Su Secondi luceporta dietro: «Qui la tensione va tutta al risveglio delle cose, che acquistano un nome e che quindi possono parlarci ad occhi aperti, in pienafiducia». Dare un nome alle cose che si accampano nelle bolle di eterno, che si creano uno spazio nello spazio tutto lieve del tempo, questo è ilcompito della scrittura o meglio della mèta-scrittura - perché quando si scrive si finisce sempre per scrivere sul perché si scrive - di AnnaRuotolo, un percorso che compie colloquiando, non a caso, con i mostri sacri della poesia contemporanea - come sempre i bravi poeti sannofare. E non solo Sereni, citato in prefazione, ma anche - più o meno nascosti - i vari: Luzi (il semantema della barca, ad esempio, fino allacitazione in toto: «aspetta una barca che dondola», pag 34); Caproni (si veda l'incipit della poesia pag 52: «Animula»); e ancora Milo De Angelis(cfr: millimetralmente, pag. 18), e Giudici, Montale, Bertolucci etc.Un confronto combattuto ad armi pari, se questi debiti letterari si stemperano in un verseggiare tutto autonomo e originale. Abbiamo bisognodi certe guide, sembra ricordarci Anna, come a loro volta ne ebbero. Ecco perché la poesia di Anna non è frutto di un facile mimetismo. Unaraccolta però mi sembra, in qualche modo, essere molto affine a Secondi Luce di Anna Ruotolo, si tratta di Quaderno Gotico, di Mario Luzi,perché anche lei, in questa sua prima opera, e speriamo davvero: prima di una lunga serie, è ancora disincantatamente convinta che, di frontea ogni pagina bianca, sta per compiersi, inaspettato ma sempre latentemente atteso, un avvento, una rivelazione: «Che rientri da questa terra/ per i segreti delle porte / che quasi mi dormi accanto / è scritto nel rumore della pioggia / nel tremito aguzzo delle acque //». (dal titolonon casuale di anghelos; pag 33).Alessio Alessandrini, in http://www.lietocolle.info/it/a_alessandrini_su_ruotolo.html* * *[…] In questo spavaldo, sorprendente libriccino d’esordio, la Ruotolo lascia ai margini la narrazione, affidandosi a una modalità di scrittura chemi sembra abbia un carattere simile, piuttosto, a quello dell’annotazione. Procede lungo stazioni tematiche a trama minuta, basata suesperienze vissute, accidenti, riferimenti emotivi. Non c’è traccia di filosofia, nel suo alfabeto fantastico, né ingombro di strutturazioneintellettuale, ma il darsi di un processo metonimico che verso dopo verso squaderna il diario di bordo di un viaggio intrapsichico coagulato inpiccole, preziose epifanie, spesso d’amore, o di mal d’amore perfino… Tanto da lasciare l’impressione che l’io lirico dolorosamente a zonzo perle sue terre di mezzo voglia continuare ogni volta daccapo ad alludere a un centro emozionale stabile, a un porto sepolto in lontananze sideralie, tuttavia, sentite come prossime nell’incandescenza della mente che le evoca. Pur giovanissima, la Ruotolo ha già capito che nel rendicontodella poesia non c’è salvezza. La stessa linea che in Sereni, Bertolucci, Luzi e nel miglior Montale (i “maestri” citati, con Ivano Fossati, all’iniziodelle quattro sezioni in rigorosa struttura settenaria che compongono la raccolta, prefata con acume da Elio Grasso) segnava, nella forma, l’ideadi una resistenza al disincanto del mondo, qui si declina in una singolare vocazione atta a circoscrivere un residuo, personalissimo insieme dimondo. Circostanza che trova precisa corrispondenza testuale nel desiderio di preservare, di difendere, di far risaltare ciò che è (stato) piùimportante per l’anima, ciò che le è più vicino e che la chiama, sia esso un ricordo, un elemento astratto oppure una cosa, o, addirittura, con un“correlativo oggettivo”, shifter materiale di un’assenza che è “ontologica”, direi, esattamente per quanto è “esistenziale”. A onore dellapoetessa, e della qualità del suo talento (forse) inconsapevolmente mistico, va sottolineato come la Ruotolo sappia resistere quasi dappertuttoalla fascinazione del poetico. In effetti, non ogni poeta bravo, intorno ai suoi venticinque anni d’età, ha intelligenza del reale sufficiente persfuggire, parlando di sé, alla tracotanza che spinge a credere che i propri segni siano più di segni, senza per ciò stesso abiurare al suo mandato…Ma il fatto è che in Secondi luce l’io poetante parla posseduto dall’aura di un istante propizio che apre a una via autorelativa tutt’altro chesemplice, com’è o deve essere, nei più meditanti, il gesto che parte dal mondo per trascenderlo e ricondursi nuovamente a esso.Massimo Morasso, in “Poesia”, n.266, dicembre 2011AnnaRuotolo144
Dall’antologia Quattro giovin/astriAnnaRuotolo145Da Dialoghi da MoleskineIDopo il tuo lavoro passi sempre qui,alto, alto sali tra i muriscendi latte di montagnerimpicciolisci per raggiungermidalle finestre, dai condotti sublunari.- Ebbene, che vedi fuoriprima di entrare?- Saranno anni che gli uccellifanno la loro ronda familiaree le luci muoiono nello stomacogrande e fumoso dei bar- Salta il racconto, va’ avanti- Che due o tre giovanidalle calze brune hannoprovato a salutare.- E poi? - dico per spazientirlo -- E poi finisce che vengada te per costruire questa stanzae le risposte e la vita tuttache ti accendono la forza di sempre,sempre nascono sul disco del mondo.IIEntreremo spalla a spallacoi piedi senza rumorinella scatola magica dell’ascensoreti chiedo il nome, poi la dimoracosa farai di buono prima di dormirepoi tocca a te- Facciamo un po’ per uno - ho detto -Mi chiedi:- È già sera? -poi se e quanto manca all’arrivo(hai detto se, mi commuove l’invitoper l’eternità che viene via dal tuo viso)e quanto ancora al momento in cuidivideremo la stradatu a destraio a sinistra,tutta l’apparizione fermanella testa, nel miracolodi un giorno cittadinoal numero ventisei,rapide cascate sotto le scarpeannunci, coleotteri per la vial’attesa della fine, la fine dell’iniziodi fronte al Caffè della Fontana.