«Come allenatore iniziai nel 1983. All’SC Zugo avremmo dovuto allenarci per otto ore al giorno!» Ottmar Hitzfeld
Foto: Eva-Maria Züllig Szvircsev, che era un eccellente giornalista sportivo e un amabile artista della vita. Già nel 1980 contribuì al mio trasferimento da Lugano a Lucerna. Nei colloqui con Miklos predominava uno scambio di pensieri basato sulla competenza tecnica, abbinato a un interesse reciproco sul piano umano. Il mio amico ungherese fu un importante interlocutore soprattutto quando si trattò di concludere la carriera di professionista e di affrontare il periodo successivo. Infatti, dopo 147 partite e 86 reti per il FC Lucerna appesi le scarpe al chiodo. Il calciatore Hitzfeld entrava nell’album dei ricordi. Che fare? Accarezzai l’idea di darmi all’insegnamento, in fondo era il mestiere che avevo imparato. Miklos mi incoraggiò a rimanere fedele al calcio. Non so cosa lo convinse a ritenere che come allenatore avrei avuto successo. Mi lanciai nell’avventura calcio, ma vincolandola a una condizione ambiziosa: «Se entro cinque anni non sarai uno dei tre migliori allenatori della Svizzera, cambi mestiere e fai l’insegnante». Provate a immaginare: al termine di ogni partita la signora Beckenbauer pulisce di persona le magliette delle star del Bayern. E la stessa squadra, allenatori e manager inclusi, si ripartisce su un paio di vetture per recarsi agli incontri di Bundesliga. Eppure all’SC Zugo, dove iniziai la carriera di allenatore nel 1983, la situazione era proprio questa! Oltre a pigiarsi nelle automobili per recarsi in trasferta ci si affidava alla buona volontà della signora Hofstetter, che in quanto moglie del presidente provvedeva personalmente affinché i giocatori, nella partita successiva, potessero indossare una maglietta pulita. I presupposti a Zugo, per me come neofita, non erano male. Avevo a disposizione un team di 18 giocatori. Il presidente Werner Hofstetter garantiva il denaro, gli ambiziosi responsabili della società avevano definito un chiaro obiettivo: al più tardi entro tre anni l’SC Zugo avrebbe dovuto giocare in lega nazionale A. Il mio primo anno di allenatore fu caratterizzato da accese discussioni con il presidente. Il mecenate Hofstetter, un impresario edile a capo di 110 dipendenti, riteneva ad esempio che i giocatori dovessero allenarsi per otto ore al giorno. Trovare un modus vivendi con il presidente, una persona eccentrica e aperta ma anche poco propensa ai mezzi toni, fu un compito gigante- sco. A ciò si aggiunse il difficile cambiamento di ruolo. Ora ero allenatore, dovevo assumermi responsabilità, prendere decisioni, dimostrare di saper condurre e convincere. A Zugo mi resi presto conto di un fatto valido ancora oggi: tutti i litigi, tutte le sconfitte di una stagione vengono dimenticati in un batter d’occhio se conquisti il titolo. A chi interessava che nella primavera del 1984 languivamo a metà classifica quando, tre mesi dopo, l’SC Zugo festeggiava la promozione in lega nazionale A? Vincitore di coppa con il FC Miracolo Ciononostante cambiai società. I tifosi del FC Aarau volevano a ogni costo che sulla panchina arrivasse Willy Sommer, un allenatore di esperienza. Il presidente Peter Treyer puntò tuttavia sull’illustre sconosciuto proveniente da Zugo. Nella partita contro il Grasshopper sembra che in tribuna Günter Netzer si sia informato sul nome dell’allenatore dell’Aarau, poiché voleva sapere «chi è che insegna un calcio così moderno a questa squadra di provincia». Eravamo i giovani selvaggi. Giocavamo in modo audace e spensierato, rischiavamo ogni volta praticando la Ottmar Hitzfeld Nascita | 12 gennaio 1949 a Lörrach Professione appresa | Insegnante di matematica e sport Tappe da giocatore | Tus Stetten (1960–67), FV Lörrach (1967–71), FC Basilea (1971–75), VfB Stoccarda (1975–78), FC Lugano (1978–80), FC Lucerna (1980–83). Successi da giocatore | Campione <strong>svizzero</strong> nel 1972 e 1973, vincitore della Coppa nel 1975, capocannoniere nel 1973; partecipazione alle Olimpiadi nel 1972. Tappe da allenatore | SC Zugo (1983–84), FC Aarau (1984–88), Grasshopper Club di Zurigo (1988–91), Borussia Dortmund (1991–98), Bayern di Monaco (dal 1998). Principali successi da allenatore | Campione <strong>svizzero</strong> nel 1990 e 1991, vincitore della Coppa nel 1985, 1989 e 1990; campione tedesco nel 1995, 1996, 1999, 2001 e 2003; vincitore della Coppa tedesca nel 2000 e 2003; vincitore della Champions League nel 1997 e 2001; vincitore della Coppa Intercontinentale nel 1997 e 2001. CALCIO trappola del fuorigioco, svolgevamo un pressing estremo, partivamo in rapidi contropiedi: preferivo vincere 4-3 piuttosto che 1-0. Nel 1985 il FC Miracolo vinse addirittura la finale di Coppa contro il Neuchâtel Xamax. Nel 1987 dovevamo assolutamente vincere sul campo dell’Etoile Sportive Malley per non retrocedere. Ci riuscimmo; ma all’inizio il 18enne Stéphane Chapuisat seminò scompiglio nella nostra difesa. Il suo inimitabile modo di giocare mi impressionò. Più tardi lo portai con me a Dortmund. Sapevo benissimo che nel calcio <strong>svizzero</strong> il nobile Grasshopper Club di Zurigo è odiato e temuto, una squadra cui si dà sempre la caccia. Ma nel 1988 questa società costituì proprio la sfida giusta di cui avevo bisogno per migliorarmi sul piano sportivo. Sapevo di firmare per la prima volta per una grande società. I titoli non sono una sensazione bensì un obbligo, e il pubblico di Zurigo è piuttosto freddo. Sul piano umano dovevo vedermela con il capitano Andy Egli, il quale era tutt’altro che entusiasta del mio ingaggio quale allenatore delle Cavallette. Nell’interesse degli obiettivi sportivi comuni restammo però assieme. Il successo ci diede ragione. In tre anni vincemmo quattro titoli. A Zurigo dovetti però dare impulsi diversi. Addio calcio spensierato: ciò che contavano erano i risultati e i titoli conquistati. Già nel marzo del 1989 i responsabili dei «Diavoli Rossi» volevano ingaggiarmi a Kaiserslautern. Un anno più tardi trattai con una delegazione di Mönchengladbach. A spuntarla, nel maggio del 1991, fu infine il Borussia Dortmund. In tutti questi anni al Borussia Dortmund e al Bayern di Monaco il mio rapporto emotivo con la Svizzera è rimasto intatto. In Svizzera, non importa dove mi trovi, la gente mi accoglie sempre con simpatia e benevolenza. Di questo sono riconoscente. Per me sarebbe un onore possedere un giorno il passaporto <strong>svizzero</strong>. Sebbene sia un allenatore, anch’io sono un tifoso: un tifoso di un paese meraviglioso. ❙ Tratto da «Am Ball – im Bild. Das andere Fussballbuch», Edizioni Neue Zürcher Zeitung. Vedi anche: «Ottmar Hitzfeld. Die Biographie.», Josef Hochstrasser, Berlino (Argon) 2003. <strong>Credit</strong> <strong>Suisse</strong> Bulletin Speciale 43