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<strong>Straub</strong>/<strong>Huillet</strong> ● <strong>Cineasti</strong> <strong>italiani</strong><br />
tradizionali punti di forza, afferma la sua alterità, il suo traumatico<br />
scostamento dall’uso corrente (e corrivo, direbbe <strong>Straub</strong>) della<br />
cinematografia e delle sue consuete «monete di scambio»<br />
(metafora, polivalenza, allusione, enigma, suspense,<br />
autobiografia).<br />
In sintesi, è quanto più volte sostenuto da <strong>Straub</strong>, secondo cui<br />
l’immagine cinematografica non serve a contrattare un<br />
tornaconto o a instaurare un terreno di confronto, è invece un<br />
dono che, a determinate condizioni, può essere messo<br />
convenientemente a frutto grazie alla sua natura “destrutturata”<br />
e al trauma operato in uno dei processi più radicali della visione:<br />
per poter avere qualcosa di più o anche di meno, certamente di<br />
diverso, da ciò che la piatta rappresentatività della realtà può<br />
offrire (il saldo narrativo, il dato realistico, a cui lo spettatore del<br />
cinema è condannato). Non è cosa da poco. Sta qui, infatti, il<br />
sentimento non so se del miglior cinema possibile, certamente di<br />
quello destinato a sopravvivere a qualsiasi celebrazione.<br />
I personaggi/gli spettatori<br />
I personaggi dei film di <strong>Straub</strong>-<strong>Huillet</strong> non si fanno illusioni, non<br />
credono alle promesse di nuovi mondi né alle prospettive incerte<br />
della democrazia borghese, hanno invece il sentimento<br />
incombente di un’ennesima sconfitta a cui ci si può opporre solo<br />
resistendo: alle minacce della storia, alle infamie del tempo, alle<br />
strade mille volte percorse dell’esilio. Cinema non-riconciliato,<br />
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