Piccola antologia della critica sull’opera più recentedel tu cui l’io si rivolge, qualcosa non torna rispetto alla perdita di sé: qui semmai è una parola plurima che prende voce e forma nel corpokamikazeo nel corpo-ostaggio, nella lingua-protesi o lingua-tatuaggio o lingua-malanno, come nella parola-cecchino, «imbottita di chiodi etritolo».Non muore, quella parola, ma “tramortisce”, carica della densità della storia: quella della poesia, intanto, con le risonanze tonali di una Rosselliche si ritrova appieno nella contrazione e deformazione del lessico, inteso a “contare feriti” («(tutto il mondo è bombato)» - scrive Annovi); o diuno Zanzotto alla ricerca, in Vocativo, dei modi di parlare in quella lingua “che passerà” («io dico a te/ in questa lingua che non riconosci»,scrive Annovi; e ancora: «parla la lingua che non conosci / che non comprendi ma ha / senso»); o di un Porta, cui si richiama la forza materica,coriacea, degli ibridismi e del corpo a corpo con la parola; e poi le suggestioni di Brecht, di Celan soprattutto.Ma c’è, assieme, la storia, quella dei fatti che ci coinvolgono tutti: l’assassinio di Carlo Giuliani, rievocato in versi di commosso, fermo nitore inGenova, 2001 («e il pensiero si stacca dal cranio / ti intaglia una stella tra / i capelli»), o la denuncia indignata, senza alcuno sconto di densità, ditorsione linguistica, dell’abisso di immoralità in cui ci si trova precipitati in una stagione buia, “noi”, proprio, che qui siamo chiamati ariprendere voce, ad uno ad uno, assieme: «torneremo a chiedere il conto / persona secondo persona / al tetro stivale che ci scalcia». Scrivemolto bene Antonella Anedda, accompagnando il libro di Annovi: c’è contrasto sempre, nel suo lavoro, «tra un tono basso, mai gridato, e lanudità abbagliante delle immagini».Che da qui scaturisca la “verità”? Dal coraggio di puntare la parola sul presente, dall’accortezza di riconoscere ciò che non è menzogna,dall’arte di fare della parola un’arma maneggevole per penetrare oltre l’arroganza e l’imposizione del silenzio.Niva Lorenzini, in “il manifesto”, 29.10.2010Gian MariaAnnovi* * *Deflagrante è il titolo, Kamikaze: un'immagine che esplode prima ancora dell'apertura del volume e raccoglie sotto la propria incombenzal'insieme dei componimenti, pensati o leggibili come schegge irradiate. Uomini che precipitano / (così inizia un secolo), così inizia una sillogeepica che percorre la svolta epocale degli anni zero.Con acuta lievità Annovi mette in scena le dinamiche trasversali dei conflitti contemporanei, non riducendoli ad un ipostatizzato scontro diciviltà. Se l'11 settembre 2001 è la pietra miliare, la geografia del terrore ha un orizzonte più ampio del raggio strettamente politico: le TwinTowers, la Cecenia, Abu Ghraib e - per inciso - i fatti del G8 di Genova sono soltanto le coordinate più evidenti; schiudendo una contemplazionee una consapevolezza più astratta rispetto ai riferimenti diretti, la ricerca linguistica scava sotto l'etichetta superficiale di “terrorismo”. L'abilitàdell'autore sta nel condurci tra dinamiche di azioni e percezioni, tra scintille di spinte, collisioni, impatti di un generico istinto di morte.L'attentatore si aggira tra le righe come un timer vagante, pura azione pronta ad innescarsi: è l'emblema di una logica fisica, nonnecessariamente razionale e morale, che determina una consequenzialità contraddittoria.Annovi si affida alla parola per risalire alla radice contraddittoria della realtà e la ricerca di senso avviene inseguendo la moltiplicazioneautogenetica del significante, come schegge derivate da uno scatto. Così non perde occasione per agganciare catene allitteranti, nodid'inventiva linguistica e anelli ossimorici; più evidenti emergono le antitesi, le affinità, i cortocircuiti di senso del reale, rappresentato conincisiva potenza immaginativa.Nei singoli anelli, i Kamikaze e le altre persone - l'ostaggio, le vittime, gli spettatori televisivi, i deportati - risultano pedine reciproche, al tempostesso reattive e passive. Viene meno, dunque, ogni interpretazione manichea: anche il kamikaze, evaso dalla foresta / dei frutti assiderati,finisce per essere torturato in gabbia. Ad accomunare vittime e carnefici è uno status esistenziale più opaco ed incerto nel mosaico dellacontemporaneità.92
Piccola antologia della critica sull’opera più recentecontemporaneità. L'attentatore stesso è una persona che atterra, prettamente un corpo reificato, di cui egli in primis si priva (decorparsi) tralacci, cavi e fili elettrici, perseguendo paradossalmente la giusta nozione / di persona per cui si offre come mero strumento materiale. Laspersonalizzazione acquista un quid lirico passando attraverso il filtro di analogie metamorfiche che spesso godono di sollecitazionipolisemantiche: affascinante è l'attentatrice cecena, porcellana / cinese che si frantuma quando sgrava tritolo.All'individuo viene meno il riconoscimento della propria umanità: la persona era quello / che io ti sfasciavo - scrive un io dai confiniaraboisraeliani - quando testavi contro il muro / la tua testarda volontà / di continuarti ed esistere. Nell'attualità di un presente / indicativo distragi, le esistenze dunque non sono. Di conseguenza il presente si appiattisce, accade, trascorrendo velocemente in un passato di cui sismarrisce memoria.A una visione pessimistica della Storia, considerata un moto precipiziale, si contrappone la fiducia nel potere risarcitorio della scrittura: lalingua, che tramortisce ma non muore, sopravvive e restituisce ai cadaveri di tutti i tempi la facoltà di una parola imbottita di chiodi e / tritolo -una parola altrove paragonata a segnali di / luce mossi dal riflesso / delle posate verso chi non risponde / alle pressanti richieste di cibo / delmondo. Qui il suo valore testimoniale e la sua potenza denunciatoria sono pienamente realizzati. La comprensione fa levasull'immedesimazione grazie a una scrittura che scivola tra rapidi dettagli, eppure con brevi tocchi metonimici e visivi è capace di comunicareimmediatamente e concretamente l'atrocità. Il lettore viene inoltre coinvolto in un dialogo serrato, incalzante nel ritmo e negli imperativi, traun io e un tu.Anche nei testi in calce in inglese la cura espressiva è precisa perché, come scrive Annovi in Nota, sono «versione e non traduzione» di suopugno. Alcuni passaggi discostano molto dall'originale: tra tutto il mondo è bombato e the whole mind is mined oppure tra motionless eimmobile la differenza semantica è una sfumatura precisa. Altre volte si tratta di una ricerca di suoni che, per un tessuto verbale più efficace,può condurre anche a immagini diverse (asphalt invece di selciato). Dal confronto emerge senz'altro una chiarificazione: non sicomprenderebbe appieno il significato dell'espressione la lingua che ti riguarda se non si leggesse poi your tongue as it / looks upon you.Ci troviamo dunque di fronte ad una (doppia) prova letteraria di rara levatura, che coniuga impegno etico e originalità stilistica. Uno stacconetto rispetto alla narratività piana di tanta, troppa poesia contemporanea.Silvia De March, di prossima pubblicazione nel n. 271 (settembre-ottobre 2012) de “L’immaginazione”Gian MariaAnnovi93