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Arcipelago Itaca 8

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Su Secondi lucePagnanelli (lo conoscerà Anna?).È in questo spazio magico o bianco, (il bianco è il colore della sospensione, dell'a-temporalità, per eccellenza - a tal proposito si noti comequesto aggettivo cromatico compaia nella raccolta, insieme ai similari: bianchissimo e imbiancato, ben 11 volte), che si affastellano tutti gliaspetti terreni, umani e mortali della vita ma ivi finiscono per trasformarsi, incredibilmente, acquistando una tempra indissolubile ed eterna: sitratti dell'amore, si tratti dell'addio, si tratti del ricordo, si tratti dell'incontro. Il cinema, la libreria Mondadori, il qualcuno delle 00 e 48, il veloda sposa.In questo spazio sublunare, in questo cono d'ombra, in questo sovrassenso o sovraspazio - direbbe Zanzotto - trovano cittadinanza: «La portaaperta a un ponte» (pag 17; verso allitterativo di una maestria e una musicalità invidiabili); il «...centro esatto/della solitudine del mondo»(pag 18); il «...fondale» scelto «per questa sera» (pag 19) e ancora, il «...lato occaso della bocca» (pag 20); la «... striscia/di terra per segnartil'ora della fuga»; il «…momento / che nessuno ha conosciuto» (pag 26); tutti correlativi oggettivi di questa dimensione altra, altéra, tuttaeinsteiniana o bergsoniana. […]Si leggano i versi straordinari di «Si dice che i poeti» con l'incipit rivelatore: «Non è mai bastata la vita...», è questo il punto di partenza delviaggio di Anna Ruotolo, e, per inciso, di qualsiasi poeta. La certezza che la vita non basta, che occorre andare oltre la vita stessa, che il tempo èuna menzogna insufficiente, che occorre andare oltre quel/questo tempo per raggiungere la verità.La verità che sta nella TERRA DI MEZZO, altro titolo emblematico a cui corrisponde la seconda parte della raccolta. Se nelle prime poesiequesto territorio di confine, inesplorato e inesplorabile, questo non-luogo, viene spesso evocato, ma in traluce, a bassa voce, ora essa vieneannunciata o meglio enunciata esplicitamente. Cos'altro non è «La terra di mezzo» se non quella intercapedine sottile tra l'essere e il nonessere, tra lo stare e lo scomparire, tra l'avere corpo e l'assottigliarsi, l'avere il qui e ora e non averlo più? La «Terra di mezzo» è la terra dove siindovina «il guizzo» dei pesci argentei, è il mondo dei «permetti», è il territorio afono e attutito, imbottito di neve, di «certe domeniched'inverno» (pag 33), «Il segno sul sagrato della chiesa». Siamo di fronte a una novella Montale, alla ricerca dell'anello che congiunge? Forse sì,forse no; forse quell'anello Anna già lo possiede, ed è la poesia. È un anello preziosissimo ma facile a sfaldarsi, ce lo confessa candidamente leistessa quando scrive che la poesia è «il luogo più giusto» (pag 39), un luogo che, così come è comparso, può scomparire d'acchito; perché ilrischio più grande di chi scrive - (e questo Anna Ruotolo lo sa bene, ed è un sapere che condivide con tanti altri scrittori, si pensi a Vila Matas,citato prima) - è quello di ritrovarsi con un pugno di mosche tra le mani; è un rischio calcolato scoprire che quel "luogo giusto" risulti essere«un'ora / inconservabile / come la neve» (pag. 40 - e quasi sembra di vederlo quel modernissimo e decadentissimo Leopardi sussurrarlequeste straordinarie parole).Quello che Anna intraprende è un foscoliano viaggio di resistenza al tempo e alla sua assenza, lo fa ricorrendo a immagini che hanno una forzaevocatrice tutta femminile, come dimostrano questi bellissimi versi della lirica di pag. 49: «Vorrei scostarti rondini dagli occhi / in questogiorno di basilica ventosa / averti per un poco, poi mai più. // È come conservare in pancia / tutta la luce a venire / per un chiosco di lucciolenel tempo.»Il cammino intrapreso prosegue «mill'anni», anche nelle successive sezioni, è un cammino fatto di «ottativi» (un uso sconsiderato, tuttogiovanile, - e per questo concesso e apprezzato -, del condizionale ne è la dimostrazione concreta), di desideri e strappi, ricongiungimenti eseparazioni.La recherche (Proustiana?), «voglio solo scoprire se ti va / un limone» (pag.64 - Montaliano?), ha come fine ultimo quello di dare un nome allecose, o almeno il tentativo di farlo: «Il mio avvento ha un nome / che mai si disse, mai diremo» (cfr: la lirica che conclude il libro - pag.67). Lafedeltà alle cose di cui parla Elio Grasso nella prefazione è, certamente, il debito - e il merito, a mio avviso - tutto postmoderno che Anna siportaAnnaRuotolo143

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