantadel verso Avvenire con quella mentechiara del mio più Chiaro autore.ché matura in un attimol’immagine del pesce, dell’amarantoIncanto. nessuno scoop, una notiziachiusa nel notiziario scientificodel terzo canale. tra altro materialeastrale, nuovi silenzi7Ché il vento ormai s’elabora di tutte le parolema di parole. Rotolo


La poesia di Claudia Ruggeri: fuoco, vetta e caduta…e non si vota il vasoceleste non si consuma il pesce per il bandoloamaranto in questa vasca dove la mentenuota; navigaentro la piena: là, la serena, disaminataimmersa, esplicita luna. [6]Dottrina poetica, materiali televisivi di scarto, tentazione informale e strabordanza associativa, citazionismo polimorfoe fermenti iperletterari: non si vedeva niente di simile dai tempi del miglior Zanzotto, che pure è passato dallapolverizzazione normativa della Beltà, alla quasi cavillosa stabilizzazione del Galateo in bosco, fino al recupero di unaverginità della parola nel suo ultimo libro notevole, lo struggente Idioma del 1986. In genere, simili paragoni vengonostigmatizzati. Qui il paragone, ancorché sibillino e quasi sussurrato, sembra quasi doveroso. Almeno in chiave di ereditàprovocatoriamente compromissorie. Dal Montello al Salento, attraverso talenti linguistici di questa portata, il passo nonè poi così lungo.2. Inferno minore: Matti, visioni e furori.La vicenda di Inferno minore, attorno alla quale ruota sia la poesia precedente che i tentativi di quella successiva, leembrionali Pagine del travaso, si determina attorno a una consapevolezza espressiva che non solo stupisce perprecocità, ma che permette una tale proliferazione di funzioni testuali da restare interdetti. L’unica opera compiuta diClaudia Ruggeri rischia di essere, e in alcuni tratti lo è, una sorta di capolavoro illeggibile, almeno al primo approccio. Illettore consegue subito la sensazione di una poesia anomala, vertiginosa, lontana da ogni calligrafismo frequente nellagiovane (e non) poesia coeva. Ma rimane irretito e intimidito dai dati psichicamente disturbanti che in questi versiscorrono a iosa. La spiegazione, forse l’unica possibile, sta nel fatto che la Ruggeri tocca uno dei tabù dell’arte e dellapoesia moderna: la sua pagina è perturbante, anarchica, annichilente. Possiamo preservarci da essa soltanto attraversoil paradosso e la congettura che essa non entrerà mai a far parte in pieno della nostra esistenza, molto piùconfortevole, a meno che non ci nutriamo di essa per qualche scopo diverso dalla semplice informazione. Dovròricorrere, a questo punto, ad alcune illuminanti pagine di Edgar Wind, che meglio di tutti ha saputo collegare leconseguenze dell’anarchia dell’arte con le premesse naturali che le determinano: “L’arte è - abbiamo il coraggio diammetterlo - una faccenda scomoda, e scomoda soprattutto per l’artista stesso. Le forze dell’immaginazione, dallequali egli trae il suo vigore, possiedono una loro energia, dirompente e capricciosa, che l’artista deve saperamministrare con prudenza. Se egli concede troppa libertà alla sua immaginazione, essa può sfrenarsi e distruggere luiClaudiaRuggeri[6] Canzone allaluna, in C. Ruggeri,cit., p. 77.8


La poesia di Claudia Ruggeri: fuoco, vetta e cadutae la sua opera, per eccesso. «La passione frenetica dell’arte» scrisse Baudelaire «è un cancro che divora tutto il resto».D’altro canto, se egli tormenta il proprio genio, costringendolo a una disciplina sbagliata, […] l’immaginazione puòinaridirsi e atrofizzarsi.” [7]Ricorrendo più volte all’autorità di Platone, Wind aggiunge: “[…] possiamo imparare molto da Platone, se osserviamo[…] la procedura che egli consiglia allo Stato ideale, ogni volta che deve bandire ufficialmente un poeta pericoloso. «Seun tale uomo» scrive «viene da noi per mostrarci la sua arte, ci metteremo in ginocchio davanti a lui, come davanti a unessere raro e santo e dilettevole»; ma non gli permetteremo di rimanere tra noi. «L’ungeremo con la mirra e gliporremo un serto di lana sulla testa, e lo manderemo via, in un’altra città». […] Platone capiva ciò che pochi sembranocapire oggi, cioè che l’artista veramente pericoloso è il grande artista: «un essere raro e dilettevole». Platone credeva -e lo disse chiaramente - che il grande male «scaturisce da pienezza di natura [corsivo mio]», piuttosto che dadeficienza: «invece, le nature deboli sono difficilmente capaci di molto bene o di molto male».” [8]Come per i grandi scultori, artisti e poeti di ogni età, ai quali Wind farà riferimento nelle conversazioni di Arte eanarchia, anche per la poesia odierna è possibile applicare almeno due dei suoi concetti topici, a patto di attualizzarliun poco. Il grande artista anarchico e perturbante non viene bandito da una ideale repubblica platonica. Vienesemplicemente rimosso dalla memoria culturale collettiva confinandolo nell’oblio, cancellandolo, negandogli lavisibilità meritata. Verrà magari riesumato criticamente decenni dopo, quando il suo dettato sarà diventato un prodottostorico, una norma di contraccambio, un oggetto di studio sezionabile e asettico: quando avrà perduto, insomma, ognisua caratteristica spaventosa e incomprensibile. Quanto alla «pienezza di natura», capace nell’arte come in ogni altroambito delle opere umane di «molto bene o di molto male», essa può agevolmente essere sminuita e declassata asemplice bizzarria, insensatezza, persino malanno individuale, confondendola con la massa di altre scritturelontanamente assimilabili, o più semplicemente con il resto della massa di produzioni letterarie che proliferanosmodatamente dall’epoca dell’alfabetizzazione di massa. Queste azioni implicano un grado di acidità e malafededifficilmente perdonabile. Ma con chi può fare ombra a molti, sono in pochi a voler fare i conti.Se ci soffermiamo un attimo su questa situazione, non è difficile osservare che questo trattamento è stato riservatoanche alla poesia della Ruggeri: forse non in maniera così drastica e maligna, ma per semplice distrazione e scarsavolontà di confronto con l’inomologabile. O forse perché, più semplicemente, la Ruggeri non faceva gruppo, non sipubblicizzava, è morta troppo presto e troppo in periferia. Inferno minore contiene al suo interno tutte le facoltà diperturbamento e tutta l’efficace anarchia verbale che serve a un opera per essere ignorata volutamente o disprezzatacome prodotto di una mente viziata. Il lavoro maggiore della Ruggeri è strutturato in modo ambiguo: solo tre sezioniche agglutinano il lettore alla sua presunta brevità. Nella prima, domina e si scatena uno degli auto-miti più icasticidell’opera, il «Matto», la cui lettera maiuscola modella il protagonismo della figura insieme alla sua imponderabilità eClaudiaRuggeri[7] E. Wind, Arte eanarchia, trad. it. J.R. Wilcock, Adelphi,Milano 1997, p. 18.[8] Ivi, p. 21. Le noterelativealla Repubblica diPlatone riportate neltesto, sonorintracciabilinell’accurata sezionedi «Note eriferimentibibliografici», in E.Wind, cit., pp. 133-214 [p. 139].9


La poesia di Claudia Ruggeri: fuoco, vetta e cadutaoscurità originaria. Nella prima delle Prosette che lo introduce, il Matto spunta e dà origine a un sabba forsennato diazioni versificatorie che asserviscono il testo all’imprevedibilità dell’epifania poetica, che è anche una visionaria ecosmica mappa dell’irrazionalità della vita del tutto. Il Matto origina la scrittura e si muove repentinamente all’internodi essa. Ma simbolizza anche la forma e la forza del movimento tellurico del mondo, l’ultimo stadio della dissoluzionedella Storia da parte di energie stranianti e intrusive. Se il mondo ha una qualche causa che ne rappresenta (senzaspiegarne il fine) l’esistenza e la durata, questa è alla mercè delle mille direzioni che il Matto può intraprendere esotterrare allo stesso tempo.La “mattità” implica un’effrazione ontologica, stimola e magnifica la magia del divenire della natura, vista come ancheazione di una «Donna» partoriente e divinante, forse referenziale della funzione stessa dell’autrice. Se il Mattodemolisce scuotendo la tavola tolemaica del pianeta, la Donna porta una «luce forsennata / e nuda» che semplifica erende talmente elementare questa fisica del moto assoluto da consegnare al lettore una richiesta inquisitiva sui residuidi pensiero razionale da spazzare via; la Donna dice, infatti: «ecco, chiediti, come il pensiero sia colpa». Il pensiero èuna zavorra e deve sottostare alle leggi della vitalità naturale, ma ha la colpa di rovinare questa ebbrezza solitaria,patrimonio delle elargizioni del Matto. L’origine dantesca della Donna, confermata anche dall’epigrafe al primo testodelle Prosette intitolate al Matto, configura l’intera sezione come una serie di “cantiche” a sé stanti, masotterraneamente legate fra loro dalla visione magica dell’esplosione intermittente della parola poetica. Se l’intensitàdelle dediche programmatiche al Matto personificano eccessivamente i testi, dopo la dedica o l’indicazione contenutanel titolo, la Ruggeri bilancia questa spericolatezza con un referente culturale forte e una citazione epigrafica. Nel primotesto il garante è Beatrice: si susseguiranno Ninive [9], Romeo di Villanova [10], Orione, Palestina, e «il logoro» [11]. Laprima lirica della serie del Matto ha un carattere indicativo e proemiale. Il componimento a seguire, dopo l’irruzione diquesta figura iconica (sempre grazie alla maiuscola che lo trasforma in mito) nel fluire delle mini-cantiche della sezione,continua con una revisione diminuita del potere della poesia che si trasforma in «carta», che si fa «tutta parlare», chesi confronta con un altro tipo di «memoria», quella dei giardini e dei castelli incantati dove si nasconde l’interlocutore,la cui vita meraviglia e accora la voce narrante [12]. La stessa calma relativa, orientata verso un possibile ascoltatorefiducioso del verbo poetico, calato in un’aura trascendente, si manifesta nell’ultimo testo della serie del Matto.Qui, come in molti luoghi del Paradiso dantesco, vi è un approccio quasi mistico del personaggio dialogante (santo opurificato) con un essere amato. Stavolta, il valore della «carta» è onnipotente e con essa il personaggio dialogantecerca di salvare l’interlocutore dalla futura sofferenza di «una tortura dentro la bara / della Figura», «una condanna allamolla / maligna», una sottrazione di identità, tra Carnevali abominevoli e costrizioni alla finzione nella «muta / buiadell’attore». Una condanna che il personaggio avverte come incombente anche per se stesso, a causa di un perpetuologoramento che affievolisce l’espiazione della scrittura nel potere della «carta»: logoramento che comincia aClaudiaRuggeri[9] Antica capitaledell’Assiria, nota sindal terzo millennioa.c.[10] Romeo diVillanova (1170c.-1250c). Connestabilee gran siniscalco diRaimondo BerengarioIV, conte di Provenza,menzionato da Dantein Par. VI, vv. 127-142e dalla Cronaca diGiovanni Villani.[11] Come giàriportato in nota nelvolume della Ruggeri,si tratta di una sortadi esca per falchi.[12] Il testo inquestione è Il MattoII (morte in allegoria)- Ninive, in C. Ruggeri,10cit., pp. 87-8.


La poesia di Claudia Ruggeri: fuoco, vetta e cadutapresentarsi come una guerra che non potrà essere vinta. Il risultato è quello di presentarsi, persino di fronte al propriooggetto da salvare, come una creatura «senz’anima», provvisoriamente aggrappata a rigenerazioni di durata semprepiù breve, preda di un’esca simile al «logoro», che inganna e facilita la cattura e «l’inverno del falco» [13]. Il Matto, inquesti testi, non è una personificazione della “follia sacra” della poesia: come auto-mito si tratta di una produzionesoggettiva, ma è anche implicato in una serie di significati culturali e para-culturali che la Ruggeri, la cui erudizionedoveva essere prodigiosa, ha estratto da fonti tutt’altro che facili da districare. La prima di queste, e forse la più ovvia, èil Matto dei Tarocchi, che prima di acquistare il loro popolare significato divinatorio, erano delle carte da gioco diorigine tardo-medievale e rinascimentale. Il Matto, nell’economia del gioco, ha lo stesso valore del Jolly delle cartefrancesi e fa parte di un gruppo di ventidue carte dal valore superiore, i Trionfi, cui si contrappongono le cinquantaseicarte tradizionali a semi italiani. Prescindendo dalle numerose valenze sapienziali, filosofiche, cabalistiche enumerologiche dei Tarocchi, il Matto è un elemento che ribalta l’esito della partita, non ha un valore fisso ma arbitrario,è frutto della fortuna e del caso, dipende solo dall’ordine di distribuzione delle carte: tutte queste caratteristiche sipossono fin troppo facilmente estendere a fasi o avvenimenti singoli dell’esistenza, come avviene in chiave divinatoria.Ma è probabile la Ruggeri pensasse al Matto dei Tarocchi solo in chiave iconografica, per il fascino che questa figurapromana in quanto emblema del rischio, della fortuna e della sorte.Spostandoci nei territori del Moderno, il Matto è il simbolo negativo dell’insensatezza e della malattia mentale: il folle,l’alienato, lo psicotico, sono per antonomasia gli esseri più pericolosi, vanno esclusi e segregati, vannocurati e normalizzati. La loro presenza mette in scacco sia le scienze positive, depositarie dei saperi tecnici secolarizzatie nemiche di quelli occulti e religiosi, sia le ordinate apparenze di decoro, virtuosità e rispettabilità della societàborghese. Il Matto della Ruggeri configura un’alternativa radicale a questo stato di cose. Riallacciandosi a fantasmagoriepremoderne e antiche, l’autrice restituisce a questa figura la sua regalità: il Matto ridiventa colui che attraverso ilsapere occulto e religioso prevede, dissimula e altera l’andamento del mondo, senza possibilità di compromessi con lacollettività immersa nell’età della tecnica trionfante. Il Matto conosce quanto infinitesimale e accidentale possa esserel’esito di vicende che iniziano spesso con un’azione volontaria e terminano senza possibilità di previsione né diintervento umano:questa che ora t’interroga, t’arrovescial’inizio; t’avvia a questo Inversocui un dio non corrispose; tu seil’oggetto in ritardo, infanzia persasu tutte le piste, l’incrocio rinviato; sei l’amnistiadell’idioma viaggiato; […]ClaudiaRuggeri[13] Lettera al Mattosul senso dei nostriincontri - il logoro(mode d’emploi), inC. Ruggeri, cit., pp.94-5.11


La poesia di Claudia Ruggeri: fuoco, vetta e caduta[…] ma sei in un balzo (ma appena)o nella capriola che prima t’agganciòdi passi; o c’è chi ti dà un Regno - una parolad’Ordine almeno - insomma un esito una ribalta, comesi dice, un tuffo; e forse una Cittàdove rivolge l’ennesimo esododove s’apre per dita bendate per gli esuligrandi, o per la fase nuova del terreno:(leviamole la femmina, diamo l’idiota a questa lesione.oppure ‘cosa’ resta vecchia l’insensazione) [14]Il Matto capovolto - Palestina, penultimo testo intitolato al Matto, porta allo spasimo la tensione conoscitiva centratasull’inizio. Ma di cosa? Di ogni cosa, vera o immaginaria, collocata in un universo tentacolare, che va dalla più minuscolaparticella elementare fino alla sfera del divino. Ma l’intento della Ruggeri non è quello di definire né di svelare ointerpretare. L’inizio del turbinio delle cose coincide con l’attacco frenetico della sua scrittura. In forza di questo inizio,quasi sempre violento e scardinante quanto a lessico e sintassi, tutto ciò che è viene pronunciato. Ma per essereautentica e fedele questa pronuncia può vivere solo in forza di un abbandono e di un distacco da tutto l’umano, da ognicosa vivente e non, perfino da Dio. Le cose esistono in quanto movimento. È da scartare ogni ipotesi di staticità eriposo. Vivono e si muovono su un fondale scenico sul quale il Matto incide i suoi diagrammi. La Ruggeri, nella solennerimarcazione e ripetizione dei titoli (Matto I, Matto II, lettera al Matto, etc.) vuole rendere ancora più provocatorial’oscurità e l’aporia della propria azione poetica: anzi, nel suggellare testo dopo testo l’appartenenza dei suoi versi aldominio e al dispotismo del Matto, non fa che chiarirci, paradossalmente, le idee. Il culmine di questa ricerca poeticanon può essere che l’inizio in sé considerato. Una volta messe in moto, le cose avranno le stesse abrasioni, anomalie,deficienze, mostruosità retoriche della sua poesia, perché il cosmo è scrittura, e la scrittura non può che fargli eco:«Dimmi se di uno Stagno / snidi l’Imperfezione, oppure le maiuscole / rimangono incredibili» [15]. Il sogno di ognipoeta, una poesia totale che realizza ciò che dice senza dire ciò che è reale, per questa giovane scrittrice salentina si èincredibilmente avverato.ClaudiaRuggeri[14] il Mattocapovolto -Palestina, in C.Ruggeri, cit., pp. 92-3.Il testo è precedutodalla seguentecitazione da P.Neruda: “Y no echeréde meno ni de masno l’impurtamcia sila circumstancia”.[15] Ivi, p. 92.123. La chiusura di Inferno minore e le Pagine del travaso.Dopo un breve Interludio di due sole poesie, che anticipano la cifra espressiva della terza sezione di Inferno minore, la


La poesia di Claudia Ruggeri: fuoco, vetta e cadutaRuggeri sembra voler chiudere i conti sia con gli esiti di timbro e tenuta della sezione del Matto, sia con la suabrevissima storia poetica precedente. La sezione che chiude Inferno minore, infatti, sembra quella che meno ha a chefare con la sua produzione recente e con quella adolescenziale. Si avverte come un effetto di dissolvimento dellemotivazioni stilistiche che hanno sorretto le prove più convincenti, che si traducono in un deciso indurimento deldettato e nella pervicace volontà di espungere qualunque ipotesi di senso, ancorché indefinito, da una pronuncia cheprima ne favoriva almeno un abbrivio ipotetico. Il risultato è che la sezione che avrebbe dovuto chiudere il libro inun’apoteosi, si riduce a un campionario di testi in cui la violenza strutturale e lessicale meccanica e programmatica nescolpisce gli esiti facendo della poesia dell’autrice qualcosa di altro e di inedito, difficilmente rapportabile alla suastessa autorialità. Il breve «canzoniere» che chiude il libro, vive di una contraddizione che nasce dal contrasto tra unapotente necessità di dire e un altrettanto lucido, dichiarato, ossessionante senso della difficoltà di continuare a farlo,almeno nelle forme alle quali la Ruggeri ci ha abituato. Già dal primo componimento della sezione in questione sonoravvisabili alcuni spunti che rimandano a questa cosciente impossibilità di continuare sulla strada intrapresa:prima che il subbuglio ammorza e che asciuga la guazzaprima che la scialuppa tocchi che porta l’Assassino;in tanto che tutto non arrangio non incastro non pace [16]La Ruggeri sembra configurare, sin dal testo iniziale (il cui titolo, in limine, suggerisce un carattere tragicamenteproemiale), ciò che avverrà poco dopo. L’autrice ha intrapreso una corsa contro il tempo: prima che si asciughi la«guazza» del suo estro, prima che la scialuppa che trasporta «l’Assassino» (la morte, probabilmente, o qualche altraforza potenzialmente autodistruttiva), la figura isomorfa che rappresenta l’autrice non può trovare «pace» se non dopoaver incastrato o al limite “arrangiato” ancora dei deflussi testuali che testimonino la sua perdurante esistenza nellalingua. Il risultato più evidente è un assoluto rifiuto della comunicazione convenzionale tra l’io e il lettore, masoprattutto un brusco irrigidimento del livello figurale in una duplice direzione: la cristallizzazione del dinamismoversificatorio verso forme chiuse, seppure di stampo non tradizionale, e la completa dissoluzione dei residui reperti dilingua orale utilizzati nel passato, sostituiti da una virulenta deformazione verbale a base di neologismi invischianti e diirruenti e martellanti catene paratattiche che determinano una sfida aperta al senso stesso del verso:lamento in forma di Elenco IograficoClaudiaRuggeri[16] Ivi, p. 103.Il testo è precedutodalla seguentecitazione da R.P.Warren: “Death isonly the fulfillmentof a wish. Whosewhish?”.13(E TU NON COMINCIAVI TU) il training del contrario il betel dela vecchia il gallo da lotta voce di paperino un atlante un


La poesia di Claudia Ruggeri: fuoco, vetta e cadutaclamore, una gran velocità - oppure l’occasione di sventarla…la Vecchia. (E CHE TIPO DI DOMANDA CERCHERETE DIINTERROMPERE?) il Tratteggio orizzontale la nostra solitudine[grammatica ilGreco del trauma qui pousse à côté prove tecniche diTrasmissione (AL MIO MIGLIOR TRADITO) l’elenco storditol’elenco parlante il fantino del parlante il giullaredell’elenco il giullare faccia bianca il giullare bianco facciafaccia il Giallo di ogni vocale faccia entrare proprio tuttodeve entrare la pedana allestirsi la ribalta deve risciogliersil’elastico al morto che torna del fabbro Locativo se purseguita a Splendere per oscula per basia e per auguglia milia(SE PER BOLOGNA I GOTICI, SE PUR I VISCERI, NONREPLICAVO TE, IO DENTRO I PORTICI?) [17]Non sarebbe particolarmente proficuo descrivere le anomalie e le infrazioni di un testo come questo. Ciò che colpisceparticolarmente è la mutazione in chiave onirica o mitica delle forme verbali, in verità già presente, seppure in quantitàminore e non così eversiva, nella serie del Matto. Ma se le declinazioni verbali tendono a oscurarsi, è l’intera sferasemantica del testo a essere eliminata. La Ruggeri sa bene che se la poesia chiude ogni possibile varco verso unadimensione anche blandamente comunicativa, essa non può che chiudersi sterilmente in se stessa, finoall’autoconsunzione. Per cui, anche in questo accumulo di materiali tutt’altro che inerti, frutto di una sensitivitàesasperata, fuoriescono due lacerti causticamente lirici: «(AL MIO MIGLIOR TRADITO)» e, poco prima, «(E CHE TIPO DIDOMANDA CERCHERETE DI INTERROMPERE?)».Soprattutto quest’ultima macchinazione poetica tende a ristabilire un momentaneo ritorno alla trasmissioneinformativa tra un io che annega nell’accumulo casuale di verbosità inarrestabili e una “mondialità” alla quale si chiedespiegazione di questo evidente stato di disfatta. Più o meno sulla stessa corda rizomatica, suonano testi come lamentodell’Uccello colpito, insieme all’omonimo testo immediatamente successivo, mentre negli altri componimenti, doveabbandonano simboli, neologismi, soprassalti sintattici al limite dell’illeggibilità, il piano simbolico si riduce a deisemantemi, quasi sempre frammentati, che si aggregano secondo modalità manieristiche, sfruttando le già collaudateeffrazioni delle liriche precedenti. Proprio per questo motivo, tutt’altro che secondario, non ci sentiamo di avvicinarel’abolizione semantica di queste liriche a orizzonti dadaisti, neostrutturalisti o neoavanguardisti. I materiali che laClaudiaRuggeri[17] lamento informa di ElencoIografico, in C.Ruggeri, cit., p. 110.14


La poesia di Claudia Ruggeri: fuoco, vetta e cadutaRuggeri usa per sfruttare le risorse combinatorie del nonsenso sono materiali di derivazione personale, provenienti daun immaginario poetico già lautamente definito. L’unico testo che ristabilisce, in termini di maggiore intelligibilità, uncontatto con l’inventiva della serie del Matto e con le poesie della sua fruttuosa adolescenza, è lamento della sposabarocca (octapus). Si tratta di una stupenda invocazione che riassume in sé tutti i temi (se così ci è dato chiamarli) dellamigliore Ruggeri: la purezza angelica di un personaggio dialogante che si umilia per la salvezza del suo amato, letraversie e gli ostacoli che vengono vinti dall’umiltà della poetessa salvifica, il continuo alternarsi di abbandoni eriaffioramenti simbolici del male patito o da patire (sia dal personaggio che narra che dall’oggetto amato) trasfigurati inun’atmosfera trascendente, sorretta da occasionali richiami di derivazione cristiana, che si stemperano in un ermetismosensuale e suggestivo. La missione del personaggio dialogante viene resa possibile dal potere della parola, «come voceche in voce si sconquassa»:T’avrei lavato i piedioppure mi sarei fatta altissimacome i soffitti scavalcati dei cielicome voce che in voce si sconquassatornando folle ed organando a schierecome si leva assalto e candore dementealla colonna che porta la corolla e la maledizionedi Gabriele, che porta un canto ed un profiloche cade, se scattano vele in mille luoghi- sentite ruvide come cadono -; anche soloun Luglio, un insetto che infesta la sala,solo un assetto, un raduno di testee di cosce (la manovra, si sa, della balera),e la sorte di sapere che creaturava a mollare che nuca di capelliva a impigliare, la sorte di ricevere; amoreti avrei dato la sorte di sorreggere,perché alla scadenza delle ventidue danze avrei adorato trentatre fuochi, perché esiste una Vestedi Pace se su questi soffitti si segnail decoro invidiato: poi che una mossa un’impronta si smodiad otto tentacoli poi che ne escano le torture. [18]ClaudiaRuggeri[18] lamento dellasposa barocca(octapus), in C.Ruggeri, cit., p. 109 .15


La poesia di Claudia Ruggeri: fuoco, vetta e cadutaPensiamo che la vicenda di Inferno minore possa chiudersi qui, con questo vero e proprio canto che esalta le credenzialiculturali di una poetessa che sa muoversi sia sotto l’egida di influssi danteschi e provenzali, sia in modo molto piùautonomo, affidandosi al dono naturale di una ricchezza di lingua che appare un dato oggettivo e inconfutabile. Quantoalle Pagine del travaso, l’ulteriore cerebralità di questo progetto pindarico e limaccioso, unita al suo stato praticamentedi abbozzo, non permettono riscontri credibili né analisi commisurate all’ampiezza e all’ambizione dell’autrice. La solacosa che si può notare è una certa continuità con le pagine più sperimentali delle ultime poesie di Inferno minore. Per ilresto, non posso che associarmi alle parole di Desiati quando afferma che nelle Pagine del travaso «i barocchismivengono esasperati, il citazionismo abbraccia i testi sacri e la Divina Commedia, ma risulta una raccolta incompleta,provvisoriamente chiusa da un testo su Napoli, uno dei due luoghi geografici, assieme a Lecce, della poesia (La Ruggerivisse a Lecce ma la sua famiglia era di Napoli)» [19].La poesia della Ruggeri va calata nella temperie culturale in cui è nata, ossia tra la fine degli anni ’80 e la seconda metàdegli anni ’90 del Novecento. Erano gli anni di un diffuso simbolismo postmoderno, laccato e livellato sul modello fortedi De Angelis, di una rinnovata spinta espressionista, dell’ondata dei cosiddetti “poeti neometrici” e dell’esaurirsi delleultime esperienze avanguardiste del Gruppo ’93. Non che l’attualità poetica abbia avuto una particolare influenza suuna poetessa così potentemente autoreferenziale come la scrittrice salentina. Di certo, essa “auscultava” ciò cheaccadeva intorno a lei, sebbene fosse ben lontana da ipotesi di avvicinamento e compromessi.Proprio per questo, anche la sua marginalità geografica rispetto ai grossi centri culturali ed editoriali ha fatto sì che lasua ricerca poetica in rapidissima evoluzione si svolgesse senza condizionamenti. Indubbiamente, va detto che la sualirica, barocca e insieme «corrotta», secondo una sua definizione, fa impallidire i modesti neoespressionisti da salotto,laminati e taglienti ma di corto respiro, frenati ancora oggi da rigurgiti strutturali risalenti alla Neoavanguardia, insiemea tanti esaltati metricisti e sperimentalisti ritardatari, mentre la Ruggeri ha restituito alla poesia quell’anelito violento divitalità e trasgressione di cui l’esangue produzione italiana in versi ha più che mai bisogno, oggi come vent’anni fa, senon vuole rimanere definitivamente confinata alle poche mensolette che i bookstores dedicano ai libri di poesia.Il presente saggio è già apparso in La sposa barocca - Sette saggi su Claudia Ruggeri, Lietocolle, Faloppio (Como) 2010,pagg. 39-64 e poi ripreso in http://puntocritico.eu/?p=2005, 7 maggio 2011.ClaudiaRuggeri[19] M.Desiati, ClaudiaRuggeri, poetessadella meraviglia,introduz. a C.Ruggeri, cit, p. 14.16La scelta dei testi che segue è stata curata da Danilo Mandolini ed è interamente tratta da Inferno minore (peQuod,Ancona, 2006)


Da Inferno minoreMovimento in quattro tempiSettimane che non mi vedi diomio signore come sèibrusco ostile non baci bacianche male hai scostatole braccia evitando parolecortesi tirando fuori ad unicatua difesa del suo appariregià flebile magro sorrisoVenerdìtorna torni si faràsempre più tardi tu dirai non fumaresmetti d’aspirare quellaroba cattiva stattene calmo connetti quando seistanco vattene a letto evita d’incancrenire e latua voce parrà serena tagliare la cucinacomposta in un religioso silenzio sepolcrale conal centro incastrato a dovere unvago sospetto cui vorrei ma non posso equindi m’azzitto il corpo intero schiacciareClaudiaRuggeriSabatoquesto lo chiamerei sabato anima bianca mia stanca mentalepulizia giorno per cui ritardo fatta regolaatto unico svogliato sfogliato spaginato da pesantetorpore nei bar in ubìa cretina attesa tanto nullariuscirebbe a fissarlo al suolo acomprimerlo sotto le suole senzaparole mi viene in mente cioè in testa che il sole è c’ènel suo vivere persiste ma non posso ad ogni posto luogostanza dire basta se la mia volontà per esso in esso con essonon pazienta17


Da Inferno minore*l’elemento innerva corpo datoerrore di tempo probabile di casopercepito ipotesi) qualche stellascoppia in silenzio la chiamanoUna volta quando si dice una voltae lo si dice adesso - oggi persinoesiste un bosco acuto a nozze attintoal volo persino ha dato il suoloal passo che si spolpa al solespopolato verde fino alla soglial’ipotesi d’immagina checollassaClaudiaRuggerispauritadentro il cuorePresente/assente VIIIla baciò l’amò la prese pure ma soloper quieta convivenza la prese pure aschiaffi le fece male un maredi promesse tentò per essaun debole suicidio perché lo amasseancora teneramente come allora inquei bei tempi che bertafilava peccato lei fosse già lontana irrimediabilmenteresa diafana per colpa d’altri potenti amoridivenuta inesistente18


Da Inferno minoreDeviazione verso il rossoDensità dello shampoo viscosità suadel getto come pure ogni innamoramento per leconsistente parole dicono sia affabulazione non folliaelevazione musicale di musica attivata conpeggio deviazione ed anche ancora in più l’altradecisa pressione digitale sul tasto d’avviamento enorme densità di questa volontaria volontàentrale nel mentre piedino s’intrufola sotto all’autocancellazione dal rumore se non dallaacque bollenti in periodica fonte battesimale vita forse sconvolta perché no probabile congiuro che questa volta ho cercato latutta probabilità inventata affinché spuntiposizione migliore poco importa se pocooriginale si ma la quantità dico la quantitàpoiché della qualità oramai proprio me nesbatto dove può essersi ficcata si perchéritrattando il tutto se io credessi in questoalmeno a prima vista parrebbe sì uomo unuomo alle corde certamente un uomoscottato che febbrilmente annaspa dentroscivolone acque saponate intrise di moltinoti profumi cioè profumate nonché profumativerso le sponde laccate d’una vasca da riparare tantovecchio è questo bagno tanto decrepito si presenta ognialloggio di questa abitazione sarei sistemato e cosadovrei fare poi cosapoi e non mi pare poi possibilea ciò soluzione possibile cioè l’eiaculante densitàClaudiaRuggeri19


Da Inferno minoreCorrotto baroccodentro la torre che tutto nasconde t'avrei offerto cornici che indorano radici poialla valanga che tutto ricopreche mossa un'impronta si smodi ad otto tentacoli poinella caduta che fissa per sempre; che ne escano le torturela calce intatta e il giro saldose sonno e danza non li disfannoin alto t'avrei lavato i piedioppure mi sarei fatta altissimacome i soffitti scavalcati di cielicome voce in voce si sconquassatornando folle ed organando a schierecome si leva assalto e candoredemente alla colonna che portala corolla e la maledizione di gabrieleamoreche porta un cantoed un girare intornocinque volteed essere a corona ma lontanaallo zaffiro che inzaffira fermo (o parequieto e intanto segue e adora - altraaltitudine altra sosta - lo zaffiroche entra e fa divino ed una luce forsennatae intesa tutta cima nuda ed in eterno perché lui latocchi sposti il perpetuo martirio di letizialui che la precede (ioClaudiaRuggeri20


Da Inferno minore*Alla cute del Soleche per te bordeggiaper il ventoche sboccia il paesenella lucerinvigoriscono i piedipestando la terra,quando gli ultimi favoridi pioggiarischianola morbida azionedel tuo colloinferociscono i piedibattendo il suolo duroallora sfrecciatra gli alberi le stellela vitaper andare a gocciareattrattanegli occhi dell’ultimo natoPer la morte di StefanoCigno dei nostri candidi frutti,per un istanteil sole.Invito dei topia rodere la nostalgiaFesta perché il fioreSi spalancama poi respiranella nottecome lo sguardo di un gattoad un tratto una strana melodia(non respira più, è morto,giace in una fessura tra due tegole)*mentre le mani ti offrono del risoti dicono qualcosabattono con le unghiesul tuo cuorela melodia che l’ammazzavail fiore.Quella musica beneficaera il pacatolamento di tua madrementre sgozzava agnelliper offrirli al suo dio, l’indomani.ClaudiaRuggeri21Ti accarezzae poi ti stritola quella Calìcon tutte le sue braccia


Da Inferno minoreBallataClaudiaRuggeriQuanto vorrei avere una lamettaper disegnaresul tuo stomaco supinouna circonferenza.Poi alzerei il coperchioE svellereil’estremità inferioredel tumido intestino.Piano piano il gomitolosrotolerei in chilometriquindi arrivata a Romavi salirei in groppacon la lamettain mano.Dopo un riuscito innesto.Gongolante nel taciturno geloquanto vorreioffrire a te lontanola tua cacatalucida e ghiacciata.Quanto vorrei avere una lamettadi quelle che usano gli amantiper annunziare ai tronchiil loro amore.Vorrei saltare monticorrodere le stradevolare oceania cavalcioni del tuo Intestinopoi arrivare al Polo,con la punta rossadel tuo sangueinciderei anche me.22


Da Inferno minoreTrilogia e sospensione bluClaudiaRuggeriArroccati sul decliviorosseggianoi papaveri.Quando teneri più d’un soffiostaccano i loro colorilente chiamano le noteuna potenza.(suo respiro)In quell’ultimo istante d’attesa..Accampato nel buiocome un albero mutorigira il suo sguardo l’animaleQuando distratto più di Diovaga stranitoantichi come sassiescono i poeti dalle tanedove più s’arrabbia l’onda.E lo stampo di luna si logora in alto.Abbaia la naturapoi tacepoeta nell’infermitàdel tempo semina23


Da Inferno minoreCanzone alla lunaClaudiaRuggeriFuor dalla terra del rattodel riccio, esco dall’interessepianura. tengo lo sguardo contro l’arsuracontro l’avverso colle verso il Paziente margineministro verso l’anziana Piantadel verso Avvenire con quella mentechiara del mio più Chiaro autore.immersa, esplicita luna.ché matura in un attimol’immagine del pesce, dell’amarantoIncanto. nessuno scoop, una notiziachiusa nel notiziario scientificodel terzo canale. tra altro materialeastrale, nuovi silenziChé il vento ormai s’elabora di tutte le parolema di parole. Rotolo…e non si vota il vasoceleste non si consuma il pesce per il bandoloamaranto in questa vasca dove la mentenuota; navigaentro la piena: là, la serena, disaminata24


Da Inferno minoreIn morte di Marcello [1](giaculatoria)ClaudiaRuggeriBarbara sulle navidanzavi con i tuoi marinai.Facile santa e poco costosaebbra e accaldatati tuffavi nelle bracciadegli alti ufficiali.In qualche posto,mentre tu santa iconati buttavi per terraa dormire,il mascherone di tifo porosocon l’orribile ticche alza e abbassala froge.Nella tua notte Barbara,ulivi necroticitesero invano alle stellele dita;i fuochi drogatila polvere d’Africal’afrore di pietraselvaggiamentetorseroil sonno di una madre.Giusto un secondo primacarezzevoli maniriccioli sidereicarezzevole voceassicurano in leilo stupro del silenzio.Donna senti primatu Santa, chevomitavi il viso denso,neanche dopoforse.Santa Barbara dei marinaiadesso spiaggeil cavo tortodelle manie le nari slargateche si muovonopaurosamente,ancora oggi,tra i covi dei vermiche gravano quel loculoin cui solo una cosasicuramente è:la bava tuaevvinazzata.Barbara, dicono cheè bello guardarei gabbiani dai ponti.Che sono bianchi.che ridonoe che leggeri danzano per teseguendo le navi[1] MarcelloPrimiceri, attoreteatrale scomparsonel 1992. Nota diClaudia Ruggeri.25


Da Inferno minoreil Matto I (del buco in figura)Beatrice“vidi la donna che pria m’appariovelata sotto l’angelica festa…” (Pg. XXX-64)come se avesse un male a disperdersia volte torna, a trattiridiscende a mostra, dalla caverna risorgedal settentrion, e scacciaper la capienza d’ogni nome (e più distrattoché sempre più semplice si segna ai teatri,che tace per rima certe parole….). [2]Ma è soprattutto a vetta, quando buca,dove mette la tenda e la vegliatra noi e l’accusa, se ci rende la rosaquando ormai tutto è diverso che fuil naso amato l’intenzione, che erala pazienza delle stazioni e la rivolta… e la beccacciasta e sta sforma il destino desta l’attacco l’ingresso dissertala Donna che entra e fa divino ed una luce forsennatae nuda, e la mente s’ammuta ne la cimae la distanza è sette volte semplice e il diavolodell’apertura; ecco, chiediti, come il pensiero sia colpama cammina cammina il Matto sceglie vocesa voce, e sempre più semplice chiama, dove l’immaginesi plachi sul tappeto, se dura, se pure trattienestranieri nuovi e quanto altros’inoltrerà nella carta fughe falaschi lussiOrdine innanzi tutto o la necessaria Evidenza che si diverte nella memoria al margine ambulante alla sogliaacrobata, che si consuma; ché infineveramente il Carroavanza, che sia sponda manca porgeil volto antico, che si commette (non la cosaè mutata ma il suo chiarore; ma a voi che vale,come si conclude la Figuradove pare e non usa parole né gesti né impulsi;come, smisurata, passa, dove l’altro richiamonel viluppo della palude festina; e comeper tutto si slarga e frastorna e nulla è mite(ma voi li turereste mai li nostri fori ?)ClaudiaRuggeri[2] Nella Vita NuovaAmore dice a Dante:“voglio che tu dichicerte parole perrima, … come tu fostisuo tostamente da lapuerizia”. Nota diClaudia Ruggeri.26


Da Inferno minoreil Matto II (morte in allegoria)NiniveClaudiaRuggeri“Tu ti dai pena per quella pianta di ricino (…) che in una notteè cresciuta e in una notte è perita: ed io non dovrei averepietà di Ninive quella grande città…” (Giona 4,10)ormai la carta si fa tutta parlare,ora che è senza meta e pare un casola sacca così premuta e fra i coloricosì per forza dèsta, bianca; biancada respirare profondo in tanta fissazionedi contorni ò spensierato ò grandeinaugurato, amo la festa che porti lontanoamo la tua continua consegna mondana amol’idem perduto, la tua destinazioneumana; amo le tue caduteben che siano finte, passeggeredi nomi che smodano scadono che portanoalla memoria o la stravagano.(crescono ricini presso niniveecco, vedi, come sviene)e fino che tu saprai dentro i castelli, i giardinifiorire, altro splendore sai, altra memoria,altro si splende si strega, si ride, si tirala tenda e libero si mescola alle carte; mai giardini si nascondono con precisionedove cerchi la larva del tuo femminino e l’arrestol’appartenenza inevitabileall’Immagine all’inevitabile distensionedelle terre trascorse delle altre ancorada nominare chiamarle una poli l’altra tuttele terre perfette alla mente afferrata27


Da Inferno minoreil Matto capovoltoPalestinaClaudiaRuggeri“Y no echeré de meno ni de mas no l’impurtamcia si lacircumstancia” (Pablo Neruda)questa che ora t’interroga, t’arrovescial’inizio; t’avvia a questo Inversocui un dio non corrispose; tu seil’oggetto in ritardo, infanzia persasu tutte le piste, l’incrocio rinviato; sei l’amnistiadell’idioma viaggiato; ma salve, la primaverati rassegna, di vòlta in vòlta cartasveste percòte per cose fitte fitteafflitte da memorie; t’installa nella vocecon un esercito a mille aste, e cosìfortemente tu chiami e così ti legavail tuo passo recente; dimmi se di uno Stagnosnidi l’Imperfezione, oppure le maiuscolerimangono incredibili: sono le ‘nulle’degli alfabeti in cifre, il segnoche non scatta, un ariele distratto…oppure sul tuo capo la Torrecapovolge; e con un salto dal bassoti drizza: ma sei in un balzo (ma appena)o nella capriola che prima t’agganciòdi passi; o c’è chi ti dà un Regno - una parolad’Ordine almeno - insomma un esito una ribalta, comesi dice, un tuffo; e forse una Cittàdove rivolge l’ennesimo esododove s’apre per dita bendate per gli esuligrandi, o per la fase nuova del terreno:(leviamole la femmina, diamo l’idiota a questa lesione.oppure ‘cosa’ resta vecchia l’insensazione)28


Da Inferno minoreLettera al matto sul senso dei nostri incontriil logoro [3] (mode d’emploi)"E tu non prendi ch’io t’adori a sdegno in un volto che fèsti atua sembianza più che in tela dipinto o sculto di legno"se ti dico cammina non è perché presumadi parlarti: alla montagna, alla maliadi milioni di lame, arrivarono a migliaiacose nude si sparirono bestie, alla neveal malozio della trappola tuttos’esiliava a quel richiamo disanimale.Ma chi nega che in tanta sepolturasia avvenuto al pendio un biancore veroo lo strano brillio che ti destina se la passi,e pur e pur non sfondialla tagliola che non scatta, e piùnon stravolge l’inerzia della lettera, ne anchetiene lo sporco della suola; si nodatutta al trucco che l’immàcola, s’allenta,a tratti s’allaccia cose che muoiono,solo scali, cose già sganciate…a te a te altri ti tiene, non la parola,per te s’alleva una tortura dentro la baradella Figura, una condanna alla mollamaligna, al Carnevale abominevole, alla cantinacattiva di finisterrae violentadove s’aduna, al molo, ogni bestiarioqualunque personaggio, alcun oggetto, per una mutabuia dell’attore, per un aumento in male, per l’altafantasia che mi ritorna di tanta cerimoniaincorreggibile, per una benvenuta dismisura, perme che fui per te senz’animae feci un patto al maltosul seme di un’estatedove esplose la vena che divina;che sbotola che lima, per te seppi, se sia l’afroreo la Macchia del logoro, che cova sul monteil fondo lo scatto l’inverno del falcoClaudiaRuggeri[3] Il logoro è l’escadel falco. Nota diClaudia Ruggeri.29


Da Inferno minorein limine“Death is only the fulfillment of a wish. Whose whish?”. (R.P.Warren)ClaudiaRuggeriprima che il subbuglio ammorza e che asciuga la guazzaprima che la scialuppa tocchi che porta l’Assassino;in tanto che tutto non arrangio non incastro non pacelamento della sposa barocca (octapus)T’avrei lavato i piedioppure mi sarei fatta altissimacome i soffitti scavalcati di cielicome voce in voce si sconquassatornando folle ed organando a schierecome si leva assalto e candore dementealla colonna che porta la corolla e la maledizionedi Gabriele, che porta un canto ed un profiloche cade, se scattano vele in mille luoghi- sentite ruvide come cadono -; anche soloun Luglio, un insetto che infesta la sala,solo un assetto, un raduno di testee di cosce (la manovra, si sa, della balera),e la sorte di sapere che creaturava a mollare che nuca che capelliva a impigliare, la sorte di ricevere; amoreti avrei dato la sorte di sorreggere,perché alla scadenza delle ventidue danze avrei adorato trentatre fuochi, perché esiste una Vestedi Pace se su questi soffitti si segnail decoro invidiato: poi che mossa un’impronta si smodiad otto tentacoli poi che ne escano le torture.30


Da Inferno minorelamento in forma di Elenco Iografico(E TU NON COMINCIAVI TU) il training del contrario il betel dela vecchia il gallo da lotta voce di paperino un atlante unclamore, una gran velocità - oppure l’occasione di sventarla…la Vecchia. (E CHE TIPO DI DOMANDA CERCHERETE DIINTERROMPERE?) il Tratteggio orizzontale la nostra solitudine[grammatica ilGreco del trauma qui pousse à côté prove tecniche diTrasmissione (AL MIO MIGLIOR TRADITO) l’elenco storditol’elenco parlante il fantino del parlante il giullaredell’elenco il giullare faccia bianca il giullare bianco facciafaccia il Giallo di ogni vocale faccia entrare proprio tuttodeve entrare la pedana allestirsi la ribalta deve risciogliersil’elastico al morto che torna del fabbro Locativo se purseguita a Splendere per oscula per basia e per auguglia miliala pena dell’Attore“se il chiarore è una tregua,la tua cara minaccia la consuma”(Eugenio Montale)è qui che incontro l’ultimo Cattivo, il residuorosicchio di semenza, l’antenato Attore; dal precipizioaccanto, il suo spettatore lo trattienea un fronte candidissimo; dal vanoche cava e spaventa in tanta mediterraneaEvidenza; da dentro questo volo che caverna rotondo,maniaco; dal ventre, che scaraventa;che mostro Balena l’accolga, l’incaglia;gli dia un esilio vero, un lungo erroreClaudiaRuggeri(SE PER BOLOGNA I GOTICI, SE PUR I VISCERI, NONREPLICAVO TE, IO DENTRO I PORTICI?)congedo“Le fer des mots de guerre se dissipe dans l’hereuse matièere sansretour.”così dal colmo, ormai, nuoceil dimandar parenzé, comeil Distrarsi. Lasciatemia questa strana circostanza. Quiso, con il mio amore, e con chiunquevi arrivi, che a questo inferno minore, tutto è minore; medesimoè solo il Carnevale. Ahi l’imposturaseguente che riduce che quagiuso nemena.31


Da Inferno minore*Napoli l’ebbi strana ed il portoe le sbronze testuali dove il verso inscenòcose strette e altissime ed un nasocosì in disordine ebbe la sposa a guardarladalla giostra e che voce che corre che erra che mancache debolezza poca poca memoria e poi altro splendoreancora altro dimora altro si splende si strega si ridenella torre: «T’avrei lavato i piedioppure mi sarei fatta altissimacome soffitti scavalcati di cielicome voce in voce si sconquassatornando folle ed organando a schierecome si leva assalto e candore dementealla colonna che porta la corolla e la maledizione di gabrieleche porta un canto ed un girare intorno di corona ma lontanapoi che mossa un’impronta si smodi ad otto tentacoli poiche ne escano le torture. Iot’avrei parlato basso» parlò così la sposa la distanzache per l’ultimo lutto le diedi i modi esatti del poetase per le voci appena sbarcate si producevano memorie falsee per le luci s’era formato un Castello a guardare napolidall’alto e fu il primo nome che per lei si finseche mi confuse - questa la sposa come la scala che porta la sposache porta ai soffitti a spiare diventava rotonda,maniaca. dove si vide poi Imperatrice:per la danza intorno per le vesti similmentea festa per altro che tornava era mutata.o Matto ormai la carta si fa tutta parlareora che senza metapare un casola fronte così premuta bianca tra i colori per forza déstabianca la sacca bianca da respirare profondoin tanta fissazione di contorni: ma lui che sadentro i castelli giardinifiorire e che può il salto così inutilmente e inutilmentecambiare attitudine: ma i giardini si nascondono con[precisionedove cerca la larva del suo femminino l’arrestol’appartenenza inevitabile all’immagine all’inevitabiledistensione delle terre trascorse delle altre ancorada nominare chiamarle una poi l’altra tuttele terre perfette nella mente perfetta di nomi che[portano alla memoriao la stravagano - inutilmente non sarà stato liberoormai non so quale maniera primasuscitava il suo ingresso quale vacanzail verso potrebbe ormai portarsi dove questa primissimaebbe gli abbracci bianchi degli atleti e le cadute erano[finte,passeggere. Il verso potrebbe significarela sua morte esatta. crescono ricini presso niniveecco, vedi, come svieneClaudiaRuggeri32


Dal carteggio di Claudia Ruggeri con Franco FortiniLe due lettere riportate in questa e nella successiva pagina sono state recuperate dal sito dedicato a ClaudiaRuggeri.Lecce, 1 Marzo 1990Caro professore, ma caro veramente se pur fantasiosamente.Io sono assolutamente incapace di scrivere una lettera, e lo sono soprattutto se con una lettera devo“comunicare” concretamente. E qui, come fare entrare, e subito, il mio nome; oppure, per esempio, il colore delpullover che indossavo quel giorno, e, insomma il senso di un epistolario caduto e la mania di gerarchia e diaristocrazia che mi prende quando si tratta di “parlarne”, “spiegarne”, di un gesto che è profondo e leggero troppoper non sfuggire ad una qual si sia esibizione.Insomma ho covato una “dedica” lungo cinque anni; già, perché fu nell’85 che la conobbi e che quella che erastata la predilezione per un poeta s'inverò in un pensiero amoroso e riverente per un uomo. Sentii come unrichiamo strano una parentela iniziale una “con esistenza” di destini ed una “elezione” radicale.Anche lei mi guardò spostando appena il Corriere della Sera ed io fui troppo certa che in quello esercitò unacomprensione e forse una condivisione di tale “affatata” circostanza. E infatti dopo poco lei mi chiamò in corridoioe lì parlammo, attimi, in piedi, come ladri, soli.Esco da due anni infernali in cui sono stata affetta da una malattia alla tiroide che mi ha portato crisi di nervi e chemi ha bloccata su tutti i fronti. Ora riprendo a studiare, a scrivere non ancora, a vivere ed a fuggire da questamaledetta città per ritornarvi tuttavia; riprendo, riprendo ma non riprendo tutto, forse. Oggi ho 22 anni ed hoconcluso le prime 22 pagine del mio personale dizionario. Le sono destinate. «Bello ventiduenne / come avevapredetto il suo tetrattico», Majakovskij si mise a dormire «a piene gambe a pieni malleoli» (Blok). Ma questa èsuperstizione.Le invio il mio Inferno minore, le chiedo di leggerlo; non le piacerà, lo indovino, per il tipo di scrittura(specialmente non le piacerà la sezione il Matto), epperò non mi biasimi per averglielo dedicato, non se neoffenda. Un’intitolazione collega, congiunge, individua un maestro, e questo potrebbe infastidirla; ma d’altra parte- il mio inferno essendo per l’appunto “minore” - io non sarò famosa: quella dedica rimarrà familiare, un segno diaffetto, un debito.ClaudiaRuggeri33Sua Claudia


Dal carteggio di Claudia Ruggeri con Franco FortiniMilano, 10 marzo 1990Cara Ruggeri, la rammento benissimo e la ringrazio molto del ricordo e della fiducia e dell’invio.Ho letto Inferno minore con l’imbarazzo di una ammirazione per l’intelligenza, la sottigliezza e la passione, chedeve fare i conti con un giudizio molto cauto per quanto è dell’angolo da cui lei guarda le parole e ascolta illinguaggio. Il ‘pastiche’ culturale, prima ancora che linguistico, occupa tutto lo spazio del lavoro: c’è un accumulo,dalle citazioni alle note, che attraversa i testi, una ripresa di modi e vezzi di troppe avanguardie e neoavanguardie,che fa pensare al sovraccarico di collane e gioielli e anelli che il suo buon gusto certo le impedirebbe di portare.Badi bene, nessuno meglio di me sa che la poesia è anche letteratura e artificio. E che può essere necessario, perparlare, uno spesso trucco. Però in lei, mi pare, domina un ‘sistema’ letterario così fortemente organizzato etirannico che la comunicazione metaforica e allegorica stenta a stabilirsi.Cose che lei ha ben chiare: «amo la tua continua consegna mondana…», «amo le tue cadute benché sianofinte...». Questo ‘romanzo’ psicologico non manca davvero di ritmo, di percussioni interne, di passaggi ‘forti’; mipare che, piuttosto, ci sia una tendenza a saturare ogni singola composizione con tutti gli strumenti disponibili,con èsiti di soffocazione e di autoannullamento. Mi pare di poter dire che il ‘punto’ non è di scrittura ma diesistenza. Credo intendere che cosa voglia dire essere stata così ammalata e quali tensioni quella specificaalterazione possa avere, non dirò prodotto, ma coltivato; ma ho buona memoria di quel che Giacomo ha scrittoper non procedere oltre su questa via banale. E tuttavia vorrei che lei sapesse uscire dal corridoio di specchidelizioso, terrificante e anche infame (Inferno minore, appunto) non verso una “salute” e una “salvezza” ma versouna maggiore attenzione (nel senso di ‘risparmio’, di klassische Dämpfung, di limitazione volontaria dei mezzi) alleescursioni dei livelli di linguaggio, di discorso e di esperienza, una minore fiducia nella ‘impunità’ della parolaletteraria qua talis. Non ho consigli fuor di questo: di uscire pro tempore verso la prosa più banale e convenzionaleprima di tornare al verso.Mi accorgo di non averle parlato dei versi suoi ma di quel che li precede o li segue. Una lettera non può far altro.Lei è una ‘testa forte’ e saprà valutare questa lettera quanto merita, cioè pochissimo; la mia vanità, lusingata dalsuo ricordo, ne potrà soffrire. Ma proprio di questo lei ha bisogno: di rovesciare quanti modelli porta in sé e farepiazza pulita. Io, per fortuna sua, modello non posso né voglio essere ma invece, e con molta stima e simpatia, ilsuoClaudiaRuggeri34Franco Fortini


voci


Apologia dei fiumi (Un poeta)- 1941


OPERA PRIMArsvpdiAlessandraCava35Poesia che svela la tessitura del tempo. Sull’opera prima in versi di Alessandra Cava.Di Danilo MandoliniIn alcune recenti occasioni, la poesia della giovanissima (non ancora trentenne) Alessandra Cava è stata accostata aquella di altre note poetesse italiane. Si è parlato di vicinanza tra la voce di Alessandra Cava, appunto, e quelle diMariangela Gualtieri, di Antonella Anedda e di Amelia Rosselli (intendendo quest’ultima, sia chiaro e in ogni caso, comeuno dei modelli assoluti per molti poeti delle generazioni di oggi, incluse - quindi, verosimilmente - anche le stesseGualtieri ed Anedda).Probabilmente sì. Probabilmente c’è un po’ di queste tre autrici nei testi della scrittrice marchigiana (“un po’ di” tutteben assimilato e fatto proprio e ben amalgamato in un unicum comunque nuovo e davvero consistente). Usandol’espressione “un po’ di”, però, vorrei soprattutto affermare che il fare versi di Alessandra Cava ha sicuramente, e già daquesta prima prova che viene qui presentata, i caratteri precisi dell’originalità. Non ritengo utile, ora - in virtù di quantoappena affermato - dilungarmi eccessivamente nell’analisi delle contiguità alle quali si è accennato. Mi limito soltanto ariportare alcuni e brevi riferimenti (a mo’ di indizio per successivi e più ampi approfondimenti) a ciò che è già statoasserito da alcuni critici e cioè che di Mariangela Gualtieri c’è, in Alessandra Cava, l’«accostamento rituale allacosa/parola» (Giulio Marzaioli) e quel «certo vibrante trattamento (…) del pathos» (Cecilia Bello Minciacchi); c’è lo«sporgersi del corpo vocale sui precipizi dell'esistenza, a partire da uno spazio angusto» di Antonella Anedda (StefanoGuglielmin); ci sono le «cadenze» e la «musicalità soggettiva e necessaria di Amelia Rosselli» (ancora Cecilia BelloMinciacchi).Poco fa ho detto “prima prova” di Alessandra Cava… La prima prova in questione è la raccolta di versi intitolata rsvp (cheè l’acronimo dal francese répondez, s’il vous plaît), uscita nel 2011 per i tipi dell’editrice romana Polìmata, conpostfazione della già citata Cecilia Bello Minciacchi.Va innanzitutto sottolineato che i versi di Alessandra Cava nascono e persistono in un’ambientazione che èprimariamente quella dell’interno e dove per “interno” non si deve intendere soltanto un luogo definito e chiuso dellostare umano ma - spesso, se non soprattutto - anche luogo della mente e del corpo dell’essere umano. «Nello spaziometrico di Alessandra Cava» - dice infatti, e correttamente, Niva Lorenzini (“il verri”, n. 46, giugno 2011) - «si stipanoazioni mentali, ricordi, sedimentazioni in dettaglio…» diremmo anche visioni o, come le definisce la postfatrice del libro,«schegge percettive» e «situazioni spazio-temporali» che si lasciano svelare e che sembrano osservare, al contempo,chi le incontra, chi legge. Il verso, più che lungo o allungato, appare come prolungato, come fosse il risultato dell’unionedi più misure al proprio interno; quasi come riproducesse lo sviluppo, il meccanismo dell’eco (la poetessa parla, tral’altro, di: «…eco, eco dovunque…»). Frequenti sono le reiterazioni dei termini, i versi rilanciati come in rapida e ripida


OPERA PRIMArsvpdiAlessandraCava36successione e che danno ai singoli testi e all’insieme di questi un ritmo senza soluzione di continuità, come unamodulazione incalzante ed omogenea che appare funzionale a ricreare le dinamiche della formazione dei pensieri piùreconditi, dell’azione del ricordare, dell’origine della memoria come accumulo e deposito dei frammenti dei ricordistessi.Così si prosegue in una sorta di “gioco” di vuoti e di pieni (entrambi poco più che percepibili) che a tratti è anchesospensione, detta o in qualche modo evocata, e che mostra l’“io narrante” (presente, sì, ma mai ingombrante) comeimpegnato a registrare il presente mentre passa e a proiettarlo, questo presente, in un futuro che pare non esistere,forse perché già prossimo a trascorrere. Insomma: un’evoluzione in versi che risulta tesa non tanto al tentativo dimisurare e descrivere, attraverso la poesia, il tempo e le occasioni del vivere (esercizio peraltro poco utile), quanto -piuttosto - ad osservare, ad esplorare, a scoprire la tessitura più segreta, quell’impercettibile trama che si crea - su dinoi e sulle nostre coscienze e che diviene come parte di noi stessi - a seguito dello scorrere del tempo e delle immaginidegli eventi, anche minimi ed apparentemente irrilevanti, nel tempo che cola contenute (si noti, a proposito dell’ideadella tessitura del tempo testé illustrata, l’illuminante epigrafe posta ad apertura del libro: le parole di Ivan Veenestrapolate dal suo The Texture of Time ed ospitate in Ada, or Ardor di Nabokov). Un punto di vista davvero autentico,questo descritto, sul divenire umano; un punto di vista che risulta singolare e che sorprende, oltre che per il modo in cuici è offerto, anche per l’incanto e l’ardore (componenti determinanti e giustamente messe in risalto da Cecilia BelloMinciacchi nella postfazione al libro) di cui la poesia di Alessandra Cava è tutta permeata.C’è un’altra particolarità che merita di essere evidenziata a proposito dell’opera prima in versi che sto qui introducendo.In rsvp ci sono cinque testi dai versi molto più brevi degli altri, testi differenti dagli altri, tutti racchiusi tra parentesi eposizionati, nella pagina, in maniera diversa rispetto al resto dei componimenti. Questi testi potrebbero esserepronunciati in maniera sommessa, ci dice ancora la postfatrice, come si trattasse di una voce fuoricampo; quasi fosse,aggiungo io, il coro del più classico dei teatri dell’antica Grecia [il brevissimo e primo di questi brani tra parentesi, forsenon a caso, sancisce proprio «(coro che cola / io)]». Qui - nei cinque brani indicati - si sente davvero la voce chepronuncia e che recita; qui, e d’altronde in tutta la poesia di Alessandra Cava che ci è dato oggi di conoscere, sipercepisce immediatamente la grande passione dell’autrice per il teatro, la sua frequentazione quotidiana e profonda diquesta forma di espressione artistica. […]rsvp, Alessandra Cava, postfazione di Cecilia Bello Minciacchi, Polìmata, Roma, 2011Il presente testo è la rielaborazione di un intervento pronunciato in occasione della presentazione di rsvp di Alessandra Cava,avvenuta ad Ancona il 20 giugno 2012 nel contesto del Poesia Festival “La punta della lingua”.La scelta dei testi che segue è stata curata da Danilo Mandolini


OPERA PRIMArsvpdiAlessandraCava«The Past, then, is a constant accumulation ofimages. It can be easily contemplated andlistened to, tested and tasted at random, sothat it ceases to mean the orderly alternationof linked events that it does in the largetheoretical sense».Ivan VeenThe Texture of Time*37(coro che colaIo)


OPERA PRIMArsvpdiAlessandraCava(la febbre è esterna al corpo e noiappesi a fili come lenzuolaasciughiamo)**38tu sei l’occhio, sei tutto l’occhio che sei, sei la lente,l’obiettivo, il confluire dello sguardo, canale, sei l’immagineimmobile, immobile prospettiva sei, il non svanire -io sto in ritratto nitido, io sto scolorata, saturata, messain luce, dentro i quattro lati, io sto in quattro lati buoni,sto buona nei lati affilati, negli angoli retti dell’impressione,sto in pezzi senza memoria nei cassetti, tacendo, io sempretacendo, io sempre, mai una parola, mai una parola buona -eppure noi siamo ancora in carta, in mobile fissità, siamo inquesto spessore di carta, in leggerezza nel peso della carta -


OPERA PRIMArsvpdiAlessandraCava39*le parole rubate dal senso inaudito nella testa, per il suonodella testa: ecco, io sono qui e c’è: l’elenco d’infiniti gestirecisi sul compiere - di là, di qua, il mare inciso a metà con trattoleggero - imperfetto riflesso di sé ed è onda per onda che tracciaa ritroso: fino alla fine prende, restituisce: un contatto frescodi stagione, come a dire l’ho saputo da sempre, come un’impressione -leggera, leggera, la chiedevo speranza perché sfiorisse così,com’era - ed era: blu e bianco di te a sentire la forma, a sentire che torna,è corretta, risponde perfetta - era senza stupore e il sole che perdeil tramonto e stanze che perdono il centro, immagine e non movimento,spostare, ingannare il reale, usciti dal mondo: da dentro - muri e finestremi bastano intorno, artificio impagabile prima del giorno -


OPERA PRIMArsvpdiAlessandraCavaamore durissimo, articolarsi delle ossa, scorrevolerotolarsi delle ossa dalla pelle, solitarie per quel loro esitarela diramazione, incantare, mettersi nel canto, mettersitutte nel canto, nell’aspro canto del sangue, nell’angoloappuntito dei nervi, nello schiocco delle membrane, nelle aritmie,nella violenza delle arterie, per quel lasciarsi ricoprire, isolebianchissime nella carne, per la loro modestia di impalcatura,di scheletro schivo, di lungo fiore sotterraneo, di radice -*40


OPERA PRIMArsvpdiAlessandraCava41*oggi è un sole lungo, uno sguardo di notte bianca -natura mi scosta, mi ignora: di sicuro la offendeil mio amore d’interni, di tubi, di tetti, di vetri all’incastro;ma poco le basta, quel poco che afferra alle spallecon passi d’altalena, quando sbaglia e prende aloni d’inferno,quando pare artificio, un inganno, uno schermoe m’attendo si spenga - processo d’infrazione del mondo, nullache raduna i suoi pezzi, così il mio seguire una parolacon altra in spazi di vuoto - ecco me allora, a chiedere di qualetessuto è il ricordo, di quale s’intreccia, se è uguale, ugualeil colore - ecco allora l’immagine fatta di niente, ecco che arriva,ecco, col suo bagaglio di niente - si sta a scrivereallora, si sta in angolo stretto, si sta -


OPERA PRIMArsvpdiAlessandraCava *42continuo stare, questo stare in vita per vie traverse,secondarie strade dell’assenza che disegna nitidala fessura del canale, questo stare in parole abitandola dimensione orizzontale, leggera, del narrare -ora è estate che sfinisce, liquefazione dei sensi,dei cataloghi ragionati: si va a capo per sentito dire,dentro un’istintiva nostalgia di mani fredde, di giri di maniglie,di vento e strade vuote - neanche ora c’è equilibrio,qui nell’aria ferma della scelta si sta a caso e per storturad’animo, qui si incrociano gli sguardi e si distolgono, ma le ditasfuggono, tentano raccordi - tutto intorno è piegarsi alle lineespezzate e chi ha un vago rimpianto dei tornanti non si volta -mentre io vado a cercare sconforto negli specchi, le ginocchiami abbandonano davanti allo splendore, ormai luogocomune, che ancora non abbiamo consegnato -


OPERA PRIMArsvpdiAlessandraCava43*se posso trapassare lo sgomento, se posso fare brecciadi sgomento in leggerezza, se posso afferrare leggerezzae incantare il peso, il peso turbinoso del mondo, spaventosocemento pesante del giorno, accogliermelo nelle mani, farmitutta peso declinante, peso che storpia, faticoso pesoin leggerezza forte, in mia volatile inclinazione, se posso farespazio nel cuore ostruito, se posso, in quel vano senz’aria -se posso affacciarmi alla finestra e non vederti, se posso fare pensieropacato del mio non vedere che vieni o che vai, se posso fareche assenza sia lieve, che sia lieve nello spazio e lieve moltonel tempo, se posso fare che il tempo non strida, non mi scolorinella sfinitezza, che non mi slacci la tessitura, che giochi pianoalla memoria, piano ai gesti e alle cose piccole, piano con noidell’età buona, dell’età gelosa custodita, se posso fare custodiadi assenza - se posso tenermi questi giorni lunghi di esattezza,se posso disegnare lo stupore della somiglianza, del riflessoal contatto, se posso vedermi in tua visione, contare le oredella lucidità trattenendomi in tua nitida visione, se posso infliggermimancanza, essere intera mancanza che mi contorna, se così possofarne carico inseparabile, se il vuoto è la presenza dolcissima che so,se so ancora qualcosa, qualcosa ancora, ancora qualcosa non so -


OPERA PRIMArsvpdiAlessandraCava44È nata a San Benedetto del Tronto nel 1984.Si è laureata all’Università di Siena in Storia del Teatro e aBologna in Discipline dello Spettacolo dal Vivo.Fa parte di Altre Velocità, gruppo di osservatori e criticidelle arti sceniche.Conduce laboratori di scrittura critica e lavora comeredattrice per festival, rassegne e stagioni teatrali, curandoincontri radiofonici e approfondimenti su carta e web.Insieme ad Altre Velocità ha curato il volume Un colpo.Disegni e parole dal teatro di Fanny & Alexander, Motus,Chiara Guidi / Socìetas Raffaello Sanzio, TeatrinoClandestino (Longo Editore, 2010).Come critica teatrale ha collaborato con “Hystrio”, “Prove didrammaturgia”, “Doppiozero” e “Culture Teatrali online”.Ha partecipato a RicercaBo (Bologna, 2009) e a ESCArgot /Poesia Totale (Roma, 2010).Alcuni suoi testi poetici sono comparsi su “il verri”, “Alfabeta2” e sulla rivista svedese “Subaltern”; online su“Absoluteville”, “Poesia 2.0”, “Blanc de ta nuque”.La sua prima raccolta, rsvp (2011), segnalata al PremioMontano, è stata pubblicata da Polìmata nella collanaex[t]ratione.Inserire immaginecopertina libro


OPERA PRIMAProntain bilicodiNataliaPaci45Precarietà del lavoro, della poesia e del vivere. Di Danilo MandoliniIl punto di avvio ideale per ogni riflessione sull’opera prima in versi di Natalia Paci sembra essere rappresentato(almeno lo è per il sottoscritto) dall’apertura della breve annotazione di Davide Nota posta nel risvolto di copertina eche recita: «Ad essere Pronta in bilico in un mondo “tragicomico” è la Poesia…». Coerentemente con l’incipitdell’opera, di fatto già racchiuso nel titolo della stessa [Pronta in bilico, appunto (Sigismundus Editrice, Ascoli Piceno,2012)], il tema della “provvisorietà” è multiformemente affrontato attraverso i vari punti di vista identificabili nellesezioni della silloge e, anche, grazie al tono del dettato che oscilla tra il divertito ed il serio, «tra pop e disperazione»come evidenzia ancora Davide Nota. Non è un caso, poi, che il titolo del libro sia reso al femminile. Si è già affermato,infatti, che è la poesia a sembrare innanzitutto pronta in bilico (oggi più che in passato e nel suo ruolo di “media” chedall’intimo di chi versifica va come clandestinamente ed inspiegabilmente incontro all’altro); allo stesso modo, però,appare chiaro che è anche l’autrice ad essere “vittima” dello stesso “labile equilibrio”, come immobilizzata nelladicotomia estrema di un lavoro precario in cui ci si occupa della precarietà del lavoro altrui (Natalia Paci è avvocato eprofessore a contratto di Diritto del lavoro presso l’Università di Urbino).In virtù di quanto appena rilevato la prima sezione del volume (Commentario precario) non può non trattare propriodella moderna piaga dell’instabilità dell’impiego, non può non essere tempestata - nonché introdotta dal comma 1dell’articolo 35 della Costituzione italiana («La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni») - dibrani tratti dalla legislazione corrente e dallo Statuto dei lavoratori ed inerenti, manco a dirlo, la materia del lavoro.Emblematici dell’approccio che l’autrice tiene nei confronti dell’argomento indicato sono, in primissima battuta, ititoli delle sei liriche che compongono la prima sezione: Ode sexy al diritto del lavoro, Disoccupato disossato, Tempod’asfalto, Vita a progetto, Art. 18 e Straordinario orario. Con una pronuncia che sembra uscita, come dichiara RenataMorresi nella nota introduttiva, «da un Palazzeschi sguinzagliato nella ludoteca dei giuslavoristi» Natalia Paci faaffiorare nettamente, dal sotteso della quotidiana abitudine che tutti coinvolge e travolge, l’indiscutibile edrammatica condizione di molti lavoratori più o meno giovani di oggi. Senza entrare troppo nel merito dei testi o diparti rilevanti di alcuni di questi (non perché non valga la pena farlo, ma semplicemente perché lo spazio qui adisposizione è limitato e perché le poesie di Pronta in bilico vanno incontrate tutte e nella loro interezza), si puòaffermare che la poesia dell’opera prima di Natalia Paci si colloca indubbiamente nel solco di quella nuova emoderna istanza civile negli ultimi anni inaugurata in poesia, seppur con modalità espressive ed esiti diversi, da FabioFranzin.Il tema della precarietà - si è già anticipato - attraversa orizzontalmente l’intero libro. Esso, però, viene restituito al


OPERA PRIMAProntain bilicodiNataliaPaci46lettore con un’intensità che va - comunque modificandosi - come manifestandosi attraverso uno sguardo che muovedal più al meno evidente, dal dettaglio al campo allargato. Il soggetto cardine di Pronta in bilico viene cioè trasposto,dopo la prima in cui viene affrontato nella sua disarmante e brutale essenza, nelle altre e successive sezioni enell’ambito di situazioni di vissuto più routinario, fin anche alla vita di coppia, all’amore e, lievemente, fin dentro glihaiku e le illustrazioni di Cristina Maria Ferrara, rispettivamente della penultima e dell’ultima parte del lavoro.Intendiamoci: la dinamica evidenziata non toglie forza al grido di denuncia dell’autrice, al suo sdegno; tutt’altro.Questo trasferire la visione della “provvisorietà” da un contesto in cui la stessa è oggi angosciosamente esplicita adaltri in cui la sua presenza è meno palese, più “diluita” e forse per questo più accettata, concorre proprio a risaltarel’“anima” subdola di quella che è da ritenersi, di fatto, come una componente imprescindibile del nostro stessoessere uomini: la fugacità, la caducità del nostro divenire.Per enfatizzare ora altri due aspetti davvero peculiari del linguaggio utilizzato ed afferenti l’opera prima di cui si staqui disquisendo, trascrivo integralmente due brani tratti, il primo, da una breve annotazione di Luigi Socci (il cui“eco” si riconosce forte in alcune parti del volume) riportata nel risvolto di copertina e, il secondo, dalla nota diapertura di Renata Morresi. Luigi Socci afferma: «Natalia Paci scopre, con malizioso candore da Lolita del verso, lerelazioni quasi sensuali che le parole intrattengono fra di loro (e tra sé e sé e con le cose di fuori)». Renata Morresi,chiamando in causa l’epigrafe di avvio del libro tratta da Szymborska, dichiara invece: «La disarmante semplicità diPronta in bilico porta il linguaggio della comunicazione alle sue conseguenze estreme: lo tira fino all’osso, fino alcontrario di se stesso. Così rovescia il principio del messaggio pubblicitario: invece che compiacere e plagiare perindurre a consumare di più, ci punzecchia col suo batti e ribatti, ci smaschera come cosa consumata tra le cose…».L’autrice dell’introduzione al volume, nel passaggio appena citato, mette direttamente in relazione proprio il modellodella precarietà tipica del lavoro contemporaneo, estesa ed amplificata all’idea più universale di fugacità e caducitàdel divenire umano come in precedenza sostenuto, con un carattere distintivo della pronuncia poetica di NataliaPaci. Pare quindi rivelarsi, in Pronta in bilico, una strategia espressiva che amalgama contenuti vicini all’attualità piùstringente, stile ed accenti autentici e che rende questa raccolta di versi inequivocabilmente riconoscibile nellestesse aspirazioni che l’hanno determinata e, per questo, fruibilissima e davvero godibile da parte di ogni attentolettore.Pronta in bilico, Natalia Paci, nota introduttiva di Renata Morresi, Sigismundus, Ascoli Piceno, 2012La scelta dei testi che segue è stata curata da Danilo Mandolini


OPERA PRIMAProntain bilicodiNataliaPaciOde ♥ sexy ♥ al Diritto del Lavoro(da parte di una lavoratrice interinale, oggi anche detta volgarmente“somministrata” o lavoratrice di facili costumi)Il contratto di somministrazione di lavoro può essereconcluso da ogni soggetto, di seguito denominatoutilizzatore, che si rivolga ad altro soggetto, di seguitodenominato somministratore, a ciò autorizzato...art. 20, comma 1, d.lgs. n. 276/2003Il nostro è un rapporto atipicoflessibile (o poco rigido):siamo una coppia apertasempre attentaa un’altra offerta.Sono la tua metàsenza obbligo di fedeltà:non c’è patto di non concorrenzail nostro rapporto interinaleè per sua essenza triangolare.un cambiare posto ad ognipasto.Una vera somministrazionedi frustrazione.47In questa relazioneci vuole concertazione:tolto il divietoè una continua interposizionedi mani all’operain ogni posizione.C’è troppa confusione:è un via vai di vai viaDa Commentario precario


OPERA PRIMAProntain bilicodiNataliaPaciDisoccupato disossatostato di disoccupazione: la condizione deldisoccupato o dell’inoccupato che siaimmediatamente disponibile allo svolgimento diun’attività lavorativaart. 1, comma 2, lett. f), d.lgs. n. 181/200048Sono un disoccupato proattivodisponibile al reimpiegoda quando ho perso il postosono stato socialmente utilizzatocollocato in varie posizioniper tutte le mansionisopra mobili sotto tavolil’importante è stare immobili:perché la stabilità del postoè al primo posto.Anche se la paga non appagabisogna lavoraredimostrarsi reattivianche un po’ sportiviil fisco verifica il fisico:che i nervi siano saldianche senza soldi.Mostrarsi aperti ai creditoriin attesa di tempi migliori:non ho alcun preconcettoverso il precettoporgo tutto il mio rispettoall’ufficiale giudiziarioche arriva in orario.Pignorate puretutti i benidalla testa ai pieditoglietemi le unghie i capelliil primo strato di pelletagliate pure la linguaprendetemi l’animaper pulirci per terra.Sono un disoccupato disossato:felice di fluttuare nel mercato.


OPERA PRIMAProntain bilicodiNataliaPaci49Art. 18Ho perso la licenzapoetica. Un licenziamento in regolad’arte: impugnabile entrosessanta giorni dalla perditadell’ispirazione.Chiederò il risarcimentodel dannoun equo compensoper le figure fatte(retoriche ovviamente).Un’indennità in versi:tutte le strofe perseda quel giornoall’effettiva reintegrain me stessacon un minimodi cinque enjambement.Certo, dovrò ricominciareda zerodalla pagina bianca.La poesia è durama non stanca....Il giudice con la sentenza (...)condanna il datore di lavoro alrisarcimento del danno subito dallavoratore per il licenziamento di cui siastata accertata l’inefficacia o l’invaliditàstabilendo un’indennità commisurataalla retribuzione globale di fatto dalgiorno del licenziamento sino a quellodell’effettiva reintegrazione e alversamento dei contributi assistenzialie previdenziali dal momento dellicenziamento al momento dell’effettivareintegrazione; in ogni caso la misuradel risarcimento non potrà essereinferiore a cinque mensilità diretribuzione globale di fatto.art. 18, Legge n. 300/1970(Statuto dei lavoratori)


OPERA PRIMAProntain bilicoPronta in bilicodiNataliaPaci50Murata tra queste quattro ossami prendo le misuremi riempio di tortureaffido a muscoli distratti- per nulla agili -i miei passi a scattiinstabili.Testo il mio equilibriocon in testa un libro.Provo a prendere di testae non di pettotutti gli imprevisti che mi aspettodal mio aspetto.Apro la boccadavanti allo specchiocerco nel vorticedi un orecchioun punto di fugaun solco di ruga:affronto il di frontefino all’orizzonte.Mi guardo da sopra a sottoe mi strizzo l’occhio.Su un filo di lucenon perdo di vistail mio punto di vistaimpronta di riferimentoimpressa sempre dentroProntain bilicosulla punta della lingua.Funambola inespertasonnambula incertaincontro ostacoli di percorsoin agguato lungo il mio dorsocostola dopo vertebranelle vene dentro il ventresulla strada - non asfaltata -tra il cuore e la mente.Domestici elettriciNella top ten dei servitori domesticiil forno è al primo postoè quello che trasmette più caloreriscalda tuttoarriva al cuore.Al secondo posto c’è la TVdetta anche televisoretrasmette tuttosoprattutto la finzionedi un mondo migliore.L’aspirapolvere ha una funzioneambientale: un casalingotermovalorizzatore.Aspira ma non ispirasarà per il rumore.Da Acrobazie domestiche


OPERA PRIMAProntain bilicoTocco senza tattodiNataliaPaci51Ora sto beneora sto malesenza un perchéè un altro che decide per me.Questa insofferenza cos’è?Non si stacca non mi mollaè come collapiù la tiropiù si allungacome cingomma.È un buco vuotova riempitocon roba di ogni tiposms telefonatele solite bevuteincenso profumatobiscotti al cioccolatoshopping zappingniente di costruttivo comunque siaanche quando è sessofatto e buttato via.unghie rimmel e taccoestetico contattoermetico distrattosoli in due nel lettopiù di prima anche dopo.Staccami le bracciaSe ti mancano i miei abbraccistaccami le bracciaattaccale sul divanoimbalsamateper l’affetto fittizioquotidianoper le tue seratecon gli Amicidi Canale 5 o quelli veridi Facebook.Tutto diventa oggettotocco senza tattoDa Tocco senza tatto


OPERA PRIMAProntain bilicodiNataliaPaci52Cordialmente TuaLa presenteper comunicarLe chela funzionalità del prodottoè stata manomessa con l’usodelusa l’aspettativa promessa.Sarebbe comunque graditauna Sua nota di commentoonde apportare opportuno adeguamentoin vista di futuri altrui utilizzi.In effetti rincresce constatareuna certa indifferenzauna discreta assenza di confidenzasopratutto dopo tanta intimitànella nostra precedente attività.Si confida vivamentein un Suo riscontro in nomedei consolidati e cordiali rapportiintercorsi frequentementetra i nostri corpi.Si auspica che possa farmi avere- anche tramite legale rappresentante -un plico contenenteuna chiara ed esaurientespiegazionedi ogni Sua passata e presenteemozione.Da Sexy shock (poesie d’amore)


OPERA PRIMAProntain bilicoVoglio le tue cellulediNataliaPaci53L’odore delle chieseL’odore delle chiese non mi appartienemi sento extracomunitariain territorio sacro.Profanatrice di umori cristianiprendo a morsi come meretriceil corpo di Cristotrasformo stigmate in cicatrice.Il suo corpo contortocosì magro e sfinito sulla croceè sempre stato il mio tipose lo avessi conosciutoci avrei provatolo avrei voluto come fidanzatoper avere proprio dentrotutta la fede che non sento.Se è vero che sono la tua metàSe sono la tua metà vuol direche senza di me non sei intero.Ma non voglio un mezzo uomo!Pertanto amore(solo per questo sia inteso)ne ho anche un altro mezzo.Nulla di più sennòsarebbe tradimento.Voglio le tue cellule non il cellulare.Questo non è un sms ma un SOS:ho bisogno di te in carne e ossa.Dammi una manospediscimi un dito per postamanda un braccio a prendermicalcia un tuo piedefallo rotolare da mefallo entrare dalla porta principale.Viola la mia privacy ti pregomancami di rispetto.Ti aspetto con tutta me stessati aspetto con tutto il mio aspetto.Entra pure, tocca tocca, tocca tuttovoglio il tuo tattolascia cadere mani mortesulla mia pelle vivaresuscita la mia carne.Nell’era del digitaledigitami digitamifinché non fa male.


OPERA PRIMAProntain bilicodiNataliaPaci54AnconaSorveglia il Papacon sguardo di pietrase ci si baciaForte Altavilla -un palco abbandonatoci rende attoriSopra la cittàa comporre poesieper cinque ditaSguardo sul portoluci lungo la costafioche candeleIl campanoneha suonato ancora -tempo scadutoSolaSono sola oraho vissuto in ungiornoogni invernoSolo a me stessain altro letto altruiresto fedeleIn trenoViaggio in trenoanche se parto certatorno diversaDa Haiku (poesie per cinque dita)


OPERA PRIMAProntain bilicodiNataliaPaci55È nata nel 1974.Presidente dell’Associazione di Promozione Sociale NieWiem (www.niewiem.org) organizza dal 2003, insieme aLuigi Socci e a Valerio Cuccaroni, il Poesia Festival “La puntadella lingua” (www.lapuntadellalingua.it).Sue poesie sono presenti in riviste cartacee e on-line e nelleantologie: Porta marina. Viaggio a due nelle Marche deipoeti, curato da Massimo Gezzi e Adelelmo Ruggieri(Pequod, 2008), Calpestare l’oblio. Cento poeti contro laminaccia incostituzionale, per la resistenza della memoriarepubblicana (Cattedrale, 2010) e, in via di pubblicazione,Registro di Poesia #5 (Edizioni d’if, 2012).Vive ad Ancona con i suoi due amori: Valerio e Lucio.Inserire immaginecopertina libro


Portatori d’acqua con le orecchie -1943 / 1951


Patrizia CavalliCon questo numero si apre, a seguire, un nuovo spazio nel quale - senza una periodicità a prioridefinita - viene e verrà proposto l’incontro con una selezione di testi tratta dall’opera prima di un autoredi versi contemporaneo ed affermato.Il nome di questo nuovo spazio è:RILETTURE


Patrizia CavalliÈ nata a Todi e vive a Roma. Per Einaudi ha pubblicato Le mie poesie non cambieranno il mondo (1974), Ilcielo (1981), Poesie 1974-1992 (1992), che riunisce i due precedenti volumi con una nuova raccolta intitolataL’io singolare proprio mio, Sempre aperto teatro (1999) e Pigra divinità e pigra sorte. Sempre per Einaudi hatradotto il Sogno di una notte d’estate di Shakespeare. Dello stesso autore ha inoltre tradotto Otello, messo inscena dal regista e attore Arturo Cirillo nel 2009.La scelta dei testi che segue è stata curata da Danilo Mandolini ed è tratta da Le mie poesie non cambieranno il mondo(Einaudi, Torino, 1974).Patrizia Cavalli


Da Le mie poesie non cambieranno il mondoPatriziaCavalli56Qualcuno mi ha dettoche certo le mie poesienon cambieranno il mondo.Io rispondo che certo sìle mie poesienon cambieranno il mondo.**Né morte né pazzia mi prenderà:un tremore delle vene forseun’acuta risata, un ingorgodel sangue, un’ebbrezza limitata.*Per riposarmimi pettino i capelli,chi ha fatto ha fattoe chi non ha fatto farà.Dietro la bottigliai baffi della gatta,le referenzele darò domani.Ora mi specchioe mi metto il cappello,aspetto visite aspettoil suono del campanello.Occhi bruni belli e addormentati…ma d’amorenon voglio parlare,l’amore lo vogliosolamente fare.


Da Le mie poesie non cambieranno il mondoPatriziaCavalli*Anche quando sembra che la giornatasia passata come un’ala di rondine,come una manciata di polveregettata e che non è possibileraccogliere e la descrizioneil racconto non trovano necessitàné ascolto, c’è sempre una parolauna paroletta da diremagari per direche non c’è niente da dire.*Da scalfittura diventare abisso,da fragile membrana diventarela corda tesa delle vibrazioni incostanti.57Comincia la stagione delle grandi cacceda Aquila Reale, e la rosaguarderà i suoi petali caderead uno ad uno.


Da Le mie poesie non cambieranno il mondoPatriziaCavalli*Le note che disegnasti sul mio quadernoe la chiave di violino e la doppia chiavee la tripla chiave. Sempre per teun nuovo quaderno. Di quanti foglihai bisogno? Hai intarsiato la mia scrivaniascolpito il mio scaffale; ma ora non piùarcieri in costume da guerra, soltantosegni distratti. E dovrai raccoglierecon pazienza piccoli minuti perché tu possacomporre un’ora.*58Vado in guerra lasciando una cittàsenza lasciarla; simulo l’eternitàportando assieme alle valigedue cappotti.


Da Le mie poesie non cambieranno il mondoPatriziaCavalli59E chi potrà più direche non ho coraggio, che non vadofra gli altri e che non mi appassiono?Ho fatto una fila di quasimezz’ora oggi alla posta;ho percorso tutta la fila passettoper passetto, ho annusatogli odori atroci di maschidi vecchi e anche di donne, ho sentitomani toccarmi il culo, spingermiIl fianco. Ho riconosciutoLa nausea e l’ho lasciata làdov’era, il mio corposi è riempito di sudore, ho sfioratouna polmonite. Non d’amor di mesi tratta, ma orrore degli altridove io mi riconosco.*Non ho seme da spargere per il mondonon posso inondare i pisciatoi néi materassi. Il mio avaro seme di donnaè troppo poco per offendere. Cosa possolasciare nelle strade nelle casenei vetri infecondati? Le parolequelle moltissimema già non mi somigliano piùhanno dimenticato la furiae la maledizione, sono diventate signorineun po’ malfamate forsema sempre signorine.*


Da Le mie poesie non cambieranno il mondoPatriziaCavalli*E sempre dovrò partiree fare i bagaglie permettere al mio poco corpouna corsa che non gli si addicee prolungare gli inganni e dementerincorrere tutte le storie anche quelleche avrebbero preferito un silenzio.Ma valorose sono le partenzeanche se un imbarazzo spesso le consuma.*60Del suo silenzio io sono invidiosae di come si appoggia a un davanzalelasciando alla luce i suoi miracoli.Sembrerebbe un ballerino smemoratose qualche volta non sorridessecome a scusarsi di tanta bellezza.


Da Le mie poesie non cambieranno il mondoPatriziaCavalli*Ma prima bisogna liberarsidall’avarizia esatta che ci produce,che me produce sedutanell’angolo di un barad aspettare con passione impiegatiziail momento preciso nel qualeil focarello azzurro degli occhiopposti degli occhi acclimatatial rischio, calcolata la traiettoria,pretenderà un rossoredal mio viso. E un rossore otterrà.61I marocchini con i tappetisembrano santi e invecesono mercanti.*


Da Le mie poesie non cambieranno il mondoPatriziaCavalli*Quante tentazioni attraversonel percorso tra la camerae la cucina, tra la cucinae il cesso. Una macchiasul muro, un pezzo di cartacaduto in terra, un bicchiere d’acqua,un guardar dalla finestra,ciao alla vicina,una carezza alla gattina.Così dimentico semprel’idea principale, mi perdoper strada, mi scompongogiorno per giorno ed è vanotentare qualsiasi ritorno.*62Poco di me ricordoio che a me sempre ho pensato.Mi scompaio come l’oggettotroppo a lungo guardato.Ritornerò a direla mia luminosa scomparsa.


Le marocchine - 1944


Gian Maria AnnoviÈ nato a Scandiano (RE) nel 1978. È Assistant Professor di Lingua e letteratura italiana presso laUniversity of Denver (USA).Ha pubblicato il volume di saggi Altri corpi. Poesia e corporalità negli anni Sessanta (Gedit, 2008) enumerosi interventi in riviste e volumi collettivi in Italia e negli Stati Uniti. Ha curato l’antologiabilingue della poesia di Antonio Porta Piercing the Page (Los Angeles: Seismicity, 2012). Nel 2011 havinto il Premio Pier Paolo Pasolini per la Tesi di Dottorato.Come poeta ha pubblicato: Denkmal (l’Obliquo, 1998), Terza persona cortese (d’if, 2007), Self-eaters(Mazzoli, 2007), finalista al Premio Antonio Delfini, e Kamikaze e altre persone (Transeuropa, 2010),con un’introduzione di Antonella Anedda.Nel 2006 ha vinto il premio Mazzacurati-Russo.63Le sue poesie sono incluse nelle antologie L’opera comune (Atelier, 2001), Parco Poesia (Guaraldi,2003), Nodo sottile 4 (Crocetti, 2004), Poesie dell’inizio del mondo (Derive e Approdi, 2007),Calpestare l’oblio (Cattedrale, 2010), Poeti italiani in America (In forma di parole, 2011), Poeti deglianni Zero (Ponte Sisto, 2012). Ha inoltre pubblicato su riviste e blog quali “Poesia”, “il verri”,“Versodove”, “Atelier”, “l’immaginazione”, “Il Sole 24 Ore”, “LeftAvvenimenti”, “Private”, “L’Ulisse”,“Nazione Indiana”, “La poesia e lo spirito”, “Absolutepoetry”.Ha tradotto, per riviste e antologie, numerosi poeti nordamericani. Tra questi: Anne Carson, MichaelPalmer, David Bromige, Andrew Shurin, Ray DiPalma, Bruce Andrews, Joseph Ceravolo e AnselmBerrigan.Scrive per “Il Manifesto” e collabora con “alfabeta2”.


Da DenkmalGian MariaAnnovi*né sfilo il panedagli occhi:lo resto per te(per gli uccelli)*volevo persoil respiro(che non è mio)(che non lo sento)e perso quellosparirmi:ridotta la clonazionela clorazione del sangue*che non torna puro.che non torna dentro-64non crescabuio.né vento. né sale.né mano. né piede.né fare respironé farlo per sempreridotto il sentierodel corpocontratto ogni poroogni precisazione dipercorso:lobo/clavicolainguine/ascellae la parola senza involucroderma o pellicola


Da DenkmalGian MariaAnnovi65gran gigantessa mutadi volto scarnodi falsa magrezzadi carme. di carne.fare silenzio filatocon dita d’ombracon forma bionda con trecciadi assenza divascello di sabbiafare vuoto l’orecchiofare l’ascolto del pocosbattere come le alicome malate le manicome il mattinoche pose la testache senta la mentese l’erba risalese sgretola tutto il cemento*ad Amelia Rossellisu fresco selciato:mio operato di fuggireoperare l’allontanazioneil facimento dello spaziola divisione ee quante aggruppatesolitudiniquanti sapersi lontano*a grandi nodigrovigliannotazioni di nodi(che non ci separi l’invidiaincontenibile delle briciole)


Da DenkmalGian MariaAnnoviDENKMAL [*](al colmo di questa finitezzasi resta comunquesoli)66non la certezza la guarigionela riparazione di dire.e fare operazione di confinedi auto-costruzioneauto-castrazione della goladel pronome.ci faccia duristatue mucchietti o figuresenza testa né artie il pensare dove terminaci formi / scolpisca[*] Denkmal è un sostantivo neutro tedesco che significamonumento. È composto dai termini Denken, pensiero eMal, segno, termine, confine. Nota dell’autore.*ecco che siamo confine.stare ben fissi nel bucodei piedi. nel poco. nel meno.attenti alle antenne dei grillitutte spezzate di nuovo.noi senza spermanoi senza bordia fare le ciglia sul corpodei mortia fare il silenzio più forteche viene


Da DenkmalGian MariaAnnoviDa MAIUSCOLE(da dirsi in piedi)67ECCOSALVARTI NON POSSOSALVARTI NON RIESCODI BIANCO DI BIANCOLE MANI SCARTATEDI TEMPOPERDUTO IL RESPIRO UNA SERALE BOCCHE PIU’ NIENTERIMASTO*NO CARNE NO TEMPOPIU’ NIENTE RIMASTO DI VENTODI TEMPOLE DITA SPEZZATECORROTTETUTTO L’HO FATTOIO QUESTO MONDOL’HO SPINTOL’HO FATTO SUDARESUDATO DI ACQUADI PISCIOSTORTA LA FACCIA NEI FOSSINEI GORGHI DELL’ACQUADEL SEMEDI QUESTO DOLORECHE SUDO CHE HO DATOSUDATO PER MEPERDUTO PERCHÉ SONO ME*ANELLO IN FRANTUMIDITO TAGLIATO


Da Tredici prove (per qualunque le dica). In L’opera comuneGian MariaAnnoviPROVA II :stare al motodella sogliadella manigliarotta e la fratturadegli arti delle falangii polpastrelli senza la carne(senza nessuna misura)* * *68PROVA IV :ti cucio la nottesotto le suolei talloni le unghiese voglio mi faccio figura(ti faccio ombra)


Da Tredici prove (per qualunque le dica). In L’opera comuneGian MariaAnnoviPROVA VI:ti provo la polvere sullecaviglieti cresco le ciglia(che non è silenzio le labbra)PROVA VIII:* * *poi certe voltepiangocento voltespengo le braccia(i movimenti dei polsi)69* * *PROVA X:fare un esempiodella facciadel tuo volto vuoto:io muoio(tu muovi anche gli occhi)


Da Tredici prove (per qualunque le dica). In L’opera comuneGian MariaAnnoviPROVA XI:a volte ti vengonogli angeli gli angolinei capelliche anche mi vengono brividi(la lingua)(i tuoi denti)(le tue vaste gengive)* * *70PROVA XIII:(le parole non le conosco)però le infinite curvedelle braccia


Da Terza persona cortese . Reality in sette visioniGian MariaAnnovicamera # 3Le porto a spasso il dobermanne ne raccolgo i resti che disseminapoi stiro le Sue calze con letiziaLa prego (due punti)mi tolga tutto quello che desideralo scrivere di versi soprattuttocamera # 3.171ricamo per Lei dei cuscini di plasticacon grumi di filo arancione(ci scrivo sopra il mio nome)Lei m’entra con l’ago nella manolo infilza nel palmo con precisione(non parlo)mi continuo nel pizzo sanguinario


Da Terza persona cortese . Reality in sette visioniGian MariaAnnovicamera # 4.2nel piatto non devo restarci nienteperché Lei non vuole mi diceche devo lavarlo con la linguae il Suo collo leccarlola Sua nuca pulirlapoi mi raschia le gambe col coltellole ascelle anchele cigliacamera # 5capisco che Lei è buonoche la Sua bontà è immensaanche quando mi tiene la manosul vapore della pentola a pressioneper mostrarmi che il dolore che io scrivonon è vero quanto questo bollente che torturache non è mia invenzione72camera # 6.1dormo le ore stabilitesul bordo della brandaLei mi gravita sopra col Suo pesocol Suo volto pesante che mi affondae il Suo sguardo che dice mi protegge


Da Terza persona cortese . Reality in sette visioniGian MariaAnnovicamera # 7poi finalmente mi prendee come Lei solamente sa faremi sigilla le orecchie con scagliedi sapone di Marsiglia originalemi copre le dita con cera di apee gli occhi e le labbra e i vari orifizidi certo il Suo amore è perfetto mi diconon fiato(è il delitto)73Nota (dell’autore) al testoPredella di un polittico invisibile, Terza persona cortese avrebbe dovuto seguire - e completare nelle intenzioni - lapubblicazione, mai avvenuta, della raccolta intitolata Secondo persona, parzialmente anticipata in antologie e riviste.È un dialogo per voce sequestrata e persona che tace, dialogo che ha luogo in sette camere, al tempo stesso stanze di unarealtà ridotta a reality e inquadrature - visioni - offerte al lettore/spettatore.Grande Altro o partner inumano, amante o assassino, questo «Lei» così cortese da eliminare la prima persona è qui chiamatosulla scena poetica, forse per la prima volta dai tempi della cortezia.


Piccola antologia della critica[...] Gian Maria Annovi è sicuramente un autoptico. Il teatro dei fatti dell'io appare circoscritto al ridotto delle «stanze che abito», al confine dicuscini, lenzuola. L'io vi è compitato anatomicamente (è ossa, teschio, vertebre) e grammaticalmente. Gli utensili di scavo sono linguistici (una“lingua-protesi”), ma senza offrire la crudezza dei corpi a immagini espressioniste, incastrate piuttosto tra slittamenti semantici seriali, fondatesulla semplice contiguità dei significanti (tende/tendine; dentatura/dettatura), con 'incisioni' esecutive nel dosaggio delle sordine dei segnidiacritici (parentesi, barrette oblique, trattino), così come esecuzione è il picchiettio senza furia delle allitterazioni, compitazione del piccolouniverso insensato («detto la tua dentatura / al lenzuolo / la dettatura delle dita»). In particolare è in gioco l'idea che qualcosa si può faretraendo il massimo dal minimo (eroticamente: «ti impalo / la bocca col dito»). Per forzare i contorni del reale basta stringere gli occhi fino afarsi male («i colori / sbandano fuori dalle tende»). Le guerre dell'io si vincono sul piccolo («il mondo è il bianco del dentifricio / che ficchi neifori cariati»); più difficili allora, su queste basi, si fanno le sortite al di fuori dei confini tracciati, accentuandosi all'assurdo un senso di irrealtàappena sopportabile all'interno, come avviene nel tentativo/limite di poesia civile: «passare un presente / indicativo di / stragi» (si noti inindicativo uno dei lapsus semantici cui alludevamo), che dopo un tentativo azzardoso di agganciare il tragico in un'astrazione («tu tempotimer...non coniughi l'essere»), si chiude con l'usuale, efficace sordina: «(e gli arti raccolti sui binari)». […]Fabio Zinelli, dalla prefazione a Nodo sottile 4, a cura di Vittorio Biagini e Andrea Sirotti, Crocetti, Milano, 2004 (pp. 17-18)* * *[…]… Terza persona cortese si presenta come libro-ombra di un altro libro, una raccolta più corposa, titolata Secondo persona e tuttora inedita,cui questa plaquette avrebbe dovuto dare seguito e completezza.Scheggia sfuggita a un oggetto ancora non entrato nel campo di identificazione dei nostri radar, o, nelle parole dell’autore, «predella di unpolittico invisibile», Terza persona cortese è, come racconta il testo stesso, «un dialogo per voce sequestrata e persona che tace, dialogo che haluogo in sette camere, al tempo stesso stanze di una realtà ridotta a reality e inquadrature-visioni offerte al lettore/spettatore». L’attenzioneconcentrata sul corpo che Annovi mantiene da sempre polverizza così il suo oggetto da monumento che forse un tempo ha avuto la densità e laforza di essere (questo il significato, in tedesco, di Denkmal) a visione abbacinante e pixelata. In uno spazio claustrofobico e spoglio - chepossiamo immaginare impersonale come le tante case che il Grande Fratello ci ha offerto in questi anni, popolate da corpi che alla velocità dellaluce perdono identità nella memoria collettiva - avviene così, già nella Terza persona cortese, quel trapianto dell’Io nel Tu, che Secondo personaracconta esplicitamente, scegliendo a epigrafe il verso dantesco che recita «S’io m’intuassi, come tu t’inmii», o facendo della «Seconda personavariabile», questo il titolo di una delle sezioni interne alla raccolta inedita, la «Stella variabile» appresa da Vittorio Sereni. E del resto, quella diAnnovi è una poesia ipercolta, che si acquatta nel gioco delle citazioni - se di gioco, e di citazioni, poi si tratta - come il ragno nella sua ragnatela.In questo Io che è, e continua tenacemente a esistere, ma diversamente a seconda delle persone (personae, latinamente maschere) in cuicome in un crudele Gioco dell’Oca si nasconde, resta tuttavia sempre presente, anche dopo il trapianto nel Tu, il rischio del rigetto: ladimensione quasi ospedaliera (aggettivo definitivamente legato ad Amelia Rosselli) che paralizza il corpo del soggetto fatto oggetto, e loscenario di rituale con tocchi sadomasochistici che lo avvolge, appunto, come una ragnatela, servono a tenere a una distanza semprecontinuamente divorata, e quindi sempre continuamente da ristabilire - da tessere - proprio questo rischio. Perché il Tu non è mai un luogosicuro.Laura Pugno, da Echi di voci sequestrate. In “il manifesto”, 8.5.2007* * *Nel 1967 la chitarra di Lou Reed e il caustico violino di John Cale dettero vita a quel perturbante gioiello rock che è Venus in furs, inquietanteriassunto psichedelico dell’omonimo romanzo di Leopold von Sacher-Masoch. […] Kiss the boots of shiny shiny leather, cantavano i VelvetundergroundGian MariaAnnovi74


Piccola antologia della criticaUndergorund: il binomio piacere-dolore faceva così il suo magistrale ingresso nella cultura e nell’immaginario musical-popolare. Esattamentequarant’anni dopo, Terza persona cortese di Gian Maria Annovi riproduce la stessa inquietudine sensoriale, si riappropria del masochismousandolo come correlativo oggettivo per delineare una crudele storia di oppressiva fedeltà. Se in Poesie dando del Lei, Vivian Lamarque sirivolgeva direttamente al proprio psicoanalista junghiano usando una formula di cortesia, Annovi adotta lo stesso procedimento per riferirsicon estrema cortesia ad un carceriere, o - meglio - all’idea che ce ne propone. Il contrasto fra i due testi non potrebbe essere più netto: dallapositiva atmosfera infantile della stanza psicoanalitica alla casa-prigione con annesso torturatore. Rileggendo la tradizione italiana liricogrammaticaledel pronome “Lei” (un femminile maiuscolo di stampo duecentesco) trascina il lettore in un «dialogo per voce sequestrata epersona che tace», un poemetto in sette movimenti in cui l’eroe sadico non compare mai ma la cui assenza pesa, allarma e preoccupa. Graziead un dettato lineare e monodico, Annovi ci presenta una serie di “camere” (ma più corretto sarebbe definirle “stanze”, con riferimento ad unaprecisa scansione strofica) in cui un io (o ciò che ne resta) si rivolge a “Lei”, entità incorporea capace però di operare un’attenta e precisadissezione corporale ai danni della voce che le si rivolge. Un massacro in presa diretta o, come accenna il sottotitolo un reality in sette visioni(raccapriccianti). Della dimensione del reality show, il testo di Annovi conserva l’iconografia del quotidiano […], si immerge in un panoramadomestico al limite del banale dove però l’io non è mai soggetto ma sempre oggetto di una pena, costantemente vittima della ferocia di “Lei”.L’ambiguità pronominale (Chi è “Lei”? Una Musa/Beatrice dominatrix oppure un “tu” da cui mantenere le debite, rispettose, distanze?) è quistratagemma capace di detonare l’intera economia narrativa della compagine: Lei «richiude i miei tormenti con graffette», «è il regista che midirige nel supplizio», «si pente che già non mi ha interrato». La distanza fra i due protagonisti fa sì che ogni loro incontro dia luogo ad unarassegnata, lacerante sopraffazione: «di certo il Suo amore è perfetto mi dico», conclude l’autore con spiazzante consapevolezza. Linearedramma sull’impossibilità dei rapporti o metaforico referto di un amore molestato dal problema della forma (e della formalità), Terza personacortese racchiude, inscenandoli, sia i dilemmi del vincolo (da intendersi in senso lato: a “Lei” è dovuta sottomissione, abnegazione e fedeltà,quasi si trattasse di un’entità divina temibile, da Vecchio Testamento), sia la consapevolezza di una disfatta totale, a cui consegnarsi (immolarsi)in un quieto martirio: «mi tolga tutto quello che desidera // lo scrivere di versi soprattutto» è la remissione estrema di chi, consapevole di nonavere più scampo, sviluppa una particolare sindrome di Stoccolma, una sorta di connivenza empatica con le ragioni della propria sofferenza alpuro scopo di sopravvivere; non a caso la dedica del poemetto è una citazione da Carmelo Bene: «Non ai morti, ma ai feriti». È dunque unacompartecipazione ad una resistenza estrema, la materia che maneggia Annovi, il subire per non soccombere.Marco Simonelli, Lei è un altro. In “La poesia e lo spirito” (http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/), 29 maggio 2007* * *Come si fa a scrivere poesie d’amore al tempo dello Scontro di civiltà? Si fa come Gian Maria Annovi, ecco come. Della plaquette d’esordioDenkmal, di conturbante maturità ancorché scritta prima dei vent’anni, il riferimento principe - fra titolo in glossa ed esergo - era a Paul Celan.Per Secondo persona, raccolta inedita da tempo compiuta, non si può che pensare ad Andrea Zanzotto. Il che ci porta a un’annessione di diritto,oltre che di fatto, alle propaggini postreme della gran fronda petrarchista: il Petrarca “spettrale”, certo, di secondo Novecento e post. Quellopassato per Sade e, magari, per Artaud. Se in Vocativo - rispetto alla metafisica lirica d’Occidente, appunto, “petrarchesca” - si assisteva allatraumatica lacanizzazione della Prima persona (componimento-chiave), Annovi procede a una metodica quanto dolorosa fantasmatizzazionedel “Tu”: speculare particola dell’Io che malgrado tutto, nella koinè tra Montale e Zanzotto appunto, ancora consentiva di tenere in funzionetutti i link col Canone. In Secondo persona la sensazione del senzarete si fa invece fortissima. […]Andrea Cortellessa, in Poeti degli anni zero (Ponte Sisto, 2012)Gian MariaAnnovi75


Da Self-eaters. AutofagiGian MariaAnnoviself-eater #3inizia mordendosi le labbracome al colmo di un baciocon la lingua con la chiostradei denti se le slabbrale ingoiapoi il naso le orecchiela pelle che si sfaldaquando è scritta la vita è come lui:che si offre sfacciatae poi si annullaself-eater #5non si regge coi piedi e con le mani:le protesi che devono restarefin quando non sono ricresciute76piegato col mento sul costatosi squama e si distacca come nientelo scatolo di ossa che lo tienene pendono le parti dai cordoniche morde e subito divoraè come parlare dello scrivereun atto che ingoia la parola


Da Self-eaters. AutofagiGian MariaAnnoviself-eater #6si mangia le paroleche altri poi rimangianoe mastica un linguaggioche abita sul fondo dello stomaco:non vuole la lingua che marcisceil pomo d’Adamo disseccatoil fiato che durapiù di questa parolache fra pochi secondianzi - ora -si distrugge da solaself-eater #7si siede come un buddha o comeun gorilla dello zambiaai piedi di un albero di mangoi piedi gli sono ricresciutied anche le dita delle maniche ficca nell’incavo oculare77con l’occhio già chiuso nella boccanon vede né dentro né fuorida se stessolo sguardo lo mastica riverso:parola che esclude tutto il resto


Da Self-eaters. AutofagiGian MariaAnnovi78self-eater #8vive da solo separato dal mondosillaba autonoma e suonovoce che s’auto-consumae trascina tra le sterpagliepoi aspetta la notte in ginocchiocon la mano infilata nella boccanella golaquasi addormentata nell’esofagoNota (dell’autore)Questa serie è liberamente ispirata all’opera della pittriceamericana Dana Schutz.Alcuni testi sono stati letti in anteprima all’ItalianAcademy di New York nell’ottobre del 2006.ne catturano uno il gruppo dei vicinicon megafoni, spranghe, videofonini[…]attorno al tavolo operatorioallestito di fretta nella palestrachi gli taglia la manola cosciachi gli mozza la testa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .stride nel microfonola voce di chi pregapoi spartiscono le partiin fogli di stagnola


Da Kamikaze e altre personeGian MariaAnnovi79*uomini che precipitano(così inizia un secolo)brilla corpo-kamikaze:stella avariataspunta le dita dei passantile falangi per ariain un volo armato dicolombe(tutto il mondo è bombato)*che nel balzo ti inclinala schienache ti sbalza la pelledi costole / di vertebreche piombi acceso sul selciatofalling men*kamikaze-body: blastingdamaged starblunt the fingersof the passers-by:tips in the airflight armed with doves(the whole mind is mined)your back gets bentbones and namesemboss your skinas you smash on asphalt(aflame)*(so a century begins)


Da Kamikaze e altre personeGian MariaAnnovi*lo dico a tein questa lingua che non riconoscilo dico facendo segnali dilucecon la tapparella e il riflessodelle posatelo dico a parola che non rispondealle pressanti richieste di cibodel mondotu taci sventrato dal silenzio(il buco della bocca spalancato)I tell this to youin a language you don’t recognizemaking a few signals oflightwith shuttering or reflectionof knivesI’m telling this to a wordnot responding to the world’sneed for food*80gutted by cracked silenceyour voice doesn’t act(the hole of your mouth agape)


Da Kamikaze e altre personeGian MariaAnnovidisponimi cose nel corpoche esplodano:*riempirmi il vuoto dellepalpebre(che il tuo respiro è un timer)quel ticchettio che hai dentroche prima o poi si fermaarrange things in my bodyto explode:*fill up the voidto my eyelids81for your breath is a meterand the ticking withinwill eventually cease


Da Kamikaze e altre personeGian MariaAnnovi*Genova, 2001e il pensiero si stacca dal cranioti intaglia una stella trai capelli*Genova 200182tu credi nell’acutezza della cutenel rossore della pelleappena percepibile sulla nucasotto il passamontagnache cede alla sassata e al colpodi rivoltellati rivolti a terra in un rivolodi sputie petali e cera(caduto)per non cadere tra i cadutiNota dell’autore[…] …i versi «ti intaglia una stella tra / i capelli» siriferiscono a Tonsure (1919) di Marcel Duchamp.and thought comes off your skullit incises a star amongyour hairyou believe in the acuityof your cutis, in the quiteunperceivable redness ofyour nape, under the skimask, giving way for thestone and the shellyou lie on the groundin a trickle of spitand petals and wax(fallen)not to fall among the fallen


Da Kamikaze e altre personeGian MariaAnnovi*perché non vogliono disperderela lingua-tatuaggio che trapassati strappano il derma con le maniquando piangevi di lacrimedolcemente uncinatoa un divano di pelle dicoccodrillot’hanno scuoiato tuttoe vestito di plastiche(una lampada nazista)for they don’t want to wastethe piercing tattoo-tonguethey strip your skin offas you cried for tear-dropskindly hookedto a crocodileCouch*83they flayed you aliveand dressed in Bakelite(a lampshade from Buchenwald)


Da Kamikaze e altre personeGian MariaAnnovila senti tra i cadaveritra i labbri spaccati*fare strage di nomiparola imbottita di chiodi etritoloche stritola il coro degli assedi(sommaria esecuzione edatti corporali)la lingua (ti dico) non muorema tramortisce*you feel it among corpsesamong broken lipsmaking a slaughter of namesword padded with nailand trinitrotoluenecrushing a chorus of sieges84(perfunctory execution andcorporeal acts)language (I tell you) can’t diebut it does traumatize


Da Kamikaze e altre personeGian MariaAnnovi85torneremo a chiedere il contopersona secondo personaal tetro stivale che ci scalciain una storia veramente poconecessaria per la donna eper l’uomonoi che parliamo da fossecomuni con respiro sepoltonelle naricinelle fosse nasalicon la torba nel cavo oralecon le ossa tutte abbracciatecon triangoli al petto sgualciti*we’ll came back, person after person,to square accounts with the gloomyboot, which kicks us all into a quiteunnecessary history to womenand to menwe are those who speakfrom ditches and common gravesour breath is buriedin the nosepeat in the cavity of our mouthour bones entangled in an hugcreased triangles on our heart*


Da Kamikaze e altre personeGian MariaAnnovi*il sogno della lingua:assurdo animaleo personache non si estingua(canguro in fiamme)bestia che fa segniche fa salti e doloresenza fare parole*the dream of language:absurd humanor mammalwhich doesn’t die out(a kangaroo on fire)signaling beastwhich makes the leapwhich makes some painand no speech86Nota (dell’autore)[…] …alcuni dei fatti cui si fa qui riferimento non hanno mai smesso di accadere. Altri è come se non fosseromai accaduti. […]La versione inglese dei testi è mia. È versione e non traduzione data la drammatica impossibilità di rendere inun’altra lingua il lavorio semantico e fonetico dell’originale. Non si è trattato dunque di versare, o riversare,l’italiano nell’inglese, di passare cioè da un sistema di suoni a un altro ma - piuttosto - di rinunciare a senso esuono. Il passaggio/versione che qui si presenta è quello da una lingua conosciuta a un verso, proprio nelsenso di emissione sonora non del tutto umana. Umana solo se pensata come forma di risposta al dolore. […]


Da Rapture. In Poeti degli anni ZeroGian MariaAnnovi[A.A., 42 anni, giostraio]esco la roulotte per via della luceche è come che è tutto di lucecapisce?poi mi ricordo che mi hannoal risveglioc’avevo una scarpanon sapevo il miole cosepresoin manonomeera come bruciatocapisce?[A.R., 65 anni, poeta]e piangevoci sono modi di esistenzainavvicinatiinavvicinabilicose87dice sporgendosidalRoma è una scaglia discarti di cielo esi lascia andaredavanzalecementopattume


Da RegressioniGian MariaAnnovi88[ci siete voi?] [siete vivi?]*cosa che s’alza nel cielopencolaperde nome*e questa lingua sei tuche mi brucicome se non fossi giàsparitooltre il solcoil selciatodel visibilevisiera il tuo voltod’acacie e di frassinisiepe sempre non verdenon infinita non vedeQUIci parliano come fantasmiGià in “il verri”, n. 48, febbraio 2012[…]eppurecos’hai fatto di teche la vita ti avrebbe richiesto difarese ci fossee c’èuna risposta generale a questoindividuale conatoa farsi*


Da RegressioniGian MariaAnnovi[…]è corpo che monta nel corponome di donnaindicibile come*le cose distrutte per troppeparoleinutili*la persona che state chiamandonon è un momento raggiungibile(dice)eppure aggiunge al vero il verboil verso dell’aria che non respiranè più descrive*essere il nome diqualcosada sempre giàdimenticato89spazio anonimosegnato da una pietranell’alto del grano[…]


Piccola antologia critica sull’opera più recenteChi è un kamikaze? Una persona. E per un kamikaze cosa sono le persone? Che cosa è un corpo che esplode nel corso della storia? Cosa sonoquel bagliore, quel suono, quella disgregazione?Con Kamikaze e altre persone, Gian Maria Annovi si conferma uno degli autori più interessanti e originali degli ultimi anni. Ciò che del suolavoro mi colpisce, e penso in particolare alla suite dei Self-eaters (Finalista Premio A. Delfini, 2007), è il contrasto tra un tono basso, mai gridatoe la nudità abbagliante delle immagini, tra un’esattezza chirurgica e un abbandono che trapela dalle grate del linguaggio. Il processo è unacomposizione, proprio come si compongono un corpo morto e il suo corteo di oggetti. Squame, cartilagini, unghie, ossa, sono presenze checondividiamo come la paura, il desiderio, l’attesa della notte.In questo libro il «corpo-kamikaze» viene immediatamente non evocato ma chiamato nella bellissima poesia iniziale: «brilla corpokamikaze\ stella avariata \ spunta le dita dei passanti...». Annovi descrive la meccanica del corpo che si inclina e a quel corpo parla, dice tu:«che piombi acceso sul selciato». Parla alla sua dissipazione-disperazione e lascia che le parole dondolino sul vuoto. È un tu rivolto a unapersona, assente, ma reale, con un tempo scandito da un timer, con un passato che preme su un presente di cellule, vertebre, sangue, respiro.Proprio per questo, nel momento stesso in cui si pronuncia, il tu vira verso altre persone, diventa noi, mostrando attraverso il linguaggiol’indissolubilità, il nodo tra chi uccide-muore-fa morire. La storia con la esse maiuscola gli\ci scorre di lato come il Landwehkanal che nellapoesia di Paul Celan accoglie il corpo di Rosa Luxenburg. È una «storia bombata», gonfiata da altri in violenze, ingiustizia, menzogne cheabbiamo vissuto anche da vicino come nei fatti di Genova nel 2001.In Kamikaze e altre persone ci sono non moltissime ma importanti parentesi. A volte creano una tregua senza conforto, come le panchinefredde del metrò. Altre volte invece sono luoghi e sarcofagi: «(e gli arti raccolti sui binari)». Altre ancora sono soffi di intimità («ti dico») o echibiblici («e ogni nome è legione»). La pietà laica di Annovi trova una lingua-garza, sterile perché così è giusto per le ferite; a volte tratta la paginacome un muro su cui premere la carta e assorbire gli umori, trascrivere le voci. Un frottage che unisce Dubuffet agli Otages di Fautrier: «tucorpo-ostaggio \ ostinato ostacolo a te stesso…».Ho molto apprezzato le traduzioni da Anne Carson di Gian Maria Annovi su Nazione Indiana. Sono tratte da Decreation, un’opera in cuil’autrice canadese ripercorre Saffo, Margherita Porete e Simone Weil. E forse il concetto di “decreation” così centrale nel percorso di SimoneWeil verso l’abdicazione all’imperialismo dell’io non è estraneo a Kamikaze e altre persone. Questo pudore era del resto già comparso in Terzapersona cortese (d’if, 2007) in cui la cortesia del soggetto «Lei, così cortese da eliminare la prima persona», coincideva con una sottrazione. InKamikaze, l’io che muore si rivela in una scheggia, o una falce di voce sempre più sottile. La consapevolezza di un noi sempre più smarrito inmezzo a un mondo sempre più leso, ferito, offeso nell’intimità («lesioni diranno i referenti \ ne hai sulle braccia \ sul dorso \\ sullo scrotosoprattutto») fa di Kamikaze un libro politico, coraggioso, ancora in grado di parlare, anche se con una lingua che «tramortisce».Nessuno testimonia per il testimone, sembra dire Annovi con Celan e vale la pena di trascrivere i versi di una delle ultime poesie del libroin cui noi che leggiamo siamo impastati della stessa terra di chi ha scritto e scavato fino ad assumere il peso di ogni vita offesa: «noi cheparliamo da fosse comuni con respiro sepolto \ nelle narici \ nelle fosse nasali \ con la torba nel cavo orale \\ con le ossa tutte abbracciate \\con triangoli al petto sgualciti».Antonella Anedda, Kamikaze (l’introduzione al libro omonimo)* * *Poesie di inizio millennio quelle con cui Gian Maria Annovi (…) decide di ragionare per raccontare come gli uomini possano, con le loro azioni,modificare la società, possano in qualche modo influire con le loro azioni senza per forza far parte di quell’enclave che governa il pianeta. PerfarloGian MariaAnnovi90


Piccola antologia della critica sull’opera più recentefarlo c’è bisogno di un corpo che si deve modificare, si deve esporre, si deve in qualche modo, nel bene e nel male, immolare alla causa, equesti gesti così totali si ripetono in ogni parte del pianeta, quasi che le persone vadano necessariamente in una direzione simile per potereaffrontare la rottura, il cambiamento totale. E così Annovi annota, preme sul tasto delle immagini, guarda lo scorrere dei corpi con descrizioniapparentemente fragili ma estremamente precise che come i suoi protagonisti sono in grado di entrare nello sguardo del lettore come quasimai accade. La scrittura di Annovi esce oltre che negli argomenti anche nella forma dai canoni soliti della nostra Poesia; che qualcosa sia quidiverso in maniera decisiva lo si capisce leggendo la traduzione in inglese delle poesie presenti nel libro: nel difficile panorama di mancatacomunicazione della nostra Poesia fuori dai nostri confini questo autore riesce nei toni e nelle intenzioni a creare qualcosa in grado di essereraccontato finalmente anche all’estero, riesce a ragionare in maniera comune e non all’interno di un meccanismo privato e autoreferenziale.Tutte cose appunto difficili da trovare nelle nuove generazioni poetiche e che sono anche il motivo della costante attenzione edantologizzazione su e di questo autore. […]Matteo Fantuzzi, in “La voce di Romagna - Rimini”, 9.8.2010* * *Mentre scorrevo le pagine del prezioso libretto di Gian Maria Annovi mi è venuto da pensare a Brecht, a quel suo scritto del 1935 che illustravaCinque difficoltà per chi scrive la verità. Mi sono soffermata sulle prime tre. Scriveva Brecht, in quelle righe piene di tragica tensione etica, che achi si cimenti nella lotta contro la “menzogna” e l’“ignoranza” occorre in primo luogo il coraggio di scrivere la verità, in particolare in momentidove essa «venga ovunque soffocata»; e poi, l’accortezza nel riconoscerla, «benché venga ovunque travisata»; e ancora, l’arte di «renderlamaneggevole come un’arma». Perché dunque il suggerimento a rileggere Brecht mi proveniva ora da quel volumetto a vari livelli esplosivo (allalettera e in tutti i sensi, avrebbe detto Rimbaud), dove insieme con il soggetto deflagrano la lingua e la storia? E di quale verità poteva trattarsi?Niente avviene per caso quando si ha a che fare con il linguaggio, con la memoria che esso conserva e veicola. Se scatta un’intuizione,percorrendo un testo, è il linguaggio che va interrogato: ma come poteva la “verità”, un termine così ingombrante e compromesso, cosìinattuale, trovare posto e ragione di essere tra le acuminate e lacerate schegge verbali di Kamikaze (e altre persone)? Un termine scomodo,gravato di sospetti: e però l’avevo ritrovato, negli stessi giorni in cui stendevo queste righe, in chiusura dell’intenso, “disturbante”, primoromanzo di Gilda Policastro, Il farmaco edito da Fandango (con citazione da un Sanguineti come sempre provocatorio, vi si legge, tra virgolette:«non ho detto tutta la verità, ma ho detto solo la verità»). E in una pagina acutissima dedicata a Pasolini zombi appena uscita sul secondonumero di “alfabeta2”, è proprio Annovi a denunciare che in un tempo, il nostro, che pare impedire «ai vivi» di «parlare del presente», in untempo contrassegnato da «una cultura della morte che non prevede mutamento e ci vorrebbe muti», si assiste all’impotenza della “verità”(«oggi dire la verità - scrive - sembra non cambiare le cose, le nostre verità, anche quelle più evidenti, non paiono sufficienti a smuovere lecoscienze»). E del resto non è il caso di rispolverare Lyotard e le riflessioni sul postmoderno per sapere che il linguaggio l’ha perduta da tempola funzione di articolare la verità come progetto razionalmente controllato, in un tempo, il nostro, in cui la parola si espone al nomadismo, allaproliferazione incontrollata, o si dissocia in lacerti, frasi mutile che si articolano all’infinito, senza coordinarsi.Anche in Kamikaze (e altre persone) il linguaggio è ellittico, frantumato, conosce ogni volta, a ogni verso, i limiti fisici, corporei, di un margine, diun confine, e si espone al silenzio (al momento, direbbe Lyotard, in cui «on ne trouve pas ses mots») già sperimentato dal giovanissimo Annovi,allora appena ventenne, in Denkmal, il suo libro d’esordio del 1998, e poi in tutte le sue successive prove di scrittura. E però qualcosa nontorna, non si tratta più, qui, di dare voce al Dissidio della condizione postmoderna, e la lingua non è più strumento di alcunché, né tenta la‘comunicazione’: è realtà, verità fisica, materica, piuttosto, che non vuole comunicare, veicolare messaggi, ma esplodere, “decorparsi”, in modiperformativi vicini alle espressioni dei giovani artisti, statunitensi ma non solo, frequentati dal poeta. E anche se si guarda all’uso del soggetto, odelGian MariaAnnovi91


Piccola antologia della critica sull’opera più recentedel tu cui l’io si rivolge, qualcosa non torna rispetto alla perdita di sé: qui semmai è una parola plurima che prende voce e forma nel corpokamikazeo nel corpo-ostaggio, nella lingua-protesi o lingua-tatuaggio o lingua-malanno, come nella parola-cecchino, «imbottita di chiodi etritolo».Non muore, quella parola, ma “tramortisce”, carica della densità della storia: quella della poesia, intanto, con le risonanze tonali di una Rosselliche si ritrova appieno nella contrazione e deformazione del lessico, inteso a “contare feriti” («(tutto il mondo è bombato)» - scrive Annovi); o diuno Zanzotto alla ricerca, in Vocativo, dei modi di parlare in quella lingua “che passerà” («io dico a te/ in questa lingua che non riconosci»,scrive Annovi; e ancora: «parla la lingua che non conosci / che non comprendi ma ha / senso»); o di un Porta, cui si richiama la forza materica,coriacea, degli ibridismi e del corpo a corpo con la parola; e poi le suggestioni di Brecht, di Celan soprattutto.Ma c’è, assieme, la storia, quella dei fatti che ci coinvolgono tutti: l’assassinio di Carlo Giuliani, rievocato in versi di commosso, fermo nitore inGenova, 2001 («e il pensiero si stacca dal cranio / ti intaglia una stella tra / i capelli»), o la denuncia indignata, senza alcuno sconto di densità, ditorsione linguistica, dell’abisso di immoralità in cui ci si trova precipitati in una stagione buia, “noi”, proprio, che qui siamo chiamati ariprendere voce, ad uno ad uno, assieme: «torneremo a chiedere il conto / persona secondo persona / al tetro stivale che ci scalcia». Scrivemolto bene Antonella Anedda, accompagnando il libro di Annovi: c’è contrasto sempre, nel suo lavoro, «tra un tono basso, mai gridato, e lanudità abbagliante delle immagini».Che da qui scaturisca la “verità”? Dal coraggio di puntare la parola sul presente, dall’accortezza di riconoscere ciò che non è menzogna,dall’arte di fare della parola un’arma maneggevole per penetrare oltre l’arroganza e l’imposizione del silenzio.Niva Lorenzini, in “il manifesto”, 29.10.2010Gian MariaAnnovi* * *Deflagrante è il titolo, Kamikaze: un'immagine che esplode prima ancora dell'apertura del volume e raccoglie sotto la propria incombenzal'insieme dei componimenti, pensati o leggibili come schegge irradiate. Uomini che precipitano / (così inizia un secolo), così inizia una sillogeepica che percorre la svolta epocale degli anni zero.Con acuta lievità Annovi mette in scena le dinamiche trasversali dei conflitti contemporanei, non riducendoli ad un ipostatizzato scontro diciviltà. Se l'11 settembre 2001 è la pietra miliare, la geografia del terrore ha un orizzonte più ampio del raggio strettamente politico: le TwinTowers, la Cecenia, Abu Ghraib e - per inciso - i fatti del G8 di Genova sono soltanto le coordinate più evidenti; schiudendo una contemplazionee una consapevolezza più astratta rispetto ai riferimenti diretti, la ricerca linguistica scava sotto l'etichetta superficiale di “terrorismo”. L'abilitàdell'autore sta nel condurci tra dinamiche di azioni e percezioni, tra scintille di spinte, collisioni, impatti di un generico istinto di morte.L'attentatore si aggira tra le righe come un timer vagante, pura azione pronta ad innescarsi: è l'emblema di una logica fisica, nonnecessariamente razionale e morale, che determina una consequenzialità contraddittoria.Annovi si affida alla parola per risalire alla radice contraddittoria della realtà e la ricerca di senso avviene inseguendo la moltiplicazioneautogenetica del significante, come schegge derivate da uno scatto. Così non perde occasione per agganciare catene allitteranti, nodid'inventiva linguistica e anelli ossimorici; più evidenti emergono le antitesi, le affinità, i cortocircuiti di senso del reale, rappresentato conincisiva potenza immaginativa.Nei singoli anelli, i Kamikaze e le altre persone - l'ostaggio, le vittime, gli spettatori televisivi, i deportati - risultano pedine reciproche, al tempostesso reattive e passive. Viene meno, dunque, ogni interpretazione manichea: anche il kamikaze, evaso dalla foresta / dei frutti assiderati,finisce per essere torturato in gabbia. Ad accomunare vittime e carnefici è uno status esistenziale più opaco ed incerto nel mosaico dellacontemporaneità.92


Piccola antologia della critica sull’opera più recentecontemporaneità. L'attentatore stesso è una persona che atterra, prettamente un corpo reificato, di cui egli in primis si priva (decorparsi) tralacci, cavi e fili elettrici, perseguendo paradossalmente la giusta nozione / di persona per cui si offre come mero strumento materiale. Laspersonalizzazione acquista un quid lirico passando attraverso il filtro di analogie metamorfiche che spesso godono di sollecitazionipolisemantiche: affascinante è l'attentatrice cecena, porcellana / cinese che si frantuma quando sgrava tritolo.All'individuo viene meno il riconoscimento della propria umanità: la persona era quello / che io ti sfasciavo - scrive un io dai confiniaraboisraeliani - quando testavi contro il muro / la tua testarda volontà / di continuarti ed esistere. Nell'attualità di un presente / indicativo distragi, le esistenze dunque non sono. Di conseguenza il presente si appiattisce, accade, trascorrendo velocemente in un passato di cui sismarrisce memoria.A una visione pessimistica della Storia, considerata un moto precipiziale, si contrappone la fiducia nel potere risarcitorio della scrittura: lalingua, che tramortisce ma non muore, sopravvive e restituisce ai cadaveri di tutti i tempi la facoltà di una parola imbottita di chiodi e / tritolo -una parola altrove paragonata a segnali di / luce mossi dal riflesso / delle posate verso chi non risponde / alle pressanti richieste di cibo / delmondo. Qui il suo valore testimoniale e la sua potenza denunciatoria sono pienamente realizzati. La comprensione fa levasull'immedesimazione grazie a una scrittura che scivola tra rapidi dettagli, eppure con brevi tocchi metonimici e visivi è capace di comunicareimmediatamente e concretamente l'atrocità. Il lettore viene inoltre coinvolto in un dialogo serrato, incalzante nel ritmo e negli imperativi, traun io e un tu.Anche nei testi in calce in inglese la cura espressiva è precisa perché, come scrive Annovi in Nota, sono «versione e non traduzione» di suopugno. Alcuni passaggi discostano molto dall'originale: tra tutto il mondo è bombato e the whole mind is mined oppure tra motionless eimmobile la differenza semantica è una sfumatura precisa. Altre volte si tratta di una ricerca di suoni che, per un tessuto verbale più efficace,può condurre anche a immagini diverse (asphalt invece di selciato). Dal confronto emerge senz'altro una chiarificazione: non sicomprenderebbe appieno il significato dell'espressione la lingua che ti riguarda se non si leggesse poi your tongue as it / looks upon you.Ci troviamo dunque di fronte ad una (doppia) prova letteraria di rara levatura, che coniuga impegno etico e originalità stilistica. Uno stacconetto rispetto alla narratività piana di tanta, troppa poesia contemporanea.Silvia De March, di prossima pubblicazione nel n. 271 (settembre-ottobre 2012) de “L’immaginazione”Gian MariaAnnovi93


Sogno di ragazze n. 2 - 1950


Luca ArianoÈ nato a Mortara (PV) nel 1979. Vive a Parma.Ha pubblicato, in versi: Bagliori crepuscolari nel buio (Edizioni Cardano, Pavia, 1999), Bitume d’intorno(con prefazione di Gian Ruggero Manzoni. Edizioni del Bradipo, Lugo di Romagna, 2005), Contratto atermine (con una nota di Francesco Marotta. Edizioni Farepoesia, Pavia, 2011) e, insieme a CarmineDe Falco, il poemetto I Resistenti (Edizioni d’If, Napoli, 2012) risultato tra i vincitori del Premio Russo -Mazzacurati.Sue poesie sono apparse su riviste, blog e siti letterari in internet e in volumi collettanei. Tra questiultimi ricordiamo La coda della galassia (Faraeditore, Rimini, 2005) e La borsa del viandante (a cura diChiara De Luca. Faraeditore, Rimini, 2009; pubblicazione nella quale è stata anticipata parte dellasuccessiva raccolta Contratto a termine).Ha curato, rispettivamente con Enrico Cerquiglini e Luca Paci, le antologie Vicino alle nubi sullamontagna crollata (Campanotto, Pasian di Prato, 2008) e Pro/Testo (Faraeditore, Rimini, 2009).94Nel 2011, con Marco Baj e per Officine Ultranovecento, ha pubblicato il libro d’artista Tracce nelFango. Sempre nel 2011 e sempre per Officine Ultranovecento - all’interno del cofanetto Mappe perun altrove - ha pubblicato Tempi sospesi / Temps suspesos (4 poesie di Luca Ariano, traduzione incatalano di Imma Puig Cuyàs e 1 Fotolitografia da originale, pastelli su carta di Gabriella Di Bona) e,con Martino Neri, 5 gradi prima del ritorno.Collabora con le riviste “ALI”, “clanDestino”, “Farepoesia”, “La Barriera” e “Le Voci della Luna”.


Da Bitume d’intornoLucaAriano95Da I - FRAMMENTI OLTRE IL TEMPOBel-AmiDuroy questa mattinadavanti alla sua macchina per scriverebatte moduli di vite, di vanitàal nero profumo del caffè.Di là suo padre seduto in poltronalegge un libro, sfoglia La Gazzettatra una sigaretta e uno starnutomentre sua madre parla di strapaesane.Fuori la pioggia suona ai vetri appannatie ritorna bambino ad aspettaredavanti alla porta quell’uomo in viaggiotra campi e cascinepoi una donna chiusa nella sua bottega.Lunghi pomeriggi di compitie sudate partite all’oratoriotra sguardi indiscreti prima d’addormentarsiin una tenda sotto un novilunio.Questa sera posato il taccuino e la pennatra un pacchetto di Nazionali e una risatamescerà il tempo in un barberaper non sentire voci di mercantie il brillio di perle nella notte.Passeggiare per le strade di LomellinaPasseggiare per le strade di Lomellina,nel silenzio di paesi- carrellata d’un western-risotto -rotto dal gorgoglio di chiuseche lavano i campi.Si scava nelle stanze della memoriaper ritrovare fattori e braccianticon zigomi spezzati dalle bestemmiee sotto le unghie ancora la terra:non vi sono solo filari di pioppie gelsi ma rami, ormai incarognitidalle stagioni di falò per la notteo zolle, sotto uno stormo di corvi.Davanti a un sagrato una beghinaraccoglie una siringa ancora calda:il viso d’un bambino ignarodel timore di Dio;la piazza è un salotto televisivoe non rimane che osservarela madre che coltiva i suoi fiorial balcone,nuove stelle sotto una notte di carneo quel sorriso incrociato per strada.


Da Bitume d’intornoLucaAriano96Moloch(lettera in versi)“ Che porca rabbia. Che porchi italiani ”.Carlo Emilio GaddaCaro padrevi scrivo - forse per l’ultima volta -da questa trincea e da questo frontedove l’orizzonte è un deposito di cenere:«La guerra è finita. Abbiamo vinto!»Domani salirò su di un treno verso la vallebrulicante tra fumo e macerie;non dovrò più addormentarmi cullatoda colpi di mitraglia e risvegliato da granatema sentirò ancora il canto notturnodelle cicale davanti al caldo di una stallae il grido d’un gallo a gettarmi giù dalla pagliae in bocca non avrò più il saporedi gavetta ma il profumo delle nostre parche cenee le gambe mi bruceranno sotto il soledei campi e non per lunghe marce sui crinali.Ieri, nell’ultima battaglia, tra fango e sanguecome gesto di perseveranza e di paceho strappato dal nero delle foglie seccheun nemico, un fratello d’un altro reggimento:non parlo il suo dialetto e chissà se anche luiora sta scrivendo ai suoi cari;è un caporale,ricordo solo il suo nome: Adolf Hitler.Vi abbraccio forte al pensierodel ritorno a casa.Vostro per sempre…


Da Bitume d’intornoLucaAriano97Òi Barbaròi“ nec fas ulterius longas nescire ruinas,quas mora suspensae moltilicavit opis.”Rutilio NamazianoVarcati i limes i ‘barbari’ del denarocoi loro cavalli fuori serieche sbuffano gas traversanosull’asfalto pianure e foresteper costruire palazzi di cementofumanti controvento.Su scogli o accanto a templi edificanoville in attesa d’essere condonate dal demanio:strappando codici s’inginocchianodavanti a statue d’oro e seduti in poltronas’ammaliano per parole d’aria,cosce bionde o brune, pianeti senza speranza.Corpi torniti tinti di solarium salpanoin un mare di bronzo dove il cromosi confonde col tuffo della procellaria.Sguardi occhiali da sole si voltano a un lettodi cartone, occhi imbalsamati dalla menzognatra quelle mani d’ossa in un porto da nababbi.Campi arsi dove non sbocceranno ranuncolie silenti lucciole non illuminano stradecostellate da altari con gli antenati.Forse non è più l’ora di far l’amore in un vignetoo snocciolare l’ombra sotto un ulivocol timore di abbracciare una vecchiae sentire lo scricchiolio del suo sorriso.Assenza“Assenza,più acuta presenza ”.Attilio BertolucciCorsaro cranio tabula rasapedalare su salite coi polpaccitesi e polmoni gonfiati:sentire nei gomiti il sapore dei boschi,del sole che salendo dalla rugiadariflette raggi nel pantano.Un corridore osannato a caratteri cubitalisu pagine rosa e chiacchiere da bar:scorrono fiumi di spumanti e fiori,sventolano biglietti su bandane di ghiaccio.Ai primi baci di brina si spegne la radio,s’abbassano le tende del siparioe sull’asfalto si sgretola il giocattolo di sale.Sul comodino neve e frasidi un’anima già morta ancor primadel serrare le labbratra vespe e tifosi, piegati dai crampi.


Da Bitume d’intornoLucaArianoDa II - BITUME98Radio giornaleSvaporano risaie obnubilandole ossa:qui tra cascinali, bennet ed un inceneritore- straccio di Lomellina - (lontano l’Anteo)di formiche in codaper l’ultimo dvd blockbuster,«La Piazza quest’estate era fradiciasolo di Marocchi…escono col caldo…come blatte?»Ancora all’assalto d’un altro Westper setacciare pepite nere:Jesse Jane si farà esploderedavanti a un altro castello di vetro,teste sgozzate anche su canali locali.Lanzichenecchi per un nuovo Saccoscendono all’aeroporto tra onorie un altro reporter comunista cadesotto qualche brigata:«Allah Akbar! Allah Akbar!»Latra un cane in una notte di civettee garze ladre sul selciato:da quella mammella di vinoancora grondano le pupilletra patacche e mercanti di nebbia.Via Don Minzoni (1885-1923)Martire«Ma chi era costui?»Umberto D in una mattina senzatechnicolorpunge - non solo Charlotche leva la sua tenda.


Da Bitume d’intornoLucaAriano99Tuorli di lunaSvaniscono in una melma di polverele voci della memoria,tuorli di luna abbarbicati davantiad un videotelefonino coi cervelliclimatizzati in un ventre di gelo.Formicai di pensieri brulicanoper le strade:«Ci rubano le donne!»«Non sopporto quel sapore acido della pelle!…»In un archivio di primavere spulciarecarte impagliate dal colore del tempo:emozioni dattiloscritte ora mano tremulasotto un sole a picco pendente su ponti.Si mescolano odori tra aspirazionilancinanti e gomiti verdi ancora umidiscorsi nella freccia d’un finestrino:astri di libellule - prigioniere nel ventod’Elettra spirante su cuti -e mosche assordanti lasciano un cantonotturno di rane: rantolo in un letto di vetrolontano la musica da balera d’una sera.Tempi moderniUn cimitero d’automobilidove c’era un coagulo di papaveri:campi di granoturco asfaltatida una nuova rotonda sulla 494,dall’ultima fabbrica di scarpecrocifissa nelle tasche.«Nome senza risposta.Invio! Rubrica! …»Il Signor Toso ciucatdavanti a una birra gelatache brina di malto lo stomaco:quella erre di Riverenza un po’bigia non intimorisce in questi tempi moderniavvinghiati a qualche catena.Si dovrebbe fuggire da suore e sciantosein tinelli viziati dal troppo olezzodi sudore, fumo stantio sulle vetraie.Vedove nel vento su biciclette portanofiori mentre c’è chi amoreggia - nella vigna -o chi giocando sui tetti si rimirai capillari forati su pire.Rimanere sauro sopra mattoni rampicantia cogliere la canicola d’agostodinanzi un altro sorriso di bronzo:pizzicagnoli - all’ombra della galaverna -volano come merli sul trespolo d’avorio.


Da Bitume d’intornoLucaAriano100EpilogoQuelli che hanno letto un milione di libriinsieme a quelli che non sanno nemmeno parlare…Francesco De GregoriRogge secche non più ruggentiper la rugiada dell’ultimo temporales’intersecano tra strade assolatedi sporadiche biciclette e serrande calate.«Eh, il monopolio culturale dei comunisti!»Voci lievi in un panorama di gossipstucchevoli d’editoriali tra tribunali e lettereancora palpitanti di sudori.Risate obese in quella balera lomellinadove il clangore di rotaie si mescola a musiche:la Signorina Tristana ovvero stille stintein una notte ferragostana davanti ad uno specchioche deforma stagioni.Dalla finestra chiazze di verde maculano l’ariae spuntoni di piracanta graffiano un cielozebrato di calura:si vorrebbe in una valigia (forse una 24 ore)rinchiudere la forza d’un Don Mazzolario il suono arcano e misterioso della lingua di AlbinoPierroe tra un curioso - Happy hour! Happy hour! Sabatoun altro “sfattone” ecstasiato steso alla stazione….anche il 2 agosto.Bitume“Nell’antisemitismo si accentua il valoredella tradizione come individuatrice della razza.La tradizione ebraica è continua espressione di antiromanità”.Teresio OlivelliTu che già lo sentisti venire (l’autunno)in quella pizzeria d’oltremarecon le tue mascelle francescanementre nell’album delle figurine ancorasi beatifica un altro martire - fascista, partigiano, razzista? -Sfogliando quel giornale provincialeun’altra pagina di “Markette” in quella redazionedi Burgundi: da un blog partire all’assaltodi grandi schermi maritandosi il suo figlioccio.«Perché tu devi pulire la sburradel tuo godio!» -ululavanellanotte di cimici nelle lenzuolae di camicie alla naftalina: dalla strada di nuovosi sente il gusto del bitume fresco.Ritornare nell’attesa dei baci sulle panchinein Via Pietrasana, all’appuntamento all’edicoladel Cairoli ma giù un Costantino della domenica- col suo cambio shimano - pedala rapido.Riapre la vecchia corte di vino e tisane(suoni un po’ fusion) e chiudono caffè coi tavoliniabbandonati ai primi frizzi:«Un cane lupo non è un lupo!»


Da Bitume d’intornoLucaArianoDa III - L’INTORNORosina101“Voi sarete i servi del potere di domani!”IonescoRosina - nubile - s’appropinquasul ciglio del fosso: una sottovestedi biacca per nocchiero (Palinuro?)mentre sfilano balilla e topolino,le ultime biciclette della serasi mescolano al vapore pendolare del trenonel viola degli ultimi sussulti:«O bella campagnola!»Piedi scalzi e mani formicolanti nell’acquafredda di zanzare e salamandre:vento di beccacce e soffi di ranamentre qui ai bordi dell’interlanddove si perde la Lorenteggio sbocciano fungaiedi mattoni - non arriva la metropolitana! -e i gas scivolano oltre il ponte di Gaggiano- sulla costa del Naviglio.Crepitano schermi nell’alto volumed’un Mefisto imbonitore: giochi di prestigioalla luce dell’Aurora.Si smarrisce un telefonino:«Niente squilli! Niente messaggi!Addio rubrica!»Rosina ritorna a gettare le ditanel tepore d’una filanda: vignette a chinain bianco e nero fumanti in un piatto di polentaquando già a colori s’un sedile ricompareun cellulare.«Ancora mms! Ancora display lucido!»E i lampioni trafiggono foulard di foschie- lievi tocchi di kashmir -in sala la noia d’un altro film con Accorsie sulla sella pedalando un nonno:«Quanta strada ha fatto Bartali…»


Da Bitume d’intornoLucaAriano102Carmina panem non dant“Comincio a sospettare che mi abbianospinto nel posto sbagliato”.Vittorio GiardinoVirus interagiscono paroleche si sarebbero dovute proferiresenza mescolare le carte:gelida cola scioglie la ruggine nella gola.Da quel sellino si era padroni delle stagionie lo sguardo si posava a spigolare pannocchieda bollire in quella pentola di rame,funghi all’ombra d’un castagno, mani spellateun po’ ruvide sul manubrio:«Preparati! Si va…»Prendete quei poveri versi da strimpellareper la Carlona (Carla è solo il nome d’una trattoria),la figlia del giornalista del Corriere- carmina panem non dant -mentre Odisseo stermina i Proci- «Ma non erano culattoni?» - Argo abbaia alla luna.Dulcamara alla sagra del paese (a reti unificate)vende il suo Elisir - come insegnò il Minchiae un Lucignolo tesse trame di Penelopeimpalando pensieri.La stamina gonfia lo sguardo più del tuo viso di bambinasul vagone d’un treno verso riviere:«No Pasaran! No Pasaran!»Nelle orecchie di Max quando a Bologna Pezzoe Zanardi si chiudono in qualche Osteria di Poetidove schitarravano canzoni popolari.L’attesa d’una settimana scemata in una festasenza festeggiati, carezze sfiorate- quasi di nascosto per rimanere nel limbo,Stige da traversare bevendo una tazzae l’incontro d’una sera termina tra lenzuola,calanchi da stringere e capelli da rasarecome uno strapiombo di vento.


Da Bitume d’intornoLucaAriano103Acqua sgasata“Forse sono il redegli imbecilli,l’ultimo rappresentanted’una dinastiacompletamenteestinta che credevanella generositàe nell’eroismo”Corto MalteseUn cielo d’arancia- allarme d’inverno! -colora l’aria di foglie morte,di pozze dopo pioggia dove riaffioraretrame: «La Silvia la Sara la Stefaniala Sabrina la Chiara la Paolala…la…la…»E da quella sedia a ruote osservaresgroppare cavalli (e tu chi sei?)mentre le parole si dimenanoin quella cantina di “sfattoni”(Ride chi ha nel cuore l’odioe nella mente la paura)«Perdonami per non sapere dei cd…e non portarti a ballare!»- «Lei veniva giù per te!» -- «E tu a chiedere: quando ritorna?»innamorarsi un pomeriggiodopo la sera - in un pub - finisce tuttoin un altro modo;è troppo corta la goletta per un viaggiodi Corto:«Sembri uno sbirro!»e le nevrosi s’ingrigiscono confondendosial cappotto maculato d’acqua,silenzi scroscianti nell’acciottoliodavanti a qualche isola di Pirla- «Un altro giurislavorista freddatocol corpo ancora caldo sotto una coperta!»Esplode una vetrina d’un’altra agenziainterinale:«Dovevi baciarmi!»«Dovevi baciarla!»La routine di quel telefono che non suona- saecula saeculorum -una bottiglia frizzante ormai sgasatache non disseta più in quello sguardo calato- stridulo fischionella fine mesta della gara.«Ma davvero il Fuhrer edificò Buchenwald dopo aver visto Metropolis?»


Su Bitume d’intorno[…] La sua (di Luca Ariano) è poesia che racconta, che narra una quotidianità ‘sgretolata’ in cui il tutto convive, s’incastra, ma porta tatuato unadichiarata disarmonia. Incalzante il procedere, vissuto, sacralizzato e ascoltato dagli anziani nei bar della Lomellina o da quegli ultimi partigianirimasti in vita e stazionanti nei circoli ARCI di Parma. Interrogativo e interrogante è il futuro, più certo il passato, anche se trasmesso tramiteun’innalzata tradizione orale, ma pur fonte del mito. Forse ché nell’oggi si nasca già vecchi? Sì, penso proprio di sì, dal come le generazioni discrittori in versi, targate anni fine ’70 e ’80, del secolo scorso, si pongono, più o meno dichiaratamente (ma i testi non fingono) quali testimonidi un crollo d’idealità e d’identità e, di fronte al tribunale della storia, lo dichiarano senza remore. Resta, in alcuni, un modo di reagire, o,meglio, di re-agire, quello di dare fondo a ciò che resta di una poesia civile, impegnata, accusatoria. Il dialetto si mischia con l’inglese avanzante,la natura e le geografie familiari si contaminano, tristemente, con i megastore di un’America priva di radici. Si tenta, con l’ironia, di abbassare lasoglia del dolore, si tenta di esorcizzare con la ripetizione di aggettivi, neologismi, assonanze-dissonanze, con quella voluta ‘pesantezza’, conquel rotolio, ma la rottamazione di una società e di una civiltà è già in atto. Non esistono formalismi, artifici verbali, strutturalismi che possanostemperare l’ansia e forse, nel giusto, è meglio che sia così. Il mondo è sull’orlo dell’abisso, e il mondo di Ariano, pur essendo un micro-mondo,non è da meno. Balla-traballa, come la morte di Goya sulla fune. Disincanto, ecco il termine, che il ‘bello’ non riesce a rimpiazzare, perché il‘bello’ è stato sepolto già da un pezzo, ce ne resta solo il ricordo. Così, nella carne di ogni poesia, s’innestano voci-coro, voci-ringhi, vocistereotipi,voci dell’ignoranza e del preconcetto dilaganti. Il mondo fa il controcanto a Luca e, Luca, fa rimbalzare tali echi nelle sue scritture,quali slogan, quali sconcertanti espedienti di ‘malvivere’. Sono pure biciclettate su argini di canali e una sospirata e nostalgica civiltà agreste aproiettarci oltre, in quel meta-tempo in cui il poeta ricerca una ragione del suo e del nostro esistere, ma, di nuovo, la grettezza e lasuperficialità si abbarbicano alle ali e fanno precipitare. Ma Ariano non si arrende, come poi noi non ci arrendiamo… e resistiamo (ri-esistiamo).Gian Ruggero Manzoni, da “…e quel poeta che a venticinque anni si credeva vecchio…” (prefazione al libro)* * *Il blob poetico di Luca Ariano si aggira per le strade di un mondo che appare “alla frutta”, contempla quasi in silenzio la decadenza chiassosache ci accompagna, si serve spesso di un montaggio cinematografico, audio e video, che registrando commenta, ma raramente interviene,preferendo lasciare allo stesso montaggio il giudizio. Eppure Bitume d’intorno è attraversato da una gioia sottocutanea, un sentimentocrepuscolare che tiene unite le cose al poeta, un poeta che non si erge moralmente sopra il mondo ma che comicamente ne fa parte. LaLomellina diviene allora paradigma di una situazione dell’umanità ed Ariano osserva e raccoglie le voci che gli passano accanto, quelle dellepersone in strada: «ci rubano le donne!», poste alla stregua di voci e rumori provenienti dalla televisione, le immagini dei film che si ripetono agetto continuo ed entrano a far parte della realtà stessa. Non manca quasi nulla: la gente in coda per i dvd blockbuster, i Lanzichenecchi alSacco che scendono all’aeroporto, le note di Piero Ciampi, le notizie d’attualità, i videotelefonini, il dialetto, gli iper-super-maxicentricommerciali (novelle cattedrali del deserto), un altro «”sfattone” ecstasiato steso alla stazione / …anche il 2 agosto», le discussioni sulleprodezze del Napoli di Maradona, i contorni di una generazione cresciuta coi cartoni animati giapponesi sulle reti Fininvest e di quellaprecedente, se possibile ancora più nevrotica. Ma attenzione, il detrito linguistico che Ariano mette in atto resta appena accennato; preferisceun detrito tematico, e lo Zanzotto di Si, ancora la neve fa da epigrafe accanto al De Gregori de La storia siamo noi, e neppure si può parlare disatura per Bitume d’intorno (malgrado il titolo), perché la saturazione del reale e del letterario, pure in atto, manca di limacciosità, la poesia diAriano non riesce a divenire fastidiosa a se stessa; pervade i suoi versi una strana gioia di vivere, di scrivere per lo meno. La forma, anche nellarealizzazione di un ossimoro costante e permanente, vivifica di sé il contenuto e non gli permette di odiarsi.Mimmo Cangiano, gennaio 2005LucaAriano104


Su Bitume d’intorno* * *[…] Gian Ruggero Manzoni, firmando la prefazione, scrive di una «rottamazione della società e della civiltà». Viene alla luce, con queste seccheparole, che Ariano ha cercato di riscoprire una poesia civile dura, rappresentativa, molto poco immaginifica. Dentro il panorama in versi sistagliano le stagioni, la solitudine, l’interrogativo esistenziale di giorni consumati nella stanze della memoria («Quando la notte è tutta un vocio/ imperlato di sudore ripensa agli amici / salpati lontano…»). Ma soprattutto s’affaccia un dolore profondo, una ferita aperta dell’umanità. Unalettera filiale proveniente dal passato (da una trincea e da un fronte), confronta l’oggi con l’eredità di una battaglia tra sangue e fango. E ilbitume è il marcio di un mondo degradato. Il presente attanaglia nella sua consumazione, nel dislivello di gente senza appartenenze («Idioti,imprenditori falliti si oblomovizzano / stringendo un telecomando»). La cattiva educazione, ammonisce Ariano, è di chi stringe un paradisofallace. L’epilogo, titolo di una poesia, può essere anche l’inizio di una nuova era, idealmente, quella di chi si ferma a guardare la rugiada di unultimo temporale, una chiazza di verde che macula l’aria o un lume d’estate. Sembra che Luca Ariano voglia dire, sottilmente, che la fuoriuscitada una negatività perenne, possa avvenire solo salendo su di un traghetto che porti l’uomo in un’altra percezione conoscitiva, a strettocontatto con la natura e i sentimenti. Se così fosse, anche il ricordo tremendo delle preghiere e dei sospiri della seconda guerra mondialepotranno scivolare nel nulla, acquietarsi. Ma il cambiamento dovrà avvenire con un investimento totale sull’individuo, come farebbe una madrecon il figlio, permeata, di un amore totale. […]Alessandro Moscè, in “L’azione”, n. 29, luglio 2005* * *[…] In primo luogo: Bitume d’intorno è costellato di citazioni, varie come il mondo (da Pavese a Corto Maltese - con la normalità che è propriadei giovani più giovani di me: per i quali, giustamente, TUTTO È PASSATO. Perciò: tutto è storia e cultura; e, se serve, è valido: ogni testo avrà ilsuo esergo magistrale, che può essere tanto De Gregori quanto Rutilio Namaziano. Né il primo è troppo basso né il secondo è troppo alto; e seTeresio Olivelli dice meglio di Platone, sarà citato Teresio, non Platone). Solo vent’anni fa il citazionismo sarebbe stato un espediente estetico,in nome del post-modern e dell’antilirismo: ci fu Voce e ci fu Baino (e c’è Biagio Cepollaro: che poi fu ferito dalla realtà, nel suo stesso corpo; emutò la maniera). Oggi Luca Ariano cammina sulla via di una conoscenza naturale, senza enfasi da sudate carte e maledizioni febbrili allaNatura: come un bravo studente che ha le sue auctoritates e le divora, e come il lettore dei libri allegati ai quotidiani. Così esiste un percorsoscritto e vario, che traduce una formazione onnivora - e non dogmatica. Dunque non posso aggredire con i miei dogmi ciò che vedo, ora:questo libro è un ragazzo. Non è il libro DI un ragazzo: QUESTO LIBRO È - ripeto - UN RAGAZZO.In secondo luogo: compaiono molti personaggi. «Duroy questa mattina / davanti alla sua macchina per scrivere / batte moduli di vite, di vanità/ al nero profumo del caffè»; «Caro padre / vi scrivo - forse per l’ultima volta - / da questa trincea e da questo fronte / dove l’orizzonte è undeposito di cenere»; «Ted gioca coi suoi versi di lego / componendo castelli / sotto un cielo di vescica di seppia»; «Nosferatu posa i suoi caninisu aliquote / mentre Sallustio - nella Trinacria - dopo essersi rimpinzato di sesterzi / si dedica all’Otium». E tra i personaggi: il soldato Ariano(nomen omen) - che scrive fingendosi il Caronte di un Lager e data «27 gennaio 1945» - o lo studente Ariano che l’appello nomina dopo Albini eAlessandrini e un giorno si laurea, malinconicamente.E in terzo luogo: che cosa bisogna capire?[…] … nessuna tradizione, ma la somma delle tradizioni. Tutte recenti o recentissime, ma contemplate dal libro-ragazzo come una casa/cosacompatta (che ha molte porte - e da cui si esce per molte finestre). […] …il lettore meno giovane (o più dogmatico) che arriva ad Ariano dallasola tradizione lombarda resta deluso; il lettore che ci arriva da esperienze ‘sperimentali’ vedrà uno stile incomprensibile…: né la solita prosa néi vecchiLucaAriano105


Su Bitume d’intornoi vecchi versi, né un discorso metrico né non metrico, materiale ma non materialista…In ultimo, il bitume non è poesia-poesia. È il teatro di un io che non si accontenta di poco, e che non ha il solito concetto limitatissimo di realtà:se ce l’avesse, parlerebbe della piccola famiglia e della piccola vita, e della piccola Vigevano e di quanta nebbia quanto umido e come mormorala gente e quanto mi piaci ragazza - non guarderebbe le trincee e gli “ariani” che Hitler macella. Non parlerebbe per bocca di altri, non siinvischierebbe nel Bitume, e non si libererebbe così SERENAMENTE da stile, scuola, canoni e maestri. Il ragazzo ha un cuore generoso di cane,come nella canzone di De Gregori.Massimo Sannelli, da Questo libro è un ragazzo. Luca Ariano, Bitume d’intorno,in “La poesia e lo spirito” (http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2007/07/13/questo-libro-e-un-ragazzo-luca-ariano-bitume-dintorno/)LucaAriano* * *[…] …rilettura piena dell’opera del primo poeta citato nel libro, cioè Vittorio Sereni. Un Sereni riletto, mediato, riempito della vita e degliavvenimenti di Ariano, ma pur sempre presente, pur sempre vivo e pulsante. E una costanza come questa di ritorni a Sereni non è davverosempre così usuale, nemmeno nelle nuove generazioni che spesso sono state associate a questo poeta, uno degli ultimi “catalogati” dallascuola dell’obbligo ma che spesso cede il proprio peso ad autori e dettami critici più volte vicini a quelli indicati ad esempio da un comunquesempre grande critico e poeta come Giovanni Raboni. Qui, invece, tra i bar della Lomellina e i vecchi nostalgici che frequentano ancora (omeglio «fanno parte dell’essenza del territorio») i bar emiliani, tra tortelli di zucca e Refosco, caffè, sigarette e Gazzetta, dvd di Blockbuster c’ètutta un’evoluzione, una crescita, un divenire che si respira all’interno di una vita. È la vita che va a braccetto con la poesia nel lavoro di Ariano,un affondo di realtà corale mediata dal protagonista, una foga di analisi che se a volte rischia di far fuoriuscire il personale giudizio in manieraprobabilmente eccessiva nel rispetto del lettore, dall’altro però consegna un reperto puro, una fotografia senza ombre, senza secondi piani.Questo appunto, ribadisco …, era anche in Sereni e la scommessa andrebbe premiata all’interno di un sistema che vede l’omologazione comerischio principale della Nuova e magari Nuovissima Poesia, le scelte compiute da Luca Ariano lo rendono certamente riconoscibile e questa ècosa importante. […]Matteo Fantuzzi, da La vita che va a braccetto con la poesia nella realtà corale di Luca Ariano, in “La voce di Romagna”, 9.2.2009106


Da Contratto a termineLucaAriano107Da TRANSAZIONESulla Via EmiliaDi cancelli serrati, di ciminiereSpente - ma senza viaggiaretroppo lontano: per sentireil sapore delle zanzare sulla pellee il calore umido del riso.Tra parrucconi aristocratici conquelle erre che frustano le orecchiee graffiano le corde, mentre lo sguardodelle rughe si scalda nel bicchiere- e lassù abbiamo combattuto…… per Libertà! Non avevamo teschispillati su spalle nere a rastrellareanche il pianto, le preghiere di madriOggi festeggi. Ancora nelle venee sulle labbra ti accompagna ancorail ricordo dei biscotti allo zenzeroe al cardamomo, che volevi danzare…Non si sono incrociate le finestree ti porti sulla Via Emilia una lungadiscussione da film,col nome uscito da un cartone,in un’aria di neve che domaniimpasterà le strade.BambiniBambini pedalano ai primi rossori,gli ultimi rimasti sulla viae tu ritrovi quei pochi minuti di ricreazionein cortile: l’immensa fantasiadi giochi tra terra ed erbaora sono visi eroinati nel parcheggiodel cimitero su una vecchia peugeot.Si rasano i prati spulciati da merlie i tuoi capelli cadono sulle zamped’un cane che assalta il tremoredelle ginocchia:in un altro iper di sabato pomeriggioconfondi il luccichio delle vetrateal trillo d’una tasca, ai nuovi corpigià spogliati di primavera.L’Andrea si strafogherà in qualche bettoladi bestemmie per un’altra mano calata male«Diu bel!» e il confronto tra Dio e Destinonella preghiera delle sue pupille«Se avrei vinto…» mentre ancora ansimiper respirarlosbattendo le imposte.


Da Contratto a termineLucaAriano108PanoramaQuel vostro bacio sfrontatoin quell’atmosfera di fine galàsi sperde nell’aria putrida;eccoli quei fili d’ossa che s’agitano- paiono Gollum - dove s’annidail tarlo del panico, un tempo fiorenti.Sale il sapore ancora caldo di ricottae marmellata, dal vaso di geranistagnano zanze e mentre la madrechiama la sua Bea - identici occhi di neveche si squaglieranno,ritorna alla mente il Peppino, l’ultimoranat, spazzato una sera sul suo Garellida un furgoncino della sip;l’estate era già di sedie sulla strada:la Carolina, l’altro Peppino, la Manuelache già usciva col suo moroso, il Claudio… lo avresti fatto anche tu -E sei invece lì a consumare una rapidacarciofa da Pepè, mentre lui lietocon la preghiera in petto ritornada Santa Cristina.In un panorama che gela le tonsilledistribuisci versi in quella quiete ambratacome tuo nonno sparse scarpecon la tomaia ancora calda di colla.Trent’anni dopoL’hai chiamata in quelle torridesere la pioggiaed ora è arrivata a scrosciaresulle strade allagando cantine.Ti hanno ritrovato quei capelli di lagosorsi di sorrisi da versaresulla tazza di petto:sono tutte belle le donne,e lo dici - appoggiatoad una colonna pavese -deglutendo boccate di fumoo cavando dal fango ruote impantanatein un’avida camporella.Si squaglia il mascara sull’autostradae il tuo pezzo di cartoneè ormai buono solo come carta da bagno,volto da emigrante del ventunesimo secolo.Trent’anni dopo non puoi non pensarea quel cuore scoppiato, spappolato fegatonella cassa schiacciata,negli istanti fracassati del corsaroall’Idroscalo di Ostia:le parole non erano ancora profeziesolo per i ciechiogni giorno muore un poeta.


Da Contratto a termineLucaAriano109Da CALENDARIO GIULIANONovecentoAtto IQuei primi scioperi- la piazza non era gremitacome nelle storie,e il tuo pugno chiuso in fotocon l’orologio in evidenza.Quel manipolo di sbarbatialla mattina, al pomeriggioe anche alla sera e poi...poi il tempo di distrarsie il tuo volto non si riconosce più.Avessi aperto un negozio di scarpeo un locale trendy - sempre pieno;il bambino, cocco della mamma,sempre in palmo di mano ora non saa chi gridare, ora che l’eco della casarimbomba tira grembiuli altrove.Lui si allontana in moto,pare quasi una cartolina anni cinquanta,col vento di salso che sale dall’autostradae tu prepari il tuo viaggio,il tuo gommoso ritorno in treno.Atto IINon c’era quando la stradas’asfaltava della schiuma oleosadella pioggia e tu lì in quel tiepidosole di marzo, per ogni soffio di nube.Sceso di corsa dalla carrozzaper un biglietto quasi vergato a mano,a sottolineare la febbre galoppantedelle stagioni.In questa notte al Pratello Bolognapare una canzone di Guccinima state solo scimmiottando i padrie certo quei negozi pakistaninon sono osterie da rivoluzioni.L’emulazione nel delirio collettivod’un bagno notturno ma è lo specchioopaco d’un altro decenniocon ancora l’odore delle bombe sotto gli occhi.Un vecchio osserva le cosce d’una ragazzae ritorna ai frettolosi amplessitra macerie e sirene quando un baciopoteva esser l’ultimo prima del calar della polvere.


Da Contratto a termineLucaAriano110Lo hanno ucciso lì sul divanoLo hanno ucciso lì sul divanoo forse sul letto con tredicipugnalate;- così recitano le cronache.Il coltello ancora sporco di sanguenon verrà più lavato.La partita proseguirà in qualche circoloda dopolavoro ferroviarioe sbaglierai sempre le solite carte,confuso dal fumo e da un cicchino.Lei s’arrossa di sorriso nel suo buffoaccento e si lascia corteggiarenel fresco d’un negozioprima di spazzare via l’estate,di spolverare gli ultimi pulviscoli.Sono ingiallite le tue foto nell’acquacoi braccioli, lontano quel rimbomboe il tuo impegno:nei vicoli te la devi sbrigare tu,rapido lo sguardo dei passantie troppo secca la tua retinaappanna i mattini.È già il secondo matrimonioÈ già il secondo matrimonioin meno d’un mese e te ne accorgiquando nel vetro vedi brillare quei fili.La ruota gira all’impazzatae pedalando senti l’alba carezzarela tua camicia bianca,come se fosse la prima comunione.Lei ti racconta che - mollata dopo sei anni -si sbronza ogni fine settimanaper non sentire il rimbombo d’un clic.Quante volte ha piovuto sul bagnatoche le tue scarpe e il tuo giacconesanno ancora di umido ma bisogna abituarsiin fretta a quei raggi.La nebbia di quelle stagioni lasciasempre un cattivo gustoma il primo tepore del mattino risveglia le ciglia.


Da Contratto a termineLucaAriano111È un’altra di quelle mattine albineÈ un’altra di quelle mattine albineda pedalare in fretta di cappucciper non sentire l’umido;c’è chi si consola con un bianchinoper dimenticarsi di salire sui ponteggi.Le strade s’abbrustoliscono di castagnee quelle bocche non sono lo stesso sorriso:euforica, ti racconta che tra qualche mesela raggiungerà suo fratello- stavolta non passando da un barcone.«Spero di rimanere incinta»,e intanto per il mutuo garantiranno i suoi,un po’ ingrassata nello sguardo,dimagrito nell’orgoglio a ridere cinque anni fa.Bruciano come di stagione i fuochi nei campie li vedi quei trattori ammucchiare le stoppie,lì in coda autostradale verso le solite destinazioni:finestrini calati ripensando a quelle manimappa delle stagioni, sentiero da percorrere.Eccoteli lì quei capelli di nebbiaEccoteli lì quei capelli di nebbia,quasi li stavi aspettandocome sabbia negli occhi a cavartilo smalto.Oggi è il suo compleanno -segnato in qualche agenda estiva,e ti passa la voglia d’un piccolo gesto,la risposta sarà un asettico «smile»nascondendo il capo dietro i portici.La barista di polline ti serviràun caffè già tiepido e ronzeràla scontata storia d’un copionedi periferia: Raffaella, ventidue anni,- troncata l’infanzia a quattro anni -distribuisce un mazzo di foto- scattate dal patrigno,come carte prima dell’ultimo giro.Forse ci sarà ancora qualcunoa dilatare le pupille per la poesiad’un battito ma questa seranon c’è luogo per la scansione dei tuoi metri.


Da Contratto a termineLucaAriano112Tornare è un po’ come morireTornare è un po’ come moriretra sorrisi sdentatie mani gitane da leggere,c’è un apparecchioa graffiarti le labbra.Curvi tra le risaie e nuovi cantieriricordandoti che la tua generazionenon suda il cammino sui sassi;- per chi ce l’ha - la tredicesimaè già una foglia di vento sul marciapiedee nascere in Lomellina è un sospiro crepuscolare.Ti bombardano di messaggi e videoe giù a rimbrottare che ai tuoi tempinon c’erano, per loro che non si scambianoun’occhiata, immersi nelle cuffie.Aspetti ancora che i viali splendanodel suo riverbero e non delle abusatelucine natalizie sotto i portici.Da CONTRATTO A TERMINEL’hai fatto in quel parcheggio vuotoL’hai fatto in quel parcheggio vuotocon la pioggia a catinelle a battezzareil pomeriggio, sul divano, o nel bagnod’un ufficio ma tanto è dato per certoche non la rivedrai nel piazzalescendendo dalle colline in un sudore di sole.In fondo sei sempre lo stesso che distruggei suoi mattoncini contro il muro;quella convivenza quasi per gioco,per non spegnere la luce senza un «Buona notte»ma poi i nodi vengono al petto e ogni sabatosotto quelle lenzuola un altro respiro.Ti han regalato una terra battuta da un ventoAustrale - proprio verso sera,e non sai che cosa daresti per vedere tua nonnapotare le sue rose o salire sul sellinoma l’odore di stagione lo mischi alle polveridella città, oggi, che Bologna, con la sua babeledi portici ti rassicura nel tuo anonimo sguardo.


Da Contratto a termineLucaAriano113Quelle mattine - a casa da scuolaQuelle mattine - a casa da scuolacon la febbre - profumavano di lattee miele, di terra d’orto portatain casa con le ciabatte.Rumore di vapore e ferro da stirotra vecchi film senza colorie poi biciclettate in campagnacon l’odore di animali prima della pioggia.Ancora non le conoscevi le nuove stagioni,il fumo delle ciminiere bucare l’ariae rotoli d’asfalto lucidi di afa.Teresa seduta su una panchina piangeper quel gioiello rubato, i suoi piccolisegreti violati ma domani - a San Giorgio -passeggiando per le bancarelle, il soleasciugherà gli occhi e tra le maniil profumo d’una rosa da regalare.Per te quel giorno è sempre il rimbombodi spari lontani dietro le collinee il vecchio sul viale alla stessa ora,ha il volto di Parri e claudicantecerca un filo d’ombra sotto grandi occhiali.Da NUOVI CONTRATTICerto che quando l’Emilio iniziòCerto che quando l’Emilio iniziòa tradurre versioni dal latino e dal greco,a memorizzarsi l'atlante storiconon immaginava certo di star lì a ciondolarein attesa di una telefonata: si vedeva professorein qualche università a decifrare il misterodella lingua etrusca, a scavare nel Peloponnesoalla ricerca di nuove civiltà.S’è alzata la Via Emilia e la tua casa affondanella polvere, però val sempre la penadi vedere cupole e torri struccarsi di rossoper le luci della sera.Alla prima ombra davanti al Tardinidalla pensione quei vecchi se la contanosu come andrà quest’anno il nuovo Parmae ogni domenica c’è qualche poltroncina vuotaper un colpo di tosse troppo forte.Tu c’eri quando don Leandro e don Lorenzopredicavano in un angolo, te li ricordi pregareanche per te e non sai se è rimasto almenoun po’ di marmo su un muro per Fausto e Iaio.Quest’anno non hai visto le risaie gonfiarsie stai ancora cercando nell'orto le tue farfalle,le conti e le riconti ma i colori non tornano.


Da Contratto a termineLucaAriano114Mercoledì è giorno di pulizieMercoledì è giorno di pulizie:ci sono capelli da raccogliere,spazzolati lenti davanti allo specchio;c'è un asciugamano da lavare, arrotolare,un docciaschiuma profumato al rosa-cacaoper ammorbidire la pelle, vestitilasciati nell'armadio prima d'una partenzafrettolosa. Cartoline da rispedirecon giornali e forse nuove poesie.Il prufesur ha voglia di usciree stasera ride di quel romanzo di Svevo,non ha voglia di pensare a freddi messaggie telefonate interrotte;Amalia dietro al sedile sorride rancidae pensa alla città dove verrà a rifarsiuna verginità ma quelle voci poi ci vuol pocoper riudirle dietro l'angolo.Per te che sei un piccolo borghesecon la faccia pulita non si sta poi malenella copia carbone di Parigi e in duesulla bici semi nuova un po' sporcaè un ritratto da vetrina antiquaria.Vito, ex partigianoVito, ex partigiano - già allora lo chiamavanoil terùn - ha combattutonei GAP ma ora vive col respiratoredieci ore al giorno:non ci sta più con la testa e ti raccontache lui lì era di casa... quelli sì sono bravi ragazzi- non sa di baci e strette di mano cose loro.Suo figlio s'è bruciato i polmoni d'eternitin trent'anni di cantiere e suo nipote Ninoti porta in qualche bettola a cenare;cibi discount - studente fuori sede -ma poi dal bancomat preleva un'altra serata etilica.Teresa e fiulin in un caffè un po' chicpaiono usciti da un romanzo francese;tra le pareti si respira sapore di mokae fumo di castagne cotte in padella- quella coi buchi che ti ricorda focolari -e il tramonto su tangenziale tra pali e filibrilla anche su cupole e campanili.Arriva il freddo porco a soffiarti la boccadi tosse e starnuti e il volo d'uccelloè solo l'arrivederci d'un abbraccio.


Da Contratto a termineLucaAriano115Da GENTI DOLOROSEEserciti s'affrontano ai limes sguarnitiEserciti s'affrontano ai limes sguarniti:orde depredano tra burocrati e ministrida Basso Evo e dal balcone si sentela canzone dell'eroe del rionebenedetto la domenica in confessione.Il tuo naso semita - forse traccia cromosomicadi un’altra altra epoca - è il passo di bracciantida masseria a masseriaquando i briganti aspettavano i piemontesial bivio; le tue mani pulite hanno ditad'artigiano a risuolare scarpe.Teresa oggi è chiusa in casa con quel tempoche non sai più che stagione è:«Mira mira» il battello che costeggia le isolecon gli ultimi spruzzi di soleed è tempo di migrare come bufalea pascolare su discariche.Accanto alle scuole in Via Toscana dell'Eridaniaè rimasto solo lo scheletro e siringhetra l'erba dove domani si sposeranno.Una dose la puoi comprare al Parco Ferrarie t'immagini un'azione della banda Corbariprima dell'ultima rappresaglia gridando«W l'Italia!».I cavalieri di AnnibaleI cavalieri di Annibale- si dice presso il Ticino - sconfisseroi fanti di Scipione in fuga sul Trebbia.I cercatori d'oro - dai tempi di Plinio -setacciano il fiume e ora non rimaneche pescare metalli pesantimentre la tavola periodica sgorga dal rubinetto.Teodosio non ci credeva poi molto in quel Dio,preferiva Apollo e Marte,ma il potere delle religionivale più di mille eserciti.L'Emilio ripassa la sua storiae quando Claretta sul divano si struscia,manda giù il suo boccone amaroe gli anni all'università.Il professor Piero non capì mail'azione di Via Rasella e il figlio Franco,comunista dell'ultima ora,forse ci sperava davvero nella Rivoluzione.Nell'antica provincia romana c'è odoredi raffineria, di petroliere nel portoche tanti sghei hanno portato:guai a parlarne ma quei sorrisi non diventerannomai padri e la chemio per quel cancro al polmoneha il sapore nero del vento che s'alza di notte.


Su Contratto a termine…più che la denuncia tramite la poesia, la protesta. […] …un’opposizione della poesia al contemporaneo, la cui lingua è abbastanza forte daparodiarne l’anti-valore, con un recupero del sensuale in seno al vecchio verso… . Deposita una patina fine anche sul corpo nuovo della storia edella lingua contemporanea, come fosse qualcosa di completamente già codificato, da rimodellare nell’esibizione che questo suo materiale, glioggetti e le persone propone… […]…in Ariano troviamo il collettivo in seno al personale, che guarda alla storia recente o lontana, e che usa semmai non l’umorismo paradossale diFantuzzi, quanto la tagliente ironia che rimette in circolo tutti gli stereotipi dominanti… . L’accumulazione delle parole (dei nomi) è la libertà disalvarli, perché Ariano è meno propenso a creare storie ma più interessato a leggere e a ridire le parole che esse sedimentano, preservandoinsieme ad esse tutt’un mondo.Guido Mattia Gallerani, da LETTERATURA CRITICA - Note sulla poesia di Ariano, Bini, Fantuzzi, Ronchi e Petrosino, inhttp://www.rivistaonline.altervista.org/?p=156, marzo 2009* * *La percezione netta e inequivocabile dell’esistente come terreno, dove si consuma, oggi ancora più che in altre epoche, uno scontro senzarequie e senza ritorno tra la memoria, che resiste stretta alle radici valoriali che in essa affondano e in essa trovano ancora linfa, e un presentesenza storia che spiana, come un rullo omologante fatto di congegni coercitivi e di rituali vuoti, deprivati di sostanza e di voce, ogni persistenzadi senso e ogni proiezione verso un futuro a misura di speranza, è il quadro di riferimento entro il quale si colloca e dal quale si dispiega tutto ilpercorso poetico di Luca Ariano. È una scrittura animata e sorretta da una profonda ragione etica, sapientemente giocata nell’alveo diconsapevoli e marcati registri antiretorici, capace di penetrare con l’insistenza e il paziente lavoro sotterraneo di fiume carsico, seguendosoltanto la mappa interiore di ben meditate traiettorie di pensiero, nella dimensione del quotidiano, in cerca del frammento fuori quadro,magari di una parola, di un volto, di un gesto superstite refrattari alla dissolvenza nel nulla di comunicazione che contraddistingue l’insieme deirapporti reificati nei quali siamo immersi - e di farne, con naturale coinvolgimento e disposizione all’ascolto, il punto di accensione che faesplodere la maschera delle convenzioni e della assuefazione alle logiche del vuoto, della disperazione e dell’effimero elevate al rango dicategorie dell’esserci. Disincrostando metodicamente il suo verso da tutto ciò che fa da ostacolo alla restituzione di un dire che lega uomini ecose in un’unica vicenda e un unico sentire, dove l’interazione non azzera, differenze ma esalta la diversità che ci parla dal cuore di altri alfabeti,il poeta diventa testimone di una metamorfosi che lo coinvolge a misura della radicalità del suo sguardo - voce e vocazione civile, misura ditutto quanto vive, custode e restauratore di ciò che ancora si agita sotto traccia e resiste tenacemente, anche sul punto di scomparire persempre dal quadrante delle stagioni e dell’umano. Poesia di recupero e testimonianza, dunque: di un mondo sommerso senza il quale la vita, intutte le sue forme, diventa niente più che uno specchio opaco che rimanda solo gesti abitudinari, suoni disarticolati di marionette senza libertàe senza respiro, che calcano, ignare, il palcoscenico di giorni tutti uguali, trascinandosi come una catena le false convinzioni di un miraggio, laprigione invisibile e opprimente della loro resa.Francesco Marotta, la prefazione* * *Con la raccolta Contratto a termine … , arricchita da una nota di Francesco Marotta e da un omaggio dell’autore a Giorgio Piovano, antico enobile partigiano comunista, Luca Ariano ci offre una breve ma intensa silloge poetica… . Il lavoro si struttura per singoli testi che alla base sonosaldamente connessi ad una prova assoluta di conoscenza, prova che riporta il dramma della quotidianità al rischio e alla sorpresa delleoccasioniLucaAriano116


Su Contratto a termineoccasioni, degli inviti, dei sentimenti e delle persone. È proprio alle persone che questo libro è dedicato: persone che si muovono e vivononell’ambito della scienza comune (scienza e coscienza) e che si mostrano in strada, in casa, in giardino, sulle vetrine, dietro i cancelli, allafinestra e lungo il segmento di un viaggio nella vita che non ha soluzioni di continuità. Luca Ariano è poeta lombardo, anzi longobardo, e perciòincardinato alla religione moderna degli “immediati dintorni” che sono poi, come si sa, i più vasti orizzonti possibili. Su questi perimetri simuovono Erba, Sereni, Loi, Cucchi, Raboni e Bellintani; scrittori di profonda suggestione terragna mai, però, semplicemente solo terrestre, edavvero, come scrive Maritta, Ariano «fa esplodere la maschera delle convenzioni e dell’assuefazione alle logiche del vuoto, della disperazionee dell’effimero elevato al rango di categorie dell’esserci». Perché poi, in realtà, occorre sempre esserci. E da qui parte il bisogno di narrare, ditestimoniare non soltanto con il pensiero, ma anche e soprattutto con il grato e dolce rimorso del ricordo, che si perfeziona per via, divenendocanto e talvolta elegia. Ad uno ad uno (…) Ariano ravvisa i suoi “compagni”, li nomina, li dipinge, li associa alla propria strada: il Professor Emilio;Marino, Raffaella, Elio Fiore dolce appassionato poeta, l’Andren, la Rina, Marika, Giorgio, e per tutti costoro costruisce una breve storia, uncolore, una voce, un atteggiamento, uno scrupolo di vita e di immaginazione. […]Giuseppe Marchetti, da Contratto a termine, voci quotidiane nelle intense poesie di Luca Ariano, in “Gazzetta di Parma”, 16.6.2010LucaAriano* * *[…] …gli ideali e le ideologie del passato sono morti o moribondi e si rischia di perderne definitivamente memoria con la scomparsa degli ultimiinterpreti di una stagione politica che pare lontana secoli; le aspettative delle nuove generazioni sono appunto “a termine”, disilluse e prive dientusiasmo. In questa “storia” liquida e cedevole si muove la scrittura, direi cinematografica, del poeta vigevanese ma ormai parmense diadozione. Si tratta in fondo di una poesia epica, nonostante il tono dimesso e la presenza di antieroi, di personaggi “normali” che interpretanouna quotidianità talvolta persino sciatta eppure con esiti anche drammatici: solitudini, suicidi, malattie “contratte” sul lavoro (e qui il “termine”acquista una tragicità non solo economica ma esistenziale), fughe nella droga e nell'alcolismo, sesso come sfogo o come mezzo di scelta sociale,“eroi” del recente passato dimenticati e abbandonati… Lo sguardo di Ariano, come quello di un regista del primo dopoguerra, non edulcora larealtà, la registra facendo “parlare”, con i loro tic anche linguistici (abbastanza frequenti i corsivi nel dialetto della Lomellina, quello ascoltato dafiulìn, il personaggio che è l'alter ego dell'autore), l'Enrico, l'Anna, l'Emilio, l'Elio, l'Ada… insomma tutti i personaggi di quella fetta di Padaniaprossima al Ticino o alla via Emilia, ben nota al Nostro.Passaggi di assoluta poesia costellano questa … opera … che potrebbe altrimenti rischiare di risultare prosastica o cronachistica e invece, e loribadiamo, è un vero poema epico contemporaneo. Passaggi, dicevamo, che ci pare di poter identificare in particolare in quei versi in cuinatura, storia, emozioni, sguardo d'insieme e analisi degli eventi si fondono in parole pregne di simboli e in metafore dalla forza visivaspiazzante. […] Un poeta che “risveglia” il reale: con la sua scrittura tersa e obiettiva Ariano è un po' il periscopio che indaga con sguardosinestetico un trancio di storia che ci riguarda e ci dice che nonostante la “nebbia” non possiamo far finta di niente. Un libro davvero bello cheanche i più giovani possono gustare nel suo saporoso understatement, se hanno il piccolo coraggio di prendere in mano un libro di poesia.Alessandro Ramberti, in “Farapoesia” (http://farapoesia.blogspot.it/2010/06/su-contratto-termine-di-luca-ariano_27.html), 27.6.2010* * *È uno sforzo che ricorda le opere di Ray Bradbury, quello operato da Luca Ariano nel suo Contratto a termine (…): lo sforzo di cogliere, ripulire econservare brandelli di memoria individuale (termine che spesso definisce quella collettiva), di salvarli da quella macchina schiacciasassi che è ilnostro117


Su Contratto a terminenostro presente. I testi sono privi di verbosità ma densi, definiti da una cifra antiretorica e intimistica che rende immagini, luoghi e personesoggetti indelebili.In “Poesia”, settembre 2010* * *Forse non è una coincidenza che Luca Ariano sia cresciuto nella stessa cittadina di Lucio Mastronardi, romanziere mai ricordato abbastanza peravere avuto il merito di cogliere, entro il microcosmo di Vigevano, il trapasso della civiltà rurale in quella del neocapitalismo, con l'asprezzadisumana che questo comportò in termini identitari. […] Anche Ariano, in Contratto a termine … , ma anche nei libri precedenti, intendetestimoniare su quanto sia in perdita il trapasso, termine che uso per sottolineare un passaggio senza ritorno, in un triste aldilà, attraversatodallo sfacelo, in cui altro non possiamo che sopravvivere «sbattendo le imposte»; con forza e rabbia, dunque, seguendo l'istinto o sperando cheancora qualcosa sopravviva del vecchio mondo, qualche scorcio di vita vera, di odore e «sapore ... caldo», qualcosa che d'improvviso riporti alcentro la comunità, com'era un tempo (almeno nella reminescenza collettiva) prima che maturasse la società dei consumi, dell'ostentataopulenza, della solitudine esistenziale. La poesia contemporanea l'ha sempre detto, dalla Ragazza Carla di Pagliarani a tutto Pasolini (il cuitrentennale dalla morte è cantato a pagina 18), dal Gozzano de La via del rifugio (che Ariano riprende attraverso il gusto decadentedell'elencazione e dei ritratti, ma senza l'ironia del torinese, con più amara consapevolezza, invece) sino al Registro dei fragili di FabianoAlborghetti, là dove entrambi mettono in luce l'orrore del vivere quotidiano, dei gesti all'apparenza normali, l'abitudine alla cronaca nera, allamorte degli altri: «Stessa stazione un anno dopo, / Sala d'aspetto a sfogliare giornali; / un operaio interinale suicida: / lascia moglie e figli. /Teresa volta un'altra pagina / prima dell'ansia di un volo interrotto nella nebbia». Come dire: nessuno si salva dalla macchina sociale, tantomeno chi è un vinto dalla vita, come i personaggi che ci presenta Ariano, uomini e donne che troviamo nel cinema e nella letteraturaneorealista, ma anche nella linea marchigiana, con D'Elia in testa (ma ben presente nella nuova generazione, per esempio in Davide Nota eMatteo Fantuzzi, e in quella di mezzo: penso a Filippo Davoli), per non parlare di Luigi Di Ruscio, veterano di una poesia ancorata alle cose eall'esperienza messe in scena attraverso una lingua della memoria e straniera, nella misura in cui essa non ha luogo ad Oslo dove migrò nel '57.Ariano metabolizza queste ed altre voci (per esempio, mi pare forte la presenza del Viviani di La forma della vita), anche grazie alla sua intensaattività critica, consegnandoci un ritratto amarissimo della realtà di provincia, che va però pensata quale sineddoche della vita occidentale, chefinge di non aver compreso una verità sempre attiva nella poesia: che ad essere a termine è la vita stessa. È con quest'ultima infatti chedobbiamo davvero fare i conti, per ridefinire il contratto in corso d'opera, senza perderne di vista gli aspetti più importanti, quelli legati allerelazioni umane, alle debolezze umane, alle gioie che l'umana debolezza ricava dalle relazioni autentiche, e che Contratto a termine ci mostracon pudore, convocando altri compagni di viaggio, due per ciascuna sezione di quest'opera che vorrebbe essere il "primo capitolo" di unromanzo in versi. […] Potrebbe in effetti essere utile certificare queste sacche di vita agra, per dirla con Bianciardi, che ancora rantolanonostalgicamente nei sentieri dell'inferno contemporaneo, come Teresa, Enrico, il professor Emilio, cui ci racconta Ariano. Il catalogo dei ritrattiinsomma potrebbe continuare e un senso certo l'avrebbe (documentario, almeno, e capace di attestare la buona fede dell'autore); ma il pregiodel libro sta altrove, ossia nella forza metaforica di certe rapide immagini, che slega la parola dal contesto per lasciarla nel riverberodell'orecchio e dell'immaginazione, come questi versi: «Troppo secca la tua retina / appanna i mattini»; e: «Hai lasciato sgroppare l'abbraccio /tardivo, lo schiocco delle labbra / (che il treno dai finestrini battezza nel miraggio / che al crepuscolo filtri un pizzico di luce sulle / pupille)»; eancora: «Il volo d'uccello / è solo l'arrivederci d'un abbraccio». […]Stefano Guglielmin, in http://golfedombre.blogspot.it/2010/11/luca-ariano.html, 21.11.2010LucaAriano118


Su Contratto a termine* * *In tempi di memorie fittizie, affetti e dolori esibiti in televisione (e come merce proposti), in tempi di finzione e assenza di memoria perché lamemoria fa audience solo se manipolata e aiuta a vendere un prodotto o un’idea, il libro di Luca Ariano … appare come una illuminazione.Contratto a termine - come dice infatti Francesco Marotta nell’ottima prefazione- è un libro la cui scrittura è animata e sorretta da unaprofonda ragione etica. In contrapposizione al guardare passivo (dei fatti, della Tv) Luca Ariano è lo spettatore silenzioso ma presente, che tuttoraccoglie e che nulla tradisce: rimanda infatti un memoriale universale raccontando microstorie, fatti solo apparentemente inutili all’assieme.Raccoglie voci, vissuti, province; recupera testimonianze involontarie e normalmente poste in secondo piano per portarle a galla. Le sue storienon sono vere e proprie storie, semmai a prima vista possono sembrare un’enunciazione di fatti su cui riflettere o racconti apparentemente finia se stessi che non presentano, nella maggior parte dei casi, la classica struttura narrativa (anche se la scrittura avviene in poesia): non c’èintroduzione, né svolgimento, né conclusione intorno a ciò che viene narrato (solo apparentemente) ma dietro l’immediatezza e ilchiacchiericcio dei suoi personaggi si intravede il limite di certi pensieri e di certi sentimenti e la difficoltà nel dire la condizione umana a vocedegli stessi personaggi che si tentano nella vita, che giocano il proprio ruolo impreparati, disadorni, disarmati ma offrendo involontariamenteuna narrazione totale, a chi capace di coglierne. Leggendo … non posso non fare un parallelo con un passaggio dello scrittore e saggistaRuggero Jacobbi (Venezia 1920 - Roma 1981) tratto da Teatro da ieri e domani quando egli scrive: «Gioco di costanti imponderabili, di fatalità edi sorprese, di contingenze logiche e di sfondi irrazionali, l’esistenza umana - o, più giustamente, l’esistenza sociale - contiene, diluito,informale, il romanzo. Ogni istante della vita e un episodio di racconto. La sequenza delle istantanee appare come destino, e il destino rimane lasostanza maggiore dei romanzi». Luca Ariano si contrappone alla narrazione letteraria usando un linguaggio molto più pregnante e sintetico: lapoesia. Frammenti di destino di signori nessuno (non sono personaggi noti, se non per l’abitare l’affetto o la storia di qualcuno) che consincerità emergono da un humus cumulativo. I protagonisti delle poesie di Contratto a termine non sono eroi quanto anti-eroi, simili al lorocreatore, che cercano disperatamente nella banalità quotidiana quella trasparenza e quei punti saldi per la loro identità: Il commesso,l’impiegato, l’assistente, il “profesur” tutti «uomini e per sempre» (citando Pagliarani). Luca Ariano non ci racconta storie di individuiparticolarmente invidiabili o di persone “vincenti”: narra invece le storie di personaggi per così dire border limits, equilibristi che camminanosul filo del tempo e che da un momento all’altro dal tempo saranno inghiottiti, seppelliti nel silenzio nonostante l’unicità del vissuto personale.Capacità dell’autore è però farlo senza retorica, senza piaggeria, scrivendo in una lingua piana e strutturando il libro in 6 sezioni con ognuna unpeso … . Non so indicare con certezza quale delle sezioni sia maggiore o migliore di un'altra, avendo l’assieme un equilibrio ed una saldezzadavvero forte. Ma una nota a margine la voglio fare sull’ultima sezione, quella dedicata al poeta e attivista Giorgio Piovano, deceduto prima dipoter scrivere la prefazione al libro, come era in programma. Ariano riprende la poesia di Piovano Poema di noi e la trascrive per intero, achiusura e sigillo del libro. Un omaggio sincero ai tutti noi, alle nostre storie, alla nostra invisibilità, alla nostra unicità di essere umani con lafatica che comporta, di respiro, vita e lavoro. […]Fabiano Alborghetti, in http://www.alleo.it/content/luca-ariano-contratto-termine, novembre 2010* * *La pulsione più forte della scrittura di Luca Ariano è il desiderio di fare resistenza alla paura di dimenticare le cose: volti, strade, aneddoti, nomiche il verso ha (aveva, avrà o avrebbe avuto) la commissione proverbiale di mettere in cassaforte. Contratto a termine è un romanzo in versi(situato nella tradizione poetico-narrativa di certo Zanzotto, di Pasolini, ma soprattutto vicina alle voci di Sinisgalli e Bertolucci) in cui lavocazione civile non è mai separabile dalla vocazione alla memoria. Un atto di redenzione, quasi di backup lirico dei fatti, che avviene nellacoscienzaLucaAriano119


Su Contratto a terminecoscienza di parlare di fatti epigoni, di cose che accadono fuori tempo massimo. Il metodo con cui Ariano si stacca dal suo personaggio somigliaa un’ironia seria. L’Emilio («professore precario»), il Vito («ex partigiano», che «vive col respiratore dieci ore al giorno»), l’Enrico («che la suastoria sembra uscita da un film di Almodovar») possono essere scritti e ricordati esattamente a patto del loro essere tranquillamentedimenticabili.Questo nesso di ricordabilità e smarrimento è forse il senso definitivo del “Contratto” che Ariano stipula col linguaggio. E la sua scrittura si elevanei momenti in cui si fa più evidente la somiglianza tra narrazione e fragilità del narrato: «È dura riempire ogni giorno pagine locali / quandoscende un delitto è manna dal cielo»; cioè nel momento in cui si sintetizzano all’osso i motivi stessi della scrittura, e si sorride del lutto, delricordo, della pianura, come di tutto ciò che appartiene all’intempestivo. Le due ricorrenti opzioni narrative di Contratto a termine sono inquesto senso decisamente originali: deragliamento narrativo e liste liriche di oggetti. La struttura di andamento umorale (cito da «Lei consemplice candore») procede nel sorvegliato deragliamento dall’immagine iniziale; sarà che l’alfabeto nasce da deviazioni primordiali, ma dalladelusione nella fissazione dell’oggetto scaturisce «che i tuoi pensieri stanno lì ad ascoltarsi», e spuntano «le storie che ti bevi nella calura d’unpassatempo estivo». La trama narrativa è sempre svuotata di contenuto metaforico, le parole diventano pretesto di un raccontare annalistico,gratuito e senza scopo. «Mercoledì è giorno di pulizie» è invece un caso della lista lirica di cose da fare e di oggetti da elencare: «capelli daraccogliere», «un doccia schiuma rosa cacao per ammorbidire la pelle». La parola poetica, semplicemente designandolo, astrae il serialequotidiano. Il componimento, che racconta di una partenza verso Parigi, è la cartolina imparziale di un turismo “piccolo borghese”,semplicemente annotato, certificato, verificato (per usare termini sanguinetiani) nel «non si sta poi male nella copia carbone di Parigi».Facendo un discorso di genere, si tratta di una poetica postmoderna che sorveglia uno slancio ideologico, come dimostra l’uso narrativo del“tu”, che designa nel soggetto evocato la facoltà di parola e di ricordo; è questo il caso di Trent’anni dopo, in memoria di Pasolini: «Trent’annidopo non puoi non pensare / a quel cuore scoppiato, spappolato fegato / nella cassa schiacciata, negli istanti fracassati del corsaro /all’Idroscalo di Ostia: / le parole non erano ancora profezie / solo per i ciechi / ogni giorno muore un poeta». A livello linguistico, il pastiche didialetto, pop, la mescolanza di liste liriche di oggetti e tonalità colloquiali sono il segno di un’ansiosa eterogeneità che confina con lospaesamento linguistico e sociale. Le scansioni linguistiche e ritmiche, il tentativo di lasciare la lirica per arrivare all’epica del romanzo in versi, ipersonaggi fotografati, consacrati e descritti nel tempo attraverso particolari fisici; Ariano mette in scena una narrazione novellistica, cheprocede per balzi umorali e deragliamenti; è una poesia che non narra ma evoca: in altre parole, l’impulso è quello del realismo poetico, delbisogno di partire dal “veramente vissuto” per attivare l’emotività da cui nascono i versi. Chiudo con un’osservazione sul burocratese del titolodella raccolta: Contratto a termine, in altre parole “patto” con la funzionale tristezza del mondo civile, da un lato; ma anche patto con laprecarietà della lingua, nel momento della scrittura, precario per definizione. Niente di più precario che iniziare o continuare a scrivere. Ma aben vedere, il precariato della scrittura non è un mulino contro cui lottare, né un demiurgo maligno a cui opporre parole e azioni; anzi, ilprecariato è il solo stato sociale e linguistico in cui si possono situare parole, azioni e mulini. Dopotutto, scrivere versi oggi significa ancoraconcentrarsi, gioire e immalinconirsi del tempo in una lingua moritura. Fare senso equivale ad essere dispensati dal senso: ed è questo ilcontratto che la cultura, la lingua e la poesia non possono non firmare.Gennaro Di Biase, in (http://www.argonline.it/index.php?option=com_content&view=article&id=252:luca-ariano-contratto-a-termine-edizionifarepoesia-pavia-2010&catid=6:crash-test-libri-riviste-cd-vhs-dvd&Itemid=31)LucaAriano120


Da I resistenti (scritto insieme a Carmine De Falco)LucaAriano121Da NESSUNA BUFERANon scriveremo della nostra bufera,né di quella rivolta, contro quel voltosu quel mezzo, né avremo forzaper nuove armi intelligenti, tecniched'azioni millimetriche, la nostraguerra civile è un logorio lentola luce che si spegne fiocamentesenza ferire, missione pacificain paesi estranei, uno svilimentose poi pensocon timore che sta democraziam'uccidesventolano oggiquei drappi tricoloreche annegano in proclami buonia prender qualche voto, appagaredestini e un po' di serenonella sua coscienza svuota*La disobbedienza quotidianaè fatta d'ordine di raccoltadifferenziata di risparmio delle acque.Non voglio avere figli - diceche non vuol crescerli quicon questi lacci, in quei sistemie tu non sai se è pieno afflatorivoluzionario o mancanzadi coraggio se è quest'impossibilitàche atterrisce o la via più sempliceindipendentemente.tutti i giorninon c'è una guerra da fareEnriconon ne può più di questapolitica simbolica.Se la moneta brucerà tra le maniai tedeschi diremo esse esseagli inglesi la pioggia alla Franciaspareremo le migliori cartucceVenezia, Firenze, il lago di Gardalan'*


Da I resistenti (scritto insieme a Carmine De Falco)LucaAriano122KayaköyCi divertiamo a decodificarecase franate lì sulla collinadocile e due chiese scoloratetra parco giochi e rudere scompostoche se fosse un lego ci metteremmoun tetto ci scaveremmo ossacittà della memoria, sottoterradi coscienza. E non sai se vuoi innaffiarlao sezionarla, Matta Clark mal riuscitosenza croci né baci, che guardi su foto aereee ti viene un crepacuore, ma si ci porta lìcon gioiasull'alto della rupe, alla casa più distantepregna di tracce e animali evivande da cui si scorge su più ampiospettro. E si fa fuga anche qui l'odoreche ci sospinge ad ammarare*è questa guerra immaginariaalla fine delle guerrequesti calci al pallone questi colpidi racchetta, sto sudare e scaricaresono i suoi occhi di viva violaquesti scontri da gitanti, urti nel fiumeè il bunjee jumping le sommossepianificate la domenica mattinasin nei minimi dettagli, per fare un po'di rumore, un po' d'amore, gli inesistentinemici di sempre, questo scambiocontinuo di letti, il far esplodere, i bastoni,st'abbracciarsi, svuotare, sentirti miacagnetta questo surrogato di possessoche è il consumarla e questi occhidi nuovo che ti tocchi, che non schiacciquesto sguardo che ti strappiil sorriso appena primache dica basta


Da I resistenti (scritto insieme a Carmine De Falco)LucaAriano123Il compagno Giorgio- pare uscito da un romanzo di Musil:parla poco, gioca con l'iPhonee domani si alzerà all’albaper il solito lavoraccio sottopagato.Nel Borgo tra strade dissestate,case abbandonate - come nel dopoguerra,il Nando perso nei suoi studi straparlae nessuno l’ascolta:«Perché il Signur fa’m no morì?»Code chilometriche davanti alla reliquia,portata direttamente dai Crociati… diconoforse da Gerusalemme… dal Santo Sepolcro;accanto una piazza di cassintegrati disfattisticon fischietto e cappellino rosso,poche bandiere fuori tempo. Tutte in elle.*E mentre attende al suo gelo la finedel turno da sentinella ripensaall'ingenuità gratuita della cialtronaal sorriso compiaciuto del confuso, agli ordinigiocati come transazioni, all'uomo in gruppoanche virtuale, che reclama altra gnoccae non sa che forma prende tra le gambefino a quel cretino che va oltre, lo disgustache é solo una ragazzina, che questo non si puòche si s-loga e finisce indispettito.Teresa passeggia sul Lungomaree come bambina per un giorno rivede accanto il padre:quelle lacrime sono salso che la brezza mattutinaspazza via al ritorno dei pescherecci.


Da I resistenti (scritto insieme a Carmine De Falco)LucaAriano124*La Patria da cui siamo in esiliosono quegli occhi dolci di favafamiglia da sempre e casa i ricamidi boschi e di mare è quei viaggiche sognano scenari la Patriaquei volti e capolavori lo spazioda cui ci diciamo scampati lo stridereviolato delle rotaie il fumo, delle fiaccoleumane il rancore, tra escatologiche attesee risoluzioni vendicative finali,prossimità che ci disgusta è permaneredi odori ed incestipregnanti, rimossi, senza scopotra i pulsanti del televisore,da cui ti osservo sodale, è soloun concetto mentale, quest'esilioinventato è una zona che bramaun'Italia soltanto immaginaria*Vento su Mantova e colori d'Irpiniail giorno che scopriranno l'ultimoordigno inesploso, non sapremose non che lo stupore di nuovodell'inesattezza da brillare, d'un congegnosenza contegno di spauracchida strapaese, su un sangue mai versatomentre si chiede giustizia per le menomazionidi piazzale Loreto che Nicola ci ha portatoa quell'incrocio di auto e fili, di memoriepoco concrete, come bastiglie introvabilistoriografie da ritracciarein labili ricordi che segnano il passoscoprono passaggi ad eroi a veniredei dialetti che non comprendi delle capitalimandate giù a memoria, su mappe bruciatetrascini dietro una molotov, la bomba cartaimparata sul web, la pozione di glicerinach'ha distrutto la mano di Jorge, gli esperimentiiniettati su gambe nude, in obitori immaginarisul corpo dei morti che abbiamo cancellatol'altroieri senza troppo affanno, come la gattatroppo piccola che si muore di parto in giardinospalando corpicini senza vita coi cordoni ancora appesia testimoniare ostinazioni di vitalità spazzate via


Da I resistenti (scritto insieme a Carmine De Falco)LucaAriano125Da ITALIAN WAR*Noi che non sappiamo far male a una moscacome figuriamo in questo giorno nuovodi guerra? Tu che non hai mai battagliatomilite esente, per troppi fratelli, per anagrafisbagliate, per un altro tempo, un fuori luogoper non aver dovuto abbracciare nessun pesonon aver martirizzato nientedi te spogliato da ideali tirato sumale, da consuetudini non corrette,il cervello ad imbucarsi in paradisidai consigli negligenti, non seguitici fermiamo ogni tanto ad osservarequesto panorama desolati, senza foga.Quei bambini non hanno mai visto agrumetidavanti al mare - forse i vecchi ricordano...Solo fiori di cemento, erbacce, acqua stagna.Teresa e Fiulin in una festa di quartiere:canzoni sguaiate tra cosce stonatecome prosciutti in vetrina. Volti contadinida album in bianco e nero truccatiper la passerella domenicale.Hai anche tu la sensazione supponented'esser di nuovo carne da macellocome al fronte, d'esser di nuovoignoto fumo umano, subdolametastasi, quando pensi di colpiree non ci riesci mentre guardiquei giovanotti che passeggianonei treni affatto estraneia tutto questo, con la scollaturasul viso di chi è condannatoa non riuscire. Che resistenza c'attendese pensiamo alla parola partigianimentre decidi di abdicare ma credidavvero che loro fossero bravi,che gli venisse naturale?Anch'io non saprei sparare.Affiorano dai satelliti civiltà scomparse,sommerse dalle foreste e dall’uomo;si dissotterrano navigli un tempoacque di lavandaie.Conta le gocce della condensa sui vetriil bambino - forse Fiulin,un pomeriggio d’inverno già sera presto.*


Su I resistenti (scritto insieme a Carmine De Falco)I Resistenti è un lavoro poetico … di Luca Ariano e Carmine De Falco, che trae origine da un lungo periodo di scambio di idee e confrontocontinuo. Un confronto che permette ai due autori (quasi coetanei ma provenienti da aree geografiche diverse) di scoprire, tra l’altro, dicondividere una stessa idea di poesia basata su una “scrittura” del reale che sappia ricongiungersi alla comunità/collettività attraverso unadescrizione poetica e onesta dell’umano e del quotidiano.LucaArianoIn “Arti in corso”, (http://artiincorso.wordpress.com/2011/05/05/presentazione-e-lettura-de-%e2%80%9ci-resistenti%e2%80%9d-venerdi-6-maggio-ore-1830-libreria-treves-piazza-del-plebiscito-napoli/#more-214), maggio 2011* * *Un poemetto di testimonianze, disobbedienze, infelicità e forse rabbia, scritto a quattro mani e costruito con tasselli tragicomici per raccontareuna guerra non dichiarata e forse nemmeno combattuta. Sfilano piccole storie di uomini e donne (cassaintegrati, precari, disoccupati,sottoccupati, maestre, casalinghe, piccoli lestofanti, qualche pedofilo e altri disagiati sociali) entro periferie postindustriali e degrado tardocontadino.E a mo’ di sutura gli inserti dei due autori, essi stessi protagonisti dell’Italian War.Per chi ama la mescolanza dei generi e l’attualità in poesia.Dal risvolto di copertina* * *I Resistenti è un’opera poetica a due voci, che si pone, già dal titolo, sul versante della poesia civile. Gli autori Carmine De Falco, napoletano, eLuca Ariano, lombardo, condividono la medesima tensione morale, il medesimo sguardo sulla realtà.Ciò che emerge dai versi è un panorama italico inquietante: periferie che hanno divorato la campagna e diventate a loro volta fatiscenti, dademolire e ricostruire insieme ai personaggi che le popolano, persi questi in vite ossessive, in ritualizzazioni dello squallore del sopravvivere, inchiacchiere che diventano vieppiù volgari, sintomo di un imbarbarimento che pervade il paese ricacciandolo in una condizione pre-illuministicae svuotata di ogni spessore etico e morale.La Resistenza che Ariano e De Falco sembrano indicare passa attraverso la ragione, attraverso il senso dell’agire umano, attraverso le vite chenon possono ridursi a contenitori di cose e ricettacolo di nuovi luoghi comuni da innestare su rinate miserie. Resistere significa quindi nonaccettare, non quietare la coscienza, non rinnegare il pensiero, non rassegnarsi alla degenerazione anche quando questa è dilagante,onnipresente in ogni angolo di strada, non adeguarsi, non scendere a compromessi che mangiano l’anima.Ma resistere significa anche essere nel dubbio, temere di non farcela, avere paura del futuro, accettare di essere precari, in balìa del vento, diessere spazzati via da folate un po’ più vigorose, di non avere la forza, di essere ancora «carne da macello / come al fronte».«Che resistenza c’attende / se pensiamo alla parola partigiani / mentre decidi di abdicare, ma credi / davvero che loro fossero bravi, / che glivenisse naturale?», in questi versi è racchiusa la domanda che ognuno dovrebbe porsi prima di decidere di adeguarsi, di gettare le armi dellaragione critica, e ingrossare le fila del “così fan tutti”.Enrico Cerquiglini, in “La dimora del tempo sospeso” (http://rebstein.wordpress.com/category/luca-ariano/), giugno 2012126* * *


Su I resistenti (scritto insieme a Carmine De Falco)«Uno scambio continuo nel corso degli ultimi anni, sullo scenario di un paese in decadenza socio-culturale»: così Carmine e Luca nella nota inappendice al testo. E la raccolta scritta a quattro mani si presenta come un grido accorato che non solo fotografa il degrado ma lo analizza e cistimola all'impegno che deve essere l'azione sociale concreta, quella che dall'indignazione ci porta al fare, ad atti di solidarietà, al chiedere agliintellettuali, magari piuttosto inerti e atarassici del nostro bellissimo Paese (nonostante tutto), di darsi una mossa, visto che la classe politicasembra essere ancora più inerte e fagocitata da conventincole e relativi interessi, e assai poco sensibile alla ricerca di un bene comune.Il libro è diviso in due sezioni: Nessuna bufera e Italian War, quest'ultima molto più breve. Il tono a volte è un po' prosastico e “combattivo” (colrischio di cadere in qualche slogan e di allontanarsi da quella forza sintetica, immaginifica e simbolica che crediamo la poesia debba sempreesprimere), ma contiene tanti passaggi intensi, tanti squarci di realtà che i versi ci offrono con voce vibrante e cortocircuiti efficaci edestabilizzanti… […]. Questo è un libro di evidente carica morale, una sfida che tutte le persone di buona volontà ed oneste, a prescindere dalcredo politico o religioso (e dal fatto stesso che si riconoscono in un credo), possono utilmente leggere e condividere per coltivare ideali chemeritino di essere vissuti, e mettere a disposizione le proprie capacità per recuperare e ricostruire una cultura che sia più giusta e più autentica(dunque meno omologata e omologante) e in definitiva più bella.Alessandro Ramberti, in “Farapoesia” (http://farapoesia.blogspot.it/2012/08/su-i-resistenti-di-luca-ariano-e.html), 3 agosto 2012* * *I libri a quattro mani sono davvero pochi in Italia (almeno quelli dichiarati) e in poesia ,di casi ce ne sono davvero pochi; si potrebbe ricordare ilduo tutto marchigiano Stefano Sanchini e Loris Ferri e precedentemente un esperimento interessante (se non negli esiti, nello sviluppo dellacarriera di questi scrittori) come quel Covers uscito per Einaudi, scritto da Aldo Nove, Raul Montanari e il futuro premio Strega Tiziano Scarpa,tutti poeti in partenza che appunto le loro fortune le hanno fatte sulla narrativa. Ma non divaghiamo.Si diceva, di libri a quattro mani nell'Italia poetica ce ne sono davvero pochi e allora parliamo con piacere di questo piccolo poema volutodall'agguerrita e interessante casa editrice napoletana “D'if” che ci porta a fare conoscere il lavoro di due autori promettenti e certo nonsconosciuti, tra gli emergenti più dotati e più sicuri: il fortemente “padano” Luca Ariano (per territori, non per politica) (…)e Carmine De Falco,poeta napoletano dalla forte spinta civile. E questo dialogo è in fondo un lungo percorso appunto su e giù per lo Stivale di quella che come daltitolo si capisce è la resistenza contemporanea fatta non più di persone che lottano per un ideale politico, ma che in qualche modosopravvivono in una lotta che si sviluppa tutta nei confronti di una società che fagocita e annienta, che disumanizza creando in qualche modoproprio il processo che la poesia dovrebbe controvertire. Così questa denuncia viene fatta col racconto di disoccupati e precari, di disagiati efigure minime che riempiono le nostre periferie e le vicende di ogni paese di questa complicata e variegata nazione che si ritrova a un certopunto proprio all'interno del concetto di disfacimento umano, di scellerata incapacità di tenere sotto ogni punto di vista. Chi sono allora iresistenti ? Siamo noi queste figure così minime e al tempo stesso così nostre da sembrarci tutti fratelli e sorelle, parenti impresentabili, figurevicine e lontane a seconda delle modalità, delle storie e della geografia, ma sempre nostre, sempre quotidiane.Quello che fa più male di questo libro è forse la normalità di queste storie, anche il pedofilo che una volta scoperto dopo essere stato insultatodalla comunità si suicida ci sembra (incredibilmente, ma non troppo) qualcosa di già apparso nelle nostre cronache e cento altre volte in quelledi altre periferie, così le storie, così i pensieri, i gesti, anche quelli più folli in realtà sono nostri.Questo dialogo attraverso la poesia, così duro e spietato, così rigoroso, serve proprio a rimetterci bene in testa, davanti agli occhi tutti i nostriquotidiani drammi, serve a ricordarci che la società va cambiata (in meglio), che bisogna ripartire.Matteo Fantuzzi, in “La voce di Romagna”, 13.8.2012LucaAriano127


Inediti. Da MorbiLucaAriano“...La vita è agire, essere liberi, lottare e soffrire, per poi stringersi nelle spalle e slargarsi in una risata. Tanto più è consapevolel’uomo di questo, tanto più sarà fragorosa la risata alla fine. Lotta per lotta. Vita per vita. Morte per morte. Fare per fare. E latua libertà. Questi i segreti, e le risposte. Il tutto condito da forti ideali, tramite i quali venire a incontro o in scontro coi tuoisimili...”Gian Ruggero Manzoni* * **128*La sciúra Cesira con la bottegacreata dal padre di suo padre:panini con cotechino e trippa,sempre in fila studenti e operai.Coi primi acciacchi ha mollato,ora lì c’è un negozio di intimoe la fioeùla ha aperto una franchigia.Teresa guardando vecchi filmati e fotosi rivede in un altro tempo, illusionida pescare… come pesci ancorain movimento tra le reti delle barche all’alba.Il poeta è morto per un colpo al cuoresulla panchina impersonale d’un aeroporto:su un foglio appunti per una poesia,forse persi da un medico legale o in un cestinocon il primo turno delle pulizie.L’Enrico e i sò duu vègg rimbambiie gh’è da cúrrar come in quel tempoche a volte si sogna bambino,o il treno delle vacanze è giàin un'altra stazione.L’Andrea innamorato a trent’anni,per la prima volta, ciama la sò murusaper un basín, beve poco e non mescolapiù il fumo notturno con la nebbiaChe - raccontano - sale dalla terra.Domani morirà un altro soldato,bandiere a mezz’asta, funerali di stato,appalti mafiosi mentre in un cantierequalcuno morirà dimenticatotra retoriche celebrazioni.Teresa e un sospiro come nelle seresenza luna con il mare agitatoe Fiulin nell’abbraccio d’un vecchiopoeta… che non ricorda piùcome chi muore prima delle feste


Inediti. Da MorbiLucaAriano129*Teresa in un porto anticodove rimangono poche merci, navi da crocierae cantieri spianati da villette monofamiliari;rivede suo padre e racconti di mareche ancora odoravano di guerra e dittatura:potrebbe essere Barcelona o Marseillein un lungomare di bagnanti da giorno di festa.Fiulin rivede la nonna stirare davanti a un filmin bianco e nero, un melò che riga zigomi,di come sarebbe potuto essere… di come…se avesse conosciuto un altro uomo…E l’Andrea ogni giorno indaga su movimento terra,strani giri, sentendosi un po’ Siani…Saviano;alla pensione mai ci arriverà e nemmeno una targa ricordoin periferia per un libro mai stampato.Si alza un vento atlantico che asciuga sguardi,fischia le orecchie e alzando gonnelascia passi traballanti come dopo troppo vino a una cena.*“Dopo i campi di sterminio,stiamo assistendo allo sterminiodei campi.”Andrea ZanzottoTeresa sente le stagioni franarecome mura romaneche nessuno cura più.Le piogge d’autunno portanofiumane di fango a spazzareantichi borghi; rimangono restidi abbandoni e versi cantati.Dai ghiacci affiorano batterivenuti dallo spazio,corpi preistorici mummificati:trivelleranno per raschiarele ultime gocce di petrolio.Come in quel mare che restituisceGalee greche colme di anforeaccanto a barche di rifiuti affondatein una notte di lunadove amanti concepiscono vite.


Inediti. Da MorbiLucaAriano130*“Dov’el, va el me Carlin, quell noster Milanin di noster temp,inscì bell e quiètt, coi contrad strett in bissoeura, dent e foeura,sul gust d’ona ragnera?”Primo e la sua cena di classe,oltre un decennio dopocome se gli anni di scuolafossero ancora lì:cresciuto nel ventennio breve,non verrà nessuno al tavoloe forse penserà di cuma l’era bela Milàn.Feste in piazza - dopo tanti silenzi -come fosse Piazzale Loreto e tutti antifascisti.L’Andrea li guarderà dal suo Bar Sport- forse da vedere al cinema -con brioches surgelate, caffè slavatie trilli di forni a microonde:«Ma dove eravamo nel nuovo secolo?»«Io ero altrove…»Fiulin senza Teresa in una foschiache toglie il respiro e bagna sguarditra le case dei borghiche anche domani vedrai offuscate.Emilio De Marchi*Il Franco finalmente gl’ha fàtta trovare una raccomandazione,come tutti - dice - e quando arriveràun figlio, con le domeniche tutte ugualinon potrà scappare dal Paesone.Fiulin seguendo linee sul pavimentotra corridoi, neon e grandi ascensori:dalla macchina osservano il cranio,ogni parte del cervello ma quei pensierisono nuvole basse di smog.Come quelle che l’Emilio vede dalla finestra,in una domenica provinciale,in un vecchio caffè decaduto,nascondendo dietro barba,occhiali e cappello da pescatorele ansie del domani.Anche a lui magari guarderanno il cervèe penserà a quei “poveri vergognosi”nelle storie dei nonni, al Monte dei Pegni,ora con l’insegna luminosaCOMPRO VENDO ORO.


La regola - 1952


Anna RuotoloÈ nata nel 1985. Vive a Maddaloni, in provincia di Caserta. Frequenta la Facoltà di Giurisprudenza.Ha pubblicato Secondi luce (LietoColle, 2009 - Premio Turoldo 2009, Premio Silvia Raimondo 2009,Premio Città di Ostia 2011 - seconda edizione 2011) e Dei settantaquattro modi di chiamarti (Raffaelli- Pubblicazione premio ClanDestino 2011).È presente in varie antologie poetiche, tra le quali: Quattro giovin/astri (Kolibris, 2010), Raccolta dipoesie (Subway Edizioni, 2011), La generazione entrante. Poeti nati negli Anni Ottanta (LadolfiEditore, 2011, a cura di Matteo Fantuzzi e con una prefazione di Maria Grazia Calandrone).Suoi testi sono apparsi su “Poesia”, “Capoverso”, “Poeti e Poesia”, “Italian Poetry Review”, “LaClessidra”, sul quotidiano “Il Tempo” e in blog e magazine online.Un testo tradotto in spagnolo da Jesús Belotto è pubblicato nel num. 4 della rivista internazionale“Poe +”.131Collabora, scrivendo recensioni, con la rivista “Poesia”. È redattrice del mensile “MyGeneration” e delblog collettivo “Corrente Improvvisa”.Gestisce il sito personale www.annaruotolo.it e il blog letterario “SpazioPoesia.2”(http://spaziopoe.blogspot.com).


Da Secondi luceAnnaRuotolo132Secondo luceÈ come dirti addiosopra il cucuzzolo del Mondodopo il mare fin dentroche ci divide al ponte,al passeggio chiarazzurro della barca.Dire addio a te e - prima che sia -a noia tutte le inconsolate vie della tua boccaalle parole della pioggia sui canalidegli occhi.Questo è il tempo: una luce di lampi,breve, come il guizzo della terrae manca, manca il cono d’ombradove si nasce, dove un po’ si vive.anghelosChe rientri da questa terraper i segreti delle porteche quasi mi dormi accantoè scritto nel rumore della pioggianel tremito aguzzo delle acque.Più dentro è il chiodo di non saperti quivederti andare come certe domeniche d’invernoanche quando è il dono del mondo che ci unisce,il fondo delle cose a crescerci di neve.


Da Secondi luceAnnaRuotoloOggi sei un giorno lontanopartito come il trenooltre la frontiera.Mi chiederanno se ho apertoal corriere della stradase molle è il pacco dopo la pioggia,perché ho rattoppato la porta.Verrà, verrà il tempo che ci imploracol segno amorfo sulla fronteforse una linea profonda,come saprò vederla.*Annerire gli spazi col puntino133Ho scelto,ho scelto un fondale per questa sera:so che vorrei la tua facciatutta intera e chiarauna scena vivida all’improvviso,una traccia elettrica dall’orlo dei lampioni.Ho da fare come un percorsosu una parete illuminataed ogni punto sarà lo spazio da annerireper vederti nascere, apparire dal nulla.


Da Secondi luceAnnaRuotolo134«Una mattina qualunque» può dirsiil punto consumato ad est del portofino a quando, poi, resti una strisciadi terra per segnarti l'ora della fuga.Come quando - vedi - hai trascorsoun sorriso sull'ultima valigiache s'incastravae portavi addosso la nevee un milione di cose compiute.*Per parlarti ho preparato tre fuochi:uno alla finestra nella biancabianchissima luce che esplode,uno oltre il ceppo, poco dopoil vento sul corpo della noce.Il terzo - un passato corto -da una porta aperta a un ponte.Al sole azzurro che dilava il cielodirmi di saperti cercare per il mondoa te che si esiste dall'ombraalle chiarezze che crescono per aprire un tetto.Forse aspèttati di vedere la pauradi non trovarti nel silenzio della pioggia,sull'avanzo prossimo alle stelle.Questo ti lascio: sempre il niente, il pocoe tutta la vita a innamorarsi.*


Da Secondi luceAnnaRuotolo135Penso, aspettavo di vederticon la faccia consumata dalla pioggiaquando più chiara si fa la fonda.Guarda come gonfia questa golasotto la collina di memorie:qui siamo tutti pronti a perdonarele spalle sorde che non abbracciano nessunoda una sera andata, persa altrove.Come torni nell'impronta ladrasul pane del cartoccio, sul fumo di farineda un trapezio aperto sopra il mare.*Istruzioni sulla dotea mia madreOra per crolli mi ritorni negli occhidurata così pocosparita nelle vertebre dell’acque.Avevi un modo di tirare i capelliamavi prenderli alle tempiefarmene un ciuffosedute coi gradini della baiache avevo un’amniotica certezzadi fuggire per tefuggire l’inverno lunghissimoa venire.Questo voglio, tu questo digli:prendila di notte, prendila se affondasotto le barchescioglile i capelli che preparaicosì costretti per te,lunghi, come una grande luceche non finisce più.


Da Secondi luceAnnaRuotolo136*Ho da scaldare tante piccole coseper amarti bene,risalire con la macchina i curvoniaddestrare il tempo della frizionecome dicevi tu: o vivi o muori,che poi si riparte col vento sui lobi.Restituirmi al marenella domenica asciutta e rossalì dove ti piaceva inventarmile ossa, le curvature della boccao un nome che mi hai dato, cosìnella tua mente.*C’è un tempo scavatonel tempo migliorela misura istituzionale di quanti passisi affatica la terra.Nelle consultazioni di stagioneti chiameranno a scegliere la vitadopo questa mortema tu parla solo nel luogo- segna solo la linea -dove giunge la chiarezza dell’aria.C’è un tempo dentro il tempo,un filo acceso a intermittenzadove il mio ventre è tondo d’attesadove viviamo,dove la lontananza non ha mestiere.


Da Secondi luceAnnaRuotolo137*Queste mani di poetao forse nemmeno manima tracce di stelle sulle porte,per segnare un passaggioper lanciare lontanole pezze bianche dell’alba,hanno il gesto della fugala cadenza della barcarossa e dura dal mare.Dalla porta chiusa apparinella bianchissima fettadi festa invernaleun lento filare sui monti,sui monti innevati del grembo.*Tu che non arriviparti in silenzioda dove rallentaelastica l’ariaspaziosa, geograficamentelampante,dicono- e allora è vero -come i guasti nucleariti spargi a migliaia di chilometrisulle fucine delle stradeche agosto risalesu un filo tremante di laghifitte riserve di case eda lì con teda lì per spaziofa come per suonarelontanissima e variabilela romanza di Natale.E t’auguro un viaggio che duri,la prua dirittatu che non torniparti che tutto dormee sola t’aspetto mill’anni.


Da Secondi luceAnnaRuotoloLe parole si portano da un luogo- tu sai -per compensazioneper fare meno oscure le città*138e l’ultima nave a partireè l’abbandono (solleva l’acqua,ritorna calma)Mi spiace, mi spiace a lungonon aver vistogli alberi di ghiaccioun mattino freddo delle quattromandorle in tasca e schiaccianocila tua mano sulla pancia,la paura profonda d’un viaggio.Terra di mezzoForse è un lungo sonnovenuto dal Donegalche sfinisce su queste rotaie:qui siedo ad un gradinocome per fare più vicinala corrieraperso e sepolto un treno che va,e nuove ragazze del millenniogiocano irish coi capotreni.E non so se marzo arrivacon la sua lingua di foglie,se fermarti per il braccionella luce che resta.La luna è diversaQuest'anno che invecchiala luna è diversa,ieri una gittata appenae noi potevamo toccarla.E poltrisce a lato della nottepiù scura dove non ti puoi trovareil manovale che non parla italiano.Qui non abbiamo più murida chiedere di far nascere dal nullada dove lanciarci nel vuotoal gioco dell'angelo e della fiducia- amore -ora che sparisce la luce biancae torna inaspettata la premura.Ora che è lento a nascere un fiore


Su Secondi luce[…] Dice bene Elio Grasso nella sua cristallina introduzione al libro: «È il tempo che percorre tutto questo libro di Anna Ruotolo, quel tempo chefa attraversare una strada vicino alle parole, dette ancor prima che la realtà attacchi con i suoi addii senza scampo […]». Nel corso dei secoli laconcezione che l’uomo si è fatta del tempo, si è sviluppata. La percezione del tempo è personale, esso ha componenti rilevanti di soggettività,sia dal punto di vista fisico che biologico che psicologico. Anna Ruotolo sembra proporre un tempo lineare, tipicamente occidentale, ma concicli di memoria ampi quanto una poesia, che si accavallano di lirica in lirica, ponendo gli eventi in una sospensione breve ma intensa, come unlampo sospende per un istante il mondo, lasciando il lettore nella visione di un ricordo focalizzato nella breve e squarciante luce, tale è la forzadescrittiva della Ruotolo, supportata dalla sua particolare capacità di ricorrere a immagini e incastri di senso, che sembrano uscire direttamentedalla penna della più felice fantasia… […]. La scrittura è calibrata, ottimamente inventata, descrittiva quanto basta a raggiungere l’altezza giustada dove lanciarsi nel tema poetico, elegante, fondata sull’esperienza dei suoi 25 anni, ma di una maturità già avanzata, una scrittura che benconiuga carattere e dolcezza femminile. […]AnnaRuotoloRoberto Maggiani, in www.larecherche.it, 18.6.2010* * *Se, come sosteneva ne Il flauto e il tappeto Cristina Campo, «esiste per ciascuno di noi un tema, una melodia che è nostra e di nessun altro, eche dobbiamo cercare», l’architettura meditata, di simmetrie e rimandi interni, che contrassegna la costruzione di questa opera prima di poesiaè già di per sé una figura di responsabilità, che rimanda ogni scelta di stile alla ricerca di un ordine interno in cui lingua e pensiero, parole eazioni coincidano in un unico momento aurorale - un gesto significante. La parola dell’attesa, della speranza in questi versi apparecontinuamente protesa verso l’istante assoluto - il secondo luce - di un evento che è anche un “Avvento” (non a caso titolo della poesiaconclusiva del libello): «Il mio avvento ha un nome / che mai si disse, mai diremo». Questo movimento è tutto incessantemente orientato versoun interlocutore privilegiato, un “tu” (una persona amata e lontana, come da tradizione del codice lirico; ma anche la familiare ombra materna)ed è sostenuto dalla speranza di un incontro decisivo, unico efficace antidoto contro la minaccia della perdita di senso della realtà econseguentemente del destino.E si potrebbe aggiungere che se questo libro pronuncia le parole come sillabe di una speranza, essa è sempre una speranza per l’altro.Il tema amoroso è dunque una via impervia e lungamente cercata verso la verità e la ricerca del valore della vita stessa. Una ricerca che inquesto esile ma stratificato libro della memoria si articola in una meditazione, in forma di viaggio, lungo precise coordinate spaziali e temporali.L’immagine della nave, che dà il titolo per giunta a un’intera sezione, («L’ultima nave a partire è l’abbandono»), replica da un testo all’altro, epiù significativamente nelle parti centrali e finali del libello, il motivo capitale del viaggio della vita, a suggerire un’idea del tempo come serialità,ripetizione, ritorno. La monotonia ricercata dei sistemi strofici e della vetrificazione, intessuta al suo interno da piani molteplici di echi eallusioni, ne è l’emblema espressivo, riflettendo la serialità di gesti e parole che a furia di essere detti e ripetuti acquistano una loro religiosanecessità. È il caso della centralità ed evidenza del corpo (in particolare il “ventre” associato alla “casa”: «sulla casa asciutta del mio ventre»), edè come se il corpo diventasse, in ogni dettaglio (le mani, la bocca, la pancia) nella sua concretezza elementare e quotidiana, con le sueimperfezioni e ferite, la terra di mezzo, il limbo in cui la ricerca di un’identità si specchia costantemente nella sua incompiutezza, come unanostalgia. Un desiderio che continua a crescere in una ritualità al contempo fremente e paziente, che passa attraverso la sacralizzazione di gestie situazioni, le più quotidiane, nell’auratica e favolosa mitizzazione del ricordo… […].E poi il ritmo: un ritmo ondoso, con quel continuo rifrangersi di versi lunghi o lunghissimi in altri versi più brevi, come istanti molteplici checonvergono su uno stesso punto, un hic et nunc, un eterno presente da cui distillare quell’unico istante privilegiato. Il tempo per la nostraautrice139


* * *Il libro di Anna Ruotolo, Secondi luce, in apparenza connotato da una luminosità e una spontaneità irredimibili, gioca la sua vitalità su molteplicipiani che potremmo definire metapoetici, formando un discorso omogeneo, come ogni voce poetica dovrebbe essere, che a una lettura attentasi dipanaSu Secondi luceautrice è dunque fatto di acqua, sede di ogni virtualità, di tutti i germi e le forme di ciò che è nascente o, creduto finito, di nuovo in procinto dirinascere (Mircea Eliade). La forma del tempo evocata nella prima sezione è dunque una forma circolare, non lineare, evocata nei versi («C’è untempo dentro il tempo / un filo acceso a intermittenza / dove il mio ventre è tondo d’attesa / dove viviamo (dove la lontananza non hamestiere») e fin dall’esergo che riprende il brano di una canzone di Ivano Fossati: «Dicono che c’è un tempo per seminare / e uno che hai vogliaad aspettare / un tempo sognato che viene di notte / e un altro di giorno teso / come un lino a sventolare»). È il tempo del ritorno annunciatodall’opera dei contadini (Camporesi lo chiamava «il sapere frenato») e dalla memoria dei libri: «Sapevo del ritorno / lo diceva il vento lodicevano / i vecchi con gli innesti dell’autunno / che questa terra di confine / sa di cosa parte il giorno / e di come rinvengono giovani / le sporteaperte dai libri abbandonati».In questo confine temporale che è anche uno spazio, l’Evento si annuncia con-fondendosi nella luce del giorno qualunque: distillando […], dalnulla, l’universale di un’attenzione perfetta in cui l’anima parla soltanto le parole della necessità. Come un silenzio.Non è un caso del resto che tra le anime sorelle evocate dall’autrice in tutte le soglie di questo piccolo tempio consacrato al Tempo, all’attesa ealla speranza figuri anche l’Attilio Bertolucci di Viaggio d’inverno, come a giurare all’ombra accogliente del poeta della “luce vera”, sulle paginedi questa opera inaugurale, una fedeltà devota a un mondo poetico in cui rintracciare e pronunciare con grazia inquieta quelle parole-preghieracon cui immobilizzare il Tempo, come su di una parete illuminata: «ed ogni punto sarà lo spazio da annerire/ per vederti nascere, apparire dalnulla».Adriano Napoli, in “Sinestesie - Rivista di studi sulle letterature e le arti europee”, anno IX, novembre - dicembre 2010* * *Nella misura in cui la parola poetica si confronta con la sua fonte principale - il respiro - il ritmo della lirica si assume anche il compito dispezzare la linea della temporalità, così com’è comunemente percepita, per fornire prospettive diverse sull’esperienza umana e le suecondizioni. È così che il tempo fisico e biologico ambisce a farsi storico, politico e psicologico, ed è allo stesso modo che gli anni luce dellascienza possono diventare Secondi luce nel titolo dell’opera prima di Anna Ruotolo […] - con uno slancio metaforico non privo di arguzia, né diun tentativo sornione di complicità con un lettore che sia empatico e attento.Coerentemente, il libro della Ruotolo è strutturato seguendo un movimento non allineato con l’organizzazione del tempo secondo logicheconvenzionali - lasciando convergere, cioè, i momenti dell’attesa («Era notte, era giorno / ti segnavo la via per la piazza…») e dell’abbandono(L’ultima nave a partire è l’abbandono) in una stessa area - è questa l’autentica Forma del tempo, come recita il titolo di una delle sezioni dellibro - che è poi anche quella, ab origine, dell’assenza dell’oggetto del desiderio. Assenza, in ogni caso, che è sempre assillante … […]. L’assillo èora croce e tortura, ora scrittura e delizia: alla fine, ciò che rimane, nell’orecchio dell’ascoltatore, ed è in definitiva il punto di scaturigine dellafascinazione per questa scrittura, è il modo in cui nessuna di queste oscillazioni resta sospesa, come del resto nessun fiato rimane sospeso, néaltresì si perde in uno sterile metaforismo del quotidiano, che troppo spesso riempie i diari di versi, mentre la liberazione della poesia dalsoggettivismo narcisista richiederebbe forse uno sforzo uguale e contrario. […]Lorenzo Mari, in “La Ginestra” (http://letteraturalaginestra.wordpress.com/2010/12/12/vetrina-2-anna-ruotolo-secondi-luce/), 12.12.2010AnnaRuotolo140


Su Secondi lucesi dipana in una miriade di microstrutture e inserzioni che fanno da sponda non solo al cuore ma all’intelletto del lettore.La prima cosa che colpisce è la composizione del libro, fatto di due capitoli e quattro sottosezioni, o sezioni che disegnano una struttura apiramide, sia a livello tematico che nelle rilevazioni dei testi singoli, che elargiscono con frequenza alternata momenti di intensa letterarietà adaltri di maggiore incisività linguistica, metrica, semantica. Ma è soprattutto sul linguaggio di questa poesia che dobbiamo soffermarci.Ogni autore esordiente, o comunque giovane seppure non inesperto, porta con sé il bagaglio, o sarebbe meglio dire il fardello, dei propri studie delle proprie letture; degli autori che ha frequentato nella propria formazione culturale e artistica. In genere, se la vocazione dell’autore èautentica, il suo percorso continua con il graduale abbandono di influssi, echi, stilemi, immagini e forme mutuate dal passato. Anche per AnnaRuotolo è così. Ma a differenza di altri giovani esordienti però, per i quali la polarità “letteratura-realtà” è più scoperta, Anna sceglie unterritorio linguistico ben preciso e decide di attraversarlo interamente, assumendosi la responsabilità e il rischio di sembrare a trattieccessivamente compiaciuta di immagini aeree e sospese, di lunghi monologhi interiori che sembrano non uscire dalla pagina scritta. In realtà,il suo lavoro è quello di attraversare il territorio marmoreo della letteratura agendo nel singolo testo con una minuta sperimentazionestrutturale che si crea verso dopo verso, quando non parola dopo parola. L’ascendenza ermetica della sua poesia non è generica, ma voluta,ricercata, come un ripiano sul quale calibrare, poi, elementi diversi, e metterli a reagire gli uni con gli altri, se non contro gli altri, fino araggiungere per ogni singolo componimento un equilibrio che verrà disfatto nella pagina successiva. Avviene così che su una decisa griglia disignificati, nella quale hanno la prevalenza il discorso amoroso con un “tu” sempre presente a delimitare lo spazio di un colloquio a distanza, laspiegazione dell’io poetico delle motivazioni dell’incontro con l’Altro - dove con la parola “altro” va intesa sia la comprensibile figura parentaledi pagina 50, sia in senso lato, la configurazione ascetica e mistica di stampo religioso - resti sempre problematizzata ma anchesorprendentemente raggiunta; su questa griglia di significati, volta per volta, le scelte linguistiche variano: ora aggiungendo qualche arcaismo,ora un neologismo o un apax, ora insistendo con delle ben mascherate citazioni, ora cedendo alla lusinga di una poesia da camera dalle paroledistese; ora insistendo con lunghe catene paratattiche, ora con apposizioni che si delineano e chiariscono le intenzioni finali del testo singolo,ora con accostamenti arditi e metafore imprevedibili (come se si trattasse di un finissimo gioco letterario elevato a potenza), o con unanomenclatura da abbecedario o da bestiario medievale. Insomma il segno, anche se non modo parossistico, diventa autonomo rispetto a unapoesia il cui progetto è quello di spiegare se stessa, quasi di confessarsi, di fronte all’altro da sé. Ed è proprio il possesso di questa capacità direndere autonoma la lingua rispetto alle cellule semantiche, a colpire in questa giovane autrice. La sua poesia, che può sembrare identica a séper tutto il libro, è in realtà in continuo sommovimento sotto la cute dell’attimo. La Ruotolo innesca così una riflessione sul tempo: quelloidentificato in uno stile quasi epistolare, e quello dell’intonazione e delle variazioni prosodiche e linguistiche dei versi. I secondi luce del titolosono senz’altro un rimando rimpicciolito della distanza degli anni luce, che contano miliardi e miliardi di chilometri, ma rappresentano anchel’inventario di una vita nella quale la luce è troppa. C’è troppa luce e, in un arco di tempo brevissimo come un secondo, bisogna cercare un po’d’ombra l’ombra in cui «un po’ si vive», come recita il finale del testo preomiale e programmatico. Ma come si fa a vivere? Per Anna Ruotolotutto resta dentro il confine della poesia, tutto si gioca nel linguaggio. Si vive, si trova la vita e la vitalità con delle effrazioni: formando versibrevissimi, di una sola parola, accanto ad altri dalla lunghezza tradizionale come l’endecasillabo o il settenario con varie accentuazioni,formando concrezioni linguistiche che condensano due lemmi in uno solo, alternando sinonimi in sequenza, facendo poesia del corpo (ovverocon la pronuncia di parti del corpo meno poetiche come i «lobi» di pagina 65), mettendo in posizione chiave dei logonimi, ossia citazioni diparlato, di discorso orale, fissato nell’impianto aulico e cortese del poetico, ricorrendo a translitterazioni e smottamenti fonici, ponendo quesitiall’interno di versi dall’apparenza descrittiva, utilizzando plurali assoluti di ascendenza ermetica accanto a improvvisi vocaboli dalla tipizzazionevernacolare, accrescitivi, sfumature ironiche, nelle quali si scorge tutta l’abilità di gestione di un linguaggio poetico e orale pressoché infinitocomeAnnaRuotolo141


Su Secondi lucecome è quello offerto dalla lingua italiana. Tutto questo fa sì che Secondi luce spiazzi il lettore quasi per contratto, o meglio, che tra l’autrice e illettore si ponga un patto preliminare per il quale chi legge si impegna a lasciarsi sorprendere viaggiando attraverso il tempo del singolo testo edell’intero libro, avvinti tra di loro in modo inestricabile. Questa percezione del tempo, a sua volta, è parallela a quella brevissima del motivodell’incontro che cerca una «terra del dopo», come a pagina 24; ma è anche parallela a quell’aspirazione a porsi fuori dal tempo, tipica dei testipiù riusciti, imitando il respiro di un’eternità come aspirazione ultima di tutto l’umano. Va osservato, dunque, che il bagaglio tecnico dellaRuotolo è notevole, soprattutto se si considera l’età dell’autrice. Ma va anche detto che questo assetto è ancora allo stato iniziale, anche senon va data a questo pensiero un’accezione negativa. Si ha l’impressione, piuttosto netta, leggendo il suo libro, che questo primo passo cosìimpegnativo sia soltanto il primo e non resterà isolato e fine a se stesso. Come lascia già intravedere il secondo lavoro della Ruotolo, “A” comeAvvicino, uscito in antologia poco tempo fa. La direzione della sua ricerca è quella di sgrossare sempre di più il nucleo forte del dato emotivo dauna facile gamma di lirismi e modulazioni estetizzanti che a volte pesano sul suo discorso, anche se persino il peso eccessivo di alcuni suoiperiodi sembra portato ad arte proprio nel punto dove le ritroviamo (questi lirismi e queste modulazioni estetizzanti) e non altrove. Perché vasottolineato che anche il più mentale dei suoi versi è frutto di un istinto genuino verso la poesia, che è connaturata alla natura della persona eriesce alla fine come unico e autentico mezzo di espressione. Non va pensato che l’impatto linguistico del suo lavoro sia effettuato con furbiziae disonestà. I versi che si ottengono in questo modo sarebbero farraginosi e cerebrali. Ma l’espressione «lavoro sulla lingua» va intesa in altromodo: come il risultato di una imprevedibile creatività e apertura improvvisa alla creaturalità del sentimento, che fanno di Secondi luce un libroriuscito, degno di essere letto e doverosamente apprezzato. Apprezzato come frutto di un’intuizione fresca e a suo modo strabordante epersonalissima, quindi già riconoscibile e originale.Stelvio Di Spigno, per la presentazione del volume avvenuta presso la libreria Treves di Napoli, il 10 marzo 2011 (inhttp://www.lietocolle.info/it/s_di_spigno_su_ruotolo.html)* * *Sarà stato solo un caso, una coincidenza fortuita, ma mi ha stupito leggere Secondi luce […] contemporaneamente al romanzo di Vila MatasDottor Pasavento e scoprire in essi un elemento comune: il discorso sul tempo.Leggo a pag 276 del libro dell'autore catalano le testuali parole: «Moriamo ogni giorno e nasciamo ogni giorno. Stiamo nascendo e morendodi continuo. Per questo il problema del tempo ci tocca più degli altri problemi metafisici. Quello del tempo è il nostro problema. Chi sono io?Chi è ognuno di noi?».Si tratta di un' affermazione che risulterebbe cara alla scrittrice casertana come dimostra il fatto che la prima parte della sua opera porta il noncasuale titolo di LA FORMA DEL TEMPO.Il tempo, dunque, appare, a prima vista, il quod che dà l'imprimatur alla raccolta.«È il tempo che percorre tutto questo primo libro di Anna Ruotolo…». Così esordisce, infatti, a conferma di quanto sopra sostenuto, ilprefatore Elio Grasso. Eppure leggendo e rileggendo le liriche di Anna, sono sempre più fermamente convinto che il vero tema della raccoltanon sia il tempo bensì l'antinomo del tempo stesso, non tanto il "non tempo" ma quella intercapedine tra tempo e non-tempo nella qualesempre l'uomo ha cercato di infilarsi per darle un nome e un senso.Il significato della poesia di Anna Ruotolo è, difatti, tutto in un interstizio di tempo senza tempo, (tempo dentro il tempo), che non è tantoassenza di esso, quanto sospensione; un non-luogo (utopia?) dove la separazione trova riunificazione, l'abbandono il ritorno, l'attesa l'avvento,la morta la vita.È la "sosta" il vero argomento dell'opera, il concetto di "vacanza" - tutto sereniano, certo, ma anche affine a un poeta dimenticato come RemoPagnanelliAnnaRuotolo142


Su Secondi lucePagnanelli (lo conoscerà Anna?).È in questo spazio magico o bianco, (il bianco è il colore della sospensione, dell'a-temporalità, per eccellenza - a tal proposito si noti comequesto aggettivo cromatico compaia nella raccolta, insieme ai similari: bianchissimo e imbiancato, ben 11 volte), che si affastellano tutti gliaspetti terreni, umani e mortali della vita ma ivi finiscono per trasformarsi, incredibilmente, acquistando una tempra indissolubile ed eterna: sitratti dell'amore, si tratti dell'addio, si tratti del ricordo, si tratti dell'incontro. Il cinema, la libreria Mondadori, il qualcuno delle 00 e 48, il veloda sposa.In questo spazio sublunare, in questo cono d'ombra, in questo sovrassenso o sovraspazio - direbbe Zanzotto - trovano cittadinanza: «La portaaperta a un ponte» (pag 17; verso allitterativo di una maestria e una musicalità invidiabili); il «...centro esatto/della solitudine del mondo»(pag 18); il «...fondale» scelto «per questa sera» (pag 19) e ancora, il «...lato occaso della bocca» (pag 20); la «... striscia/di terra per segnartil'ora della fuga»; il «…momento / che nessuno ha conosciuto» (pag 26); tutti correlativi oggettivi di questa dimensione altra, altéra, tuttaeinsteiniana o bergsoniana. […]Si leggano i versi straordinari di «Si dice che i poeti» con l'incipit rivelatore: «Non è mai bastata la vita...», è questo il punto di partenza delviaggio di Anna Ruotolo, e, per inciso, di qualsiasi poeta. La certezza che la vita non basta, che occorre andare oltre la vita stessa, che il tempo èuna menzogna insufficiente, che occorre andare oltre quel/questo tempo per raggiungere la verità.La verità che sta nella TERRA DI MEZZO, altro titolo emblematico a cui corrisponde la seconda parte della raccolta. Se nelle prime poesiequesto territorio di confine, inesplorato e inesplorabile, questo non-luogo, viene spesso evocato, ma in traluce, a bassa voce, ora essa vieneannunciata o meglio enunciata esplicitamente. Cos'altro non è «La terra di mezzo» se non quella intercapedine sottile tra l'essere e il nonessere, tra lo stare e lo scomparire, tra l'avere corpo e l'assottigliarsi, l'avere il qui e ora e non averlo più? La «Terra di mezzo» è la terra dove siindovina «il guizzo» dei pesci argentei, è il mondo dei «permetti», è il territorio afono e attutito, imbottito di neve, di «certe domeniched'inverno» (pag 33), «Il segno sul sagrato della chiesa». Siamo di fronte a una novella Montale, alla ricerca dell'anello che congiunge? Forse sì,forse no; forse quell'anello Anna già lo possiede, ed è la poesia. È un anello preziosissimo ma facile a sfaldarsi, ce lo confessa candidamente leistessa quando scrive che la poesia è «il luogo più giusto» (pag 39), un luogo che, così come è comparso, può scomparire d'acchito; perché ilrischio più grande di chi scrive - (e questo Anna Ruotolo lo sa bene, ed è un sapere che condivide con tanti altri scrittori, si pensi a Vila Matas,citato prima) - è quello di ritrovarsi con un pugno di mosche tra le mani; è un rischio calcolato scoprire che quel "luogo giusto" risulti essere«un'ora / inconservabile / come la neve» (pag. 40 - e quasi sembra di vederlo quel modernissimo e decadentissimo Leopardi sussurrarlequeste straordinarie parole).Quello che Anna intraprende è un foscoliano viaggio di resistenza al tempo e alla sua assenza, lo fa ricorrendo a immagini che hanno una forzaevocatrice tutta femminile, come dimostrano questi bellissimi versi della lirica di pag. 49: «Vorrei scostarti rondini dagli occhi / in questogiorno di basilica ventosa / averti per un poco, poi mai più. // È come conservare in pancia / tutta la luce a venire / per un chiosco di lucciolenel tempo.»Il cammino intrapreso prosegue «mill'anni», anche nelle successive sezioni, è un cammino fatto di «ottativi» (un uso sconsiderato, tuttogiovanile, - e per questo concesso e apprezzato -, del condizionale ne è la dimostrazione concreta), di desideri e strappi, ricongiungimenti eseparazioni.La recherche (Proustiana?), «voglio solo scoprire se ti va / un limone» (pag.64 - Montaliano?), ha come fine ultimo quello di dare un nome allecose, o almeno il tentativo di farlo: «Il mio avvento ha un nome / che mai si disse, mai diremo» (cfr: la lirica che conclude il libro - pag.67). Lafedeltà alle cose di cui parla Elio Grasso nella prefazione è, certamente, il debito - e il merito, a mio avviso - tutto postmoderno che Anna siportaAnnaRuotolo143


Su Secondi luceporta dietro: «Qui la tensione va tutta al risveglio delle cose, che acquistano un nome e che quindi possono parlarci ad occhi aperti, in pienafiducia». Dare un nome alle cose che si accampano nelle bolle di eterno, che si creano uno spazio nello spazio tutto lieve del tempo, questo è ilcompito della scrittura o meglio della mèta-scrittura - perché quando si scrive si finisce sempre per scrivere sul perché si scrive - di AnnaRuotolo, un percorso che compie colloquiando, non a caso, con i mostri sacri della poesia contemporanea - come sempre i bravi poeti sannofare. E non solo Sereni, citato in prefazione, ma anche - più o meno nascosti - i vari: Luzi (il semantema della barca, ad esempio, fino allacitazione in toto: «aspetta una barca che dondola», pag 34); Caproni (si veda l'incipit della poesia pag 52: «Animula»); e ancora Milo De Angelis(cfr: millimetralmente, pag. 18), e Giudici, Montale, Bertolucci etc.Un confronto combattuto ad armi pari, se questi debiti letterari si stemperano in un verseggiare tutto autonomo e originale. Abbiamo bisognodi certe guide, sembra ricordarci Anna, come a loro volta ne ebbero. Ecco perché la poesia di Anna non è frutto di un facile mimetismo. Unaraccolta però mi sembra, in qualche modo, essere molto affine a Secondi Luce di Anna Ruotolo, si tratta di Quaderno Gotico, di Mario Luzi,perché anche lei, in questa sua prima opera, e speriamo davvero: prima di una lunga serie, è ancora disincantatamente convinta che, di frontea ogni pagina bianca, sta per compiersi, inaspettato ma sempre latentemente atteso, un avvento, una rivelazione: «Che rientri da questa terra/ per i segreti delle porte / che quasi mi dormi accanto / è scritto nel rumore della pioggia / nel tremito aguzzo delle acque //». (dal titolonon casuale di anghelos; pag 33).Alessio Alessandrini, in http://www.lietocolle.info/it/a_alessandrini_su_ruotolo.html* * *[…] In questo spavaldo, sorprendente libriccino d’esordio, la Ruotolo lascia ai margini la narrazione, affidandosi a una modalità di scrittura chemi sembra abbia un carattere simile, piuttosto, a quello dell’annotazione. Procede lungo stazioni tematiche a trama minuta, basata suesperienze vissute, accidenti, riferimenti emotivi. Non c’è traccia di filosofia, nel suo alfabeto fantastico, né ingombro di strutturazioneintellettuale, ma il darsi di un processo metonimico che verso dopo verso squaderna il diario di bordo di un viaggio intrapsichico coagulato inpiccole, preziose epifanie, spesso d’amore, o di mal d’amore perfino… Tanto da lasciare l’impressione che l’io lirico dolorosamente a zonzo perle sue terre di mezzo voglia continuare ogni volta daccapo ad alludere a un centro emozionale stabile, a un porto sepolto in lontananze sideralie, tuttavia, sentite come prossime nell’incandescenza della mente che le evoca. Pur giovanissima, la Ruotolo ha già capito che nel rendicontodella poesia non c’è salvezza. La stessa linea che in Sereni, Bertolucci, Luzi e nel miglior Montale (i “maestri” citati, con Ivano Fossati, all’iniziodelle quattro sezioni in rigorosa struttura settenaria che compongono la raccolta, prefata con acume da Elio Grasso) segnava, nella forma, l’ideadi una resistenza al disincanto del mondo, qui si declina in una singolare vocazione atta a circoscrivere un residuo, personalissimo insieme dimondo. Circostanza che trova precisa corrispondenza testuale nel desiderio di preservare, di difendere, di far risaltare ciò che è (stato) piùimportante per l’anima, ciò che le è più vicino e che la chiama, sia esso un ricordo, un elemento astratto oppure una cosa, o, addirittura, con un“correlativo oggettivo”, shifter materiale di un’assenza che è “ontologica”, direi, esattamente per quanto è “esistenziale”. A onore dellapoetessa, e della qualità del suo talento (forse) inconsapevolmente mistico, va sottolineato come la Ruotolo sappia resistere quasi dappertuttoalla fascinazione del poetico. In effetti, non ogni poeta bravo, intorno ai suoi venticinque anni d’età, ha intelligenza del reale sufficiente persfuggire, parlando di sé, alla tracotanza che spinge a credere che i propri segni siano più di segni, senza per ciò stesso abiurare al suo mandato…Ma il fatto è che in Secondi luce l’io poetante parla posseduto dall’aura di un istante propizio che apre a una via autorelativa tutt’altro chesemplice, com’è o deve essere, nei più meditanti, il gesto che parte dal mondo per trascenderlo e ricondursi nuovamente a esso.Massimo Morasso, in “Poesia”, n.266, dicembre 2011AnnaRuotolo144


Dall’antologia Quattro giovin/astriAnnaRuotolo145Da Dialoghi da MoleskineIDopo il tuo lavoro passi sempre qui,alto, alto sali tra i muriscendi latte di montagnerimpicciolisci per raggiungermidalle finestre, dai condotti sublunari.- Ebbene, che vedi fuoriprima di entrare?- Saranno anni che gli uccellifanno la loro ronda familiaree le luci muoiono nello stomacogrande e fumoso dei bar- Salta il racconto, va’ avanti- Che due o tre giovanidalle calze brune hannoprovato a salutare.- E poi? - dico per spazientirlo -- E poi finisce che vengada te per costruire questa stanzae le risposte e la vita tuttache ti accendono la forza di sempre,sempre nascono sul disco del mondo.IIEntreremo spalla a spallacoi piedi senza rumorinella scatola magica dell’ascensoreti chiedo il nome, poi la dimoracosa farai di buono prima di dormirepoi tocca a te- Facciamo un po’ per uno - ho detto -Mi chiedi:- È già sera? -poi se e quanto manca all’arrivo(hai detto se, mi commuove l’invitoper l’eternità che viene via dal tuo viso)e quanto ancora al momento in cuidivideremo la stradatu a destraio a sinistra,tutta l’apparizione fermanella testa, nel miracolodi un giorno cittadinoal numero ventisei,rapide cascate sotto le scarpeannunci, coleotteri per la vial’attesa della fine, la fine dell’iniziodi fronte al Caffè della Fontana.


Dall’antologia Quattro giovin/astriAnnaRuotolo146[…]IV- E se si fa sottile il suo corpola riviera ci sembra attraversonon mangia ormai che panee origano,dobbiamo partireper le stanze bianchee i corridoi verdacciaio delle saleper provare a ricongiungercinel sangue.- Così le dici? Dobbiamo partire?- Ogni tanto succede. O, ogni tanto,che anche a me fa male qualcosacosicché dopo a lei non dice niente di brutto,tutto ciò, niente di terribile.È la riprova che il corpo è nostroe se siamo in due si passa megliodal sogno all’esistenza , dall’esistenzaal sogno, nella notte.[…]VIILe cose che non iniziano, le coseche finiscono soltanto e non sonola fine dell’altroNICOLA GARDINI- Le cose che non ci sono vanno pensate- Va pensata la vita e la scrittura!- Allora, non ci sono?- Ci sono quando la mano cominciaa finire. È tutto un salire per gradi.- Per esempio?- Finalmente anche la direzionedel sole, alla mattina, si fermaben bene sulla tua guancia- Qual è il significato?- Che il sole smette di far lucenon c’è, va pensato comeil grano che ti preme in bocca,che ci fa mangiare.


Dall’antologia Quattro giovin/astriAnnaRuotolo147Da “a” come avvicinoIun passo (è tutto - sono lì)ma poi ho paura di lasciarloinvecchiare con techiuderlo in una stanzanon chiedergli una parolao un accordo,il bisogno di una mano infinitaaccostata alla mia spalla.Una mano senza rivadal dorso di nevi e di ciliegia.*avvicino la mano alla tua mano,qualcuno dice il palmo al palmoquasi una parte bastassein certe misteriose sostanze d’amore.Non basta, ti vedo svanire nel pocohai la luce finale tuttatutto l’abbandono.E noi abbiamo un orizzonteda sanare, cosìmano a mano*con un passo (è tutto. E sono lì).IIfianco a fiancosiederemo quelle scaleascolta - dico - la rondinelei il letargo non lo sanon lo intende.Parlando così va via qualcunoqualcuno ci sfugge dentroe bisognerebbe essere comele coseche sanno mantenere il tempo,dedicare il ricordo.


Dall’antologia Quattro giovin/astriAnnaRuotolosento che si avvicinanole foglie d’acquaalle caviglie pelose e sottili- e tue - poggiate alla curadelle mie scale,iniettate nella terra azzurra(radiche nodosequando avrai passato il tempoa dirgli di non passare,di non sfiorirmi addosso).*III148occhio a occhio:ho un nero profondo e desolato.Ti ci addentri.Sarai dentro o fuori la palpebraperso nelle ciglia brevie splenderai mille volte.Troppo poche, però, dicono.E raccontano che nelle mie pupillesentiraila fine.[…]


Dall’antologia Quattro giovin/astriAnnaRuotolo149*il libro finito sul divanola tazza di tè, le scaleilluminate dalla chiarapolvere che cade...e la notte arriva un po’ per voltaun po’ per scherzocome quando fischio pianotra le labbrae dico: ho mangiato un uccellino.Vnaso a nasomi fai il muso di lepreda un vetro che si apre.Le finestre stracolme sonola mia sola calma perché se esistipasserai in un colpo di ghiacciosbattuto dal sole, lasciato vagareper terra. E se mai avrai la consistenzadel formicolio profondo ad un braccioavrò tanto tempo per sgomberareprima che a poco a poco se ne vada.E sarai venuto senza un fischioda sopra l’orizzonte,lì sopra …[…]


Dall’antologia Quattro giovin/astriAnnaRuotolo150*in tutto questo tempodi riti con il fuoco per le vespeti davo tempo per cercarmimancarti come manca un po’ il respironella guazza,un settembre che si alzacome chi torna a camminare,come chi ritorna solo alle sue manidopo un lungo sonno.VIIImento a mentoancora mi viene da direparlasti bene quella finedi calma giornatatra le spezie da sfregareschiacciandomi la boccaperché sentissi risponderti«sì, si vive di buononei mari persi sopra e sottoventomentre dormo,mentre dormi».È la confessione più dolce,più dolce - pensai.Di queste cose si fa lontanissimoil silenzio.[…]


Dall’antologia Quattro giovin/astriAnnaRuotolo*I campi di stelle per altare.Lì ci porteremo: l’inizio, la finedalla prima vita sulla Terra.151X“Crescono i coralli ogni giorno.La tua carne si riduce.”ORI BERNSTEINbraccio a braccioho da dirti due cose:dapprima che non c’è abbandono per tené passaggio di notizie infaustea primavera (tu sei immune, sei immune).Due: sei tanto deboleche ti sistemo un’ala,tanto forteda riuscirci per me.*questa ha l’aria di esserequell’ultima poesia dell’annolanciata dalla finestraper rompersi sui muri zuppi,radiosa nel cadere, una cometatrafitta dal tuo alito di fumoche si avvicina e s’allontana(s’allontana, si avvicina)e si dirige al cielo.


Sull’antologia Quattro giovin/astri[...] Nelle poesie di Anna Ruotolo i titoli sono invece numeri a offrire l’idea di raccolta di appunti, nella prima silloge, e dell’incedere, nellaseconda. Le Moleskine accolgono dialoghi che stringono il fuoco sulla relazione tra l’io e il tu e, nella loro forma diretta scandita graficamentedal segno della lineetta che, mentre distingue i discorsi e li correla, si svela fin dall’inizio un altro tratto specifico e profondo di questo poetare:la sua natura interrogante. C’è una reciprocità di domanda e risposta; la costruzione della verità, della realtà, avviene nell’originario domandaree nel successivo rispondere che alimenta nuova domanda. [...]Nella seconda silloge, dove il dialogo diretto cede il posto alla prima persona, singolare e plurale, Anna Ruotolo disegna una vera e propriaanatomia dell’incontro, una fisica della vicinanza: «un passo (è tutto - sono lì)», «avvicino la mano alla tua mano», «fianco a fianco», «occhio aocchio», «bocca a bocca», «naso a naso», «fronte a fronte», «spalla a spalla», «mento a mento». E nel ritmo dell’approssimarsi di corpibiografici possiamo però quasi intuire una controtendente costante, che diventa la verità del mistero di questo progrediente incontro pertoccamento: ogni avvicinamento custodisce la sua sottrazione. [...]Umberto Fornasari, dalla prefazione* * *Abbiamo ripreso la lettura dell’antologia Quattro giovin / astri, curata da Chiara De Luca […]. Ci viene incontro, il dialogo poetico, di AnnaRuotolo: un dialogo molesto (Moleskine è una riconosciuta marca di agende per appunti di viaggio) per le orecchie dei contemporanei. Unasana provocazione per il lettore attento alla parsimonia delle “poetesse” che sanno rivelare, senza parole superflue, la ricchezza di un mondointeriore… .Il dialogo, tra mondo interiore della poetessa, e l’esistenza che scorre nei suoi occhi, non ha solo gli uomini come referenti, ma l’interacreazione a cominciare dal sole che la/ci illumina: «Dopo il tuo lavoro passi sempre qui, / alto, alto sali tra i muri / scendi latte di montagne /rimpicciolisci per raggiungermi» (pag. 53). La callida iunctura permette al sole l’esercizio di un lavoro, si fa corpo e anima, per raggiungere lapoetessa nel luogo della scrittura e nei «condotti subliminari». Questa strofa d’ingresso alla raccolta dialoga con l’astro, distante, chiedendorisposte alle domande che i neofiti dell’esistenza pongono all’anima mundi (…). «Ebbene, che vedi fuori / prima di entrare? / (…) Salta ilracconto, va’ avanti / - Che due o tre giovani / dalle calze brune hanno / provato a salutare» (pag. 53).Tutta la raccolta, si anima di energia, di solarità. Hanno forza i versi per penetrare da una poesia, all’apparenza personalistica, a una poeticavermiglia, vera e sincera, che annoda i grani del rosario delle generazioni precedenti: «- Le cose che non ci sono vanno pensate / - Va pensata lavita e la scrittura!» (pag. 59). Sono impegni severi quelli che i versi della Nostra ci propongono: «- La guerra per le intercettazioni /l’incostituzionalità delle parole… / lasciamole a loro» (pag. 58). Ci viene da pensare che la classe cosiddetta dirigente, cioè i politici e tutto ilsistema dello Stato, non hanno più alcun dialogo con i giovani, principalmente con le loro esigenze vere: il lavoro, lo studio, la riservatezza dellaloro esistenza.Riconosco che un critico non può commuoversi di fronte alla bellezza della poesia, non può travalicare la «frontiera del sentimento» (PieroBigongiari, Il critico come scrittore), deve suscitare l’imparzialità per far sì che la critica sia accettata e con essa il lavoro che sta costruendo.Ebbene quando ti viene incontro un verso stupendo, che agita le acque che alimentano la sostanza della tua memoria, il critico deve dichiarareche i legami con i versi di Baudelaire, Verlaine, sono forti: «(…) - Che cosa stai guardando adesso? / - La data di quando / ho ordinato il tuo libro/ e i soldi messi da parte / per quell’esame di gioia / e di zucchero, / l’azzurra avidità che ci sfinisce» (pag. 57). Oh l’azzurro! Irraggiungibileazzurro dei Poeti, dove si sperde il pensiero e il naufragio diviene dolce. «Gioia e zucchero» di un esame che è poi l’esistenza intera.La lezione dei giovani è stupenda. Noi, arroccati nel nostro raggiungimento sociale, siamo distanti dal freddo delle strade, dai tetti delleuniversità,AnnaRuotolo152


Sull’antologia Quattro giovin/astriuniversità, dai fumi puzzolenti dei lacrimogeni, dalla violenza feroce dei manganelli. Guardiamo?! Non basta! Lo dico con la consapevolezza chei giovani sono migliori di noi in moltissimi campi: «(…) È la riprova che il corpo è nostro / e se siamo in due si passa meglio / dal sognoall’esistenza, dall’esistenza / al sogno, nella notte» (pag. 56). Dice proprio questo Anna Ruotolo: la comunione tra giovani. Non l’odio e la cattivacompetizione come tra gli adulti. Sono trascorsi anni, di un secolo di sangue e di guerre, quando la speranza aveva il volto di Martin Luther Kingcon la sua espressione «Io ho un sogno»; quando Jacques Prévert scriveva: «(…) Bandito! Ladro! Briccone! Furfante! / È la muta della gentebenpensante / Che dà la caccia a un adolescente /(…) Arriverai mai al continente al continente?/ Qualche uccello sull’isola si vede volare / Etutto intorno all’isola c’è il mare» (Parole, Guanda, 1989).La seconda sezione della raccolta, titolata “a” come avvicino si compone di strofe cariche di una bellezza da spasimo: «(vieni a cena da me) / ilfiume si accende dove ha le mani / (…) La tavola è apparecchiata di fuoco / entra, siedi, aprimi il viso / ti trema negli occhi la luce / lungamente,/ come una terra che si avvicina / alla sua acqua /non ha fine» (pag. 81). L’enjambement accentua l’armonia dei versi. La similitudine degli occhiricolmi di una luce senza tempo, avvicinati al concetto dell’ansia che ha la terra di avvicinarsi alla sua acqua, ad un tempo eterno “senza fine”.Acqua che germina la vita neonatale, purezza dello sguardo umano che invita, chi legge, ad aprire “il viso” dove dimora la vera distanza trasogno e realtà. La poesia è racconto nei versi della Nostra poetessa?Starei attento a definire racconto l’ansia struggente di questo diario dialogo di Moleskine. Per chi sa discendere nel “fuoco” preparato sultavolo dell’invito c’è più dell’invito: «entra, siedi». C’è l’armonia che ci governa. L’armonia che viene chiamata «leggera gioventù», ma che inverità dovrebbe albergare sempre in mezzo agli esseri umani. Siamo vicini alla fine di questo primo decennio, inquieto, del Nuovo Secolo(nuovo poi quanto?!). Il crollo dell’egemonia economica ha riproposto, saldamente, la necessità dell’ascolto dei più deboli, dei poveri, dellerisorse esauribili del pianeta Terra. La nostra poetessa Ruotolo, con la fiamma meridionale nel cuore, ci lascia dei versi lapidari, immutabili, perdichiararci quanto abbiamo detto fin qui: «questa ha l’aria di essere / quell’ultima poesia dell’anno / lanciata dalla finestra / per rompersi suimuri zuppi, / radiosa nel cadere, una cometa / trafitta dal tuo alito di fumo / che si avvicina e s’allontana / (s’allontana, si avvicina ) / e si dirigeal cielo» (pag. 85)Il cielo è ancora, per ora, di tutti. Dei poeti e dei poveri. Delle multinazionali e dei politici. Ma di comete ce ne sono poche: quando passanofanno tremare tutti i ricchi. Non i Poeti.Vincenzo D’Alessio, in “farapoesia”, 16.12.2010 (http://farapoesia.blogspot.it/2010/12/su-aavv-quattro-giovinastri-cura-di.html)AnnaRuotolo153


Da Dei settantaquattro modi di chiamartiAnnaRuotoloDèi(abbracciare)154Primo. Cielo indiviso,cielo nevicato all’improvviso*Terzo. Mani di bandierenell’ariae nella nebbiaOttavo. Il «sì, ti aspetto»e il mondo risvegliatoQuattordicesimo. La nottepiù lunga passatacon te -giro di rottee di pianetiL’abbracciabile. Ci sono, credo, anche loro: le materiefatte per essere abbracciate. E pulsano nello spaziosemicircolare e finiscono per mettervi radici, perchéquella è la dichiarazione della loro natura. Materieminuscole e pulviscolari o materie altissime come unalbero, fisso nella terra e slanciato verso il cielo. In undestino preciso del pianeta. Un albero che cresce ingiù e in su e basta a se stesso. E pur bastandosi si lasciacircondare. […]Ventunesimo. Piazza di nottee di tutte le stelleVentiduesimo. Quando arriva mattina,biglia nella mano.Quand’è notte, biglia persanell’oscurità del lettoVentitreesimo. La tua chiamatadalle raduredi silenzio


Da Dei settantaquattro modi di chiamartiAnnaRuotoloModi(una montagna)[…]L’uomo, in principio, è una montagna.L’uomo nato è una pianura.Cinquantatreesimo. Coperta in unacasa d’inverno e, sotto, cittàcadute e rifatte solo per amore del mattino,della capitale del tuo visoL’uomo che ritorna è, ancora, una montagna.Per salire, tu lo sai, diventi ogni ora più leggera. Equesta salita è come la discesa. Sali che non c’è spasimoe fiato corto. Sali che non ti si può più vedere.Lasci la tua pianura. Cresci di altipiano in collina. Dicollina in cima.E, se alzo gli occhi, mi manca il fiato.155Cinquantesimo. Incontrouna mattina per casoin una cosamai così bella prima


Da Dei settantaquattro modi di chiamartiAnnaRuotoloDì(disordine)IL’ordine dei giorni.156Il disordine dell’inciampo, della parola che pronunci dopo dieci giornidi silenzio e fiato rosso.Il disordine dell’ora legale e lunghissima sera,il disordine della tromba sul tetto,il disordine del matto.Il disordine della tua storia lanciata così,il disordine del tuo corpo di bolla e del tuo cuore forteche se fosse più forte lo direi felice.Il disordine delle mani battute nella notte,il disordine dei fuochi d’artificio,il disordine dello scampato all’onda disastrosa,il disordine del regalo nel giorno anonimo,il disordine del gesto gratuito.


Da Dei settantaquattro modi di chiamartiAnnaRuotoloIIL’ordine delle stagioni.Il disordine del caldo d’inverno,il disordine del camino acceso a Marzo.Il disordine di tutto il cibo comprato, il disordine del libro lasciato in fretta. Il disordinedel tuo racconto nelle mani di qualcuno.Il disordine del vento nel sereno.Il disordine del venditore di frutta sotto la tua finestra.Il disordine mondiale del primo dell’anno che dormi e ti perdi quasi, se non fosse chearriviamo in fila, rotta la lentezza della tua stanza, messi i nostri piedi e le ginocchia sultuo letto, obbligata a bere una cosa frizzante, obbligata all’ultima fotografia di certezza.L’ordine delle cose.157Il disordine e il tumulto del tuo sorriso.


Dall’antologia La generazione entrante. Poeti nati negli anni Anni OttantaAnnaRuotolo158Da Tuttitudine (2009-2011)I singolari sono plurali[…] di nuovo dicendo anche per le ultimevolte c’è un’ultima volta […]Samuel BeckettSì, tutto con eccesso:la luce, la vita, il mare!Plurale tutto, pluraleluci vite e mari.Pedro SalinasI singolari sono pluralidico casa e ne dico milleperché se guardo fuori da quitante ce ne sono,pulsano da non finire.Il numero è la convenzioneche ci siamo dati prima di farcispazio attorno, di vederci andare.Se parlo al singolare fa meno maleil solo, la solitudine che fumadi tetto in tetto, unica unitàche ci distingue ombra dalle ombre,acqua dalle acque.E a tutta questa storia sembra venirein più uno straniero che non ti portain tasca (perché non ne ha nemmenouna - se due non ne può avere -)tu non gli sei neppure famigliarein una stampa, una fotografiacosì come lo sei per mema chiama, chiama tutticon centomila nomi esattisi esce, così, infine, dalle dimoree camminiamo in stormisi prova a fare benetutto e forte, tutto al pluraleper una volta tra le altre volte.


Dall’antologia La generazione entrante. Poeti nati negli anni Anni OttantaAnnaRuotoloTuttitudineIn sogno lanciavamo in cielo la paura,«prendila Tu, Padre degli astrie delle cortine fluorescenti di gas».Così Simone il cieco ballò senzatastare l’universo con le manie Zita parlò senza capire.Stringere le nostre gabbie toracicheperché tenessero (e, oh sì, tenevano)l’un l’altro, l’uno all’altra, l’una all’altrofinché non rischiarava il giorno dopoe la grancassa dell’oceanonon ci accompagnava.159E la mattina dopo aveva la riservadel dolore di pancia«Tuttitudine…», ha detto il medico curante- il musicista che la notte primaaveva agganciato il fuoco alle dita,la sua culla/pancia a quella di una donnavedova di Solitudine -«…primo fiore della felicità».


Su Dei settantaquattro modi di chiamarti e sull’antologia La generazione entrante…Questa raccolta, strutturata su testi brevissimi alternati con equilibrio a passaggi in prosa, è improvvisamente attraversata da una poesia lunga,cantata, con un preciso e battente refrain. Si tratta di Dì (disordine), testo che compare nella seconda parte dell’opera quasi a organizzarne ilsignificato, come se ciò che accade nel resto del libro, così sincopato, lampeggiante ed epifanico persino nelle prose, ruotasse intorno ad unbrano che si stacca con tanta evidenza dal resto. Diciamo innanzitutto che Anna Ruotolo propone un libro che è un’opera, pensataintegralmente come tale, con un’architettura, quindi, e non una semplice raccolta di liriche scritte nel tempo e organizzate a posteriori comecapita nella maggioranza dei libri di poesia. Si tratta di un libro in cui il microtesto è già pensato all’interno di un macrotesto, e ciò èconfortante, soprattutto se si pensa che siamo in presenza di una giovane autrice. Significa anche che l’ispirazione della singola poesia, tantopiù breve e ispirata in questo caso, è concepita fin dall’origine all’interno di una ispirazione più lunga, che è la facoltà di rimanere di fronteall’oggetto per una durata non occasionale: per alcuni mesi, ci informa la nota posta alla fine del libro, anzi, gli ultimi mesi di una vita. Abbiamoqui qualcosa di nuovo: la necessità di cui si è parlato tanto in questi anni, caratteristica ritenuta fondamentale per la parola poetica (piùsemplicemente un tempo si diceva che il poeta deve scrivere solo quando è ispirato), che aveva come elemento distintivo la durata breve, oranon vale. Anna Ruotolo è rimasta a lungo di fronte alla sua necessità, che, evidentemente, non era quella della parola in sé, ma di un evento.Vediamo in definitiva superata l’autoreferenzialità della poesia, difetto immane della poesia contemporanea, che ne ha minato la possibilitàstessa di una sua fruizione.La poesia di Anna Ruotolo ha dunque riformulato la sua necessità: si è trattato, per lei, di stare di fronte ad un fatto, doloroso e infine tragico, edi ricorrere alla parola poetica per interrogarsi sul senso di quel fatto. Si è aperta dunque l’esperienza di una poesia epica, che rimanda il lettoreimmediatamente a tutto ciò che concerne quell’avvenimento, soprattutto nella scoperta delle evidenze dello spirito, e senza che una siffattaapertura comportasse lo scivolamento verso uno stile prosastico. Lo stile delle poesie di questo libro, anche di quelle in prosa, rimane semprecontratto, limpido ed essenziale, asciuttamente lirico, semmai tendente all’aforisma lirico, cioè a rendere la conoscenza prodottadall’avvenimento e soprattutto dall’analisi dei passaggi e delle ripercussioni dello (e nello) spirito. Il primo risultato, per tornare al testo lungo Dì(disordine) che s’inserisce ad un certo punto nella raccolta, è appunto un disordine che scompagina gli schemi del nonsenso. È utile ricordareche l’irruzione di questa poesia è anticipata da una citazione di Charles Péguy, nella quale si racconta che ad introdurre il disordine fu Cristo. Lecitazioni sono uno dei tanti pregi di questo libro: si presentano calibrate e precise, non sono poste in esergo solo per simpatia con certi autori,per ricordarne l’influsso sulla propria opera; invece contribuiscono a scandire il racconto, ad accompagnarne l’apertura di conoscenza. Ildisordine di cui si parla, dunque, è un disordine salutare, che porta ad un nuovo e vero ordine: si tratta del «disordine del gesto gratuito» e diquello «dei fuochi d’artificio» la cui strabiliante bellezza e in effetti frutto di un disordine splendido, di una forza, quasi una violenza da sparo,da cui scaturisce un nuovo ordine di luce e meraviglia.Anna Ruotolo sembra dire che la poesia concorre a rinominare il mondo. È questo un antico compito dei poeti: risemantizzare instancabilmentela realtà attraverso la sua nominazione. La poetessa aggiunge un’accezione personale: «ti ripeterò nei nomi delle cose», rendendo così i nomiabitati dalla presenza cara. Estremamente significativo e, anzi, luminoso il finale di tutto il libro, dove la presenza che è motivo della poesiaviene indicata per nome, quel «nome piccolo e bianco». È l’ultima di una serie di intuizioni davvero poetiche, dove avviene quella connessionenucleare tra senso e parola che è sigillo di vera poesia e che nel caso di Anna Ruotolo è ancora più straordinaria perché giocata nell’ambito diminuscole varianti, quasi grammaticali e perfino matematiche, con quel conteggio perentorio dei «modi di chiamarti». Così la terribilebiografia, che attraverso la nominazione questo libro racconta, si accende spesso di definizioni raggianti: «Sesto. Madre che comincia / adaccarezzare, senza il tempo/del dovere. Senza il tempo»; «Ottavo. Il ‘sì, ti aspettò / e il mondo risvegliato», in cui rivediamo la bellezza del gestogratuito, evidenziata tante volte, e la verità che il poeta ci rivela: noi consistiamo in qualcuno che ci attende, che è contento di attenderci.Questo è un libroAnnaRuotolo160


Su Dei settantaquattro modi di chiamarti e sull’antologia La generazione entrante…Questo è un libro di spirito e di corpo, di fusione degli elementi, perciò un simbolo come l’abbraccio è un altro dei suoi nuclei pregnanti:«L’abbracciabile. Ci sono, credo, anche loro: le materie fatte per essere abbracciate»; «Poi c’è la carezza. E la carezza è un’intera nazione (...). Ècon una mano che abbraccio. Con una mano abbraccio te. Con una mano abbraccio Dio». La mano, dunque, è tramite di contatto tra corpi eanime: «Trentacinquesimo. Mano / radice di cielo / che si posa e fa azzurro/terreno» punto di snodo ancora una volta basilare nell’indagineapprofondita che ne fa l’autrice. Un’indagine che è a tutto campo e non dimentica, nella sua precisione, neppure gli elementi cellulari, comequelli fonetici. Così il suono “ma” si gioca tutta la sua potenzialità di legame nel breve spazio di poche parole, passando da “mare” ad “a-mare”(il trattino è dell’autrice) a “mano”, con sottinteso il “ma” di “madre”, che riecheggia in tutto il libro e che apre ad un intenso e successivopassaggio, quella della ritrovata vicinanza tra uomo e terra, raccontata nella prosa «Modi (una montagna)», ulteriore testo assai riuscito. Èdunque un libro in movimento continuo, come se si stesse facendo tra le nostre mani, in cui anche una delle accezioni preferite di Dio è quellodi un creatore nell’atto del fare («Quarantaseiesimo»). E qual è l’emergenza più importante di questo fare? La vicinanza, l’esserci, il nonpermettere l’abbandono dell’essere: «Cinquantunesimo. Visitazione eterna/da sempre. Ora e sempre. / È così, quando ti vengo a trovare. /Sempre, sempre, tra le abbandonate».Gianfranco Lauretano, l’introduzione a Dei settantaquattro modi di chiamartiAnnaRuotolo* * *La poesia di Anna Ruotolo lavora rasoterra ma è tesissima. Verso l’esterno e verso l’eterno, inteso come altezza di cieli nostrani, sopportabiliper la nostra statura, dotati di condotti, travi portanti fatte dalla coerenza tra i nostri corpi e gli astri. Questi cieli sono pelli di animali tese suarchitetture scheletriche e trascinate al basso della lingua parlata. La realtà viene disseminata come un inciampo continuo tra parole con lequali, sebbene si rischi l’altezza, non si intende rischiare l’astrazione: Anna Ruotolo ha bisogno di verificare le somiglianze tra le cose celesti equelle umane [...].Dalla prefazione di Maria Grazia Calandrone alle poesie di Anna Ruotolo in La generazione entrante. Poeti nati negli anni ottanta161


IneditiPrimariamenteCi manca, come niente,la preistoria - primissimo giorno minerale:e fu sera e fu mattina -la prima nascita,la primavera, la primina e il primo mare.La pietra, la coperta, l’oleandrola penna che scappa dalle piene delle ditala paura di ciò che d’acqua non si abbassae non si vede bene fino giù alla fine.162Abbiamo sempre un dopotutto, il doposcuoladelle feritoie intagliate nella luce, sì propriocosì al contrario.Il dopodomani, ché oggi lei sembra una sposain bianco e in lacrime non pronta,il dopobarba aperto e montanoe il: «dopo, amore, ti dico che t’amo».


IneditiIl piano della tua visita163IEra notte, era giornoti segnavo la via per la piazzasul palmo della manocon il viso aperto, mai provato primae il dito trattenuto da un’acqua di ficoappiccicosa,il fico verde di un qualche giardino.IIDunque, dopo averti spiegatola direzione del vento(eri tu quello ricurvo sul tavolotornato come da tante migrazionicon le ali un po’ sgualcitela faccia della meraviglia)ti misi davanti un piatto di more.Tu le conoscevi, le mangiavi tuttee a me dicevi di no, per il bene,per l’amore del sorrisoche così ancora mi porti.IIIIl piano della tua visitafu segreto - piano infinitouna, due, tre tazze sul lavellola notizia silenziosa che qualcosavenisse dall’altoe nel volgere in quel punto tutto il visoqualcuno rimanesse al suo lavoro,la lavandaia alle sue camiciela mamma al suo mestiere fecondo.Bello ora dire com’è andatae cosa e non saperlo articolare:tutto intero sei stato quisempre perdendoti un po’ negli angolimorendo (senza dolore e dispiacere),brillando.


Inediti164«Il potere su una costellazione»,pensa alla grandezzacon la fronte e con laschiena poggiate a terra.Io ti parlo di un esempiosenza spazio e senza tempo,il potere di accenderetutto e ribrillareil potere, poco dopo, del buioe del lutto.*Ma io stancherei le stelle«fruttate, figliate forza nelle fibreelettriche», direi.Direi di fare col loro corpoil continuo restarebruciare e risplendere,incandescente vincoloe comandosolo per il bene.*Tanto così veniamo in vita nelle possibilità(figurati un cerchio nella mano, così)che ogni stagione mi chiedose fosse che io esista per qualcunoun’anima che si affaccia quando abito l’aria,se poi quest’anima segreta segna sui mesiogni momento in cui inspiro ed espiroe vede e capisce le piccole tormentese ho spuntato i capellise rido o parlo di nienteproprio come iofaccio con te.


Inediti165Toccare una tua costaper niente e per nessuno che non sia meti chiederò nel tempo,una costa è quasi un nulla, un cominciamento- se ci pensie la mia mano sulla tua terrosa pazienzaha qualcosa come la storiadel distaccamento di placentache accusa un vuoto laggiù.Si sta a letto, si cura il bimbo minutissimobasta stare immobiliavere una mano di speranzauna mano-nave legata a un fazzolettodi mare purissimo e di sabbia.*Ab - braccioCom’è penosa, a voltela formula dell’abbracciaree circondare tutto l’abbracciabiledi sé e del proprio polmone accostato,del primo confine del proprio corpol’altro corpoe tenerlo a sé,tirarlo come da un altro capo, imbandireuna città di benvenuto.Tutto chiude, l’abbraccio«chiuditi attorno», dice«atterra dentro quel che sono»sembra dire ed invitare.Poi, invece, basti pensareal ab-braccio - (dal braccio)e che da lui venga qualcosa di continuo,prolunga, passeggio e quasi eternitàlucciola e lanterna per mestiere del dono,faro lungo, faro breve.E allora, forse, si ritorna alla sua casacome una volta che ci manca tanto,così, senza freno e senza progettoall’improvvisocome al principio di tuttoper dire: sono qui.Di nuovo.


La casa dei colombi - 1957


SOLO INEDITID’amoreideale evita(aPiergiorgioWelby)diMauroBarbetti166“Io amo la vita, Presidente. Vita è la donna che tiama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, lapasseggiata notturna con un amico. Vita è anche ladonna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amicoche ti delude. Io non sono né un malinconico né unmaniaco depresso - morire mi fa orrore, purtroppociò che mi è rimasto non è più vita - è solo untestardo e insensato accanimento nel mantenereattive delle funzioni biologiche.”(dalla lettera di Piergiorgio Welby al PresidenteNapolitano)ICerto conta la lesioneil rachide piegatoquel disturbo di trasmissione(non quello che ad altri rovina la giornataper banale assenza di segnale)conta la bocca disarticolataciò che si fa paralisiche si fa trascinaree scollare le piastrellee lo sfintere che cedequando cede (se cede).Pòrtatelo dietrofido al fianconello sfiancarsinell’aggiungersi del pesosvuotalo a intervalliquel sacchetto di pisciopendulo tremulo frenuloe loculo già prima della fine.Come accettare d’accettarsiquando il resto restale barriere le sequelel’occhio clinico d’infermieraquello cinico della gentequasi meglio di pietàquasi meglio di preghierao come accettare l’accettaDamocle e la sua spadaquella che ha già tagliatoquella già calata?


SOLO INEDITID’amoreideale evita(aPiergiorgioWelby)diMauroBarbetti167IICerto conta l’ideail levarsi altopiù leggero di un dio inesistentetu che me lo leggi dalle labbra(quelle che ti baciano ancoraschiudendosi di bava)tu che me lo leggi nello sguardonel lieve moto d’unghiaciò che resta oradell’uomo che io erodel niente che saròIIIMa non ci aiuta il non pensarel’istinto d’animalelo scatto della zampain tutta l’estensioneche solo l’altra sfiorainsegue e bramaper sempre presia numero casisticadato di statisticaresi semplice tasselloconsumatori elettoribestie da macelloIVIl rarefarsi della carnece n’è sempre menostretta attorno all’ossolo sfarsi di una forma-pensieroavvizzita come uva passao glassa di feste passatelassa come bicipitedi vecchio Ulissee neanche un arcoa tendersi colpiresolo volontà nettaa orientarsi.Sei sempre stata tuil mio Argola mia saetta


SOLO INEDITID’amoreideale evita(aPiergiorgioWelby)diMauroBarbetti168VIl passaggio d’inerziada una fibra all’altraa dirti di giornidel su e giù degli altridell’attesadei disordini in piazzadi debito pubblico e spesad’altra stanza e altra scenasempre altra per chi passada una sequenza all’altraincollato al fondo schienaMa ho la vita di tuttiabbiamo la vita di tuttiavremo sempre la responsabilitàper la vita di tuttiVIAffidarsi al cerottoal bostik allo stuccoall’inutile cura del rammendopensando possibile posporrel’incurvatura che fa il tempol’intacco all’intonacolo scacco a fine di partitaIl trucco che non duraogni distacco e dipartitao l’intoppo nel lavabodopo l’ennesima stura.Tutto un modo provvisoriodi esentarsi oggi dal pedaggiodal passaggio ad altra spondadallo snodo del chiedersie l’illusorio che un dio rispondaVIINon dirmiche altri possono imporre leggiche alla mia carneprescrivono prevedono prenotanoil letto d’ospedaleil buco alla trachealo strapparmi a forza al comal’idea di durarecome dura bestia da somal’oscillare tra il qui e un dovetanto lontano saitanto agognato


SOLO INEDITID’amoreideale evita(aPiergiorgioWelby)diMauroBarbetti169VIIIEri e seia te m’annodala vena al braccioche ti preme contro a seralo sfilaccio d'affettoche lieve approdasebbene ancora insiemeai silenzi riservatidi paludi stigiePresenza è la morteche vige spessoin un confronto privatoove non può toglierciche un acconto di tempo oltresrotolato a definirsi altrovenon il già realizzatociò che si porta a resocontoIXqual è il tuo nomela tua saggezzala tua misericordiaquali sono le immaginiin cui immaginartise non chiodo legno e sofferenzaciò che era d’uomociò che da uomoha discendenzaciò che poteva essere segnoterra comune esperienzaXQuel piano inclinatoa franareche non maniné unghie sottraggonoalle leggi del caderein un sottoche non sappiamodi piuma o di pugnale.Tanto bastaa serrarci gli occhinell’opposizionenel non scrutaredove se andavano tuttiquando qui si preparavaun funerale


SOLO INEDITID’amoreideale evita(aPiergiorgioWelby)diMauroBarbetti170XIDolerti di un istantee non del fatto che passie cambi di poco il cielocome fosse nullacome forma dietro un veloma che si leghi ad altria cambiartele allorarughe e linee di fortuna.È l’addizione che contain questa legge matematicache non t’insegnano a scuola.E scusami.Se ogni tanto parlo di morteamando la vita.Perché quando sarànon riuscirò piùa parlarneche quando saràriguarderà altri il ricordareil non dire dicendo.XIIAcquitrinidepositi di melma e zanzareil fastidio dei depostidei guasti a fondoper troppo piovereo per troppo caloreper troppo comunquecome quel troppo amareche si svita come un tappo.O come il troppo distaccoche ti si è avvitato dentro.XIIIOgnuno in séè dato fisicoperfettamente a scadenza.Dell’oggic’è la data impressail crono del momentola stessa temperatura esternae un dromo di cieloin uguale movimento.Ti distingui soloper l’uso che ne faidi piedi mani e testada chi troverai lungo la percorrenzada cosa indirizzerà il tuo passodai conci portati dai muri erettidalle risposte che ti daiper trovare sensoal non senso di morire


SOLO INEDITID’amoreideale evita(aPiergiorgioWelby)diMauroBarbetti171XIVDella stessa mortedelle bestie senza nomedella stessa sorteche non risparmiai corpi dal di dentronel decomporsinello scomporsinel porsi nudidavanti e di dietrola stessa anomiadentro le labbrae scarna anatomiad'ossa corrose e spolpateda una sorta di lebbra.XVMedicoaspetto.E se è meglioquanto sarà meglioe se è peggioquanto sarà peggio?Decido iola verifica l’analisi il metrola pioggia che scenderà dal vetrocosa buttare o conservareil giorno il calendarioil sudario lo sfondochi mi resta accantomentre vado e dissentochi accompagna il cantoa ciò che nego o consentoe un flusso di tempo lentodi liquido allontanamentoche ora m’inacquae che assecondo


SOLO INEDITIMauroBarbettiÈ nato nel 1960.Vive ad Osimo (AN) dove insegna inglese nella scuola primaria.Si è avvicinato giovanissimo alla letteratura e i suoi primi approcci con la scrittura risalgono agli annidel liceo; anni in cui, tra l’altro, componeva e suonava in alcune band del capoluogo marchigiano.La sua frequentazione assidua ed attiva dell’arte letteraria è proseguita fino alla soglia deitrent’anni. Socio del Circolo Culturale “Carlo Antognini”, ebbe modo di conoscere personalmenteFranco Scataglini - rimanendone chiaramente affascinato - quando questi teneva un laboratorio dipoesia presso l’omonima associazione.Per quasi vent’anni, fino al 2008, la vita lo ha portato ad allontanarsi dalla pratica della letteratura.Ha quindi, solo di recente, ripreso a scrivere, a seguire gli incontri del gruppo “Licenze Poetiche” diMacerata e a partecipare, ottenendo risultati davvero lusinghieri, a diversi ed importanti premiletterari nazionali di poesia e narrativa.172Suoi lavori sono apparsi sui siti larecherche.it e scripta-volant.org.Ha pubblicato, in ebook, la silloge Primizie ed altro (La Scuola di Pitagora editrice, Napoli, 2011) e hain preparazione un nuova raccolta di versi.


SOLO INEDITIDaBagnantidiRenataMorresi1731Non credo che siamo esseri separati, soli.Bagnanti[…]* * **in estinzione ma all'albarisaliti gli ultimi stolidiesemplarisulle sabbie non passima strusci di calli nudigraffiati dallo stesso versocome pelli -partoriranno tuttianche i vecchiV. Woolf, Le ondefuori l'anno agosto,preceduto dal lavorio di un secolodi mesila cronaca ufficiale lo annunciafino a che decade, restala bouganvilla rossaintrecciala stagione totale[…]**dalle rocce dai picchi sulle acque gli iddiivedrebbero popoli morbidi lentissimifondersi agli anemoni polipi i tantipiedi avvinghiati agli scoglistaccarsi, larve sbocciarein azzurridagli astri, gli stessicontinuamente fossili


SOLO INEDITIDaBagnantidiRenataMorresi174[…]un capello dopo l'altros'illumineranno tuttidell'ora del giorno ofelia,lenta, quasi ferma etremante immensa,nell'acqua oro-azzurrain piena luce, in piena etàin più fredda correntetutto questo vedremolo vedremo semprecon respiro regolarecol lamento del cetaceocon la bocca che s'inondapoco sotto superficieed un poco sotto ancoralo sguardo che si colma,torna tremore*[…]tutto questo accade insiemetutti insieme tutto in unavolta sola mai decisasempre uguale ripetutaposa ciclica di scheletri silicele metafore specifichefatte al tempo delle visite.*E alle sette: si chiude -tornano le tartarughe.[…]ufficio degli scomparsiampio mar mediterraneoognuno coi suoi vivi e i suoi mortiopachi e momentaneiper un attimo evidente il profiloè lo stesso, il tempo fa mezzocerchio -*


SOLO INEDITIDaBagnantidiRenataMorresi175AeroportoCamminando abbastanza sulle mie rotelle esatteentro nell'atrio bianco che precede le partenzegrande edificio di bianco e di vetro, esattii negozi coi ricordi dispiegati fatti ad arteesatta la distanza dello stare in file.Parlo col compagno che accompagna nulladi importante deglutisco per la nausea regolaredel risveglio troppo presto, la posa imperituradella donna dietro il banco in una voltaperfetta del braccio invita all'ora dell'imbarcoalle uscite, la voce nitida la schiena drittascala di chiesa con cavallo morto.Compiamo il saluto preciso girati di frontelontani in progressione dal punto in cuieravamo, salutando sulla strada della portagirevole si gira una volta per non perdereequilibrio si gira muovendo le labbra in ciaomuto saluto con la mano con un segno comechi pulisce il vetro la mente di vetro ulnache oscilla a tempo col piede faperno gira con la gente è andato.Rimango sola insieme agli altri soli o insiemesimili per carichi di borse numeri di mani tersiscivoliamo come tuniche tra il giornalaio e il bartra pannelli bianchi e vetri e copertine libridai colori giusti le etichette precise di bottiglieche imbottigliano per bene e capelli variabilimesse in piega che ondeggiano ai dlin-dlon.Facciamo fusa intelligenti transluciamoglitterati ai paviglioni i sé passivi palpitandoal fantastico design dello sfiorarsiextra-lusso riaggiornato ad ogni passo.Raffinata indipendenza dimostriamonel vagliare alternative proiettandodimensioni della scelta incoraggiandonela gamma interiormente consapevolidell'ammazzare il tempo simuliamotanta fede illimitata nel buon tavor o nei tipicitremila e passa anni di Hapshepsut.Consoleremo. Gustando il caffè in piediil tappeto di parole dei presenti la lentezzadel processo quando aumenti la varianzala piramide di acquisti fino al premiosai la Claudia al matrimonio con quel gestoio ti dico ho sei monitor giù in studiosu Milano su Milano fai diciotto barra ventiin maniera spassionata è un approcciodi notevole rilievo paesaggisticotu per caso sei già a casa? Pirlo giocae riguardo il generale quadro clinicoservirebbero più voli verso Monaco.Non avere mai più fame col ferminodelle nove e andare in bagno dove trovialtra attesa di persone di varia dimensionesignore sempre alte bambine sempre biondevecchine dalla tale e tale storia.Vago odore di ciclo anticipato papillomainterno singolare. Così che tutti insieme


SOLO INEDITIDaBagnantidiRenataMorresi176sembra quasi ci spostiamo andandoa tempo chierichetti ben disposti pastorellidel presepe pasteggiando un certo numerodi paste sorseggiando un certo numero di sorsidisponendoci in file in gruppetti spirali di treo di sette continue in rispetto dei rapporti.Rumore di passaporti aperti e leggera correnteprodotta dallo sfilare e infilare i cappottiincrociare le gambe cogli inguini strusciantisul nylon delle calze passare rapide le ditascostando labbra piccole da labbra grandipassando mani mediamente esposte di salivain vaghe simili capigliature di colori caldio freddi di lunghezze simili corposi variloop frasali indimostrabili ronzanti similiore di cuscini modellati simili di unghie dilacrime scese in simili centimetri su guancesimili distanze tra gli occhi e la schienache diminuisce, simili la notte, che rallenta.Nella folla mi pare di vedere il mio amicoStelvio che sbraccia e s'arrabbia la mia amicaAlessia coi figli presi in braccio come librile facce e i tanti occhi degli amicialcuni vigili ed ansiosi ma non sannoa chi parlare, che vorrebbero fumare e fino in fondoaltri che raccontano le loro cose loro fatte benee passano distratti tra i fasci della luce e le ombredi colonne con la luce che li bacia e li rilucee l'ombra che riposa i loro corpi in una amàcadi non luce, oh. Quiete. Non sono loro.Dalla sala d'attesa non si vede il volo.Si coglie sul retro l'area presidiatail parcheggio accanto al campodi carrube lo stradino verso gli altri seminati.L'edificio degli arrivi è verso ovest noi partentivoleremo verso il mare sfioreremo ciminiereed apparati i forni e gli opifici i folli mastodonticigli etruschi incomprensibili. Nulla di questoha fine nello sguardo. Vegetali affondanoin direzioni invisibili gli aerei si gettanooltre i lati percepiti, fumi e catrami in traccenell'ossigeno sono un poco fuori e dentroappena al nostro rituale. Aspettare.In coda per entrare dondoliamole prolisse identità a tracollacon il peso sull'una o l'altra gamba siamoritagli di volumi di un uomo ed una donnale forme del loro intervallo. Avviserannoche spegniamo i cellulari ci spoglierannocontrolleranno che portiamo solo carnesotto stoffe o altre guaine e nel bagagliovietati gli acidi e le armi, i tagliaunghie.


SOLO INEDITIDaBagnanti2[…]*diRenataMorresi177Vendesiquelli che ci composero otterranno spaziolentamente ce li rivedremo ridendo attraverso noinoi nella nostra magnifica sentenza di luceP. Vicinelli, Non sempre ricordanoVia dei Velini* * *Da finestra in cucina una rivenditad'automobili con un prefabbricatodi lamiera che sorveglia sulla vistarinculando fino in bagno cieco stanzeripetute a caso ripostigli d'altrecase gli agenti dicono «non badareai letti» letti ovunque sotto le retiil pudore degli infradito appaiati.*ColleverdeAll'ultimo piano 3 vani 2 bagnisoggiorno ampio con angolo cotturapanorama sulla valle momentaneasospensione degli allacci possibilericavare altra stanza-studio pocorumore dagli appartamenti - ma nonon m'oriento troppo vuoto troppo nordun vento che il muro non sa confinare.[…]Zona San FrancescoLa signora Perugini col sorrisonella porta apre mescolando il gestoal corridoio come quando allungail tavolo da pranzo ai quattro figliritratti in cornici blu e gialle e mattonecongiungendo il braccio e la stanza in fondocome una costellazione o un lenzuoloricucito come un palazzo disteso.*


SOLO INEDITIDaBagnantidiRenataMorresi178[…]FrancoSono cinque anni che abito quiè da cinque anni che mi telefonano:c'è Franchino vorrei parlare con Francoma Franco non le ha detto dove possorintracciarlo mi aiuti a trovare Franchiche l'avranno trasferito? - come faccioa saperlo? come hanno fatto a perdersi?chi sono? dove son stati cinque anni?[…]Lontano parenteQuesta volta aveva un accento e non erasolo l'accento della lingua spagnolacercava Franco come cercando diosenza rimedio con la voce che tremacome fosse la prima oltre oceanoa cercare un accento uguale di storiauna voce che sbriciola come certifossili d'un tratto raggiunti dall'aria.**Trenitalia[…]«buon inizio di una vita nuova, ci vuole»«all'età tua, non la miaquesto doveva avvenireanni fa»*ascolta e si alza a guardarlii due personaggi del mondoalla prima di questo discorso(si muovono a milleseicento chilometri all'orain tondo, se escludi la Via lattea, le placchee tutto quel che muove)si siede, trasognasta sempre iniziandosempre ne è ladrao dormiente«acqua, aranciata, caffè»ognuno ti tocca del tuttonella propria mancanzaognuno da un’unica polla


SOLO INEDITIDaBagnantidiRenataMorresi179di aria ti invitanella sua stella nana«può aiutarmicon la valigia?»la giornata del suono nel trenogiunge come un codice sumero,un sonar ingenuo dalla placental'eco nella conca fattada ragazzi, uno per unogli operai nella cisterna«era un lavoro,lavoro a cottimouna giornataper ognuno»la giornata che non si èandati a scuola, la giornatanon finita, che pensa ancorad'altalenala giornata passata sul fiume umbroMenotreuna vita di naenide trascorsaa indagarne la pronunciaal lato della giornata, osservandocicome pianteoscillando tra brame da ex-borghesie il sublime di un passantesoffione«hai visto che gambe?»«dove andrà? dove sarà stata?»la preistoria della giornatail suo atlante-ombra


SOLO INEDITIRenataMorresi È nata nel 1972.Insegna presso le Università di Macerata e Padova, traduce e fa ricerca, si occupa di critica culturale epoesia.Ha scritto vari saggi e traduzioni nell’ambito della letteratura anglo-americana e nel 2007 hapubblicato la sua prima monografia critica, sulla poetessa e attivista inglese Nancy Cunard.Sue poesie sono incluse in varie antologie e riviste, cartacee e on-line, tra cui ricordiamo Calpestarel’oblio, a cura di Davide Nota e Fabio Orecchini (La Gru, Ascoli Piceno, 2010); Registro di poesia #2, acura di Gabriele Frasca (d’if, Napoli, 2009); L’opera continua, a cura di Giampaolo Vincenzi (GiulioPerrone Editore, Roma, 2005); Nodo sottile 4, a cura di Vittorio Biagini e Andrea Sirotti (Crocetti,Milano, 2004).È redattrice dei blog letterari “La poesia e lo spirito”, “Absoluteville” e “Punto critico”.180ViveDal 2001 collabora alla realizzazione della rassegna di poesia “Licenze Poetiche”, insieme all’omonimaassociazione culturale.Cuore comune (peQuod, Ancona, 2010) è la sua opera prima in versi, mentre Bagnanti, silloge dipoesie dalla quale è tratta la selezione di testi qui presentata, è di prossima pubblicazione pressoGiulio Perrone Editore.a Macerata con suo figlio.


Collage Giuseppe UngarettiCasa miaSorpresadopo tantod'un amoreCredevo di averlo sparpagliatoper il mondoSoldatiSi sta comed'autunnosugli alberile foglieM'illuminod'immensocon un brevemoto di sguardiIl porto sepoltoMariano il 29 giugno 1916.181Vi arriva il poetaE poi torna alla luce con i suoi cantiE li disperdeDi questa poesiaMi restaQuel nullaDi inesauribile segreto.


ARCIPELAGO itaca prima apparizione. Giovanni Commare su Gianfranco Ciabatti, Adriàn Bravi, Maria Lenti,Nicola Romano e Norma Stramucci. Collage Dino Campana. Riproduzioni di opere di Giorgio Bertelli e LorenzaAlba.ARCIPELAGO itaca seconda apparizione. Danilo Mandolini su Attilio Zanichelli, Lucetta Frisa, Ivano Mugnaini,Adelelmo Ruggieri e Luigi Socci. Collage Guido Gozzano. Riproduzioni di immagini di Michele Rogani e diun’opera di Pietro Spica.ARCIPELAGO itaca terza apparizione. Contributi da interventi di Maria Lenti e Gianfranco Lauretano suTolmino Baldassari, Danilo Mandolini su Renata Morresi, Maria Grazia Calandrone, Mauro Ferrari, DanieleGarbuglia e Massimo Morasso. Inediti di Enzo Filosa. Collage Vladimir Majakovskij. Riproduzioni di opere diSilvana Russo e Lucia Marcucci.ARCIPELAGO itaca quarta apparizione. Un ricordo di Leonardo Mancino (con un testo inedito di BiagioBalistreri), Danilo Mandolini su Anna Elisa De Gregorio, Gianni Caccia, Massimo Gezzi, Franca Mancinelli,Liliana Ugolini. Inediti di Marina Pizzi. Collage Charles Baudelaire. Riproduzioni di opere di Enzo Esposito,Giovanna Ugolini, Cosimo Budetta, Alfredo Malferrari e Giordano Perelli.ARCIPELAGO itaca quinta apparizione. Un ricordo di Alfonso Gatto (con un saggio di Laura Pesola), RossellaMaiore Tamponi (con note di Francesco Scaramozzino e Giorgio Linguaglossa), Linnio Accorroni (con note diDanilo Mandolini e Adelelmo Ruggieri), Manuel Cohen (con una nota di Danilo Mandolini), Enrico De Lea,Evelina De Signoribus, Stelvio Di Spigno ed Eva Taylor. Collage Cesare Pavese. Riproduzioni di immagini diSauro Marini e di un’opera di Adriano Spatola.


ARCIPELAGO itaca sesta apparizione. Un brano dal discorso di Eugenio Montale pronunciato in occasionedell’assegnazione del Premio Nobel per la letteratura del 1975, un ricordo di Ferruccio Benzoni (con un articolodi Francesco Magnani, un’intervista all’autore a cura di Gabriele Zani e una poesia di Francesco Scarabicchi),Cristina Babino (con una nota di Danilo Mandolini), Francesco Accattoli, Guglielmo Peralta e Lucilio Santoni.Inediti di Narda Fattori. Collage Arthur Rimbaud. Riproduzioni di opere di Agostino Perrini e di Emilio Tadini.Commento all’opera di Agostino Perrini a cura di Marco Frusca.ARCIPELAGO itaca settima apparizione. Un ricordo di Giovanni Giudici (con brani da una nota commemorativadi Goffredo Fofi), Alessandro Moscè (con una nota di Danilo Mandolini), Marco Ercolani, Fabio Franzin,Mariangela Guàtteri e Annalisa Teodorani. Inedito di Giovanni Commare. Collage William Butler Yeats.Riproduzioni di immagini di Mario Giacomelli.ARCIPELAGO itaca ottava apparizione. Un ricordo di Claudia Ruggeri (con un saggio di Stelvio Di Spigno),Alessandra Cava e Natalia Paci (con note di Danilo Mandolini), Patrizia Cavalli, Gian Maria Annovi, LucaAriano e Anna Ruotolo. Inediti di Mauro Barbetti e Renata Morresi. Collage Giuseppe Ungaretti. Riproduzionidi opere di Luigi Bartolini.Per effettuare il download delle ultime apparizioni di ARCIPELAGO itaca: www.arcipelagoitaca.it/download.Per ricevere, a ½ e-mail, tutte le apparizioni di ARCIPELAGO itaca, inoltrare relativa richiesta ainfo@arcipelagoitaca.it.


Quando ti metterai in viaggio per <strong>Itaca</strong>devi augurarti che la strada sia lungafertile in avventure e in esperienze.Costantino Kavafis, <strong>Itaca</strong>


La piccola immagine in basso a destra nella seconda di copertina e in alto a sinistra nella terza di copertina raffigura lasagoma dell’isola di <strong>Itaca</strong>.UngarettiBartoliniMorresiBarbettiRuggeriMandoliniDi SpignoCavaCavalliPaciRuotoloAnnoviArianoARCIPELAGO itaca: Danilo Mandolini - Via Mons. D. Brizi, 4 - 60027 Osimo (AN).www.arcipelagoitaca.itinfo@arcipelagoitaca.it

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