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Ritardi e problemi della scuola italiana.pdf

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SSIS VENETO"Politiche, legislazioneeorganizzazione scolastica"[corso in dieci moduli 8 on-line e 2 in presenza]MODULO 1 online 22 GENNAIO 2007RITARDI E PROBLEMIDELLA SCUOLA ITALIANADALLO SCHEMA DI PRESENTAZIONE----------------------------------- modulo 1----------RITARDI E PROBLEMI DELLA SCUOLA ITALIANALa dipendenza <strong>della</strong> <strong>scuola</strong> dalla P.A.: i presìdi amministrativi e lagovernance del sistema - I programmi come cardine dell'uniformitàstrutturale dell'organizzazione scolastica - L'esaurimento <strong>della</strong>credibilità del centralismo - Urgenza e difficoltà dell'insegnamento"su misura" in funzione <strong>della</strong> nuova cittadinanza -L'incompatibilità culturale tra l'applicazione burocratica delprincipio di imparzialità e la libertà di insegnamento - I paradossidell'accantonamento politico <strong>della</strong> normativa sull'autonomia - llconflitto tra buropedagogia e scienze dell'educazione - Lepeculiarità dell'amministrazione scolastica nel quadro dellepolitiche pubbliche.Il difficile rapporto tra istruzione e amministrazionePOLITICHE PUBBLICHE E AMMINISTRAZIONEGLI ESITI DEGLI STUDI IN MATERIAIn Italia non suscita scalpore e tanto meno scandalo il fatto che il nostro sistemascolastico risulti penalizzato – peraltro costantemente e fortemente – dalle indagini edai confronti internazionali sui livelli qualitativi e qualitativi di istruzione raggiuntidalle generazioni recenti e meno recenti. Fuori d’Italia il nostro sistema non è oggettodi attenzione per evidente difetto di significatività. Fa eccezione il ricercatore


svizzero Norberto Bottani, incuriosito dalla lentezza e dalle contraddizioni con cuiesso procede, o non procede affatto, nel suo affrancamento dal regime burocraticoamministrativo.Tra i suoi giudizi scegliamo quello più sintetico:, in Insegnanti altimone? Fatti e parole dell'autonomia scolastica, Il Mulino, Bologna, 2002. Ilvolume è una rassegna delle più recenti fasi di evoluzione dei sistemi scolasticioccidentali.Bottani, già direttore di ricerca dell'OCSE, e ora al Centro di ricerca dell'istruzionedi Ginevra, giudica negativamente le applicazioni dell’autonomia nelle scuole, epertanto la sua valutazione del sistema scolastico italiano fuoriesce dalle polemichetra fautori dell’autonomia e quelli che, come lui, non ritengono del tutto superato ilmodello del centralismo, che in altri sistemi scolastici non tocca i nostri livelli diburocratizzazione. E infatti negli altri casi in cui il termine “burocrazia” assumevalenze negative occorre chiedersi se queste ultime riguardino il concetto stesso diburocrazia, evidentemente non accetto per ragioni soggettive, o se invece sianodeterminate dalle modalità con cui esso viene utilizzato nella gestione <strong>della</strong> cosapubblica. La burocrazia non è infatti di per sé un istituto superfluo: è funzionale allo“Stato di diritto”, che in quanto tale deve imporre la correttezza legale <strong>della</strong> suaamministrazione (è d’obbligo citare Max Weber come massimo teorico in materia).Altro significato hanno invece le reazioni polemiche agli eccessi di regolamentazioneche la burocrazia talvolta infligge, magari a causa <strong>della</strong> persistenza di procedure untempo essenziali e oggi ridotte a rituali, e/o a causa dell’incompatibilità tra i suoiprincipi e la particolare natura del settore in cui essa opera. E queste due causerientrano entrambe nel caso specifiche del sistema italiano di istruzione, comepotremo constatare quando parleremo di autonomia didattica, il cui esercizio èpraticamente impossibile se il più importante dei principi <strong>della</strong> burocrazia, quello diimparzialità, non viene applicato in termini del tutto diversi da quelli codificati pertutti i settori governati dalla Pubblica Amministrazione, <strong>scuola</strong> compresa.Particolarmente severi sono i giudizi degli esperti italiani di “Politiche pubbliche”,soprattutto di quelli interessati, in quanto studiosi di sistemi comparati, a comel'amministrazione scolastica <strong>italiana</strong> si sia connotata rispetto a quelle di altri paesi.Eccone due: (Sofia Ventura La politica scolastica,Il Mulino, Bologna, 1998). Queste carenze sono imputabili ad una


Non possiamo però trascurare il fatto che la responsabilità dell'immobilismo <strong>della</strong>politica scolastica <strong>italiana</strong> <strong>della</strong> seconda metà del Novecento spetta, prima ancora chealla Pubblica Amministrazione, al governo e al parlamento (maggioranze eminoranze a parità di demerito), che per ben trent’anni del secondo novecento hannocompletamente isolato la <strong>scuola</strong> <strong>italiana</strong> dal continente. I paesi europei aindustrializzazione avanzata sono infatti divenuti teatro, nel frattempo, di due cicli diriforme degli ordinamenti scolastici (quelle iniziali di quantità e quelle successivequalità) e di ampie ridistribuzioni dei poteri decisionali all’interno dei sistemiscolastici. Dal 1965 al 1995, grossomodo, il n ostro Parlamento si è occupato di<strong>scuola</strong> pressoché esclusivamente per legiferare sul reclutamento degli insegnanti.Governo e Parlamento non sono stati capaci per troppo tempo di individuare, perquanto riguarda la gestione del sistema, una struttura di funzionamento che risultassealternativa almeno in parte alla pubblica amministrazione. Si sono infatti lasciaticogliere di sorpresa dall’avvento <strong>della</strong> <strong>scuola</strong> di massa, determinato dall’aumentospontaneo <strong>della</strong> richiesta di istruzione, a sua volta prodotta dal “boom” <strong>della</strong>ricostruzione post-bellica e dalla conseguente espansione del benessere. Così, difronte ad un servizio di istruzione che moltiplicava e rimoltiplicava tutti gli indicidelle sue dimensioni, invece di progettare e creare strutture più moderne, più snelle epiù vicine alle nuove logiche educative, non hanno trovato di meglio che moltiplicaree rimoltiplicare le vecchie strutture burocratiche.Sui motivi politici del ritardo delle riforme delle strutture di funzionamento, laVentura, con riferimento al “ripiegamento” da lei descritto nel brano sopra citato,dice che esso


- il miglioramento del nostro sistema scolastico passa probabilmente per lemodifiche alla sua gestione prima ancora che per i tanti altri possibili interventiinnovativi, quali possono essere soprattutto le riforme degli ordinamenti o quellerelative allo stato giuridico del personale (con riferimento soprattutto allariqualificazione continua <strong>della</strong> professionalità docente.): queste due tipologie diriforme difficilmente possono conseguire effetti significativi finché non si ponerimedio all'inadeguatezza strutturale <strong>della</strong> gestione amministrativa dell’istruzione;- poiché la <strong>scuola</strong> <strong>italiana</strong> è stata data in affidamento alla pubblica amministrazionesin dall'unità d'Italia, ma il vero incardinamento dei contenuti e <strong>della</strong> metodologiadidattica nell'impianto organizzativo dell'amministrazione è avvenuto conl'applicazione <strong>della</strong> riforma Gentile, è nei regi decreti dal 1923 al 1925 chebisogna cercare le origini dell'eccesso di normazione e di gerarchizzazione <strong>della</strong>nostra tradizione scolastica (decreti peraltro non addebitabili che parzialmente aGiovanni Gentile, dimessosi dalla carica di ministro al momento del delittoMatteotti del giugno 1924); e si trova quel che si cerca se di quei regi Decreti siesamina a fondo la logica che ispira anche le disposizioni più minutamentedettagliate.L’IDENTITÀ POCO STUDIATA DELLA SCUOLA ITALIANAMa forse la considerazione che oggi come oggi va fatta prima di ogni altra su questaestraneità <strong>della</strong> cultura dell'apparato amministrativo rispetto a quella educativa <strong>della</strong> <strong>scuola</strong>vera e propria, è che, pur trattandosi dell'aspetto più complicato e più grave del nostro sistemascolastico, nessuno ne parla.Il riferimento <strong>della</strong> Ventura al "ripiegamento" dell'Amministrazione su un soloaspetto <strong>della</strong> sua funzione, quello <strong>della</strong> gestione del personale, non spiega soltanto gliobiettivi di natura non propriamente educativa che essa perseguiva nei lunghi periodiin cui, come abbiamo visto, la politica scolastica aveva significativi sviluppiinnovativi in altri paesi, anche in quelli a forte struttura centralistica ma conamministrazione tecnica. Spiega anche come sia riuscita a frapporre il massimo <strong>della</strong>distanza tra se stessa e la funzione culturale e formativa <strong>della</strong> <strong>scuola</strong>: questa eradiventata la struttura più importante del paese per il numero di addetti, el'amministrazione ad essa preposta non ne monitorava e non ne studiava in nessunmodo i fenomeni e i bisogni anche drammaticamente urgenti che la stavanocaratterizzando.Dice in proposito Bottani:.COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANATITOLO III – Sezione IILa Pubblica Amministrazione


Art. 97I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che sianoassicurati il buon andamento e la imparzialità dell'amministrazione.Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzionie le responsabilità proprie dei funzionari,Agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo icasi stabiliti dalla leggeLa "reazione" di Bottani induce a ricordare che:- dalla fine degli anni settanta agli novanta la <strong>scuola</strong> secondaria superiore rimediavaai clamorosi ritardi <strong>della</strong> riforma dei suoi ordinamenti con la sperimentazione, cheentrò in tutte le scuole, ma che, in contraddizione con la più elementare logicasperimentale, non fu accompagnata da verifica dei risultati, la qual cosa haprodotto due pesantissimi handicap: a) ha provocato la ripetizione a tempoindeterminato di uno stesso progetto senza che se ne ricavasse feed-back e se nepotessero realizzare migliorie (in qualsiasi altro settore, la sperimentazione èintesa come strumento rivolto a convalidare o a invalidare un’ipotesi innovativa, equindi ne è prevista l’interruzione alla scadenza dei tempi necessari per ilraggiungimento dell’uno o dell’altro risultato); b) ha impedito alle scuole diimparare a confrontarsi con i risultati delle proprie scelte, e quindi di misurarsicon l’ABC dell’autonomia.- la <strong>scuola</strong> Media unica, costruita con una riforma a tappe iniziata nel 1962 econclusa coi programmi del 1979, che introducevano la "programmazione", non èmai stata oggetto di monitoraggi, verifiche e valutazioni;- nelle indagini internazionali sui risultati raggiunti dai sistemi scolastici di vari paesi, la casella Italia è rimasta vuota fino agli anni novanta, per difetto di raccolta didati e informazioni (da parte del MPI) utili a interpretare e valutare l’andamentodell’attività di istruzione nelle nostre scuole (la conseguente desuetudinedell’opinione pubblica alle notizie sui <strong>problemi</strong> strutturali del nostro sistemascolastico è così radicata che nemmeno i dati del P.I.S.A., negativi per quanto èpossibile che lo siano, riescono oggi a provocare reazioni significative non solonell’opinione pubblica, ma anche nella <strong>scuola</strong>).Anche la responsabilità dei ritardi storici e <strong>della</strong> perdurante povertà <strong>della</strong> ricercasulla <strong>scuola</strong> <strong>italiana</strong>, sulle sue caratteristiche e sui suoi risultati, non è addebitabilealla insensibilità o alla sprovvedutezza dell’Amministrazione, ma semplicemente allanatura del compito che essa è chiamata a svolgere. Un compito stabilito dalla stessaCostituzione, che lo definisce in termini ben precisi (v. box apposito). Fondamentalitra essi risultano: la corrispondenza dell’operato alle disposizioni di legge, cheevidentemente si ritiene possano prevedere tutto e in termini di staticità; il buonandamento perseguito attraverso l’imparzialità, il rispetto <strong>della</strong> gerarchia e delleprocedure formali. È ben difficile inserire in questa logica i risultati concreti,concepiti nella loro possibile varietà e nei loro possibili mutamenti (la <strong>scuola</strong> riflette eserve la società, e la società non smette un attimo di evolvere).


NODI ECONOMICI E SOCIALI E SCELTE POLITICHEQuanto al “carattere distributivo a favore degli occupati nell'amministrazionescolastica”, divenuto connotazione prevalente <strong>della</strong> politica scolastica <strong>italiana</strong> nelsecondo novecento (ultima citazione <strong>della</strong> Ventura), è facile riconoscerlo come lamatrice politica cui ricondurre tutte le strategie alle quali si sono costantementeattenuti governo, parlamento, amministrazione e sindacati a fronte di tutti i <strong>problemi</strong><strong>della</strong> <strong>scuola</strong>. Fare del reclutamento degli insegnanti la cassa di compensazione <strong>della</strong>disoccupazione era un impegno che non ammetteva deroghe, in quanto assunto inforza non di un patto, che nasce pur sempre da mediazioni, ma di una visione politicadecisamente condivisa da tutti gli attori. “Era un impegno” abbiamo appena detto, mapossiamo anche usare l'indicativo presente, e però con la precisazione che lasoluzione del problema del “precariato storico”, preannunciata dalla Finanziaria del2007 che, prelude per sua stessa logica ad un svolta almeno sul piano politico eamministrativo (se non su quello sindacale).È pur vero, come sottolinea la Ventura, che si tratta di un carattere comune ad altriinterventi di politica pubblica frequenti nel nostro paese, ma rispetto agli altri settoridel pubblico impiego il ruolo assunto dalla <strong>scuola</strong> nei salvataggi dalla disoccupazioneè da considerare di gran lunga il più importante. Per due motivi: perché la <strong>scuola</strong>costituisce il serbatoio più capace di tutto il pubblico impiego (ne rappresenta infattipiù di un terzo da decenni), e perché, soprattutto, è l'unico settore in grado diassorbire la disoccupazione socialmente e politicamente più pericolosa, quellaintellettuale, come il Sessantotto ha insegnato a tutti (senza però trascurare quellamanuale, come dimostra la inusitata – a livello europeo – legione di bidelli, per granparte dei quali può valere ancora una vecchia e da tempo abbandonata definizionecontrattuale, che li qualificava “personale di attesa”).Ma non si può nemmeno dire - come vorrebbero alcune correnti di opinione diispirazione misoneista - che esista oggi in Italia il problema di un surplus di laureati.È semmai esistito il problema dello smaltimento delle lauree facilitate dallacontestazione studentesca (il “voto politico”, il “voto collettivo”), e del pari esisteoggi qualcosa di simile a causa delle tante scorciatoie verso il traguardo <strong>della</strong> laureapurchessia. E però il vero e grande problema è di segno opposto: la percentuale deilaureati del nostro paese è inferiore non di poco alla media europea e occidentale ingenere, e ad ostacolare l’impegno dei giovani verso la laurea c’è il fatto – gravissimose lo si guarda dall’ottica dello sviluppo – che la percentuale dei laureati occupatinelle nostre industrie non supera la metà <strong>della</strong> media europea. Il tutto nel momento incui né la grande industria, attanagliata da una crisi strutturale e da un difficilerapporto con le politiche finanziarie, né la piccola e media industria, forte per numerodi insediamenti ma non per i livelli delle sue tecnologie, concedono di sperare inprospettive diverse per l’immediato.Siamo, con queste ultime puntualizzazioni, al nodo dei nodi, a quello cioè in cuiconfluiscono tutti gli elementi problematici del nostro sistema scolastico. Il perdurare<strong>della</strong> gestione amministrativa <strong>della</strong> <strong>scuola</strong>, per farraginosa e burocratica che sia, nonpuò essere interrotto senza mettere in crisi gli equilibri e le sinergie che da trent’annistanno alla base dei rapporti tra potere politico, gestione amministrativa e


organizzazioni sindacali: il perno di quegli equilibri e di quelle sinergie è appuntol’Amministrazione, che funge da “preziosa” interfaccia attraverso la quale il poterepolitico da decenni e decenni si rapporta al fronte sindacale. Sindacati da un lato,Governo e Parlamento dall’altro, e amministrazione scolastica nel mezzo, a filtrareproposte ed accordi che hanno portato a soluzione ogni problema relativo alreclutamento degli insegnanti.È pur vero che ogni volta l’unico fine di quegli accordi è stato l’allontanamento dirovinose fratture politiche e sociali. Ma è altrettanto vero che non è mai stata posta,sul tavolo di quei confronti triangolari, la necessità di affrontare direttamente ed afondo l’incapacità del sistema scolastico di assecondare o quanto meno seguire iprocessi evolutivi <strong>della</strong> nostra società.DALLA PROGETTUALITÀ ALLA SCELTA POLITICAL’immobilismo del sistema scolastico italiano non deve aver preoccupato granchéla politica, il sindacato e l’Amministrazione se è vero, come è vero, che tutti gliaccordi raggiunti per evitare, anche se in extremis, le predette fratture politiche esociali, sono stati di solito agevolati da convergenze piuttosto convinte: da quella ditutte le forze politiche, presenti o non presenti in Parlamento; da quella, spessoaddirittura unanime, delle numerosissime sigle sindacali, che rimangono ben lontanedalle pur conclamate prospettive di unità, ma che sul reclutamento e su <strong>problemi</strong> cheda esso derivano, e che poi sono quelli a cui devono la loro esistenza, non riescono atrovare motivi sostanziali di divergenza.E l'importanza politica <strong>della</strong> funzione di interfaccia che l'amministrazione svolgenei confronti dei sindacati dà ragione del suo ripiegamento su un solo aspetto <strong>della</strong>sua ampia rosa di competenze, quello <strong>della</strong> gestione del personale. Così come dàragione del fatto che rimangono ancora accuratamente "oscurate" sia l'assenza, neiranghi del governo <strong>della</strong> <strong>scuola</strong>, di quelle competenze tecniche o di settore checaratterizzano le amministrazioni di altri paesi, sia l’incompatibilità totale tra lacultura giuridico-formale dell'amministrazione e quella educativa. Rimangonopertanto fondamentalmente inalterati i due più grossi deficit culturali e strategici <strong>della</strong><strong>scuola</strong> <strong>italiana</strong>.Il suo primo deficit è il suo sostanziale isolamento rispetto all'impegno con cui glialtri sistemi scolastici occidentali tentano di rinnovarsi sul piano <strong>della</strong> qualità delrapporto tra insegnamento e apprendimento, e quindi sul piano sia dei contenuti chedei metodi (attraverso studi, ricerche, sperimentazioni, coinvolgimenti delle comunitàscientifiche e culturali, e riforme le più disparate). Si potrà obiettare che l’ultimodecennio è stato caratterizzato da una frenetica e convulsa politica di riforme. Ma lepiù importanti si sono contraddette l’una con l’altra, e nell’insieme né sono statecapite e accettate da chi doveva attuarle, né hanno costituito ub opubto politico diriferimento per chi le aveva fatte (es.: il centro sinistra non ha rimosso la sepoltura<strong>della</strong> sua L. 30/00, il centrodestra non freme per la graduale demolizione dei capisaldi<strong>della</strong> L. 53/03). Le riforme sono tali soltanto se hanno effetti reali.RIFORME, tipologie e definizioni tecniche


RIFORME DEGLI ORDINAMENTI: con riferimento a ciò che caratterizza unsistema scolastico per quanto riguarda le fasce di istruzione, le tipologie di <strong>scuola</strong>, ipiani di studio, i titoli di studio ecc. (es. L. 30/00, detta Berlinguer-De Mauro; L.53/03, detta Moratti)RIFORME DELLE STRUTTURE DI FUNZIONAMENTO: con riferimento algoverno e alla gestione dell’organizzazione scolastica (es. art. 21 <strong>della</strong> L. 59/97,introduzione dell’autonomia; D.P.R. 275/99, regolamento dell’autonomioa )RIFORME DI QUANTITÀ: con riferimento alla scolarizzazione <strong>della</strong> maggioranzao <strong>della</strong> totalità dei ragazzi di una determinata fascia di età (es. L. 1859/62, perl’istituzione <strong>della</strong> Media unica e obbligatoria)RIFORME DI QUALITÀ: con riferimento all’obiettivo – mai effettivamenteraggiunto - di allargare la base scolare senza abbassare i livelli di istruzione (es. L.517/77, per introdurre la programmazione nella Media)RIFORME EPOCALI: con riferimento alla durata, effettivamente raggiunta osoltanto prevista nella dichiarazione di intenti (RIFORMA GENTILE, 23)ROLLING REFORM: con riferimento alla riforma continua risultante dal concorsodi leggi dello Stato, leggi delle Regioni o delle autorità locali, deliberazioni dellesingole <strong>scuola</strong> dotate di autonomia.Il secondo dei deficit culturali e strategici <strong>della</strong> <strong>scuola</strong> <strong>italiana</strong> è il suo isolamentorispetto a se stessa - e cioè alla sua storia, al suo presente, al suo futuro - e rispettoagli strumenti con cui può studiarsi, visto che né il Ministero, né le organizzazionisindacali e associative, riescono a impegnarsi in ricerche sulle prospettive generali disviluppo <strong>della</strong> <strong>scuola</strong> <strong>italiana</strong>. Il loro messaggio è chiaro: preferiscono che le coserimangano così come stanno, o quasi.Qualche progresso in materia è stato di recente registrato (si allude in particolarealla sparizione delle caselle vuote nei tabulati internazionali, dovuta al lavorodell’ultimo C.E.D.E. e dell’attuale I.N.V.A.L.S.I., e soprattutto all’invasione delleindagini internazionali), ma si tratta pur sempre di qualcosa che ormai sa di minimo edi scontato, mentre nulla si muove per quanto concerne l’autonomia. Non esisteDirezione ministeriale centrale o regionale, o organizzazione sindacale o associativa,che in ogni suo documento faccia mancare un riferimento all’autonomia (doveroso,da quando è entrata nella Carta costituzionale), ma nessuna di esse ha mai avviatoiniziative di studio sulle modalità di attuazione dell’autonomia, e nessuna ha maireclamato per le scuole strumenti e supporti tecnici con cui iniziarne lasperimentazione. Al culmine di questa manifestazione di disimpegno culturale epolitico stanno le sorti attualmente né magnifiche né progressive dell'autonomia,come denuncia lo stupito Bottani:


livello nazionale, l'Osservatorio sulla <strong>scuola</strong> dell'autonomia dell'Istituto V. Bachelet<strong>della</strong> Luiss.ECCESSO DI NUMERI E DIFETTO DI IMPARZIALITÀSecondo alcuni le ragioni politiche per cui la <strong>scuola</strong> <strong>italiana</strong> non si sblocca dal suopassato e dai suoi deficit strutturali si riassumono nel problema del corpo docente, maesclusivamente per il fatto che se ne difende ad oltranza ed astrattamente la suaconsistenza numerica, la qual cosa comporta costi alti per lo Stato e stipendi bassi pergli insegnanti. Per altri l’eccedenza conta e contano anche i bassi stipendi, ma si trattadi negatività destinate a ridursi se arriva a soluzione il problema <strong>della</strong> riqualificazioneprofessionale <strong>della</strong> funzione docente, ferma a standard organizzativi, culturali eprofessionali ormai plurisecolari in un mondo che non è più confrontabile con quellodi qualche decennio fa. Problema determinante, quello <strong>della</strong> riqualificazioneprofessionale, a seconda che lo si affronti o meno: o si affiderà la <strong>scuola</strong> alla culturadell’educazione, e si tenterà il raggiungimento di più alti livelli di qualità nei processidi istruzione; o si scommetterà ancora sulla tenuta delle regole burocratiche, e sidovrà accettare definitivamente il declino del sistema scolastico a causa <strong>della</strong>crescente demotivazione di allievi, docenti e società. E questa seconda è proprio laricetta attualmente applicata, con i silenzi e le dissimulazioni che comporta, e cheinducono a credere in un declino così lento da renderlo quasi invisibile.Nell’attesa di sapere se abbiamo già oltrepassato il bivio, vale .la pena diaggiungere qualche elemento di giudizio su alcuni punti del quadro fin qui delineato,e più precisamente sulle finalità del ruolo di mediazione politico-sindacale di cui èstata investita la gestione amministrativo-burocratica dell'istruzione, e sulledinamiche occupazionali di cui è stata investita la <strong>scuola</strong>.La mediazione tra governo e sindacati sulla <strong>scuola</strong> è indispensabile, come lo è intutti i settori produttivi in cui datori di lavoro e prestatori d’opera devono regolare ilrapporto di lavoro con un contratto, che nella <strong>scuola</strong> si intreccia con lo “statogiuridico”, stabilito con apposita legge del parlamento. Ma il terreno <strong>della</strong>mediazione dell’Amministrazione scolastica è fatto soltanto di numeri. Di fronte ai<strong>problemi</strong> di gestione del personale, come del resto di fronte a tanti altri,l’Amministrazione si attesta su questioni di natura esclusivamente numerica, e nontanto perché governa il complesso lavorativo di gran lunga più grande del paese,quanto perché ha <strong>della</strong> <strong>scuola</strong> una “visione” numerica: prende in considerazione lecomponenti scolastiche in relazione non solo al quantum di teste che ciascuna di esseraduna, ma anche al come i numeri di una componente si intrecciano con quelli ditutte le altre: il numero degli alunni e quello delle classi e degli alunni per classe,quello degli istituti e delle aule per istituto, delle materie di studio e degli insegnantiripartiti per materia e per istituto, delle ore di lezione per giorno e per settimana ecc.Tutti questi numeri si correlano tutti gli uni con gli altri fino a fondersi in unmeccanismo in cui basta spostare pochissimi numeri (per esempio di alunni perclasse) per ottenere grandi spostamenti (per esempio dei docenti da assumere). È suqueste equazioni tra il poco e il tanto, e soltanto su di esse, che l’Amministrazione faipotesi di gestione e che governo e sindacati si confrontano e decidono.


La <strong>scuola</strong> come equilibratore delle dinamiche occupazionali è una scelta confunzione assistenziale, tollerabile forse in fase di emergenza ma non oltre, comeinvece accade. È espressione di arretratezza economica e politica. In un normalepaese industrializzato la <strong>scuola</strong> contribuisce agli equilibri del mercato del lavoro nellamisura in cui può spendere il proprio potenziale di sviluppo qualitativo, e cioèentrando in concorrenza con altri datori di lavoro. In un paese in cui l’industria e loStato non investono seriamente in ricerca (e qui sta l’origine di tutti i guai), e diconseguenza l’industria riserva ai laureati una scarsa domanda di lavoro, la <strong>scuola</strong> èdestinata ad accogliere le abbondanti eccedenze delle offerte di lavoro intellettuale, ea collocarsi ai margini dei processi avanzati di professionalizzazione e di produzione.Il ruolo di mediazione assunto dall’amministrazione è, nei fatti, un ruolo del tuttoimproprio, per almeno due motivi: perché, nel ridurre la <strong>scuola</strong> a entità numeriche e adinamiche numeriche, l’amministrazione finisce per descolarizzarla e militarizzarla,falsificandone natura e funzione; perché, nel “ripiegarsi” sulla sola gestione delpersonale, e nel privilegiare il solo aspetto occupazionale trascurando quellofunzionale, anzi riducendo i livelli <strong>della</strong> funzione educativa <strong>della</strong> <strong>scuola</strong>,l’amministrazione – istituita per la salvaguardia del principio di imparzialità –infrange questo principio: privilegia i dipendenti, o gli aspiranti tali, ed allo scopoignora il diritto dell’utenza a poter fruire del miglior servizio possibili. Esaspera cioèuna caratteristica comune a tutti i settori del servizio pubblico italiano: nel rapportoerogatore-fruitore, il primo ha molti più diritti del secondo.LA SCUOLA COME MEZZO O COME FINE?L'aspetto più complicato di questa sovrapposizione ormai storica di obiettivi e difattori, di funzioni codificate ma anche "curvate" fino a farle risultare altre rispetto aciò che dovrebbero essere, sta negli elementi di artificiosità con cui le questioniscolastiche vengono trattate.Intanto è artificiosa l’assunzione da parte dell’Amministrazione del ruolo dimediatore unico per i <strong>problemi</strong> <strong>della</strong> disoccupazione intellettuale, perché lamediazione risulta a priori sbilanciata. E infatti, se l'amministrazione , che cosa mai può arrivare al tavolo delle trattative di tuttal'immensa problematica che riguarda il mondo dell’istruzione? Che cosa potràarrivare di quei bisogni e di quei diritti dell'utenza che sono continuamente ampliatied arricchiti dallo sviluppo sempre più rapido e sempre più generale <strong>della</strong> società?Che cosa potrà arrivare delle trasformazioni introdotte senza posa dalla tecnologia,dall’economia, dalla comunicazione, dalla globalizzazione? Che cosa potrà arrivaredai nuovi intrecci tra vecchi e nuovi saperi, dalle scienze biologiche e psicologicheche rivoluzionano il concetto di apprendimento e il rapporto insegnamentoapprendimento,dalle scienze sociali che scardinano il rapporto tradizionale traistruzione e società? Certo l'amministrazione media e contratta sul filo <strong>della</strong>legislazione esistente (e nemmeno tutta, data la messa in mora dell’autonomia), magià di suo, e cioè per le sue peculiarità culturali, è incapace di interpretare istanze edesigenze <strong>della</strong> società <strong>italiana</strong> ed europea (e figuriamoci quando ha come obbiettivo il


afforzamento numerico del suo apparato). E di quali dati e di quali analisi disponeper le sue mediazioni se, come abbiamo già constatato, è per sua natura negata alleindagini, alle verifiche, alle valutazioni delle situazioni che riguardano l'utenza e leprospettive di crescita socio-culturale del paese? “Negata” nel senso di coerente con isuoi principi fondativi, che prevedono ordinariamente procedure di controllo in puntodi legalità, e cioè a carattere esclusivamente giuridico-formale .Quanto detto finora può anche essere anche riassunto così: al tavolo dellecontrattazione il Governo rappresenta tutto il paese (compresi erogatori e fruitori delservizio scolastico), il sindacato rappresenta gli insegnanti (nella versione che si ècostruito dei medesimi): e chi rappresenta l’utenza? Ma si correrebbe il rischio diridurre il tutto a questioni puramente contrattuali.L’artificiosità del problema <strong>scuola</strong> non si diraderà fino a quando l’idea di <strong>scuola</strong>prevalente nel paese – e determinata dall’insieme delle connotazioni attribuite alla<strong>scuola</strong> nei dibattiti sui <strong>problemi</strong> che essa via via impone all’attenzione del paese –farà registrare il primato <strong>della</strong> <strong>scuola</strong>-apparato sulla <strong>scuola</strong>-servizio. A determinarequesto primato e a garantirlo nel tempo è il fatto stesso a governare la <strong>scuola</strong> èl’Amministrazione:, la cui logica esclusivamente giuridico-formale poneinevitabilmente in sottordine la specificità del servizio scolastico, che è d’ordineeducativo. Certo, l’affidamento <strong>della</strong> <strong>scuola</strong> all’Amministrazione ne ha garantito ilcarattere istituzionale, che ha ha avuto un ruolo storico in tempi in cuil’alfabetizzazione andava imposta. Ed è altrettanto certo che la <strong>scuola</strong> non puòperdere il carattere istituzionale. Ma nella società in cui la crescita culturale delcittadino è un bisogno individuale, e universalmente riconosciuto come necessitàcomune, il carattere istituzionale <strong>della</strong> <strong>scuola</strong> non può più essere quello prevalente.Il fine <strong>della</strong> <strong>scuola</strong> è l'istruzione e l'educazione delle nuove generazioni, e sta nelrapporto tra docente e allievo, tra allievo e disciplina, e anche tra docente e disciplinama al solo fine del rapporto tra allievo e disciplina. Il fine <strong>della</strong> <strong>scuola</strong> non è la <strong>scuola</strong>di per sé, con il suo carico di prestigio (peraltro in continuo e rapido calo), non èl'apparato. Anche se la tradizionale identificazione dell'istruzione con lascolarizzazione in continua crescita in tutto il mondo, e più ancora la configurazione<strong>della</strong> <strong>scuola</strong> come il più poderoso dei macchinari di ogni società, ha avuto la meglionell’immaginario collettivo, e quindi nelle attese comuni, sull’importanzadell'apprendimento individualizzato e <strong>della</strong> formazione personalizzata. Se il valoresta nel soggetto in apprendimento, come provano le scienze dell’educazione, come èstabilito sul piano <strong>della</strong> dichiarazione dei diritti dell’uomo dall’ONU e dalle altregrandi organizzazioni internazionali, e come ormai tutte le parti politiche dei singolipaesi affermano anche nei testi legislativi 1 , è evidente che il poderoso macchinario va1 Nell'art. 1 <strong>della</strong> L. 53/03 ("riforma Moratti") il fine delle norme generalidell'istruzione è così indicato: . L'incipit dell'art'art. 1 <strong>della</strong> L. 30/00 (Riordino dei cicli, Berlinguer-De Mauro), è il seguente:


icondotto a misura d’uomo. La <strong>scuola</strong> è un servizio alla persona come la sanità, mamentre un po’ tutti si sentono legittimati dalla realtà delle cose a pensare l’ospedale inprogressiva corrispondenza ai bisogni del malato, non c’è nulla che legittimi ilcittadino comune a immaginare la <strong>scuola</strong> più vicina ai bisogni dell’allievo.Una delle raccomandazioni che vengono più frequentemente dalle teoriedell'organizzazione riguarda la necessità che, all'interno di ogni organizzazione, sirapportino sempre tutte le scelte al fine ultimo per cui essa è stata costruita. C'è chisostiene che un'organizzazione è in pericolo se, quanti vi hanno ruoli diresponsabilità, non si chiedono almeno una volta al giorno se quello che stannofacendo sia in linea di coerenza con il fine specifico dell'organizzazione stessa. Aquale fine può rapportare la sua domanda il dirigente amministrativo? a quello delpubblico impiego per il quale è preparato o a quello dell'educazione per il quale nonha nessuna preparazione? E l'insegnante, a quale fine può legittimamente rapportarela sua domanda, ai programmi ministeriali o all'allievo?Il difficile rapporto tra <strong>scuola</strong> e autonomiaCULTURA E "BUROPEDAGOGIA"L'AUTONOMIA VISSUTA COME PARADOSSOIl passaggio chiave dell'art. 21 <strong>della</strong> L.59/97, che ha introdotto formalmente in Italial'autonomia delle istituzioni scolastiche, è il seguente:>.


dei dirigenti scolastici, è previsto in funzione dell'emancipazione <strong>della</strong> culturaprofessionale dell'educazione dalla cultura giuridica e burocraticadell'amministrazione.La legge sull'autonomia è dunque un fatto prima di tutto culturale: è la sostituzione<strong>della</strong> cultura amministrativa come cultura di governo <strong>della</strong> <strong>scuola</strong>, con la culturaprofessionale scolastica. Anche se, al suo avvento, e anche dopo, l'autonomia è statageneralmente interpretata, soprattutto a livello di informazione generalista, come attodi decentramento 2 . E decentramento è – perché assegnare nuovi poteri alle singoleunità scolastiche significa riconoscere a diecimila scuole, ciascuna con la suaautonomia, la funzione prima esercitata dal corpo unico dell'amministrazione, le cuiarticolazioni periferiche sono sì distribuite sul territorio nazionale, e però sulla base diuna precisa subordinazione gerarchica e non dell'autonomia – ma il semplicedecentramento, soprattutto se mirato a fini amministrativi, finanziari, organizzativi,non comporta cambiamenti di cultura.Ed eccoci al paradosso. Abbiamo visto alcune delle forti difficoltà con cui l'attivitàdi istruzione si rapporta alla gestione amministrativa <strong>della</strong> <strong>scuola</strong>, e abbiamo anchevisto che la legge sull'autonomia delle istituzioni scolastiche prevede l'autonomiadell'attività di istruzione dall'amministrazione, ma in contraddizione con tutto questo- e con il fatto che alla predetta legge il legislatore ha fatto seguire prima unregolamento in totale coerenza con essa e poi, fatto ancora più importante,l'introduzione del principio dell'autonomia delle istituzioni scolastiche nella Cartacostituzionale - nulla, o quasi, è cambiato e nulla, o quasi, sta cambiando 3 .2 A questa interpretazione ha certamente contribuito il basso profilo in cui i media, aldi là <strong>della</strong> impostazione generalista che li caratterizza, trattengono le informazionisulla <strong>scuola</strong> per carenza di competenze specifiche. Va aggiunto che l'annunciodell'autonomia è stato prevalentemente giocato, dal punto di vista <strong>della</strong>comunicazione ufficiale, sul piano <strong>della</strong> riforma dell'Amministrazione Pubblica intutte le sue diramazioni settoriali (e proprio questo è l'oggetto <strong>della</strong> L. 59/97, dettaanche "Bassanini" dal nome del ministro che ne ha presentato il disegno: ledisposizioni sull'autonomia ne occupano soltanto un articolo, il n. 21). Quella che sipresentava come una svolta senza precedenti <strong>della</strong> nostra storia scolastica, finiva cosìper ridursi ad effetto d'alone del dibattito, già allora molto acceso, sui progetti difederalismo. Insomma, il primo impatto dell'opinione pubblica con l'autonomia delleistituzioni scolastiche - il primo e il più importante, come si dice, e in questo caso amaggior ragione perché non è stato seguito da veri e propri rilanci - non è statoparticolarmente efficace.3 Il "quasi" è il doveroso riconoscimento del merito di quelle scuole, e soprattutto diquegli insegnanti, che hanno colto nel regolamento dell'autonomia l'occasione peresprimere il bisogno di una professionalità non standardizzata, e alimentata siadall'aggiornamento disciplinare sia dall’attenzione per la ricerca nel campo dellescienze dell'educazione, a partire dalla pedagogia. Si tratta di una minoranza nontrascurabile, anche perché dislocata un po' in tutte le arre del paese, a testimonianzadel fatto (documentato dalle edizioni 2003, 2003, 2004 del Rapporto Osservatorio


Avremo più avanti l'opportunità di valutare più aspetti di questo paradosso. Quipossiamo limitarci a individuare un ostacolo, probabilmente il più grosso, certamenteil più visibile, all'ingresso reale e fattivo dell'autonomia nella <strong>scuola</strong> <strong>italiana</strong>: si tratta<strong>della</strong> scarsità di informazioni e di motivazioni - in tutte le componenti, a partire daquella che esprime le competenze educative e culturali più elevate, e cioè gliinsegnanti - che impedisce di pensare la <strong>scuola</strong> in un quadro di significazioni e dioperatività diverso da quello che è.Questo ostacolo rappresenta anche un secondo aspetto del paradosso. Attualmentel'autonomia è presente in tutte le carte con cui è governata la <strong>scuola</strong>: oltre che nellalegislazione citata ricorre, ma a puro titolo di menzione obbligata e fuggente, anchenella L. 53/03 e in tutti i provvedimenti legislativi che vengono via via emanati inattuazione di essa. Ma non vive che a sprazzi all'interno <strong>della</strong> <strong>scuola</strong> reale 4 . L'unicacostante di riferimento per ricordarne a viva voce nelle scuole la sopravvivenza nelsolo ambito legislativo, è appunto il fatto che in tutte le aule è ben vivo e funzionantel'ostacolo che ne ha sbarrato il cammino, e che è destinato a produrre ulteriori effettidi obsolescenza del sistema. E che, per scrupolo di esattezza rispetto ai dati di realtà,è preferibile definire, più che come ostacolo all'autonomia - la cui attuazione non èattualmente né proposta né caldeggiata con cognizione di causa da nessuno, né alivello di ufficialità né a livello di scrupolo pedagogico - con un'espressione piùtecnica. Del tipo, resistenza alla deburocratizzazione.[Per quanto riguarda l’atteggiamento del Governo in carica dopo le elezionipolitiche dell’aprile 2006 , e più precisamente del Ministero dell’istruzione(nuova denominazione, dopo il M.P.I. e il M.I.U.R.), rispetto al problemadell’applicazione <strong>della</strong> normativa sull’autonomia, occorre segnalare lanovità dei riferimenti a detta normativa in alcuni provvedimenti già definitivi(D.M. 47/06 sul ripristino e sull’aumento <strong>della</strong> quota di curricolo prevista dalD.P.R. 275/99; Legge di riforma dell’esame di Stato, del dicembre 2006), esoprattutto nella Finanziaria 2007. Si rimanda l’esame di tali riferimenti almodulo sulle riforme degli ordinamenti).LA DEBUROCRATIZZAZIONE PER ORA IMPOSSIBILEPer la <strong>scuola</strong>, considerata in tutte le sue componenti, e per il suo indotto, ladeburocratizzazione non corrisponde a nessuna istanza tanto diffusa da animare ilmilione abbondante di operatori e le decine di milioni di studenti e genitori.L'insofferenza per il regime burocratico ovviamente c'è: l'irreggimentazione di unamassa così imponente in una rete di norme e di regolamenti pervasiva come quellasulla <strong>scuola</strong> dell'autonomia <strong>della</strong> Luiss) che l'autonomia è un'esigenza avanzata mané riconosciuta né valorizzata.4 Lo stesso Osservatorio sulla <strong>scuola</strong> dell'autonomia <strong>della</strong> Luiss, dopo le prime tre indagini annualisui processi di applicazione dell'autonomia a partire dall'entrata in vigore del regolamento (indaginicon questionari di anno in anno diversi per esplorare in successione i riscontri a tutti gli aspettidell'autonomia, ma su un campione costante di mille scuole su diecimila funzionanti), constata lascarsità di variazioni nei risultati ottenuti, ha deciso di proseguire la propria attività di studiosull'autonomia delle scuole con altri strumenti.


che domina la vita di ogni <strong>scuola</strong> <strong>italiana</strong>, non può durare così a lungo se non alprezzo di una sopportazione generalizzata. Non servono convalide statistiche inmerito: si sopporta, e con crescente fatica, per mancanza di alternative conosciute.Compresa quella dell'autonomia, la cui "conquista" è stata notificata all'opinionepubblica con il massimo di genericità, e agli insegnanti con il minimo di convinzione,come già sappiamo.Occorre poi considerare che per la sensibilizzazione degli insegnanti nei confrontidell'autonomia, e soprattutto delle opportunità e delle prospettive che essa implica perla loro crescita professionale, anche la sola informazione, se venisse praticata,sarebbe tutt'altro che sufficiente. Spetta a loro l'impegno più gravoso nellaprogettazione, nella programmazione e nella attivazione e nel controllo di ogni sceltafatta in autonomia, e hanno bisogno di motivazioni. Anzi, spettano a loro lemotivazioni più forti - e riguardanti la retribuzione, la carriera, l'incentivazione allostudio e alla ricerca - perché la loro autonomia è quella didattica, che mette in mototutte le altre. Nell'attesa, però, non si dà sufficiente rilievo al fatto che fino ad oggi gliinsegnanti italiani hanno dovuto lavorare rapportandosi, spesso inconsapevolmente,più a principi di carattere amministrativo che a quelli elaborati dalla culturadell'educazione.Si diceva <strong>della</strong> sopportazione, ma è opportuno parlare anche di rassegnazione delmondo <strong>della</strong> <strong>scuola</strong> rispetto alla cappa, che lo sovrasta, del sedimentato e incombenteimpianto burocratico <strong>della</strong> <strong>scuola</strong>. Che viene passivamente accettato piuttosto checondiviso, in quanto raramente risulta compreso nelle sue connessioni e nelle suelogiche di dominio. Le masse adulte e giovanili <strong>della</strong> <strong>scuola</strong> non hanno il particolaretipo di cultura di coloro che le governano, e quindi stentano a trovare anche le paroleper descriverne il potere. Coma dimostra il caso <strong>della</strong> parola "buropedagogia".È un termine da usare con prudenza: lo si virgoletti, almeno inizialmente, perchénon è ancora entrato nella letteratura del settore, neppure nella più andante. È unaparola un po' imbarazzante, perché usata spesso in chiave di ironia nella stagione dipolemiche che precedette il varo <strong>della</strong> L. 59/97, e quindi sospetta di irriverenza versol'amministrazione. Eppure è insostituibile e preziosissima. Insostituibile perché nonha sinonimi più accreditati, almeno per ora, ed è faticoso sostituirla con perifrasidestinate a immediata dissolvenza. Preziosissima perché sta ad indicare l'operazionecon cui è stato creato l'arco, per metà burocratico e per metà pedagogico, su cui siregge la nostra <strong>scuola</strong>: è bastata l'autorità dello Stato, e cioè delle legge, per sancire lalegittimazione pedagogica di ciò che non era e non è né pedagogico né didattico:l'organizzazione burocratica dell’attività di insegnamento e di apprendimento. Unsaldo impasto di burocrazia e pedagogia: lo si può esaminare, come vedremo presto,nelle strutture portanti <strong>della</strong> didattica delle nostre scuole quali il programmaministeriale, la classe, lo schema settimanale dell'orario ecc.Il perdurare di questo quadro ha fatto sì che la burocratrizzazzione, da imposizioneesterna quale di fatto è, sia divenuta un semplice riflesso interno al sistema: vieneormai praticata non come adempimento, ma come una necessità operativa. La cultura<strong>della</strong> <strong>scuola</strong> <strong>della</strong> dipendenza, la <strong>scuola</strong> dell'insegnamento eterodiretto sia neicontenuti che nelle scelte metodologiche di fondo, è durata così a lungo da aver


permeato il sistema scolastico in tutti gli aspetti <strong>della</strong> sua attività: ha instaurato troppiautomatismi perché si possa sperare, anche ad autonomia realmente avviata, in unasua rapida eliminazione.È la stessa trama di adempimenti e di divieti di cui la buropedagogia si avvale arenderla inattaccabile: costituisce un apparato logico talmente strutturato che puòessere incrinato solamente da una visione <strong>della</strong> <strong>scuola</strong> altrettanto dotata di organicitàe coerenza quale è l'autonomia. Ma la consapevolezza degli erogatori e dei fruitoridel servizio scolastico relativamente al rapporto tra gli interessi e i compiti degli uni edegli altri è ancora così blanda, che nelle scuole non è ancora maturata una formacredibile di conoscenze e di competenze concernenti il POF, unico eserciziodell'autonomia che possa coinvolgere tutte le componenti scolastiche e molto davicino. Mentre la liberalizzazione del mercato <strong>della</strong> telefonia entusiasma anche ibambini, il confronto tra domanda e offerta di percorsi formativi è, nelle scuole, untète à tète tra i pochissimi che lavorano nell'ufficio di vice-presidenza. Si dirà: ma ache serve il POF se gli spazi per le scelte autonome sono così ridotti? si puòrispondere correttamente anche con un'altra domanda: e perché nessuno protesta perottenere spazi più ampi?È questo il momento in cui negli altri paesi occidentali, ma in qualche misura anchein Italia, si va affermando la convinzione che le riforme degli ordinamenti nonrisultano, e magari non possono più risultare, portatrici di reali innovazioni. A taleconvinzione si affianca quest'altra: per non subire la <strong>scuola</strong> di massa come unsemiparcheggio, e per valorizzarla per quello che è, e cioè come serbatoio di risorse,sono indispensabili le riforme rivolte a cambiare radicalmente il rapporto tra alunno,docenti e saperi, come appunto propone ovunque l'autonomia. Ma ci sono in Italiaorganizzazioni - culturali, associative, partitiche, confessionali, categoriali - chevogliano invitare la gente, e magari anche soltanto i politici, a parlare di queste cose?La gerarchia amministrativa è uscita ridimensionata dall'ormai lunga econtraddittoria vicenda <strong>della</strong> riforma del Ministero, compresa nel pacchetto ditrasformazioni richieste dalla legislazione sull'autonomia. Ma è ridimensionata piùdalla percezione psicologica di se stessa che dalla potatura dei vecchi poteri. È purvero che una non proprio vaga percezione del declino <strong>della</strong> gerarchia amministrativacircola anche nelle scuole, forse come unico vero effetto <strong>della</strong> L. 59/97, ma occorreben altro per arrivare ad una reale inversione di tendenza.LA SCUOLA DELLA DIPENDENZAGestione centralizzata del sistema di istruzione vuol dire che il potereamministrativo centrale è in grado di arrivare a questi livelli di regolamentazionedell'attività di istruzione: scegliere le discipline di insegnamento per i gradi e i tipi di<strong>scuola</strong>, indicarne i contenuti da assumere come materia di insegnamento, distribuirliper classi di livello, parcellizzarli nelle scansioni annuali, dettare gli schemi d'orariodelle lezioni, stabilire il numero degli alunni per classe, e infine regolamentarel'alternarsi di lezioni, prove orali e prove scritte, tempi e termini delle verifiche edelle valutazioni.


Il potere amministrativo centrale, sia che utilizzi fino in fondo questo schema, siache lasci maglie più larghe, ha come fine la determinazione precisa degli spazi esiguiin cui docenti e dirigenti possono esercitare la loro discrezionalità decisionale. Mira agestire un sistema chiuso, di cui determinerà anche le eventuali variazioni. L'esattocontrario dell'autonomia, il cui carattere processuale è rivolto alla moltiplicazionedelle dinamiche interne alla vita <strong>della</strong> <strong>scuola</strong>, e ai rapporti tra le competenzeprofessionali che agiscono in essa. L'autonomia prevede una organizzazione <strong>della</strong>voro in termini di flessibilità perché non c'è nulla né di stabile né di uniforme - esoprattutto è bene che non ci sia - tanto nei bisogni formativi degli alunni quantonella vita culturale e professionale del docente.…Infatti nella trama di operazioni che sopra abbiamo descritto non si vedono criteriche possano essere considerati espressione di elaborazioni <strong>della</strong> ricerca educativa, eche possano assurgere al rango di "termine fisso di eterno consiglio".La somministrazione di conoscenze preordinate, e intrinseche esclusivamente allamateria di studio prestabilita dai programmi, è in rotta di collisione con la rivoluzionedelle scienze cognitive esplosa nella seconda metà del secolo scorso. Attualmente,data l'accelerazione dei ritmi <strong>della</strong> ricerca, i programmi nascono vecchi, el'articolazione sequenziale li rende incompatibili con qualsiasi forma diindividualizzazione o di personalizzazione dell'insegnamento.Se ben si considera, sono proprio i programmi lo strumento per attivare tutti gli altrimeccanismi che possono assicurare ad un potere centrale il dominio e il controllodell'attività di istruzione. Attraverso la parcellizzazione sistematica dei contenuti, iprogrammi consentono la distribuzione di tutti i momenti dell'attività diinsegnamento e apprendimento in quella successione lineare di fasi di attività chetende ad equiparare la <strong>scuola</strong> ad una catena di montaggio. Ed è così che laelaborazione in sede ministeriale dei programmi, se anche può comprendere momentiimpegnativi di lavoro culturale, si ispira sostanzialmente a logiche di ingegneriaburocratica. Come burocratica è l'adozione dei libri di testo, che riproducono epropongono i contenuti previsti dai programmi, e soltanto per questo, pur essendo ingenere materiale di terza o quarta mano, devono esse preferiti ai testi d'autore.L'avvicendamento sistematico di più materie di studio nell'ambito <strong>della</strong> mattinata,secondo i tradizionali orari a schema fisso, è ostativa degli sforzi di concentrazione edi approfondimento che gli alunni possono compiere. Del pari, mortifica la capacitàdi elaborazione culturale e metodologica che il docente può e deve esprimere incorrispondenza delle potenzialità degli allievi (sia sul piano degli apprendimenti, siasu quello delle competenze già acquisite e <strong>della</strong> disponibilità psicologica rispetto aisingoli contenuti).Che il gruppo-alunni debba identificarsi soltanto nella classe, preconfezionatarispetto allo svolgimento di ogni attività educativa, e destinata a durare quanto ogniciclo di studi, non è conclusione, o intuizione, di tipo pedagogico. La collaborazionee l'affiatamento tra compagni di corso sono da ricercare in relazione agli altrielementi di contesto che possono costituire un ambiente educativo; l’istituto <strong>della</strong>classe può ricevere apprezzamenti soltanto dalla letteratura, soprattutto dallaletteratura del ricordo, e cioè dalla malinconia per gli anni verdi.


Il rapporto prestabilito tra lezioni, prove di verifica, periodicità delle valutazioniriduce notevolmente, per l'insegnante, la possibilità di scelte metodologiche di unaqualche consistenza. Gli è difficile uscire dal triangolo costituito da lezione frontale,studio sul libro di testo, interrogazione e compito scritto. Infatti, ogni iniziativarivolta a incardinare l'insegnamento su manifestazioni di curiosità intellettuale deglialunni, o a superare l'astrattezza e la rigidità delle logiche del programma, rischia dicompromettere lo svolgimento di quest'ultimo e di creare situazioni di illegittimità.Se poi ci si chiede da quale modello organizzativo, da quale tipo di esperienza digoverno dei processi, da quale logica strategica siano stati derivati gli elementi <strong>della</strong>catena di montaggio che abbiamo esaminato, e che sono stati adottati in sostituzionedi scelte contenutistiche e metodologiche via via suggerite dalla cultura educativa, larisposta è semplice. Si tratta del più antico e del più collaudato dei modelli diorganizzazione, quello piramidale e a comunicazione unidirezionale (dall'alto inbasso) utilizzato dagli eserciti sin dall'antichità, e disegnato per consentire a pochi diordinare e controllare l'attività di molti. Fu l'ottocento il secolo in cui i sistemiscolastici centralizzati fiorirono un po' ovunque, e rimane celeberrimo l'entusiasmocon cui un ministro dell'istruzione francese, fissando lo sguardo sul suo cipolloneannunciava di poter rivelare l'argomento delle lezioni in corso in ogni tipo di <strong>scuola</strong>del suo paese. Potenza dei programmi.Non a caso la filiera armata-divisioni-reggimenti-battaglioni-compagnie è stataadottata dagli Stati anche per i loro apparati amministrativi (direzione nazionale,direzioni regionali, direzioni provinciali), dalla Chiesa cattolica, dalla stessa industria.Da decenni questo modello è entrato in crisi ed ha subito le modificazioni piùsvariate, anche nelle strutture militari. Nella <strong>scuola</strong> resiste più che altrove, enemmeno chi nella pratica lo difende, ha poi il coraggio di dire che si tratta di unbuon segno.Il difficile rapporto <strong>della</strong> <strong>scuola</strong> con se stessaIL PROFILO STORICO DEL CENTRALISMO AMMINISTRATIVOLE IMPRESE DELL’ALFABETIZZAZIONENell'arco degli ultimi due secoli gli Stati nazionali, anche quelli di recenteformazione, sono riusciti ad alfabetizzare tutta la popolazione, e a dotare larga partedi essa di un patrimonio culturale di livelli superiori, attraverso l'attivazione disistemi scolastici centralizzati. Pochi, e concentrati nelle aree anglosassoni ocomunque protestanti del Nord Europa e del Nord America, i sistemi organizzati sullabase di scelte autonome rispetto al potere centrale. Per assicurare la regolarità difunzionamento di tutte le scuole, molti paesi hanno finito per imporre situazioni diuniformità attraverso apparati protesi a far rispettare le disposizioni del poterecentrale. Sul piano <strong>della</strong> valutazione storica l'esito positivo degli sforzi per la


scolarizzazione ha ripagato, anche se lo scarto tra scolarizzazione e istruzione èrisultato notevole, e se ne è avuta consapevolezza con molto ritardo.Le motivazioni <strong>della</strong> spinta alla scolarizzazione diretta dal centro furono spessodivaricate, anche per la diversità dei momenti e delle culture in cui venneroconcepite: industrialismo e filantropismo (Gran Bretagna), l’affermazione dello Statorepubblicano e laico (Francia)fiducia nel progresso dei sovrani illuminati (ImperoAustro-ungarico), sviluppo <strong>della</strong> macchina militare (Prussia), recupero repentino<strong>della</strong> rivoluzione industriale (Germania e Giappone), la difesa dell'unità nazionaleappena raggiunta (Italia). Anche i regimi totalitari del Novecento hanno impiegatoingenti risorse nella scolarizzazione, ma ne hanno esasperato il centralismo infunzione delle rispettive ideologie, e avevano come obiettivo la formazione non deicittadini ma dei sudditi.In generale l'estensione del centralismo statale all'attività scolastica è stata favoritanella fase iniziale e in quella intermedia dei processi di industrializzazione. Ledifficoltà sono intervenute quando l'accelerazione dello sviluppo tecnologico hacominciato a innescare i processi di rapida ed elevata qualificazione del lavoro, ed arendere necessario il raggiungimento di livelli più specifici di istruzione per latrasformazione <strong>della</strong> forza lavoro. L'esigenza di operare un'inversione di tendenzarispetto alla gestione centralizzata, e quindi uniforme, dell'istruzione, è emersaassieme a quella <strong>della</strong> formazione del capitale umano, e dell'ottimizzazione dellerisorse anche fortemente diverse che caratterizzano la <strong>scuola</strong> di massa.Lo scarto tra obiettivi ed esiti dell’attività scolastica è divenuto pressoché costante etalvolta molto forte. A determinarlo contribuiscono soprattutto le variabili implicitenel rapporto tra metodologie di insegnamento e stili di apprendimento, e soprattuttotra domanda e offerta delle tipologie di conoscenza. Si è così arrivati allaconstatazione che . Si parlasempre più di formazione in senso lato, e comprensivo anche dei significati dieducazione e istruzione, ma la scelta del termine è felice nella misura in cui ci siricorda che la <strong>scuola</strong> propriamente non forma, e piuttosto aiuta il giovane a formarsi.Lo dimostra la constatazione che gli sforzi di certe politiche autoritarie anche incampo scolastico possono sfociare nell'indottrinamento, ma anche in reazioni dideciso rifiuto del regime., RIVENDICAZIONE SECOLAREL'amministrazione scolastica <strong>italiana</strong>, per effetto <strong>della</strong> sua singolare estraneitàculturale ai processi educativi, ha finito per accentuare il suo isolamento, e quello delsistema <strong>scuola</strong>, rispetto agli orientamenti e alle strategie con cui in altri paesi avanzativiene gestito il servizio di istruzione.Val la pena di ribadire che tutte le valutazioni che stiamo esprimendo nei confrontidell'Amministrazione scolastica, in relazione sia al passato che al presente, nonriguardano la soggettività delle sue scelte: essa agisce in coerenza con i regolamentiche ha il compito di applicare e di far rispettare in tutti i settori affidati alla suagestione, e nei quali agisce esclusivamente in relazione alle sue competenzegiuridico-amministrative, e cioè a prescindere dalla natura e dalla cultura specifiche


di ciascun settore (molti dei funzionari dell'Amministrazione scolastica provengonodalle prefetture, dalla polizia e da qualsiasi altro servizio dello Stato).. .Quello che più importa è dare giusto rilievo al contrasto tra, da un lato, la natura delservizio scolastico, finalizzata alla diffusione dei saperi, dei principi educativi e deglistrumenti formativi all'interno di ciascuna generazione, e, dall'altro, la naturagiuridico-formale del servizio che l'Amministrazione presta nel governare la <strong>scuola</strong>come qualsiasi altra organizzazione dello Stato.Il protrarsi da un secolo all'altro dello stato di subordinazione <strong>della</strong> <strong>scuola</strong>all'amministrazione dello Stato è questione di responsabilità politica, ed ha radicilontane e composite. Basti pensare che il dettato <strong>della</strong> L. 59/97 sul passaggio <strong>della</strong>gestione dell'istruzione alle istituzioni scolastiche - in pratica alle professionalitàtecniche <strong>della</strong> <strong>scuola</strong> - presenta una evidente assonanza con il grido che una minoranza spontanea di deputati lanciava in Parlamentonei decenni successivi all'unificazione – ben oltre un secolo fa! – per denunciare lesofferenze <strong>della</strong> <strong>scuola</strong> affidata al regime amministrativo (per paura, se ne è già fattocenno, di strumentalizzazioni in occasione di rigurgiti antiunitari).Del resto la <strong>scuola</strong> elementare, lasciata ai comuni, non riuscì a ridurrel'analfabetismo se non quando, agli inizi del secondo decennio del novecento, passònell'ambito statale, che nel decennio successivo venne ampliato e rafforzato daGentile. Si è già visto che si deve alla riforma gentiliana - un patto <strong>scuola</strong>-Statoantitetico all'idea di patto <strong>scuola</strong>-società <strong>della</strong> fine del 1990 - che si devel'incardinamento coerente e totale <strong>della</strong> <strong>scuola</strong> nell'Amministrazione (i famosi regidecreti degli anni 1923-2 5!).Si propone ora qualche riflessione aggiuntiva sugli effetti che tale incardinamentoha fatto registrare successivamente. Il punto di riferimento è il fatto che la riformaGentile ha mantenuto la propria impronta per tre quarti di secolo non solo sul LiceoClassico, il suo modello esemplare di <strong>scuola</strong>, ma anche su tanta parte <strong>della</strong> <strong>scuola</strong><strong>italiana</strong>. Per quali ragioni? Per i ritardi <strong>della</strong> nostra politica e <strong>della</strong> nostra cultura nellainterpretazione dei fenomeni evolutivi del novecento? Per il permanere in molti strati<strong>della</strong> classe media, nonostante i successi dell'industrializzazione, di quella ruralitàottocentesca cui Gentile si ispirava? Nessuna di queste ipotesi è da scartare, ma forseè anche opportuno aggiungere che tanta longevità è in buona misura dovuta allacorazza burocratica che fu costruita attorno alla riforma del 123 non tanto dal filosofosuo creatore, quanto dai suoi immediati successori, fedeli interpreti del proposito diMussolini di fidarsi più <strong>della</strong> correttezza dell’Amministrazione che <strong>della</strong> stessapolitica fascista.Con la stessa corazza, del resto, si è protetta la politica scolastica del secondodopoguerra. Alle urgenze <strong>della</strong> ricostruzione post-bellica, alle altre che irrupperosulla scena con l'esplosiva scolarizzazione degli anni sessanta/settanta, e allaendemica spaccatura politica del paese, sono da addebitare una parte delle cause delprotrarsi <strong>della</strong> dipendenza <strong>della</strong> <strong>scuola</strong> dalla burocrazia. L'altra parte è da addebitarealle forze politiche, timorose e in parte sprovvedute di fronte alle necessità dimodernizzazione. Pari addebito va mosse alle forze culturali, in primo luogo quelle


accademiche, che non hanno fornito tempestive e adeguate motivazioni per gliinterventi di modernizzazione di cui la <strong>scuola</strong> ha bisogno.Un altro importantissimo particolare: l'Amministrazione scolastica, che nelventennio fascista ha di fatto garantito larghi spazi promozionali all'ideologia delregime 5 , nella seconda metà del secolo ha garantito, anche nei momenti più bui delloscontro politico e sociale, un indiscutibile regime di libertà, imperniato sullaconsapevolezza del ruolo delle regole. Non si è in contraddizione a notarlo. Nella<strong>scuola</strong> il momento giuridico-formale ha effetti negativi quando si inserisceimpropriamente nelle dinamiche professionali, ma ha effetti rassicuranti quando sonoin gioco altri valori come la democrazia e la libertà. Questo riconoscimento nulladeve togliere, ovviamente, alle scelte compiute dai ministri del periodo per garantirealla <strong>scuola</strong> libertà di cultura.IL NODO GORDIANO DEL PRINCIPIO DI IMPARZIALITÀAbbiamo finora parlato dei rapporti tra istruzione e gestione amministrativoburocratica<strong>della</strong> <strong>scuola</strong> partendo dall’istruzione e registrando gli effetti <strong>della</strong>gestione burocratica su di essa. È però utile anche procedere in senso inverso, e alloscopo torna utile riprendere le mosse dal testo dell’art. 97 <strong>della</strong> Costituzione, cheindica natura, finalità e principi <strong>della</strong> Pubblica Amministrazione (v. box apposito).Anche il “buon andamento” dell’istruzione, dunque, è assicurato dal rispetto delle“disposizioni di legge” da parte delle scuole, e non dall’applicazione di principieducativi adeguati (adeguati agli allievi, al contesto scolastico e territoriale). Diconseguenza, le finalità perseguite dal legislatore nelle sue decisioni rispetto alsistema scolastico sono state tradizionalmente due.La prima. Predeterminare, attraverso le “disposizioni di legge”, quanto più erapossibile delle scelte delle scuole in materia di insegnamento; di qui ilcondizionamento forte e uniformante che sulle scuole <strong>della</strong> dipendenza esercitano,come abbiamo visto, le disposizioni su contenuti e metodi <strong>della</strong> trasmissione culturale(su programmi, libri di testo, orari, lezioni, verifiche ecc.) e quelle sulle forme dicontrollo (la registrazione delle lezioni, delle interrogazioni, dei compiti scritti rende“atto d’ufficio” ogni forma di attività educativa).La seconda. Coprire tutti i punti chiave del sistema scolastico, proprio tutti, conaltrettanti presìdi <strong>della</strong> cultura giuridico-amministrativa espressa ufficialmente dalloStato. Questa è la ragione per cui la parte alta dell’ordine gerarchico del sistemascolastico, sia a livello centrale che a quello periferico, è sempre stata ricoperta da5 Anzi, secondo una delle più note tesi del maggiore storico italiano del fascismo,Renzo De Felice, Mussolini avrebbe affidato la fascistizzazione dello Stato non alP.N.F (partito nazionale fascista) e ai suoi gerchichi, o alla M:V:SN (miliziavolontaria per la sicurezza nazionale), e quindi non alle sue creature, ma proprio allapreesistente Amministrazione, alle sue competenze, peraltro maturate per intero nelloStato liberale, e alla sua lealtà verso il potere costituito, e quindi anche verso il poterefascista.


funzionari provenienti da studi e carriera esclusivamente amministrativi. Obiettivoevidente: stabilire un canale diretto, e omogeneo in tutti i suoi tratti quanto a pensieroe a linguaggio, tra il momento legislativo e quello amministrativo.È evidente che in sede di applicazione delle disposizioni predette si registrerà,almeno in potenza, la contraddittorietà <strong>della</strong> compresenza delle due ottiche: quellagiuridico-formale, e per principio di legge vincente, affidata alla gerarchiaamministrativa (che finché ci saranno i programmi, e gli altri vincoli che ne derivano,continuerà ad avere il suo ultimo anello nel dirigente scolastico); e quella educativodidattica,e per principio in sottordine, affidata agli insegnanti (che, fino a quando cisaranno i programmi e non l’autonomia didattica, avranno spazi residuali elimitatissimi di libertà di insegnamento). L’ottica giuridico-formale tenderà a cercarele possibilità applicative in coerenza esclusiva con la sua specificità, e cioè quellededucibili dalla norma. L’ottica tecnica (tecnica scolastica, nel caso) tenderà anche aindividuare tante altre possibilità – tutte connesse o alle dotazioni culturali eprofessionali dei docenti, o alle potenzialità e ai bisogni formativi degli allievi, o amomenti significativi dell’attività culturale –, ma non potrà fare altro chedimensionarle in funzione del rispetto <strong>della</strong> norma, in ogni caso prevalente. Per laprima ottica l’idea guida è la coerenza con il profilo giuridico del problema daaffrontare, per la seconda è – o, per meglio dire, sarebbe - la crescita dei livelli diistruzione attraverso la pluralità di soluzioni richieste dai <strong>problemi</strong> reali.Per quanto riguarda il momento legislativo, è evidente che difficilmente potràrisultare diverso fino a quando le logiche <strong>della</strong> Pubblica Amministrazione avranno unruolo di governo nel sistema scolastico.Non è questione da poco, visto che la totale burocratizzazione dell’Amministrazionescolastica trova scarsi riscontri nei sistemi scolastici di altri paesi, e vista soprattuttola rilevanza degli effetti che essa produce. Tra i quali forse il più scoraggiante risultala particolare applicazione in sede scolastica che l’Amministrazione dà, o è costretta adare, del principio di imparzialità, indicato dall’art. 97 <strong>della</strong> Costituzione comeispiratore fondamentale <strong>della</strong> correttezza amministrativa per ragioni che sarebbepleonastico anche soltanto elencare.È del tutto evidente che nella prassi amministrativa ordinaria il principio diimparzialità richiede il massimo grado di uniformità formale e sostanziale degli atti,ma è altrettanto evidente che laddove si tratti di attività di insegnamento, taleuniformità, anche a volerla considerare compatibile con i principi da cui l’azioneeducativa e didattica non può prescindere, è praticabile soltanto al prezzo di unaformalizzazione totale di tutte le scelte operative e valutative che i docenti possonofare, individualmente e collegialmente. Intendendo per formalizzazione totale lamessa in secondo ordine di tutti gli altri punti di attenzione, culturali e professionali,che la <strong>scuola</strong> richiede. Come dimostrano le incursioni del T.A.R. in situazioni diversedi singole scuole.La violazione del principio di imparzialità può essere infatti oggetto di ricorso alT.A.R. anche per la mancata applicazione di un comma di una circolare ministerialedel tutto marginale quanto a sostanza, oppure per una imprecisione ancheformalmente banale nella verbalizzazione di un caso di non promozione in sede di


esame o di scrutinio finale. E il ricorso, se accolto dal T.A.R., annulla la delibera<strong>della</strong> <strong>scuola</strong> e, soprattutto, il significato educativo di tutte le attività didattiche che inquella delibera hanno trovato espressione. I ricorsi al T.A.R. sono frequenti nelle areedi utenza economicamente privilegiata, dati i costi che essi comportano, e diconseguenza possono rappresentare, se accolti, una discriminazione sociale in nomedel principio di imparzialità.C’è poi da porsi il problema <strong>della</strong> praticabilità dell’autonomia didattica, così comeè prevista dalla legge, in relazione all’applicabilità del principio di imparzialità cosìcome viene ordinariamente inteso dal T.A.R.. C’è infatti da chiedersi come potrannoessere conciliate con il principio di imparzialità tutte le scelte di metodologiadidattica caratterizzate dal , e quindi dalla flessibilità dei curricoli, degli orari e del gruppo-alunniprevista, complessivamente o con specifiche indicazioni, dal D.P.R. 275/99(regolamento dell’autonomia). Esempio principe la didattica modulare, checomprende quella per progetti, che è la scelta innovativa tra le più frequenti inEuropa. Ci sarebbe anche da chiedersi perché il legislatore dell’autonomia non si èaccorto di questo problema, e non abbia precisato che in regime di autonomial’imparzialità del docente sta nelle scelte chiare e appropriate, e quindi diverse senecessarie, che egli compie in relazione a ciascuno degli alunni....Ma tutte queste puntualizzazioni critiche possono anche essere considerate se nonproprio marginali, almeno di rilevanza limitata rispetto a quest’altra: in forza del delprincipio di imparzialità, il T.A.R., pur essendo esterno al sistema di istruzione,svolge, e nel modo che abbiamo visto, l’unico servizio di verifica e di valutazionedell’attività delle singole istituzioni scolastiche. E risulta pertanto uno dei baluardipiù significativi <strong>della</strong> resistenza alla deburaocratizzazione.

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