sfogliabile speciale maggio
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mucca che si era allontanata.<br />
In Botswana, lo scorso agosto, i guardaparco hanno sparato dall’elicottero<br />
contro nove Boscimani che stavano cacciando antilopi solo<br />
per sfamare le famiglie. Poi sono stati arrestati, denudati e picchiati<br />
con l’accusa di bracconaggio. Poco più in là, i collezionisti di trofei<br />
sono invece incoraggiati legalmente a cacciare animali protetti in<br />
cambio di denaro. Nel 2006, dopo un estenuante processo, la Corte<br />
Suprema del Botswana ha riconosciuti il diritto dei Boscimani a<br />
vivere nelle loro terre e a cacciare per la sussistenza, ma a dieci<br />
anni di distanza, il governo continua a rifiutare di rispettare gli<br />
ordini del suo stesso tribunale. La <strong>maggio</strong>r parte di loro, quindi,<br />
oggi vive lontano da casa, in campi di reinsediamento governativi<br />
che i Boscimani stessi definiscono “campi di morte”.<br />
La verità è quindi molto scomoda: i popoli indigeni del mondo sono<br />
coloro che hanno contribuito di meno ad alimentare i cambiamenti<br />
climatici, ma ne sono tuttavia i popoli più colpiti.<br />
Ma come se ciò non bastasse, oggi si vedono anche violare<br />
i loro diritti e devastare le loro terre nel nome della lotta per<br />
fermare i cambiamenti stessi.<br />
Sfrattare i popoli indigeni dalle aree protette è sbagliato sotto qualsiasi<br />
punto di vista. Non solo è illegale e disumano, ma è anche controproducente<br />
perché i popoli indigeni sono i migliori conservazionisti.<br />
Serve un nuovo modello di conservazione rispettoso dei popoli<br />
indigeni, per tutta l’umanità. Senza popoli indigeni non c’è natura nè<br />
futuro. A quel punto, la collaborazione che ne seguirà potrà innescare<br />
il più importante progresso della storia verso un’autentica protezione<br />
dell’ambiente.<br />
Consenso libero, previo e informato - CLPI<br />
Oggi, a differenza del passato, esistono decine di leggi e convenzioni<br />
specifiche a tutelare i popoli indigeni, ma raramente vengono<br />
rispettate.<br />
Tra tutti questi diritti, quello che stenta più di ogni altro ad essere<br />
compreso e messo in pratica è quello al consenso libero, previo e<br />
informato su qualsiasi progetto possa avere un impatto sui loro diritti<br />
umani e territoriali, sulle loro terre o le loro risorse.<br />
Più che di un diritto in sé e per sé, si tratta di un prerequisito dei diritti<br />
umani, ovvero di una procedura di tutela senza cui non si potrebbe<br />
garantire ai popoli indigeni il godimento di molti dei loro fondamentali<br />
diritti umani, e in special modo quello all’autodeterminazione.<br />
Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, questo consenso<br />
deve essere appunto LIBERO da ogni forma di coercizione,<br />
intimidazione o manipolazione, per ovvie ragioni. Ma deve anche<br />
essere PREVIO, ovvero precedente al rilascio di qualsiasi autorizzazione<br />
perché una volta che un progetto è avviato, e sono stati investiti<br />
dei fondi, è virtualmente impossibile fermarsi. Infine, deve essere<br />
INFORMATO, cioè rilasciato solo a fronte di una precisa, reale e<br />
oggettiva identificazioni di tutti i possibili impatti del progetto in<br />
questione, sia positivi che negativi. Importante sottolineare anche<br />
che la consultazione dovrebbe essere culturalmente adeguata,<br />
cioè che dovrebbe avvenire rispettando le diverse forme di organizzazione<br />
indigena e i loro processi decisionali tradizionali. Farlo non è<br />
certamente facile, anche a causa delle naturali barriere linguistiche, ma<br />
resta comunque necessario.<br />
Il diritto al consenso è stato elaborato dal CERD (Comitato per l’Eliminazione<br />
della Discriminazione Razziale) alla fine degli anni ’90 e<br />
oggi è stato inglobato o riconosciuto da quasi tutte le istituzioni internazionali,<br />
dalla Convenzione 169 dell’ILO nel lontano 1989 alla<br />
Commissione Europea per i diritti umani all’ACHPR passando<br />
attraverso la Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni delle<br />
Nazioni Unite del 2007. Lo hanno riconosciuto anche istituzioni<br />
finanziarie, come la Banca Mondiale, secondo cui il CPLI è<br />
richiesto dai popoli indigeni in tre casi: impatti negativi su territori<br />
e terre indigene; reinsediamento involontario; impatti significati sul<br />
patrimonio culturale, essenziali per l’identità e gli aspetti culturali,<br />
cerimoniali, spirituali delle vite delle persone interessate<br />
(Environmental and Social Framework).<br />
Cosa molto rilevante, l’obbligo di ottenere il CPLI non riguarda<br />
solo gli Stati. Gli stati hanno il dovere di proteggere e tutelare i diritti<br />
umani così come le imprese sono tenute a rispettare i diritti<br />
umani indipendentemente dagli obblighi assunti dagli stati<br />
o dalla loro volontà o capacità effettiva di rispettarli. A dirlo<br />
sono, ad esempio, i Principi Guida delle Nazioni Unite su Imprese e<br />
Diritti Umani (commento al Principio 11):<br />
Gli strumenti legislativi dunque non mancano, ma devono<br />
essere rispettati. Per assicurare la sopravvivenza dei popoli<br />
indigeni e la loro prosperità è essenziale che la terra resti<br />
sotto il loro controllo. Survival sta facendo tutto il possibile<br />
per garantirlo e non si arrenderà fino a quando i popoli<br />
indigeni non saranno rispettati come società contemporanee,<br />
e i loro diritti umani tutelati.<br />
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