Alumnae | Ingegnere e Tecnologie | Alumni Politecnico di Milano
Le Alumne condividono la loro storia, in un dialogo virtuale con le future studentesse, per invitarle tutte a fare questa bellissima esperienza che si chiama Politecnico di Milano. 67 laureate in ingegneria tra il 1990 e il 2014, 67 modi diversi di essere ingegnere, tutti accomunati dalla competenza e dalla passione per il proprio lavoro. Quella degli Alumni è una community composta da circa 200 mila professionisti, architetti, designer e ingegneri, di tutte le età e da oltre 100 paesi nel mondo. Il libro “Alumnae” scatta una fotografia in primo piano di uno spaccato di questa grande famiglia politecnica, un primo passo per iniziare a conoscere più da vicino il mondo degli Alumni.
Le Alumne condividono la loro storia, in un dialogo virtuale con le future studentesse, per invitarle tutte a fare questa bellissima esperienza che si chiama Politecnico di Milano.
67 laureate in ingegneria tra il 1990 e il 2014, 67 modi diversi di essere ingegnere, tutti accomunati dalla competenza e dalla passione per il proprio lavoro.
Quella degli Alumni è una community composta da circa 200 mila professionisti, architetti, designer e ingegneri, di tutte le età e da oltre 100 paesi nel mondo.
Il libro “Alumnae” scatta una fotografia in primo piano di uno spaccato di questa grande famiglia politecnica, un primo passo per iniziare a conoscere più da vicino il mondo degli Alumni.
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A ALUMNAE
ALUMNAE
INGEGNERE E TECNOLOGIE
E 1
ALUMNAE
Ingegnere e tecnologie
ISBN 978-88-6493-036-7
Stampato nel mese di settembre 2020
presso Publi Paolini Via Riccardo Zandonai, 9 - 46100 Mantova
All rights reserved © 2020, AlumniPolimi Association
P.zza Leonardo da Vinci, 32 Milano - www.alumni.polimi.it - alumni@polimi.it - 02 2399 3941
Ideazione e direzione del progetto
federico colombo
Direttore esecutivo Alumni Politecnico di Milano
Dirigente Area Ricerca e Innovazione
Coordinamento editoriale
irene Zreick
Responsabile Progetti editoriali
Alumni Politecnico di Milano
Comitato editoriale
francesca occhipinti
Project Assistant Diversity & Inclusion
Career Service Politecnico di Milano
luca LORENZO pagani
Communication & Community Manager
Alumni Politecnico di Milano
francesca saracino
Head of Career service
Politecnico di Milano
Progetto grafico
Stefano Bottura
Better Days S.r.l. / www.betterdays.it
ALESSIO CANDIDO
Design & Communication
Alumni Politecnico di Milano
GIULIA CORTINOVIS
Better Days S.r.l. / www.betterdays.it
DANIELE PIACENZA
Graphic designer
Alumni Politecnico di Milano
Impaginazione
GIULIA CORTINOVIS
Better Days S.r.l. / www.betterdays.it
INDICE
I. PREFAZIONE
ENRICO ZIO
Presidente Alumni Politecnico di Milano
Delegato dal Rettore per gli Alumni e per il Fundraising Individuale
16
DONATELLA SCIUTO
Prorettrice del Politecnico di Milano
Delegata del Rettore alla Ricerca e alla Diversity
18
II. INTRODUZIONE
le Alumnae del
Politecnico di Milano
22
III. ALUMNAE
fabiana alcaino
Alumna Ingegneria Gestionale 1998
roberta alessio
Alumna Ingegneria Gestionale 1996
barbara ammattatelli
Alumna Ingegneria Aerospaziale 2005
42
46
50
clara andreoletti
Alumna Ingegneria delle Telecomunicazioni 2001
giulia baccarin
Alumna Ingegneria Biomedica 2005
elena bianchini
Alumna Ingegneria Elettronica 1995
stefania biella
Alumna Ingegneria delle Tecnologie industriali
ad indirizzo economico-organizzativo 1997
laura bonini
Alumna Ingegneria delle Telecomunicazioni 1998
silvia maria bono
Alumna Ingegneria Elettrica 1999
susi bonomi
Alumna Ingegneria Chimica 1998, Ph.D Ingegneria 2004
enrica bosani
Alumna Ingegneria Elettronica 1994
marta bovassi
Alumna Ingegneria Edile 2005
sarah burgarella
Alumna Ingegneria Biomedica 2005
nicole caimi
Alumna Ingegneria Gestionale 2003
56
62
68
72
78
84
88
92
98
104
110
maurizia calò
Alumna Ingegneria Elettronica 1998
gaia campolmi
Alumna Ingegneria Aerospaziale 1999
elena carnacina
Alumna Ingegneria dei Materiali 2003
rossella castiglioni
Alumna Ingegneria Energetica 2003
cristina cecchinato
Alumna Ingegneria Chimica 2003
angela cera
Alumna Ingegneria Elettronica 1997
Lucia Chierchia
Alumna Ingegneria Meccanica 1999
elena cischino
Alumna Ingegneria Meccanica 1996
roberta colombo
Alumna Ingegneria Aerospaziale 2005
maria serena colombo
Alumna Ingegneria Meccanica 2005
elena costantini
Alumna Ingegneria Nucleare 2004
116
122
128
134
138
146
156
164
174
180
186
laura de fina
Alumna Ingegneria Elettrica 2003
caterina de masi
Alumna Ingegneria Nucleare 1999
gaia dell’anna
Alumna Ingegneria Aeronautica 1996
paola maria formenti
Alumna Ingegneria Elettronica 1990
laura galli
Alumna Ingegneria Chimica 1993
teresa gargano
Alumna Ingegneria Elettrica 2005
laura gillio meina
Alumna Ingegneria Elettronica 1992
marina giudici
Alumna Ingegneria Informatica 2004
laura giuseppina grassi
Alumna Ingegneria delle Telecomunicazioni 1998
stefania guerra
Alumna Ingegneria Elettrotecnica 1994
antonietta lo duca
Alumna Ingegneria Informatica 2002
194
200
208
214
220
224
230
238
244
248
252
anna malosio
Alumna Ingegneria Meccanica 1998
francesca mazzoleni
Alumna Ingegneria Elettrica 2000
arianna minoretti
Alumna Ingegneria Civile 2004
lucia morandi
Alumna Ingegneria delle Telecomunicazioni 2000
vanessa panettieri
Alumna Ingegneria Nucleare 2001
sara pellegrini
Alumna Ingegneria Elettronica 1999
sandra perletti
Alumna Ingegneria Elettrotecnica 2004
alfonsa petraglia
Alumna Ingegneria Edile 1999
stefania pietra
Alumna Ingegneria Civile 1991
chiara ponti
Alumna Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio 2002
giovanna santi
Alumna Ingegneria Civile 2000
258
264
268
274
278
284
290
294
302
308
314
paola scarpa
Alumna Ingegneria Gestionale 1993
paola sclafani
Alumna Ingegneria Chimica 1995
cinzia secco
Alumna Ingegneria Meccanica 1992
anna teruzzi
Alumna Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio 2002
sara tontodonati
Alumna Ingegneria delle Telecomunicazioni 1998
marie christine vezzoli
Alumna Ingegneria Aeronautica 1993
ileana vitale
Alumna Ingegneria Aerospaziale 2001
gloria vittadini
Alumna Ingegneria Chimica 2004
grazia vittadini
Alumna Ingegneria Aeronautica 1998
320
328
334
340
344
348
356
360
360
IV. DOPO IL 2005
valentina contini
Alumna Ingegneria Energetica 2007
374
chiara di silvestro
Alumna Ingegneria Civile e Ambientale 2009
claudia farè
Alumna Ingegneria Informatica 2010
mascia faustinelli
Alumna Ingegneria Energetica 2011
laura frisoni
Alumna Ingegneria Nucleare 2010
FEDERICA INGUSCIO
Alumna Ingegneria Aeronautica 2014
chiara pasquino
Alumna Ingegneria dei Materiali 2011
silvia re
Alumna Ingegneria Matematica 2007
alessandra sordi
Alumna Ingegneria Matematica 2010
maria luisa viticchiè
Alumna Ingegneria Matematica 2010
laura zanardini
Alumna Ingegneria Spaziale 2007
382
386
390
394
400
404
410
414
420
426
14
I. Prefazione
15
Questo libro offre un ritratto della
variopinta, affascinante e sfaccettata
professione dell’ingegnere.
ENRICO ZIO
Presidente Alumni Politecnico di Milano
Delegato del Rettore per gli Alumni e per il Fundraising individuale
Care Alumnae, Cari Alumni,
quella degli Alumni del Politecnico di Milano è una meravigliosa
community composta da circa 200 mila professionisti. Guardandoci
dentro, uno non rimane colpito solo dalla numerosità: scopre un
mondo umano, fatto di architetti, designer e ingegneri, portatori
di grande competenza, esperienza, etica professionale. Tra questi,
tanti giovani e tanti “diversamente giovani”, con età comprese tra i
23 e i…103 anni! Tanti professionisti indipendenti, tanti che lavorano
in azienda, tanti imprenditori e startupper. Tanti Alumni italiani ma
anche tanti Alumni internazionali. Tanti che vivono e lavorano in Italia
e tanti all’estero... donne e uomini del Politecnico, con volti e storie
di vita umana.
Queste pagine presentano una fotografia in primo piano di uno
spaccato della grande famiglia politecnica: quello delle donne
laureate in ingegneria. È una fotografia che ci consente di conoscere
meglio una parte importante della nostra community: racconta di
persone e offre un ritratto della variopinta, affascinante e sfaccettata
professione dell’ingegnere.
Buona lettura!
17
18
DONATELLA SCIUTO
Prorettrice del Politecnico di Milano
Delegata del Rettore alla Ricerca e alla Diversity
Nell’immaginario collettivo le professioni tecniche sono forse ancora
un dono naturale per gli uomini, una grande conquista per le donne.
Capita ancora che le donne ingegnere sentano il bisogno di giustificare o
sminuire il proprio ruolo. Credo che il vero passo in avanti verrà compiuto
quando la maggior parte di noi penserà che la scelta di dedicarsi a una
professione tecnica sia, semplicemente, un’aspirazione legittima. Una
risposta alla curiosità, all’interesse e ai desideri della persona.
Se potessi dare un consiglio alle nostre Alumnae e alle ragazze che
stanno valutando quale strada prendere nella vita, direi loro che è
arrivato il momento di scrollarsi di dosso giudizi scontati e modelli
imposti da una società conformista.
Gaetanina Calvi, prima donna laureata in ingegneria. Amalia Ercoli Finzi,
prima donna in Italia a terminare gli studi in ingegneria aeronautica, Maria
Gaetana Agnesi, prima donna ad ottenere una cattedra universitaria di
matematica. Tutte hanno sfidato le convenzioni del loro tempo. Vale
lo stesso per le oltre 19.000 laureate in ingegneria che hanno scelto
un percorso di studi impegnativi e carriere scomode. C’è ancora tanta
strada da fare. È vero. Percorriamola insieme, a testa alta.
19
20
II. Introduzione
21
LE ALUMNAE DEL
POLITECNICO DI MILANO
Nell’anno 1913 si laurea la prima donna politecnica:
Gaetanina Calvi, ingegnere civile, era l’unica donna del
suo corso. I laureati di quell’anno erano 156 (di cui 149
ingegneri). Era passato mezzo secolo dalla fondazione del
Politecnico di Milano (1863).
Qualche anno dopo, nel 1918, si laurea in ingegneria
Maria Artini, la prima elettrotecnica italiana.
Per le prime architette, Carla Maria Bassi e Elvira Morassi
Bernardis, bisognerà aspettare il 1928.
1913:
Gaetanina Calvi diventa
la prima donna politecnica
22
23
architette, ingegnere
e designer
Dal 1900 al 2019 si sono laureate 61.427 Alumnae
che rappresentano il 27% sul totale dei 222.158
Alumni (donne e uomini) laureati.
1913
Gaetanina Calvi
si laurea
1945
Si laureano 4 Alumnae
su 154 laureati
1863
24
2019
Si laureano 3.112
Alumnae su 8.385 laureati
1992
Si laureano 704 Alumnae
su 2.794 laureati
Dagli anni Trenta, la
presenza femminile al
Politecnico diviene una
costante, anche se i numeri
cresceranno lentamente:
dal 1900 al 1945 le donne
laureate sono 61,
di cui 38 ingegnere,
su un totale 8.397 Alumni
(architetti e ingegneri).
Il numero delle Alumnae del
Politecnico cresce con ritmo
costante fino agli anni Novanta
per poi subire un’impennata.
Facendo una media delle tre
scuole, architettura, design
e ingegneria, oggi le donne
rappresentano il 27,65%
del totale dei laureati.
25
Quante sono le ingegnere
del politecnico?
19.211
Alumnae ingegnere
Laureate tra il 1913 e il 2019
Guardiamo alla scuola di ingegneria: il numero complessivo
di tutti coloro che si sono laureati in ingegneria a partire
dalla fondazione dell’Ateneo è di 136.061, con 19.211 donne,
cioè il 14%.
La presenza femminile tra gli ingegneri del Politecnico mostra un
trend in crescita, lenta ma costante, specialmente a partire dagli
anni ‘90. Nel 1913, l’anno in cui si laureò Gaetanina, lei era l’unica
in mezzo a 149 compagni. Oggi, quasi un neo ingegnere su 4 è
una donna: nel 2019 si sono laureate 1.306 donne su un totale
di 5.346 nuovi ingegneri, cioè il 24% del totale.
26
1913
Nel 1913 le ingegnere sono 1/149
2019
Nel 2019 le ingegnere laureate sono 1/4
27
LE PROTAGONISTE
DI QUESTO LIBRO
Tra le 19.211 Alumnae ingegnere del Politecnico, abbiamo
osservato più da vicino un campione di quelle che si sono
laureate tra il 1990 e il 2005 e che hanno quindi un’età compresa
tra i 38 e i 55 anni. Sono 6.250. Abbiamo scelto questa fascia
d’età perché è quella che contiene la maggiore concentrazione
di persone che sono nel pieno della propria carriera e quindi ci
può dare uno spaccato interessante delle professionalità delle
Alumnae del Politecnico.
Le abbiamo sbirciate una per una tutte e 6.250, profili tecnici
come quelli manageriali, senza soffermarci troppo sul ruolo
e sulla seniority. Nel corso degli anni ne abbiamo incontrate
tante, le abbiamo conosciute e ci siamo fatti raccontare le loro
storie. Questo libro nasce per raccogliere questo patrimonio di
esperienze: perché hanno scelto ingegneria? Cosa hanno
fatto dopo la laurea? Com’è nel quotidiano il loro lavoro?
Cosa accomuna i vari percorsi e in cosa, invece, sono diversi?
Le 67 protagoniste di questo libro, con i loro volti e le loro
storie in mezzo a quelle delle altre oltre 6.000 compagne,
dipingono la variopinta professione dell’ingegnere.
Abbiamo chiesto alle Alumnae:
perché hai scelto di fare ingegneria?
28
6.250
Laureate in ingegneria
tra il 1990 e il 2005
484
520
530
513
557
666
520
674
432
* In verde chiaro
le protagoniste
di questo libro
324
366
211
149
88
109
107
1990
1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
67 INGEGNERE DEL POLITECNICO
DI MILANO SI RACCONTANO
FABIANA ALCAINO
Alumna Ingegneria
Gestionale 1998
ROBERTA ALESSIO
Alumna Ingegneria
Gestionale 1996
Head of digital and AI
Risk office department
contract manager
BARBARA AMMATTATELLI
Alumna Ingegneria
Aerospaziale 2005
CLARA ANDREOLETTI
Alumna Ingegneria
delle Telecomunicazioni 2001
Flight test engineer
Head of geosciences & subsurface
operations data management
giulia baccarin
Alumna Ingegneria
Biomedica 2005
elena bianchini
Alumna Ingegneria
Elettronica 1995
Co-founder & CEO
Director of product
stefania biella
Alumna Ingegneria delle
Tecnologie industriali ad indirizzo
economico-organizzativo 1997
Innovation manager
laura bonini
Alumna Ingegneria
delle Telecomunicazioni 1998
Architecture design manager
silvia maria bono
Alumna Ingegneria
Elettrica 1999
susi bonomi
Alumna Ingegneria Chimica 1998
Ph.D Ingegneria 2004
Engineering manager for
electrical design and SW
development department
R&D technology scenario
enrica bosani
Alumna Ingegneria
Elettronica 1994
marta bovassi
Alumna Ingegneria
Edile 2005
Manufacturing R&D
project manager
Construction engineer, researcher
sarah burgarella
Alumna Ingegneria
Biomedica 2005
NICOLE CAIMI
Alumna Ingegneria
Gestionale 2003
Quality assurance
and biomedical engineer
Senior director procurement
silicon foundry
maurizia calò
Alumna Ingegneria
Elettronica 1998
gaia campolmi
Alumna Ingegneria
Aerospaziale 1999
Officer in charge of the logistics
division, office of supply chain
management
European quality assurance
division manager
elena carnacina
Alumna Ingegneria
dei Materiali 2003
ROSSELLA CASTIGLIONI
Alumna Ingegneria
Energetica 2003
Pilota di centrale solare a
concentrazione su un impianto
prototipo
Efficiency manager
cristina cecchinato
Alumna Ingegneria
Chimica 2003
ANGELA CERA
Alumna Ingegneria
Elettronica 1997
Ingegnere per il
teleriscaldamento
Security administrator
Lucia Chierchia
Alumna Ingegneria
Meccanica 1999
ELENA CISCHINO
Alumna Ingegneria
Meccanica 1996
Managing partner
Vehicle performance manager
oberta colombo
Alumna Ingegneria
Aerospaziale 2005
MARIA SERENA COLOMBO
Alumna Ingegneria
Meccanica 2005
Homologation specialist
Ingegnere processo,
cast iron foundry
ELENA COSTANTINI
Alumna Ingegneria
Nucleare 2004
LAURA DE FINA
Alumna Ingegneria
Elettrica 2003
Molecular imaging & computed
tomography product specialist,
north-east Italy
R&D lead electrical engineer
caterina de masi
Alumna Ingegneria
Nucleare 1999
gaia dell’anna
Alumna Ingegneria
Aeronautica 1996
Responsabile sviluppo
impianti generazione
System engineer officer
HV & submarine systems
paola maria
formenti
Alumna Ingegneria
Elettronica 1990
Senior director of technology
laura galli
Alumna Ingegneria
Chimica 1993
Division leader Europe,
Middle East and Africa,
abrasive systems division
teresa gargano
Alumna Ingegneria
Elettrica 2005
laura gillio meina
Alumna Ingegneria
Elettronica 1992
Senior engineer
product development
Country leader Italy and interventional
cardiology and structural business unit
director, southern Europe
marina giudici
Alumna Ingegneria
Informatica 2004
laura giuseppina grassi
Alumna Ingegneria
delle Telecomunicazioni 1998
Project and process engineer
Network engineer
stefania guerra
Alumna Ingegneria
Elettrotecnica 1994
antonietta lo duca
Alumna Ingegneria
Informatica 2002
World class front end
service sales
Product owner
anna malosio
Alumna Ingegneria
Meccanica 1998
FRANCESCA MAZZOLENI
Alumna Ingegneria
Elettrica 2000
R&D - testing
Managing director,
north America west SAP lead
arianna minoretti
Alumna Ingegneria
Civile 2004
lucia morandi
Alumna Ingegneria
delle Telecomunicazioni 2000
Administration chief engineer
Cyber security assurance
vanessa panettieri
Alumna Ingegneria
Nucleare 2001
sara pellegrini
Alumna Ingegneria
Elettronica 1999
Senior medical physicist
Advanced photonic pixel
architect, technology manager
sandra perletti
Alumna Ingegneria
Elettrotecnica 2004
alfonsa petraglia
Alumna Ingegneria
Edile 1999
Global industry manager
Responsabile unità
complessa
STEFANIA PIETRA
Alumna Ingegneria
Civile 1991
CHIARA PONTI
Alumna Ingegneria Ambiente
e Territorio 2002
Offshore structural lead
Environmental and property
protection manager
giovanna santi
Alumna Ingegneria
Civile 2000
paola scarpa
Alumna Ingegneria
Gestionale 1993
Technical head
of climate risks
Client solutions, data & insights
paola sclafani
Alumna Ingegneria
Chimica 1995
cinzia secco
Alumna Ingegneria
Meccanica 1992
Technology Solutions &
Knowledge Improvement
head of department
Mechanical equipment project
specialist leader
ANNA TERUZZI
Alumna Ingegneria per
l’Ambiente e il Territorio 2002
sara tontodonati
Alumna Ingegneria
delle Telecomunicazioni 1998
Tecnologo
Senior software engineer
marie christine
vezzoli
Alumna Ingegneria
Aeronautica 1993
Global manufacturing
AI & IoT lead
ileana vitale
Alumna Ingegneria
Aerospaziale 2001
R&D engineering leader
gloria vittadini
Alumna Ingegneria
Chimica 2004
grazia vittadini
Alumna Ingegneria
Aeronatuca 1998
Head of hook up and
commissioning,
offshore division
CTO
valentina contini
Alumna Ingegneria
Energetica 2007
chiara di silvestro
Alumna Ingegneria
Civile e Ambientale 2009
Smart mobility senior engineer
Project manager & business
development manager
claudia farè
Alumna Ingegneria
Informatica 2010
mascia faustinelli
Alumna Ingegneria
Energetica 2011
Consulente informatica
Proposal engineer
laura frisoni
Alumna Ingegneria
Nucleare 2010
federica inguscio
Alumna Ingegneria
Aeronautica 2014
HL buildings safety and hazard
coordinator - HPC project
Senior performance engineer
nell’area di R&D sicurezza passiva
chiara pasquino
Alumna Ingegneria
dei Materiali 2011
silvia re
Alumna Ingegneria
Matematica 2007
Vacuum engineer
Systems engineer
alessandra sordi
Alumna Ingegneria
Matematica 2010
Team lead
in internal models division
maria luisa
viticchiè
Alumna Ingegneria
Matematica 2010
Team lead in banking supervision
laura zanardini
Alumna Ingegneria
Spaziale 2007
Rappresentante dell’Agenzia
spaziale europea
40
III. Alumnae
41
FabianA Alcaino
49 anni
Alumna Ingegneria
Gestionale 1998
Vodafone
Head of digital and AI
Milano, Italia
42
Il mio lavoro è capire come l’Intelligenza
Artificiale, le reti neurali e l’utilizzo
dei dati a disposizione possano
semplificare la vita ai nostri clienti.
Essere head of Digital & AI nell’ambito delle Commercial Operations
in Vodafone significa creare la miglior customer experience
digitale per i clienti dell’azienda, integrando il meglio della tecnologia
e dell’interazione umana in modo personale, istantaneo
e semplice. Significa capire come l’Intelligenza Artificiale, le reti
neurali e l’utilizzo dei dati a disposizione possano semplificare la
vita ai nostri clienti, basandoci sull’analisi del loro comportamento
per estrapolare dei modelli, con l’obiettivo di far risparmiare
tempo e contemporaneamente offrire un servizio all’avanguardia,
soprattutto quando si parla di 5G, connessione, IoT, cloud e Big
Data. Gestisco un team di circa 100 persone e amo la parte gestionale
del mio lavoro; ottenere dei risultati per la mia azienda è
importante quanto supportare gli altri nella crescita personale e
professionale, continuando ad essere curiosa sia verso le novità
tecnologiche sia verso le persone.
Al giorno d’oggi, non credo sia più possibile parlare di ruoli manageriali
e ruoli tecnici vendendoli come due silos separati. Ci
sono profili più di business che non sviluppano codice, ma che
sono in grado di parlare con persone che sviluppano e di tradurre
i requisiti di business e le esigenze dei clienti verso profili più
tecnici, sono in grado di porsi le domande giuste per leggere il
contesto ed evolvere. La tecnologia nella vita reale è qualcosa che
si evolve nel tempo e tutti, manager e dipendenti, hanno l’obbligo
di continuare a tenersi aggiornati, la sfida è quella di riuscire a
capire come la tecnologia possa essere utilizzata e contempora-
43
neamente come costruire un team e delle figure professionali in
grado di metterla a servizio dei clienti. La tecnologia per chi fa
questo lavoro è come l’ABC per uno scrittore: bisogna conoscere
le lettere e le parole per poi poterle mettere insieme e creare un
testo. La conoscenza tecnica mi permette di poter capire il mercato
in cui opero (telecomunicazioni), l’azienda per cui lavoro (lettura
di KPI economici o costruzione di un business case), il bisogno del
cliente e come soddisfarlo.
La tecnologia migliora la vita delle persone e sarà sempre più centrale
nella vita come nel lavoro, perché, fondamentalmente, risponde
ad un bisogno nuovo: far risparmiare tempo alle persone, per
poterlo dedicare ad altro. Nell’industria di cui faccio parte, la tecnologia
è già il mezzo per fare altro, per veicolare esperienze. Per proporre
una nuova soluzione tecnologica bisogna disegnare un’esperienza
semplice (Amazon, Apple, Google sono degli esempi), non si
può fare se non si ha una lettura chiara dell’ABC tecnologico.
La tecnologia per chi fa questo lavoro è come l’ABC per
uno scrittore: bisogna conoscere le lettere e le parole
per poi poterle mettere insieme e creare un testo.
44
Aspetto fondamentale è la capacità di “unire
i puntini”, come connettere le informazioni
che hai a disposizione (i dati e le ipotesi)
per trovare una soluzione.
Studiare ingegneria mi ha aiutato a fare questo, insegnandomi un
metodo nell’affrontare qualsiasi sfida partendo da una fase di problem
setting e poi di problem solving, partendo sempre da una
fase di analisi quantitativa (number is the king) e di pianificazione
delle attività (on time on budget). Contemporaneamente mi ha
insegnato un approccio sperimentale, dove l’errore è parte integrante
della scoperta, l’importante è saperlo riconoscere e porre
subito rimedio. Altro aspetto fondamentale è la capacità di “unire
i puntini”, come connettere le informazioni che hai a disposizione
(i dati e le ipotesi) per trovare una soluzione.
Guardandomi indietro, un consiglio che mi sento di dare a chi entra
nel mondo del lavoro è quello di scegliere aziende che abbiano
valori in cui riconoscersi e che offrano possibilità di imparare, senza
temere di cambiare spesso: ritengo importante essere aperti al
cambiamento, essere resilienti e anti-fragili. Il mondo cambia così
velocemente che non si può restare fermi senza esserne travolti,
ma bisogna saper navigare quando cambia il vento. A volte basta
guardare da un’altra prospettiva per imparare qualcosa di nuovo.
Alla base di tutto c’è la curiosità continua e la modestia di mettersi
sempre in discussione.
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Da business developer ad analista di project finance
per poi approdare al risk office, oggi mi occupo di
garanzie e di clausole finanziarie nei contratti di vendita
di Oil & Gas ed energia elettrica; un gran cambiamento.
oberta alessio 51 anni
Alumna Ingegneria delle Tecnologie industriali
ad Indirizzo economico ed organizzativo 1996
Edison S.p.A.
Risk office department contract manager
Milano, Italia
Dopo la maturità classica non avevo idea di che cosa avrei fatto.
Sapevo, viceversa, che non avrei proseguito gli studi classici, e preferii
orientarmi verso materie scientifiche. Condizionata da mio
nonno, che era ingegnere civile, ho valutato le varie specializzazioni
di ingegneria, optando per gestionale perché aveva sbocchi lavorativi
più vicini alle esigenze che, nella mia immaginazione, avrei
avuto. In realtà, dopo il terzo anno, ho capito che le materie economiche
mi piacevano poco, mentre ero affascinata dall’aspetto
tecnico e tecnologico della produzione industriale. Quindi ho preso
una specializzazione in sistemi produttivi.
La mia carriera è stata molto varia, nel senso che, pur avendo
vissuto in poche realtà lavorative (Pirelli, Sondel/Falck e Edison),
ho avuto modo di vedere diversi settori di business. Questo mi ha
portato a dovermi adattare a contesti differenti, in continuo mutamento.
Uno degli stimoli maggiori è sempre stata la curiosità,
mista, talvolta, al timore del cambiamento.
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Da business developer ad analista di project finance per poi approdare
al risk office, oggi mi occupo di garanzie e di clausole finanziarie
nei contratti di vendita di Oil & Gas ed energia elettrica; un gran
cambiamento, se penso ai miei esordi in azienda. Si tratta di un
argomento con risvolti finanziari e legali, ben distanti dalle materie
che ho studiato al Politecnico e ai primi incarichi in azienda.
È un campo molto specialistico, soprattutto se attinente a contatti
di vendita di commodity, in cui non solo è necessario conoscere le
norme che regolano gli aspetti finanziari dei contratti e delle relative
fideiussioni ma è fondamentale conoscere il business sottostante.
Quando mi sottopongono un contratto per verificarne quelli che
potrebbero essere i rischi finanziari connessi con la vendita o in taluni
casi con l’acquisto di gas od energia elettrica, devo innanzitutto
avere ben chiare le modalità con cui avviene tale attività: potrebbe
trattarsi di un deal di trading oppure di una vendita di LNG da una
nave o di una vendita di energia elettrica ad un sito produttivo o di
gas ad una centrale termoelettrica. Ed è proprio qui che emerge
la capacità dell’ingegnere di comprendere i differenti processi e
soprattutto i rischi finanziari connaturati in essi. Un mancato pagamento,
un mancato ritiro, un contratto di lungo termine (anche
di 10/15 anni) con una controparte che potrebbe nel corso del
tempo essere oggetto di fusioni o scissioni, sono i rischi più comuni.
Una volta individuati tali rischi è necessario coprirsi, quindi far
si che siano il più possibile mitigati (è impossibile azzerarli!). Così
negozio clausole contrattuali e/o collateral (garanzie bancarie, assicurative,
parent company guaranty, etc.) che permettano di ridurre
i rischi finanziari e di credito per la mia società.
In una società come quella in cui lavoro, la tecnologia è protagonista
a tutti i livelli, sia che si parli di generazione di energia elettrica
(si pensi ai componenti delle centrali), di gas (nell’estrazione,
nello stoccaggio e nella distribuzione) ma è presente anche nelle
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Emerge la capacità dell’ingegnere
di comprendere i differenti processi
e soprattutto i rischi finanziari
connaturati in essi.
funzioni di staff, si pensi ai differenti software utilizzati in azienda:
ad esempio i software utilizzati ai fini di controllo del rischio e di
reportistica sono ormai gli strumenti principali per prendere decisioni
automatizzando le operazioni ricorsive.
Nel settore dell’energia ci sono ancora poche donne rispetto al
numero uomini, ma, avendo frequentato il Politecnico, dove la
percentuale di ragazze era, all’epoca, ancora molto bassa, non
sono mai stata tanto colpita dalla preponderanza maschile. Nei
primi anni condividevo l’ufficio con 4 uomini.
Solo qualche volta mi è capitato di imbattermi in situazioni più
difficili da affrontare: da giovane ingegnere, per esempio, mi era
stato assegnato un progetto di sviluppo di una centrale elettrica
in Turchia. Oltre a non aver mai indossato una gonna, durante la
mia permanenza in Turchia, ho riscontrato difficoltà per tutta la
durata del progetto, in particolare nel farmi ascoltare e prendere
sul serio dai clienti e dal site manager, non abituati a vedere
una ragazza in un sito produttivo. Alla fine, però, sono riuscita ad
instaurare un buon rapporto e il progetto si è concluso felicemente.
Anche in ambienti apparentemente più ostili e complicati per
l’universo femminile, una donna può avere un ruolo rilevante.
Ai giovani che iniziano il percorso universitario consiglio di seguire
il loro desiderio, mentre a quelli che lo terminano di orientarsi verso
specializzazioni richieste dal mercato. Coniugare le due cose è
possibile e offre molte opportunità.
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Sono una flight test engineer.
La maggior parte delle volte le persone
non hanno idea di cosa voglia dire.
Barbara
Ammattatelli
41 anni
Alumna Ingegneria
Aerospaziale 2005
Leonardo Aircraft
Flight test engineer
Varese, Italia
Quando mi chiedono «Che lavoro fai?»,
io rispondo che sono una flight test engineer.
Naturalmente, la maggior parte
delle volte le persone non hanno idea
di cosa voglia dire. È un lavoro poco conosciuto,
ma ha un impatto sulla vita di
tutti, per esempio permette di migliorare
l’aviazione civile.
Un flight test engineer è un ingegnere
che si occupa di prove di volo: parteci-
piamo all’esecuzione dei voli sperimentali,
direttamente a bordo o seguendo
da terra, attraverso la telemetria, il collaudo
di un velivolo. L’attività di sperimentazione
in volo è il processo finale
di verifica e validazione per dimostrare
che un prodotto aeronautico (velivolo
o sistema) corrisponda alle specifiche
tecniche di riferimento. I requisiti possono
derivare da normative, richieste di
uno specifico cliente o obiettivi aziendali
51
come parte di un piano di sviluppo di un
nuovo prodotto o di un piano di ricerca.
Mi occupo di flight test da 13 anni e seguo
l’intero iter delle prove di volo, che
inizia molto prima della sperimentazione
in volo: è un processo che può durare
anni e va dall’analisi dei requisiti di
base del progetto alla formulazione dei
requisiti di sperimentazione, dalla definizione
del programma di sperimentazione
alla preparazione del velivolo che
eseguirà le prove, dalla messa a punto
della Ground Station per le prove, al volo
con acquisizione dati di prova in real-time,
all’analisi in post-flight fino all’analisi
dei risultati e all’emissione della relativa
documentazione (flight test report).
La finalità dei voli prova di Leonardo
S.p.A. - Divisione Velivoli può andare incontro
a diverse esigenze: dalla validazione
di un progetto, all’omologazione di
un tipo di velivolo, dallo sviluppo di applicazioni
di nuove tecnologie alla definizione
di prove rivolte all’accettazione di
velivoli di nuova produzione o modifica.
Ogni giorno uso tool di analisi matematica
e specifiche applicazioni aeronautiche
per monitorare i dati di voli in real
time. Utilizzo di prove al simulatore per
la validazione dei profili di volo. È un
lavoro dinamico e non convenzionale.
Quando ho fatto il colloquio
a Prove di Volo, ho capito
subito che era il lavoro
giusto da scegliere, mi
permetteva di lavorare
direttamente con i velivoli,
di fare un lavoro dinamico
e di responsabilità.
Era quello che volevo fare.
Non è qualcosa che si sceglie per fare
carriera. Si cresce professionalmente,
ma, come flight test, quello che cambia
è il tipo di velivolo su cui lavorare, più
che la posizione, soprattutto in aziende
piccole e medie. In aziende più grandi,
in Europa, esistono progetti internazionali
ed è possibile lavorare a nuove iniziative
spaziali o di ricerca, come le start
up per l’ibrido. Dà grande soddisfazione
e non trovo fondamentale pensare solo
far carriera, per me è molto importante
che le persone riconoscano il valore che
ciascuno può portare al team e allo sviluppo
di un prodotto complesso come
un aereo, che richiede anni dalla fase di
prototipo a quella di ingresso in servizio.
Quando ho fatto i colloqui alla Leonardo,
mi avevano proposto altre posizioni
all’interno dell’azienda, ma sono stata
contenta di aver scelto il settore del flight
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test. Anche le altre erano posizioni interessanti,
ma nessuna mi avrebbe tenuta
così a stretto contato con il “prodotto
finale”. Quando ho fatto il colloquio a
Prove di Volo, ho capito subito che era il
lavoro giusto da scegliere, mi permetteva
di lavorare direttamente con i velivoli,
di fare un lavoro dinamico e di responsabilità.
Era quello che volevo fare.
L’aeronautica è un settore in cui la presenza
femminile è scarsa. Fin dai tempi
dell’università ho studiato in ambienti
strettamente maschili, ma quando ho
scelto Ingegneria Aerospaziale non mi
sono posta minimamente il problema.
Io volevo lavorare a stretto contatto
con gli aerei. Ancora oggi, sono l’unica
donna ingegnere nel mio ufficio, nello
stabilimento di Venegono Superiore.
Non me ne faccio un problema, anche
se qualche volta nel passato è successo
che durante le riunioni venissero fatte
delle battute “maschiliste” e mi venisse
detto che al lavoro tutti sono considerati
uomini. Non ha importanza: io ho la
passione per gli aerei e non mi pongo
il problema dell’ambiente lavorativo. Ho
scelto Ingegneria Aerospaziale perché
sapevo che mi avrebbe permesso di realizzare
il mio sogno. Non mi sono mai
posta il problema che, una volta laureata,
i miei colleghi sarebbero stati principalmente
uomini. È difficile da spiegare,
53
54
ma basta non demordere, essere professionali
e andare dritti per la propria
strada lavorativa.
Lavorare con gli aerei è stato il mio sogno
fin da bambina. Può sembrare banale,
ma ho avuto la folgorazione guardando
il film Top Gun: ero alle scuole medie e
ho capito in un momento che gli aerei
erano la mia passione, che avrebbero
fatto parte del mio futuro. Non mi vedevo
in nessun altro modo. In questo settore,
la passione per quello che facciamo
è fondamentale per gestire i carichi
di stress e la vita lavorativa in genere.
Di certo, solo la passione può portarti a
scegliere Ingegneria Aerospaziale. Se c’è
quella, andrà tutto bene, basta non abbattersi
di fronte alle prime difficoltà, ai
primi insuccessi. Con la determinazione
si ottiene tutto.
Lavorare con gli aerei è
stato il mio sogno fin da
bambina. Ho avuto la
folgorazione guardando
il film Top Gun.
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clara
andreoletti
44 anni
Alumna Ingegneria delle
Telecomunicazioni 2001
ENI
Head of geosciences
& subsurface operations
data management
Milano, Italia
Scegliere la laurea in Ingegneria delle Telecomunicazioni
fu un rischio tutto mio: in famiglia nessuno prima di me
aveva mai intrapreso questa strada.
Fin da bambina sapevo che volevo lavorare per una grande azienda
cercando di dare il massimo di quello che avrei potuto. È stato
grazie ad un episodio che poi è nato il desiderio per il posto preciso
dove avrei voluto farlo. Fu infatti grazie ad una gara di nuoto: avevo
14 anni e partecipai a una delle gare più importanti nella piscina
del campo sportivo di Eni. Da quel momento mi sono convinta che
mi sarebbe piaciuto lavorare in un’azienda come Eni, disposta a
investire in un centro sportivo del genere per i suoi dipendenti.
Tutto questo è rimasto latente, finito in un dimenticatoio ma non
troppo, fino a quando è poi scattata la scintilla vera e propria con
la possibilità di scrivere la tesi magistrale all’università in collaborazione
con Eni. Per arrivare a questa scintilla è evidente che il primo
passo sia stato scegliere di iscrivermi al Politecnico di Milano e,
nello specifico, scegliere la laurea in Ingegneria delle Telecomunicazioni.
Fu una scelta abbastanza naturale per me, perché sono
sempre stata attratta dalle materie scientifiche e dalla tecnologia;
allo stesso tempo fu un rischio tutto mio: in famiglia nessuno prima
di me aveva mai intrapreso questa strada, per cui non c’era
nessuno che mi potesse dare un parere o un consiglio, ma, una
volta partita, sono sempre stati con me. Del periodo da studentessa
al Poli ricordo i viaggi in treno da pendolare, le aule piene, i
professori che non si fermavano mai, gli esami preparati all’ultimo
momento, le giornate passate a studiare insieme ai compagni di
corso, le partite a briscola chiamata e a pallavolo e infine l’anno
della tesi passato all’“Open Space” del Dipartimento di Elettronica.
Terminato il percorso universitario, ho quindi affrontato la scelta
di dove andare a lavorare, con questa opportunità di entrare a far
parte di una grande azienda di respiro internazionale. E, una volta
intrapresa la mia carriera professionale, le scelte non sono finite;
un’altra scelta, altrettanto importante quanto le precedenti, è sta-
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Costruendo modelli, acquisendo, elaborando e interpretando
i dati grazie alla nostra esperienza e alle nostre competenze,
cerchiamo di capire dove, come e quale energia possiamo
trovare. Cerco costantemente di capire cosa si potrebbe
migliorare in ciò che mi circonda e cerco di trovare soluzioni
per riuscire a farlo.
ta quella di fare un’esperienza lavorativa all’estero, da sola, lontana
da casa e dalla mia famiglia. Esperienza dura, ma che sicuramente
mi ha arricchita sia umanamente che professionalmente.
Fin dall’inizio della mia carriera professionale ho lavorato e lavoro
tutt’ora nel mondo dell’energia, per cercare di dare al nostro Paese
ed al mondo dell’energia di cui abbiamo bisogno; costruendo
modelli, acquisendo, elaborando e interpretando i dati grazie alla
nostra esperienza e alle nostre competenze, cerchiamo di capire
dove, come e quale energia possiamo trovare. Oltre a svolgere
l’attività più routinaria che la mia mansione comporta, ogni giorno
cerco costantemente di capire cosa si potrebbe migliorare in ciò
che mi circonda e cerco di trovare soluzioni per riuscire a farlo.
Del mio lavoro mi piacciono tante cose, ma principalmente il fatto
che non si ripete mai, che ho costantemente la possibilità di venire
a contatto con realtà e culture diverse, che posso esprimere la
mia creatività e al contempo essere immersa e confrontarmi con
quella dei miei colleghi. In questi anni ho cambiato spesso ruolo
e le costanti erano, e sono tutt’ora, la voglia migliorare attraverso
l’innovazione e di concretizzare le nuove idee attraverso lo sviluppo
di nuove tecnologie. Al tempo stesso non c’è solo l’aspetto tecnico:
lavorare in una struttura organizzativa relativamente com-
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plessa comporta da un lato la necessità di doversi interfacciare
internamente con tante funzioni differenti, dall’altro comporta la
gestione delle relazioni sia con le realtà estere del gruppo sia con
il mio team di lavoro, ognuna delle quali ha peculiarità differenti.
Recentemente mi sto occupando in modo particolare di dati. Nella
nostra industria, che deve ricorrere a misure prevalentemente
indirette per stimare le caratteristiche del sottosuolo, i dati sono
un fattore chiave, se non il fattore chiave per gestire l’incertezza.
Abbiamo bisogno di dati che ogni giorno sono disponibili in
quantità sempre maggiori, che vanno poi analizzati e compresi,
per produrre risposte vanno cercate e trovate in tempi sempre
più brevi. A tal fine, abbiamo costituito una nuova struttura che
si occupa specificamente della governance e della definizione del
modello dei dati di sotto superficie. L’obiettivo è di fare in modo di
incanalare in maniera corretta il flusso dati che, oltre a essere preziosi
per le informazioni che contengono, sono il filo conduttore
dell’integrazione tra differenti funzioni e della trasformazione digitale.
I dati sono poi il complemento indispensabile di computer e
algoritmi, e viceversa. In questo ambito l’azienda ha investito molto
negli ultimi anni, non solo per acquisire tecnologie sviluppate
da altri, ma soprattutto per svilupparne di proprie, attività a cui ho
avuto e ho modo tutt’ora di poter contribuire.
Al di là di questo recente sviluppo, lavoro in Eni da 18 anni, che
sono passati in un soffio, e la passione per il mio lavoro continua a
crescere; lungo questo percorso mi è sicuramente capitato di commettere
degli errori, come per tutti, l’importante è stato riconoscerli
e affrontarli di petto per evitare di rifarli in futuro, uscendone
rafforzata. Si tratta di una realtà stimolante che offre a tutti la possibilità
di dare un contributo. In questo momento, in particolare, l’industria
in cui lavoro, la mia azienda e l’intero comparto industriale a
livello mondiale, stanno attraversando una profonda trasformazione
per continuare a svolgere la stessa missione, produrre energia,
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sfruttando fonti a minor impatto e maggiore sostenibilità ambientale,
ma comunque applicabili su scala industriale. Questa trasformazione
di sicuro cambierà il modo di lavorare e quindi anche le
figure professionali, difficile prevedere come in questo momento.
Certo resteranno delle costanti, in particolare il ruolo centrale delle
persone, della loro interazione e del loro giudizio.
Relativamente al tema della parità di genere, nel settore in cui lavoro,
negli ultimi anni c’è stato un costante miglioramento verso
la parità, ma al tempo stesso nelle domande di assunzione nelle
unità tecniche è evidente che in molti ruoli c’è ancora una netta
prevalenza di candidati uomini. Tuttavia le aziende si stanno accorgendo
che la diversità è un punto di forza, riuscire a portare
nel coro una tonalità in più ha una elevata probabilità di contribuire
alla crescita di tutti. Questo apre tante opportunità per le donne
che scelgono un percorso di studio in ambito ingegneristico.
è necessario non puntare solo a quello che si è
sicuri di poter fare, altrimenti ci si precludono
delle possibilità. Lasciatevi guidare dall’istinto
e dalle vostre passioni.
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Torniamo quindi al tema della scelta. È più che comprensibile che
quella di scegliere un percorso universitario possa essere percepita
come un’impresa ardua, che sia difficile decidere a 18 anni
che strada si vuole intraprendere per il proprio futuro. Al tempo
stesso, penso che nell’affrontare queste scelte sia importante
confrontarsi con i temi che stimolano di più la nostra curiosità: la
passione nasce sempre da una scintilla di curiosità che porta ad
avvicinarsi a qualcosa di nuovo, a qualcosa di inaspettato; quando
cerchiamo le risposte alle prime domande e ci accorgiamo che
dalle risposte nascono nuove domande, dobbiamo allargare lo
sguardo finché di colpo percepiamo che si è varcata la soglia di un
nuovo mondo, ricco di sorprese e di meraviglie, di nuovi problemi
da affrontare e nuove soluzioni da costruire. Ecco, secondo me è
questa curiosità che ha guidato le mie scelte, ed è quello che consiglio
di fare ai giovani che si avvicinano al mondo dell’ingegneria.
A volte può sembrare troppo difficile, ma non bisogna farsi spaventare,
soprattutto, secondo me, è necessario non puntare solo
a quello che si è sicuri di poter fare, altrimenti ci si precludono delle
possibilità. Lasciatevi guidare dall’istinto e dalle vostre passioni.
E, per chi sta entrando o è appena entrata nel mondo del lavoro:
non perdete mai l’abitudine di studiare; non c’è un tempo dedicato
solo allo studio, che è passato, e un tempo nuovo dedicato solo
al lavoro. Lavorare vuol dire anche investire energie per imparare
cose nuove, per essere pronti ad affrontare sfide nuove.
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62
Mi occupo di Fabbrica e Città Predittive, ovvero
di come rendere il mondo dei processi più sostenibile,
inclusivo ed efficiente con tecnologie che consentano
di anticipare quello che avverrà nel prossimo futuro.
GIULIA BACCARIN 39 anni
Alumna Ingegneria Biomedica 2005
MIPU Predictive HUB
Co-founder & CEO
Dueville (VI), Italia
Mi occupo di Fabbrica e Città Predittive, ovvero di come rendere
il mondo dei processi più sostenibile, inclusivo ed efficiente con
tecnologie che consentano di anticipare quello che avverrà nel
prossimo futuro. Grazie all’analisi dati siamo in grado ad esempio
di predire, con un anticipo che va fino a 6 mesi, guasti o rotture
di un componente o una macchina: in questo modo ottimizziamo
la manutenzione, diminuiamo gli sprechi e aumentiamo la produzione.
O ancora siamo in grado di modellizzare il comportamento
energetico di uno specifico asset industriale in modo tale da avere
sempre sotto controllo il suo consumo di energia e ottimizzarne
le prestazioni. Queste analisi a loro volta offrono una maggiore
conoscenza ai nostri clienti e partner, che riescono ad essere così
più sostenibili e competitivi sul mercato.
Gestisco un gruppo di aziende impegnate a portare tecniche
predittive e Intelligenza Artificiale in tutti i comparti industriali (i
principali sono Oil & Gas, GDO, Utilities, Alimentare, Farmaceutico,
Manifatturiero), con l’obiettivo di ridurre sprechi, costi e difficoltà
e per valorizzare l’esistente nel rispetto della sostenibilità e dell’inclusione
sociale. Ogni giorno faccio molte cose e molto diverse tra
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loro, ma penso che sia importante dire che principalmente il mio
obiettivo quando mi sveglio è quello di far crescere l’azienda che
ho fondato. Questo significa lavorare incessantemente per creare
opportunità di crescita e di sviluppo del nostro business e dedicare
il mio tempo alle persone del mio team per farle sentire parte
imprescindibile di questo progetto.
Sebbene il mio apporto nei progetti sia più dedicato alla definizione
della strategia e alla gestione della relazione con i clienti,
è importante ovviamente avere conoscenze tecniche specifiche
di Meccanica, Energetica, Modellazione, Analisi Dati e Intelligenza
Artificiale. Inoltre, a livello gestionale, insieme al team Finance &
Planning, mi occupo dell’analisi economico-finanziaria dell’azienda
e della stesura del piano industriale prospettico. A livello manageriale
poi è mio dovere far sì che tutto il team sia coeso, preparato
e lavori per il raggiungimento degli obiettivi aziendali: indubbiamente
la gestione delle risorse è uno degli aspetti più complessi
del mio lavoro.
Il mio team ha sviluppato una piattaforma software per la digitalizzazione
delle operations nell’industria e nella città; non solo, la
piattaforma consente, anche a persone con buona competenza
di dominio ma nessuna conoscenza specifica di programmazione,
di costruire modelli di Intelligenza Artificiale e gestirli nel loro ciclo
di vita. Questo perché costruire una buona Intelligenza Artificiale
è per me un tema di conoscenza di dominio: sapere quale problema
voglio risolvere, per quale utente finale, con quali dati a disposizione
viene ancora prima del linguaggio di programmazione.
Non lo ho capito subito, ma la visione che ho ora è decisamente
frutto degli anni al Politecnico, anni intensi e duri che mi hanno
però insegnato a non mollare mai. Sono appassionata di analitiche
predittive fin dall’università: a questo ho dedicato anche la
mia tesi di laurea. La fabbrica predittiva abiliterà nuovi servizi e
competenze. Figure come la mia dovranno sempre più combinare
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Il mio obiettivo quando mi sveglio è quello di far
crescere l’azienda che ho fondato. Questo significa
lavorare incessantemente per creare opportunità
di crescita e di sviluppo e dedicare il mio tempo
alle persone del mio team per farle sentire parte
imprescindibile di questo progetto.
non solo competenze tecniche e tecnologiche, ma anche capacità
di visione e creatività. Identificare nuove opportunità là dove tutti
hanno già guardato: questa competenza a mio avviso è abilitata
dalla lettura dei classici, dall’ampliare le proprie conoscenze oltre
quelle meramente tecniche.
Nell’ambito industriale la presenza maschile in ruoli manageriali
è preponderante e spesso, tutt’ora, sono l’unica donna seduta al
tavolo durante le riunioni. Ci sono moltissime ragioni: un retaggio
culturale e un sistema scolastico non adatto, il contesto socio-economico,
un mondo del lavoro focalizzato al quantitativo e non
al qualitativo, la mancanza di modelli a cui aspirare. Spesso anche
le più “audaci” sono indirizzate a scelte più semplici. Colmare il
gap continua ad essere per me un aspetto estremamente complesso
da gestire unitamente a sfide che tutti stiamo vivendo: un
mercato fluido e volatile, modalità di lavoro sempre più agile e la
necessità - che trovo preponderante - di ridiscutere il nostro modello
economico. Credo che piano piano stiamo assistendo a una
crescente sensibilità su questo tema che porta necessariamente
a un cambiamento: sono diversi anni che partecipo ad iniziative
(fin dalle scuole elementari) con forti impronte tecnologiche indirizzate
alle ragazze. Non dobbiamo abbassare la guardia!
È necessario liberarsi dalla paura del fallimento: le grandi conquiste
sono solo la somma di tante sfide, vinte e perse. Chi non perde
mai forse non ha mai tentato abbastanza in alto. Dopo la laurea,
66
la mia esperienza mi ha portato all’estero e anche molto lontano:
dall’Europa, al Giappone alla Corea del Sud. Ma la migliore decisione
che abbia preso, dal punto di vista professionale, è stata quella
di tornare in Italia e aprire un’azienda tecnologica in un tema allora
sconosciuto, quello della manutenzione predittiva. Non è stata
una decisione facile da mantenere: sono stati anni duri, nei quali
ho avuto frequentemente l’impressione di retrocedere professionalmente.
Ho impiegato quasi 10 anni a capirlo, ma quei momenti
di apparente retrocessione sono stati quelli in cui invece sono cresciuta
di più. Per gli errori invece, ne ho commessi così tanti che
sarebbe impossibile elencarli. Recentemente ho letto la seguente
frase, attribuita a San Patrizio: “Quando trovi un difetto negli altri,
elencane 10. Dei tuoi”. L’errore più grande forse è non applicare
questa massima sempre.
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68
è importante tenersi sempre aggiornati,
anche dopo la laurea, sugli aspetti
tecnici dello sviluppo dei prodotti
digitali, che cambiano continuamente.
ELENA BIANCHINI
50 anni
Alumna Ingegneria
Elettronica 1995
lastminute.com
Director of product
Chiasso, Svizzera
Il mio lavoro consiste nel disegnare il
sito e progettare l’esperienza del cliente
su lastminute.com. È importante tenere
conto sia dell’interfaccia del sito,
sia di tutto quello che accade dietro le
quinte. Cosa succede quando prenoti
un viaggio? Come si coordinano i fornitori?
Come interagiscono con il sito i
pagamenti con le carte di credito? Come
lavora il call-center per rispondere a
mail e telefonate dei clienti? Quando il
cliente compra un viaggio, è importante
che abbia un’esperienza il più facile
possibile e questo significa progettare
un processo ben oliato in tutte le sue
fasi. Il tempo delle vacanze è prezioso e,
se qualcosa va male, ce ne ricordiamo
a lungo.
Lavorando per un’azienda che fa
e-commerce la tecnologia è tutto, dal
cloud - per affrontare i picchi di traffi-
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Non sarebbe stato possibile, se non
avessi avuto la formazione politecnica
che ho scelto, che era il giusto blend tra
ingegneria ed economia. Al Poli il corso
di basi di dati è stato “amore” a prima
vista e ho capito subito che avrei voluto
fare la database administrator. Poi
mi sono specializzata infatti in sistemi
Informativi e gestionali. È stata una scelta
valida, mi ha dato le basi per quello
che faccio oggi e posso davvero dire di
essere soddisfatta di quello che faccio
ogni giorno.
co continui, all’Artificial Intelligence - per
predire i comportamenti di acquisto. Io
gestisco un team di persone che disegnano
l’esperienza cliente del sito lastminute.com,
cercando di massimizzare
il valore per il cliente e per l’azienda. Per
fare questo lavoro è importante tenersi
sempre aggiornati, anche dopo la laurea,
sugli aspetti tecnici dello sviluppo
dei prodotti digitali, che cambiano continuamente.
Sul campo ho imparato poi a
combinare una sensibilità commerciale
e di marketing alle competenze tecniche,
che insieme mi hanno permesso di
arrivare ad avere un ruolo di rilevanza
in un’azienda digital. È un lavoro entusiasmante
che coniuga la gestione delle
persone, il contatto diretto con il cliente
e la possibilità di imparare continuamente
e di disegnare prodotti innovativi.
La tecnologia fa parte della mia vita anche
al di là del lavoro: ho sempre voluto
capire come funzionava qualunque oggetto
o novità tecnologica mi capitasse
a tiro. Anche oggi è così. I miei figli sono
cresciuti con una mamma che è più nativa
digitale di loro stessi: a 12 anni avevo
già in mente di fare l’ingegnere, ma
solo al liceo ho avuto una professoressa
in grado di darmi fiducia in me stessa
per difendere questa scelta: grazie a
questa fiducia sono riuscita a “combattere”
con mia mamma, che voleva che
facessi matematica per diventare insegnante
e, un giorno, stare a casa con
i bambini. Ci sono troppi condizionamenti,
anche inconsci, dai media, dalla
scuola, dalle mamme. Tutto attorno alle
bambine parla ancora di ballerine, parrucchiere,
mamme casalinghe. Ancora
70
oggi, spesso sono l’unica donna seduta
al tavolo con il CEO e anche nel day by
day spesso siamo in poche. Personalmente,
dal punto di vista professionale
non lo percepisco come un problema,
ma le donne non dovrebbero essere
destinate ad uscire dal mondo del lavoro.
Il futuro offre tantissime opportunità
a chi saprà interpretare e guidare la tecnologia,
in particolare l’universo dei Big
Data, sempre più centrale in tutti i settori
produttivi. Se un giovane o una giovane
coltiva un interesse in questo campo,
il mio consiglio è quello di seguirlo:
assecondare le proprie inclinazioni con
impegno è la chiave per il successo, per
vivere bene con se stessi e essere felici
della propria carriera. Ma scegliete ingegneria
solo se vi piace, perché è tosta!
È un lavoro
entusiasmante che
coniuga la gestione
delle persone, il contatto
diretto con il cliente,
la possibilità di imparare
continuamente e di
disegnare prodotti
innovativi.
71
Fin da piccola ho sempre avuto una passione
per le tecniche di produzione: mi interessava
sapere come si realizzano gli oggetti di tutti i
giorni, con quali tecniche.
STEFANIA BIELLA 49 anni
Alumna Ingegneria delle Tecnologie industriali ad indirizzo
economico-organizzativo 1997
Silvano Chiapparoli Logistica S.p.A.
Innovation manager
Cerro al Lambro (MI), Italia
Fin da piccola ho sempre avuto una passione per le tecniche di
produzione: mi interessava sapere come si realizzano gli oggetti
di tutti i giorni, con quali tecniche. Da qui all’ingegneria il passo
è stato breve, l’indirizzo Gestionale si è adattato perfettamente
ai miei interessi, e la mia famiglia mi ha sempre sostenuta nella
scelta. All’epoca, tuttavia, non immaginavo che anni dopo mi sarei
occupata di innovazione.
Il mio non è stato un percorso professionale predeterminato. Gli
eventi e le scelte che ho fatto durante gli anni mi hanno portato
a lavorare in vari settori, mi sono fatta le ossa e solo più tardi ho
riscoperto gli insegnamenti che mi avevano appassionato già ai
tempi dell’università: la gestione dei progetti innovativi, i sistemi
di produzione automatizzati, le tecnologie industriali. Oggi mi occupo
principalmente di innovazione di flussi logistici e di supply
chain, pertanto la tecnologia con cui ho maggiormente a che fare
è quella relativa alla digitalizzazione dei processi e delle informazioni,
oltre ovviamente alla tecnologia dei sistemi di immagazzinamento
e movimentazione delle merci.
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La mia giornata lavorativa è sempre molto variegata. Per gestire
l’innovazione in azienda bisogna non solo restare aggiornati su
quello che succede nel mondo esterno (nuove idee digitali, nuove
soluzioni per la logistica, nuove tendenze di settore) ma anche
restare connessi con la propria realtà aziendale. Per questo passo
molto del mio tempo a fianco dei colleghi di tutte le funzioni aziendali,
per comprendere le criticità del loro lavoro, per ascoltare le
loro proposte e per disegnare insieme a loro nuovi modi di lavorare
e nuove soluzioni. La mattina parlo con un responsabile in
ufficio, il pomeriggio metto le scarpe antinfortunistiche e scendo
sul campo a fianco degli operativi, poi coinvolgo i commerciali, il
customer service, l’IT e il finance, perché un progetto di innovazione
richiede sempre un gioco di squadra.
Innovare l’innovazione è un concetto interessante. Nel 2020 ci
troviamo a lavorare sui concetti di innovation management con
gli strumenti che riteniamo adatti per trasformare la realtà delle
organizzazioni aziendali che esistono in questo momento. Quando
queste medesime organizzazioni saranno mutate e approcceranno
modelli di progettazione, di produzione, di vendita diversi
da quelli attuali, allora dovremo tornare a valutare i punti critici di
questo nuovo scenario e rimboccarci le maniche per risolverli. Lo
faremo probabilmente con nuovi strumenti e con nuovi approcci
e la tecnologia è il volano di questo cambiamento: per esempio,
può rendere le attività più veloci e più sicure, ma può anche aiutarci
ad avere un minore impatto sul pianeta; parlo ad esempio di
batterie per i carrelli elevatori, di sistemi di illuminazione più efficienti,
di sistemi fotovoltaici. Quando poi entriamo nel campo della
distribuzione, la tecnologia può avere impatti ancora più importanti
nella capacità di gestire i dati. Penso ad esempio (nel campo
farmaceutico, in cui lavoro) alla tracciatura dei medicinali, al mantenimento
della catena del freddo, ai controlli sulle scadenze, e
sono sicura che molto di più potrà essere fatto quando potremo
condividere con le strutture sanitarie i dati logistici in tempo reale.
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Come ho detto, la tecnologia gioca un ruolo determinante, ma al
centro di questa riflessione ci sono sempre le persone e la loro
formazione: le aziende sono fatte di persone e non di numeri.
È qualcosa che ho imparato con l’esperienza sul campo: in passato,
ho fatto l’errore di avere passato troppo tempo della mia
vita professionale senza dare molta importanza alla componente
relazionale che può instaurarsi tra professionisti. Ho lavorato per
troppo tempo da sola e ho scoperto tardi i benefici del lavoro di
squadra. Quando l’ho capito, mi sono rimessa in gioco tornando
sui banchi di scuola per frequentare un master insieme a giovani
neolaureati.
Le persone sono centrali anche quando si parla di come la differenza
di genere influisca sull’ambiente di lavoro, ovviamente.
L’impronta della direzione è quella che determina il clima di lavoro,
al di là delle politiche e delle prassi aziendali. Nella mia attuale
azienda ho trovato per la prima volta un vertice direzionale a
maggioranza femminile e donne in pari proporzione anche nelle
posizioni manageriali più significative. Trovo che la direzione al
femminile sia molto più inclusiva verso gli uomini di quanto non lo
siano le direzioni al maschile verso le donne.
Mi piace il fatto che le nuove idee e le nuove soluzioni vengano
sempre dal lavoro di gruppo e siano condivise. Sono sempre
molto soddisfatta quando vedo che un nuovo gruppo di lavoro
diventa autonomo e non ha più bisogno del mio intervento per
riportare l’ordine nei ruoli e negli approcci di interazione. Anche
per questo, ai neolaureati suggerisco di presentarsi al mondo del
lavoro con umiltà, di trovare un buon mentore piuttosto che un
buon lavoro e di non smettere mai di studiare.
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Per gestire l’innovazione in azienda bisogna non solo
restare aggiornati su quello che succede nel mondo
esterno (nuove idee digitali, nuove soluzioni per la
logistica, nuove tendenze di settore) ma anche restare
connessi con la propria realtà aziendale.
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Come tutti i bambini, sono sempre stata
attratta da tasti e lucine. Se i computer
non avessero avuto schermi e tastiere,
probabilmente farei un altro lavoro.
LAURA BONINI
46 anni
Alumna Ingegneria delle
Telecomunicazioni 1998
STMicroelectronics
Architecture design
manager
Cornaredo (MI), Italia
Come tutti i bambini, sono sempre stata
attratta da tasti e lucine. Se i computer
non avessero avuto schermi e tastiere,
probabilmente farei un altro lavoro. Un
po’ di responsabilità credo l’abbiano
avuta anche le serie di fantascienza ed i
cartoni animati con i robot.
Ho deciso di fare questo lavoro intorno
ai quattordici anni. Quando mi sono
iscritta all’istituto tecnico, mia madre era
dubbiosa (la tuta da officina nell’elenco
dei libri l’aveva spaventata) e per un
paio di mesi ha cercato di farmi cambiare
idea. Mio padre invece ha sempre
sostenuto che la scelta era mia.
Quando scelsi di iscrivermi a ingegneria,
in famiglia non fu una novità, anche perché
già la frequentava mia sorella. Più
che una “vocazione”, credo sia stata una
possibilità che si è concretizzata un pas-
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so alla volta, complici scelte ed opportunità.
Non credo sarebbe stata l’unica via
possibile, ma, non potendo percorrere
molte strade contemporaneamente, ne
ho scelta una e sono felice di dove mi ha
portato sino ad ora. In ogni caso, anche
se avessi scelto un altro ambito, avrei
comunque desiderato costruire qualcosa
di nuovo.
La mia vita lavorativa come ingegnere ha
avuto inizio in MID (Marconi Italtel Difesa)
nel 1998, qualche mese dopo la laurea.
Mi occupavo di firmware nell’ambito avionico.
Si è trattato di un periodo ricco di
entusiasmo e cambiamenti e la mia “infanzia”
lavorativa è stata breve: nel giro di
poco ho dovuto assumere la responsabilità
tecnica dei progetti a cui partecipavo.
Dopo la bolla del 2001, ci sono state
varie riorganizzazioni aziendali, fino alla
chiusura della sede in cui lavoravo nel
2004. Mi proposero un trasferimento a
Genova che non accettai, lasciai Marconi
e venni assunta presso una società di
consulenza (AZCOM) che avevo conosciuto
tempo prima come fornitore.
Dal 2004 al 2010 ho lavorato come
esperta di firmware presso clienti come
Siemens e STMicroelectronics. Fu un periodo
più tranquillo, in cui beneficiai anche
di un contratto part-time che mi per-
Non potendo
percorrere molte strade
contemporaneamente,
ne ho scelta una e sono
felice di dove mi ha
portato sino ad ora.
In ogni caso, anche se
avessi scelto un altro
ambito, avrei comunque
desiderato costruire
qualcosa di nuovo.
mise di conciliare la vita lavorativa con la
famiglia e la nascita delle mie figlie.
Dopo la collaborazione come consulente,
STMicroelectronics mi offrì l’assunzione e
la responsabilità di un nascente gruppo
SW all’interno di un gruppo di progetto
di system on chip industriali. Dal 2011,
lavoro in STMicroelectronics e oggi coordino
un gruppo formato da 11 progettisti,
quasi tutti ingegneri, che si occupa sia
dello studio di algoritmi per l’elaborazione
dei segnali per le telecomunicazioni e
della loro implementazione in firmware.
Il nostro lavoro parte delle specifiche tecniche
ed arriva fino alla validazione delle
performance in laboratorio.
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La mia attività quotidiana è caratterizzata
da email e meeting per supportare le
attività del gruppo e seguire lo stato dei
progetti di cui ci occupiamo (una decina,
a vari livelli di maturità). Buona parte
della giornata è dedicata alla stesura e
revisione della documentazione, sia di
progetto che di processo. Non mancano
però i momenti in laboratorio e lo
sviluppo di parte dei progetti.
La tecnologia fa parte del mio quotidiano
sia come strumento, sia come oggetto/soggetto.
Essendo parte di un gruppo
di R&D di prodotto, lo scopo del mio
lavoro è la progettazione di nuovi dispositivi
tecnologici: utilizziamo la tecnologia
attuale per produrre quella futura.
Nel mio comparto industriale, quello
della microelettronica, la tecnologia influenza
pesantemente sia i prodotti che
il modo di produrli: la miniaturizzazione
dei circuiti è sempre in evoluzione e
così pure la ricerca di processo. Di conseguenza,
la produzione, intesa come
fabbrica, deve essere continuamente
aggiornata, e anche le persone. Non va
poi dimenticato il continuo rinnovo dei
prodotti, che come componenti devono
anticipare quelle che saranno le richieste
dei prodotti tecnologici finiti.
I dispositivi che produciamo fanno parte
di moltissimi oggetti utilizzati nella vita
quotidiana, dagli smartphone alle lavatrici.
È un ambito di lavoro entusiasmante
e creativo, ed è molto gratificante
vedere un’idea trasformarsi in progetto.
Però lo è ancora di più farlo con colleghi
competenti e disponibili, con cui il rapporto
umano non è secondo a quello
professionale. Ripeterei tutte le scelte
professionali che ho fatto, perché tutte
mi hanno dato la possibilità di imparare
e crescere. Errori, purtroppo, se ne commettono.
Quando sbaglio qualcosa in
un progetto, il rischio di fare danni significativi
c’è, ma sino ad ora siamo sempre
riusciti a gestirli.
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Troppo spesso le ragazze non si avvicinano
a percorsi di questo tipo, temo, per
pregiudizi culturali. Perché sono ambiti
considerati poco “femminili” e perché
non si incoraggiano le ragazze a coltivare
interessi legati alla tecnologia ed alle
scienze: a partire da giochi che si regalano
alle ragazzine, fino ai modelli che
vengono presentati dai media. Possibile
che, nel 2020, l’unico esempio di donna
ingegnere nella pubblicità parli di un
lassativo? È vero, nel mio ambito professionale
la componente maschile è preponderante.
Ad esempio, nel mio gruppo
siamo in 3 donne su 12 componenti.
Quando lavoravo in ambito avionico e si
andava dal cliente (aeronautica militare),
mi capitava spesso di essere l’unica
donna nella stanza. Ciononostante, in
ambito professionale non ho incontrato
particolari problemi per il fatto di
essere donna: i miei colleghi mi hanno
sempre considerata per la competenza
professionale e nient’altro. Mi è capitato
di non essere presa sul serio dal ferramenta
dove volevo fare acquisti, ma
mai da un altro progettista. Al più, mi è
capitato qualche problema logistico: ad
esempio nella prima trasferta in campo
all’aeroporto militare di Viterbo non erano
previsti i bagni per le signore, gli unici
erano nel circolo ufficiali a cui io potevo
accedere solo se accompagnata.
La tecnologia è il mio lavoro, ed in parte
anche interesse e passione, però ci
sono diversi aspetti “non high-tech” nella
mia vita. Come qualsiasi genitore, che
faccia l’ingegnere o l’insegnante, passo
la maggior parte del mio tempo libero
con la mia famiglia. Ma anche nei miei
hobby, mi piace costruire, fare diverse
cose “a mano”, dal pane alla pasta. E la
carta ha sempre un gran fascino. Non
c’è davvero bisogno di rinunciare a nessuna
parte di sé. Femminilità e tecnologia
non sono in antitesi, anzi. Si può
conciliare il lavoro con la vita affettiva e
la famiglia: costa fatica, ma così tutte le
cose importanti!
è molto gratificante
vedere un’idea
trasformarsi in progetto.
Però lo è ancora di
più farlo con colleghi
competenti e disponibili.
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Silvia Maria
Bono
47 anni
Alumna Ingegneria
Elettrica 1999
ABB
Engineering manager
for electrical design
and SW development
department
Novara, Italia
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Possiamo non accorgercene, ma i motori elettrici rendono
possibili molte delle azioni che compiamo ogni giorno,
guardare la televisione, viaggiare in treno o metropolitana
o semplicemente prendere un caffè al bar. Io mi occupo
di progettazione elettrica per questi motori.
«Pronto?»
«Buongiorno, vorrei parlare con l’ing. Bono»
«Mi dica»
«Vorrei parlare con l’ing. Bono»
«Sono io, mi dica»
«Ah, ing. Bono, è una donna…»
Episodi di questo genere sono molto frequenti. In ingegneria, la
presenza femminile è ancora inferiore a quella maschile, ma sempre
di più le aziende sono attente alla parità di genere. Già all’università,
nei corsi frequentati, eravamo in poche, ma allora come
oggi non trovo differenze o difficoltà: di fatto siamo una squadra.
Lavoro per ABB, gruppo leader tecnologico all’avanguardia nell’innovazione
e nella digitalizzazione. ABB fornisce al mercato numerosi
prodotti, alcuni più famosi, come i robot o le colonnine di
ricarica per le macchine elettriche, e alcuni meno famosi, ma non
meno importanti, anzi: sto parlando dei motori elettrici. Possiamo
non accorgercene, ma i motori elettrici rendono possibili molte
delle azioni che compiamo ogni giorno, guardare la televisione,
viaggiare in treno o metropolitana o semplicemente prendere un
caffè al bar. Nello specifico, io mi occupo di progettazione elettrica
per questi motori. Si tratta di un lavoro molto di squadra, in cui
ognuno, con il suo ruolo e le sue competenze, rende possibile il
raggiungimento del risultato finale. Io, come un allenatore, ho il
compito di coordinare la squadra e preparare i singoli atleti per
non farci trovare impreparati alle sfide che ci attendono.
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La tecnologia è alla base di tutto: della comunicazione, progettazione,
simulazione… Oggi è possibile collaborare con colleghi che sono
in altre nazioni condividendo immagini in tempo reale restando nel
proprio luogo di lavoro. Sono possibili calcoli e simulazioni in tempi
ridotti che riducono al minimo la prototipazione. In ambito industriale
vi è una forte spinta verso la digitalizzazione. ABB ha un programma
dedicato, ABB Ability, il cui scopo è quello di sostenere le
imprese ad incrementare la produttività riducendo i costi, puntando
ad una sicura e ecosostenibile elettrificazione. Questi vent’anni
di lavoro mi hanno insegnato che il mondo del lavoro sta diventando
sempre più dinamico e gli scenari evolvono molto rapidamente,
occorre essere in grado di adeguarsi, anzi di anticiparne l’evoluzione.
Tutto questo però rende più difficile individuare scenari futuri.
La tecnologia sta diventando sempre più pervasiva e sta cambiando
sempre di più il modo di lavorare. È molto difficile stimare l’evoluzione,
stiamo vivendo un momento di forti e rapidi cambiamenti.
Per quanto possibile, vorrei far parte di questo cambiamento e non
subirlo. La competenza tecnologica è un prerequisito essenziale
per essere protagonista di queste trasformazioni.
Le mie scelte professionali sono state condizionate dai miei interessi.
Mi sono avvicinata al mondo dell’ingegneria perché volevo
approfondire gli studi sulle centrali idroelettriche analizzate nel
corso di fisica all’ultimo anno del liceo scientifico. Da qui la decisione
per Ingegneria Elettrica. Ho avuto poi l’opportunità di lavorare
per un’azienda che costruisce motori elettrici.
Il Politecnico ha rappresentato un periodo molto bello della mia
vita. Ho potuto conoscere docenti molto preparati che non solo
mi hanno fornito le competenze tecniche che mi sono servite nel
lavoro, ma anche importanti insegnamenti per la vita e compagni
di corso con cui condividere ansie e paure ma anche tanti
momenti di gioia. Il mio consiglio è quello di perseguire i propri
interessi, non curandosi se il lavoro è, come a volte si è detto,
“tipicamente maschile”: l’importante è che sia appassionante; al
contempo occorre anche essere flessibili e sapersi adeguare a
diverse circostanze. In un lavoro come il mio, ogni giorno riserva
cose nuove da imparare, non esiste la routine: è una delle cose
che preferisco.
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Gli strumenti di Intelligenza Artificiale
non potranno sostituire la creatività
e le connessioni non sempre lineari
che svolge il cervello umano.
SUSI BONOMI 51 anni
Alumna Ingegneria Chimica 1998, Ph.D Ingegneria 2004
ENI S.p.A.
R&D technology scenario, ora intellectual property management
Milano, Italia
Lavoro nell’Unità di Ricerca e Sviluppo di una importante società
che opera nell’Oil & Gas e che sta allargando i suoi interessi verso
il mondo più generale dell’Energia. Il mio lavoro, nello specifico,
è molto vario. Ho la fortuna di lavorare da casa che è ottimo da
alcuni punti di vista perché si ha maggiore libertà ma toglie il contatto
diretto con i colleghi e i bei momenti di condivisione del lavoro.
La mia giornata lavorativa inizia la mattina presto, mi collego
alla rete della mia azienda e comincio a lavorare esclusivamente
al computer facendo ricerche via web, scrivendo relazioni, assolvendo
i compiti che mi vengono man mano assegnati. Il lavoro è
estremamente vario e si modifica talvolta anche più volte durante
la settimana. Ho molta libertà di orario, l’importante è raggiungere
gli obiettivi che vengono definiti con il capo Unità. Posso fare pause
quando voglio, ma tendenzialmente lavoro in modo costante
senza fare troppe pause per potermi poi riposare nel pomeriggio
quando la mia precaria salute mi impone di “staccare”.
Il mio compito, fino a qualche mese fa, era quello di fare ricerca
sulle tecnologie emergenti non ancora facenti parte del core-business
della mia società, ma che lo potrebbero diventare in futuro
anche lontano. Recentemente ho iniziato ad occuparmi di Intel-
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lectual Property e mi occupo di ricerche brevettuali di prior art,
quindi di stato dell’arte di una tecnologia, o in ambito di FtO (Freedom
to Operate) per impianti/prodotti da costruire/sviluppare.
È un ambiente di lavoro stimolante, i rapporti con i colleghi sono
ottimi, ho libertà di esprimere le mie opinioni. Non è un lavoro ripetitivo
e la costante necessità di aggiornamento mi tiene allenato
il cervello.
L’uso di strumenti di Intelligenza Artificiale e una migliore gestione
dell’IT permetteranno di svolgere il mio lavoro con tempi
decisamente ridotti. Quello che non potranno fare strumenti di
questo genere è sostituire la creatività e le connessioni non sempre
lineari che svolge il cervello umano. Per quanto evolveranno
tali sistemi mai potranno sostituire l’uomo il cui cervello dovrà
evolvere lasciando i lavori logoranti e ripetitivi alle macchine.
La tecnologia è fondamentale e lo diventerà sempre di più. L’AI,
il machine learning, il deep learning saranno fondamentali così
come la blockchain che renderanno più trasparenti e veritiere le
informazioni. La mole di dati di cui il mio comparto industriale ha
bisogno sarà gestita in un modo sempre più automatizzato. Sarà
sempre più necessario avere persone che sappiano interpretare
questi dati.
La matematica, la fisica e la chimica
sono la base della nostra vita.
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Quello che faccio in generale e soprattutto nel lavoro sia basa innanzitutto
sulla curiosità e sulla passione. Ogni cosa che faccio
la faccio mettendoci passione. E questa passione l’ho riversata
anche al Politecnico dove sono stata parecchio tempo dopo la
laurea, con il Dottorato prima e come assegnista di ricerca dopo.
Scelsi il Politecnico, facoltà tecnica, perché mi avrebbe permesso
di approfondire la chimica ma, allo stesso tempo avrebbe offerto
una maggiore possibilità di lavoro rispetto a una facoltà scientifica.
E così è stato. Lo studio di tantissime materie, che potrebbero
sembrare anche molto distanti da quello che di specifico si intende
studiare, serve a creare una forma mentis che consente di
essere in grado, nel futuro, di avere la mente aperta così da poter
affrontare qualsiasi tipologia di lavoro. Si impara il metodo che poi
potrà essere applicato in ogni contesto sia lavorativo sia di gestione
della vita di tutti i giorni.
Un corso di studi in ingegneria lo consiglio vivamente, affiancato,
se possibile, da periodi in cui si possa fare qualche esperienza
in campo, nel mondo reale. La matematica, la fisica, la chimica,
etc., sono la base della nostra vita. A chi inizia oggi consiglio di
studiare, approfondire, amare e appassionarsi di quello che si fa.
Scegliere ciò che appassiona e non ciò che farà guadagnare di più
nel futuro. E non aver paura di cambiare. C’è sempre la possibilità
di cambiare e di reinventarsi, se le basi sono solide. E un corso di
studi in ingegneria consente di farsi le ossa e di poter intraprendere
qualsiasi percorso futuro. Per il resto, è importante leggere
il più possibile e di qualsiasi argomento. Non si è mai preparati
abbastanza. E, in qualsiasi lavoro, consiglio sempre di cercare di
apprendere il più possibile dai colleghi più anziani.
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enrica bosani
53 anni
Alumna Ingegneria
Elettronica 1994
Whirlpool EMEA
Manufacturing R&D
project manager
Varese, Italia
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La successiva milestone è quella che arriverà.
C’è sempre qualcosa di nuovo che mi aspetta.
Per me è sempre difficile rispondere alla domanda «Che lavoro
fai?»: faccio il tipico lavoro da consulente in un’azienda che non fa
consulenza. Chi non è “del mestiere” fa fatica a capirlo, non se lo
immagina. Mi occupo di progetti per un’azienda multinazionale e
la maggior parte delle mie attività quotidiane è scandita da riunioni
(sia in presenza fisica che remota) con diversi gruppi di persone,
in cui si definiscono delle azioni e si verifica che vengano eseguite.
In questo momento sto gestendo 22 progetti che si svolgono in
parallelo con gruppi di lavoro diversi, obiettivi diversi e tempistiche
diverse. Mi occupo di progetti di Ricerca e Sviluppo e una buona
fetta del mio tempo è dedicata anche allo studio di contenuti
innovativi e alla modellizzazione di sistemi (in genere ICT).
Vivo e lavoro in Italia faccio frequenti brevi viaggi in tutta Europa.
Sono un project manager ormai da molti anni: le competenze che
servono sono, oltre la capacità di gestione progettuale, l’approccio
al lavoro di gruppo, la capacità di guidare gruppi, la capacità di
comunicare efficacemente, la propensione alla strutturazione e
alla modellizzazione di processi e sistemi complessi, la curiosità
e la propensione all’innovazione, l’orientamento al risultato. Sono
tutte cose che si apprendono sul campo, con l’esperienza.
Ho passato la mia intera vita lavorativa nella stessa azienda ma ci
sono stati dei momenti cruciali nello sviluppo della mia carriera e
della mia professionalità che hanno determinato il mio percorso.
Il primo è stato nel 1994 quando sono entrata in Whirlpool lavo-
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ando nell’automazione di fabbrica: il contato diretto con lo shop
floor mi ha aiutato a crearmi una base di conoscenze ed esperienze
approfondite dei processi manifatturieri, a cui ho sempre attinto
e che mi supportano anche ora nelle attività progettuali (anche
solo per la credibilità e autorevolezza che mi garantiscono quando
interagisco con gli “operativi”, di solito uomini). La seconda pietra
miliare è nel 2003, quando ho iniziato a lavorare in progetti
cross-funzionali. Da quel momento sono stata coinvolta in una serie
di progetti che interagivano con varie funzioni aziendali, dalla
progettazione di prodotto, agli acquisti, alla logistica, alle risorse
umane, alle vendite, ai sistemi informativi. Questo mi ha permesso
di farmi un’idea molto chiara della maggior parte dei processi
di un’azienda multinazionale, ho imparato a utilizzare queste conoscenze
nell’esecuzione dei progetti e nell’utilizzo del network.
Il terzo passo importante nel mio percorso è stato quando sono
stata nominata manager di un team. La gestione di collaboratori si
differenzia molto dalla gestione di risorse di progetto, per le quali
in genere non c’è dipendenza gerarchica, e presuppone l’utilizzo
di strumenti diversi con diverse finalità e modalità di relazione. La
successiva milestone è quella che arriverà. C’è sempre qualcosa
di nuovo che mi aspetta. Spero di continuare a dedicarmi a progetti
sempre diversi, come ho fatto finora, magari nel campo della
logistica, dove credo che le mie attuali competenze potrebbero
trovare nuove sfide.
La tecnologia è, oltre ad uno strumento di lavoro quotidiano,
anche un obiettivo del mio lavoro, che è finalizzato all’inclusione
sostenibile delle tecnologie innovative nel settore manifatturiero.
Questa continua necessità di conoscere ed acquisire gli
strumenti tecnologici, coniugandoli con il bagaglio di conoscenze
consolidate, è quello che rende stimolante questo tipo di lavoro.
Nell’industria manifatturiera la tecnologia è una strada obbligata.
La grande sfida è la sostenibilità economica e sociale delle soluzioni
tecnologiche che sono introdotte. I vantaggi competitivi
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sono innegabili ma non possono essere, nel lungo termine, i soli
criteri delle scelte tecnologiche. L’elemento sociale, ambientale,
etico devono integrarsi nel modo in cui utilizziamo la tecnologia e
la sviluppiamo. Per questo elemento umano, credo che il lavoro
di program manager, tra 20 o 30 anni, non sarà molto diverso
da ora: utilizzerà sicuramente strumenti digitali più evoluti per la
connessione e la gestione della complessità, ma il rapporto con le
persone e l’approccio sistemico credo saranno ancora i principali
pilastri dell’attività.
La mia scelta di studiare ingegneria è stata un po’ casuale. Credo
che avrei potuto fare una qualsiasi facoltà scientifica, ma per caso
mi sono iscritta ad Ingegneria Elettronica. Proseguendo gli studi
mi sono scoperta incuriosita dall’automazione e dalla robotica e
mi sono orientata verso l’automazione industriale. Sono stata fortunata,
perché sono entrata in Whirlpool proprio nel settore automazione
industriale e lì ho scoperto che mi piaceva molto anche
nelle sue applicazioni. Non ho mai usato molto le mie competenze
elettroniche, ma ho sempre attinto alla forma mentis che il Politecnico
mi ha dato. Tutte le altre scelte che sono seguite sono state
sempre guidate dalla “pancia”, seguendo quello che mi piaceva
o che mi interessava, quello che sentivo di volere, come quando
ho scelto di diventare madre, in un periodo in cui ad un ingegnere
era obbligatoriamente richiesto di dedicarsi alla sola carriera per
avere successo. Sicuramente, nel mio settore di manifattura tradizionale,
anche se in contesto multinazionale, gli squilibri di genere
esistono e sono evidenti. Il numero di manager donne in posizioni
apicali è ridotto e dove non lo è si riferisce generalmente a funzioni
considerate più “femminili” (finance, HR, vendite, marketing).
Quello che però posso testimoniare dal mio osservatorio privilegiato
(sono nella stessa azienda da 25 anni) è che tantissime
cose sono cambiate, dall’attenzione all’equilibrio casa/lavoro ai
permessi di paternità, alla diversity come valore aziendale reale.
Oggi abbiamo capi manutenzione di fabbrica donne, direttori di
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La grande sfida è la sostenibilità economica e sociale
delle soluzioni tecnologiche che sono introdotte.
fabbrica e capiturno di reparti primari donne. Sono fiduciosa: il
mondo sta cambiando, anche se a velocità diverse e con diverse
priorità nei vari paesi. Rendersi conto che questo è vero è un ottimo
incentivo, credo, per intraprendere la strada dell’ingegneria.
Un consiglio che mi sento di dare alle giovani, e ai giovani che
devono prendere decisioni sul proprio futuro è quello di scegliere
una scuola che piace e, se ci si rende conto che non va bene,
cambiarla subito. Anche nel lavoro è lo stesso: fate un lavoro che
vi diverte e siate pronti a cambiare se non vi diverte più. Ci vuole
un’ottima motivazione per lasciare a casa il tuo bambino quando
esci per andare al lavoro e la vita è lunga.
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È indispensabile tenersi aggiornati:
studiare nuovi materiali, approfondire
diverse tecniche di valutazione,
sperimentare nuovi metodi di prova
e nuove tecniche di analisi.
Marta Bovassi
39 anni
Alumna Ingegneria
Edile 2005
MAPEI S.p.A.
Construction engineer,
researcher
Milano, Italia
Vivo a Galliate in provincia di Novara
e lavoro a Milano, in Mapei, dal 2005.
Per diversi anni in qualità di ricercatrice
presso il laboratorio centrale di Ricerca
e Sviluppo ho studiato, formulato e sviluppato
nuovi prodotti e materiali per il
ripristino del calcestruzzo. Da circa due
anni mi occupo invece di marcatura CE e
di certificazioni dei materiali per l’edilizia
formulati nei nostri laboratori: prodotti
per il ripristino e la protezione del cal-
cestruzzo, prodotti per muratura, massetti,
membrane impermeabilizzanti e
additivi per costruzioni in sotterraneo.
Analizzo e revisiono procedure e metodologie
di prova nei diversi ambiti di
studio. Mi dedico a specifici progetti di
ricerca e alla formazione di colleghi, in
Italia e all’estero, in materia di procedure
per la gestione dei materiali, formulazione
e sperimentazione dei prodotti, metodologia
di valutazione e certificazioni.
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La tecnologia è parte integrante nel lavoro
di ricerca di nuove soluzioni e nuovi
prodotti, con l’obiettivo di migliorarne
l’applicabilità, la funzionalità e la durabilità
nei diversi interventi di ripristino.
È indispensabile tenersi aggiornati:
studiare nuovi materiali, approfondire
diverse tecniche di valutazione, sperimentare
nuovi metodi di prova e nuove
tecniche di analisi che permetteranno
di sviluppare prodotti sempre più performanti
e duraturi.
La scelta del percorso universitario è
fondamentale per poter intraprendere
un’attività, un lavoro che dia soddisfazione
e che possa essere svolto ogni
giorno con piacere ed interesse. È importante
prestare attenzioni agli spunti
e alle opportunità che gli studi offrono:
a volte possono modificare i nostri interessi
e proporci prospettive inaspettate.
Quando ho iniziato Ingegneria Edile
pensavo di diventare un ingegnere progettista
e di dedicarmi allo studio dell’urbanistica.
Poi ho frequentato il corso di
studi di “Materiali da costruzione” del
prof. Luca Bertolini. L’argomento mi ha
coinvolto tanto che è stato anche oggetto
della mia tesi di laurea. Lo studio
dei materiali e la sperimentazione mi
interessavano molto, per cui ho colto al
volo l’opportunità di entrare a far parte
del gruppo di ricerca Mapei. Quella del
Poli è stata un’esperienza molto significativa,
fondamentale dal punto di vista
La scelta del percorso
universitario è
fondamentale per poter
intraprendere un’attività,
un lavoro che dia
soddisfazione e che possa
essere svolto ogni giorno
con piacere ed interesse.
100
101
dell’istruzione ma anche nella formazione
della mia persona. Ricordo l’ansia
e l’agitazione nella preparazione degli
esami e dei progetti ma anche la grande
soddisfazione per aver completato
con successo questo percorso formativo.
Ricordo inoltre con grande piacere
i compagni di corso: alcuni di essi li ho
rincontrati nel mio percorso lavorativo
e con alcuni collaboro ancor oggi. Con
altri invece, seppur distanti, abbiamo
stretto un’amicizia che dura tutt’ora.
Nell’ambito dell’edilizia la componente
maschile prevale in maniera significativa
su quella femminile. Ho lavorato per
circa 10 anni come unica donna in un
gruppo di lavoro composto da circa 20
persone. Spesso non è facile far valere
il proprio ruolo ma con dedizione, costanza
e determinazione sono riuscita
a guadagnarmi la stima dei colleghi e
delle persone esterne con cui collaboro.
102
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SARAH
BURGARELLA
40 anni
Alumna Ingegneria
Biomedica 2005
STMicroelectronics
Quality assurance
and biomedical engineer
Bergamo, Italia
Sono un ingegnere per la qualità di prodotto e aziendale
in una industria multinazionale elettronica. Nella pratica,
significa che faccio da ponte tra il management e i team
di ricerca e sviluppo.
Quando mi chiedono «Che lavoro fai?», rispondo: sono un ingegnere
per la qualità di prodotto e aziendale in una industria multinazionale
elettronica. Nella pratica, significa che faccio da ponte
tra il management, che pone gli obiettivi e indica le sfide tecnologiche
alle quali l’azienda vuole rispondere, e i team di ricerca e
sviluppo, che cercano soluzioni innovative a quelle sfide. STMicroelectronics
inventa e produce tecnologia, il mio compito è supervisionare
e assicurare la qualità nel processo di “invenzione”, cioè
di ricerca e sviluppo, e della tecnologia sviluppata (che può essere
hardware o software), cioè la certificazione nuovo del prodotto
elettronico.
Mi piace molto, perché è un lavoro che guarda sempre avanti e
tende all’innovazione. C’è anche molta competizione internazionale
tra le aziende che lavorano in questo settore. La tecnologia
è ovunque, anche per chi non ci ha a che fare per lavoro. Vi siamo
così immersi, che la diamo per scontata. Quanta tecnologia,
in quella frase che pronuncio la sera mentre preparo la cena e
devo trovare un intrattenimento per i bimbi: «Ok Google, riproduci
Shaun the Sheep da Netflix sulla TV». O quando esco a correre
con l’orologio GPS su un polso e l’orologio/telefono sull’altro. Se
pensiamo poi a quando viaggiamo in auto, la nostra sicurezza è
affidata in gran parte alla tecnologia elettronica. Per non parlare
della tecnologia presente in un ospedale: sistemi informativi,
diagnostica di laboratorio, diagnostica per immagini, fino alla chirurgia
robotica. Anche in ragione di questa pervasività della tecnologia,
fare l’ingegnere oggi è interessante e stimolante e offre
tantissime opportunità.
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Conta il risultato: il valore della persona,
le sue idee e la sua capacità di risolvere i problemi.
L’ambiente in cui lavoro è prevalentemente maschile, ci sono poche
donne. Personalmente non è mai stato un problema, mi sono
sempre trovata bene. Alla fine, conta il risultato: il valore della persona,
le sue idee e la sua capacità di risolvere i problemi.
Mi sono avvicinata a questo percorso un po’ per caso. All’ultimo
anno di liceo ebbi un colloquio con una professoressa universitaria:
dal momento che non avevo un’ambizione lavorativa precisa,
mi disse che “vivevo alla giornata”. Forse è stato proprio così. Ho
scelto ingegneria perché le materie preferite del liceo erano quelle
scientifiche. Indirizzo biomedico perché mi ispirava di più. Ho
fatto bene, gli studi durante i cinque anni mi sono piaciuti molto.
Certo è che sono stati anni molto impegnativi, in cui non ho fatto
altro che studiare, zero tempo libero, ma mi hanno dato soddisfazione,
dai corsi astratti del primo anno ai laboratori dell’ultimo.
Al momento di laurearmi, decisi di fare un tirocinio e la tesi in
azienda (cosa non molto diffusa, all’epoca). Fu un vantaggio dal
punto di vista professionale: dopo il tirocinio rimasi a lavorare
nella stessa azienda e approfondendo nel lavoro le cose per cui
avevo studiato. Dopo la laurea ho sostenuto l’esame di Stato e mi
sono iscritta all’Ordine degli Ingegneri di Bergamo. Presso questo
Ordine ho fondato la Commissione Bioingegneria, con l’obiettivo
di riunire professionisti da diverse aree di attività (ricerca di base,
dispositivi medici, ingegneria clinica) e di diffondere le conoscenze
sui settori della Bioingegneria attraverso la promozione di relazioni
tra università, centri di ricerca, industrie e istituzioni. Tutt’oggi
realizzo su richiesta progetti personalizzati nell’ambito della Bioingegneria,
su tematiche di salute, ambiente e sport. In azienda, nel
106
Se tornassi indietro, rifarei quello che ho fatto.
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corso di 15 anni, mi sono progressivamente spostata dalla ricerca
biomedicale alla certificazione di prodotto medicale e successivamente
alla certificazione di prodotto elettronico e qualità aziendale,
dove sono oggi. Se tornassi indietro, rifarei quello che ho fatto.
L’esperienza in azienda nell’R&D biomedicale mi è piaciuta molto,
come anche il passaggio agli aspetti di qualità e certificazione, perché
mi ha ampliato l’orizzonte dall’R&D al mercato.
Oggi come oggi non faccio previsioni sullo sviluppo della mia carriera,
perché le esigenze in una multinazionale elettronica possono
mutare improvvisamente a causa di fattori esterni. L’importante
è essere fluidi, pronti al cambiamento e ad accettare nuove
sfide professionali. È un atteggiamento che tocca tutti gli aspetti
della mia vita e ha molti punti in comune con la mia passione per
lo sport di resistenza, corsa e triathlon, che sono una metafora
di vita. La sfida nella maratona e nell’Ironman 70.3 è tra se stessi
e la gara, ma soprattutto tra se stessi e i propri limiti. Porsi un
obiettivo stimolante, “alzare l’asticella”, pianificare come raggiungerlo,
allenarsi con costanza, gestire gli imprevisti, gestire la fatica,
non perdere mai di vista l’obiettivo, fino a raggiungere il traguardo:
vale nello sport, come nel lavoro, come nella vita. È faticoso,
quindi scegliete il percorso universitario che vi attrae, perché la
fatica si sente meno quando una cosa si fa con piacere, e questo
vale anche per gli studi. Scegliete senza timori né confronti con
altri. All’ingresso nel mondo del lavoro sembrerà poi di dover ricominciare
daccapo a “studiare”: tutto normale, qualunque lavoro
ha i suoi tempi di apprendimento iniziali, magari anche lunghi. Nel
settore tecnologico, poi, in continua innovazione, l’aggiornamento
sarà continuo. Ne vale la pena.
L’importante è essere fluidi, pronti al cambiamento
e ad accettare nuove sfide professionali.
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Mi piace essere nella posizione
di poter influenzare i comportamenti
di alcuni fornitori (almeno in parte)
definendo condizioni a favore,
per esempio, di carbon foot print 0%
e energie rinnovabili, o anche a favore
di minoranze e diversità.
NICOLE CAIMI
41 anni
Alumna Ingegneria
Gestionale 2003
Infineon Technologies
Senior director procurement
silicon foundry
Monaco di Baviera,
Germania
Di base vivo in Germania, ma sono
spesso in viaggio, in media 2/3 settimane
ogni 2 mesi. Trascorro parecchio
tempo all’estero, in Asia, Stati Uniti ed
Europa. Quando qualcuno chiede alle
mie figlie che lavoro faccia la mamma,
loro rispondono: «Parla al telefono tutto
il giorno», e in parte è vero, ma ogni
giorno è diverso dal precedente, a seconda
che sia in ufficio a Monaco o da
qualche altra parte. Se sono a Monaco,
cerco di arrivare in ufficio prima delle 8
per avere almeno 30 minuti per definire
i miei obiettivi della giornata. Lavorando
con l’Asia, per via del fuso orario, le conference
calls iniziano già molto presto.
Di solito la giornata è già programmata,
passando da una call ad una riunione,
alla preparazione per la successiva. Il
pomeriggio di solito lo dedico ai meeting
face to face o a brainstorming su
questioni più complesse che non pos-
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sono essere risolte in mezzora. Cerco
di non uscire troppo tardi. Il lunedì e il
venerdì vado a prendere le mie figlie a
scuola e poi torno a casa e continuo a
lavorare da casa. Faccio sport 2/3 volte
alla settimana. È un buon equilibrio.
Oggi sono una manager, ma naturalmente
ci si arriva per gradi. Uno dei
momenti cruciali della mia carriera fu
il periodo in cui lavoravo in Nokia, dove
imparai molto. Era un contesto senza
gerarchie, senza regole. Un’azienda
dove tutti si chiamano con il proprio
nome di battesimo, dove le informazioni
(e i successi) erano condivisi a tutti
i livelli, dove le donne, in posizione di
top management, facevano conference
calls la sera con il rumore di stoviglie
e il chiacchiericcio dei bambini in
background. Io stavo appena iniziando
a lavorare e fui letteralmente “buttata
sul campo”, ma imparai tantissimo e
cambiai tantissimo. Ancora oggi lo uso
come mio modello di riferimento.
Il mondo dei semiconduttori è molto
tecnologico. Puoi toccare quasi con
mano il modo in cui la tecnologia ci permetta
di comunicare ovunque, ma non
solo. L’impatto è forte anche nell’automatizzare
sempre di più i processi, nel
mettere a disposizione strumenti che
permettono di risparmiare tempo nella
produzione dei dati, lasciando più tempo
per la strategia o l’analisi. Per questo,
anche per i manager diventa d’obbligo
scendere dei dettagli tecnici quando
ci sono temi critici da risolvere o escalation.
In questi casi, per prendere la
112
113
decisione giusta o per poter essere preparati
a gestire un’escalation bisogna
conoscere i dettagli, anche tecnici. La
complessità tecnologica è elevatissima,
nel campo dei semiconduttori. Per la
parte tecnica abbiamo team altamente
specializzati, tuttavia, per comprendere
certi problemi appieno, è necessario a
tutti entrare nel dettaglio tecnico.
Le cose più importanti nel mio lavoro
sono la capacità e la velocità di analisi di
problemi complessi, la propensione al
cambiamento e al miglioramento continui,
la capacità di lavorare in team e guidarlo,
la capacità di semplificare i problemi.
Mi piace il fatto di poter portare
la mia azienda verso gli obiettivi strategici
che si è posta e mi piace anche
essere nella posizione di poter influenzare
i comportamenti di alcuni fornitori
(almeno in parte) definendo condizioni
a favore, per esempio, di carbon foot
print 0% e energie rinnovabili, o anche a
favore di minoranze e diversità.
A questo proposito, in questo ambiente
la presenza femminile è ancora molto
limitata. Per me è abituale essere l’unica
donna in un meeting o in un progetto.
Nei leadership team di cui ho fatto parte
negli anni, spesso sono stata l’unica
donna “tecnica” (tra le risorse umane
invece le donne sono di più).
Hai sempre la possibilità
di reinventarti, se non
perdi il coraggio di
cambiare. Nella mia
carriera ho lavorato in
strategia, finance, sales e,
ora, nella supply chain.
Mi piacerebbe, tra
qualche anno, entrare
in una start-up o in una
piccola media impresa,
e magari, in futuro,
fondare una mia azienda.
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Tuttavia, non ho mai avuto la sensazione
di essere discriminata, al contrario. Ho
sempre lavorato in aziende interessate
all’equilibrio di genere e a promuovere
la diversity. Quando rientrai dalla mia
seconda maternità fui addirittura promossa.
Gli altri candidati erano uomini.
Ho sempre lavorato in aziende tecnologiche,
non per vocazione ma semplicemente
perché le opportunità di lavoro
sono notevolmente migliori in confronto
a altri contesti. Con il passare del
tempo, la concorrenza è minore perché
gli head hunter cercano comunque profili
di persone che già arrivano da realtà
tecnologiche. Anche quando ho scelto
l’università, non si è trattato di capire
cosa volessi fare, ma di scegliere il percorso
che mi avrebbe permesso di avere
più opportunità un domani. Quella di
ingegneria è una carta vincente per tutta
la vita. Poche sono le donne in quest’area,
ma la maggior parte ha avuto
grande successo e, da non trascurare,
anche una sicurezza economica di gran
lunga maggiore, in media, da quella garantita
da altre realtà professionali.
E hai sempre la possibilità di reinventarti,
se non perdi il coraggio di cambiare.
Nella mia carriera ho lavorato in strategia,
finance, sales e, ora, nella supply
chain. Mi piacerebbe, tra qualche anno,
entrare in una start-up o in una piccola
media impresa, e magari, in futuro,
fondare una mia azienda. Non oggi,
ma passati i 50 anni, quando si diventa
troppo “attempati” per le multinazionali,
allora è il momento giusto per far tesoro
dell’esperienza e delle competenze acquisite
e lanciarsi ancora in una nuova
avventura. L’importante è credere in noi
stesse e puntate in alto, sempre.
115
Mi occupo della pianificazione del supporto
logistico per tutte le entità che fanno parte
del Segretariato delle Nazioni Unite:
a partire dall’identificazione dei bisogni
alla loro traduzione in soluzioni.
MAURIZIA CAlò 47 anni
Alumna Ingegneria Elettronica 1998
United Nations
Officer in charge of the logistics division, office of supply chain management
New York, USA
Mi occupo della pianificazione del supporto logistico per tutte le
entità che fanno parte del Segretariato delle Nazioni Unite: a partire
dall’identificazione dei bisogni derivanti dai mandati queste
strutture, alla loro traduzione in soluzioni, all’identificazione delle
modalità per realizzare queste soluzioni e assicurarsi l’approvvigionamento
in tempo, della giusta qualità e quantità in aree remote
in cui le Nazioni Unite operano. Gli ambiti in cui opero includono
l’identificazione e la realizzazione della rete di trasporti per le
Nazioni Unite, lo spostamento di truppe e di beni, la realizzazione
di soluzioni nell’area di ingegneria, trasporti, razioni, benzina, rifornimenti
generali e medicali.
Per fare tutto questo, devo tenere conto delle sfere di influenza e
interesse di partners e clienti, della configurazione geopolitica, dei
trend emergenti nel campo della supply chain e devo assicurarmi
di avere sufficienti risorse. Dirigo un gruppo di 100 professionisti
di diverso background.
È un lavoro che amo perché mi offre uno scopo - posso inspirare
e inspirare altri, influenzando il progredire di un bene comune. In
futuro vorrei diventare country director, chief of staff, per portare
117
la mia conoscenza tecnica e manageriale ai tavoli politici. Sono
arrivata qui seguendo la passione - il mio sogno era di mettermi al
servizio di qualcosa più grande di me - e per farlo ho lasciato una
carriera eccellente nel settore privato. Non me ne pento - è più
dura ma sono orgogliosa di quello che ho fatto.
Ricordo la mamma di una mia cara amica menzionare un articolo
de Le Scienze su come ricreare circuiti nervosi attraverso circuito
elettrici. Mia mamma, biologa, aveva un abbonamento alla rivista.
Mio papà, psichiatra e uomo politico di immenso spessore, aveva
una vocazione alla cura dell’altro ed una dedizione tesa al conseguimento
del bene comune. È in questo nucleo famigliare che ho
maturato l’idea di fare Ingegneria Elettronica a indirizzo biomedico
e mettere la mia inclinazione alla scienza al servizio dell’umanità.
La conoscenza della tecnologia e la mia formazione scientifica
sono tasselli fondamentali della mia professione. Mi permette
l’identificazione di soluzioni sempre più avanzate per l’implementazione
dei mandati delle Nazioni Unite in paesi con infrastruttura
scarsa e sistemi di trasporto e sanitari limitati. La mia formazione
di ingegnere mi permette di valutare i meriti tecnici e prendere
decisioni informate da analisi di dati di prestazione, mi permette di
strutturare programmi di lavoro complessi sulla base dell’analisi di
scenari e pianificare interventi di sviluppo di media e lunga durata.
Del Poli ricordo anni bellissimi, amici, sconforto nelle tante difficoltà
e, poi, orgoglio infinito di farcela, l’impegno politico e sociale,
l’odore dell’erba bagnata e appena tagliata in tarda primavera.
Oggi vivo a New York, dove ci sono tanti Alumni del Politecnico
come me. Questo mi permette di ritrovare una comunità in cui
mi sono sempre riconosciuta e che ci aiuta ancora a crescere insieme.
118
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La conoscenza della tecnologia e la mia
formazione scientifica sono tasselli
fondamentali della mia professione.
Mi permette l’identificazione di soluzioni
sempre più avanzate per l’implementazione
dei mandati delle Nazioni Unite in paesi
con infrastruttura scarsa e sistemi di trasporto
e sanitari limitati.
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Di lavoro faccio l’ingegnere,
mi piace risolvere problemi,
sia tecnici che gestionali.
Ogni giorno è diverso dall’altro.
GAIA CAMPOLMI
45 anni
Alumna Ingegneria
Aerospaziale 1999
Yamaha Motor R&D
Europe
European quality
assurance division
manager
Milano, Italia
Di lavoro faccio l’ingegnere, mi piace
risolvere problemi, sia tecnici che gestionali.
Ogni giorno è diverso dall’altro:
posso passare la giornata al PC oppure
stare tutto il giorno in linea di assemblaggio
o in officina.
Yamaha Motor R&D Europe sviluppa sia
moto che scooter di varie cilindrate. Prodotti
con cui le persone normali si muovono
tutti i giorni, per andare al lavoro
o per il piacere di fare un giro turistico
o del fuoristrada in collina. Il mio lavoro
ha un impatto su diversi aspetti legati a
questi veicoli, dalla sicurezza, alla mobilità
nelle città e in generale alla sostenibilità
ambientale.
Per lavorare nella quality assurance,
bisogna conoscere il prodotto e il processo
di produzione: si pensa sempre
alla parte di design e tecnologia, ma, per
123
isolvere problemi ed ottimizzare, è altrettanto
importante capire come viene
montata la moto, vedere come si muovono
gli operai e l’ambiente in cui lavorano.
Nella cultura industriale giapponese
e, di conseguenza, nella lean manufacturing
che ne deriva, è fondamentale il
concetto di “GO TO GEMBA”: GEMBA è il
luogo in cui succedono le cose, il luogo
in cui si lavora, il luogo in cui si verificano
i problemi. Per capirne le cause e definire
i piani di miglioramento è necessario
verificare i fatti e le condizioni in cui accadono,
sul campo.
Lo stabilimento di assemblaggio che visito
più frequentemente è nel nord della
Francia, ma alcuni prodotti sono stati
seguiti direttamente con lo stabilimento
di Iwata dove ha sede l’headquarter di
Yamaha. Viaggio molto per conoscere e
confrontarmi con la realtà produttiva dei
fornitori e delle fabbriche del gruppo. È
sempre interessante confrontare metodi,
caratteristiche specifiche e differenze
culturali. Non mancano mai le riunioni,
lo scambio di e-mail e la comunicazione
con le persone del mio team.
È un lavoro in cui servono preparazione
tecnica, comunicazione, ambizione.
Devo approfondire e tenermi aggiornata
sulle nuove tecnologie il più possibile.
Mi piace, perché la tecnologia per me è
124
un interesse, è importante al lavoro ma
mi segue a casa. È bella ed aiuta l’essere
umano, perché limitarsi al lavoro?
È ovunque, pensiamo alla tecnologia
come strumento per la creazione artistica:
sono state fatte cose incredibili.
L’evoluzione della connettività è quella
che sta cambiando di più il prodotto e le
aspettative cliente. Non so cosa ci riserverà
il futuro: anche nel breve termine,
è già un periodo di cambiamenti, con
le nuove normative nel settore moto, la
connettività tra i veicoli e l’elettrico, che
non è ancora decollato davvero. A lungo
termine ci sarà una nuova forma di mobilità
in cui sfrutteremo di più il servizio
e meno il prodotto, ma vorremo comunque
conservare il legame emotivo con
il prodotto. La qualità servirà sempre.
Cresce, cambia, si adatta alle nuove tecnologie,
apre nuovi temi ma è sempre
un tema fondamentale. C’è sempre spazio
per migliorarsi.
Il mio è un settore in cui c’è un forte squilibrio
di genere. La disparità c’è e più si fa
carriera più questo è evidente. Nel mio
caso questa condizione mi ha spinto
ancora di più a resistere e spingere per
emergere, ma ho fatto più fatica di alcuni
miei colleghi. E ho anche avuto fortuna.
Ciononostante, ci sono colleghi che
ancora mi guardano come una mosca
Nella cultura industriale
giapponese è
fondamentale il concetto
di “GO TO GEMBA”:
GEMBA è il luogo in cui
succedono le cose,
il luogo in cui si lavora,
il luogo in cui si verificano
i problemi. Per capirne
le cause e definire
i piani di miglioramento
è necessario verificare i
fatti e le condizioni in cui
accadono, sul campo:
lo stabilimento
di assemblaggio.
bianca. Ma quello delle discipline tecniche
è un campo in cui si possono fare
tantissime cose belle. Fin dall’università,
non c’è solo tanto da studiare, c’è anche
tanta gioia e tanto divertimento. Bisogna
togliersi di dosso la paura del “non
lo sai fare”. È anche importante parlare
dei risultati che si possono ottenere scegliendo
questo tipo di percorso e parlare
anche di soldi, di livello di carriera, di
indipendenza. Siamo brave a fare tutto,
bisogna ripeterlo mille volte invece che
dieci e creare una risposta positiva che
combatta il “non lo sai fare”: magari un
125
126
“scommettiamo che lo sai fare meglio?”.
Io, per prima, non ho sempre pensato di
fare l’ingegnere, ho cambiato idea tante
volte nell’adolescenza e, al momento
dell’iscrizione all’università, ero ancora
indecisa tra ingegneria, architettura e
storia. A un incontro di orientamento
mi dissero chiaramente che alcuni corsi
di studio aprivano le porte a posti da
insegnante e a pochi soldi. Io volevo una
vita con più prospettive e con delle sfide,
perché riuscire a portare a termine
qualcosa di difficile dà tante soddisfazioni
e fiducia in se stessi. Quindi scelsi
ingegneria, e dei tempi del Poli ricordo
tanto studio e tanto divertimento. Tante
persone che sembravano strane, all’inizio,
e che sono diventate importanti
negli anni, che sono fiorite: l’ingegnere,
come il vino, migliora con gli anni. Già
durante gli studi avevo la sensazione di
poter fare tantissime cose, sentivo che il
futuro era aperto.
A quelli che iniziano, un consiglio: concentratevi
molto il primo anno, è quello
che screma e che vi fa acquisire sicurezza
in voi stessi. E leggete tanto anche di
altri temi, non rinchiudetevi solo nello
studio. A quelli che entrano nel mondo
del lavoro: cambiate lavoro, settore,
azienda soprattutto nei primi anni. Non
dite mai di no, se vi offrono un cambiamento:
provateci.
127
Elena
Carnacina
43 anni
Alumna Ingegneria
dei Materiali 2003
CEA Cadarache
Pilota di centrale solare
a concentrazione su un
impianto prototipo
Saint-Paul-Lez-Durance,
Francia
128
Il mio lavoro è pilotare una centrale solare a
concentrazione. La novità di questo progetto
è lo stoccaggio di energia termica durante
le ore di massima disponibilità di energia solare,
per cederlo in altre ore del giorno.
Due anni dopo la laurea al Politecnico, mi hanno presa per partecipare
ad un progetto di formazione e mi sono rimessa a studiare
per una “seconda laurea” in turbomacchine, sempre al Poli.
Poi mi sono trasferita in Inghilterra, nel 2008, e ho lavorato 2 anni
in Alstom prima di trasferirmi in Francia dove oggi vivo con il mio
compagno e mio figlio. Qui ho lavorato per ITER, un progetto per
la costruzione di un reattore al plasma su scala industriale. Oggi
lavoro da quasi 2 anni su un prototipo di centrale solare: il mio
lavoro è pilotare una centrale solare a concentrazione. La novità
di questo progetto è lo stoccaggio di energia termica durante le
ore di massima disponibilità di energia solare, per cederlo in altre
ore del giorno. Lo scopo è di caratterizzare i sistemi di stoccaggio
di energia termica nella fase di carico e di scarico: ovvero misurare
quale pressione e temperatura possono assicurare in fase di
produzione vapore, ottimizzare le sequenze di carico, individuare
i punti deboli del design e selezionare le soluzioni più efficaci.
È un lavoro sul campo. In estate partecipo alla conduzione della
centrale solare di produzione di vapore: la facciamo partire giornalmente,
monitoriamo i parametri termodinamici in maniera
continua apportando delle azioni correttive se necessario, definiamo
ed eseguiamo le sequenze di marcia della centrale per testare
le sue performance secondo i parametri richiesti. Seguiamo
ed eseguiamo la manutenzione giornaliera della centrale. Fuori
stagione estiva eseguiamo le azioni di manutenzione curativa
e preventiva, definiamo le possibili modifiche per migliorare le
prestazioni o le condizioni di marcia della centrale, redigiamo il
129
apporto tecnico dei risultati ottenuti. Il mio lavoro, in particolare,
consiste nel mettere a punto la tecnologia del recettore solare a
concentrazione, testarne la maturità, le potenzialità ed i limiti. Lo
sforzo continuo dell’ingegnere è quello di integrare le differenti
tecnologie in sistemi complessi per ottenere una sinergia più efficace.
Mi piace molto poter ideare delle soluzioni, verificarle dal
punto di vista termodinamico o meccanico e realizzarle.
La migliore decisione che abbia preso nella mia vita professionale
è stata quella di lasciare un contratto a tempo indeterminato per
un contratto a progetto. È stato all’inizio della mia carriera quando
sono entrata in Franco-Tosi Meccanica, a Legnano. È stato un rischio,
per chi mi era accanto sembrava quasi una pazzia, lasciare
un posto fisso per un contratto a progetto. Invece si è rivelato un
ottimo investimento, una grande iniezione di fiducia, una scommessa
che si poteva solo vincere perché mi ero messa in gioco
con tutto quello che avevo.
Ho così potuto partecipare ad un programma di formazione in
turbomacchine per giovani ingegneri, finanziato da Franco-Tosi ed
organizzato dal Politecnico di Milano, dandomi accesso ad un titolo
di master. Lavorando e studiando ho aggiunto al mio profilo delle
competenze molto richieste dalle aziende del settore e che mi
hanno permesso di trovare lavoro in Inghilterra. Poi sono partita.
Dopo 2 anni, mi sono trasferita in Francia, per mio desiderio. Lavoravo
come consulente in missione per un’organizzazione internazionale.
Dopo qualche tempo, mi hanno offerto un contratto di
lavoro diretto, ben pagato ma con poca protezione sociale. È stata
un’esperienza lavorativa che mi ha permesso di guadagnare bene,
ma che mi ha lasciato tanto amaro in bocca a livello umano. Quel
posto esigeva diplomazia e accettazione del sistema molto politicizzato,
io non sono riuscita a mimetizzarmi. Dopo ITER e tanti anni
di lavoro in ufficio, ho cominciato a lavorare sulla centrale solare.
130
Mi imbarcai al Politecnico perché mi affascinava l’idea
di studiare i materiali e la materia, ignoravo cosa fosse
la professione dell’ingegnere e quali fossero gli sbocchi
professionali. Quello che io pensavo fosse interessante
non era nemmeno un decimo delle conoscenze alle
quali avrei avuto accesso.
In prospettiva, grazie alla mia esperienza professionale, penso che
continuerò a lavorare nel settore energia ed in particolare vorrei
esserci per la transizione energetica, quando e se si farà, lavorare
al miglioramento dell’efficacia di produzione e consumo di energia
locali da sorgenti rinnovabili. Grazie alla tecnologia, oggi, abbiamo
la possibilità di gestire e mantenere il livello di consumo energetico
elevato che il nostro stile di vita richiede.
Sono entrata al Poli per caso, ho subito molto la pressione della
mia famiglia, ero molto angosciata da quello che i miei genitori
avrebbero detto di me, nonostante tutto ho ricevuto molte critiche
e non è stato un percorso facile. Mio padre è andato su tutte
le furie sapendo che mi sarei iscritta ad ingegneria, mi disse subito
che non ce l’avrei fatta, nella sua testa avrei dovuto studiare economia
o legge. Era la prima volta che mi parlava delle sue aspettative
sul mio futuro, rimasi interdetta; ricordo che pensai di non
avere nulla da rimproverarmi perché quella roba non mi suscitava
alcun interesse; potevo proseguire sulla mia strada! I primi anni
riuscii ad autofinanziarmi gli studi grazie ad una bella borsa di studio.
Quando finirono i soldi, mio fratello si fece carico della retta,
mio padre non ne voleva sapere. Non ci parlammo per qualche
tempo (un mese? Non ricordo), per dispetto cominciai a fare la
cameriera il sabato notte, dalle 11 alle 5, non lo sopportava ed io
mi sentivo vittoriosa.
131
Mi imbarcai al Politecnico perché mi affascinava l’idea di studiare
i materiali e la materia, ignoravo cosa fosse la professione dell’ingegnere
e quali fossero gli sbocchi professionali. Non la definirei
una vocazione, direi che avevo un interesse personale nei materiali.
Quello che io pensavo fosse interessante non era nemmeno
un decimo delle conoscenze alle quali avrei avuto accesso. Avrei
saputo rispondere a tantissime domande che giravano nella mia
mente: meccanica, chimica, metallurgia, fisica e molto ancora.
Perché il metallo caldo a contatto con l’acqua si indurisce? Perché
un prodotto chimico sciolto in acqua può dissolvere la stoffa?
Perché il cemento appena mischiato all’acqua fa una zuppa liscia
e morbida ed il giorno dopo è così duro che ho dovuto buttare
via tutti i miei pentolini giocattolo? Quelle domande nascevano
per curiosità ma soprattutto grazie a mio padre. Lui era artigiano
e cercava sempre di mettere mano a tutto per arrangiarsi. Poi,
quando aveva risolto un problema, per gioco veniva a domandarci
quale soluzione avremmo messo in atto al suo posto, questo fu
un esercizio costante che mi ha sempre stimolata ed incuriosita.
In questo campo, come in altri nel settore ingegneristico, c’è un
forte squilibrio di genere. Dal 2018 lavoro con un gruppo di soli
uomini: fanno eccezione, oltre a me, la nostra coordinatrice, che
non lavora sul campo e che vediamo 3/4 volte l’anno, e l’ingegnere
per la sicurezza, anch’essa donna, che viene una volta al mese.
Il maschilismo è ancora molto radicato, a tal punto che anche le
donne sono spesso indotte ad assumere comportamenti maschilisti
per essere conformi. Ho sentito colleghi definire la manager
(a capo di 50 persone) come “il papà”, in francese “le père”, come
se un capo potesse essere solo uomo. In ambito internazionale è
ancora peggio, in un progetto con cinesi, giapponesi, indiani, russi
è praticamente inconcepibile avere delle donne in posizione manageriale,
a meno che il concetto non sia fortemente sostenuto
e voluto dalla direzione. Ho sempre pensato, soprattutto i primi
anni, che un giorno avrei trovato un ambiente di lavoro nel quale
132
sei libero di esprimere il tuo pensiero, senza che qualche “macho”
ti ricordi chi deve avere ragione, sovrapponendo la sua idea alla
tua, e dove i sorrisini ironici non esistono. Invece è come sognare
l’America. Se ami il tuo lavoro ed hai un buon equilibrio psichico,
trovi la forza di farti strada comunque. Le cose cambieranno, sì,
ma la scala dei tempi è lunga.
Ci sono anche poche ragazze che scelgono di studiare materie
come ingegneria. La ragione principale, a mio avviso, per la quale
molte ragazze non si avvicinano a questo mondo, è la pressione
sociale, le aspettative della famiglia e l’immagine del ruolo della
donna messa davanti agli occhi delle giovani proprio dalla loro famiglia,
dalla chiesa, dalla scuola, dai media. L’ostacolo più difficile è
liberarsi di questa immagine per poter costruire se stessi come si
vuole essere, senza dover rispondere alle aspettative del proprio
entourage o cedere alla pressione sociale: la voglia di conoscere e
di comprendere come funzionano le cose non ha genere.
Consiglio a chi studia, specialmente al Poli, di non perdersi mai
d’animo, mai mollare: se siete metodici e costanti arriverete fino
in fondo. A chi entra nel mondo del lavoro dico: ai datori di lavoro
piace chi lavora tanto, ancor di più chi lavora troppo. Bisogna passare
per questa fase, ma non annichilitevi, siate sempre pronti a
scommettere su voi stessi, buttatevi in nuove esperienze, i risultati
sono meravigliosi!
Siate sempre pronti a scommettere su voi stessi,
buttatevi in nuove esperienze, i risultati sono
meravigliosi!
133
134
La cosa che amo di questo lavoro
è far tornare i numeri.
Rossella
Castiglioni
46 anni
Alumna Ingegneria
Energetica 2003
ENGIE
Efficiency manager
Busto Arsizio, Italia
Sono responsabile dell’efficientamento
di circa 700 impianti termici condominiali
per uso residenziale. La cosa che
amo di questo lavoro è far tornare i
numeri. Adoro la matematica. Sono
anche molto importanti puntualità, costanza,
perseveranza e collaborazione.
La tecnologia aiuta: a partire dalle cose
più banali, come le letture dei consumi
energetici presi in centrale termica dai
tecnici, inserite direttamente in loco tramite
tablet e trasferiti sul programma di
controllo consumi. Oppure i vari softwa-
re di confronto per capire l’andamento
di un impianto a livello stagionale, mensile
e settimanale. A livello impiantistico,
la tecnologia in questi anni ha fatto
molti passi in avanti, tra caldaie ad altissima
efficienza, cogeneratori, impianti
solari e fotovoltaici e geotermici, pompe
di calore, tutti utilizzati nei condomini a
livello centralizzato per la produzione di
calore ed elettricità. La telegestione degli
impianti ha ottimizzato le tempistiche
di intervento.
135
Lavorando in una grande realtà come
quella di Engie, le occasioni di crescita
non mancano. Mi hanno appena chiesto
di seguire l’efficientamento di tutta Italia,
lato residenziale, e direi che è un ottimo
traguardo. Spero di poter organizzare al
meglio il lavoro collaborando in team con
altre persone, che è la cosa fondamentale
per poter lavorare bene e soprattutto
ottenere buoni risultati. Quest’anno sarà
un anno di cambiamenti. Spero davvero
di essere in grado di riorganizzare il controllo
gestione consumi.
Dalla 3 a elementare alla 4 a liceo ho sempre
desiderato fare medicina come mio
zio a cui volevo molto bene. Il cambiamento
c’è stato l’ultimo anno di liceo,
quando una professoressa mi ha fatto
amare ancora di più la matematica e
la fisica, con il suo metodo di insegnamento.
Me ne sono innamorata e da
lì ho cambiato totalmente visione. Ho
comunque mantenuto quel qualcosa di
medico facendo la volontaria sulle ambulanze
per anni. Così ho potuto seguire
entrambe le passioni. Quello del Poli
è stato un periodo molto bello, si studiava
tanto, soprattutto nel weekend, o
sul treno. Ma c’era un clima molto tranquillo
tra gli studenti, c’era anche competizione,
ma soprattutto ci si aiutava.
Essere poche ragazze in mezzo a tanti
uomini non era un problema.
Anche nel mondo del lavoro, la componente
maschile in questi campi è sempre
predominante, ma io non mi sono
mai sentita in difetto e nessuno mai mi
ha fatto sentire in difetto perché donna.
Anzi. Spesso c’è stupore, ma anche
molta stima. E solitamente il commento
principale è che le donne che fanno un
lavoro spesso coperto da figure maschili
sono molto più in gamba dei maschi,
fosse anche solo perché generalmente
vogliono essere più precise. Nell’ambiente
lavorativo quindi devo dire di
non aver mai avuto problemi di alcun
tipo, internamente alle ditte in cui ho lavorato.
Esternamente mi è capitato che
presentandomi in qualche cantiere o assemblea
condominiale con dei colleghi
maschi, le persone si riferissero principalmente
al collega uomo, chiamandolo
ingegnere, per poi scusarsi con stupore
nel momento in cui gli veniva spiegato
che il tecnico ero io. Ma non sono mai
state situazioni problematiche.
Ho iniziato la mia carriera dopo la laurea,
in una ditta che stava nascendo
proprio in quel momento, EVOLVE S.r.l.,
e che col tempo è diventata grande. Eravamo
io, il capo e una segretaria. Ho potuto
quindi addentrarmi in ogni aspetto
dell’azienda, dalla parte tecnica alla parte
amministrativa, agli interventi in campo,
alla parte commerciale. L’esperienza
136
fatta mi ha aiutata molto per avere una
visione d’insieme. Successivamente sono
passata ad una azienda a conduzione familiare,
la TREG SOGESCA S.r.l., che pur
essendo piccola aveva un parco impianti
importante nella zona. E qui ho davvero
potuto imparare tantissimo grazie alla
presenza di figure professionali molto
preparate a livello tecnico e ho anche
imparato molto a livello impiantistico
direttamente sul campo, specializzandomi
poi nell’ottimizzazione dell’efficientamento
energetico degli edifici.
Chi finisce oggi il percorso di studi, rispetto
ai miei tempi, trova condizioni
molto cambiate. Io ho trovato lavoro in
15 giorni; oggi è diverso, si trova magari
anche subito, ma con contratti a progetto
o a tempo determinato. Si deve
attendere un po’ di più per riuscire ad
avere un lavoro a tempo indeterminato.
Però ho visto che tutti gli ingegneri arrivati
con uno stage sono stati confermati,
se in gamba, senza problemi. Quindi
dipende molto da quanto ti dai da fare.
Ci sono anche dei vantaggi, rispetto al
passato: molti più contatti e possibilità
con l’estero, e sono tutte esperienze
molto interessanti. Certo, per laurearsi
in ingegneria bisogna tenere duro, non
lasciarsi andare alle delusioni dei primi
esami. Ho notato in questi anni che tanti
che sono usciti con ottimi voti dalle
superiori hanno poi affrontato il primo
anno con difficoltà e voti bassi. Non significa
per forza che non sei in gamba
o non sei portato. Occorre solo capire
il nuovo metodo di studio, farlo proprio
e non arrendersi al primo esame andato
male. È un grande cambiamento e va
affrontato ragionando, con pazienza,
senza credere di poter imparare tutto
subito a memoria.
137
CRISTINA CECCHINATO 43 anni
Alumna Ingegneria Chimica 2003
Flughafen Zuerich AG
Ingegnere per il teleriscaldamento
Zurigo, Svizzera
Mio papà è ingegnere meccanico (ora in pensione) e lavorava in
una cartiera. Da piccola mi portava a visitare gli impianti della cartiera
e della cartotecnica durante le “giornate delle porte aperte”.
Credo che durante queste visite siano nati i germogli del mio interesse
per la tecnologia. Quello che mi affascina è l’applicazione
delle leggi di fisica e chimica, tradotte in matematica, per costruire,
per facilitare il lavoro e per renderlo più sicuro.
Oggi mi occupo dell’ingegneria della centrale di cogenerazione e
degli impianti di teleriscaldamento in aeroporto. È un lavoro che
richiede ottima conoscenza tecnica (di termodinamica e ingegneria
di processo), capacità di gestire progetti e capacità comunicativa.
Ho la fortuna di rivestire una posizione che mi permette di
lavorare a più livelli: come ingegnere di processo, se devo dimensionare
una valvola di sicurezza, nuove tubazioni o uno scambiatore
di calore, come sostegno del gestore d’impianto, quando c’è
da risolvere un problema in impianto (per esempio trovare le cause
di un’avaria e capire come risolverla), come project manager,
quando devo scrivere bandi di gara per l’appalto della realizzazione
di nuove sottostazioni del teleriscaldamento e la gestione di
139
costi, scadenze, controllo della qualità tecnica, etc., in fase di realizzazione
e come consulente, quando lavoro a studi per l’evoluzione
e l’ottimizzazione degli impianti esistenti (per esempio devo
prevedere come evolverà il fabbisogno energetico sotto forma di
fabbisogno di calore, freddo e corrente nei prossimi 30 anni e
capire come soddisfare tale fabbisogno).
La tecnologia è sia oggetto che strumento di lavoro. Inoltre, lavoro a
stretto contatto con il gestore d’impianto e il responsabile della manutenzione
per tutto ciò che riguarda l’impianto di cogenerazione
tra caldaie, turbine a gas e a vapore, scambiatori di calore e chilometri
di tubazioni. Le tematiche legate al clima hanno un forte impatto
sul settore energetico. Il perfezionamento dell’efficienza degli
impianti per ridurre il consumo delle risorse e lo sviluppo di nuove
tecnologie sono fondamentali per restare al passo con i tempi.
Del mio lavoro amo la varietà e la molteplicità di funzioni e compiti,
la competenza e la collaborazione del team in cui lavoro, la flessibilità
nell’orario di lavoro (posso compensare gli straordinari e lavorare
in part-time 80%) e la location: l’aeroporto. Ci sono tante possibilità
di crescita: a breve termine mi occuperò di diversi progetti (nuove
sottostazioni e manutenzioni straordinarie) e a lungo termine il
tema energetico e climatico mi vedrà coprotagonista di un grande
rimodernamento d’impianto, con probabile cambio di tecnologia.
Ho tanti interessi: nel tempo libero ho seguito (per hobby) una
scuola di tre anni per diventare terapeuta shiatsu, ho frequentato
corsi di pasticceria e mi dedico volentieri al bricolage. Al liceo ho
conseguito una maturità classica e ho passione per la letteratura,
la filosofia e l’arte, anche se non ha avuto uno sbocco professionale.
Sono molto curiosa e mi piace viaggiare, progettare insieme a
mio marito (ingegnere informatico e programmatore d’impianto)
l’impianto solare per il nostro nuovo camper. Nella mia libreria ho
140
Come dice mio papà, citando il titolo di una
trasmissione radiofonica degli anni ‘60:
ingegnere «non tutto, ma di tutto, piccola
enciclopedia popolare!»
libri fantasy, science fiction, favole dal mondo, manuali di shiatsu e
agopuntura, libri di chimica organica, il Perry (Chemical Engineers
Handbook, regalo di un collega carissimo, che purtroppo non c’è
più), manuali di costruzione meccanica, testi di termodinamica, romanzi
storici, libri di cucina e diverse guide turistiche ed escursionistiche.
Come dice mio papà, citando il titolo di una trasmissione
radiofonica degli anni ‘60: ingegnere «non tutto, ma di tutto, piccola
enciclopedia popolare»! Nella scelta della facoltà universitaria
ho tenuto presente i miei interessi senza trascurare la capacità
d’inserimento nel mondo del lavoro. Tra le mie conoscenze, chi si
è laureato in campo tecnico ha trovato più velocemente lavoro e
ha, a tutt’oggi, maggiori possibilità di scelta in tutto il mondo.
Del Poli ho ricordi intensi: le ore trascorse a ripetere dimostrazioni,
risolvere esercizi e scrivere reazioni alla lavagna in aula Natta,
insieme a un compagno di corso, per prepararsi agli esami. Il laboratorio
di chimica organica e la sintesi dell’aroma di lampone.
Il nervosismo prima degli esami e il senso di liberazione una volta
superati. L’anno di tesi al dipartimento di Termodinamica e l’orgoglio
negli occhi dei miei genitori il giorno della mia laurea. Ingegneria
è anche una facoltà teorica. Mi ha insegnato una cosa che uso
ancora oggi: capire il perché delle cose e le loro relazioni.
Nella mia professione, si continua a imparare anche dopo la laurea,
è di vitale importanza essere aperti ad imparare ogni giorno:
che arrivino da un professore o un saldatore, le lezioni sono pre-
141
Si continua a imparare anche dopo la laurea,
è di vitale importanza essere aperti
ad imparare ogni giorno: che arrivino
da un professore o da un saldatore,
le lezioni sono preziose.
ziose. Fare esperienza in cantiere, in impianto o in officina completa
la figura professionale, migliora la comprensione di impianti
e persone e, a mio avviso, fa la differenza tra un ingegnere e un
buon ingegnere. In fin dei conti la tecnologia è nata per rendere la
vita più facile. Se dimensiono un impianto da un punto di vista tecnico,
ma non tengo conto delle esigenze di chi ci lavora, ho svolto
il mio lavoro solo a metà. Avere l’umiltà di riconoscere che, pur
avendo studiato tanto, abbiamo ancora molto da imparare, è per
me un leitmotiv che mi ha dato e mi dà la possibilità di crescere
come professionista e come persona.
Per un ingegnere è quindi importante la curiosità, ma lo è anche
la determinazione. Nel mio caso, mi ha permesso di passare dal
liceo classico a Ingegneria Chimica, di “mollare tutto” a 30 anni
e di trasferirmi in Svizzera tedesca senza sapere una parola di
tedesco. Il mio asso nella manica: un’ottima formazione. Il liceo
classico mi ha insegnato a “imparare, studiare e perseverare”, mi
ha dato la “forma mentis” per così dire. Il Politecnico mi ha dato
le conoscenze tecniche, la capacità di vedere le relazioni causa ed
effetto, di scomporre “problemi grossi” in “problemi piccoli” e una
lingua universale: fisica, chimica e matematica.
142
143
Nella mia carriera ho commesso diversi errori, ma mai lo stesso
due volte. A livello professionale, una migliore conoscenza dell’inglese,
terminata l’università, mi avrebbe reso le cose più facili. Uno
scambio Erasmus mi avrebbe sicuramente aiutato, purtroppo non
mi è stato possibile. Un approccio più pratico (con esperienze lavorative
nel settore durante l’università) mi avrebbe sicuramente
aiutato a gestire “l’ingresso nel mondo del lavoro” dopo l’università.
Non parlo della possibilità di trovare lavoro: ho trovato lavoro
in pochissimo tempo. Parlo del modo di vivere nell’ambiente di
lavoro: la teoria è ottima, ma il senso pratico aiuta molto a semplificare
le cose e nella comunicazione con collaboratori, clienti,
fornitori, etc., soprattutto in cantiere.
È innegabile che nel settore tecnico ci sia una maggiore presenza
maschile. Mi è capitato di dover combattere contro pregiudizi e
di dover alzare la voce per essere ascoltata e presa in considerazione
come “ingegnere”. Dall’altro canto, mi è capitato anche di
notare come la presenza di una donna in un gruppo altrimenti
completamente maschile aiuti a rendere il clima più collaborativo
e io ho la fortuna di far parte di un team molto competente, che
riconosce la mia competenza tecnica senza riserve o pregiudizi.
Inoltre, oggi, la sezione in cui lavoro è tutta al femminile: siamo
due ingegneri donna, io chimico, la mia collega meccanico, e tutte
due straniere in Svizzera, io italiana e lei tedesca. Ci sono anche
situazioni come questa.
144
Ricordo un episodio della serie: “ingegnere donna in cantiere”. Ero
in Germania, in qualità di consulente per la gestione della realizzazione
e messa in marcia di un impianto di termovalorizzazione
rifiuti. Unica donna “tecnico” in cantiere. Il clima in impianto era
piuttosto teso a causa di diversi problemi tecnici e di scadenze
imminenti. Durante la messa in marcia del sistema di condizionamento
dell’acqua di caldaia c’è stata una perdita e una parte
d’impianto si è allagata. Il responsabile tecnico di quella parte d’impianto
ha provato più volte a liberare lo scarico con la forza bruta
e non c’è riuscito. Io mi sono armata di un cacciavite, ho studiato la
situazione e sfruttando l’effetto leva ho liberato lo scarico e risolto
la situazione. Non dimenticherò mai la sua espressione! Tornati in
sala controllo, gli altri cantieristi gli hanno chiesto come fosse riuscito
a risolvere la situazione e lui ha risposto: «Non l’ho risolta io, ci
ha pensato lei!». Alla fine del progetto ho ricevuto offerte di lavoro
da tre delle cinque ditte costruttrici coinvolte: è stato gratificante!
Si continua a imparare anche dopo la laurea,
è di vitale importanza essere aperti
ad imparare ogni giorno: che arrivino
da un professore o da un saldatore,
le lezioni sono preziose.
145
Il mio ruolo è quello di individuare quali
rischi di sicurezza informatica e di data
protection esistano e suggerire come
mitigarli e tenerli sotto controllo,
in modo che restino accettabili (il
“rischio zero” non esiste).
ANGELA CERA
49 anni
Alumna Ingegneria
Elettronica 1997
European Patent Office
Security administrator
L’Aja, Paesi Bassi
Lavoro nell’IT dello European Patent Office,
precisamente nel dipartimento IT
Risk and Compliance; come specialista
di Security e Privacy, analizzo vari progetti
o iniziative aziendali. Il mio obiettivo
è quello di individuare e gestire i
rischi di sicurezza e di privacy di questi
progetti, in modo che i rischi residui finali
restino ad un livello accettabile.
Faccio un esempio ipotetico, ma verosimile
e molto attuale. Supponiamo che
una multinazionale voglia testare una
piattaforma informatica basata su tecnologia
cloud che consenta di gestire
centralmente le strutture aziendali delle
varie sedi europee in modo automatico.
La piattaforma è integrata con diverse
sonde, dislocate in varie parti degli edifici:
riceve i valori misurati dalle sonde e
li elabora in cloud. I parametri misurati
possono riguardare, per esempio, le
temperature: saranno usati per predire
e guidare il sistema di condizionamento
147
dell’aria e ottimizzare i consumi. Ci potrebbero
essere sensori di occupazione
o di presenza nei parcheggi: sarebbero
magari usati per permettere alla piattaforma
di guidare i visitatori automobilisti
verso i parcheggi disponibili. Ci sarebbero
telecamere per registrare accessi
e uscite in punti strategici e, mediante
un sistema OCR, consentirebbero il riconoscimento
automatico delle targhe
autorizzate e l’azionamento delle sbarre
degli ingressi carrai. Sonde di presenza
potrebbero anche essere posizionate
sale meeting e indicare ai visitatori quali
sale siano disponibili e prenotabili. Il tutto
verrebbe gestito tramite un’app per
smartphone, in grado di fornire all’utente
indicazioni di direzione in modo dinamico
e geo-localizzato. In questa iniziativa,
ci sono innumerevoli potenziali
rischi per la sicurezza (non è un caso
che tanti film d’azione siano ambientati
proprio in un contesto come questo). Il
mio ruolo è quello di individuare quali
rischi di sicurezza informatica e di data
protection esistano e suggerire come
mitigarli e tenerli sotto controllo, in
modo che restino accettabili (il “rischio
zero” non esiste).
Il mio lavoro comporta
un approccio critico
verso la tecnologia:
sono chiamata a
individuare cosa
potrebbe andare storto.
Non lavoro da sola: è un’attività che coinvolge
tantissime persone. Interagisco
con vari colleghi per chiarire gli scenari
possibili, gli obiettivi e i vincoli dell’iniziativa,
col project manager, gli architetti
IT, gli sviluppatori e i tecnici di rete, gli
amministratori di database, gli specialisti
dell’area legale, con il contract management,
con il data protection officer,
con gli specialisti di user experience, di
comunicazione e di supporto alla clientela
e, infine, con il system integrator e i
vari fornitori esterni.
Gli avanzamenti tecnologici a livello
mondiale e la creazione di nuove invenzioni
si riflettono direttamente sul numero
crescente di richieste di brevettazione
presso gli Uffici dei Brevetti in ogni
parte del mondo (incluso quello in cui lavoro,
cioè l’Ufficio Europeo dei Brevetti).
148
Sempre di più, il mio lavoro comporta
un approccio critico verso la tecnologia.
Nelle iniziative aziendali - di qualsiasi
natura - sono chiamata a individuare
cosa potrebbe “andare storto” a causa
di violazioni di confidenzialità, integrità e
riservatezza delle informazioni, e suggerisco
contromisure affinché queste violazioni
non si verifichino. È necessario
considerare non solo l’approccio meramente
tecnico verso i sistemi (presenza
di vulnerabilità informatiche, patching
dei sistemi, criptazione dei dati e delle
comunicazione critiche, etc.) ma anche,
soprattutto, la prospettiva umana: devo
pensare - anche in modo non convenzionale
- se e in quali modi un utente
o un amministratore di sistema possa
commettere abusi, frodi, furti, indurre
un malfunzionamento o creare ad arte
un’interruzione di servizio - in modo doloso
o colposo.
Parlando di privacy, invece, devo capire
se i dati personali che vengono elaborati
garantiscano sempre il rispetto dei
diritti e delle libertà fondamentali delle
persone coinvolte. Nel fare questo, devo
sempre tenere bene presente le leggi e i
regolamenti nazionali ed europei.
È sbalorditivo e al contempo stimolante
e affascinante vedere quali e quanti
rischi si nascondano dietro alle implementazioni
tecnologiche, pur semplici
e apparentemente innocue. Per non
parlare poi delle novità legate all’Intelligenza
Artificiale, all’Internet of Things,
alle Blockchains.
Il mio lavoro mi porta a creare e risvegliare
consapevolezza internamente in
azienda, a “fare aprire gli occhi” ai clienti
che si imbarcano in iniziative dal rischio
elevato; introduce contromisure per la
protezione del business stesso, e per la
privacy dell’individuo.
Il mio ruolo di specialista di sicurezza
IT e privacy mi piace molto perché mi
consente di impiegare bene molteplici
aspetti della mia persona: i miei
vent’anni di esperienza nel campo IT,
specialmente nella sicurezza e data
protection; la mia capacità di coniugare
pensiero analitico-lineare con quello
creativo-laterale; la mia passione per la
protezione dei diritti e libertà dell’individuo,
e per un business etico. In futuro
mi piacerebbe assumere un incarico
con maggiori responsabilità e capacità
decisionali e autonomia di budget, per
esempio diventare chief security officer,
o data protection officer, o risk management
officer.
149
È comunque un lavoro che mi porta
necessariamente e costantemente ad
aggiornarmi sulle vulnerabilità e le insidie
nelle nuove tecnologie, come anche
sulle leggi e le best practices di settore.
In futuro, parte di questa attività potrà
essere (e sarà) automatizzata, specialmente
per quanto riguarda la prevenzione
delle vulnerabilità nei sistemi IT.
Però presenta anche molti aspetti non
automatizzabili, proprio perché mira a
trovare e rimediare ai difetti nell’impiego
delle tecnologie. Una figura di gestione
del rischio dovrà sempre essere informata
sugli aspetti IT e, come oggi, dovrà
avere acume e senso del business. Molto
probabilmente riceverà dati e report
in modo automatico, per poi valutare
interventi e contromisure suggeriti da
logiche di Intelligenza Artificiale. Il contributo
critico squisitamente umano resterà
comunque fondamentale.
150
Sono contenta del percorso che ho
scelto. Il motivo per cui mi sono avvicinata
al mondo dell’ingegneria riguarda
proprio le discriminazioni e i pregiudizi
di genere: fin da quando avevo 12 anni
(1982) coglievo come vi fossero molteplici
aspetti - percepiti per lo più come
negativi - associati ai ruoli o alle figure
femminili, per esempio il vestirsi in
modo lezioso, l’essere più minute e basse
di corporatura degli uomini, il riuscire
bene eventualmente solo nelle materie
scolastiche letterarie, artistiche o linguistiche,
l’essere dotate di parlantina
sciolta ma non disporre di grande logica.
Naturalmente, nulla di tutto questo
corrisponde alla realtà, ma sono bias
che possono pesantemente influenzare
l’idea che una persona si costruisce di
se stessa, specialmente da giovane. Personalmente,
già a 12 anni vedevo con
dispetto come le donne venissero associate
ed incastrate in questi pregiudizi;
temevo e odiavo sinceramente l’idea di
poter essere considerata una persona
di poco valore o frivola solo perché di
sesso femminile. Tra le altre cose, fin da
ragazzina sapevo di non corrispondere
per niente allo stereotipo di genere: ero
fisicamente molto alta e forzuta, amavo
le discipline artistiche come pure matematica
e scienze, ero un tipo taciturno,
sapevo parlare e scrivere bene all’occorrenza,
e non mi facevo zittire dai
prepotenti. Non ero però certa di cosa
mi sarebbe piaciuto studiare o in quale
settore avrei voluto lavorare. Avevo solo
capito che avrei dovuto scegliere il mio
corso di studi universitari in modo molto
oculato, proprio per evitare di cadere
nella trappola dei “pregiudizi di genere”
e per garantirmi una professione stimata
e un futuro economicamente sereno.
Dopo la maturità scientifica (1989),
maturai la convinzione che avrei fatto
Ingegneria, Fisica o Matematica. Mi era
ben chiaro il valore di una “testa da ingegnere”:
multidisciplinarietà e fantasia,
coniugate a un approccio pragmatico,
metodo di analisi e sintesi che offre la
capacità di cogliere i dettagli senza perdere
la visione d’insieme. Oltre alle competenze
tecniche, questa è l’importante
lezione del Politecnico. È una lezione
che si ottiene con la fatica e la perseveranza
necessarie per arrivare alla laurea
in Ingegneria. All’epoca, circolavano
opinioni (non fondate) sul fatto che un
laureato in Ingegneria, quantunque versato
e competente in discipline tecnico-scientifiche,
in genere non riuscisse
mai a guadagnare quanto un laureato
in Economia e Commercio, tantomeno
all’inizio della carriera. Scelsi di non dare
ascolto alle voci di chi si focalizzava solo
su uno stipendio immediato leggermente
più alto, e scelsi Ingegneria Elettronica
al Politecnico di Milano.
151
Nella mia scelta furono determinanti tre
aspetti: anzitutto, sapevo che - una volta
ingegnere - non avrei avuto problemi a
trovare lavoro, vista la formazione ampia
e versatile degli ingegneri e la loro
facilità di impiego nel mondo del lavoro;
tra le altre cose, erano gli anni della nascita
e sviluppo prodigioso di Internet.
Immaginavo che, dato il numero esiguo
di donne ingegnere, l’essere ingegnere
e donna mi avrebbe dato un vantaggio
differenziante non solo rispetto ad altre
neolaureate, ma anche rispetto agli
ingegneri uomini. Infine, i miei genitori
(mamma insegnante di scienze, papà
perito elettrotecnico) mi appoggiarono
nella mia scelta fin dall’inizio, e sostennero
durante tutto il percorso di studi
senza esercitare pressioni, né fare confronti
tra me e i miei fratelli, né pretendere
che rinunciassi agli studi di pianoforte
(che riuscii a portare a termine
durante gli anni al Poli). Mi rendo conto
di aver avuto genitori illuminati!
Quando mi iscrissi al Poli, non sapevo di
preciso cosa sarei andata a fare dopo
la laurea. Nel mio caso, la scelta di studio
intrapresa ha condizionato i miei
interessi lavorativi. Trovai lavoro appena
laureata e, nei primi anni di carriera,
cambiai spesso, girando diverse piccolo/medie
aziende e ricoprendo vari profili
professionali (sviluppo software, sup-
porto post sales, prevendita, application
specialist, etc.). Dopo il 2.000, con l’avvento
della telefonia mobile, entrai nel
settore telco; nel 2006 - grazie ad un job
posting interno - cominciai a lavorare e
specializzarmi in sicurezza informatica
e data protection. Dopo 8 anni, questa
specializzazione mi portò all’estero a lavorare
per l’Ufficio Europeo dei Brevetti.
Il mio lavoro non è una vocazione in
senso stretto, ma noto con piacere che
taluni suoi aspetti riflettono pienamente
la mia visione etica del mondo: mi riferisco
per esempio a “business values”
come la necessità di garantire qualità e
continuità dei servizi alla clientela, la mitigazione
dei rischi, la promozione della
consapevolezza tra gli utenti su temi di
cybersecurity e privacy, la responsabilità
personale nell’elaborare i dati personali
e aziendali, la sostenibilità ambientale.
Mi era ben chiaro
il valore di una
“testa da ingegnere”:
multidisciplinarietà
e fantasia, coniugate
a un approccio
pragmatico, metodo
di analisi e sintesi.
152
Le premesse di quell’antico ragionamento
erano quindi valide. Certamente anche
nel mio ambiente di lavoro (internazionale,
nei Paesi Bassi) c’è un netto squilibrio
di genere: tanti uomini, poche donne. Raramente
ho visto donne che lavoravano
come network engineer, o software developer,
o DBA. Devo dire comunque che
nell’IT ho trovato sempre donne molto volitive,
granitiche, che non si facevano mettere
i piedi in testa, con la voglia di fare
bene, senza scendere a compromessi.
Personalmente, sul lavoro non mi sono
mai sentita discriminata né sminuita per
il fatto di essere una donna. Non ho subito
vessazioni o demansionamenti al ritorno
dalla maternità, nel 2011; anzi, ho
goduto di un periodo di maternità allungato
a stipendio pieno. Nel mio attuale
ambiente di lavoro sono attorniata da
persone di svariate diverse nazionalità.
Colgo atteggiamenti faziosi, preferenze
e bias di origine politica tra persone di
nazionalità tradizionalmente opposte
(per esempio: francesi vs tedeschi), ma
non legati al genere. Solo un paio di volte
mi è capitato di essere attaccata professionalmente
da colleghi uomini: ho
sempre prontamente scalato e risolto
la cosa con i superiori gerarchici.
Guardando a ritroso, riconfermo pienamente
la scelta universitaria fatta 30
anni fa: mi ha consentito di sviluppare
competenze scientifiche e tecniche di
cui ho fatto tesoro, e che ho poi applicato
in ambiti lavorativi disparati. La laurea
in Ingegneria al Politecnico di Milano è
stato il migliore investimento che abbia
mai fatto per la mia vita professionale!
Alle ragazze delle scuole superiori di
oggi, curiose del mondo e con voglia
di fare, dico: guardate il mondo circostante
e chiedetevi cosa vi incuriosisce
di più, cosa vi stimola, cosa vi spinge a
“fare bene” e potrebbe diventare il vostro
campo lavorativo. Indagate diversi
settori, e indagatevi. Quali che siano i
settori su cui punterete gli occhi, vedrete
tanta scienza da approfondire, e l’impiego
di innumerevoli implementazioni
tecnologiche. Implementazioni che saranno
le ingegnere di domani ad ideare,
analizzare, progettare, implementare,
testare, integrare, perfezionare; con
metodo, pazienza e tenacia: provando e
riprovando. Se tutto questo vi affascina,
allora siete pronte per ingegneria: e il
Poli sarà il punto di partenza ideale del
vostro viaggio professionale.
È un viaggio che richiede metodo, pazienza
e tenacia: lo sottolineo. I miei
anni universitari al Poli non sono stati
una passeggiata. Io facevo vita da pendolare,
vivevo con la mia famiglia in
provincia di Lecco e raggiungevo Milano
ogni giorno in treno; dopo le lezioni,
153
tornavo a casa a studiare. Anche a causa
dei miei concomitanti studi di pianoforte
(presso la Civica Scuola di Musica
di Milano), purtroppo non avevo stretto
grandi amicizie con altri universitari, con
cui poter condividere dubbi e fatiche
nello studio; devo ammettere d’aver
passato l’intero periodo universitario
studiando in solitaria a casa o in treno, e
seguendo le spiegazioni in aula. Ricordo
la vastità dei programmi di studio, i chili
di fotocopie (appunti sbobinati, eserciziari,
libri di testo, libri extra). Dal punto
di vista sociale, ricordo le pochissime
compagne di corso (vere e proprie mosche
bianche). Ho imparato sin da allora
a vivere in un ambiente a maggioranza
maschile. Sono certa che oggi le cose
siano cambiate, e in meglio!
Ricordo con piacere non solo la competenza,
ma anche lo humour e il brio che
alcuni professori sapevano infondere
nella propria materia (il prof. Colorni di
Ricerca operativa; il prof. Rinaldi di Teoria
dei sistemi; la prof.ssa Vaghi di Analisi II e
III; il prof. Vianello di Meccanica razionale,
e molti altri). Ricordo anche l’avvertimento
che mi diede il prof. Maffezzoni (relatore
della mia tesi, su Controllo dei Processi):
mi consigliò di non scegliere una
tesi di laurea corposa, nonostante avessi
una media decisamente buona, per due
ragioni: anzitutto, i datori di lavoro preferiscono
non assumere chi si è laureato
andando ampiamente fuori corso.
Quello di ingegneria è un percorso duro
per tutti, ma estremamente ricco di
soddisfazioni. A chi sceglie di intraprenderlo
(donna o uomo) voglio dare qualche
consiglio:
- Sii tenace e perseverante! In caso contrario,
è meglio che non inizi nemmeno
l’università.
- Cerca di studiare e confrontarti con compagni
di studio, perché questo ti sosterrà
psicologicamente ed emotivamente.
- Coltiva anche altre dimensioni materiali
e spirituali, oltre alle discipline ingegneristiche
propriamente dette. Nella
vita e nel lavoro ti apprezzeranno certamente
per le competenze ingegneristiche,
che sono dovute, ma si ricor-
Quello di ingegneria è un
percorso duro per tutti,
ma estremamente ricco
di soddisfazioni.
A chi sceglie di
intraprenderlo (donna
o uomo) voglio dare
qualche consiglio.
154
deranno di te per quel quid in più che
saprai dare e comunicare, e che rivela la
tua personalità: lo humor, la creatività,
l’amore per l’arte, l’empatia, lo sport, la
passione per la cucina, qualsiasi cosa ti
riguardi e ti interessi.
- Coltiva fin da subito e in modo fluente
l’inglese e/o altre lingue straniere: ormai
viviamo in un mondo globale.
A chi finisce gli studi universitari ed entra
nel mondo del lavoro:
- Complimenti! Ce l’hai fatta! Sii sempre
orgoglioso di te stesso e del tuo titolo,
hai compiuto una vera impresa!
- Non aver paura di rischiare e fallire
ripetutamente nel cercare lavoro. L’importante
è imparare e rialzarsi dopo
ogni tentativo andato male.
- Entra nei network professionali, anche
tramite i social media. Sono una valida
fonte di aggiornamento e di ispirazione, ti
consentono di farti conoscere, di raggiungere
una base contatti più ampia, di cercare
e trovare altre posizioni lavorative.
- Poniti obiettivi di crescita e aggiornamento
professionale regolarmente, e
chiedi al tuo datore di lavoro di sostenerti
fattivamente in questo.
155
Lucia Chierchia
46 anni
Alumna Ingegneria
Meccanica 1999
GELLIFY
Managing partner
Bologna, Italia
156
Quando interagisco con una start-up cerco di capire gli
elementi distintivi della loro soluzione, quel dettaglio
differenziante che può rappresentare valore su cui
investire. Quando interagisco con imprenditori e manager
d’azienda cerco di comprendere le sfide, di business
e personali, poiché si tratta spesso di persone con la
volontà di innovare, ma che faticano a sbloccare alcuni
meccanismi decisionali aziendali, poiché si muovono
in un contesto con una struttura rigida.
Dopo una vita da ingegnere meccanico prima e manager poi, ho
deciso di diventare imprenditore nel settore digitale in GELLIFY,
che fa da trait-d’union tra startup tecnologiche e aziende consolidate
che vogliono innovare.
Ogni giorno ho la fortuna di interagire con due ecosistemi innovativi:
un ecosistema di start-up alla ricerca non soltanto di fondi
per far crescere la propria idea di business, ma anche di aziende
che le aiutino a validare la loro soluzione tecnologica, implementandola
in contesti industriali maturi; un ecosistema di aziende
consolidate, alla ricerca di soluzioni tecnologiche innovative. Il mio
ruolo è quello di intercettare start-up con soluzioni innovative per
aiutarle a crescere ed attivare collaborazioni con aziende consolidate
con la volontà di innovare. Quando interagisco con una
start-up cerco di capire gli elementi distintivi della loro soluzione,
quel dettaglio differenziante che può rappresentare valore su
cui investire. Ho a che fare con ricercatori e spin-off universitari,
millennial con idee non convenzionali e persone come me che
vengono da esperienze in grandi aziende e che hanno fatto il salto
per diventare imprenditori. Quando interagisco con imprenditori
e manager d’azienda cerco di comprendere le sfide, di business
e personali, poiché si tratta spesso di persone con la volontà di
innovare, ma che faticano a sbloccare alcuni meccanismi decisionali
aziendali, poiché si muovono in un contesto con una struttura
rigida e spesso non adatta al cambiamento.
157
Le competenze tecnologiche sono sempre
più multidisciplinari ed è pertanto opportuno
combinare ad esempio la meccanica con il digitale
per creare ed entrare in un nuovo mondo
che mi piace chiamare “phygital”.
Ogni giorno ho l’opportunità di scoprire soluzioni innovative
che fanno leva su diversi domini tecnologici. Ricevo stimoli che
mi spingono ad approfondire temi, al di là dei miei studi, perché
non si smette mai di studiare. È fondamentale per me avere un
background tecnico, che comunque richiede un aggiornamento
continuo poiché le tecnologie emergenti sono in evoluzione con
un rate di cambiamento altissimo. Le mie basi di meccanica sono
preziose per comprendere alcuni meccanismi industriali (per
esempio nell’industria manufatturiera, da cui provengo), ed è meraviglioso
scoprire come essi possano integrarsi con altri domini
tecnologici. Le competenze tecnologiche sono sempre più multidisciplinari
ed è pertanto opportuno combinare ad esempio la
meccanica con il digitale per creare ed entrare in un nuovo mondo
che mi piace chiamare “phygital”: le tecnologie stanno cambiando
profondamente la produzione industriale, dando vita alla
“fabbrica del futuro”. Verranno costruite nuove relazioni tra uomini
e macchine, nonché tra esseri umani provenienti da diversi ecosistemi
industriali. Le fabbriche avranno un livello digitale, che rappresenta
un potente driver di vantaggio competitivo, ma anche un
elemento complesso da gestire. Dobbiamo imparare come guidare
questa evoluzione, costruendo un nuovo ecosistema “phygital”
per le nostre fabbriche. In questo, è anche fondamentale
la capacità di gestire progetti complessi e di coordinare persone
appartenenti a ecosistemi diversi tra loro, ad esempio il manager
della grande azienda e la piccola start-up, oppure culture diverse,
generazioni diverse. Ma l’elemento cruciale è la capacità di interagire
con le persone e di valorizzare i loro punti di forza per farle
158
159
crescere, crescendo insieme in un percorso che non è solo professionale
ma è innanzi tutto personale. Non so come cambierà
il mio lavoro, ma so che avrò sempre a che fare con persone speciali,
perché la squadra puoi sceglierla. Non importa quale sarà la
nuova idea di business della prossima avventura imprenditoriale;
saranno sempre le persone a fare la differenza.
Il mio percorso professionale non è stato del tutto pianificato e
non vi è stata una singola decisione che sia stata decisiva. Credo
che sia stata più la sequenza di piccole e grandi decisioni ad aver
disegnato passo dopo passo il mio viaggio. È stata importante la
decisione di scegliere di studiare Ingegneria Meccanica, innanzi
tutto perché mi ha permesso di studiare quello che mi suscitava
interesse ed entusiasmo. Il percorso di studi va scelto con la testa
e con il cuore. È stata importante la decisione di accettare la sfida
di lasciare il mio ruolo “tradizionale” nell’R&D management ed occuparmi
di open innovation. Ho scoperto un mondo di imprenditori,
startupper, investitori, un mondo in cui mi sono riconosciuta
e di cui sentivo di voler far parte. È stata importante la decisione
di iniziare il mio percorso di impresa con GELLIFY. Mi sono “innamorata”
del team e dell’idea di business, ed ho fatto il salto. Ma tra
queste milestones ci sono state le piccole decisioni di ogni giorno
e anche tanti errori, che rifarei ancora, perché sono parte del mio
percorso di crescita. Forse l’unico errore che non ripeterei è relativo
al bilanciamento tra vita lavorativa e professionale: dai 30 ai 40
anni ho davvero spinto sull’acceleratore, non per scelta strategica,
ma perché trascinata dalla passione per quello che facevo. Avrei
dovuto fermarmi ogni tanto e dare più tempo a me stessa, perché
la vita è una sola ed ogni attimo è unico ed irripetibile.
Oggi comunque sono soddisfatta del mio lavoro e guardo al futuro.
Non posso prevederlo, ma immagino che cambierà innanzi
tutto la struttura organizzativa delle aziende. I ruoli saranno meno
incastrati in gerarchie e diventeranno più liquidi, per far leva sulle
160
161
competenze reali di ogni persona, al di là dell’età, della cultura,
del genere. Una struttura di questo tipo richiederà professionalità
diverse, che abbiano non solo competenze hard in uno specifico
settore, ma anche e soprattutto quelle soft skill che saranno
cruciali nel guidare, e non solo gestire, un ecosistema complesso
di persone. Il manager diventerà sempre più coach, stimolando
l’organizzazione ad evolvere valorizzando gli asset noti ma anche
il potenziale nascosto, e diventerà anche sempre più imprenditore,
per guidare i processi decisionali in un contesto di incertezza
e volatilità. C’è bisogno, per questo, di profili con la capacità di
comprendere i processi tecnologici: scienziati, ingegneri, fisici, chimici,
sviluppatori software e medici, così come di tante altre figure
professionali che operano in un contesto permeato di tecnologie.
E, se è vero che in alcuni contesti industriali vi sono ancora poche
donne nelle funzioni tecnologiche (ad esempio progettazione e
produzione), è anche vero che quando ho l’opportunità di interagire
con team ibridi vedo una macchina diversa, con un motore
capace di girare a diverse velocità, con un uno stile di guida
che cambia in funzione del contesto e delle sfide progettuali. Così
dovrebbero essere le aziende, degli ecosistemi ibridi che creano
valore dalla diversità.
Nulla di tutto questo può essere fatto senza passione. È importante
scegliere un percorso che ha quel non-so-che che ci fa
innamorare. Ma per innamorarsi è necessario incontrarsi. È pertanto
vitale che le ragazze (così come i ragazzi) siano esposte fin
da bambine alle tecnologie, che possano giocare col lego e non
solo con le bambole, che possano pedalare con una mountain
bike e non con una mirella col cestino. La passione, l’entusiasmo,
l’intuizione che “quella è la strada per noi” è qualcosa che nasce
dalla nostra storia. Io, al liceo, ho fatto studi classici già sapendo
però che avrei studiato ingegneria: era il mio sogno fin da piccola.
Mia mamma per questo mi chiamava Grisù, come il draghetto
che sognava di fare il pompiere, perché continuavo a ripetere: «Da
grande farò l’ingegnere!».
162
Nulla di tutto questo può essere fatto senza passione.
163
La possibilità di far compiere ad una
macchina una specifica legge di moto
funzionale ad una operazione utile fu la
scintilla che orientò la mia visione di come
volevo essere ingegnere nel mondo del lavoro.
Elena Cischino 48 anni
Alumna Ingegneria Meccanica 1996
Pininfarina Engineering S.r.l.
Vehicle performance manager
Torino, Italia
Durante i miei ultimi due anni di studio, mi appassionai a quei
meccanismi che permettono di realizzare particolari movimenti
e traiettorie. La possibilità di far compiere ad una macchina una
specifica legge di moto funzionale ad una operazione utile fu la
scintilla che orientò la mia visione di come volevo essere ingegnere
nel mondo del lavoro.
Immaginavo di progettare macchine che svolgessero determinate
operazioni grazie a speciali meccanismi da me ideati, oppure
di modificare macchine esistenti per adeguarle a nuove esigenze.
Ero da sempre affascinata da quei documentari tecnici che illustravano
ad esempio come vengono prodotti i biscotti, dall’impasto al
confezionamento con un’unica macchina, o che facevano vedere
incredibili macchine agricole in grado di raccogliere i piselli e di
sgranarli. Sognavo di poter un domani progettare macchine simili.
Arrivò il momento della tesi, non sui meccanismi per macchine
automatiche, bensì - caso fu - sugli ingranaggi. Scoprii una nuova
passione, e decisi di cercare lavoro solo in quel settore.
165
Passare tutta la giornata davanti
ad un calcolatore non faceva per me.
Dopo la laurea iniziai a inviare a tappeto il mio curriculum in aziende
che si occupavano di ingranaggi e quindici giorni dopo iniziai a
lavorare in una piccola industria a conduzione familiare che progettava
e costruiva trasmissioni di potenza in ambito siderurgico,
farmaceutico e cementiero. Mi ritrovai così in ufficio tecnico e pian
piano imparai a progettare autonomamente un gruppo riduttore:
dimensionavo gli alberi, gli ingranaggi e la cassa portante, realizzavo
i disegni ed i particolari costruttivi al tecnigrafo, seguivo la
realizzazione dei pezzi ed il montaggio ed il collaudo del gruppo.
Con questo lavoro sentivo di aver dato un senso alla mia laurea
e mi sentivo un ingegnere a tutti gli effetti. Dopo un po’ di tempo
passai in un’azienda più stabile, sempre occupandomi di riduttori
ad ingranaggi, ma per gli impianti di risalita. Iniziai quindi a calcolare
le funi, apponendo la firma di ingegnere iscritto all’Albo, avendo
nel frattempo dato l’esame di abilitazione alla professione.
Purtroppo, questa azienda entrò in crisi e iniziai a cercare un nuovo
lavoro, provando ad avvicinarmi a casa, in Piemonte. Accettai
quindi l’offerta del Centro Ricerche Fiat di Orbassano e così entrai
nel mondo dell’automotive, che avevo sempre evitato perché non
mi appassionava. Da ingegnere pratico mi ritrovai a fare il teorico
davanti a un calcolatore e imparai a simulare i fenomeni acustici
generati dalle vibrazioni strutturali di un’automobile. Ma avevo
bisogno di confrontarmi con il prodotto “in carne e ossa”, perciò
accettai un lavoro che mi metteva in contatto con lo stabilimento
che produceva quella vettura: la lancia Thesis.
166
Quando il progetto terminò, ebbi la conferma che passare tutta
la giornata davanti ad un calcolatore non faceva per me, quindi
cercai un nuovo lavoro, sempre in Piemonte. La mia attuale azienda
stava cercando personale tecnico; inviai il mio CV e superai i
colloqui. Sono ancora qui dopo 19 anni.
Nel mio quotidiano mi occupo di performance di un’autovettura,
coordinando su un progetto un gruppo di specialisti di simulazioni
virtuali e di sperimentatori. Questo significa che il mio lavoro è
trasversale a tutte le fasi dello sviluppo, perché le performance
devono essere prese in considerazione già in fase di definizione
dello stile, validate e messe a punto sui prototipi fisici.
Mi occupo di performance di un’autovettura,
coordinando su un progetto un gruppo di specialisti
di simulazioni virtuali e di sperimentatori.
Questo significa che il mio lavoro è trasversale a tutte
le fasi dello sviluppo.
Quando il progetto terminò, ebbi la conferma che passare tutta
la giornata davanti ad un calcolatore non faceva per me, quindi
cercai un nuovo lavoro, sempre in Piemonte. La mia attuale azienda
stava cercando personale tecnico; inviai il mio CV e superai i
colloqui. Sono ancora qui dopo 19 anni.
Nel mio quotidiano mi occupo di performance di un’autovettura,
coordinando su un progetto un gruppo di specialisti di simulazioni
virtuali e di sperimentatori. Questo significa che il mio lavoro è
trasversale a tutte le fasi dello sviluppo, perché le performance
devono essere prese in considerazione già in fase di definizione
dello stile, validate e messe a punto sui prototipi fisici.
167
168
L’aerodinamica ed il raffreddamento motore e freni, ad esempio,
sono performance. Le forme e le aperture nella carrozzeria sono
il frutto di un compromesso fra lo stile e le performance, che vengono
analizzate tramite appositi programmi di calcolo computazionale,
e verificate già in fase embrionale del progetto in galleria
del vento con modelli in scala 1:1 in polistirolo fresato.
La sicurezza passiva è un’altra performance che si cura in fase di
definizione dello stile: le forme e i primi abbozzi strutturali dietro
di esse devono essere disegnati in modo tale da poter assorbire
urti a bassa velocità con un minimo impatto sui costi di rilavorazione.
Le luci fra il cofano e le “parti dure” all’interno del comparto
motore devono essere sufficienti per assorbire l’impatto con la testa
di un pedone (adulto o bambino) senza che questi subiscano
un trauma irreversibile. Sempre le performance sulla climatizzazione
dell’abitacolo guidano il disegno delle canalizzazioni dell’aria
e delle mostrine stilistiche ubicate su plancia e le finizioni interne.
Nelle fasi successive, quando entra in campo la progettazione, la
struttura portante (scocca) dell’autovettura deve essere concepita
in modo tale da essere sufficientemente rigida per supportare le
forze che arrivano dalle sospensioni e dal sistema motore; deve
avere un comportamento vibrazionale tale da non sincronizzarsi
con i modi di vibrare di sospensioni e sistema motore; deve essere
in grado di deformarsi in zone ben definite in caso di urti
frontali, laterali e posteriori di diversa tipologia; deve minimizzare
il peso e i costi di realizzazione e di assemblaggio. Allo stesso
modo le parti apribili (porte laterali, cofano, baule o portellone)
devono essere progettate tenendo conto di prestazioni simili e in
più devono rispettare performance ergonomiche affinché l’utente
le possa manovrare in sicurezza esercitando uno sforzo di movimentazione
accettabile.
169
Dopo la teoria, la pratica: in fondo sono
un ingegnere, quindi un tecnico.
Passando all’autoveicolo completo, si procede ad impostare attraverso
simulazioni iterative il comportamento dinamico della
vettura: in altre parole, a definire l’elastocinematica delle sospensioni
(rigidezza di molle e tasselli che connettono fra loro le parti
delle sospensioni) in differenti condizioni di esercizio (missioni),
identificando regioni di instabilità dell’automobile che potrebbero
pregiudicare la sicurezza nella guida.
Lavorare sulle performance in ambito di impostazione e progettazione
implica cooperare con le tecnologie di processo (un
particolare oltre a funzionare deve essere realizzabile), con il manufacturing
(più elementi devono poter essere assemblabili e le
attrezzature devono avere lo spazio di accessibilità), con il cost
engineering (a volte la soluzione più efficiente da un punto di vista
prestazionale non è sostenibile, quindi bisogna ricercarne un’altra),
con gli esperti di materiali e con gli specialisti di ergonomia.
Successivamente si arriva alla fase di costruzione dei prototipi
marcianti ed inizia la sperimentazione. Quanto impostato a calcolo
viene validato sperimentalmente e tutto ciò che non è stato
possibile valutare virtualmente viene esplorato sui prototipi fisici.
Inizia quindi la seconda e per me più divertente parte del mio lavoro.
Dopo la teoria, la pratica: in fondo sono un ingegnere, quindi
un tecnico.
L’automobile è un prodotto complesso, e nell’ambito della validazione
occorre essere dei buoni tecnici nella fase virtuale, dove
170
con l’aiuto di software sofisticati è possibile disegnare la struttura
insieme ai progettisti ed ai tecnologi, dimensionandola affinché
sia efficiente e resista alle varie sollecitazioni statiche, dinamiche e
a fatica, e dei buoni problem solver nella fase di sperimentazione
su prototipo. Le prove fisiche sono una grande scuola tecnica e di
vita: si impara innanzitutto che molte soluzioni che sembravano
le migliori sono perfettibili o addirittura non funzionano durante i
test, e vanno modificate.
A me piace ripetere ai collaboratori più giovani che essere bravi
con il calcolatore e con la teoria è utilissimo, ma è solo con i test
che si ha la percezione reale dell’oggetto. Basti pensare alle dimensioni
vere rispetto a quelle in un monitor. Nel fisico ci si scontra
con situazioni che possono sembrare banali e che richiedono
ingegno. Inoltre, si tocca con mano quanto possa essere potente
la forza del vento nel deformare o rompere un corpo, quanto possa
essere fastidiosa una vibrazione o una risonanza, quanto possa
essere letale un impatto e quanto diventi fondamentale l’attrito in
certe situazioni.
Le leggi basilari della meccanica e della fisica imparate al Politecnico
si vivono tutti i giorni, sicuramente senza la dose massiccia di
matematica studiata all’università, ma tutto ritorna e il background
resta vivo.
Essere bravi con il calcolatore e con la teoria
è utilissimo, ma è solo con i test che si ha
la percezione reale dell’oggetto.
171
La regola del compromesso vince sempre,
bisogna essere abili e veloci nell’individuarla.
È vero che in questo campo c’è molta disparità di genere, ma le
professioni non hanno sesso e non bisogna mai smettere di credere
nelle proprie aspirazioni. Inoltre, l’ingegneria è un settore dove si
trova un buon impiego, diventando subito indipendenti. Sono molte
le cose che apprezzo di questo lavoro, e lo apprezzo molto, anche
senza essere appassionata di automobili o Formula 1. Innanzitutto,
il fatto di essere in un’azienda di medie dimensioni, dove
il fattore umano ha il suo peso, e dove il prodotto (l’automobile)
passa dalla fase “foglio bianco” alla fase prototipale. Occupandomi
di validazione virtuale e fisica ho la fortuna di cooperare con tutti
i reparti, dallo stile alla progettazione, dal process engineering al
manufacturing. Un altro aspetto positivo è l’internazionalità che si
respira: i nostri clienti provengono da ogni parte del mondo, perciò
esiste anche una componente, non trascurabile, di immedesimazione
in culture differenti dalla propria, fattore che fa crescere, ad
ogni età. Il mio lavoro è diverso ogni giorno, perché le problematiche
da affrontare, pur appartenendo ad ambiti ben conosciuti,
sono sempre nuove e sfidanti. Per esempio, dimensionare una
scocca in carbonio è ben diverso dal dimensionarla in acciaio, materiale
ancora diverso dall’alluminio. Non basta essere dei buoni
ingegneri strutturisti: bisogna anche dialogare con i tecnologi perché
a volte una soluzione vincente dal punto di vista strutturale
non è fattibile o lo è ma a caro prezzo. La regola del compromesso
vince sempre, bisogna essere abili e veloci nell’individuarla.
172
173
Mi occupo della parte più importante
e sottovalutata della progettazione
di veicoli (nel mio caso camion per cave
o cantieri o altre applicazioni simili):
lo studio e l’applicazione delle
normative che li riguardano.
ROBERTA
COLOMBO
39 anni
Alumna Ingegneria
Aerospaziale 2005
Astra Veicoli Industriali
Homologation specialist
Piacenza, Italia
Mi occupo della parte più importante e
sottovalutata della parte di progettazione
di veicoli (nel mio caso camion per
cave o cantieri o altre applicazioni simili):
lo studio e l’applicazione delle normative
che li riguardano. Ho iniziato dal basso,
facendo, all’inizio, un lavoro simile a
quello di segreteria, perché per imparare
bene questo lavoro si deve partire
dalle basi. Non è semplice come potrebbe
sembrare. È un lavoro fatto di studio
continuo, di comunicazione con gli altri
e, la parte divertente, di prove in pista.
Non ho giornate standard. Dipende
dall’evoluzione del prodotto, dei mercati
su cui vendiamo e dai cambiamenti nelle
normative. Passo diversi giorni china
sulle dispense a studiare le nuove leggi,
altri giorni in pista a verificare sui veicoli
quello che ho studiato e condiviso con i
responsabili dei progettisti rispetto alle
richieste di omologazione e alle tem-
175
pistiche). La comunicazione è la parte
fondamentale. Ci vogliono anni, per costruire
un rapporto di fiducia sia coi colleghi
sia con i funzionari del ministero
dei trasporti. Oggi, dopo 13 anni, sono
pienamente autonoma e responsabile
dell’ufficio, ma ricordo con intensità la
mia prima omologazione europea, fatta
da sola, studiando normative nuove
non ancora in uso.
La tecnologia è onnipresente: negli strumenti
di lavoro, dal normalissimo computer,
alle attrezzature di prova; ma anche,
soprattutto, nei nuovi dispositivi da
implementare sui veicoli. Un esempio è
l’AEBS, il sistema di frenata di emergenza
tanto citato nelle pubblicità delle automobili,
ma ce ne sarebbero migliaia,
anche solamente per quanto riguarda
l’evoluzione dei motori per migliorare
l’efficienza, i consumi e le emissioni.
Sono cresciuta a “pane e quattroruote”,
la rivista di auto (citazione di mamma),
ma non è questo che mi ha fatto decidere
di diventare ingegnere. È successo
quando ero in gita con la scuola in
seconda superiore, eravamo andati a
Napoli in aereo e, durante il viaggio di
andata, il capitano mi aveva preso in
simpatia. Mi ha spiegato come funziona
un aereo, ma mi ha anche parlato della
Non è semplice come
potrebbe sembrare.
È un lavoro fatto di
studio continuo, di
comunicazione con gli
altri e, la parte divertente,
di prove in pista. Non ho
giornate standard.
Mi piace perché è un lavoro abbastanza
vario, ma allo stesso tempo c’è una
continuità. A volte è una sfida comprendere
quello che vogliono le norme. Mi
piace riflettere e cercare di capire come
si evolveranno nel futuro.
176
177
ellezza del volo e, alla fine, ho avuto la
fortuna di poter restare in cabina durante
l’atterraggio. Quando sono scesa
camminavo a tre passi dal cielo, la mia
professoressa si ricordava benissimo
l’espressione estasiata che avevo. È stato
lì che ho capito cosa avrei voluto “fare
da grande”, era il 1996. Non conoscevo
il mio lavoro. Nessuno lo conosce, non
viene spiegato, per lo meno non nel
dettaglio, eppure è molto importante. A
prima vista, può sembrare anche molto
noioso e burocratico, non sembra un lavoro
da ingegnere, infatti fino a qualche
anno fa per fare l’omologatore non era
richiesta una laurea specifica. Oggi le
cose stanno cambiando, si sta capendo
che per fare questo lavoro è necessaria
una conoscenza tecnica di base.
A me piacciono i motori,
le auto e questo è quello
che voglio fare. Vale la
pena “sbattersi” per
qualcosa che amiamo.
178
Quando, ancora oggi, mi sento dire:
«Cavoli, una ragazza che capisce di motori»,
mi incavolo ogni volta. In ditta siamo
circa 400 persone, di cui 30 donne,
e solo 2 in ingegneria (una delle due,
ovviamente, sono io). A volte è difficile
farsi rispettare e farsi accettare per le
proprie competenze. Io ci ho messo un
paio di anni, ma alla fine ha funzionato.
Tutti i lavori sono una sfida, bisogna
sempre dimostrare, in primo luogo a se
stessi, poi agli altri, che si è capaci. Spesso,
per questioni culturali, le ragazze
non prendono in considerazione professioni
tecniche: c’è ancora purtroppo
la convinzione che certi lavori siano da
uomini e altri da donna, ma io non la
penso così. Penso invece che ci siano
lavori che possono piacere e altri no,
ma l’importante è che chi li faccia li sappia
fare, siano essi tecnologici o meno.
Non bisogna avere paura di affrontare
le sfide, altrimenti ci si auto-limita. Ho
sempre lavorato con gli uomini e a volte
non è stato facile, ma a me piacciono
i motori, le auto e questo è quello che
voglio fare. Vale la pena “sbattersi” per
qualcosa che amiamo. E se gli altri ci
guardano strano, come spesso mi è capitato,
si impara a lasciarselo alle spalle.
179
MARIA SERENA
COLOMBO
41 anni
Alumna Ingegneria
Meccanica 2005
Brembo S.p.A.
Ingegnere processo,
cast iron foundry
Mapello (BG), Italia
180
Volevo capire a fondo il funzionamento delle cose e
migliorarlo e magari partecipare anch’io alla produzione
di un tassello di auto e moto. Volevo fare l’ingegnere!
Sono un ingegnere di processo nella fonderia di ghisa Brembo a
Mapello. Sono entrata in fonderia di ghisa nel 2006, qualche mese
dopo la mia laurea, sono stata assunta a tempo indeterminato
dopo quasi 5 mesi di prova. Mi occupo di migliorare le performance
produttive in fonderia ghisa, coinvolgendo sia i responsabili di
reparto che i collaboratori addetti alle macchine. Sviluppo i principi
di “lean manufacturing” e li diffondo.
Mi hanno dedicato un articolo nel giornale interno al Gruppo
Brembo. Sono stata la prima ragazza assunta in una fonderia in
Brembo.
Il “lean manufacturing” consiste nel rendere più agevole il lavoro
dei colleghi. Loro mi dicono di cosa hanno bisogno e io studio,
insieme ai colleghi della produzione, manutenzione e sicurezza e
ambiente, la postazione di lavoro ideale.
Si posizionano nella maniera più ergonomica, cioè più semplice
da raggiungere, i vari componenti della fonderia, per ridurre il più
possibile la fatica fisica.
Si vuole così ottimizzare la produzione (che nel nostro caso sono
i dischi freno, ma vale per qualsiasi tipo di prodotto). È come pensare
di cucinare in casa delle torte, non una ma tante torte: si ha
un tempo che è dettato dalla richiesta dei clienti, serve il materiale,
cioè gli ingredienti, serve minimizzare la fatica delle persone
magari facendo fare alcune operazioni a dei robot (come lavorare
l’impasto) poi ci sono dei tempi “morti” (la cottura della torta) che
permettono di pulire la postazione di lavoro, rimpinguare le scor-
181
te e anche riposarsi con una pausa. E così poi ripartire. Inoltre, si
vogliono ridurre, quasi eliminare gli sprechi. Si punta così a produrre
“torte” (o dischi freno) perfette subito.
La tecnologia è il cuore del mio lavoro quotidiano: in fonderia le
macchine comunicano tramite i computer, il cubilotto è dotato
di un sistema che monitora il funzionamento e la produzione di
ghisa, i parametri qualitativi della ghisa per produrre i dischi freno
sono tenuti sotto controllo da computer che monitorano le
variazioni ora per ora. La nostra azienda, e in generale questo
comparto industriale, vanno verso l’Industry 4.0: la tecnologia sarà
sempre più pervasiva dei processi di produzione. I robot saranno
il futuro, ma la capacità di ragionare dell’uomo è insostituibile. Servono
persone che abbiano la capacità di migliorare il mondo in cui
viviamo, la creatività, le innovazioni, le soluzioni.
Oltre agli strumenti, è la natura stessa di questo lavoro a avere un
cuore tecnologico. Il mondo dei sistemi frenanti (che è quello in cui
opero) è in continua evoluzione, noi ingegneri dobbiamo sostenere
il cambiamento per creare nuovi prodotti sempre più performanti.
182
I robot saranno il futuro, ma la capacità di ragionare
dell’uomo è insostituibile. Servono persone che
abbiano la capacità di migliorare il mondo in cui
viviamo, la creatività, le innovazioni, le soluzioni.
Fu al Poli che mi innamorai dei processi tecnologici, in particolare
della parte metallurgica e di fusione. Ricordo un episodio in particolare:
il progetto in fonderia ghisa di riduzione del tempo del
ciclo di produzione della linea. Studiavamo i movimenti di ogni singolo
componente della linea. Ovviamente era possibile solo grazie
l’utilizzo del computer, che ci indicava quale macchina arrivava per
ultima a chiudere il ciclo. Durante il laboratorio sviluppammo delle
migliorie che ci permisero, ancora studenti, di portare a casa buoni
risultati. Fu per quello che scelsi di entrare a lavorare in questo
campo. In fonderia non si finisce mai di imparare, non ci si annoia
mai. Si corre tutto il giorno e alla fine si riceve la soddisfazione
immediata di aver dato il proprio contributo ai risultati. Venire a
lavorare qui è stata una decisione molto felice, anche se l’ambiente
non è quello di un ufficio dove si entra in giacca e cravatta. Qui
si viene al lavoro in felpa, jeans e soprattutto con casco e scarpe
antinfortunistiche.
Come in ogni cosa, bisogna seguire le proprie attitudini. Se cerchi
un lavoro in un ufficio, senza tanti grattacapi, dove devi fare una
certa cosa in un determinato modo che ti è stato insegnato, non
fa per te. In questo lavoro, ci devi mettere del tuo. Ed è proprio
questo il modo di analizzare i problemi e di trovare le soluzioni
che il Politecnico insegna. Se una ragazza (chiunque, in realtà) sta
cercando un posto di lavoro dinamico, in continua evoluzione, in
183
cui c’è sempre da imparare, questo è il lavoro ideale. E il Politecnico
è un’ottima partenza: insegna come ragionare, affrontare e
risolvere i problemi sviluppando così capacità di ragionamento e
di “problem solving” uniche.
Io ci sono arrivata così. Sono figlia unica, da bambina ero molto timida
e legata ai miei genitori, in particolare a mio papà. Ero molto
curiosa e mio papà aveva la passione delle macchine. Terminato il
lavoro in Banca commerciale a Milano, smontava sempre motori,
aggiustava qualche macchina dello zio o del nonno che non andava.
Io mi mettevo vicino a lui e lo aiutavo, all’inizio solo per fargli
compagnia, poi mi faceva vedere come cambiare l’olio, spurgare
i freni, passargli qualche attrezzo. Mi ha sempre incoraggiato a
proporre soluzioni, in particolare quando lo aiutavo. Da lì è nata la
passione per tutto ciò che ha un motore e che si muove. Volevo
capire a fondo il funzionamento delle cose e migliorarlo e magari
partecipare anch’io alla produzione di un tassello di auto e moto.
Volevo fare l’ingegnere!
Il nostro è certamente un ambito professionale in cui la presenza
femminile è molto, molto bassa. Quando sono entrata in fonderia,
nel 2006, eravamo in due: io e la segretaria di stabilimento. Le uniche
2 donne. Ora siamo in 3. Non è che la situazione sia cambiata
molto! All’inizio, sia i colleghi che gli operai mi guardavano in modo
strano, dicevano: «Ma guarda, è arrivato un ingegnere in fonderia,
ed è una donna». Non nego che all’inizio gli operai mi guardavano
con diffidenza, io mi sentivo non all’altezza di poter dare “ordini” a
persone che lavoravano in fonderia da più di 30 anni. Un giorno,
arrivata in ufficio, scesi in stabilimento a vedere come mai la linea
di produzione era ferma. Andai alla sabbiatrice e vidi che c’era un
guasto proprio al nastro che permetteva la sabbiatura dei dischi
freno. I due meccanici di turno erano al lavoro per far ripartire
quanto prima la produzione ed io andai a chiedere al più anziano
che cosa fosse successo. Mi guardò, come per dirmi che non era
184
il momento di fare domande. Gli dissi che, se lo voleva, gli avrei
passato io i ferri. In quel momento mi mise alla prova: quando gli
passai il ferro giusto, capì che conoscevo il mestiere, e mi permise
di dare il mio contributo. Capì anche che pur essendo un responsabile,
avevo una gran voglia di imparare e non mi interessava mostrarmi
superiore solo perché mi ero laureata. Ne fui felicissima!
Da quel momento mi insegnò e mi spiegò tanti segreti di fonderia.
Oggi è in pensione, ricordo con piacere i suoi utili insegnamenti.
Per questo, alle giovani e ai giovani che entrano nel mondo del lavoro,
consiglio di essere umili. La laurea è importante, ma l’ultimo
arrivato dovrebbe ascoltare chi è in azienda da 40 anni. Bisogna
avere l’umiltà di imparare da chi il lavoro lo conosce bene nella
pratica, che è importante tanto quanto la teoria.
185
186
Ho sempre voluto studiare ingegneria.
Fin da piccola ero determinata a seguire questa
strada, nonostante alcuni parenti abbiano cercato
di dissuadermi, dicendomi che il percorso era
difficile ed impegnativo. Ed in effetti lo è stato,
ma questa fatica poi mi è tornata utile!
ELENA COSTANTINI 41 anni
Alumna Ingegneria Nucleare 2004
GE Healthcare
Molecular imaging & computed tomography product specialist,
north-east Italy
Padova, Italia
Mi occupo della parte tecnica legata alla vendita di macchinari medicali
per TAC e PET per una multinazionale americana: ai miei figli,
che sono piccoli, spiego che vendo macchine che si utilizzano per
vedere le malattie e per capire come curare i pazienti più in fretta.
La mia area di lavoro comprende Veneto, Emilia-Romagna, Friuli
Venezia Giulia e Trentino Alto Adige. Fino ad un anno fa svolgevo
un ruolo diverso, che mi ha permesso di fare molte esperienze
all’estero anche fuori dall’Europa, di confrontarmi con diverse
mentalità e di perfezionare l’inglese.
La mia giornata lavorativa è sempre stata molto variabile. Nella
mia prima posizione viaggiavo ogni settimana in un posto diverso
(soprattutto in Italia) per spiegare al personale medico come utilizzare
le macchine che avevano comprato, scendendo nel dettaglio
tecnologico. Oggi la mia giornata si svolge tra clienti utilizzatori
delle mie macchine e potenziali clienti. Ogni giorno devo preparare
materiale tecnico e presentazioni dei prodotti a supporto di
quello che spiegherò a voce, un po’ come preparare delle tesine e
andare alle interrogazioni, dove però devo cercare io di indirizzare
le domande. Mi devo documentare molto, approfondire gli aspetti
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Ogni giorno è diverso e questo è bello perché non ci
si annoia mai. Ci si interfaccia con medici esperti e si
imparano cose nuove su metodiche innovative.
È bello poter trasferire informazioni tecnologiche
che possono essere utilizzate per migliorare la cura
di pazienti.
tecnologici per essere convincente nelle spiegazioni che fornisco,
per far capire ai clienti che le soluzioni tecnologiche che vendo
sono interessanti e utili per quello che vogliono fare. È importante
saper ascoltare, essere leale sia verso i clienti che verso i colleghi,
giocare in squadra. Nella mia giornata mi interfaccio molto anche
con i colleghi di area e della sede centrale per gestire tutti i passaggi
dalla vendita, fornitura e post-vendita e per essere sicura
che tutto vada nel verso voluto e nei tempi sperati. Nel mio lavoro
ci sono momenti stressanti, come d’altronde quando si preparano
degli esami, ma poi si ricevono grandi soddisfazioni quando si
raggiungono i risultati.
Svolgendo un lavoro basato sulla conoscenza tecnica, ritengo sia
importante avere un approccio scientifico ed un metodo di studio
ben radicato, per riuscire a mantenersi al passo con le nuove conoscenze
necessarie. Ho sempre voluto studiare ingegneria. Fin
da piccola ero determinata a seguire questa strada, nonostante
alcuni parenti abbiano cercato di dissuadermi, dicendomi che il
percorso era difficile ed impegnativo. Ed in effetti lo è stato, ma
questa fatica poi mi è tornata utile!
Mi piace capire il perché delle cose, forse sono più teorica che
tecnica e questo lo si vede anche dal mio percorso di studi. Non
mi definirei estremamente tecnologica. A differenza di mio marito
ingegnere elettronico a cui piace smontare, progettare cose, io
188
189
sono più attratta dal capire i principi dietro al funzionamento, più
che alla parte elettronica o meccanica. Il mio percorso lavorativo
è stato condizionato dalle scelte fatte durante il percorso di studi
che hanno risvegliato in me interessi che non sapevo di avere.
Durante gli studi non sapevo cosa mi avrebbe riservato il futuro.
Il consiglio che mi sento di dare è quello di non rifiutare delle
opportunità solo perché non le si conoscono o perché all’inizio
sembrano difficili. È lì il bello! Riuscire a superare gli ostacoli e costruirsi
la propria strada.
Ingegneria è stata utile per formarmi, per instillarmi la voglia di
conoscere cose nuove e soprattutto per rendermi capace di affrontare
anche sfide difficili.
Devo dire che quando ho finito l’università sono stata molto fortunata
perché nel giro di pochi mesi sono entrata a lavorare per
una società partner di GE. Ho iniziato come application specialist
in Medicina Nucleare, rimanendo in un qualche modo connessa
al mondo “radioattivo”. In questo ruolo dovevo occuparmi della
formazione del personale medico e tecnico finalizzata all’utilizzo
dei macchinari medicali che avevano comprato. In pratica dovevo
insegnare loro come posizionare il paziente sul lettino, come
fare gli esami e come utilizzare i software per leggere le immagini
ottenute. All’inizio ho dovuto studiare un bel po’, soprattutto la
parte medica. Ma sicuramente l’umiltà, la curiosità e la voglia di
conoscere mi hanno aiutata. Grazie a questo ruolo sono riuscita
ad entrare in un mondo del tutto nuovo, il mondo medicale di cui
avevo sentito parlare solo lontanamente durante il mio percorso
di studi (so che oggi le cose sono cambiate!) e a cui mi ero leggermente
avvicinata durante la tesi in gemellaggio con biologia.
La tecnologia influenza completamente il mio comparto. Ogni
anno ci sono novità tecnologiche e nuovi sistemi da imparare. La
tecnologia è parte integrante del mio lavoro: parlo di tecnologia
190
all’avanguardia sia per l’acquisizione di esami sia per l’elaborazione,
per esempio nuovi algoritmi basati su Intelligenza Artificiale.
Anche per questo, il mio lavoro mi piace e dà molte soddisfazioni,
che ripagano del grande stress e dell’impegno. Mi piace trovare la
soluzione perfetta per il cliente e vedere che lui è contento, che si
fida di me. Per me è impagabile. Una cosa importante nel lavoro,
come nella vita, è quello di saper trovare le gratificazioni da sole:
a volte è difficile e raro ricevere un «Brava!» dal proprio capo. È
importante imparare a gioire dei propri risultati e dei traguardi
raggiunti. Il bello del mio lavoro è che è vario. Si fatica tanto, a volte
con sacrifici. Può capitare che si lavori fino a tardi o durante i fine
settimana, sacrificando il proprio tempo, ma quando finalmente
arriva il risultato è bello sentirsi ricaricati. È un po’ come quando
si finisce un esame grosso con un bel voto. Adoro celebrare ogni
successo. Quando invece va male, perché ogni tanto succede, è
importante riuscire a trovare comunque il lato positivo e cercare
di imparare da quanto successo, per migliorarsi sempre.
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Ogni giorno è diverso e questo è bello perché non ci si annoia
mai. Ci si interfaccia con medici esperti e si imparano cose nuove
su metodiche innovative. È bello poter trasferire informazioni
tecnologiche che possono essere utilizzate per migliorare la cura
di pazienti.
Nella mia azienda c’è molta attenzione alla parità di genere e ci
sono donne che svolgono ruoli importanti a livello centrale. Nella
mia area di competenza (il Nord est Italia) siamo 3 donne con un
ruolo analogo tecnico-commerciale e 4 uomini. Nel mio ramo specifico
gli altri colleghi che svolgono il mio stesso lavoro sul territorio
nazionale sono 3 uomini e il capo è un uomo. Essendo arrivata
da poco, percepisco che anche per loro avere una donna nel team
è una cosa nuova, ma fin da subito hanno apprezzato la diversità
di approccio ed il fatto che posso vedere le cose con un occhio
diverso. Non ritengo che essere donna possa comportare alcuna
limitazione o diversità.
192
Personalmente, credo che scegliere di studiare materie scientifiche
e tecnologiche all’università sia una carta vincente, indipendentemente
che chi si approccia a queste materie sia uomo o
donna. È una convinzione che cerco di trasmettere a mio figlio e
mia figlia, in egual modo.
A chi inizia gli studi di ingegneria, vorrei dare un consiglio. Il percorso
sarà duro e ci saranno volte in cui vi chiederete «Ma perché
lo sto facendo?». Tenete duro, tutto serve a formarvi la mente e
a prepararvi al mondo del lavoro, dove non sempre ci saranno
cose che vi piacerà fare. Ci saranno momenti difficili, ma quando
passerete gli esami più duri sarete orgogliosi di voi. Imparate ad
apprezzare qui momenti! Io sono orgogliosa del percorso di studi
che ho fatto. Anche se il lavoro che svolgo non è strettamente
connesso a quello che ho studiato (ed a volte mi dispiace aver
dimenticato parte delle cose che sapevo), ritengo che l’università
mi sia servita per essere la persona che sono oggi, con il bagaglio
culturale che ho e con l’approccio alle difficoltà che ho maturato
negli studi. Quando finirete l’università, forse vi sentirete spiazzati;
probabilmente il passaggio non sarà immediato e all’inizio vi sentirete
come un pesce fuor d’acqua. Siate umili ed aperti a nuove
sfide. Siate disposti a spostarvi e a mettervi in gioco. Non precludetevi
opportunità lavorative solo perché vi fanno stare lontani
dai vostri amici, da casa o perché vi hanno prospettato uno stile
di vita diverso da quello che avete ora. Se io non avessi accettato
di viaggiare ogni settimana dal lunedì al venerdì, non avrei conosciuto
diverse realtà, non avrei avuto la possibilità di confrontarmi
con situazioni differenti e forse ora non sarei contenta del lavoro
che svolgo. Questo per dire che, probabilmente, all’inizio qualche
sacrificio andrà fatto, ma senza sacrifici non si va molto lontani. E
poi gli studenti di ingegneria sono già abituati a fare dei sacrifici,
quindi lanciatevi e fate esperienze lavorative anche diverse!
193
194
Il mio compito, come Ricerca e Sviluppo,
è quello di sviluppare nuovi prodotti,
seguendo la genesi dei prototipi fino
ai test di accettazione finali.
Laura De Fina
42 anni
Alumna Ingegneria
Elettrica 2003
Ge Grid Solutions
R&D lead
electrical engineer
Milano, Italia
Il mio compito, come R&D, è quello di
sviluppare nuovi prodotti, seguendo la
genesi dei prototipi fino ai test di accettazione
finali. I prototipi sono i capostipiti
dei prodotti che saranno immessi nel
mercato. In qualità di lead electrical engineer,
seguo principalmente la componente
elettrica della progettazione.
La parte commerciale o il marketing individuano
un gap nel portfolio prodotti
in un determinato mercato di interesse.
Danno quindi una serie di input all’R&D,
in termini di requisiti da soddisfare, per
poter colmare questa mancanza e anche
dei target di costo cui sottostare, per
poter essere competitivi. R&D, con queste
informazioni, sviluppa il prototipo. A
seconda che si tratti di una estensione/
variazione di qualcosa di esistente oppure
di una nuova tecnologia, l’iter cui
deve sottostare la progettazione cam-
195
ia, sia in termini di tempo, sia in termini
di analisi, sia in termini di risorse. Prima
di arrivare alla realizzazione, ci sono una
serie di gate di valutazione condivisa e
di approvazione, che consentono di approfondire
i diversi aspetti di progettazione
e mitigare i rischi correlati.
Per sviluppare nuovi prodotti, occorre
conoscere standard internazionali, studiare
articoli tecnici, organizzare misure
sui materiali e prove in scala, fare delle
simulazioni ed interpretare i risultati.
Non mi annoio mai. Ogni volta c’è qualcosa
di nuovo per cui occorre fare un’indagine,
confrontarsi con un collega, ipotizzare
un comportamento e cercare di
averne l’evidenza.
I prodotti che sviluppo sono isolatori
passanti. Per arrivare fino alle nostre
case, l’elettricità transita dai luoghi di
generazione fino alle prese di corrente,
subendo diverse variazioni di tensione,
per poter essere trasportata e generata
in modo conveniente e, infine, utilizzata.
Queste variazioni di tensione avvengono
nelle sottostazioni dove ci sono
i trasformatori. L’isolatore passante è
un componente del trasformatore che
consente al terminale in tensione del
trasformatore di attraversare una parete
o una superficie isolata a terra, trasportando
al tempo la corrente.
Io, in particolare, mi occupo degli isolatori
in continua HVDC. In alcune situazioni,
come, per esempio, quando
le distanze superano determinate lunghezze
o quando occorre utilizzare cavi
sottomarini nei campi eolici offshore,
viene usata la trasmissione in continua.
L’isolatore passante consente l’ingresso
dei terminali di potenza nella sala valvole
e la progettazione affronta problemi
specifici legati alla tensione continua.
La tecnologia fa parte del mio lavoro
anche in qualità di strumento. Fogli di
calcolo e software di simulazioni sono
Risolvere un problema
tecnico, trovare la
risposta alla domanda,
offrire la soluzione
che soddisfa i requisiti
o la causa della non
conformità sono gli
aspetti che preferisco
del mio lavoro.
196
di uso quotidiano. Calcoli che un tempo
sarebbero stati impensabili, per quantità
di memoria necessaria e tempo
impiegato, ora sono di routine. Analisi
magnetiche si possono interfacciare
con analisi termiche. I risultati di una
simulazione fluidodinamica diventano
input per una simulazione elettrica. La
tecnologia migliora il mio lavoro, ma
anche la qualità della mia vita, permettendomi
di bilanciare lavoro e famiglia:
mi consente di fare calcoli complessi in
maniera veloce, ma anche di lavorare
in smart working, usando software con
licenze in cloud e comunicando con i
colleghi da casa come se fossimo nella
stessa stanza.
Risolvere un problema tecnico, trovare
la risposta alla domanda, offrire la soluzione
che soddisfa i requisiti o la causa
della non conformità sono gli aspetti
che preferisco del mio lavoro. Spesso
per raggiungere questi risultati occorre
effettuare delle indagini scientifiche
e soprattutto confrontarsi e condividere
le teorie ipotizzate con i colleghi.
Ritrovare in loro la tua stessa ricerca
dell’approfondimento e delle motivazioni
fisiche di un fenomeno mi arricchisce
professionalmente e personalmente.
In futuro mi piacerebbe essere sempre
di più un riferimento per i miei colleghi
per le problematiche e per i dubbi che
incontrano ogni giorno nel loro lavoro.
L’ambiente tecnico è qualcosa che rimane
nelle mie corde.
Credo che una delle decisioni più controtendenza
che abbia preso sia stata
quella di cambiare completamente
settore dopo 10 anni in un determinato
ambito lavorativo. Mi occupavo di
progettazione di motori elettrici in una
società che produceva motori e drive
per l’automazione industriale. Una bella
realtà e una attività tecnica interessante
in un team affiatato con contatti
internazionali. Complice un momento
storico particolare dell’azienda, le attività
stavano diventando ripetitive e monotone.
Per me era arrivato il momento
di ritrovare nuovi stimoli e ho colto
l’opportunità che mi si è presentata.
Non senza fatica: cambiando settore,
ricominci completamente da capo.
Devi studiare, non solo nuovi strumenti,
nuove procedure, nuove interazioni ma
anche le basi del tuo lavoro che sono
a fondamento del tuo riconoscimento.
Questo ha i suoi aspetti negativi, ma anche
quelli positivi e guardando indietro
penso sia stato stimolante e sfidante e
sono contenta di cosa faccio ora.
197
Nelle mie esperienze lavorative sono stata
spesso l’unica femmina in ambito tecnico:
ero “l’ingegnera”. Questo non mi ha
mai messo a disagio. Solo in alcune occasioni,
c’è stata una diffidenza iniziale, poi
superata e sostituita da grande collaborazione
e stima. Nella mia attuale società,
c’è molta attenzione alla diversità, per
cui lavoro con tante ingegnere donne e
questo mi riempie di orgoglio.
Non credo di aver avuto una vocazione.
La tecnologia per me non è una passione,
è più una curiosità, un interesse.
Non è stato sempre così, anzi, credo di
aver avuto una predisposizione più spiccata
verso le arti e la letteratura: qualcosa
che coltivo comunque e che ritengo
non sia assolutamente in contraddizione
con una carriera nelle scienze. Spesso
si sente parlare di predisposizione
per la matematica e le scienze, ma non
esiste: basta solo studiare e non perdere
pezzi. Gli studi scientifici e tecnologici
sono alla portata di chi ha volontà. A me
piacevano le scienze, ma fu un viaggio
al CERN di Ginevra a cementare in me
l’idea di lavorare nell’ambito scientifico.
Ero al liceo. L’insegnante di matematica
organizzò una visita all’acceleratore di
particelle grazie ad un allievo che aveva
il fratello ricercatore presso l’istituto.
Adesso è molto più consueto poterlo
visitare, ma all’epoca mi sentivo una pri-
Fu un viaggio al CERN
di Ginevra a cementare
in me l’idea di lavorare
nell’ambito scientifico.
Riesco ad assaporare
ancora le sensazioni
di stupore continuo e
meraviglia: le macchine
complesse, i lunghi tunnel
sotterranei scavati per far
scontrare le particelle, i
racconti di collaborazione
con gli istituti di tutto il
mondo hanno lasciato
impressioni indelebili.
198
vilegiata. Non ho dei ricordi distinti ma
riesco ad assaporare ancora le sensazioni
di stupore continuo e meraviglia:
le macchine complesse, i lunghi tunnel
sotterranei scavati per far scontrare le
particelle, i racconti di collaborazione
con gli istituti di tutto il mondo hanno
lasciato impressioni indelebili. Il fascino
astratto della ricerca pura incanta. Tra i
vari campi della scienza, l’elettromagnetismo
era uno di quelli che ritenevo più
interessanti; il corso di laurea in Ingegneria
Elettrica offriva, inoltre, l’indirizzo
Scienze e Metodologie di base: per
cui la mia scelta è caduta su quello e mi
sono iscritta al Politecnico. Fu un periodo
bellissimo della mia vita. Ho seguito
i corsi e studiato in università, quindi ho
vissuto al massimo quello che il Poli poteva
offrire: ricordo una rete di amicizie
sincere e momenti piacevoli. Nel mio
corso di laurea non c’erano tantissimi
studenti, quindi era più facile instaurare
anche con i docenti un rapporto di fiducia
e conoscenza.
macchina o un impianto è rimasto per
me un concetto astratto per tanto tempo,
nonostante la pazienza e gli sforzi
del mio tutor. Malgrado il salto nel vuoto,
Ingegneria Elettrica è stata una bella
strada da percorrere, ma credo che non
sia il tipo di ingegneria a fare la differenza.
L’importante è affrontare gli studi
con curiosità e sete di sapere: la realtà è
così complessa che nessun suo ambito
può lasciare annoiati o scontenti.
Studiare ingegneria prepara la mente
ad affrontare i problemi con metodologia
per arrivare ad un risultato ragionevole
in un tempo determinato: non
importa che si tratti di un impianto di
depurazione, di un motore, di una pianificazione
di produzione o la riunione
di classe dei tuoi figli!
Non ho capito cosa significasse essere
un ingegnere elettrico prima degli ultimi
due anni di università: giravo con un tutor
che mi introduceva a studenti e professori
per capire se la mia scelta fosse
corretta. Il tutor era un servizio offerto
agli studenti per aiutarli ad orientarsi nel
mondo dell’università. Progettare una
199
200
Nel cuore, sono rimasta
sempre una processista.
CATERINA DE MASI 47 anni
Alumna Ingegneria Nucleare 1999
A2A
Responsabile sviluppo impianti generazione
Milano, Italia
Nella direzione ingegneria di A2A, gli ultimi neoassunti sono giovani
donne. Resta comunque un ambiente a prevalenza maschile,
ma non percepisco discriminazioni. Non è sempre stato così. Ricordo
che quando ero un giovane ingegnere nei primi sopralluoghi
in centrale ero circondata da un alone di scetticismo, che ho
però visto sparire rapidamente non appena ho mostrato di essere
in grado di affrontare con competenza il mio incarico.
Di aneddoti ne potrei raccontare tanti, dal collega che avvisava al
telefono l’incaricato ad accompagnarmi nel sopralluogo di un impianto
a carbone dicendo «C’è qui un ingegnere donna che vuole
vedere i nastri in sala bunker», ridacchiando o alle tante volte in
cui interagendo con dei fornitori sono stata scambiata con una
segretaria (è un contesto tecnico, cosa mai può farci una donna
se non la segretaria?). Ma, a parte qualche episodio da raccontare
agli amici ridendoci su, non mi è mai capitato di sentirmi discriminata
o di sentire di avere difficoltà maggiori perché donna. È un
ambiente attento alla competenza e la competenza lascia poco
spazio ai preconcetti.
201
Quando qualcuno mi chiede «Che lavoro fai?», rispondo che faccio
un bel lavoro. La versione lunga è che da luglio 2019 sono
responsabile dello sviluppo impianti nell’ambito dell’ingegneria di
generazione di A2A. Si tratta in sostanza di individuare possibili
iniziative di sviluppo (nuovi impianti o modifica di quelli esistenti),
valutarne la fattibilità tecnica ed economica, coordinare le successive
fasi di progetto per l’ottenimento delle necessarie autorizzazioni,
seguendo tutto l’iter delle autorizzazioni fino all’ottenimento
dei titoli per l’esercizio e la costruzione. È un lavoro che richiede
il contributo e la collaborazione di tante persone. Fino a qualche
anno fa ero “dall’altra parte della barricata”, davo il mio contributo
allo sviluppo e poi alla realizzazione dei progetti. Ho fatto per
parecchi anni l’ingegnere di processo, occupandomi di valutare
le prestazioni e il design di base dei nuovi progetti. Poi ho fatto la
project engineer, ovvero ho coordinato un team di specialisti per
preparazione e la verifica dei documenti progettuali e seguito le
fasi di realizzazione del progetto. Nel cuore, però, sono rimasta
sempre una processista.
Occupandomi di sviluppo, devo sempre
stare aggiornata sulle tecnologie innovative
che emergono nel mio settore e valutare
se rappresentino una valida opportunità
di business, implementabile subito o in
prospettiva, per i nostri impianti, oppure
se siano tali da proporre alla mia società
di avviare una sperimentazione.
202
Non ho una routine quotidiana, faccio sempre cose diverse. Al
momento sto seguendo 8 progetti che sono stati depositati presso
gli enti per l’ottenimento delle autorizzazioni, oltre a un progetto
che è in fase di realizzazione e di cui sono ancora project
engineer. Mi sto anche occupando della fattibilità di tante altre
iniziative per le quali vorremmo depositare i progetti entro questo
anno. Significa quindi che spesso sono in Puglia, per seguire
la fase realizzativa del progetto di cui sono PE, spesso sono
a Roma per seguire le istanze autorizzative presso i ministeri (si
tratta di partecipare per esempio a degli incontri in cui il progetto
viene esaminato dalla commissione incaricata), spesso sono nelle
varie centrali termoelettriche per raccogliere informazioni e idee
sui progetti in corso o quelli ancora embrionali. Quando sono in
ufficio, nel “tempo libero” da varie riunioni (il tempo libero vero
e proprio è poco e lo dedico alla famiglia, alle mie due figlie ed a
mio marito. E poi mi piace leggere, lo faccio soprattutto in viaggio,
leggo un po’ di tutto), lavoro sui progetti, che coordino fino a che
non si conclude l’iter autorizzativo. Ci lavoro appoggiandomi alle
competenze dei colleghi di ingegneria ed alle società di consulenza
a cui mi rivolgo per delle attività specifiche (per esempio per
studi di impatto ambientale o ingegneria di dettaglio).
Occupandomi di sviluppo, devo sempre stare aggiornata sulle tecnologie
innovative che emergono nel mio settore e valutare se
rappresentino una valida opportunità di business, implementabile
subito o in prospettiva, per i nostri impianti, oppure se siano
tali da proporre alla mia società di avviare una sperimentazione.
I progetti che la mia funzione valuta hanno sempre l’obiettivo di
implementare un aggiornamento tecnologico o un’innovazione
tecnica allo scopo di mantenere al livello ottimale le prestazioni
ambientali e produttive degli impianti, allineandole con le migliori
soluzioni disponibili. La ricerca tecnologica nel campo dell’energia
mira ad un uso più efficiente e pulito delle risorse fossili, allo
sviluppo delle fonti rinnovabili ed alla riduzione dei costi di rea-
203
lizzazione degli impianti. È una ricerca fondamentale per vincere
la sfida di sostenibilità ambientale della produzione energetica.
Restare indietro significa perdere vantaggio competitivo e vedersi
limitate le possibilità di produrre energia.
È un lavoro che mi piace molto, soprattutto per la mancanza di
routine, che lo rende sempre nuovo e stimolante: i progetti sono
sempre diversi e per quanto siano caratterizzati da identiche fasi,
ognuno ha delle specificità che lo rendono unico. Un altro aspetto
gratificante è quello del lavoro in team, del continuo confronto
con colleghi e consulenti.
È un incarico che ricopro relativamente da poco, quindi non so
ancora come evolverà. Nel breve vorrei riuscire ad assolvere bene
alle responsabilità che mi sono state date e contribuire alla realizzazione
dei progetti avviati. Nel lungo termine mi piacerebbe avere
assunto una visione più strategica del mio settore e metterla al
servizio della mia azienda.
Tutte le esperienze di lavoro che ho fatto mi sono servite, hanno
contribuito alla mia formazione tecnica, relazionale e gestionale.
Mi considero fortunata per tutte le sfide con cui, grazie alla mia
formazione universitaria, ho avuto la possibilità di confrontarmi
e, anche se non sempre le ho superate come avrei voluto, certamente
sono stata capace di provarci, di impegnarmi a conseguire
un obiettivo che inizialmente poteva sembrarmi troppo ambizioso
o addirittura impossibile. Sono opportunità che non sono facilmente
accessibili. Tante volte mi è sembrato che osassi oltre i miei
limiti. Fare ingegneria è stata la prima scelta in questo senso. Ho
voluto mettermi alla prova: volevo fare qualcosa che veramente
mi piacesse, anche se temevo che fosse troppo difficile. Volevo
204
soprattutto questo, sentire di ridisegnare il confine dei mie limiti,
vincere la sfida. La logica e la matematica mi hanno aiutato a diluire
ed affrontare la difficoltà delle materie più concettuali, per
le quali sentivo di avere meno propensione. In ingegneria questi
elementi sono presenti in tutte le materie ed affidandosi ad esse
ogni concetto diventa comprensibile e ricostruibile.
Ancora oggi sento il Politecnico un po’ casa mia. È stata la prima
vera occasione per sperimentare il piacere di lavorare su un progetto
collettivo, che metteva insieme il lavoro di tantissime persone,
comprendendo il valore del contributo di ciascuno. Avere il
privilegio di lavorare ad un progetto di ricerca, dopo la laurea, mi
ha inoltre fatto comprendere come sia indispensabile mantenere
sempre un atteggiamento umile, aperto, come dal confronto e
dall’ascolto vengano fuori le soluzioni migliori.
La matematica è sempre stata la materia che mi risultava più semplice
a scuola. Questo ha sicuramente condizionato le mie scelte
scolastiche ma anche favorito l’interesse per le materie scientifiche.
Il disastro di Chernobyl mi ha fatto interessare all’energia
nucleare: ero convinta che ci fosse tanto da fare in quell’ambito e
volevo farne parte. E poi la mia prof di scienze al liceo è stato un
modello di riferimento: la sua grande cultura scientifica mi ha acceso
tante passioni e curiosità. Dopo la maturità ero però ancora
indecisa tra medicina ed ingegneria. Ho scelto quest’ultima dopo
l’esame di ammissione al Politecnico, senza ancora sapere ancora
se l’avessi passato: al Trifoglio, non so ancora perché, mi ero sentita
a casa, sebbene fossi appena arrivata da un paesino lontano
1200 km da quell’edificio. Fu così che, dalla Calabria, a 19 anni mi
trasferii a Milano per studiare al Poli.
205
Tante volte mi è sembrato che osassi
oltre i miei limiti. Fare ingegneria è stata
la prima scelta in questo senso.
Ho voluto mettermi alla prova: volevo fare
qualcosa che veramente mi piacesse,
anche se temevo che fosse troppo difficile.
Dopo la laurea, durante un’esperienza di collaboratrice di ricerca
al Politecnico, ho ricevuto una proposta da una società in ambito
informatico e l’ho accettata. Io sono laureata in Ingegneria Nucleare
e mi ero ormai fatta l’idea che le possibilità per me fossero
sostanzialmente due: tentare il percorso di ricerca sostenendo
l’esame per il dottorato o lavorare nella consulenza informatica.
La ricerca nel settore nucleare mi piaceva decisamente di più ma
c’erano troppe incertezze e così ho finito per accettare un lavoro
diverso da quello che avevo in precedenza immaginato. Ero
comunque piena di entusiasmo e ho imparato tanto dalla consulenza.
Soprattutto ho imparato a gestire lo stress, a lavorare
concentrata sul raggiungimento di un obiettivo, anche se questo
inizialmente poteva sembrare impossibile. Ho trovato risorse di
energia in me che non credevo di avere e questo ha contribuito a
darmi una fiducia di base nell’affrontare le tante difficili sfide che
dopo mi si sono presentate. Ma la ricerca mi mancava. Mi mancava
la pace della matematica. E cosi, quando ho ricevuto tramite
il Politecnico la proposta di partecipare ad una selezione per un
posto da ricercatrice al Commissariato all’energia atomica in Francia,
ho mollato tutto, lasciando un lavoro a tempo indeterminato
per un’avventura nuova ma di durata massima di soli due anni.
206
Ho lavorato ad un modello matematico di un nuovo reattore per
un anno: bellissimo, ma dopo un poco ho sentito il bisogno di
cambiare. Sapevo che le prospettive di approdare anche solo ad
un prototipo erano impossibili e sentivo il bisogno di vedere che
il mio lavoro avesse qualche speranza di applicazione concreta e
non fosse mero esercizio mentale. Così sono tornata a Milano e
dopo qualche mese di ricerca ho trovato lavoro come process engineer
in una società di produzione di energia elettrica. Credevo
che sarei andata via al massimo dopo 2 anni ed invece ci lavoro
ancora! Lì ho potuto vedere ben bilanciata la mia passione per la
modellazione matematica con il desiderio di trovare un’applicazione
pratica al lavoro speculativo.
Se la mia esperienza mi ha insegnato qualcosa, è che nei primi
anni di lavoro è importante fare esperienze diverse, ampliando
la propria visione e la propria base tecnica. Non puntare da subito
ad avere il lavoro della vita, accettare anche proposte brevi e
precarie se possono contribuire alla propria formazione, non solo
tecnica: credo che per lavorare bene serva riuscire a collaborare
con gli altri. Imparare a relazionarsi con le persone è una chiave
indispensabile per avere successo nel lavoro. Anche la capacità
di ascolto, di confronto, di mettersi in gioco e rischiare possono
non essere doti spontanee ma, almeno nel mio caso, sono state
apprese nel corso dell’esperienza lavorativa.
Se la mia esperienza mi ha insegnato qualcosa,
è che nei primi anni di lavoro è importante
fare esperienze diverse, non puntare da
subito ad avere il lavoro della vita, accettare
anche proposte brevi e precarie se possono
contribuire alla propria formazione.
207
Gaia Dell’Anna
48 anni
Alumna Ingegneria
Aeronautica 1996
Prysmian Powerlink S.r.l.
System engineer
officer - HV &
submarine systems
Milano, Italia
208
In pratica facciamo cavi, un po’ come
quelli della lavastoviglie di casa,
solo che i nostri arrivano ad avere
un diametro di 30 cm e un peso di oltre
120 kg al metro. La mia avventura in questo
mondo è iniziata da neolaureata.
Lavoro in PowerLink, una società di Prysmian Group che progetta,
produce ed installa sistemi in cavo ad alta e altissima tensione
per la trasmissione di energia elettrica oltre a collegamenti in fibra
ottica. Principalmente forniamo sistemi utilizzati per trasportare
energia prodotta da fonti rinnovabili e/o per interconnessioni tra
differenti aree geografiche. In pratica facciamo cavi, un po’ come
quelli della lavastoviglie di casa, solo che i nostri sono più grossi e
fatti di tanti materiali diversi: arrivano ad avere un diametro di 30
cm e un peso di oltre 120 kg al metro.
Il ciclo di progettazione, produzione e installazione dei collegamenti
di cui ci occupiamo è piuttosto lungo - indicativamente tra
due e cinque anni - ed il valore delle commesse supera facilmente
i 50 milioni di euro fino ad arrivare all’ordine di grandezza del miliardo.
Tutto un po’ più grande rispetto ai cavi elettrici che siamo
abituati a vedere, comprare ed usare.
La mia avventura nel mondo dei cavi è iniziata da neolaureata:
sono stata infatti assunta subito dopo la laurea nel dipartimento
R&D di Pirelli Cavi e Sistemi (ora Prysmian Group).
Ho iniziato come tecnologa, con il compito di migliorare i processi
produttivi e di sviluppare nuovi design di cavo in stretta collaborazione
con la parte di Ricerca e Sviluppo Materiali. Sono rimasta in
R&D per 9 anni, con responsabilità e autonomia crescenti. Ho partecipato
all’avviamento di uno stabilimento completamente nuovo
209
in Indonesia e di due linee produttive: a Caserta e in Canada. Ho
fatto parte del team di sviluppo di due design di cavo innovativi e
sono coautrice di una decina di brevetti.
Successivamente sono passata al dipartimento di System Engineering
di PowerLink. In questo ruolo avevo il compito di preparare
la parte tecnica e di calcolare il budget relativo al cavo e ai componenti
del sistema per le gare di appalto internazionali di sistemi
sottomarini e di seguirne, in caso di aggiudicazione del contratto,
l’ingegneria di dettaglio.
Sono poi diventata responsabile del team di progettazione dei
sistemi sottomarini (all’incirca una decina di persone di diversa
nazionalità). Da un punto di vista tecnico, progettare un sistema
del genere richiede molte interazioni tra vari dipartimenti. Ad
esempio, spesso sono previsti sviluppi di nuovi prodotti e sono
quotidiani gli allineamenti con R&D e con i laboratori di test; la
progettazione meccanica dipende moltissimo dalla metodologia
di installazione e c’è una forte interfaccia con l’ingegneria di installazione.
Poi occorre coordinarsi con le fabbriche che produrranno
cavi e giunti per assicurarsi che i requisiti che il sistema deve avere
siano in linea con le specifiche dei clienti e con i requisiti di qualità
interni, e così via. Oltre alle interfacce interne all’azienda c’è poi
la parte di relazione con il cliente, sia in fase di gara, per spiegare
la soluzione tecnica offerta, sia in fase di installazione e messa in
esercizio per seguire l’ingegneria di dettaglio.
Ora sono deputy director del system engineering department
e responsabile del System Engineering Office che ha il compito
di coordinare temi trasversali a tutto il team di ingegneria (land,
submarine, telecom, Oil & Gas), di interfacciarsi con gli altri dipartimenti
(project management, R&D, manufacturing, quality, etc.),
di mantenere il know how tecnico e della gestione dei software di
progettazione. Infine mi occupo di contract engineering manage-
210
Le attività che svolgo sono molto varie
e questa è una cosa che mi piace molto del mio lavoro,
ne sono ancora innamorata dopo 24 anni.
ment e della valutazione dei costi di cavo e accessori che servono
ai nostri commerciali per preparare la parte economica dell’offerta
al cliente.
Come si può intuire le attività che svolgo sono molto varie e questa
è una cosa che mi piace molto del mio lavoro, ne sono ancora
innamorata dopo 24 anni. In un mese tipico passo 2 o 3 giorni
in riunioni con clienti e 3/5 giorni nelle nostre fabbriche per allineamenti
con la produzione. Giornalmente ho riunioni con i vari
dipartimenti. In caso di problemi durante la produzione del cavo,
durante l’installazione e durante l’esercizio del cavo, partecipo
come esperto tecnico all’analisi del problema, all’implementazione
delle azioni correttive, alla gestione del cliente che deve essere
informato sull’accaduto, sulle azioni correttive e convinto del fatto
che non ci sono perdite di performance del sistema. Per ogni gara
a cui il dipartimento partecipa, assieme ai responsabili dei project
engineers, ho la responsabilità della verifica della soluzione proposta.
Ho anche una responsabilità legata alla crescita delle persone,
con attività di training e valutazione delle performance, che
è concentrata principalmente in alcuni periodi dell’anno impegnandomi
mediamente per il 10% del tempo.
Oltre alla varietà continua, che non lo rende mai monotono, il mio
lavoro mi piace anche perché ha un buon equilibrio tra parte tecnica
e parte manageriale. L’ambiente è multinazionale e internazionale.
Mi dà soddisfazione anche l’essere una delle figure tec-
211
Mentre in famiglia si faceva l’albero di Natale,
io aggiustavo le lampadine con mio nonno.
Era sempre un bel momento.
Che avrei fatto l’ingegnere è stato sempre
abbastanza chiaro, pur non essendoci ingegneri
nella mia famiglia allargata.
niche di riferimento. Dobbiamo avere ben chiaro cosa possono
produrre le fabbriche, che performance hanno i cavi che progettiamo
e produciamo, come sono fatte le navi e le macchine con
cui li posiamo, etc.: bisogna essere molto preparati.
È un ambiente in cui, come spesso accade, non c’è equilibrio di genere.
Fino all’anno scorso eravamo 2 donne su 40 persone circa
del team. Adesso, nell’ultimo mese abbiamo assunto due brillanti
“ingegnere”, riducendo il gap. Vedo un miglioramento della situazione
in generale. Quando ho fatto i colloqui di assunzione nel ’96,
era evidente che ci fossero delle perplessità proprio perché ero
una donna. Quello che poi è diventato il mio primo responsabile
temeva che ci sarebbero state difficoltà di inserimento nel team,
specialmente per quanto riguardava il coordinamento dei tecnici
di laboratorio all’inizio e posizioni di responsabilità poi. Adesso,
fortunatamente, c’è stata una certa evoluzione dei costumi, anche
se si deve continuare a smantellare i pregiudizi di genere. In ogni
caso, lo studio e il lavoro in ambito tecnico sono stimolanti, se la
materia ti piace.
Dare un consiglio a chi inizia è difficile, tutte le storie sono diverse,
ma mi viene da dire che, sia negli anni di studio che in quelli lavorativi,
si deve puntare ad avere un’ottima professionalità. Le ra-
212
gazze devono arrivare preparate, poi bisogna armarsi di pazienza
e voglia di mettersi in gioco. Personalmente, ho sempre amato le
materie scientifiche: ricordo per esempio che, mentre in famiglia
si faceva l’albero di Natale, io aggiustavo le lampadine con mio
nonno. Era sempre un bel momento. Che avrei fatto l’ingegnere
è stato sempre abbastanza chiaro, pur non essendoci ingegneri
nella mia famiglia allargata. Avevo scelto aeronautica con il sogno
di lavorare alla NASA, ma poi non ho inseguito il sogno. La passione
è diventata quella di passare dal progetto al prodotto, usando
e conoscendo la tecnologia.
Al Politecnico mi sono divertita. Certo, ho studiato, e ricordo le
notti in bianco per finire di preparare gli esami, ma la maggior
parte delle cose che ho studiato mi piacevano proprio. Oltre alle
conoscenze, alle competenze e alla soddisfazione, di quegli anni
mi è rimasta una cosa: se devo studiare (in questo lavoro si studia
sempre) stampo tutto e sottolineo con l’evidenziatore.
213
La mia giornata tipo si snoda fra
riunioni su progetti e gestione
operativa, incontri di coordinamento
e strategia a livello executive,
aggiornamento su trend ed evoluzioni
tecnologiche e media, incontri con
collaboratori e colleghi e tutte le attività
necessarie ad arrivare sempre preparati!
PAOLA MARIA
FORMENTI
55 anni
Alumna Ingegneria
Elettronica 1990
Sky Italia
Senior director
of technology
Milano, Italia
Sono sempre stata fin da bambina appassionata
alle materie scientifiche.
Per la scelta di studiare ingegneria devo
ringraziare mio padre, che con me vedeva
la possibilità di dar vita al sogno
che lui non aveva potuto realizzare.
E devo anche ringraziare me stessa perché
ho sempre amato le sfide e 30 anni
fa ad Ingegneria Elettronica eravamo veramente
molto poche.
Questa scelta cosi come tutte le altre
che ho fatto guidata dalla passione e dalla
voglia di sfidarmi sono state determinanti
per il mio percorso professionale.
Oggi sono responsabile di Product Development
e Distribuzione Multipiattaforma
in Sky Italia: significa, in pratica,
che sono a capo della direzione che
presidia Innovazione, Engineering ed
215
Operations dei prodotti, servizi e contenuti
diretti al cliente Sky, quindi di tutta
la tecnologia consumer e delle piattaforme
distributive, in sostanza, tutta la
tecnologia che ha un impatto sull’interazione
tra i prodotti Sky e i clienti.
La mia giornata tipo si snoda fra riunioni
su progetti e gestione operativa, incontri
di coordinamento e strategia a livello executive,
aggiornamento su trend ed evoluzioni
tecnologiche e media, incontri con
collaboratori e colleghi e tutte le attività
necessarie ad arrivare sempre preparati!
È molto bello lavorare
per un grande gruppo
internazionale, dove ci
sono molte possibilità di
crescita personale e dove
posso vedere valorizzate
e crescere le persone che
lavorano con me.
216
Mi piace il fatto di trattare di tecnologia
che va direttamente ai clienti: tra le altre
cose, questo mi permette di interagire
costantemente con tutte le aree aziendali
dal Programming, al Marketing &
Sales, alle Operations, all’area Legale e
Finance. Inoltre è un lavoro molto creativo,
sia dal punto di vista delle soluzioni
tecnologiche, sia nella progettazione dell’
experience dei clienti, cioè del modo in
cui loro interagiscono con il prodotto. È
anche molto bello lavorare per un grande
gruppo internazionale, dove ci sono
molte possibilità di crescita personale e
dove posso vedere valorizzate e crescere
le persone che lavorano con me.
217
È un lavoro entusiasmante anche per la
possibilità di vivere e guidare importanti
trasformazioni tecnologiche e organizzative,
in questo particolare momento storico
si stanno vivendo a livello internazionale
grandi cambiamenti con Intelligenza
Artificiale, Data, cloud e digitalizzazione.
Nella Direzione che guido, solo il 15%
dei dipendenti è composto da donne
e questo perché manca la “materia prima”!
Ci sono ancora poche laureate, in
percentuale, che escono da studi scientifici
e per le Direzioni tecniche in Sky
sono richieste competenze tecniche
e scientifiche. Nei team o nei progetti
dove riusciamo ad avere un gender mix
più bilanciato, si vedono modo di lavorare
e risultati migliori.
È un lavoro
entusiasmante anche
per la possibilità
di vivere e guidare
importanti trasformazioni
tecnologiche.
Anche per questo, consiglio assolutamente
alle ragazze di studiare materie
scientifiche all’università, perché le opportunità
sono tantissime.
Consiglio anche di entrare in contatto con
il mondo del lavoro già durante gli studi.
Buttatevi con coraggio! Il mondo del lavoro
ha bisogno di competenze nei nuovi
ambiti tecnologici ma anche di freschezza
e voglia di mettersi in gioco e, mi raccomando,
sempre con la giusta umiltà.
218
219
220
La mia formazione in ingegneria è stata molto
importante e mi è servita come base nel continuo
apprendimento e nell’accrescimento delle mie
competenze in settori e ambiti molto diversificati.
LAURA GALLI 51 anni
Alumna Ingegneria Chimica 1993
3M
Division leader Europe, Middle East and Africa, abrasive systems division
Milano, Italia
Ricordo la mia esperienza al Politecnico con molto piacere. Il percorso
universitario è stato molto interessante, sia per i contenuti
sia perché mi ha consentito di costruire una struttura mentale e
un modo di ragionare fondamentali per il mio percorso personale
e professionale. Dopo la laurea in Ingegneria Chimica, sono
entrata in 3M in un ruolo tecnico, costruendo negli anni la mia
carriera con responsabilità crescenti in ambito commerciale e di
management. In 3M ho ricoperto molte posizioni in settori molto
diversi - mercati industriali, settore Health Care e Largo Consumo.
Ho avuto la fortuna di lavorare sempre in ambienti molto
professionali, internazionali e dinamici, che mi hanno permesso
di valorizzare il mio profilo con responsabilità crescenti. La mia
formazione in ingegneria è stata molto importante e mi è servita
come base nel continuo apprendimento e nell’accrescimento
delle mie competenze in settori e ambiti molto diversificati. Oggi
sono responsabile di un’organizzazione internazionale; le persone
del mio team e i clienti della mia divisione sono in tutta Europa
e sono in contatto con loro di continuo, sia telefonicamente che
incontrandoli nei loro Paesi. Lavoro direttamente con i miei responsabili,
il Vice President EMEA per il mio Business Group, che
si trova nel Regno Unito, e la Vice President della Divisione, che si
221
trova negli USA, per definire le strategie della Divisione Abrasivi in
EMEA. Lavoro poi con il mio team per definire le attività, i piani di
marketing e di vendita per poter portare con successo le nostre
soluzioni ai clienti. Viaggio tutte le settimane in Europa e ogni semestre
sono negli USA, presso l’Headquarter di 3M in Minnesota.
La tecnologia ha sempre fatto parte del mio lavoro. 3M è un’azienda
con forte contenuto innovativo e portare innovazione sul mercato
è parte integrante del mio ruolo e di quello del mio team.
È molto importante essere aggiornata sugli ultimi trend tecnologici
per poter poi sviluppare e proporre soluzioni innovative sul
mercato. La mia responsabilità attuale mi consente di avere una
visione a livello internazionale su diversi settori industriali, essendo
gli abrasivi industriali utilizzati in molti mercati. In quasi tutti i
settori sta sicuramente aumentando la componente di Automazione
e Robotica, che sta cambiando molti processi produttivi. Il
cambiamento è più veloce e maturo in alcuni settori come quello
dell’Automotive e dell’Aerospace, ma sta comunque influenzando
anche settori industriali più tradizionali. Vale anche per noi: gli
abrasivi industriali sono utilizzati in tutti i settori produttivi e servono
a lavorare le superfici dando forma e finitura desiderata, dalle
turbine di un aereo, alle automobili, agli elettrodomestici e alle
finiture del legno dei nostri mobili. La dimensione internazionale
e la possibilità di lavorare in settori industriali innovativi sono tra le
parti migliori di questo lavoro. Mi piace molto la possibilità di poter
sfruttare le mie esperienze lavorative in mercati molto diversi per
portare innovazione.
Quando ho frequentato il Politecnico, per una ragazza, la scelta
di frequentare ingegneria non era molto supportata. Io però ero
molto determinata e con l’appoggio dei miei genitori dalla provincia
di Perugia mi sono trasferita a Milano per frequentare il Politecnico.
Nel mio corso eravamo poche e io sono stata l’unica donna
tra i 16 laureati in corso. Penso che ora la situazione sia molto
migliorata. Ho due figli, Riccardo e Federico, che frequentano l’Uni-
222
versità (studiano Fotografia e Storia) e, parlando con le loro coetanee,
mi sembra che ci siano meno barriere di una volta. Nel mio
ambiente professionale non c’è ancora equilibrio nella presenza di
genere, ma vedo comunque un’evoluzione positiva. La situazione
oggi è molto diversa rispetto a quella in cui mi sono trovata ai miei
inizi professionali. Ancora oggi spesso mi trovo ad essere l’unica
donna o una delle poche nelle riunioni e nei contatti di lavoro, ma
questo non ha mai rappresentato un problema. In tutti i miei contatti
professionali sono il contributo personale e la competenza a
fare la vera differenza, il genere passa in secondo piano.
Quando sono entrata nel mondo del lavoro non sapevo come si
sarebbe sviluppata la mia carriera ma ho seguito comunque le
mie passioni, il desiderio di allargare e accrescere le mie competenze
e la mia responsabilità in azienda. Per me è sempre stato
importante riuscire a fare la differenza nei ruoli sfidanti che mi
sono stati affidati, lavorando sempre con professionalità e passione.
Assumendo posizioni sempre più importanti nell’organizzazione
è inoltre fondamentale contribuire a costruire un ambiente
professionale positivo, facendo in modo che tutti riescano a dare
il meglio e ad accrescere la propria professionalità. Consiglio sempre
di seguire la propria passione, sia nel percorso universitario
sia professionale. A chi entra nel mondo del lavoro, consiglio di affrontare
con tenacia ed energia un percorso non sempre lineare e
a volte difficile, puntando sempre sulla professionalità, le competenze
e il continuo apprendimento ed accrescimento personale.
Quando sono entrata nel mondo del lavoro
non sapevo come si sarebbe sviluppata la mia carriera
ma ho seguito comunque le mie passioni, il desiderio
di allargare e accrescere le mie competenze e la mia
responsabilità in azienda. Per me è sempre stato
importante riuscire a fare la differenza.
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224
La mia giornata lavorativa “tipo” non esiste.
Questa è la parte più stimolante del mio lavoro:
non ha alcuna routine.
TERESA GARGANO 39 anni
Alumna Ingegneria Elettrica 2005
ABB
Senior engineer product development
Lugano, Zurigo, Svizzera
Di fronte alla domanda «Che lavoro fai?», sorrido sempre. Ho
scoperto che è molto meglio rispondere genericamente «Faccio
l’ingegnere», piuttosto che addentrarsi in una spiegazione più dettagliata
che lascia la maggior parte della gente confusa e annoiata.
Dire che sviluppi passanti di alta tensione è del tutto incomprensibile
e difficile da visualizzare; talvolta dico che sviluppo una parte
per trasformatori, giusto per utilizzare una parola più familiare,
sebbene non sia del tutto esatto. Per essere precisa, lavoro come
ingegnere senior e progetto passanti alta tensione per il Technology
Center Bushings di ABB Svizzera.
Ho sempre lavorato in ambito ricerca e sviluppo, ad oggi sono 14
anni dedicati a questo tipo di attività. Ho lavorato per tre diverse
aziende, Ansaldo Sistemi Industriali (ad oggi Nidec), Passoni e Villa,
Alstom (oggi GE) ed attualmente ABB, che sta diventando Hitachi.
Se contassi, però, il numero complessivo di passaggi di proprietà
e cambiamenti di brand, allora potrei vantare di aver lavorato per
decine di aziende diverse. Quello che ha reso le mie esperienze
lavorative coerenti e di sostanza sono state le persone, soprattutto
quelle che hanno resistito a tanti cambiamenti preservando il
proprio modo di essere professionali e positivi in ogni situazione.
225
Tutte Le aziende per cui ho lavorato hanno una ricerca e sviluppo
fortemente legata alla produzione, con assemblaggio, produzione
e test integrati nel medesimo sito. Ciò mi ha sempre permesso
di seguire le fasi di prototipazione e test, interfacciandomi con
personale tecnico di provenienze diverse a seconda dei casi. Ho
imparato che è davvero importante riuscire a comunicare con
tutti, dal manager responsabile del sito produttivo all’operaio che
assembla il prototipo. Ognuno ha qualcosa da insegnare ed è proprio
il dialogo con gli altri, senza barriere, ad offrire le più preziose
opportunità di crescita personale.
La mia giornata lavorativa “tipo” non esiste. Questa è la parte più
stimolante del mio lavoro: non ha alcuna routine, eccetto alcuni
doveri nel riportare le ore di progetto o il budget consumato. È
sempre stato così, non ho mai fatto la stessa cosa ripetutamente
o esclusivamente. Dedico parte del tempo ad organizzare meeting
per discutere l’avanzamento del progetto, parte all’organizzazione
dei test e, quando riesco, passo in produzione a monitorare lo
stato dei prototipi o semplicemente per raccogliere il parere di
chi con il “mio prodotto” ci lavora. Naturalmente, larga parte del
mio tempo è speso a leggere o a scrivere reportistica tecnica, elaborare
dati, avanzare ipotesi, proporre progetti. Nel mio lavoro è
importante non smettere mai di pensare a qualcosa di diverso,
di innovativo, tanto che proporre idee per possibili brevetti è uno
degli obbiettivi aziendali previsti per la mia figura professionale.
La tecnologia è parte integrante del mio lavoro, talvolta è lo strumento,
tal altra l’oggetto stesso. La tecnologia in senso lato facilita
la comunicazione tra diverse realtà, consentendomi di lavorare
con un team in India, per esempio, oppure ci consente di migliorare
un aspetto della funzione del nostro prodotto. Ma non è tutto:
è un aiuto, uno stimolo, ma non sarebbe che un contenitore vuoto
senza nessuno a plasmarla, spingerla, deformarla fino al limite per
farne ciò che serve e ciò che si vuole. Questo vale, credo, anche
nei confronti del rapporto tra lavoratore e tecnologia. Mi spiego:
226
Dedico parte del tempo ad organizzare meeting per discutere
l’avanzamento del progetto, parte all’organizzazione
dei test e, quando riesco, passo in produzione a monitorare
lo stato dei prototipi o semplicemente per raccogliere
il parere di chi con il “mio prodotto” ci lavora.
non credo che il questo ruolo sia mai cambiato, nella sostanza,
negli ultimi 100 anni. Quel che è cambiato sono i tempi, le risorse
e il livello di dettaglio con cui viene svolto. Il nostro ruolo prevede
di non farsi manipolare dalla tecnologia, ma di saperla manipolare.
La possibilità, per esempio, di poter avere a disposizione metodi
di simulazione molto rapidi ed efficaci non deve farci perdere
di vista la capacità di semplificare e modellare la realtà. Non deve
essere la potenza di calcolo di oggi a modellare il nostro oggetto,
bensì ancora e come sempre la capacità di selezione e semplificazione
dell’ingegnere.
La tappa che ha segnato il cambiamento di rotta nella mia carriera
è stata la decisione di passare dallo sviluppo di azionamenti
in media tensione nell’elettronica di potenza allo sviluppo di passanti
per alta tensione. A primo impatto, potrà sembrare semplicemente
un cambiamento di oggetto di studio e sviluppo, in
realtà per me ha rappresentato un cambiamento molto più radicale.
Se nell’elettronica di potenza il mio sguardo era al sistema
complessivo, lo sviluppo di un singolo componente passivo, come
un passante per alta tensione, ha focalizzato “la mia lente” verso
un singolo dettaglio, ingrandito, sezionato, riconosciuto nella sua
semplice, intrinseca complessità. Ricordo ancora la frase del mio
primo responsabile, quando gli comunicai per quale azienda sarei
andata a lavorare: «Ma cosa ci sarà mai in un passante?».
227
Dopo 7 anni di studio sui passanti, oggi non sarei in grado di rispondere
in maniera esaustiva.
La seconda tappa importante nella mia vita professionale è stata,
naturalmente, trasferirmi da Milano a Zurigo. È avvenuto tutto
molto in fretta e in maniera per nulla programmata. Sono stata
contattata direttamente dall’azienda e non avrei mai immaginato
di trasferirmi con le mie due bambine, di cui una di soli due
anni ed una di sei, iscritta da pochi mesi in prima elementare, in
un paese straniero. È stata una scommessa ed un’avventura che
ha rivoluzionato la nostra vita. È stata un’ottima decisione, forse
la migliore a livello professionale. Ho fatto anche degli errori, per
esempio quello di non chiedere abbastanza. Nessuno ti offre delle
possibilità di avanzamento professionale se non sei tu a chiederlo,
e troppo spesso ho preteso che mi venisse riconosciuto qualcosa
senza farmi avanti per prima.
Non sono arrivata qui sulla scorta di un sogno, quando ero bambina
non pensavo certo di fare questo lavoro. Ho fatto le mie scelte
per mera opportunità. Il lavoro per me non è una vocazione, è
un lavoro e basta, un mezzo per essere indipendenti e poter fare
quel che si vuole della propria vita. La mia scelta è stata l’indipendenza
economica, niente di più. Quello tecnologico è un ambiente
in cui la presenza femminile è molto più bassa di quella maschile,
anche se oggi le cose stanno cambiando in meglio. Nel mio primo
lavoro, per sette anni sono stata l’unica ragazza, successivamente
ho avuto la fortuna di conoscere una collega ingegnere che è diventata
una vera amica. Ho costruito un rapporto sincero anche
con i miei colleghi uomini, tanto che sono rimasta in contatto con
parecchi di loro e non ho nulla da recriminare a chi mi è stato vicino.
Entrambe le volte che cambiai lavoro lo feci con una bambina
di meno di due anni di cui occuparmi, i bambini non sono una
limitazione, se c’è la volontà; e si può volere tutto, prendere tutto!
Si può essere donne, madri ed ingegneri, senza togliere niente a
228
nessuno e soprattutto senza togliere nulla a noi stesse. Non credete
a chi dice che bisogna scegliere! L’ingegneria offre grandi opportunità
e ben retribuite, oltre a dare tante soddisfazioni.
Non bisogna mai dimenticare, però, di coltivare anche altre passioni.
La preparazione tecnica non è che la minima parte di quel
che viene richiesto nel mondo del lavoro. Senza capacità comunicative,
sensibilità, capacità di ascolto si fa poca strada, qualsiasi sia
la laurea che si ha in tasca. La tecnologia non offre alcuna chiave
interpretativa né del mondo di oggi né di quello di domani. Gli
strumenti per comprendere le dinamiche sociali e politiche sono
altri. È attraverso l’indagine della natura umana come individuo,
delle sue lacerazioni più profonde e del rapporto tra individuo e
società che si può provare a capire il nostro modo di vivere. Alle
mie figlie cerco di insegnare che è importante capire la storia, affrontare
la filosofia, imparare a porsi domande e non affidarsi ciecamente
alla tecnologia.
Il nostro ruolo prevede di non farsi manipolare
dalla tecnologia, ma di saperla manipolare.
La possibilità, per esempio, di poter avere a disposizione
metodi di simulazione molto rapidi ed efficaci non
deve farci perdere di vista la capacità di semplificare
e modellare la realtà. Non deve essere la potenza
di calcolo di oggi a modellare il nostro oggetto,
bensì ancora e come sempre la capacità di selezione
e semplificazione dell’ingegnere.
229
La carriera è un viaggio lungo
e c’è tempo per fare tutto.
laura
gillio meina
53 anni
Alumna Ingegneria
Elettronica 1992
Boston Scientific
Country leader Italy
and interventional
cardiology and structural
business unit director,
southern Europe
Ivrea, Italia
Vivo e lavoro in Italia, ma solo come
sede principale: sono infatti responsabile
di 3 paesi - Spagna, Portogallo e la
stessa Italia - per la linea di Cardiologia
interventistica di Boston Scientific. Vivo
a Ivrea, anzi vivo proprio nella stessa
casa in cui sono nata e cresciuta. Mi piace
tornare a casa dopo una settimana
passata in giro per alberghi, ospedali,
uffici, perché mi ricarica, riconnettendo-
mi a una vita più tranquilla e vicina alla
natura. Durante la settimana infatti il
ritmo è frenetico e sono costantemente
a contatto con persone e richieste diverse,
alle prese con risoluzioni di problemi
di diversa natura. Ma questo è il
bello del mio lavoro: stancante, sfidante,
a volte così frenetico che alla sera non
riesco più a parlare in nessuna lingua,
ma mai noioso e questo è un lusso!
231
Poi il weekend a Ivrea tutto rallenta e per
me è casa con la C maiuscola, dove posso
trovare tutto quello che amo: le mie
figlie, mio marito, mia mamma, gli amici
di sempre e i miei boschi, laghi e colline
per le lunghe passeggiate. Qui abbandono
la macchina e si va in bicicletta.
L’azienda per cui lavoro ha l’obiettivo finale
di aiutare i medici a trasformare le
vite dei loro pazienti. Lo facciamo sviluppando
prodotti e tecnologie che possono
migliorare la qualità di vita dei pazienti:
ogni anno ne raggiungiamo circa
30 milioni nel mondo, grazie a 13 mila
prodotti dove la componente di ricerca
scientifica e innovazione tecnologica è
fondamentale e ha un impatto enorme
sia nella quotidianità delle persone che
li usano, sia nella possibilità di ridurre la
spesa sanitaria. La tecnologia oggi permette
anche di fare molta prevenzione
(monitoraggio remoto, digital health,
etc.) abbassando e ottimizzando moltissimo
i ricoveri e migliorando la qualità di
vita. È qualcosa che negli anni ho visto
evolvere molto rapidamente e che ha
veramente un impatto importante nella
vita delle persone. Il mio primo lavoro
(era l’anno 1992) è stato nella Ricerca
e Sviluppo e ho progettato un piccolo
circuito per un pacemaker che ancora
funziona ed è una bella soddisfazione.
232
È bello pensare che il proprio lavoro
possa aiutare le persone. Mi fa sentire
bene e utile.
Sono finita su questo percorso un po’
per caso: da “piccola” volevo fare medicina
per diventare neurochirurgo,
ma - visto che allora non esistevano
praticamente neurochirurghi donne in
Italia - ho cercato qualcosa che mi avvicinasse
alla medicina e mi permettesse
di metterci del mio. è così che ho scelto
di fare Ingegneria Elettronica, dando
tutti gli esami (non molti all’epoca) di
bioingegneria. Ne sono contenta, perché
la capacità di capire sia i numeri sia
le persone è l’elemento chiave del mio
lavoro attuale che è, in realtà, la somma
di due lavori (business unit director per
il Sud Europa Cardiologia Interventistica
e country leader per l’Italia). I numeri
ci parlano, permettendoci, soprattutto
nei momenti difficili, di razionalizzare
le situazioni senza perdere la direzione
e fare delle scelte non basate solo
sull’intuito - che va bene, aiuta, ma non
basta. In questo sono decisamente un
ingegnere! Le persone invece sono la
colonna portante di ogni azienda ed è
fondamentale saperle ascoltare, valorizzare
e farle sentire parte di un progetto.
Dico spesso ai miei collaboratori più
giovani, che vorrebbero tutto e subito:
la carriera è un lungo viaggio e la strada
non è lineare, ci sono curve, salite,
momenti molto belli ma anche fallimenti
dai quali rialzarsi. Mi ricordo ancora
come il primo lavoro mi faceva sentire:
tanto entusiasmo, una sorta di stordimento,
un po’ di sana follia. Gli studi al
Politecnico mi avevano dato la sicurezza
di sapermi muovere tra mille diverse
materie e mi avevano insegnato una
cosa che non ho mai dimenticato, lavoro
dopo lavoro: la curiosità e la voglia di
sperimentare. Consiglio a tutti di imparare
a cambiare, perché è l’unico modo
di capire cosa piace veramente e quindi
dare il meglio! Passare da R&D a Clinica,
da Marketing a Vendite mi ha permesso
di essere agile e di non spaventarmi davanti
ai cambiamenti.
Nel 1992 ho progettato un
piccolo circuito per un
pacemaker che ancora
funziona ed è una bella
soddisfazione.
È bello pensare che
il proprio lavoro possa
aiutare le persone.
233
Le ragazze, statisticamente, si avvicinano
meno frequentemente ai percorsi
di studio e di carriera nell’ambito scientifico,
e questo lo dicono i numeri che
vediamo ogni giorno. Si tratta principalmente
di un fattore culturale, quindi ci
vogliono anni per poterlo scardinare.
Però già molto è cambiato, per esempio,
quando io ho fatto ingegneria le ragazze
erano meno del 10%, mentre ora
sono circa il 25%. È un buon punto di
partenza, ma anche il mondo del lavoro
deve continuare a evolvere per fornire
pari opportunità: è un lungo viaggio che
va intrapreso a più livelli.
Le aziende devono mettere in campo
azioni forti e concrete per creare un
ambiente inclusivo, e sta succedendo.
Per esempio, nell’azienda dove lavoro
I numeri ci parlano,
permettendoci,
soprattutto nei momenti
difficili, di razionalizzare
le situazioni senza
perdere la direzione e
fare delle scelte non
basate solo sull’intuito.
io, oggi ci sono un’equa parental leave
policy per i neo-genitori, la possibilità di
smart working, short list con metà candidati
donne per le posizioni manageriali,
salari uguali. A volte, mi sembra
passato un secolo da quando mi chiedevano
se ero l’assistente dell’ing. Gillio!
Tuttavia, come nella vita, per cambiare
bisogna fare un piccolo sforzo iniziale:
processi e regole a volte ci disturbano,
ma sono fondamentali perché ci si
impegni insieme a cambiare il nostro
modo di pensare e agire, instaurando
una nuova, buona abitudine che nel
tempo diventerà naturale. Perché ormai
è stato dimostrato da molteplici studi
che, senza la diversità, non si possono
sfruttare appieno le potenzialità delle
organizzazioni. Oggi spero che nessuna
azienda si ritenga moderna solo perché
assume delle donne, come mi dissero al
mio primo giorno di lavoro.
234
235
236
Oggi le cose sono molto diverse, è una
cosa che ho sperimentato sulla mia
pelle durante una delle tappe fondamentali
della mia carriera: quando sono
rientrata al lavoro dopo la prima gravidanza,
ho reimpostato tutta la mia vita
professionale e privata in modo da non
rinunciare a nulla e non sentirmi sempre
inadeguata o nel posto sbagliato.
Non ci sono sempre riuscita, ma è stato
un bel percorso che mi ha insegnato
molto: tutto serve e ci aiuta a diventare
leader e persone migliori e solide.
Non so come evolverà la mia figura professionale,
ma non mi preoccupa: spero
di poter continuare a mettere a frutto
quello che ho imparato e mi auguro di
non smettere mai di conoscere e sperimentare
qualcosa di nuovo.
237
MARINA GIUDICI
44 anni
Alumna Ingegneria
Informatica 2004
Baxter
Project and process
engineer
Villa di Tirano (SO), Italia
238
A un certo punto ho cambiato
completamente ambiente, dalla banca
alla fabbrica: Il passaggio da ruolo
gestionale a ruolo tecnico è stato complesso,
ma positivo.
Alle superiori ho frequentato il liceo classico, non pensavo proprio
al lavoro in ambito tecnologico. Se avessi seguito le mie inclinazioni
di allora, avrei continuato a studiare il greco, ma fin da bambina
sapevo di non voler fare l’insegnante! Visto che ero molto brava
anche in matematica, tutti i miei amici dicevano che avrei fatto
l’ingegnere e alla fine li ho accontentati. Nessuno in famiglia mi ha
spinta, avrebbero preferito economia o qualcosa di “meno difficile”,
ma mi hanno sempre supportata. L’interesse per la tecnologia,
però, c’era già da quando ero bambina, già alle medie facevo corsi
di informatica e ho iniziato a usare internet appena ha raggiunto
la Valtellina, dove sono cresciuta.
Ho cominciato a lavorare in Accenture (mi hanno contattata 12
ore dopo avere inviato il CV, cioè il primo giorno che ho deciso di
cercare un lavoro dopo la laurea!), dove ho imparato a lavorare
in gruppo, a cambiare tipo di lavoro e team all’improvviso e a non
avere orari, ci sono rimasta quasi 3 anni. Quando ho deciso di
riavvicinarmi a casa e tornare in Valtellina, ho trovato lavoro in Baxter
(meno di 10 km da casa), dove ho cambiato completamente
ambiente, dalla banca alla fabbrica.
Il passaggio da ruolo gestionale a ruolo tecnico è stato complesso,
ma positivo. Correvo un rischio, passando da un lavoro a tempo
indeterminato in un ambiente che ormai conoscevo (ero in Accenture
da 3 anni) a un lavoro a tempo determinato in fabbrica,
quindi in un ambiente completamente nuovo. Ho ricominciato
239
come process engineer in un team di process improvement, per
poi passare alle convalide (di cui sono stata responsabile per un
anno e mezzo) e infine a ingegneria. Sicuramente sono stati rilevanti
per il mio percorso la capacità di lavorare in gruppo, il sapere
andare d’accordo con tutti e la voglia di imparare sempre cose
nuove. Il rischio è stato ampiamente ripagato.
Da ormai 13 anni, in Baxter, faccio un lavoro che mi piace, mi alzo
contenta di andare al lavoro. Ogni giorno mi divido tra l’ufficio e
lo stabilimento, dove cerco di usare la mia esperienza e le mie
competenze per supportare la produzione, cercando però di fermarmi
oltre l’orario solo quando è davvero necessario. Non passo
le giornate chiusa in ufficio davanti al PC, passo tanto tempo con
colleghi di funzioni diverse e ci sono molti momenti di confronto.
Per poter funzionare una fabbrica ha bisogno degli operai, dei
manutentori ma anche di chi installa le macchine. Anche se l’installazione
la fa un fornitore esterno, c’è un team interno (ingegneria)
che si occupa di verificare che la macchina venga costruita
come abbiamo richiesto, che coordina il progetto fino al momento
in cui la macchina viene portata sulla linea, inclusi i test presso
il fornitore, e che infine verifica che sia installata correttamente. Il
mio lavoro consiste quindi nello scrivere i documenti che aiutano
il fornitore a capire che cosa vogliamo e a verificare successivamente
che abbiamo comprato quello che volevamo. Quando la
macchina (che può essere un robot, una confezionatrice, una telecamera
collegata a un PC) arriva in stabilimento, come team engineering
noi verifichiamo che tutto sia pronto per poter procedere
con la convalida, cioè la verifica che la macchina possa essere usata
per produrre farmaci. Verifichiamo quindi che i collegamenti
siano fatti bene (cioè che ogni filo parta e arrivi nel posto giusto),
che gli allarmi e i sistemi di emergenza funzionino, che ci siano
tutti i documenti richiesti. Aiutiamo inoltre a scrivere i manuali
che spiegano come usare le macchine installate, dal momento
240
che diventiamo gli esperti e le figure di riferimento per quando gli
operatori dovranno usarle. Poi è il gruppo delle convalide che verifica
che la macchina funzioni come ci si aspetta (se deve riempire
una bottiglia con 500 ml di liquido, non deve metterne 600, per
esempio). Nel mio lavoro c’è quindi anche una parte pratica che
permette di imparare ogni giorno cose nuove e non annoiarsi, ma
c’è tanto spazio anche per scrivere (qui torna utile il liceo). Infine,
collaboriamo spesso in gruppi che includono funzioni diverse per
indagare e risolvere i problemi, sfruttando sia le conoscenze delle
linee sia le conoscenze di statistica acquisite al Politecnico e nei
vari corsi che ci fanno fare sul lavoro.
Mi piace il fatto di non fare mai la stessa cosa per lunghi periodi, di
poter imparare sempre qualcosa di nuovo. Seguo le installazioni
delle macchine dal momento della stesura dei requisiti, quindi le
vedo nascere e finalmente andare in produzione. Mi piace anche
molto lavorare in team multifunzionali e mi piacciono i miei colleghi.
E, perché no, mi piace lavorare in montagna, a meno di 10 km
da casa, poter andare al lavoro in bicicletta e avere la possibilità
di fare qualunque cosa il pomeriggio o la sera (vado a nuotare, a
Mi piace sapere che, se noi ingegneri facciamo bene il nostro
lavoro, le macchine funzionano e gli operai in stabilimento
riescono a lavorare bene, quindi produciamo in qualità tutti
i prodotti che servono per rifornire gli ospedali e i pazienti.
Chi fa dialisi vede solo una sacca, ma dietro c’è il lavoro di
tante persone. Anche questo è un modo per sostenere delle
persone e avere un impatto positivo sulle loro vite.
241
242
correre, a sciare). Ma soprattutto mi piace sapere che, se noi ingegneri
facciamo bene il nostro lavoro, le macchine funzionano e gli
operai in stabilimento riescono a lavorare bene, quindi produciamo
in qualità tutti i prodotti che servono per rifornire gli ospedali
e i pazienti. Chi fa dialisi vede solo una sacca, ma dietro c’è il lavoro
di tante persone. Anche questo è un modo per sostenere delle
persone e avere un impatto positivo sulle loro vite.
Baxter punta molto sullo sviluppo delle donne e nel mio stabilimento
ci sono tante donne manager, soprattutto nel gruppo
qualità. Anche nei reparti, i caporeparto sono equamente divisi.
Le scelte non sono fatte sulla base del genere ma delle capacità.
Anche nel gruppo ingegneria, storicamente tutto maschile, adesso
la presenza femminile sta aumentando. L’unico ambiente al
100% maschile è la manutenzione, forse perché donne meccanico
o elettricista, qui in zona, non ce ne sono. Trovo che lavorare in
gruppi misti, dove si è valutati come persone e non come donne o
uomini, sia uno dei motivi per cui mi trovo bene nel mio posto di
lavoro. Ci sono ancora poche donne informatiche, credo ci siano
pregiudizi verso il mondo dell’informatica, probabilmente si pensa
ancora al tecnico chiuso in uno scantinato davanti a un PC,
mentre per esperienza posso dire che un informatico può fare
qualunque lavoro, col vantaggio che fa meno fatica a imparare le
nuove tecnologie. Credo che chi fa, oggi, la scelta di cosa studiare
all’università, dovrebbe tenerne conto. È importante scegliere
una facoltà che piace e sia compatibile con le proprie attitudini,
pensando però anche al futuro. La tecnologia è in ogni angolo,
robot, computer, macchine. Non siamo ancora, forse, all’industria
4.0, ma ci sono evoluzioni tecnologiche su ogni linea in breve tempo.
Senza tecnologia non riusciremmo ad andare avanti e bisogna
conoscerla bene.
243
244
Quello del network engineer è un lavoro vario
e dinamico, per niente noioso, che richiede
flessibilità, solide competenze e capacità
di lavorare con gli altri.
LAURA Giuseppina Grassi 48 anni
Alumna Ingegneria delle Telecomunicazioni 1998
Wind Tre
Network engineer
Milano, Italia
Quando mi chiedono «Che lavoro fai?», rispondo: ingegnere delle
telecomunicazioni! Non aggiungo altro per non annoiare. Ma, in realtà,
quello del network engineer è un lavoro vario e dinamico, per
niente noioso, che richiede flessibilità, solide competenze e capacità
di lavorare con gli altri. Consiste nel progettare e pianificare le
attività che riguardano i sistemi di gestione della parte di rete core
di un provider, ricevendo i requisiti di prodotto dal marketing e organizzando
i fornitori per l’ingegnerizzazione del prodotto. Il lavoro
di un network engineer è convertire il requisito del marketing (nuovo
prodotto o nuova offerta per il cliente, come ad esempio il centralino
virtuale, piuttosto che un servizio a B larga come FTTH) in un
servizio funzionante per il cliente, che dal telefonino potrà utilizzare
questo centralino come fosse in ufficio, oppure vedere e scaricare
contenuti da Internet ad una velocità molto elevata. Quando vediamo
Fiorello in TV che utilizza una videochiamata per festeggiare il
compleanno di un amico, dietro c’è il lavoro anche dell’ingegnere di
rete che ha pianificato, implementato il servizio sulla rete del provider
in modo che la trasmissione dell’immagine e la qualità della
voce siano ottimali e quindi ben apprezzate dal cliente. Ho scelto
questo indirizzo di laurea perché desideravo proprio poter applicare
le mie competenze tecniche per mettere concretamente in
connessione le persone anche se distanti.
245
È un lavoro tecnico: presuppone un continuo aggiornarsi sulle nuove
tecnologie e sulle soluzioni di rete (5G, la virtualizzazione delle
reti, etc.) con corsi presso i fornitori e mettendo a frutto al massimo
le mie capacità analitiche, di leadership ed organizzative. Il
mio lavoro comporta la massima attenzione ai dettagli e la capacità
di risolvere i problemi. Devo essere in grado di comprendere reti
complesse e individuare problemi o suggerire modi per migliorarli.
Devo inoltre essere in grado di lavorare in modo collaborativo con
gli altri colleghi. E devo essere capace di lavorare sia con ingegneri
che con colleghi di altre direzioni che potrebbero non avere questa
conoscenza così approfondita del networking.
A breve termine, con l’avvento del 5G, dovremo cambiare mentalità:
da fornitura di telefonia, dovremo diventare fornitori di servizi,
per gestire le numerose applicazioni (non solo telefoniche) che il
5G comporta. Mi piacerebbe continuare a lavorare nell’integrazione
dei progetti, ma in un ambito ancora più internazionale, condividendo
l’esperienza con altri operatori internazionali.
Nel settore delle telecomunicazioni, la tecnologia è fondamentale,
sia come strumento di lavoro (ma vale un po’ per tutti), sia come
oggetto di lavoro. Il mercato oggi chiede prodotti e servizi sempre
più performanti e innovazione continua. Penso che una professione
come quella del network engineer sarà sempre più valorizzata.
All’esperienza tecnologica e alla capacità di adattarsi alle nuove evoluzioni
di scenario lavorativo, dovrà sempre più coordinare le varie
figure professionali coinvolte nel progetto in corso, quindi diventerà
una figura più gestionale e meno pratica (i test e le validazioni
saranno effettuate direttamente dai fornitori).
Ho sempre trovato le telecomunicazioni un campo molto utile dal
punto di vista sociale: avevo una nonna che viveva in un paesino
montano un po’ isolato e vedevo che per lei il telefono era un modo
per sentire tutti i giorni i suoi cari che vivevano lontani. Nella mia
scelta di diventare ingegnere delle comunicazioni, sono stata anche
favorita dal periodo storico, perché in quegli anni c’era il boom delle
246
telecomunicazioni con nuove opportunità tecnologiche stimolanti,
prima di allora solo rappresentate nei film di fantascienza, che diventavano
reali sotto ai nostri occhi: la video conferenza, lo smart
office, gli smartphone, al Politecnico mi sembrava di trovare i mezzi
per comprendere queste trasformazioni. Ricordo anche grande fatica
e disorganizzazione: era il primo ciclo con i semestri e le materie
erano state semplicemente compattate in tre mesi, anziché
8 come in precedenza prevedeva il vecchio ordinamento annuale,
per cui avevamo frequenza assidua tutti i giorni, con 8 ore di lezione.
Si tornava a casa stanchissimi e con una valanga di cose da studiare
che non sempre si aveva il tempo di assimilare. Non c’erano i
compitini, per cui ci si trovava l’esame intero da affrontare solo una
settimana dopo la fine dei corsi. Ricordo infatti tantissimi abbandoni.
Però, con chi è rimasto, ho costruito le migliori amicizie, a cui
sono ancora legata dopo 20 anni. Tra noi ci diciamo che è perché
abbiamo fatto il Vietnam insieme! Certo sono grata al Poli perché
mi ha insegnato a non mollare mai, a risolvere i problemi via via che
si propongono con determinazione e metodo. Inoltre, questo percorso
offre tantissime opportunità di lavoro, la possibilità di poter
investire la propria professionalità e capacità relazionale, entrando
in un mondo sempre in evoluzione e in un contesto internazionale.
Proprio per questo, a chi si laurea consiglio di cogliere le opportunità
che si presentano, senza essere troppo selettivi, ma cercando
di fare più esperienze possibili. Cambiando lavoro spesso si ha più
possibilità di crescita di carriera e anche di stimolo per aggiornarsi
ed imparare un nuovo mestiere. Io non riesco a lavorare più di 5/6
anni nello stesso campo. Infatti, anche se sono nella stessa azienda
da 15 anni, ho cambiato direzione 3 volte: operations, marketing
ed engineering.
Questo percorso offre tantissime opportunità di lavoro,
la possibilità di poter investire la propria professionalità
e capacità relazionale, entrando in un mondo sempre in
evoluzione e in un contesto internazionale.
247
248
In un settore fortemente tradizionalista
come quello dell’alta tensione,
introdurre soluzione elettroniche
che rendono le apparecchiature
“smart” è una bella sfida.
Stefania Guerra
51 anni
Alumna Ingegneria
Elettrotecnica 1994
HITACHI-ABB Power
Grids S.p.A.
World class front
end service sales
Lodi (LO), Italia
Lavoro in HITACHI-ABB Power Grids
S.p.A., High Voltage, ormai dal 2001,
sono passata al Service nel 2016, occupandomi
anche dello sviluppo di un
sistema digitale per il monitoraggio remoto
delle apparecchiature in alta tensione
che l’Unità Operativa, nella quale
lavoro, produce.
In un settore fortemente tradizionalista
come quello dell’alta tensione, introdurre
soluzione elettroniche che rendono
le apparecchiature “smart” è una bella
sfida: da un lato, bisogna trovare e sviluppare
una soluzione accettabile dal
mercato, dall’altra ingolosire i clienti
dimostrando i vantaggi della soluzione
proposta. Il mio lavoro è comunque
prettamente commerciale, incontri con
i clienti, sopralluoghi in SSE (Sotto Stazione
Elettrica), preparazione di offerte
tecnico-economiche per rinnovare, migliorare
gli assets del cliente, sono il mio
pane quotidiano.
249
Con gennaio 2020 mi è stato affidato
l’incarico di world class front end service
sales, per cui mi occuperò di seguire il
mercato italiano delle utilities per il Service
non più solo delle apparecchiature
di alta tensione, prodotte dalla mia Unità
Operativa, ma anche per i trasformatori
di potenza e i sistemi di automazione
relativi. Lavorare in un settore industriale
richiede una base tecnica anche per
i ruoli commerciali, più si lavora in un
settore specializzato più è necessaria
una conoscenza specifica per essere
in grado in modo autonomo di fornire
assistenza, soluzioni, proposte. Senza
contare che, anche lato cliente, si ha per
lo più a che fare con tecnici.
Quelli del Poli sono stati sicuramente
gli anni migliori della mia giovinezza.
Li ricordo come anni intensi, interessanti,
molto vissuti. Nella scelta di fare
ingegneria sono stata sicuramente influenzata
dalla famiglia: sia mio padre
che mio fratello maggiore sono ingegneri,
io stessa ho comunque sempre
avuto predisposizione verso le materie
scientifiche. Sapevo che volevo avere un
ruolo commerciale e sono riuscita praticamente
da subito ad esserlo, mio padre
era direttore commerciale nella sua
azienda e mi piaceva quello che faceva
e che mi raccontava. È un ambiente più
maschile che femminile, soprattutto nei
ruoli manageriali, anche se la percentuale
femminile sta aumentando. L’impatto
sugli uomini, che siano colleghi o
che siano clienti, della donna ingegnere
è talvolta di diffidenza, ma una volta instaurato
un rapporto devo dire che ho
avuto tante soddisfazioni e attestazioni
di stima da parte dei clienti.
L’esperienza mi ha insegnato che alla
base ci deve essere la passione per la
tecnica, per la scienza. Alle giovani e ai
giovani che iniziano: la scelta degli studi
deve essere fatta pensando al tipo
di lavoro che si desidera. È una scelta
di vita e non solo di studio. Non ci deve
essere la paura del lavoro che assorbe
troppo tempo togliendolo alla famiglia.
Per esempio, io ho fatto l’errore di non
ho accettare un temporary assignment
all’estero perché mio figlio era piccolo
e non me la sono sentita di sacrificare
la famiglia. Bisogna un po’ buttarsi. Nel
mio caso, quando ho lasciato una piccola
ditta padronale per una multinazionale,
ho scoperto che le possibilità di
crescita sono davvero tante.
Lavorare in un settore
industriale richiede una
base tecnica anche per
i ruoli commerciali.
250
251
ANTONIETTA
LO DUCA
46 anni
Alumna Ingegneria
Informatica 2002
Roche Diagnostics
International
Product owner
Rotkreuz, Svizzera
252
Gestisco lo sviluppo di una piattaforma di simulazione
per le macchine di diagnostica utilizzate nei laboratori di
analisi mediche. Lo sviluppo di una nuova macchina può
durare anche anni e la nostra piattaforma permette di
simulare l’hardware che ancora non esiste.
In terza media (anno 1992), un ragazzo che frequentava l’ITIS venne
a parlare in classe, raccontando di cosa si faceva all’istituto tecnico
ad indirizzo informatico. Fu una folgorazione, tornai a casa e
dissi a mio padre cosa volevo fare da grande, cioè lavorare nell’informatica.
Sicuramente, la mia è stata una vocazione.
Oggi lavoro come product owner (responsabile di prodotto) e gestisco
lo sviluppo di una piattaforma di simulazione per le macchine
di diagnostica utilizzate nei laboratori di analisi mediche. Lo
sviluppo di una nuova macchina può durare anche anni e la nostra
piattaforma permette di simulare l’hardware che ancora non
esiste. L’utilità è per i progettisti hardware e software che possono
testare in anticipo ciò che stanno ancora progettando. Si tratta
sia di lavoro tecnico sia manageriale. Tecnico perché il ruolo del
product owner è di far capire le richieste dei clienti (in questo caso
colleghi di altri dipartimenti) agli sviluppatori del mio team, quindi
è necessario avere competenze tecniche per poter porre le giuste
domande ai richiedenti. Manageriale perché si devono negoziare
timeline, gestire budget, persone.
Ci vogliono tanta pazienza, resilienza, capacità di ascolto per capire
i bisogni del committente e, ovviamente, le conoscenze tecniche
per “tradurli” in modo che possano essere raccolti dagli sviluppatori.
Non è che per fare questo lavoro si debba per forza essere
dei maniaci della tecnologia. Per esempio, a casa ho un impianto
cinema creato da mio marito (anche lui ingegnere), e ogni volta
che lui non c’è e i bimbi (impazienti) vogliono vedere un film, è un
253
254
supplizio: ho dovuto fare uno schema a blocchi sui dispositivi da
accendere, in che ordine e anche una guida a possibili risoluzioni
di problemi. Io sono per “schiaccio un bottone e funziona tutto”!
Quello che è veramente importante, secondo me, è saper pianificare,
ed è una cosa che ho imparato al Poli. La pianificazione aiuta
a semplificare i concetti tecnici, prima di tutto per se stessi, così da
poterli spiegare a persone con conoscenze diverse dalle nostre.
Mi piace citare una famosa affermazione di Einstein: «Se non lo
sai spiegare in modo semplice, non l’hai capito abbastanza bene»!
In futuro mi piacerebbe spostarmi verso la gestione di progetti
più “digitali”, come i servizi basati sull’Intelligenza Artificiale. Mi
piacerebbe lavorare nell’ambito dell’analisi dei dati (Data Analysis)
per colmare il gap tra esperti, come medici o ricercatori nel campo
dell’Healthcare, e sviluppatori software, e gestire progetti più
orientati ai servizi per medici e pazienti, per esempio per poter
effettuare una diagnosi più veloce o tenere sott’occhio i propri pa-
255
ametri durante una cura. Del mio lavoro amo l’interazione con le
persone, la spinta a cercare sempre l’innovazione: cioè chiedermi
spesso se quello che sto facendo ha un valore e per quanto tempo
è sostenibile. È il cercare nuove opportunità. Anni fa gestivo
un team di supporto clienti dove ogni giorno dovevamo estrarre
dei dati da computers in diversi siti sparsi per il mondo. L’estrazione
era automatica e avveniva ogni notte, ma c’era un sito in
particolare che aveva sempre dei problemi e dovevamo effettuare
il trasferimento in modo manuale. Avevo assegnato un ragazzo
del team a questo sito e lui tutti i giorni si collegava al computer
per estrarre i dati. Un giorno gli ho chiesto se non fosse stufo di
spendere mezz’ora del suo tempo tutti i giorni per questo tipo di
attività e se non fosse il caso di pensare a una soluzione alternativa.
Dopo diversi esperimenti e fallimenti trovammo una soluzione,
poco elegante ma efficace, ma che soprattutto ci portò a ragionare
su come riorganizzare il nostro lavoro quotidiano.
In terza media (anno 1992), un ragazzo che
frequentava l’ITIS venne a parlare in classe,
raccontando di cosa si faceva all’istituto tecnico
ad indirizzo informatico. Fu una folgorazione,
tornai a casa e dissi a mio padre cosa volevo fare
da grande, cioè lavorare nell’informatica.
Sicuramente, la mia è stata una vocazione.
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Quello che è veramente importante,
secondo me, è saper pianificare, ed è una cosa
che ho imparato al Poli. La pianificazione aiuta
a semplificare i concetti tecnici, prima di tutto
per sé stessi, così da poterli spiegare a persone
con conoscenze diverse dalle nostre.
Le competenze tecnologiche permettono di trovare realtà professionali
stimolanti, in cui si ha sempre a che fare con l’innovazione
e in cui il lavoro è molto dinamico. A me ha permesso anche di
viaggiare e conoscere culture diverse, capire come gli altri paesi
lavorano e imparare qualcosa da loro. Inoltre, la tecnologia
nell’Healthcare è fondamentale per poter fornire degli strumenti
adeguati a medici e ricercatori per prendere decisioni in fretta.
Questa è una cosa importante, perché ci si rende conto che il
proprio lavoro ha un impatto sulla vita delle persone.
Certo, non bisogna aver paura di sporcarsi le mani. A chi inizia
oggi la propria carriera, consiglio di investire i primi anni per lavorare
in diversi progetti, per farsi un’idea di come le tecnologie
vengono applicate nelle aziende, imparare e scegliere il percorso
che attira di più.
257
Mi occupo degli pneumatici per le
competizioni automobilistiche,
in particolare di sperimentazione e test.
ANNA MALOSIO
49 anni
Alumna Ingegneria
Meccanica 1998
Pirelli Tyre Motorsport
R&D - Testing
Milano, Italia
Quando ero piccola, non saprei dire
quanti anni avessi, ogni tanto il sabato
mi capitava di accompagnare mio papà
al lavoro e lui mi faceva piantare i chiodi:
lui li avviava appena in un grosso ceppo
di legno e io dovevo piantarli fino in fondo.
Mi divertiva tantissimo e per me era
una sfida ad usare il minor numero possibile
di martellate - e a non martellarmi
le dita. Credo che, già in quel momento,
si sarebbe potuto prevedere che sarei
diventata una persona a cui piace “sporcarsi
le mani” e forse sarei diventata un
ingegnere.
Oggi mi occupo degli pneumatici per le
competizioni automobilistiche, in particolare
di sperimentazione e test per
questi pneumatici per Pirelli. In pratica,
grazie al laboratorio di misure che offre
259
R&D Pirelli, il mio team ed io valutiamo
diverse grandezze misurate legate alle
prestazioni dello pneumatico, sia su banchi
prova indoor, sia in pista con l’ausilio
di vetture e piloti qualificati a seconda
delle categorie di pneumatici che stiamo
sviluppando. Le informazioni possono
essere tante, ma è fondamentale
valutarle tutte: dalle più semplici, come
ad esempio la pressione o la temperatura,
alle più complesse, come le analisi
dei dati che arrivano dalle telemetrie del
veicolo; questo serve a formulare le giuste
indicazioni da trasmettere ai colleghi
che progettano gli pneumatici. Ogni
giorno analizzo in modo critico tutti i risultati
che mi vengono sottoposti o che
io stessa elaboro. Per la risoluzione dei
problemi o la comprensione dei fenomeni
fisici utilizziamo dati sperimentali,
avendo cura di scrivere le metodologie
di prova in modo che siano rappresentative
dell’utilizzo nella realtà. Nell’analisi
dei risultati teniamo conto delle differenti
condizioni al contorno; per esempio
i regimi termici e gli attriti che si hanno
in una prova al banco sono diversi da
quelli della prova su strada.
La tecnologia permette di esplorare
nuovi confini e di sviluppare nuovi metodi
per cui c’è sempre qualcosa di nuovo
da imparare. Il mondo automotive sta
evolvendo velocemente, per esempio
sta andando verso l’elettrico e credo che
si evolverà sempre più verso un design
virtuale. Forse anche la sperimentazione
sarà sempre più virtuale, ma per arrivarci
occorre che i modelli siano validati
con dati misurati, altrimenti si perde il
contatto con la prestazione reale. Tutto
questo significa nuovi target da raggiungere
e quindi nuovi modi per misurare
questi target. Non ci si può annoiare.
260
261
Eppure, tante ragazze, purtroppo, non
si avvicinano a questo tipo di lavoro forse
per paura o pregiudizio - magari non
si ritengono all’altezza e di conseguenza
scartano a priori la possibilità che certi
lavori tecnici possano interessarle e
appassionarle. Anche nel mio lavoro mi
trovo spesso ad essere l’unica donna
a tavoli di soli uomini. Sinceramente, a
parte qualche eccezione, devo dire che
non è mai stata una difficoltà nel lavoro
quotidiano. In ogni caso bisognerebbe
proprio provarci. Per me la volontà di
studiare ingegneria ha iniziato a manifestarsi
quando ero al liceo ed è stata
la decisione fondamentale per costruire
tutto il resto. Se anche a voi piace sporcarvi
le mani, fatelo e inseguite il lavoro
dei vostri sogni! C’è sempre tempo per
fare un altro lavoro magari più remunerativo.
E, se siete in difficoltà, pensate
che l’università è più dura e faticosa rispetto
al mondo del lavoro, quindi tenete
duro!
La tecnologia permette
di esplorare nuovi confini
e di sviluppare nuovi
metodi.
262
263
FRANCESCA
MAZZOLENI
44 anni
Alumna Ingegneria
Elettrica 2000
Accenture
Managing director, north
America west SAP lead
San Francisco,
California, USA
264
Fin da bambina mi sono sempre divertita
a trovare soluzioni a problemi complicati
e a applicare le logiche della matematica
alla risoluzione di problemi.
Fin da bambina mi sono sempre divertita a trovare soluzioni a
problemi complicati e a applicare le logiche della matematica alla
risoluzione di problemi. Mi è sempre piaciuto imparare per poter
risolvere, e questo mi ha sempre fatto pensare ad ingegneria
come professione, ma senza un chiaro obiettivo professionale.
Ho scoperto la mia passione per IT solo una volta iniziato a lavorare.
Il Poli, come mio padre, ingegnere elettrico del Poli anche
lui, mi hanno insegnato la dedizione e l’impegno, a dover sudare
per ottenere un risultato e, naturalmente, la preparazione logica
e scientifica. Il lavoro in sé l’ho imparato quando ho iniziato a farlo,
visto che non ho mai fatto l’ingegnere elettrico.
Lavoro nella consulenza strategica per la trasformazione di aziende
tramite sistemi informativi, specialmente SAP. Il bello della
consulenza è che nessun giorno è uguale all’altro: il mio lavoro
consiste nell’organizzare il lavoro della struttura di cui sono responsabile.
Gestisco la carriera del team, definisco le strategie per
il futuro, target di nuovi clienti e nuovi progetti, incontro clienti, incontro
partner, gestisco vendita e delivery di progetti. Gestisco un
team a riporto diretto di circa 200 persone, ed è proprio questo
uni degli aspetti che preferisco di questo lavoro: l’interazione con
le persone del mio gruppo.
I nostri clienti sono grandi aziende che hanno bisogno di ridefinire
i loro processi in modo più automatico, renderli più snelli grazie
265
a nuovi sistemi informativi. La tecnologia fa parte di ogni cosa e
restare aggiornata sulle innovazioni tecnologiche è molto importante
per cercare di creare soluzioni specifiche a problemi tecnici.
I sistemi informatici diventano ogni giorno più evoluti, facili da implementare,
adattabili. I tecnici IT e i consulenti non lavorano più
solo come ruolo di supporto e implementazione della tecnologia,
che richiede sempre meno intervento: stanno diventando figure
sempre più centrali, in grado di migliorare, grazie alle competenze
tecnologiche, i processi di business in qualsiasi campo. Un po’
come se la tecnologia fosse una nuova lingua e loro gli interpreti.
È un tipo di lavoro che offre moltissime opportunità e un percorso
che consiglio, se si ha voglia di metterci passione e impegnarsi
nello studio. I professionisti IT hanno sempre più bisogno di una
preparazione “olistica”, quindi cercate di ampliare il più possibile
le vostre conoscenze, senza concentrarvi unicamente su un campo
verticale: per essere un buon IT, bisogna essere in grado di
comprendere anche i processi aziendali che non hanno a che fare
in modo diretto con la tecnologia. Ai giovani consiglio anche di
metterci passione e prendersi sul serio, ma non troppo! Un errore
non è la fine del mondo, io ne ho fatti diversi, ma nessuno di
questi ha condizionato in modo negativo la mia carriera. Quando
entrate nel mondo del lavoro, siete pagati anche per avere una
opinione, quindi esprimetevi, sempre mantenendo limiti professionali
e senza farvi scoraggiare da errori e commenti negativi.
266
I tecnici IT e i consulenti non lavorano più solo come
ruolo di supporto e implementazione della tecnologia,
che richiede sempre meno intervento:
stanno diventando figure sempre più centrali,
in grado di migliorare, grazie alle competenze
tecnologiche, i processi di business in qualsiasi campo.
Un po’ come se la tecnologia fosse una nuova lingua
e loro gli interpreti.
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Quando sei un ingegnere, lo sei in ogni
secondo della tua vita. Quando organizzi la
tua agenda o quando stendi la biancheria
lavata. Se lo ha fatto un ingegnere, si vede.
ARIANNA MINORETTI 41 anni
Alumna Ingegneria Civile 2004
Norwegian Public road
Administration chief engineer
Trondheim, Norvegia
Vivo e lavoro in Norvegia, a Trondheim. Quando mi chiedono che
lavoro faccio, dico che sono solo un ingegnere: “solo”, non per
sminuire la categoria, ma semplicemente per rimarcare il fatto
che sono uno tra i tanti ingegneri. La mia mattina può iniziare
con un progetto da seguire in team o con dei calcoli da svolgere
da sola in studio, oppure posso svegliarmi ed avere un taxi che
mi aspetta per portarmi in aeroporto per poter partecipare ad
una riunione, magari internazionale, in qualche città d’Europa o
del mondo. Oppure posso dovermi recare in qualche sito dove
stiamo costruendo qualche struttura, o ancora posso avere una
riunione in università con ricercatori o docenti. Questo è uno dei
lati positivi di un lavoro vario e stimolante, a mio avviso.
La tecnologia è il mio quotidiano: non solo per le progettazioni
che usano tecnologie consolidate, ma per i diversi progetti di ricerca
su nuove tecnologie che ho la fortuna di seguire e che mi
permettono di scrivere nuove normative per aiutare la categoria
ad avvicinarsi, appunto, a nuove tecnologie. La tecnologia ha un
potenziale enorme, dall’uso dei nuovi materiali, alla riduzione
delle emissioni, al controllo dei trasporti (e di come le persone
269
270
si spostano, comunicano, della loro qualità di vita). “Tecnologia“
è, a mio avviso, un po’ sinonimo di “Ingegneria”. E quando sei un
ingegnere, lo sei in ogni secondo della tua vita. Quando organizzi
la tua agenda o quando stendi la biancheria lavata. Se lo ha fatto
un ingegnere, si vede, qualunque cosa sia.
Partire per la Norvegia è stata la decisione migliore per la mia vita
professionale. Questo non vuol dire che andarsene dall’Italia sia
l’unica strada, o la più facile (anzi, semmai il contrario). Ma vuol
dire che non dobbiamo aver paura delle sfide. La scelta di trasferirmi
mi ha aperto nuovi orizzonti, che non avrei mai immaginato.
C’è anche da notare una differenza tra Italia e Norvegia relativamente
alle pari opportunità. In Italia mi è capitato di seguire una
procedura come tecnico incaricato dal tribunale e di essere scambiata
dagli avvocati o dalle parti come la segretaria del tecnico
del giudice, anziché essere riconosciuta come il tecnico. Ho avuto
problemi in alcuni cantieri dove gli operai non riconoscevano la
mia autorità come direttore dei lavori. Ho dovuto sentire battute
e allusioni dettate dal solo fatto che non ero un uomo. Alla fine
ogni situazione si è risolta in mio favore, perché, una volta capita
la mia professionalità, i rapporti sono sempre cambiati e c’è stata
maggior manifestazione di rispetto, ma è evidente che la strada
per una donna in alcuni lavori in Italia sia più difficile.
Queste cose in Norvegia non sono la normalità, e bisogna che
cambino anche in Italia. Siamo figli di una mentalità che ci fa crescere
le nostre bambine con bambole e orsetti senza pensare che
invece magari preferirebbero delle costruzioni o delle macchine.
Ragioniamo per stereotipi, non appoggiamo le nostre ragazze in
modo sufficiente perché si impegnino (se amano farlo) nelle materie
scientifiche. Ogni ragazza è un meraviglioso mondo in evoluzione.
Impariamo a seguire le nostre ragazze appoggiandole nelle
materie e nelle attività per le quali mostrano di essere portate e
smettiamo di indirizzarle sui campi dei quali, come società, pen-
271
Scegliete qualcosa che vi piace fare,
quando scegliete l’università: non sarete
mai i migliori nel vostro campo se seguite
percorsi che non vi piacciono.
siamo dovrebbero occuparsi. Va creato un sistema sociale che
permetta alle donne di avere carriera e lavoro (paternità obbligatoria
e pari alla maternità - questa è vera uguaglianza), le donne
devono pretendere di poter seguire le loro ambizioni e le famiglie,
i mariti, i fidanzati, devono lottare per questi diritti al loro fianco.
Quindi, niente stereotipi (vale per tutti, ragazze e ragazzi). Scegliete
qualcosa che vi piace fare, quando scegliete l’università: non sarete
mai i migliori nel vostro campo se seguite percorsi che non vi
piacciono, ma che semplicemente sono meglio pagati o per i quali
c’è maggior richiesta. E quando iniziate a lavorare, abbiate l’umiltà
di capire che c’è sempre da imparare e di apprezzare chi vi aiuterà
nel percorso, ma pretendete rispetto: per gli orari lavorativi, per
gli straordinari, per il vostro stipendio. Se voi non avete rispetto di
voi stessi e accetterete situazioni che vi sminuiscono professionalmente
o umanamente, di certo di voi non avranno rispetto gli altri.
Ma soprattutto, sempre a proposito di stereotipi, non pensiate
che quello dell’ingegnere sia un lavoro che non lascia spazio alla
creatività e al lato “umano”. Ce n’è, e tanto, sia nel lavoro, sia nella
vita privata. Nel tempo libero leggo e scrivo (da quando vivo in
Norvegia ho anche un piccolo sito su Wordpress dove pubblico
le mie “lettere dal nord”), per esempio. Nel lavoro mi piace la ricerca,
mi piace imparare cose nuove ogni giorno, mi piace poter
contribuire a progetti che, in qualche modo, cambieranno la vita
di alcune (o molte) persone, mi piace la semplice chiarezza dell’in-
272
gegneria che segue le leggi della natura, mi piace lavorare in gruppo,
discutere, e vedere insieme il risultato, mi piace l’idea di poter
migliorare la vita delle persone, mi piace viaggiare, confrontarmi
con gli altri e aprire la mia mente a tutte le meravigliose sorprese
che questo lavoro riesce sempre a darmi. Mi è sempre piaciuta
l’idea di poter “proteggere” le persone, che ciascuno potesse sentirsi
sicuro in casa propria (si pensi, ad esempio, durante un terremoto).
Per questo ho scelto Ingegneria Civile indirizzo strutture.
Poi, studiando, mi sono appassionata anche ad altri temi, la realtà
professionale mi ha portato a spaziare con i miei interessi e fino
ad oggi mi sono occupata di molti temi, anche se quello della sicurezza
rimane un ambito molto importante in tutti i momenti della
mia carriera professionale, anche se è stata ed è così variegata e,
in parte, imprevista.
Mentre studiavo, non pensavo certo che, un giorno, mi sarei trovata
in Norvegia a fare questo lavoro. Eppure, eccomi qui. E ne
sono felice. Sono una persona aperta a nuove esperienze e che
ama le sfide. Cerco di dare il meglio ogni giorno e di mettermi
in gioco, perché sono convinta che questa sia l’unica strada per
migliorarsi. La mentalità ingegneristica è anche questo: diventa
parte del tuo essere te stesso, e apre milioni di strade diverse,
che ci permettono di reinventarci e di essere sempre competitivi,
in ogni settore. Non so cosa mi attenderà in futuro, ma non vedo
l’ora di scoprirlo.
La mentalità ingegneristica è anche questo:
diventa parte del tuo essere te stesso,
e apre milioni di strade diverse, che ci
permettono di reinventarci e di essere
sempre competitivi, in ogni settore.
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274
Per anni ho lavorato in laboratori tecnici
tra camere anecoiche, generatori di
traffico, camere termiche, rack di
apparati di telecomunicazioni.
Nel 2017 mi sono certificata come
ethical hacker.
LUCIA MORANDI
45 anni
Alumna Ingegneria delle
Telecomunicazioni 2000
Sky Italia
Cyber security
assurance
Milano, Italia
La mia vita professionale comincia proprio
con la laurea in Ingegneria delle
Telecomunicazioni, il 19 Aprile del 2000.
Ho fatto una tesi costruendo il prototipo
di un’antenna per Bluetooth. Dopo
un anno in Lucent Technologies, nel
2001 ho iniziato a lavorare in Ericsson,
lavoro che mi ha portato a girare in vari
paesi del mondo e a ricoprire vari ruoli,
con diverse responsabilità, da tester a
customer support engineer, a coordinatore
di test e team leader.
Per anni ho lavorato in laboratori tecnici
tra camere anecoiche, generatori di traffico,
camere termiche, rack di apparati
di telecomunicazioni. Nel 2017 mi sono
certificata come ethical hacker (CEH v9),
cioè la figura che cerca di individuare
le debolezze presenti nei sistemi informatici
o nelle reti che permetterebbero
di violare (“bucare”) i sistemi. L’ethical
hacker è però un hacker “etico”; non
cerca di violare i programmi e i sistemi
informatici per rubare o manomettere
275
dei dati ma lo fa allo scopo di innalzare
il livello di sicurezza dei sistemi informatici
e per contrastare chi invece cerca di
violare i sistemi per scopi malevoli.
Dopo aver acquisito questa certificazione
ho indirizzato la mia strada professionale
verso la Sicurezza Informatica
e anche grazie a questa certificazione
ho avuto la grande opportunità di lavorare
nel settore Avionico per Boeing. In
questo momento lavoro in una grande
azienda del settore media, in un’area (e
in un’azienda) in cui l’innovazione tecnologica
gioca un ruolo fondamentale.
Ad oggi il mio ruolo è quello di cyber
security assurance. Mi occupo di coordinare
i test di sicurezza al fine di garantire
che tutte le applicazioni e le nuove
architetture introdotte in azienda vengano
testate da un punto di vista della
Sicurezza. Allo stesso modo, nel caso di
cambi sostanziali alle architetture e ai
sistemi esistenti effettuiamo una valutazione
per capire se è necessario effettuare
nuovamente i test. Mi occupo di
assicurarmi che le procedure e le linee
guida di sicurezza siano costantemente
aggiornate e cerco di diffondere la “cultura
informatica” in azienda attraverso
programmi e attività di awareness.
È proprio l’aspetto tecnologico e le com-
276
ponenti tecniche che mi hanno fatto e
mi fanno sempre piacere il mio lavoro.
Amo la tecnologia ed in particolare il
campo della Sicurezza. Questo tipo di
lavoro sarà sempre più importante, in
sempre maggiori settori. Basti pensare
a tutti i dispositivi IoT (Internet of Things)
che stanno entrando nelle nostre case
o all’automazione, sempre più spinta
nelle industrie. Sicuramente l’IoT e l’Intelligenza
Artificiale cambieranno tantissime
cose e il mio lavoro evolverà di pari
passo. Sono convinta che un ingegnere
abbia gli strumenti per adattarsi ai cambi
tecnologici e alle nuove figure professionali
che si creeranno.
Per me la tecnologia è assolutamente
una “vocazione”. Ho capito di voler intraprendere
una carriera tecnica quando,
a nove anni, ho visitato l’azienda (ed i
laboratori) dove lavorava il mio papà, fisico
nucleare, che ha lavorato per più di
40 anni nel campo delle memorie ROM
in STMicroelectronics. Ho conosciuto
mio marito all’università ed è anche lui
un ingegnere con la mia stessa passione
per la tecnologia e l’informatica. Il
primo regalo che mi ha fatto e con cui
mi ha conquistato, non è stato un anello,
ma un modem 14.4 Kbps con abbonamento
ad Internet. Ai quei tempi, internet
era ancora terra sconosciuta, mi
sono sentita come una pioniera!
277
Vanessa
Panettieri
45 anni
Alumna Ingegneria
Nucleare 2001
Alfred Health Radiation
Oncology, Alfred Hospital
Senior medical
physicist
Melbourne, Australia
Il ruolo del medical physicist è cosi vario
e versatile che è difficile da spiegare in due righe.
È un lavoro che cambia giorno per giorno.
“Che lavoro fai?”, che domanda complicata! Il ruolo del medical
physicist è cosi vario e versatile che è difficile da spiegare in due
righe. Di solito rispondo che lavoro in radioterapia, nel trattamento
di pazienti con tumore sia maligni che benigni. Che il mio ruolo
è di controllo di qualità sia delle macchine, che dei software e
design dei trattamenti, inoltre ho un ruolo scientifico di ricerca e
sviluppo di nuove metodologie. È un lavoro che cambia giorno
per giorno. La mia sede lavorativa è all’interno dell’ospedale pubblico,
al dipartimento di radioterapia, con i miei colleghi seguo un
calendario di attività per cui, a seconda del periodo, mi occupo di
cose diverse: fare misure sulle macchine di trattamento, risolvere
un guasto, controllare un piano di trattamento sul software o sulla
macchina. Quando serve, mi occupo di brachiterapia (cioè radioterapia
con sorgenti interne al paziente) sia nel reparto, sia in sala
chirurgica. Mi occupo anche di fare la supervisione di studenti di
Master e Dottorato e di insegnare all’università. Faccio parte di
gruppi di lavoro specializzati come per esempio il Victorian Public
Sector RapidPlan group, che si occupa di pianificazione automatica.
C’è anche il commissioning, cioè di ricercare e testare una
nuova tecnologia o metodo per la clinica, che è una delle parti più
interessanti del mio lavoro. Le mie giornate non sono mai noiose,
c’è sempre molto da fare.
La tecnologia è alla base del nostro lavoro, in tutti gli aspetti della
radioterapia sia esterna che interna. Tutti i giorni lavoriamo con
acceleratori lineari che sono macchinari molto sofisticati e ad alta
precisione. Inoltre, lavoriamo con i software per pianificare i trattamenti,
che richiedono controlli molto accurati perché stimano
la dose di radiazione e la sua distribuzione per trattare una certa
zona tumorale senza danneggiare i tessuti sani.
279
Credo che il ruolo del fisico medico evolverà molto con lo sviluppo
di metodi di Intelligenza Artificiale. Ci ritroveremo a fare meno attività
di routine, che verranno automatizzate, e dovremo essere in
grado di conoscere i metodi di automatizzazione e il mondo della
programmazione, per poterli validare e creare controlli di qualità
adatti. Inoltre, il fisico medico di Radiation Oncology dovrà anche
diventare più esperto di analisi delle immagini, con l’introduzione
di MRI, PET a lato del CT, nella fase di pianificazione del trattamento,
o nell’analisi dei referti. È un momento molto stimolante per la
nostra professione, sono in atto tanti cambiamenti e i fisici medici
del futuro avranno skills diverse da quelle che abbiamo noi oggi.
Per questo c’è sempre da restare aggiornati.
È un momento molto stimolante per la nostra
professione, sono in atto tanti cambiamenti e i fisici
medici del futuro avranno skills diverse da quelle che
abbiamo noi oggi. Per questo c’è sempre da restare
aggiornati.
Ho sempre avuto una grande passione per la tecnologia e le
scienze sin da bambina. Mio padre era idraulico e sono sempre
stata affascinata dai suoi progetti per impianti e la strumentazione.
In più, la mia materia preferita alla scuola elementare era la
matematica e ho sempre saputo che sarei finita a studiare materie
scientifiche se avessi avuto la possibilità di fare l’università.
Ma l’attrazione verso Ingegneria Nucleare mi è venuta alla scuola
superiore grazie al professore di fisica degli ultimi due anni, che
ci ha fatto lavorare su una serie di esperimenti con le radiazioni.
Questi semplici esperimenti hanno stimolato un forte interesse
per la fisica nucleare. Essendo poi io una persona più pratica che
teorica ho fatto l’esame per entrare a Ingegneria Nucleare al Poli
che per fortuna ho passato.
280
Degli anni del Poli, ricordo i cari amici e professori del CeSNEF e
i pomeriggi passati insieme nel dipartimento, in particolare negli
ultimi due anni, a fare progetti e scrivere la tesi di laurea. Ricordo
anche le altre, poche, compagne donne con cui ho fatto il corso, e
che ora sono tutte professioniste affermate. Mi piace anche ricordare
lezioni nelle vecchie aule con i sedili di legno di piazza Leonardo
e la fatica degli esami nei primi anni di università. Dopo aver
preso la laurea in Ingegneria al Politecnico e aver fatto una lunga
vacanza ho lavorato per un periodo in una azienda medica come
trainee, durante quel periodo ho capito che la mia passione è la
ricerca in campo medico e per questo motivo ho fatto domanda
per un dottorato in Medical Physics, che mi sembrava in linea con
la laurea in Ingegneria Nucleare. Durante il dottorato ho capito
che quella era la mia strada e ho avuto la fortuna di aver trovato
mentors che hanno creduto in me e mi hanno dato l’opportunità
di evolvermi in questo settore. Non credo che sia stata una
vocazione, ma piuttosto un’evoluzione che ha avuto origine dalle
circostanze. Sono contenta di questo percorso: mi ha portato a
sviluppare una professionalità che ha il fine di aiutare i pazienti,
che cambia continuamente e offre continui stimoli e opportunità
di carriera. Dopo il trasferimento a Melbourne, sono rimasta in
contatto solo con alcuni pochi compagni e cari amici del corso di
laurea e sono molti anni che non metto piede al Politecnico.
Mi piacerebbe poter essere più coinvolta nelle attività del Poli ma
è piuttosto difficile essendo così lontana. Quella del Poli è un’espe-
Sono contenta di questo percorso: mi ha portato a
sviluppare una professionalità che ha il fine di aiutare
i pazienti, che cambia continuamente e offre continui
stimoli e opportunità di carriera.
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ienza sempre viva che ha avuto un ruolo molto importante nella
mia formazione. Anche qui a Melbourne, dire di essermi laureata
al Politecnico di Milano mi dà un certo riconoscimento, specialmente
coi colleghi ingegneri locali. Come italiana, è stato piuttosto
facile integrarsi anche perché Melbourne ha una numerosa
popolazione di italiani che si sono trasferiti qui dopo la guerra. La
nostalgia dell’Italia e dell’Europa c’è sempre, ma qui si vive bene
e si trovano tutti i comfort della madre patria incluso il formaggio
della mia regione. L’unica pecca è che ci vogliono almeno 22 ore
di volo per tornare a salutare famiglia e amici e quindi ci vuole una
vacanza di almeno due settimane per poter rientrare. Ma per il
momento Melbourne è la mia casa e sono molto fortunata di aver
avuto l’opportunità di venire qui a fare un lavoro che mi piace
molto e mi da soddisfazione ogni giorno.
Anche qui a Melbourne, dire di essermi laureata
al Politecnico di Milano mi dà un certo riconoscimento,
specialmente coi colleghi ingegneri locali.
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La prima volta che ho visto un amplificatore
“nudo” ho deciso che, da grande, avrei
progettato e costruito amplificatori analogici.
sara pellegrini 48 anni
Alumna Ingegneria Elettronica 1999
STMicroelectronics
Advanced photonic pixel architect, technology manager
Edimburgo, Regno Unito
La prima volta che ho visto un amplificatore “nudo” ho deciso che,
da grande, avrei progettato e costruito amplificatori analogici.
Non so esattamente quando sia successo, credo durante il liceo,
ma in memoria ho molto chiara la visione di tutti quei dispositivi
su un circuito stampato. Mi hanno affascinata. Purtroppo, i ragazzi
di oggi vedono solo delle scatolette nere, bellissime, che sono i
nostri cellulari o tablets o televisioni, ma raramente ne vedono
tutti i componenti (secondo me è uno dei motivi principali per
cui abbiamo tantissimi programmatori ma pochissimi elettronici).
Comunque, questa è la ragione per la quale mi sono iscritta al Poli
e mi sono laureata in Ingegneria Elettronica, con specializzazione
in microelettronica. Durante gli studi, una delle materie che mi
appassionava era la fabbricazione di dispositivi, che mi diede le
basi per il dottorato e per la carriera che sto proseguendo ora.
Ho fatto il progetto di tesi all’estero, in Scozia, e lì sono rimasta a
fare un dottorato su “Single Photon Avalanche Diodes (SPADs)”.
Una volta terminato il dottorato, ho lavorato per un anno in università
come ricercatore e poi sono stata assunta da STMicroelectronics.
Il dottorato mi ha dato moltissimo e lo consiglio, non
285
necessariamente deve portare alla carriera accademica. Nel mio
caso, è stata la base per lavorare in azienda, nella ricerca e sviluppo.
All’inizio lavoravo come pixel characterization engineer, mi
occupavo di misure di tipo elettrico e ottico di rumore e di segnale
nei pixel che costituiscono le telecamere digitali presenti nei cellulari.
Con il passare degli anni, sono diventata prima senior characterization
engineer e poi sono stata promossa al ruolo di technology
manager, in cui ero responsabile del disegno e della scelta
della tecnologia in silicio da utilizzare per i diodi fotorivelatori a
singolo fotone. Questi dispositivi sono alla base delle applicazioni
di “Time-of-flight ranging”, che vengono utilizzate per sistemi di
auto-focalizzazione per i cellulari e per sistemi LiDAR per veicoli
autonomi. Ora sono responsabile dello sviluppo della prossima
generazione di pixels e delle interazioni con istituti di ricerca e
università sia a livello nazionale che internazionale. Faccio anche
parte del comitato tecnico di diverse conferenze a livello internazionale.
Il mio lavoro consiste nel decidere quale tecnologia e
quale disegno usare per creare i pixels che sono nelle telecamere
dei cellulari. Devo scegliere la soluzione che garantisca le performance
migliori affinché le foto risultino di buona qualità. Dirigo
una squadra tecnica di 20 persone con diversi tipi di specializzazione:
alcuni sono fisici, altri ingegneri elettronici, altri tecnici di
processo. Passo le giornate in meeting a discutere con colleghi in
Scozia e in Francia o a studiare documenti tecnici che mi dicono
se le scelte fatte sono giuste o vanno modificate. Vivo e lavoro
nel Regno Unito e viaggio spesso per incontrare i miei colleghi di
persona.
Mi piace molto la continua necessità di innovazione e di risolvere
problemi complessi. Sia che si tratti di valutare risultati di simulazioni
di dispositivi o di circuiti elettrici, sia di capire quali siano
le sfide da affrontare per assicurarsi che i nostri prodotti siano
competitivi, questo lavoro non dà modo di annoiarsi.
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Nel mio ufficio siamo in 120 persone tra ingegneri e non, ma solamente
12 donne. C’è un disequilibrio elevato, ma le cose stanno
lentamente cambiando. Da un punto di vista professionale, al
momento lavoro a 80% del tempo pieno e questo rallenta la mia
progressione di carriera. Servono strutture sociali e cambiamenti
culturali che permettano di avere una famiglia e uguale responsabilità
da parte di entrambi i genitori, questo creerebbe davvero
pari opportunità. Molte compagnie hanno messo in atto iniziative
in questo senso, ma ci vorranno molto impegno e tempo perché
le opportunità diventino realmente uguali per tutti. Nel frattempo,
siamo esposte a un pregiudizio inconscio che rischia di indirizzare
le ragazze a fare scelte che non sono necessariamente quelle più
naturali per loro. È per questo che passo parte del mio tempo ad
andare in scuole primarie e secondarie per cercare di abbattere
pregiudizi legati al ruolo della donna nella nostra società. Lavorare
nell’ambito scientifico e tecnologico è non solo possibile, ma anche
gratificante per tutti! È importante cogliere le opportunità che
ci vengono offerte con spirito di avventura. Non c’è un solo modo
di raggiungere la carriera ideale. Alcuni ci arrivano diretti, altri per
vie alternative. La cosa più importante è rimanere entusiasti e
prendere le sfide di petto.
È importante cogliere le opportunità che ci vengono
offerte con spirito di avventura. Non c’è un solo modo
di raggiungere la carriera ideale.
289
SANDRA
PERLETTI
43 anni
Alumna Ingegneria
Elettrotecnica 2004
ABB
Global industry manager
Milano, Italia
Sono parte di un team di persone di più di 10 diverse
nazionalità. Viaggio per circa il 50% del mio tempo
in tutto il mondo.
Il ruolo che ricopro da circa 3 anni è global industry segment manager
Food & Beverage - Electrification Business Area in ABB. Consiste
principalmente nella gestione e sviluppo del segmento del
Food & Beverage a livello globale. Ho un team sia a livello globale
che a livello country, che gestisco direttamente e indirettamente
con un obiettivo specifico di budget e di business development
per i paesi di riferimento e verso i principali clienti industriali di
questo settore. La gestione del segmento implica quindi attività di
sales, strategy, marketing e la gestione di team internazionali. ABB
offre al settore industriale tutta la parte di distribuzione elettrica
di potenza, componentistica per le macchine di processo, automazione
industriale e robotica. In specifico, la Business Area in cui
lavoro si occupa di tutta la distribuzione elettrica di potenza e di
processo a cui si aggiungono la parte di electric vehicle charging
e smart building. I clienti del Food & Beverage sono utenti industriali
che necessitano di tutte le soluzioni menzionate e hanno
necessità stringenti di continuità di servizio, perché operanti 24/7,
e di sicurezza in termini di personale e di prodotto (per esempio,
condizioni igieniche specifiche).
Ho sempre saputo di voler fare una facoltà scientifica e avevo iniziato
il mio percorso studiando fisica, che ho frequentato per due
anni prima di decidere di cambiare e frequentare ingegneria. Non
ho mai avuto il desiderio di ricoprire un ruolo prettamente tecnico
ma piuttosto quello di lavorare in un ambiente industriale e tecnologico
ricoprendo un ruolo manageriale all’interno del Marketing
& Sales in un’azienda multinazionale.
La rivoluzione industriale è un argomento di attualità per tutti i
player industriali. Nel settore del F&B, per esempio, le aziende de-
291
vono reagire alla pressione dei prezzi, alla richiesta di disponibilità
immediata dei prodotti, alla complessità di prodotti e all’evoluzione
della logistica. L’abbattimento delle emissioni di CO 2
e l’ottimizzazione
dei consumi energetici sono all’ordine del giorno. In questo
scenario, le competenze ingegneristiche sono fondamentali
per capire la tecnologia che produciamo, le esigenze dei clienti e
come le soluzioni innovative possano aiutare i clienti a sviluppare
il loro business. Una formazione scientifica è di aiuto nell’affrontare
situazioni lavorative complesse e contribuisce fin dagli anni
universitari a formarsi un metodo di approccio ai problemi molto
più strutturato.
Ho iniziato in un ruolo tecnico di prodotto nel reparto Product
Marketing e poi ho sviluppato la mia carriera indirizzandomi ai
ruoli che trovavo più adatti alle mie ambizioni e capacità personali;
ho avuto la fortuna di lavorare in un’azienda che permette
e facilita la crescita personale e professionale delle persone che
hanno potenziale di crescita.
Il mio manager non è italiano e sono parte di un team di persone
di più di 10 diverse nazionalità. Viaggio per circa il 50% del mio
tempo in tutto il mondo. Mi piace molto viaggiare e il fatto di aver
avuto l’opportunità di farlo a livello globale (ho visitato più di 40
paesi per lavoro durante gli ultimi 10 anni) è molto importante sia
dal punto di vista di crescita personale che professionale. L’essere
a contatto con realtà, culture e modi di vivere e di fare business
a volte molto diversi dalle realtà a cui siamo abituati è necessario
e fondamentale per capire il contesto lavorativo in cui dobbiamo
operare, le esigenze locali e il tipo di supporto richiesto. L’esperienza
globale aiuta ad avere uno sviluppo di carriera al livello di
maturità richiesto per crescere a livello professionale e personale.
L’essere parte di un team internazionale è, credo, la parte migliore
del mio lavoro.
292
Una formazione scientifica è di aiuto nell’affrontare situazioni
lavorative complesse e contribuisce fin dagli anni universitari
a formarsi un metodo di approccio ai problemi molto più
strutturato.
293
La mia vita professionale è molto varia,
non ho mai una giornata uguale all’altra
e questo mi piace molto!
Il mondo della salute e sicurezza
dei lavoratori è vastissimo.
Alfonsa
Petraglia
46 anni
Alumna Ingegneria
Edile 1999
FERROVIENORD
Responsabile
unità complessa
Milano, Italia
Che lavoro fai? Bella domanda. Di solito
rispondo che mi occupo di salute e sicurezza
dei lavoratori, a volte preciso che
sono un’ingegnere a volte no, ma non a
tutti è chiaro che lavoro faccio!
La mia vita professionale è molto varia,
non ho mai una giornata uguale all’altra
e questo mi piace molto! Il mondo della
salute e sicurezza dei lavoratori è vastissimo,
la normativa e la tecnologia sono
in continua evoluzione, quindi devo
sempre tenermi aggiornata. La prima
cosa che faccio ogni mattina è infatti
consultare delle newsletter sulle novità
in materia di salute e sicurezza. La mia
vita professionale è poi fatta di riunioni
(con datori di lavoro, rappresentanti dei
lavoratori, medici competenti, fornitori
di DPI o corsi di formazione, colleghi,
etc.), di audit sui luoghi di lavoro o sulle
attività (con cui si verifica il rispetto delle
prescrizioni di legge, che garantiscono
un luogo di lavoro salubre e sicuro), di
295
procedure da redigere o aggiornare, di
comunicazioni da emettere e molto altro
ancora.
In quello che faccio mi aiuta molto l’approccio
da “sistema di gestione”, adottato
ormai da molte norme che regolano
diverse tematiche, non solo salute e sicurezza
(Norma UNI ISO 45001:2018),
ma anche qualità e ambiente. L’approccio
dei sistemi di gestione consiste nel
fissare obiettivi e stabilire programmi
per poterli perseguire; è sintetizzato
dal cosiddetto “Ciclo di Deming”, un ciclo
iterativo che si articola in quattro
macro-fasi sintetizzate dall’acronimo
“PDCA”, ed in particolare:
- “P” sta per “PLAN”, ossia “pianificare” le
attività necessarie a raggiungere gli obiettivi
prefissati entro una certa scadenza;
- “D” sta per ‘“DO”, ossia “attuare” le attività
pianificate e/o prevederne di ulteriori;
- “C” sta per “CHECK”, ossia “controllare”
che le attività stiano proseguendo come
da programmazione;
Scritto così, può voler dire tutto o niente
e può sembrare molto “criptico” per chi
non è “addetto ai lavori”, ma si tratta, a
mio avviso, di un approccio molto simile
alla forma mentis che devono avere
gli ingegneri nell’individuare i problemi,
analizzarli e risolverli! Un po’ come
quando ci si prepara ad affrontare gli
esami di ingegneria, dove si predispone
il piano di studi e di ripassi… e vi assicuro
che l’approccio sistemico aiuta molto
il RSPP a pianificare e controllare tutte
le attività!
Di questo ruolo
mi piace la varietà,
ma soprattutto la
consapevolezza che
valutare i rischi e
adottare misure
preventive e protettive
aiuta i lavoratori
a non farsi male
e a non ammalarsi.
- “A” sta per “ACT”, ossia “agire” in modo
da introdurre delle modifiche che garantiscano
il miglioramento continuo
delle condizioni di salute e sicurezza.
296
Fare l’RSPP (cioè il responsabile del servizio
di prevenzione e protezione) è infatti
un ruolo di grande responsabilità,
delicato e affascinante allo stesso tempo,
che mi porta a trattare tante tematiche.
Di questo ruolo mi piace proprio
la varietà, il trattare argomenti diversi
con persone diverse, dall’operaio al manager,
ma soprattutto la consapevolezza
che valutare i rischi e adottare misure
preventive e protettive aiuta i lavoratori
a non farsi male e a non ammalarsi.
Bisogna dimostrare una forte propensione
al “problem solving”, occorre non
smettere mai di studiare e di tenersi aggiornati
sulle tematiche di competenza,
occorre essere disponibili all’ascolto e
alla comunicazione tra colleghi ai vari
livelli, bisogna motivare e valorizzare il
personale con cui si collabora e molto
altro ancora.
297
Questa professione nei prossimi anni
dovrà avere una visione sempre più sistemica
della realtà in cui lavora, avvalersi
di tecnologie sempre più evolute, puntare
sempre di più sulla comunicazione
e l’informazione verso i lavoratori e i loro
rappresentanti, avvalersi di regole scritte
sempre più concise, comprensibili e
immediate, soprattutto nel gestire le
attività in emergenza. Infatti in caso di
emergenza la complessità aumenta, ma
può venirci in aiuto la digitalizzazione dei
dati e delle informazioni, anche se all’inizio
può sembrare più complicato rispetto
alle procedure scritte su carta.
Sono contenta di fare quello che sto
facendo e quello per cui ho studiato
tanto, sia in università che nei corsi successivi
(coordinatore sicurezza, tecnico
antincendio, auditor, RSPP, etc.), perché
non si finisce mai di imparare! Non è
andato sempre tutto liscio e la migliore
decisione che io abbia mai preso è
stata quella di cambiare lavoro quando
sentivo che era ora di cambiare. Non è
mai stata una scelta facile e non l’ho mai
affrontata con leggerezza. Anche accettare
di diventare RSPP per una realtà
così complessa è stata una scelta non
facile che mi ha messo alla prova: talvolta
avrei voluto rinunciare perché mi
sembrava un lavoro immane per il quale
non mi sentivo all’altezza, ma ho insistito
e questo mi ha permesso di crescere
sia caratterialmente che professionalmente;
mi ha insegnato che quando ci
si pone un obiettivo, qualsiasi esso sia,
se ci si impegna con un po’ di umiltà e
tanta forza di volontà, si raggiungono
risultati insperati e soprattutto grandi
soddisfazioni personali (e questo vale
sia per le ragazze che per i ragazzi).
Secondo me, molte ragazze ancora oggi
non scelgono percorsi di studi nelle
discipline scientifiche perché pensano
che la carriera da ingegnere sia prettamente
maschile e poco incline al mondo
femminile, ma in realtà oggi non è così:
tanti ruoli apicali vengono ricoperti da
donne-ingegnere, anche nel mondo dei
cantieri. Personalmente ho scelto ingegneria
perché mi piacevano molto di più
le materie scientifiche rispetto a quelle
umanistiche, per cui sono convinta che
non esista alcun vincolo per accedere
a discipline ingegneristiche anziché ad
altre facoltà.
298
Nel mio ambiente professionale c’è una
forte presenza maschile, ma soprattutto
dovuta al fatto che su poco più di 800 dipendenti,
circa 600 sono operai. Invece
nella società Capo Gruppo molti ruoli dirigenziali
sono ricoperti da donne (Direzione
acquisti, Direzione Legale, Fiscalità,
etc.). Sono fermamente convinta che se
una persona vale e si impegna nel suo
lavoro, prima o poi emerge, a prescindere
dal fatto di essere uomo o donna.
Inoltre arrivando da una facoltà con una
forte incidenza di studenti maschi (negli
anni Novanta non c’erano neppure bagni
distinti fra maschi e femmine!), ci si
abitua già a 19 anni ad avere a che fare
con colleghi di studi maschi; i progetti di
gruppo aiutano a lavorare insieme, senza
discriminazioni, per cui quando ho iniziato
a lavorare mi è sembrato naturale
avere una prevalenza di colleghi maschi.
E soprattutto se si lavora con professionalità
e serietà, prima o poi si viene apprezzati,
senza distinzioni di genere.
Questa professione nei
prossimi anni dovrà avere
una visione sempre più
sistemica della realtà in
cui lavora, soprattutto
nel gestire le attività in
emergenza. Infatti in
caso di emergenza la
complessità aumenta.
Mi vengono in mente tanti episodi
simpatici legati a progetti di gruppo,
ma forse il più significativo per me è
quello che riguarda un cantiere vicino
alla chiesa di San Francesco a Milano;
stavo seguendo un cantiere per
la realizzazione di una palazzina e il
capo-cantiere era un bergamasco che
non vedeva di buon occhio la presenza
di un’ingegnere donna. Quando parlavo,
si rivolgeva ad un mio collega e non
a me. Non fu facile farmi accettare, ma
con il passare del tempo ha capito che
facevo semplicemente il mio mestiere,
come lui faceva il suo; e allora, siccome
soffro terribilmente di vertigini, si offrì
poco alla volta di prendere le misure al
posto mio sul ponteggio e a fine lavori,
per farsi perdonare, mi volle regalare
un metro snodabile da cantiere: lo
conservo ancora, dopo circa vent’anni.
299
Quello che serve per fare l’ingegnere è
innanzitutto la passione per quello che
si fa, oltre ovviamente all’interesse per
le materie scientifiche: analisi matematica,
fisica, chimica, informatica, meccanica,
sono materie che non possono
mancare nel curriculum scolastico di un
ingegnere. Inoltre bisogna essere in grado
di capire cosa si vuole fare da grandi
e a quel punto impegnarsi a fondo per
riuscirci. Nel mio caso, non c’è stato un
momento particolare o un episodio in
cui l’ho capito; già al liceo mi piacevano
molto le materie scientifiche e il disegno
sia libero che tecnico. Poi mia sorella,
che ha tre anni più di me, ha scelto Ingegneria
Nucleare, e sin dal primo anno
ogni tanto mi portava con lei a seguire
alcune lezioni al Politecnico. Mi è piaciuto
subito molto l’ambiente universitario,
la libertà di studiare quando si voleva,
le aule enormi e gli spazi verdi sia nel
Politecnico che nel giardino antistante,
la biblioteca vastissima, per cui quando
ho dovuto scegliere, non ho avuto alcun
dubbio! Dei cinque anni al Poli ho
poi tantissimi ricordi: le aule enormi, le
levatacce per arrivare in orario ai corsi,
le giornate intere aspettando di essere
interrogata agli orali, i lavori di gruppo
nelle aule da disegno e nei laboratori
d’informatica, i pranzi nel parco, le fiumane
di studenti che si spostavano da
un’aula all’altra (spesso con gli sgabelli
in spalla per potersi sedere!), i tomi da
studiare, le lezioni di storia dell’architettura
d’estate all’aperto sotto la magnolia,
l’armadietto alla aule sud, la distesa
di tecnigrafi, le file per poter vedere i
risultati degli esami esposti in bacheca,
le cabine telefoniche per chiamare
a casa e annunciare a mamma e papà
l’esito degli esami (il mio primo cellulare
l’ho comprato con il mio primo stipendio
nella primavera del 1999!), la piscina
dietro la Nave (dove tanta gente si diver-
Talvolta avrei voluto
rinunciare perché mi
sembrava un lavoro
immane per il quale
non mi sentivo
all’altezza, ma ho
insistito e questo mi ha
permesso di crescere
sia caratterialmente che
professionalmente.
300
tiva mentre io ero in ansia per gli esami
in luglio) ma anche un forte senso di libertà
nel potermi gestire il tempo come
meglio credevo nei mesi in cui c’erano
solo corsi e non esami, fra lezioni di chitarra
classica, concerti con l’Orchestra a
Plettro e le uscite con gli amici.
Quello che serve
per fare l’ingegnere
è innanzitutto la passione
per quello che si fa.
A mio avviso è importante scegliere il
percorso di studi con la propria testa
e non per soddisfare le aspettative dei
genitori o per seguire le orme di amici
o parenti, metterci sin dal primo giorno
grinta, determinazione e tanta voglia di
studiare. Non è sempre facile: bisogna
alzarsi presto, se si abita lontani occorre
viaggiare tutti i giorni, le aule sono
spesso affollate, non è sempre facile
interagire con gli insegnanti. Per cui bisogna
partire con il piede giusto, con
ottimismo, impegno, passione e tanta
pazienza. Quando si entra nel mondo
del lavoro servono poi entusiasmo e
modestia, non perdere mai la voglia di
imparare, impegnandosi più ad ascoltare
che a parlare, mostrarsi sempre disponibili,
interessati, positivi, propensi a
risolvere i problemi con spirito costruttivo
e innovativo, perché volere è potere
e insistere è vincere!
301
Stefania Pietra
55 anni
Alumna Ingegneria
Civile 1991
Saipem
Offshore structural lead
San Donato Milanese,
Italia
302
Faccio l’ingegnere, progetto piattaforme
offshore per l’estrazione di gas e petrolio.
Faccio l’ingegnere, progetto piattaforme offshore per l’estrazione
di gas e petrolio. È un lavoro che richiede competenze tecniche
nell’ambito della progettazione strutturale (in particolare io mi occupo
della progettazione di strutture metalliche), capacità di gestione
del mio team di lavoro, avendo ormai assunto un ruolo di
gestione e coordinamento delle attività, capacità relazionali con le
controparti che sono rappresentate da clienti ed enti di controllo
e certifica.
Sebbene la mia società sia composta da molti colleghi e si potrebbe
pensare che il lavoro sia molto specializzato, le mansioni che
devo svolgere sono varie e questo è uno degli elementi che contribuisce
a rendere piacevole il mio lavoro. Nel dettaglio, a seconda
delle necessità, possono comprendere: partecipare a riunioni,
coordinare il lavoro di altri colleghi, verificare quanto fatto da chi
lavora nel mio gruppo, progettare, usare programmi di calcolo,
studiare, preparare o controllare documenti, produrre delle stime,
incontrare clienti o sub-contrattisti.
La tecnologia è il nucleo fondamentale del mio lavoro quotidiano:
sia di quanto progetto (le piattaforme di estrazione) sia dei mezzi
che uso per progettare (i programmi di calcolo, i programmi di
modellazione 3D e di disegno), sia dei mezzi con cui mi interfaccio
con i miei colleghi, soprattutto in questi difficili momenti (mentre
scrivo siamo in lockdown). Ciò che mi piace di più del mio lavoro è
il fatto che sia necessario un continuo aggiornamento ed approfondimento.
La disciplina si evolve continuamente e ogni progetto
deve essere affrontato sapendo che non si può accontentare delle
proprie conoscenze pregresse: lo studio avrà necessariamente
sempre una parte preponderante. Inoltre, sono molto metodica,
pertanto mi piace quando posso rendere sistematica l’attività.
303
Credo che il mio lavoro avrà sempre più carattere manageriale,
di gestione. A questo punto della mia carriera mi piacerebbe fare
qualcosa di nuovo nel quale sia importante mettere a frutto non
quanto conosco ma quanto sono capace di innovarmi. In questo
campo l’evoluzione degli strumenti tecnologici è veloce e permette
studi sempre più dettagliati, raffinati ed interdisciplinari. Quindi
ritengo che sia necessaria una grande flessibilità e capacità di
adattare i flussi di lavoro a questi nuovi strumenti per poterne
sfruttare a pieno le potenzialità. Allo stesso modo penso che il
contributo che possono dare gli ingegneri di più lunga data come
me a questa evoluzione sia non perdere di vista la capacità di analisi
e selezione di fronte alla enorme quantità di dati che è possibile
oggi processare: una quantità di informazioni inimmaginabile
fino a qualche anno fa fra cui è necessario scegliere quanto effettivamente
significativo. È questa la direzione in cui vedo evolvere
la mia figura professionale, integrando esperienza ed innovazione,
uso di strumenti che generano grandi quantità di informazioni
puntuali e capacità di analisi e selezione delle stesse.
Ho sempre saputo che avrei fatto un lavoro in ambito scientifico
grazie alla mia predisposizione verso lo studio di queste materie.
Ciò che mi piace di più del mio lavoro è il fatto
che sia necessario un continuo aggiornamento
ed approfondimento. La disciplina si evolve
continuamente e ogni progetto deve essere
affrontato sapendo che non si può accontentare
delle proprie conoscenze pregresse.
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305
306
La scelta specifica di studiare ingegneria è stata invece più occasionale.
Sapevo di non volere affrontare una laurea che mi avrebbe
portato verso l’insegnamento o verso un lavoro troppo teorico
e così ingegneria mi è sembrato il giusto mezzo fra seguire la mia
predisposizione e costruire una possibilità di lavoro più tecnico.
I primi due anni al Poli sono stati complicati per la sensazione di
dover dimostrare a me stessa e agli altri di essere all’altezza del
compito che mi ero scelta (anche forse perché ero una donna
che voleva fare l’ingegnere, una sensazione di cui mi sono liberata
solo con l’esperienza, ed è anche per questo che, a chi inizia,
consiglio di avere fiducia nelle proprie aspirazioni e di osare). Una
volta superato questo scoglio ho ricordi bellissimi dei miei anni al
Politecnico. Ho sempre amato studiare e la fatica di stare sui libri
(che sicuramente c’era) era ricompensata dalla sensazione di avere
accesso ad un sapere che mi sembrava inesauribile.
307
Un responsabile ambientale fa in
modo che l’azienda in cui lavora non
generi impatti negativi sull’ambiente
circostante.
CHIARA pontI
44 anni
Alumna Ingegneria
per l’Ambiente
e il Territorio 2002
O-I Italy S.p.A.
Environmental and
property protection
manager
Origgio (Varese), Italia
Un responsabile ambientale fa in modo
che l’azienda in cui lavora non generi
impatti negativi sull’ambiente circostante.
Per esempio: lo stabilimento X
è collocato in un ambito industriale che
confina con una zona residenziale? Il
responsabile ambientale deve garantire
che il rumore generato dagli impianti
non dia problemi al vicinato. Oppure:
lo stabilimento Y ha l’autorizzazione a
scaricare le proprie acque di processo
in un fiume? Il responsabile ambientale
deve garantire che i parametri degli
inquinanti emessi dalla fabbrica non
pregiudichino le qualità delle acque del
fiume. In sostanza detta le regole da rispettare.
Spesso fa parte dei gruppi di
lavoro aziendali che progettano impianti
che hanno o potrebbero avere qualche
impatto sul territorio.
309
Ogni giorno vado in ufficio o negli stabilimenti,
mi occupo di assicurare che
l’azienda sia conforme alle leggi ambientali.
Essere ingegnere mi ha aiutato
a formare un modo di pensare, la predisposizione
al risolvere i problemi che
giorno dopo giorno si affacciano in ambito
lavorativo. Servono le competenze
tecnologiche che rendono i processi più
rapidi, precisi ed efficaci e permettono
di tenere sotto controllo i dati ambientali
in tempo reale.
L’ambito tecnico è
molto affascinante.
Ma certamente non
ho sempre saputo di
voler fare l’ingegnere
ambientale! Sono
passata dal voler fare
la parrucchiera, poi la
hostess...
310
L’ambito tecnico è molto affascinante.
Ma certamente non ho sempre saputo di
voler fare l’ingegnere ambientale! Sono
passata dal voler fare la parrucchiera,
poi la hostess... alle superiori amavo le
scienze, volevo capire come si fanno le
cose. Decisi di studiare ingegneria, all’inizio
mi iscrissi a Ingegneria Edile perché
volevo costruire case, ma poi, siccome
ero molto sensibile alla salvaguardia
del nostro pianeta, fu naturale virare su
Ambientale. Oggi sono contenta, faccio
un lavoro che mi piace per la varietà dei
temi e le sfide continue da risolvere. Ci
si sente bene pensando che si può far
qualcosa per migliorare il mondo. Ho la
possibilità di confrontarmi con diverse
realtà territoriali. Ho continui rapporti
con gli enti esterni (come l’ARPA in primis,
le Regioni, Province e Città Metropolitane,
i Comuni ma anche il Nucleo
Operativo Ecologico dei Carabinieri e i
Vigili del Fuoco) ed è formativo ricevere
sempre nuovi spunti e punti di vista.
311
312
Nel lungo temine credo che, vista l’importanza
dei temi legati all’ambiente, mi
occuperò sempre più di sostenibilità.
Bisogna avere il coraggio di cambiare,
ai ragazzi che arrivano consiglio sempre
di uscire dalla propria zona di comfort
e affrontare nuove sfide. All’università
è importante studiare con passione e
godersi il periodo universitario! Lo guarderete
con nostalgia. E fate esperienze
all’estero, io ho fatto la tesi in Erasmus
e vi assicuro che è stata una delle esperienze
più belle della mia vita. Quando
poi si entra nel mondo del lavoro bisogna
imparare a essere umili. Aver fatto
l’università è una fortuna, certo averla
finita è un merito ma non significa che
chi non ha studiato valga meno di voi.
Quando si entra nel
mondo del lavoro bisogna
imparare a essere umili.
Aver fatto l’università è
una fortuna, certo averla
finita è un merito
ma non significa che chi
non ha studiato valga
meno di voi.
313
Costruisco modelli e scenari per identificare
le zone geografiche esposte agli eventi catastrofici
e determinare, quindi, se e come sia opportuno
sottoscrivere dei contratti di assicurazione
in queste zone.
Giovanna santi 45 anni
Alumna Ingegneria Civile 2000
Allianz France
Technical head of climate risks
Parigi, Francia
Il settore delle assicurazioni è molto variegato in termini di attività
e ha un importante valore sociale. Mi occupo di rischi climatici ed
emergenti per la filiale francese di un grande gruppo assicurativo;
costruisco modelli e scenari per identificare le zone geografiche
esposte agli eventi catastrofici e determinare, quindi, se e come
sia opportuno sottoscrivere dei contratti di assicurazione in queste
zone. Questo serve alla compagnia per orientare il suo portafoglio
di contratti. Le assicurazioni, in Francia nello specifico (ogni
paese ha una realtà propria), coprono in maniera obbligatoria i
danni che derivano dagli eventi naturali - tempesta, inondazione,
terremoto etc. Gli eventi naturali, molto spesso, dipendono dalla
posizione geografica e non tutti i luoghi sono esposti allo stesso
modo. Il mio obiettivo è di costruire la relazione tra esistenza
del rischio naturale e posizione geografica, per assegnare a ogni
contratto un livello di rischio. Al fine di ottimizzare il risultato della
compagnia, dobbiamo orientare il cosiddetto mix, ovvero l’equilibrio
tra rischi più esposti e rischi meno esposti, in modo da non
eccedere le nostre capacità di rimborsare i clienti anche nei casi
più catastrofici e meno frequenti. La mia attività si basa su tecnologie
di trattamento dei dati e tecnologia geospaziale, che permette
di accoppiare alla posizione geografica gli attributi necessari
315
Non c’è tempo di annoiarsi: passiamo
incessantemente da un livello maniacale di dettaglio
alla pedagogia e alla divulgazione. È un lavoro che mi
appassiona per il suo carattere creativo: tutto quello
che facciamo è nuovo e lo inventiamo tutti i giorni.
alle nostre analisi, passando per gli strumenti di modellizzazione.
Le assicurazioni sono un riflesso del mondo economico, ogni movimento
ci influenza profondamente: dall’avvento delle auto autonome
alla digitalizzazione, alla vulnerabilità agli attacchi cyber,
fino alla nostra stessa dipendenza da un alter ego digitale. Tutto
questo si traduce in rischi diversi, spesso sconosciuti dagli utenti,
che devono essere quantificati per decidere come gestirli al meglio.
Nel mio settore è fondamentale anticipare certe tendenze e
penso che questo tipo di professione diventerà sempre più centrale
nel futuro, con il cambiamento climatico e i rischi emergenti.
Non c’è tempo di annoiarsi: passiamo incessantemente da un
livello maniacale di dettaglio alla pedagogia e alla divulgazione. È
un lavoro che mi appassiona per il suo carattere creativo: tutto
quello che facciamo è nuovo e lo inventiamo tutti i giorni, per il
processo mentale della ricerca, dell’iterazione, della semplificazione,
del cercare una via alternativa e percorribile girando intorno
agli ostacoli, senza per questo perdere in rigore. Servono poi coesione
di squadra, collaborazione, complementarità delle competenze,
capacità di ascolto, il mettersi in questione, adattarsi agli
interlocutori, la capacità di trascrivere degli argomenti complessi
in qualcosa di comprensibile anche per i non addetti ai lavori.
316
317
318
Una delle migliori scelte per la mia vita professionale è stata quella
di andare all’estero, prima in Germania e poi in Francia. Credo sia
anche fondamentale trovare, e in qualche modo scegliere, i propri
capi, quasi più che scegliere l’azienda o la mansione: un buon
capo è una grande fonte di esempio e di ispirazione ed è capace
di spingere i propri collaboratori al di là della zona di comfort,
forzandoli a mettersi in gioco ed evolversi. In questo sono stata
molto fortunata, ho incontrato persone eccezionali. Ogni esperienza
insegna qualcosa, anche solo la consapevolezza di quello
che non ci piace. Per esempio, ho capito molto presto che non volevo
essere ingegnere progettista. Nella vita di tutti i giorni, essere
ingegnere significa avere il rigore metodologico, coltivato con cura
durante gli studi, e la capacità di tagliare il superfluo. In qualche
modo, se devo sintetizzare in una frase cosa voglia dire essere
ingegnere per me, direi così: saper valutare in dettaglio l’insieme
degli elementi per poi capire dove semplificare. E pensare che,
se ho studiato ingegneria, è tutto merito di Tom Cruise e di Top
Gun. Uscita dal cinema, volevo volare sui caccia. Essendo miope
come una talpa, mi sono rassegnata a costruirli e mi sono iscritta
a Ingegneria Aeronautica.
Del Poli ricordo il freddo boia di inverno, gli esami col piumino, il
caldo tremendo alla Nave d’estate mentre guardavamo la gente in
piscina di sotto. Dei professori meravigliosi - il mio relatore Federico
Perotti e la prof. Mulas, leggendari. Alcuni sapevano raccontarti
materie ardue come fossero delle epopee. Fu un periodo di
maturazioni, movimenti, riflessioni, incontri ineguagliabile. Le mie
più solide amicizie, i primi amori. Un posto bellissimo in cui quasi
temo di tornare per paura di rovinare i ricordi. Ma soprattutto,
ricordo l’orgoglio pazzesco di essermi laureata al Poli.
319
I “fili rossi” che collegano tutte le mie
tappe sono sicuramente la tensione alla
sfida, a “alzare la barra”, e la “resilienza”,
ovvero la capacità di perseverare anche
quando sembra di non farcela.
PAOLA SCARPA
51 anni
Alumna Ingegneria
Gestionale 1993
Google
Client solutions,
data & insight
Milano, Italia
Sono una “3M”: madre, moglie e manager,
da 13 anni in Google Italia. Lavoro
e vivo a Milano, ma per lavoro sono
spesso con la valigia in mano, principalmente
Italia e Europa, con qualche
fuga in US. Sono fiera di essere un ingegnere
gestionale, che mi ha portato
ad una carriera sempre all’insegna della
innovazione: consulenza strategica, telecomunicazioni
e adesso digitale. Se mi
guardo indietro, i “fili rossi” che collegano
tutte le mie tappe sono sicuramente
la tensione alla sfida, a “alzare la barra”,
e la “resilienza”, ovvero la capacità di
perseverare anche quando sembra di
non farcela.
Mi ritornano alla memoria tanti momenti
in cui ho “tenuto duro”: il primo
già quando ho scelto ingegneria,
321
dopo il liceo classico, e con genitori
con background non scientifici che mi
dicevano «Ma chi te lo fa fare?». Poi, la
prima volta che ho aperto il libro di Analisi:
amore a prima vista, ma un amore
non corrisposto, perché parlavamo due
lingue diverse, ma mi sono detta: «Col
tempo impareremo a capirci», e così è
stato. Un’altra grossa sfida è stata quando,
una volta entrata in consulenza
strategica, mi sono trovata al tavolo con
CEO di grandi aziende e pensavo: «Ma
cosa ci faccio qui? Cosa posso aggiungere
di valore?». E ancora, quando sono
stata assunta in Google, con competenze
digitali decisamente molto scarse
(per i loro standard). E naturalmente, è
una sfida ancora oggi, tutte le volte che
mi siedo a un tavolo di lavoro dove sono
l’unica donna.
Oggi in Google gestisco uno dei team
che più mi affascina: data scientist e
specialisti di prodotto. Offriamo consu-
322
lenza digitale alle grandi aziende italiane.
Il fatto di non essere nativa digitale
è in realtà un vantaggio: parlo la stessa
lingua dei nostri clienti, capisco le loro
sfide e a volte mi sento una sorta di
“traduttore” tra i nostri tecnici ed i nostri
clienti. Parlare di Big Data, Mobile
Assets, Automation, CPA, CPC è più
efficace, a volte, se si riesce a tradurlo
in incrementi di vendite, profittabilità o
efficienza per i nostri clienti. Avendo anche
sperimentato il cambio di mindset
tra essere manager in una azienda più
tradizionale, per quanto all’avanguardia
delle telecomunicazioni, ed esserlo in
una azienda nativa digitale, cerco anche
di aiutare i manager delle aziende con
cui collaboro a lavorare non solo sulla
parte tecnologica (hard skills) ma anche
sulle soft skills: condivisione dell’informazione,
fiducia ed empowerment al
team, scarsa gerarchia sono le parole
chiave per essere aziende di successo
nell’era digitale.
In aggiunta a questo ruolo, da quasi 3
anni sono responsabile della comunità
Women@ per l’Europa, dove oltre 6.000
“googlers” generosamente dedicano
20% del loro tempo per creare un ambiente
più inclusivo sia in Google che nella
società. In particolare, sono una forte
sostenitrice dei progetti per avvicinare le
donne ai percorsi scientifici e tecnologici.
La prima volta che ho
aperto il libro di Analisi:
amore a prima vista,
ma un amore non
corrisposto,
perché parlavamo
due lingue diverse.
Sono conoscenze che servono in qualunque
mestiere, perché l’infrastruttura
tecnologica è alla base del nuovo contesto
digitale. Per esempio, nel mio campo,
le aziende hanno accesso a una moltitudine
di dati, ma ci vuole la competenza
di un data scientist per poterne sfruttare
appieno le potenzialità. E alle competenze
tecniche vanno aggiunte competenze
di “active listening”, “coaching”, “team
working”, “knowledge sharing”, “trust
environment”: questo l’ho imparato sulla
mia pelle, passando da una azienda tradizionale
ad una azienda digitale, dove
senza la parte di soft skills non si può essere
un manager di successo.
Esiste un gender gap importante nel
mondo scientifico e tecnologico, sia in
contesti scolastici che lavorativi. Il gap
si allarga ulteriormente se si prendono
in considerazione solo le posizioni manageriali.
Il ruolo della scuola e della famiglia
è importantissimo: è già intorno
323
324
ai 12/13 anni che le persone scelgono
che percorso seguire nel futuro. Purtroppo,
oggi nelle famiglie e nelle scuole
mancano role models che rappresentino
donne con un futuro felice nel
mondo STEM. Pensiamo anche solo ai
tipici regali di Natale: nell’area maschile
troviamo i giochi di chimica, di medicina,
nell’area femminile solo bambole e storie
di principesse. Le favole che raccontavo
a mia figlia erano legate alla mia
infanzia Disney: c’era sempre il principe
azzurro che salvava donne in difficoltà.
Oggi le cose stanno un po’ cambiando,
non è un caso che i nuovi film per bambini
mostrino finalmente eroine, che
sanno cavarsela da sole o che sono dei
geni nel computer.
Come genitori abbiamo il compito di
dare il primo esempio, offrendo ai nostri
figli, maschi o femmine che siano,
tutti gli scenari possibili per un loro sviluppo
di studi e professionale. In modo
che la scelta che faranno sia una scelta
informata e non guidata da pregiudizi.
Io ho sempre avuto la passione per la
matematica, contavo tutto quello che
incontravo, a partire dagli scalini della
scuola. Avrei voluto fare il liceo scientifico,
ma per semplicità logistica sono
stata iscritta al classico con il messaggio
dei miei genitori: «Dopo potrai fare tutto
quello che vuoi, perché il classico ti apre
la mente». Mi sono innamorata di fisica,
ma poiché mi piacciano le sfide difficili,
nella mia testa fisica sarebbe stato un
ripiego se avessi fallito a ingegneria (col
senno di poi avrei potuto pensare ad
un ripiego più facile). Per me ingegneria
era la montagna da scalare, avevo una
ammirazione profonda per i miei amici
più grandi che avevano scelto questa
facoltà, ma ero consapevole della
difficoltà. Per cui il patto fatto con me
stessa è stato: «Vediamo come vanno gli
esami di Analisi e Geometria - se non li
passo cambio». Il fatto di non avere un
background scientifico forse mi ha aiutato:
mi sono buttata con passione in
queste materie, non è stato facile, ma
con caparbietà e resilienza sono riuscita
a portarle a casa anche con dei bei
voti. Mentre non posso dire lo stesso
di Fisica, sempre al primo anno, ma per
fortuna il patto con me stessa lo avevo
fatto sulle altre due materie!
Per me ingegneria
era la montagna
da scalare.
325
Il Politecnico per me è stata una esperienza
di vita. Ricordo con ammirazione
alcuni miei compagni/e con una capacità
cognitiva incredibile, che capivano
tutto sin dal primo momento. Io aprivo
i libri, guardando queste strane formule
come un archeologo guarda geroglifici
sconosciuti. Ciò nonostante, mi sono
laureata nei tempi giusti, avendo fatto
in parallelo uno stage in consulenza di
9 mesi, che poi mi ha aperto le porte
al mio primo lavoro in consulenza strategica.
Sono la prova vivente che con
la buona volontà si può fare tutto, ma
bisogna impegnarsi, e soprattutto non
scoraggiarsi se a prima vista sembra
tutto così difficile.
L’importante è fare qualcosa che dia
soddisfazione. Io amo l’innovazione tecnologica,
amo capire come sono fatte le
cose, anche se non mi ritengo una “geek”.
Prendo gli appunti su PC ma anche su
carta, dipende da cosa ho sottomano.
Nel tempo libero stacco qualunque connessione
e mi dedico a lunghe passeggiate
nel verde, dove posso ossigenare
corpo e mente, mi piace stare vicino ai
miei figli nei loro hobby, che sia la pesca,
una partita di pallavolo o lo shopping. Lo
smartphone, nel weekend, cerco di usarlo
solo per telefonare e riprendere i momenti
più belli con la mia famiglia. Una
cosa non è cambiata: anche da adulta
conto ancora gli scalini!
326
327
328
All’inizio non mi piaceva fare
l’ingegnere di processo, da giovane
mi sembrava di essere al servizio di
chi distruggeva il mondo (raffinerie,
impianti chimici, etc.). Col tempo ho
capito che tutto ciò è essenziale per la
nostra civiltà e mi sono impegnata con
passione a contribuire affinché tutto
venisse fatto nel migliore dei modi.
Paola Sclafani
48 anni
Alumna Ingegneria
Chimica 1995
Nextchem
Technology Solutions
& Knowledge Improvement
head of department
Milano, Italia
Sono laureata in Ingegneria Chimica e
da sempre mi sono occupata di progettazione
di processi industriali per la produzione
di prodotti chimici, idrocarburi
e fertilizzanti. Nata e cresciuta in Puglia,
ho studiato al Politecnico di Milano e
oggi vivo a Milano. Ho un marito, anche
lui ingegnere chimico, e due figli di 16 e
11 anni. Dopo alcuni anni di lavoro ho
conseguito anche un master executive
MBA presso il MIP per completare la
mia formazione. Da allora ho continuato
a lavorare comunque in ambito tecnico,
nella progettazione di processi, ma con
crescenti responsabilità. Ho lavorato in
diverse aziende (Foster Wheeler, ENI,
Tecnimont), sono dirigente dal 2006 e
oggi sono in Nextchem, la neonata del
gruppo Maire Tecnimont, che si occupa
di Energy Transition e Green Chemistry.
Sono responsabile di un dipartimento
- Technology Solution e Knowledge
Improvement - che si occupa dello sviluppo
di nuove tecnologie negli ambiti
329
di Circular Economy, riduzione CO 2
, efficientamento
energetico e produzioni
di biocarburanti e bioplastica. In un
periodo di forte transizione e di grande
spinta, sfruttiamo l’esperienza accumulata
negli anni nella progettazione e realizzazione
di grandi impianti nel mondo,
per occuparci del difficile passaggio
dall’idea innovativa alla realizzazione
industriale delle nuove tecnologie.
Ogni giorno incontro start-up, inventori,
piccole aziende che hanno buone
idee o impianti pilota, che promuovono
la loro tecnologia e cercano partner o
supporter per fare il salto verso la scala
industriale. Lavoro anche con grandi
aziende, potenziali clienti, che desiderano
cambiare, in tutto o in parte, i processi
e le tecnologie di produzione, per
spostarsi verso tecnologie più sostenibili,
da un punto di vista tecnico, sociale
ed ambientale, continuando a produrre
valore per l’impresa. Insieme ai miei collaboratori,
tutti ingegneri chimici di processo,
studiamo queste tecnologie per
valutarne la fattibilità tecnico-economica
e supportare i clienti nelle prime fasi
del progetto e/o nella realizzazione. Insieme,
uniamo i puntini.
All’inizio non mi piaceva fare l’ingegnere
di processo, da giovane mi sembrava
di essere al servizio di chi distruggeva
il mondo (raffinerie, impianti chimici,
etc.). Col tempo ho capito che tutto ciò
è essenziale per la nostra civiltà, il nostro
mondo ha bisogno di tutte queste
produzioni, e mi sono impegnata con
passione a contribuire affinché tutto
venisse fatto nel migliore dei modi. I
progetti a cui ho lavorato sono progetti
complessi fatti da organizzazioni complesse:
è un lavoro che richiede ordine,
organizzazione e programmazione, che
sono le caratteristiche di base della mia
vita. Oggi sono molto contenta e orgogliosa
di quello che faccio ed essermi
spostata all’ambito della transizione
energetica, sulla scia dell’emergenza
climatica, ha aumentato la passione per
il mio lavoro. Ho appena iniziato questa
nuova attività, stiamo costruendo una
nuova azienda, anche se siamo parte di
un grande gruppo, contribuiamo a cam-
Ogni giorno incontro
startup, inventori, piccole
aziende che hanno buone
idee o impianti pilota,
che promuovono la loro
tecnologia e cercano
partner o supporter per
fare il salto verso la scala
industriale.
330
iare la mentalità e l’approccio di clienti
e fornitori, mi aspetto una evoluzione
verso un consolidamento a breve. Mi
aspetto di veder crescere i miei collaboratori,
aumentarne il numero, allargare
le nostre conoscenze.
Non guardo troppo avanti nel lungo termine,
ma mi piacerebbe nei prossimi
anni, quando i miei figli saranno ormai
grandi, riuscire a viaggiare di più per
lavoro, magari passare ad un ambito di
business development. Occuparmi di
più anche di formazione.
Non ho rammarichi. Ogni decisione
presa è stata presa con piena consapevolezza
e convinzione. La migliore
decisione che io abbia mai preso, e che
continuo a prendere ogni volta, è quella
di non dovermi mai mettere nella condizione
di dovere qualcosa a qualcuno.
Non mi piace ottenere qualcosa per il
favore di qualcuno, preferisco la strada
del merito. Sono una persona indipendente
e un po’ orgogliosa.
Nel mio ambiente professionale sono
quasi tutti uomini. Nelle riunioni sono
spesso solo io l’unica donna, soprattutto
quando si va a certi livelli. Io ormai sono
abituata, non ci faccio più caso, non mi
ha mai dato fastidio, non mi sono mai
sentita a disagio. Però capita che es-
331
sere una donna sia penalizzante, mi è
capitato talvolta di essere fuori da decisioni
e discussioni, questo mi spiace. In
passato, in fase di assunzione sceglievo
di preferenza le ragazze, semplicemente
perché le trovavo più motivate, ma mi è
stato detto che dovevo prendere un po’
donne e un po’ uomini. Poiché ci sono dipartimenti
di soli uomini, ho chiesto che
lo stesso venisse applicato in tutti i dipartimenti.
La discriminazione c’è, c’è stata
anche nella mia carriera, ma ho sempre
mantenuto la calma e sono andata avanti.
Ho pensato che quando il sentiero è
poco battuto, si rischia più facilmente
di cadere, ma bisogna arrivare alla fine
anche se con qualche ferita. Credo che
i colleghi spesso si siano comportati in
base alla educazione ricevuta che li ha
preparati poco a certe situazioni. Io di
certo ero una “cosa” un po’ nuova rispetto
agli schemi: ero brava e avevo anche
dei figli ed ero sempre “sul pezzo”.
Quando il sentiero è poco
battuto, si rischia più
facilmente di cadere,
ma bisogna arrivare
alla fine anche se con
qualche ferita.
332
Consiglio ai giovani di intraprendere un
percorso universitario che li porti a fare
un lavoro che li appassioni e li diverta.
Non necessariamente bisogna seguire
gli studi in cui siamo più bravi: l’università
dura solo 5 anni, dopo farai un lavoro
per più di 40 anni, sarà la tua vita, pensa
a quello, informati bene prima, guarda
come funziona il mondo e cosa ti piacerebbe
fare nella società. Se segui le tue
passioni e, sei gentile col mondo, nessuno
potrà fermarti.
Io ho scelto di fare ingegneria perché
ero molto brava nelle materie scientifiche
e perché mio padre è un ingegnere,
quindi sembrava naturale. In realtà non
ho mai pensato di continuare l’attività
di mio padre, anche se la mia famiglia
forse lo desiderava. Ho seguito altre
strade, non per vocazione, ma facendomi
un po’ trascinare dagli eventi. Ho
scelto di rimanere a Milano per amore e
ho accettato il primo posto che mi hanno
offerto. La consapevolezza è arrivata
dopo e anche le vere scelte sul lavoro,
quando ho cominciato a capire meglio
come funzionava il mondo. Ormai lavoravo
già da qualche anno. Fino al Master
ho seguito la corrente. La mia fortuna è
stata aver fatto tesoro di tutto, anche di
quello che non facevo volentieri ed essere
stata da subito introdotta in ambiti
lavorativi molto validi e quasi “esclusivi”,
solo perché avevo alle spalle un percorso
di studi eccellente. Quelli del Poli
sono stati anni bellissimi, ho studiato,
mi sono divertita, ho conosciuto un sacco
di colleghi che sono diventati amici
e con cui oggi lavoro (sono colleghi o
clienti o partner). L’eccellente formazione
e la rete che ho costruito al Politecnico
sono, ancora di più oggi che un po’
tutti occupiamo posizioni di rilievo nelle
varie aziende, le cose più importanti che
questo Ateneo mi abbia dato.
333
334
Volevo fare l’astronauta, poi il pilota di F1,
poi l’astrofisica ed alla fine del liceo ho
optato per un più pragmatico corso di
Ingegneria Meccanica.
CINZIA SECCO 45 anni
Alumna Ingegneria Meccanica 1992
Saipem
Mechanical equipment project specialist leader
San Donato (MI), Italia
Sin da piccola ho avuto la passione per i lavori tecnologici, forse
condizionata dal fatto di essere brava in matematica. Prima
volevo fare l’astronauta, poi il pilota di F1, poi l’astrofisica ed alla
fine del liceo ho optato per un più pragmatico corso di Ingegneria
Meccanica. Si è trattata di una scelta legata ai miei interessi che
rifarei ancora se tornassi indietro. Ho una grande passione per la
tecnologia, soprattutto applicata alle auto. Seguo attentamente
il campionato di F1 e quando posso mi dedico a sfide sui kart. Il
lato non high-tech della mai vita lo esprimo quando mi dedico alle
mie orchidee.
Di lavoro faccio l’ingegnere meccanico e mi occupo di impianti Oil
& Gas (quando tento di spiegare il mio lavoro in dettaglio, difficilmente
i non addetti ai lavori capiscono quale sia il mio ruolo).
Coordino un gruppo di tecnici preposti a selezionare e gestire
l’approvvigionamento e l’ingegneria di dettaglio di macchine,
packages (cioè porzioni di impianto composto da diversi elementi
che vengono acquistati da un singolo fornitore, che ne diventa
responsabile non solo per le garanzie meccaniche di ogni singolo
elemento, ma anche di prestazione e di processo dell’intero
package) e apparecchiature meccaniche da installare in impianti
335
onshore, come ad esempio raffinerie o impianti di trattamento
gas. Nel mio mestiere è molto importante essere sempre aggiornati
sulle ultime novità tecnologiche e di processo nell’ambito
delle macchine da impiegare negli impianti Oil & Gas, perché mi
consente di proporre la migliore selezione al cliente finale e di
condurre la trattativa tecnica con i fornitori in modo competente e
consapevole. Sempre più spesso i clienti ci chiedono di realizzare
impianti a basso impatto ambientale e ad alta efficienza, per farlo
dobbiamo intraprendere nuove strade e cercare di proporre scelte
non referenziate legate a tecnologie innovative.
Di questo lavoro mi piace soprattutto il fatto che, anche se faccio
parte di una struttura organizzativa permanente, quando si crea
336
337
lo staff di progetto cambiano le persone che ne fanno parte ed
i ruoli, rendendo l’ambito lavorativo sempre diverso, dinamico e
stimolante. In futuro vorrei occuparmi di nuovi tipi di impianti per
poter accrescere il mio bagaglio tecnico operando in ambiti sempre
più complessi dal punto di vista organizzativo (per esempio,
lavorando in centri operativi dislocati in varie parti del mondo).
In generale nell’Oil & Gas, ed in particolare nell’ambito meccanico,
la presenza femminile è ancora oggi molto scarsa. A me non ha
mai pesato, ma da giovane laureata faticavo di più: ricordo una
volta che, rispondendo al telefono ad un fornitore che mi chiamava
per chiedere all’ing. Secco delucidazioni circa una richiesta di
offerta per alcune pompe alternative, sono stata scambiata per la
segretaria. Quando ho chiarito che l’ing. Secco ero io ed ho iniziato
a spiegare quali fossero i requisiti tecnici sono stata interrotta
dal mio interlocutore. Si trattava di un ingegnere di una certa età,
vecchio stampo che non ha potuto fare a meno di stupirsi e di
farmi i complimenti dicendo che non si sarebbe mai aspettato di
sentir parlare una donna di questioni tecniche.
Alle ragazze che si apprestano a scegliere la propria strada raccomando
di essere consapevoli che, se si è dotate nelle materie
scientifiche, lavorare in questo ambito non è impossibile e spesso
è divertente oltre che sfidante. Offre tantissime opportunità. La
cosa importante è metterci molto impegno e passione e avere pazienza,
all’inizio forse vi sembrerà di aver studiato troppo e troppo
duramente, considerando quello che vi viene chiesto di fare
nell’ambito lavorativo. A meno che non andiate a lavorare per un
istituto di ricerca o nella progettazione, vi sembrerà di non riuscire
a mettere a frutto la vostra laurea. In realtà dovrete imparare
che ad un ingegnere non è richiesto necessariamente di risolvere
complicate equazioni, spesso quello che le aziende chiedono è
l’approccio ingegneristico al problema, l’uso dell’apertura mentale
che solo una facoltà volitiva come ingegneria può dare.
338
339
ANNA TERUZZI
42 anni
Alumna Ingegneria
per l’Ambiente e il
Territorio 2002, PhD
Istituto Nazionale
di Oceanografia e
Geofisica sperimentale
Tecnologo
Trieste, Italia
340
Mi occupo di modellistica numerica
per simulare lo stato del plancton
nel Mediterraneo.
Lavoro nell’ambito della ricerca scientifica presso OGS (Istituto
Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale), quindi il
mio lavoro si caratterizza per attività di continuo studio e aggiornamento,
forte interazione con colleghi dell’ente di ricerca in cui
lavoro ma anche con colleghi stranieri, dato che gran parte dei
progetti ai quali partecipiamo sono progetti europei.
Ho iniziato con un dottorato di ricerca nel 2006 in Ingegneria
Idraulica con una tesi di modellistica numerica dei fluidi. Per entrare
in contatto con questa realtà professionale, però, è stato determinante
il mio trasferimento a Trieste (avvenuto per motivi personali
nel 2007), mi ha dato la possibilità di iniziare il mio percorso
in un ambito diverso da quello del dottorato. Nel corso dei 12 anni
di attività presso OGS sono entrata a far parte di un gruppo che
si occupa di modellistica numerica per la biogeochimica del Mediterraneo,
dandomi la possibilità di far parte di progettualità di respiro
internazionale. Utilizzo simulazioni al computer per simulare
lo stato del plancton nel Mediterraneo. Ci sono moltissimi risvolti
pratici legati al mio lavoro. Ad esempio, è importante perché il fitoplancton
produce quasi il 50% dell’ossigeno che respiriamo. Un
altro esempio è quando facciamo le “previsioni del mare” come si
fanno le previsioni meteo. A loro volta le previsioni del mare servono
a comprendere il mondo marino sia per azioni a breve termine
(azioni di tutela in caso di sversamenti di idrocarburi ad esempio)
sia per fornire informazioni di supporto per la programmazione
della gestione e dell’utilizzo delle risorse dell’ambiente marino.
La mia vita professionale quotidiana è occupata in parte dalla scrittura
di codice di calcolo con il quale produciamo o analizziamo i ri-
341
sultati scientifici per i progetti ai quali lavoriamo: ad esempio, una
mappa che mostra la quantità di carbonio fissata dal fitoplancton
(cioè la quantità di anidride carbonica respirata dal fitoplancton),
un grafico che visualizza la variazione nel tempo dell’intensità con
la quale le correnti spostano il fitoplancton e i nutrienti che gli
sono necessari per crescere e riprodursi. Un’altra parte rilevante
delle mie attività riguarda la condivisione dei risultati ottenuti sia
con i colleghi del mio ente (quindi riunioni e discussioni) sia con
la comunità scientifica (scrittura di articoli, preparazione di poster
o presentazioni per conferenze scientifiche o meeting di progetto).
Infine, esiste una parte di preparazione di documentazione
dell’attività svolta (redazione di report per la Commissione europea,
ad esempio).
Una delle cose che apprezzo di più del mio lavoro è l’eterogeneità
del gruppo di colleghi: il percorso di formazione di ciascuno di noi
è diverso, rendendo interessante e stimolante la collaborazione.
Apprezzo molto anche la possibilità di interagire con colleghi stranieri,
in particolare europei, la partecipazione a conferenze e meeting.
Inoltre, del progetto al quale partecipo ormai da alcuni anni
apprezzo molto il fatto che la finalità primaria sia quella di fornire
un prodotto totalmente pubblico e ad accesso libero che descrive
lo stato dei mari europei e globali. Mi sento parte di un vero e
proprio “servizio”. Lo sviluppo di codici per la modellazione numerica
avviene prevalentemente su calcolatori ad alte prestazioni
che forniscono centinaia di nodi di calcolo e migliaia di processori.
La disponibilità di risorse computazionali sempre crescenti apre
la strada a previsioni di scenario sempre più accurate nell’ambito
dell’impatto dei cambiamenti climatici e in generale dell’effetto
delle attività dell’uomo sull’ambiente.
Per fare questo lavoro è importante non avere paura delle novità
ed essere curiose. Le cose cambiano sempre. Nel mio caso, per
esempio, a breve è in previsione la partecipazione a un nuovo
342
progetto europeo che include la collaborazione con nuovi centri
di ricerca europei e dal quale quindi spero un’ulteriore crescita
professionale. Sul lungo termine probabilmente le mie attività di
sviluppo di codice diminuiranno e aumenteranno quelle relative
alla produzione di rapporti e rendicontazione di progetto. L’attività
di produzione scientifica invece è una costante del mio lavoro.
Immagino che le attività professionali legati al mondo della ricerca
scientifica saranno sempre più legate a progetti di respiro internazionale.
Immagino (e spero!) che lo smart working entrerà a far
parte della quotidianità di figure professionali analoghe alla mia.
Dopo le scuole superiori ho deciso di studiare ingegneria forse un
po’ inconsciamente. Ho frequentato il Liceo Classico e riuscivo abbastanza
bene in tutte le materie, ma sapevo di voler continuare
a studiare delle materie scientifiche. Al contrario delle altre materie,
riuscivo a ricordare e maneggiare con molta più sicurezza le
conoscenze scientifiche, in particolare la matematica che era per
me come uno strumento che si impara ad usare una volta e poi se
ne ricorda sempre il funzionamento. Le altre materie le imparavo
ma mi sfuggivano rapidamente di mente. Avrei potuto studiare
Matematica o Fisica ma i pochi sbocchi lavorativi mi hanno trattenuta.
In più diversi amici più grandi di me studiavano ingegneria
e mi sono lasciata affascinare dai loro racconti. È stata una scelta
forse ingenua ma che nel mio percorso di vita mia ha portata poi
a soddisfazioni inaspettate.
Apprezzo molto il fatto che la finalità primaria sia quella
di fornire un prodotto totalmente pubblico e ad accesso
libero che descrive lo stato dei mari europei e globali.
Mi sento parte di un vero e proprio “servizio”.
343
344
Il software engineer è per il software un
po’ come l’architetto è per una casa:
lo progetta dal nulla, dalla teoria.
Sara Tontodonati
48 anni
Alumna Ingegneria delle
Telecomunicazioni 1998
Thales
Senior software engineer
Monza, Italia
Il software engineer è per il software un
po’ come l’architetto è per una casa: lo
progetta dal nulla, dalla teoria. Per continuare
l’analogia, il programmatore è
come l’impresa che costruisce la casa,
cioè mette in pratica le indicazioni del
software engineer, anche se in questo
campo (e qui finisce l’analogia), nella
pratica, i due ruoli spesso si sovrappongono
e una sola persona fa tutto.
Dopo essermi laureata, ho lavorato
per 15 anni in una multinazionale delle
telecomunicazioni. Mi occupavo di
progettazione e sviluppo di software
per la gestione delle reti. Adesso lavoro
nella filiale italiana di una multinazionale
francese e mi occupo sempre di R&D
software, in questo caso però per apparecchi
per la navigazione aerea. La mia
giornata media consiste principalmente
in lavoro al computer, per preparare
nuove versioni dei nostri software e
applicativi. Una parte del mio tempo la
345
iservo sempre allo studio, per mantenermi
aggiornata. Poi della preparazione
delle demo per i clienti e, a volte, a
fare del training ai colleghi più giovani.
La mia azienda produce sistemi per la
navigazione aerea. La tecnologia che
sviluppiamo aiuta a rendere più sicuri
ed efficienti i viaggi aerei e questo si traduce
in molte più persone che possono
spostarsi velocemente e in sicurezza nel
mondo. Avviciniamo le persone. Una
delle cose che amo di questo lavoro è
che ha un impatto nel migliorare la vita
di tutti. Ma non solo: in generale, è un
lavoro stimolante e divertente. C’è sempre
qualcosa di nuovo da imparare. Ovviamente
non mancano le parti noiose,
tipo scrivere la documentazione o certe
riunioni, ma penso valga per tutto. Ed è
anche un lavoro creativo, nonostante si
pensi spesso, sbagliando, che gli ingegneri
siano molto “quadrati”. Tra l’altro,
non sono nemmeno tutti dei fanatici
del computer o della tecnologia. Io, per
esempio, per essere un ingegnere sono
decisamente “low-tech”. Fuori dal lavoro,
il mio interesse per la tecnologia si
limita solo a quello che potrebbe servirmi
e a nient’altro. Ho notato comunque
che tra gli ingegneri è una caratteristica
abbastanza frequente.
La tecnologia che
sviluppiamo aiuta
a rendere più sicuri
ed efficienti i viaggi
aerei e questo si traduce
in molte più persone
che possono spostarsi
velocemente e in
sicurezza nel mondo.
Avviciniamo le persone.
346
Mi sono sempre, invece, appassionata
alle opportunità che la tecnologia offre.
Ho