La poesia di Claudia Ruggeri: fuoco, vetta e caduta…e non si vota il vasoceleste non si consuma il pesce per il bandoloamaranto in questa vasca dove la mentenuota; navigaentro la piena: là, la serena, disaminataimmersa, esplicita luna. [6]Dottrina poetica, materiali televisivi di scarto, tentazione informale e strabordanza associativa, citazionismo polimorfoe fermenti iperletterari: non si vedeva niente di simile dai tempi del miglior Zanzotto, che pure è passato dallapolverizzazione normativa della Beltà, alla quasi cavillosa stabilizzazione del Galateo in bosco, fino al recupero di unaverginità della parola nel suo ultimo libro notevole, lo struggente Idioma del 1986. In genere, simili paragoni vengonostigmatizzati. Qui il paragone, ancorché sibillino e quasi sussurrato, sembra quasi doveroso. Almeno in chiave di ereditàprovocatoriamente compromissorie. Dal Montello al Salento, attraverso talenti linguistici di questa portata, il passo nonè poi così lungo.2. Inferno minore: Matti, visioni e furori.La vicenda di Inferno minore, attorno alla quale ruota sia la poesia precedente che i tentativi di quella successiva, leembrionali Pagine del travaso, si determina attorno a una consapevolezza espressiva che non solo stupisce perprecocità, ma che permette una tale proliferazione di funzioni testuali da restare interdetti. L’unica opera compiuta diClaudia Ruggeri rischia di essere, e in alcuni tratti lo è, una sorta di capolavoro illeggibile, almeno al primo approccio. Illettore consegue subito la sensazione di una poesia anomala, vertiginosa, lontana da ogni calligrafismo frequente nellagiovane (e non) poesia coeva. Ma rimane irretito e intimidito dai dati psichicamente disturbanti che in questi versiscorrono a iosa. La spiegazione, forse l’unica possibile, sta nel fatto che la Ruggeri tocca uno dei tabù dell’arte e dellapoesia moderna: la sua pagina è perturbante, anarchica, annichilente. Possiamo preservarci da essa soltanto attraversoil paradosso e la congettura che essa non entrerà mai a far parte in pieno della nostra esistenza, molto piùconfortevole, a meno che non ci nutriamo di essa per qualche scopo diverso dalla semplice informazione. Dovròricorrere, a questo punto, ad alcune illuminanti pagine di Edgar Wind, che meglio di tutti ha saputo collegare leconseguenze dell’anarchia dell’arte con le premesse naturali che le determinano: “L’arte è - abbiamo il coraggio diammetterlo - una faccenda scomoda, e scomoda soprattutto per l’artista stesso. Le forze dell’immaginazione, dallequali egli trae il suo vigore, possiedono una loro energia, dirompente e capricciosa, che l’artista deve saperamministrare con prudenza. Se egli concede troppa libertà alla sua immaginazione, essa può sfrenarsi e distruggere luiClaudiaRuggeri[6] Canzone allaluna, in C. Ruggeri,cit., p. 77.8
La poesia di Claudia Ruggeri: fuoco, vetta e cadutae la sua opera, per eccesso. «La passione frenetica dell’arte» scrisse Baudelaire «è un cancro che divora tutto il resto».D’altro canto, se egli tormenta il proprio genio, costringendolo a una disciplina sbagliata, […] l’immaginazione puòinaridirsi e atrofizzarsi.” [7]Ricorrendo più volte all’autorità di Platone, Wind aggiunge: “[…] possiamo imparare molto da Platone, se osserviamo[…] la procedura che egli consiglia allo Stato ideale, ogni volta che deve bandire ufficialmente un poeta pericoloso. «Seun tale uomo» scrive «viene da noi per mostrarci la sua arte, ci metteremo in ginocchio davanti a lui, come davanti a unessere raro e santo e dilettevole»; ma non gli permetteremo di rimanere tra noi. «L’ungeremo con la mirra e gliporremo un serto di lana sulla testa, e lo manderemo via, in un’altra città». […] Platone capiva ciò che pochi sembranocapire oggi, cioè che l’artista veramente pericoloso è il grande artista: «un essere raro e dilettevole». Platone credeva -e lo disse chiaramente - che il grande male «scaturisce da pienezza di natura [corsivo mio]», piuttosto che dadeficienza: «invece, le nature deboli sono difficilmente capaci di molto bene o di molto male».” [8]Come per i grandi scultori, artisti e poeti di ogni età, ai quali Wind farà riferimento nelle conversazioni di Arte eanarchia, anche per la poesia odierna è possibile applicare almeno due dei suoi concetti topici, a patto di attualizzarliun poco. Il grande artista anarchico e perturbante non viene bandito da una ideale repubblica platonica. Vienesemplicemente rimosso dalla memoria culturale collettiva confinandolo nell’oblio, cancellandolo, negandogli lavisibilità meritata. Verrà magari riesumato criticamente decenni dopo, quando il suo dettato sarà diventato un prodottostorico, una norma di contraccambio, un oggetto di studio sezionabile e asettico: quando avrà perduto, insomma, ognisua caratteristica spaventosa e incomprensibile. Quanto alla «pienezza di natura», capace nell’arte come in ogni altroambito delle opere umane di «molto bene o di molto male», essa può agevolmente essere sminuita e declassata asemplice bizzarria, insensatezza, persino malanno individuale, confondendola con la massa di altre scritturelontanamente assimilabili, o più semplicemente con il resto della massa di produzioni letterarie che proliferanosmodatamente dall’epoca dell’alfabetizzazione di massa. Queste azioni implicano un grado di acidità e malafededifficilmente perdonabile. Ma con chi può fare ombra a molti, sono in pochi a voler fare i conti.Se ci soffermiamo un attimo su questa situazione, non è difficile osservare che questo trattamento è stato riservatoanche alla poesia della Ruggeri: forse non in maniera così drastica e maligna, ma per semplice distrazione e scarsavolontà di confronto con l’inomologabile. O forse perché, più semplicemente, la Ruggeri non faceva gruppo, non sipubblicizzava, è morta troppo presto e troppo in periferia. Inferno minore contiene al suo interno tutte le facoltà diperturbamento e tutta l’efficace anarchia verbale che serve a un opera per essere ignorata volutamente o disprezzatacome prodotto di una mente viziata. Il lavoro maggiore della Ruggeri è strutturato in modo ambiguo: solo tre sezioniche agglutinano il lettore alla sua presunta brevità. Nella prima, domina e si scatena uno degli auto-miti più icasticidell’opera, il «Matto», la cui lettera maiuscola modella il protagonismo della figura insieme alla sua imponderabilità eClaudiaRuggeri[7] E. Wind, Arte eanarchia, trad. it. J.R. Wilcock, Adelphi,Milano 1997, p. 18.[8] Ivi, p. 21. Le noterelativealla Repubblica diPlatone riportate neltesto, sonorintracciabilinell’accurata sezionedi «Note eriferimentibibliografici», in E.Wind, cit., pp. 133-214 [p. 139].9