Piero Spila fattuale in cui agisce, dalla difficoltà e dalla fatica del suo farsi. Dunque un cinema che sin dall’inizio, Machorka-Muff (1962) da Heinrich Böll, fino a Operai, contadini (2001) da Elio Vittorini, a Kommunisten, work in progress presentato al Festival di Locarno del 2014, coerentemente fa tabula rasa di tutte le stratificazioni preesistenti (stilistiche, linguistiche, sonore, figurative, narrative) per mettere in atto una provocazione rivolta prima di tutto allo spettatore, sollecitato a compiere uno scarto decisivo che lo liberi dalla posizione di subalternità rispetto allo schermo e lo metta nelle condizioni ideali per esercitare il suo sguardo. Non narratività («il cinema - dice <strong>Straub</strong> - non deve perdere tempo a raccontare storie con le immagini»), non emozioni facili e a colpo sicuro («non siamo responsabili delle emozioni del pubblico»), fuori da ogni star system, nessun tornaconto del dare e dell’avere, «le immagini e i film non sono monete di scambio». Semmai le immagini sono un viatico da mettere a frutto e valorizzare. Se si vuole. È un bel punto fermo da cui partire. Mentre il cinema internazionale di consumo, opulento di risorse e senza più desiderio, ipertrofizzato dalla pubblicità, autoreferenziale nel linguaggio, si avvia in tutt’altra direzione, assomigliando sempre più a se stesso e dunque annunciando ogni volta la sua fine, mentre il Sistema dell’audiovisivo isola, assorbe e metabolizza anche le eccezioni e le ipotesi di marginalità, <strong>Straub</strong>-<strong>Huillet</strong> prima, e <strong>Straub</strong> poi da solo, hanno continuato a percorrere la loro strada di autori, isolati e irriducibili (un termine che solo le cronache giudiziarie hanno reso negativo), senza inseguire gli eventi, le mode, le consuetudini, 16
<strong>Straub</strong>/<strong>Huillet</strong> ● <strong>Cineasti</strong> <strong>italiani</strong> Sicilia! (1988) 17