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SCIPPO DI STATO! - Museo del Piave

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4la pagina di versaceIL PREZZO DELLA LIBERTA’ <strong>DI</strong> PAROLATredicimila!Storia di un calvario per aver attaccato un magistratodalle libere colonne <strong>del</strong> giornale “Il <strong>Piave</strong>”Questo – io mi sforzo di pensare- è il motore immobile di questatragica disavventura, professionalee umana, che mi ha travolto.Dopo che ebbi l’improntitudine,l’azzardo, la spericolatezza diosare mettere nero su bianco, sul“<strong>Piave</strong>”, <strong>del</strong>le critiche ad un signormagistrato.E questo formidabile “motore immoto”è formato dalla generosità,dall’altruismo, dalla solidarietàche un bel gruppo di persone miha donato. E’ stato questo fiumebuono e positivo, costruttivo eumile, fecondo e ottimista, che miha trattenuto dallo sprofondare neltotale scoramento e nella più cupae cosmica disperazione. La tragediadi quel che mi ha colpito, credetemi,se non ci foste stati voi miavrebbe travolto irreparabilmente,inevitabilmente, in questi mesi chesi sono inanellati fino a comporreuna piramide di anni – una enormità,quasi cinque: quell’articolofu pubblicato nel settembre 2007– vissuti, o meglio sopportati conl’angoscia nel cuore e uno stillicidioinfernale di minacce, allusioni,pressioni, avvertimenti, previsioninefaste. Ma sempre con la coscienzadi aver fatto solo il mio lavoro,con scrupolo e senso di responsabilità,onestamente e fino in fondoné sconti per alcuno: raccontare larealtà, porsi <strong>del</strong>le domande su ciòche è accaduto e quel che succede,porle quelle domande - impertinentiperché scomode, ma semprein un quadro di rispetto umano - achi detiene tra le proprie mani unpotere “di vita e di morte” versonoi comuni mortali. I giudici, imagistrati.Dunque, grazie amici. Per dirveloho deciso di scrivere questo articolo.Vorrei stringere mano a mano,scambiare sorriso a sorriso, paccasulle spalle a pacca sulle spalle,con chi ha messo mano al borsellinoe porto un obolo caritatevolea me, ricattato e perseguitato peraver fatto il mio mestiere comesono solito farlo io. Cioè standodalla parte dei perseguitati, degliultimi, dei senza voce, dei censurati,degli zittiti.Il direttore di questo giornale hafatto la propria parte, sapendo coagularee alimentare un flusso disperanza e di sollievo.Ancora una volta, ho appreso che adare, come sempre sono le personesemplici, quella che non nascondonoo serbano grandi ricchezzeo patrimoni. Non demonizzo laricchezza né propugno una visionefalso-pauperistica che sottendeuna sorda invidia sociale verso gliabbienti, ci mancherebbe. Anchese per me il fine non giustificamai i mezzi e una fortuna creatacon mezzi illeciti, scorretti, spregiudicati,insomma ai danni deglialtri, si tramuti prima o poi in sciagura.La farina <strong>del</strong> diavolo finiscein crusca, insegnavano i nostrivecchi. Io però ho sempre pensatoche nessuno è tanto povero danon poter dare nulla agli altri. Eche nessuno è tanto ricco da poterfare a meno degli altri. Bene, ne hoavuto la conferma: mi ha dato unamano chi avrebbe avuto bisogno,lui, di essere aiutato. E il perché èevidente: comprende il bisogno,riesce a capire il valore <strong>del</strong>la parola“noi”, chi abbia maturato su sestesso la vera, autentica sensibilitàverso il prossimo. Quel sentimentoforte, genuino, insopprimibilee antico come l’uomo, che ci faRacconto di un incuboDrinn. Squilla il telefono <strong>del</strong>la redazione.Pronto, giornale “Il <strong>Piave</strong>”.“Buongiorno, qui è la Questura, vorremo parlarecon il direttore. Sono in corso indagini per un articolodi Gianluca Versace”.Mi sono rimaste impresse queste parole. Estate2008. L’articolo era di circa un anno prima.Salto di tempo: maggio 2011. Siamo al Tribunaleper l’udienza preliminare.Vorrei raccontare la storia <strong>del</strong> prima e <strong>del</strong> dopo. Macerti signori che amministrano la giustizia sono legibussoluti, al di fuori <strong>del</strong>le leggi, al di sopra <strong>del</strong>leleggi, come Dio in terra. E quindi non farò nomi.Bocche cucite. Anzi, vi dico che la storiella che viracconto è frutto di congetture mentali, è un’incubo,che mi ha tormentato il sonno per cinque anni.Un brutto sogno, mentre in realtà la giustizia in Italiaè una macchina perfetta e meravigliosa.La storia. Si tratta di un presunto assassino <strong>del</strong>lafidanzata lasciato libero dal p.m. per insufficienzadi prove nonostante la Polizia chiedesse insistentementedi tenerlo dietro le sbarre perché avrebbepotuto uccidere ancora. Liberato, il presunto assassinoconobbe un’altra ragazza che, al termine diuna difficile relazione, iniziò a perseguitare. Anchequesta fu uccisa e l’assassino scoperto. A questopunto, che l’assassino fosse autore anche <strong>del</strong> primoomicidio apparve piuttosto evidente, così comecorrette parevano, col senno di poi, le richieste <strong>del</strong>laPolizia. L’opinione pubblica insorse. E il nostrogiornale pubblicò l’articolo incriminato.Prima di scriverlo Gianluca Versace ospitò in unasua trasmissione televisiva i genitori di una <strong>del</strong>ledue ragazze uccise, e sull’onda di una legittimaemozione mise nero su bianco il pezzo. Un articolocomunque oggettivo e non ingiurioso, salvouna battuta in cui paragonava il cognome <strong>del</strong> p.m.al nome di un ortaggio… Quisquilie rispetto allatragedia avvenuta. E il p.m che fa? Pensa bene diquerelare chi ha messo in discussione la sua buonafede.Ma facciamo un passo indietro. Perché il p.m. nonascoltò la Polizia che voleva il mostro in galera?Probabilmente perché era convinto che l’imputatonon fosse l’assassino. Emerge però un particolareinquietante. Qualche anno prima quel pm era avversoalla Polizia in un processo per fatti accadutidurante un importantissimo avvenimento di interessemondiale, in cui ci fu un pesante scontro frapoliziotti e manifestanti. Il p.m. al processo difendevai manifestanti contro i pestaggi compiuti dalleforze <strong>del</strong>l’ordine.Che sia questa avversione che lo abbia portato anon ascoltare la richiesta di tenere dietro le sbarre ilpresunto assassino? Chi scrive crede assolutamentenella buona fede <strong>del</strong> p.m., ci mancherebbe… Peròa molti i dubbi sono venuti.Passo avanti. La querela per l’articolo incriminatorimane congelata per anni.Arriviamo all’inizio 2011. L’assassino va a processo.Già condannato per l’omicidio <strong>del</strong>la seconda ragazza,viene assolto per insufficienza di prove perl’omicidio <strong>del</strong>la prima.Quindi il p.m. che lasciò libero l’imputato (nonostantel’insistenza <strong>del</strong>la Polizia che riteneva potesseuccidere ancora) risulta non avere colpa. Pochigiorni dopo (a volte i tempi <strong>del</strong>la giustizia sonoprecisi) siamo convocati per l’udienza preliminare.Avanti coi processi contro chi ha messo in dubbiol’operato <strong>del</strong> p.m. compreso chi lo ha paragonò adun poco nobile ortaggio. Lesa maestà. Richiesta80.000 euro. E scusate, se non è un incubo! Matranquilli, alla fine c’è stato uno sconto e si è arrivatia “solo” 13.000 per la remissione di querela.Un particolare scabroso. Al termine <strong>del</strong>la primaudienza preliminare l’avvocato <strong>del</strong> p.m. riferisceche alla data fissata per la seconda udienza non cipotrà essere perché impegnato. Non c’è problema.Il giudice fissa una seconda data. Ahimè questa voltail giorno stabilito è incompatibile con gli impegni<strong>del</strong>l’avvocato <strong>del</strong>la difesa. Signor giudice, potremmospostare la data? No! La risposta. Domanda.Ma non si diceva che “la legge è uguale per tutti?”.Bene, alleggerite le tasche, in primis <strong>del</strong> nostro carocollaboratore Versace e anche di che si è sentito indovere di partecipare almeno in parte, l’incubo èfinito.Cari lettori, questa è una storia che mi ha rovinatopiù di un sonno. Ma per carità, non pensiate neppureper scherzo che sia vera. Ne ho abbastanza diquesti signori.La giustizia in Italia è una meraviglia!Alessandro Bizandare in soccorso di chi soffre,perché ci riconosciamo in quelvolto di dolore, ansia, angoscia,turbamento, paura: come fosse ilnostro specchio. Ecco: l’altro, cipiaccia o meno, è sempre il nostrospecchio.Ma i più ricchi, ipiù potenti, i privilegiati,gli abbienti– industriali, politici–, quelli cheavrebbero potutorisolvere in un attimoil mio disastro,quelli che hosempre ospitatoin televisione,consentendogli diesprimere fino infondo pensieri eparole, nonostantequelle parole equei pensieri mifacessero ribrezzoo pena, quelli no:hanno fatto fintadi niente. Sì, qualcheunta e mellifluaespressionedi rincrescimento,sì qualche pateticae paternalisticaintemerata a basedi “ehccheccazzoGianlu! Ma dovevistarmi più attento, perché sai comesono fatti i piemme...”, sì qualcheimbarazzato e imbarazzante “inbocca al lupo” con annesso “crepi”,sì qualche ipocrita augurio di“venirne fuori, vedrai che si risolvetutto...”. Poi, la fuga. Si “risolvetutto” ‘sta cippa, cari amici dicomodo e fasulli come la moneta:fosse stato per voi...Intendiamoci. Ringrazio pure loro,questi sepolcri imbiancati, perchéhanno confermato la mia convinzionee la mia <strong>del</strong>usione a futuramemoria: chi più ha e può, menofa. E’ sempre andata così. Ma chesenso ha che le nostre mani sianopulite, se poi le teniamo in tasca(Don Milani docet)?Naturalmente, mi sono posto <strong>del</strong>ledomande stringenti anche sucome ho svolto in questi anni ilmio compito. E ho esercitato lanecessaria autocritica. Faccio ilgiornalista e posso sbagliare. Seaccade, bisogna riconoscerlo cononestà e saper fare un passo indietro,domandando scusa. Nel pezzo“incriminato”, che mi è costatoquesto calvario interminabile, chemi condotto in questa via crucisfatta di avvisi di garanzia, interrogatori,avvocati, fotocopie di migliaia(!) di atti giudiziari, udienzepreliminari, trattative e mercanteggiamenti,io puntavo l’indiceverso un sostituto procuratore<strong>del</strong>la Repubblica. Dicevo, tu haiun potere enorme sulle persone,pensi di esercitarlo nel modo giustoe imparziale, o invece in modoarbitrario e sbagliato?Ricordo che qualche tempo prima,avevo ospitato nel mio talk mattutinosu Canale Italia, i poveri edisperati genitori di una sventurataragazza massacrata con sessantacoltellate da un energumeno, chene era o ne era stato il fidanzato,nel pieno centro di una città <strong>del</strong>Nord.Ero rimasto fortemente turbato daquella trasmissione, come credopure il pubblico a casa, che successivamenteaveva riversato inredazione un mare di fax e maildi solidarietà per quella famigliadistrutta dall’odio, dalla violenza,dalla barbarie. Da questo indistintoma insopprimibile grumo dicompassione, di pietà cristiana, dirabbia, di indignazione, di orrorecivile, era nato quello sciaguratoarticolo “Solo chiacchiere e distintivo”.Sentii l’urgenza di mettereper iscritto quel che sentivo urgeredentro. Confesso, era soprattuttouna sorta di auto analisi, una riflessioneda condividere, che non volevacolpire nessuno, ma fungereinvece da stimolo a cambiare, chiquel <strong>del</strong>itto orribile avrebbe potutoe dovuto evitare.Mal me ne incolse. Qualcuno dalVeneto avvisò quel pm, che citavonome e cognome, e costui potéleggere l’articolo su internet, dovel’allora direttore - senza chiedermiil permesso - l’aveva postato.Dalla querela in poi, ho visto coseche voi umani neppure vi immaginereste.Ho capito che la legge nonè uguale per tutti, ma per qualcunoè un po’ più uguale. Ho capito chese osi criticare un magistrato, seimorto. Ho capito che l’ultracasta –come l’ha chiamata il mio amicoStefano Livadiotti – fa fronte comunee non hai scampo. Ho capitoche gli avvocati (non tutti, perfortuna) non possono, se voglionovivere e lavorare, dare fastidio aimagistrati per difendere i propriclienti. Ho capito perché la giustiziaè in queste condizioni. Hocapito perché non esiste, nei fatti,il principio costituzionale <strong>del</strong>laobbligatorietà <strong>del</strong>l’azione penale,ma l’azione è sempre discrezionalee se a querelare è un magistrato,avrà una corsia preferenziale (vidiranno che loro lo fanno, naturalmente,“a tutela di voi cittadini”).Ho capito che in questo Paesenon posso fare liberamente e finoin fondo il mio lavoro di cronista,senza auto condizionamenti frutto<strong>del</strong> terrore di ricascarci. Ho capitoche mi devo accontentare di prendermelacon quei quattro sfigati dipoliticanti da strapazzo, ma nondebbo neppure sfiorare con un fiorei signori magistrati. Ho capitoanche che questi scapigliati pm“progressisti” e dichiaratamentecomunisti - in pubblico – appaionoidealisti, senza macchia né paura,impavidi nel difendere i proletaridai capitalisti; mentre in privatonon disdegnano di speculare sulrisarcimento da querela e comunquesempre sotto l’egida <strong>del</strong>la loro“autonomia e indipendenza”.Ho capito soprattutto – infine -perché quella ragazza non potevanon morire. E questa è una cosache tutt’ora mi toglie il sonno.Tredicimila, dunque. Euro. E’ statoquesto, infatti, il prezzo <strong>del</strong> mioriscatto. Della mia libertà, vistoche – mi è stato spiegato – rischia-• marzo 2012vo fino a sei anni di prigione. Perun articolo sul “<strong>Piave</strong>”.I miei due avvocati, GiovanniIannetti e Luciano Gasperini che –con mio padre, avvocato - mi hannoassistito a titolo gratuito (e nonfinirò mai di ringraziare), hannocondotto l’estenuantee penosa trattativa,mercanteggiandocol legale <strong>del</strong>lacontroparte. Un avvocatomilanesemisconosciuto che,ovviamente, qui noncito, ma che soventemi ritorna in mente enon come succedevaa Lucio Battistipurtroppo, per me eper lui.Tredicimila. Soldiche con enormefatica ho messo assieme,per pagareil prezzo <strong>del</strong>la miaemancipazione,come accadeva congli schiavi.E mi è pure andatabene: perché nellacostituzione di partecivile, la cifra eraenormemente piùalta: ottantamila! Eperché no un milione?O quindici?Lo so, questa storia è proprio unaporcheria ed emana un olezzo spiacevolissimo.Lo so, e ve lo rivelo,al magistrato non sono bastate duelettere di scuse, una pubblica sul“<strong>Piave</strong>” e l’ultima riservata: mirendo conto, ai giorni nostri siamosommersi dalla diffamazione edalla disinformazione. Non esistegiustificare l’infamia nel nome <strong>del</strong>lalibertà di espressione! Se avevosbagliato, gli chiedevo scusa. Battendomiil petto. Niente: non sonoi soldi il ristoro per l’onore offeso,ma il leso onore non è altro spessoche un espediente per fare cassa.Che squallore amici!Lo so, e ve lo rivelo, a una personadi mia fiducia lo stesso magistratoha espresso giudizi su dime infamanti, biliosi, rancorosi esprezzanti (come <strong>del</strong> resto nel testoallucinante <strong>del</strong>la querela stesodal legale di prima), attribuendomipersino un preconcetto e unaostilità pregiudiziale verso di luie fianco l’intera sua categoria, chenon avevo.Non avevo. Prima di lui.E ora? Non lo so. Mi resta un oceanodi amarezza, in cui vorrei nonnaufragare.Per evitarlo, mi basta però pensareper un istante che non sono nulla,quei miseri tredicimila euro che hobonificato al pm e al suo avvocato,se li faccio sommergere e sovrastaredalla trascinante musica deibattiti dei cuori di quelle meravigliosecreature che, mentre infuriavala tempesta, all’unisono mihanno rassicurato allungandomiun salvagente: “Gianluca, io sonoqui, aggrappati a me”.La solidarietà, dopotutto, è l’altrafaccia <strong>del</strong>l’amore. Fate finta cheve lo ripeta tredicimila volte.Gianluca VersaceGiornalista televisivo

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