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sfogliabile speciale maggio

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C<br />

i siamo impegnati a parlare di concretezza e per<br />

questo vi presento un particolare sotto-insieme di<br />

rifugiati ambientali, molto meno conosciuto, che<br />

Survival chiama i “rifugiati della conservazione”.<br />

Il fenomeno riguarda i popoli indigeni in modo particolare e<br />

si configura oggi, certamente, come una grave emergenza<br />

umanitaria.<br />

Cambiamenti climatici<br />

Sappiamo tutti che i popoli indigeni sono più esposti ai cambiamenti<br />

climatici di chiunque altro al mondo. Abitano infatti le regioni della<br />

Terra dove il loro impatto è <strong>maggio</strong>re; basti pensare a quello che sta<br />

accadendo nell’Artico, in Amazzonia, nelle isole dell’Oceano Pacifico.<br />

L’impatto è amplificato dal fatto che i popoli indigeni dipendono in<br />

larga parte, o esclusivamente, dall’ambiente che li circonda per il loro<br />

sostentamento e la loro cultura. Lo stile di vita degli Inuit ad esempio,<br />

dipende totalmente dal ghiaccio, che ora si sta sciogliendo. La caccia<br />

e la pesca sono diventati più difficili, viaggiare da un villaggio all’altro<br />

più pericoloso, la stabilità delle abitazioni più precaria. La situazione è<br />

diventata così grave che tanti villaggi della costa stanno febbrilmente<br />

cercando di capire dove poter spostare intere comunità.<br />

Ma altrettanto significativo, anche se poco riconosciuto, è l’impatto<br />

che le misure adottate per fermare i cambiamenti climatici stanno<br />

avendo, o potrebbero avere, sui popoli indigeni. Spesso, queste<br />

“misure di mitigazione” violano i loro diritti e facilitano la rivendicazione,<br />

lo sfruttamento e, in alcuni casi, anche la distruzione delle<br />

loro terre da parte di governi e compagnie – con gli stessi effetti<br />

devastanti dei cambiamenti climatici stessi.<br />

Tra alcune di queste misure di mitigazione posso citare:<br />

• La produzione di biocarburanti<br />

• L’energia idroelettrica<br />

• La conservazione, specialmente quella delle foreste<br />

• La compensazione delle emissioni di carbonio<br />

Tutti conoscono ormai il terribile impatto socio ambientale dell’espansione<br />

delle coltivazioni di biocarburanti nel mondo. Ma che<br />

dire appunto delle misure di conservazione?<br />

Rifugiati della conservazione<br />

Nel mondo esistono oggi oltre 200.000 aree protette, pari a<br />

quasi il 15% della terra emersa. Anche se è impossibile fare<br />

stime precise, le persone che sono state sfrattate dalle loro case<br />

nel nome della conservazione, o che vivono sotto la minaccia<br />

incombente di sfratto, sono molti milioni.<br />

Li chiamiamo “rifugiati della conservazione” e la <strong>maggio</strong>r<br />

parte sono popoli tribali. Non è un caso, infatti, se l’80% della<br />

biodiversità terreste si trova nei territori dei popoli indigeni, e<br />

la stragrande <strong>maggio</strong>ranza dei 200 luoghi a più alta biodiversità<br />

sono terra indigena. Secondo il recente rapporto del Relatore<br />

Speciale ONU sui Popoli indigeni, il 50% delle aree protette sono<br />

state stabilite in territori tradizionalmente occupati e utilizzati<br />

da loro.<br />

Le aree protette si differenziano per il grado di restrizioni a cui<br />

sono soggette ma, spesso, chi dipende dalle risorse dei parchi si<br />

vede ridurre drasticamente ogni attività. I popoli tribali devono<br />

cambiare stile di vita e/o trasferirsi altrove, il legame con i territori<br />

e i mezzi di sostentamento viene reciso, e le possibilità di scelta<br />

che gli vengono lasciate sono spesso nulle, o quasi, anche se la<br />

ricchezza naturale di quei luoghi la dobbiamo proprio a loro e<br />

alle loro sofisticate tecniche di gestione.<br />

Poche comunità sono disposte a rinunciare volontariamente a<br />

tutto il loro mondo. E quando resistono, le conseguenze sono gravi.<br />

Ovunque, i popoli indigeni che si oppongono alla perdita delle terre e<br />

delle risorse ancestrali a favore delle aree protette denunciano pestaggi,<br />

arresti arbitrari, persecuzioni e persino torture.<br />

In risposta alle critiche, molte organizzazioni conservazioniste sono<br />

state costrette a varare politiche speciali sui popoli indigeni. Sulla<br />

carta, questi codici di condotta sottolineano la necessità di ottenere<br />

il consenso libero, previo e informato dei popoli indigeni prima di<br />

avviare la creazione di un’area protetta. Spesso riconoscono anche il<br />

diritto delle tribù a continuare a utilizzare le risorse naturali locali.<br />

Tuttavia, nella pratica, non vengono quasi mai rispettati.<br />

In Camerun, ad esempio, le squadre anti-bracconaggio perseguitano<br />

regolarmente i “Pigmei” Baka sorpresi nella foresta da cui sono stati<br />

estromessi; in India, invece, gli indigeni continuano a essere sfrattati<br />

per far spazio alle riserve delle tigri, che loro hanno sempre contribuito<br />

a proteggere. Nel giugno scorso, un guardaparco ha sparato a un<br />

bambino indigeno di sette anni, ferendolo gravemente. È accaduto<br />

nel famigerato parco nazionale di Kaziranga, dove vige la politica<br />

di sparare a vista contro chiunque sia sospettato di bracconaggio.<br />

Al suo interno cinquanta persone sono state uccise extragiudizialmente<br />

nel corso degli ultimi tre anni. Molti indigeni denunciano di<br />

essere colpiti anche solo se entrano nei confini delle aree protette<br />

per recuperare un animale domestico sfuggito, o raccogliere erbe<br />

medicinali. In un altro incidente, ad esempio, un uomo indigeno<br />

gravemente disabile è stato ucciso mentre era alla ricerca di una<br />

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