MEMORIE ILLUSTRI DI PALAZZOLO SULL'OGLIO - Ti Racconto ...
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FONDAZIONE CICOGNA-RAMPANA - ONLUS<br />
<strong>MEMORIE</strong> <strong>ILLUSTRI</strong> <strong>DI</strong><br />
<strong>PALAZZOLO</strong> SULL’OGLIO<br />
Nuova Serie<br />
Anno VIII - Gennaio 2007<br />
1
TRE SECOLI <strong>DI</strong> MANIFATTURA SERICA A <strong>PALAZZOLO</strong><br />
Capitolo 1° Il Seicento<br />
1 - Gli inizi<br />
di Francesco Ghidotti<br />
Conversando con uno dei pochi agricoltori che il mercoledì<br />
mattina si ritrovano sotto i portici di Piazza Roma, ho cercato di<br />
verifi care le informazioni che avevo sulla fi ne della bachicoltura a<br />
Palazzolo.<br />
Negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale (1940-45) e<br />
nell’immediato dopoguerra, le famiglie non avevano combustibile<br />
per riscaldamento, dovevano procurarsi perciò la legna da ardere.<br />
Le strade insicure ed i bombardamenti aerei avevano impedito ai<br />
carrettieri di Vigolo e di Parzanica di portare legna a Palazzolo. Ci<br />
furono perciò azioni dirette a tagliare gli alberi della nostra campagna.<br />
Spinti dalla necessità, nottetempo i Palazzolesi cominciarono ad<br />
asportare tutto ciò che poteva essere bruciato: prima lungo gli argini<br />
delle seriole e del fi ume e poi nei campi.<br />
Scomparve cosi rapidamente la maggior parte della vegetazione<br />
arborea che arricchiva la nostra campagna. Nelle descrizioni dei beni<br />
della parrocchia dell’inizio dell’800 sono documentate quali e quante<br />
fossero le specie arboree che crescevano nelle varie possessioni 1 . A<br />
metà dell’800 i gelsi coltivati da noi erano quasi diecimila.<br />
Gli ultimi furono sradicati per mano dei contadini stessi che con<br />
1 Brescia, Arch. Stato, Ingegneri, C.A. Manna, b. 409-Palazzolo 1820. Inventario di<br />
tutti i beni del Benefi cio dell’Arciprebenda di S.ta Maria di Palazzolo chiesa parrocchiale.<br />
Brescia, Arch. Stato, Polizze d’estimo, b.407. Nella polizza d’estimo del 1632 degli<br />
eredi di Filippo Zamara si legge che in una rivetta sulla sponda della Vetra “vi sono<br />
alcune piante di mori di pochissimo frutto”<br />
cfr. F. Ghidotti, Vicende della famiglia di Filippo Zamara, “Voce di Palazzolo”, 17-3-<br />
2006<br />
3
i nuovi strumenti meccanici per lavorare la terra, ritenevano più<br />
comodo avere spazi liberi da alberature.<br />
Così, intorno agli anni Cinquanta aveva termine, dopo 300<br />
anni dalla sua introduzione nei nostri poderi , la coltura del gelso.<br />
Finiva anche l’allevamento del baco da seta: le ultime “galette” dei<br />
produttori locali erano acquistate dal setifi cio Guzzi.<br />
2 - L’allevamento del baco da seta<br />
Nell’annata agraria, “il primo raccolto in assoluto, prima<br />
ancora dell’orzo e del frumento, non veniva dai campi, era quello<br />
dei bozzoli da seta ai primi di giugno. L’allevamento cadeva in un<br />
periodo di grande lavoro e lo aumentava notevolmente.... Si iniziava<br />
preparando e pulendo il locale che avrebbe ospitato i bachi....” 2<br />
Il seme dei bachi, veniva acquistato presso i rivenditori ad once (di<br />
circa 30 grammi) ed i piccoli bachi sembravano formichine. Ricordo<br />
che da bambino andavo dalla nonna Vavassori, Manarì, alla Calcine<br />
a vedere questi bachi, che posti su letti di foglie di gelso adagiate<br />
sulle tavole di canne intrecciate, mangiavano incessantemente,<br />
giorno e notte, le foglie del gelso raccolte dallo zio Luigi nei terreni<br />
che lavorava, oggi viale Italia.<br />
Nella stanza ardeva sempre il fuoco ed i bachi, dopo la quarta<br />
muta, salivano sopra delle frasche per tessere il loro bozzolo, dentro<br />
il quale scomparivano. Si raccoglievano poi le “galette” che erano<br />
vendute al setifi cio.<br />
Il primo intervento era il forno essiccatoio per far morire la crisalide<br />
e impedire che bucasse il bozzolo spezzando tutto il fi lo di<br />
seta. Poi cominciava il vero e proprio trattamento dei bozzoli: immersione<br />
in un recipiente pieno d’acqua bollente per ammorbidirli:<br />
“ l’operaia doveva essere svelta ad afferrare il bandolo ed allacciare<br />
il fi lo ad altri fi li, avvolgendoli all’aspo, l’avvolgi-matassa che aveva<br />
sopra di sè e che girava veloce azionato da altri macchinari”.<br />
2 C. Frugoni, Da stelle a stelle. Memorie di un paese contadino, Bari, Laterza, 2003,<br />
pp. 180<br />
4
Raccolta di tavole dalla Encyclopédie, p. 35, bachi da seta e operazioni inerenti all’allevamento.<br />
Un uomo sta separando i vermi ammalati da quelli che si accingono a fare il bozzolo.<br />
Un altro porta la pastura di foglie di gelso (il cibo di gran lunga preferito dalle giovani<br />
larve). Nella parte inferiore, stadi della vita del baco e della formazione del bozzolo.<br />
5
3 - La trattura domestica della seta<br />
Il 6 maggio 1630 Bartolomeo Galignani fu Giovita fa testamento<br />
mentre si trova in un luogo piuttosto insolito per un atto notarile:<br />
i prati d’Oglio, dove si era rifugiato per sfuggire alla peste che in<br />
quei mesi infuriava in paese.<br />
Tra le altre diposizioni impartite, come ultime volontà, vuole che”<br />
succedino nella detta eredità Antonio et Marco, fratelli Galignani,<br />
suoi nepoti e suoi fi gli ugualmente con questo: primo che habbino a<br />
dare a Camillo similmente terzo fratello liri cento plt. E che tutto il<br />
rame et fornimento di tirar la seda sia di Antonio eccetto un sedello<br />
et una ramina qual sia di Marco....” 3<br />
Ad Antonio Galignani, morto prima del 1637, che aveva<br />
ereditato gli strumenti per la trattura della seta, subentrano i fi gli<br />
Gian Giacomo, Giovita e Bartolomeo.<br />
L’operazione utilizzava una tecnologia estremamente semplice<br />
e rudimentale: un recipiente con acqua riscaldata da un fornello a<br />
legna ed un aspo per avvolgere il fi lo, si svolgeva a livello familiare,<br />
con manodopera non specializzata, cioè contadini produttori<br />
di “galette”, soprattutto donne, che col loro lavoro integravano<br />
l’economia della famiglia.<br />
Individuato l’inizio del fi lamento (capofi lo) si univano le bave<br />
(i fi lamenti) di più bozzoli per formare il fi lo di seta che, avvolto<br />
sull’aspo dava la matassa greggia o tratta. Questa seta poteva essere<br />
impiegata direttamente al telaio, oppure subiva il processo della<br />
torcitura.<br />
4 - I fornelli per la trattura<br />
Nei documenti del secolo XVIII si può seguire lo svolgersi di<br />
questa attività a Palazzolo che, senza soluzione di continuità, durerà<br />
fi no alla metà del ‘900.<br />
3 Sulla famiglia Galignani v. F. Ghidotti, Famiglie palazzolesi dal secolo XV al secolo<br />
XVIII, Chiari, Nordpress, 2002, pp. 32-36<br />
6
Nel 1744 4 un altro Galignani, Paolo di Marc’Antonio dichiara<br />
che oltre ad una bottega di fustagni e altra roba per contadini “fi la<br />
galette con fornelli quattro, in società non avendo capitale proprio”<br />
Anche Giacomo Costa fu Camillo oltre ad essere spedizioniere<br />
“fa fi lare quattro fornelli di galette con capitali la maggior parte non<br />
propri”. Lo stesso Costa aveva affi ttato dal 1733 al 1762 il fi latoio<br />
Palazzoli.<br />
In una Nota distinta di tutti li fornelli di seta andanti nella terra di<br />
Pallazzolo e nome de proprietarij 5 del 15 giugno 1791 sappiamo che<br />
fanno fi lare in casa propria Giuseppe Antonio Gorini fu sig. Rocco<br />
(13 fornelli), Paola Torri 5, Giacomo Conti 7, l’ill.mo sig. Giuseppe<br />
Zamara 3, l’ill.ma sig.ra Giulia Cavaleri 4, Giovanni Rossetti 10,<br />
Giuseppe Torre 3, Carlo Antonio Casegrandi 3, Carlo Urgnani 8,<br />
Giuseppe Cicogna, 5.<br />
Antonio Bertozzi aveva 3 fornelli in casa del sig. Paolo Costa,<br />
Giovanni Sabadini 2, in luogo di sua ragione in Contrada S.Giovanni<br />
Evangelista Quadra di Mura, Vincenzo Rossini 2, in casa degli eredi<br />
del fu sig. Francesco Galignani.<br />
Giuseppe Gelmi aveva 5 fornelli andanti nella fi landa del<br />
sig. Carlo Antonio Tedoldi sita in Contrata fuori della Porta di<br />
Carvasaglio e Carlo Antonio Tedoldi 3 fornelli nella sua fi landa,<br />
Giovanni Pezzoni 5 fornelli in fi landa delli conti F.lli Foresti fu conte<br />
Gerolamo. In totale i fornelli attivi erano 81.<br />
In un documento del 1795 6 i fornelli risultano 70 e precisamente:<br />
Cavalieri Giulia n. 3, Muzio Giuseppe n. 10, Conti Giacomo n. 8,<br />
Gelmi Giuseppe n. 7, Urgnani Carlo n. 10, Maza Orazio n. 2, Rossini<br />
Andrea n. 4, Rossini Girolamo n. 4, Tadoldi Carlo Antonio n. 1,<br />
Sabadini Paolo n. 2, Torre Giuseppe n. 2, Gorini Giuseppe Antonio<br />
n. 10, Libretti Gio. Battista n. 2, Cicogna Giuseppe n. 3, Bertossi<br />
Antonio n. 2<br />
4 F. Ghidotti, Palazzolo 1744. Beni comunali, famiglie che hanno traffi co o industria,<br />
Palazzolo, 1989, pp. 88<br />
5 Brescia, Arch. Stato, Canc. Prefett. Inf. b. 108<br />
6 Brescia, Arch. Stato, Canc. Pref. Sup. b. 47, Nota di tutte le ditte dell’anno 1795 per<br />
la trattura della seta.<br />
7
Dal confronto fra i due elenchi notiamo che in quattro anni<br />
sono scomparsi i fornelli di Torri Paola, Zamara Giuseppe, Rossetti<br />
Giovanni, Casagrandi C.Antonio, Rossini Vincenzo e Pezzoni<br />
Giovanni, mentre sono nuovi quelli di Muzio Giuseppe, Maza<br />
Orazio, Rossini Andrea, Rossini Gerolamo e Libretti G.Battista.<br />
5 - Le fabbriche per uso fi latoio<br />
All’inizio del ‘600, il Da Lezze, 7 nel capitolo dedicato “all’arte<br />
di fi latorij d’azze (matasse di fi lo) e seda” ne elencava 13 in Brescia<br />
città, la maggior parte “di questi lavorano di azze et gli altri lavorano<br />
sede et azze insieme”. I fi latoi non sono mossi dall’acqua “ma un<br />
uomo, che va a torno tutto il giorno girandoli per ogni ruoda, et al<br />
più li fi latorij sono di due ruode et altri sono con una ruoda sola,<br />
guadagnando l’uomo, che gira la ruoda un............ da vinti al giorno,<br />
facendoli le spese. Vi è poi un altro che ingroppa et guadagna fi no<br />
17 gazette al giorno, ch’è una lira de planete et tanti servono anco<br />
per trazer la seda, ma oltre questi vi sono donne, putti et putelli,<br />
che incanano la seda, e così anco altre, che indopiano le azze, che<br />
sopra questo essercitio di azze et di seda vivono cinquecento et più<br />
persone, così della città, come del territorio...”<br />
Anche se il Da Lezze non parla di fi latoi ad acqua, esiste<br />
documentazione come nel 1527 le autorità comunali di Brescia avessero<br />
accolta la richiesta di Lorenzo Masserdotti e di un socio “maestro di<br />
tale arte et exercitio”, dando loro licenza esclusiva di impiantare due<br />
distinti mulini “ uno da fi lar la seda de fusi 120” ed un secondo “da<br />
torzer la seda et stammo de far sarze e revo de fusi 96” 8 .<br />
Torcitoi a braccio (o a mano) esistevano a Bergamo almeno dalla<br />
7 Il catastico bresciano di Giovanni da Lezze (1609-1610), Brescia, Apollonio, 1969,<br />
voll. 3<br />
8 C. Pasero, Primordi del setifi cio bresciano, in “Archivio Storico Lombardo”, 1964-<br />
65, p. 242<br />
8
fi ne del secolo XVI. Nel 1596 sempre Giovanni da Lezze 9 , allora<br />
podestà di Bergamo, annotava l’esistenza a Bergamo di due fi latoi di<br />
seta ed il Senato Veneto il 19 novembre 1558 concedeva un brevetto<br />
industriale “per vent’anni a Iseppo di Pietro Bergamasco ” per un<br />
nuovo metodo di far andare a torno per se medesimo senza l’opera<br />
d’alcuno, molino da fi lator et altri edifi ci “.<br />
Il primo mulino da seta di Bergamo e del Bergamasco è quello<br />
di Andrea Tasca, che aveva ottenuto la concessione dal governo<br />
veneto nel 1651 e l’aveva attivato verso il 1653. A Bergamo fra il<br />
1664 ed il 1685 si erano costruiti oltre 20 mulini da seta del tipo<br />
alla bolognese, che sono già il “sistema fabbrica”, con un anticipo di<br />
almeno un secolo rispetto ai cotton mill della Rivoluzione industriale<br />
in Inghilterra.<br />
Giacomo Asperti, 10 stimato mercante e console dei mercanti<br />
bergamaschi, aveva ottenuto dalle Reverende Madri Cappuccine<br />
l’acqua per dar moto a un fi latoio in costruzione. La sua era la<br />
seconda concessione di acque private a Bergamo per questo scopo.<br />
La Repubblica Veneta aveva istituito dazi sulle sete, soprattutto<br />
quelle in uscita dai suoi confi ni. A Bergamo l’appaltatore di questo<br />
servizio era un certo Bonometto che, per gli eccessi nei controlli,<br />
aveva suscitato reazioni estreme, compreso lo spostamento dei<br />
luoghi di produzione delle sete.<br />
Così i mercanti Giuseppe Asperti e Giovanni Pelandi spostarono<br />
le loro attività nel bresciano a Palazzolo e a Chiari, dove costruirono<br />
i loro mulini da seta alla bolognese.<br />
La delocalizzazione delle attività in questi due centri del bresciano<br />
avevano motivazioni particolari: l’esistenza di rapporti d’affari<br />
fra i commercianti e i produttori di seta di Palazzolo e Chiari, che<br />
possedevano anche spiccate capacità tecniche e la disponibilità di<br />
energia idraulica garantita dai corsi d’acqua presenti sul territorio.<br />
9 G. Da Lezze, Descrizione di Bergamo e suo territorio 1596, Bergamo, Lucchetti,<br />
1988, pp. 580<br />
10 C. Poni, Innovazioni tecnologiche e strategia di mercato: il setifi cio fra XVII e XVIII<br />
secolo, in “Storia economica e sociale di Bergamo”, Il tempo della Serenissima, un seicento<br />
in controtendenza, Bergamo, Fond. Storia Economica, 2000, pp. 133-178<br />
9
6 - Il fi latoio Asperti in Carvasaglio<br />
Giacomo Asperti nel 1664 apre un fi latoio di seta nei locali<br />
di proprietà Duranti, in contrada del Carvasaglio, dove poteva<br />
sfruttare un bocchetto d’acqua della Vetra. Si legge nella polizza<br />
d’estimo del gennaio 1665 11 che il sig. Asperti ha una fabbrica fatta<br />
per uso di fi latoio di seta nella quadra di Mercato valutata dagli<br />
estimatori in L. 6000, ha mercanzia per L. 6000, per un valore totale<br />
di L. 12.000.<br />
La gestione del fi latoio, come specifi cato nell’estimo delle<br />
mercanzie del 167812 , è affi data a Nicola Fusari, modenese, che<br />
11 Brescia, Arch. Stato, Polizze d’estimo sec. XVII, b. 617<br />
12 Brescia, Arch. Stato, Terr. ex veneto, b. 502, pp. 29-30. registro Estimo delle mercantie<br />
di città et territorio fatto dalli sigg. Perquisitori per la facitura dell’estimo corrente<br />
anno 1678:<br />
Cristoforo Milani bottega di formaggio et altre robbe £.600 - Gioseffo Bosis una bottega<br />
di ferro, oglio et formaggio et altro £.1200 - Pietro Bonomelli bottega di speciaria.<br />
£.2000 - Santo Tamanza una bottega di pannina, coperte et altre robbe diverse<br />
et un altra bottega di ferrarezze. £.3500 - Ercole Urgnani bottega d’oglio, sapone,<br />
fi lo, lino et altre robbe di Bolzano £.2800 - Agostino Vitale bottega di formaggio, et<br />
grassina £.1500 - Bernardo Cavaleri bottega di merzaria et robbe di Bolzano et formaggio<br />
£.1400 - Ambrosio Marieni hoste et bottega di ferro, panno et altro £.1500<br />
- Rocco Gorino bottega di calegaro. £.200 - Andrea Maza bottega oglio, sapone et<br />
scudelle. £.300 - Giacomo Ambone traffi co di tentoria. £.200 - Giovan Battista Conti<br />
bottega di corda et robbe di Bolzano. £.400 - Giacomo Guarisco bottega di ferro,<br />
fi lo, terra et altro. £.300 - Giovan Bonardi speciaria £.2000 - Antonio Persevalli per<br />
traffi co d’aceto. £.200 - Vincenzo Palazzolo bottega di speciaria. £.2000 - Antonio<br />
Bonadei hoste et bottega di pellizze. £.500 - Martino Sfolzadro hoste et maestro<br />
di posta. £.550 - Camillo Romana hoste £.200 - Sebastiano Tabone traffi co d’aceto.<br />
£.500 - Girolamo Manenti bottega, oglio, sapone, fi lo et altro. £.200 - Antonio Nazari<br />
bottega di ferrarezza et traffi co di mallio. £.400 - Battista Cignerone traffi co di<br />
marangone. £.150 - Bortolomeo Picinelli hoste £.400 - Girolamo Ragno bottega di<br />
grassina et altro. £.200 - Giovan Battista Manente fornaro. £.250 - Tonello fornaro.<br />
£.200 - Giovanni Piavano marangone. £.60 - Gabriel Ranesco traffi co di terra. £.100<br />
- Francesco Feramusso bettolinaro. £.40 - Gioseffo Sabadino bottega di grassina et<br />
altro. £.120 - Pietro Tura marescalco. £.60 - Andrea Civiglio bottighetto di revo et<br />
fi lo. £. 45 - Diversi che traffi cano in biave. £.200 - Camillo Costa beccaro. £.500<br />
Bonomo Bonomi per traffi co del fi latoglio di seta, l’essercita Lucio Paganino £.......<br />
Gacomo Asperti per traffi co del fi latoglio di seta essercitato per Nicolò Fusari £.......<br />
Giovanni Faglia per traffi co del fi latoglio di seta essercitato per Pietro Giola £.......<br />
Quelli che tranno seta, sono compresi nelle somme della mercantia £. 2.5875<br />
10
viene da Almenno S.Salvatore. Infatti nella nota delli miglioramenti e<br />
fabbriche nove 13 dei primi del settecento si legge che il “ sig. Nicola<br />
Fusario, modenese,ha un fi latoglio di trei rode o sia tre fi latoi da<br />
torzer seda, che vanno con acqua, edifi cato nelle case dei sigg.<br />
Duranti, posseduto dal sig.Asperti di Bergamo, in contrada di<br />
Carvasaglio, stimato L. 6000”. A margine del documento vi è questa<br />
annotazione “hora del sig. Giacomo Muzio fu Gerolamo”.<br />
7 - Il molino da seta Faglia al Maglio<br />
A Chiari la coltivazione dei gelsi è documentata dalla seconda<br />
metà del ‘500 e in una delibera comunale del 1616 si proibisce “di<br />
tenere nelle case o gettare nelle vie il letto che fanno i cavalieri, quelli<br />
che fi lano i bozzoli non gettino nelle acque gli avanzi nè facciano<br />
ricetti”. Nel 1666 lo stesso Comune di Chiari concede ai mercanti<br />
bergamaschi il permesso di impiantare fi latoi nella rocca.<br />
Nel 1676 la famiglia Faglia converte un torchio per olio in<br />
molino da seta alla bolognese14 . Nell’estimo 1678 citato risulta che<br />
i Faglia hanno a Palazzolo, nelle case di Bettino Nazari in contrada<br />
del Maglio, “un edifi cio di trei fi latoi da seta, che vanno ad acqua”,<br />
cfr. F. Ghidotti, Commercianti, artigiani ed imprenditori a Palazzolo nel 1678, “Voce<br />
di Palazzolo”, 10-3-1989 - F. Chiappa, Ultimi aggiornamenti circa i fi latoi palazzolesi,<br />
“Voce di Palazzolo”, 24-3-1989<br />
13 Brescia, Arch. Stato, Terr. ex veneto, b. 533 n.13, Nota delli miglioramenti et fabbriche<br />
nove. La famiglia Fusari compare in Palazzolo alla fi ne del ‘500, nel 1596<br />
troviamo infatti nel Libro dei Battesimi un Comino Fuser (dei fusi, o fi latore). Dopo<br />
la metà del Seicento Nicolò Fusari, fi glio di Giacomo, da Almenno, nato nel 1632 è<br />
detto “mercante in fi latoglio”, e conduce quello di proprietà di Giacomo Asperti.<br />
A margine è scritto che la casa è ora del rev. don Lorenzo Fusari e il fi latoio del sig.<br />
Giacomo Muzio fu Gerolamo. In un atto notarile del 21 febbraio 1690, il Fusari, a<br />
mezzo del suo procuratore, prende accordi con la signora Cecilia Baseni di Calcio<br />
per “il di lei fi glio qual intende metter in casa di esso Fusari per istruirlo nella professione<br />
et lavorerio nel di lui fi latoglio di seta”.<br />
14 F. Robecchi, Moroni, bigatti e organzini. L’industria della seta nel Bresciano e a Chiari,<br />
secoli XVIII-XIX, p. 228, in “Atlante della Bassa”, Brescia, Grafo, 1984<br />
F. Robecchi, Insediamenti produttivi bresciani nel Settecento. Mulini da seta e preindustrializzazione,<br />
p. 278, in “Le alternative del Baroccco”, Brescia, Grafo, 1981<br />
11
12<br />
V. Zonca, Nuovo teatro di macchine, Padova, 1621, vol. I, p. 68
che è gestito dal bergamasco Pietro Giolla. Edifi cio che alla fi ne<br />
del secolo venne “distrutto e poscia rifatto di due piante e posto in<br />
estimo al sig. Antonio Nazari fu Francesco” mosso dall’acqua del<br />
canale Gardale.<br />
8 - Il fi latoio Bonomi in contrada dei Molini<br />
Bonomo Bonomi nel 1673 è a Palazzolo testimone di matrimonio<br />
fra Francesco Zamara e Camilla Persevalli e nello stesso estimo 1678<br />
è segnalato un fi latoio di proprietà di un Bonomi di Lumezzane,<br />
gestito da Lucio Paganini, collocato in contrada dei Molini ed<br />
alimentato dall’acqua della Vetra. I fratelli Gio. Battista e Baldassare,<br />
discendenti di Lucio ne continueranno l’attività. Verrà ingrandito<br />
nel 1689 con fi nanziamento dei Duranti.<br />
9 - Il fi latoio Nassini al Cortevazzo<br />
Ai tre segnalati nell’estimo 1678, si aggiunge, come risulta dal<br />
“catasto degli aggiunti 1687” il fi latoio di proprietà di Pandolfo<br />
Nassini costruito prima di quell’anno15 . Figlio di Ottavio, civis<br />
bresciano, possiede insieme al fratello G. Battista dei terreni e “una<br />
casa murata, cuppata in contrada di San Rocco” che confi na col<br />
dugale Gardale. L’opportunità di poter disporre di quest’acqua<br />
corrente spinge il Nassini a mettere in moto un fi latoio di una sola<br />
pianta affi dandone la gestione e C. Antonio Fedrigoli. 16 Dal 1690 al<br />
1709 è di proprietà del fi glio mons. Ottavio e poi di G. Battista, che<br />
muore a Brescia nel 1741. Egli lascia tutti i suoi beni all’Ospedale<br />
Maggiore della città, che affi tta il fi latoio ai fi gli del dott.Durante<br />
Duranti, cioè Girolamo, Alessandro e mons.Andrea. Il gestore è<br />
sempre il Fedrigoli. Dopo la morte del Vescovo Andrea nel 1758, il<br />
fi latoio passa nelle mani di Aurelio Rossetti e nel 1768 è del fi glio<br />
15 F. Ghidotti, I Nassini proprietari di un fi latoio al Cortevazzo, “La Semente”, n. 131,<br />
settembre 2000, p. 21<br />
16 C.A. Fedrigoli nato nel 1691, è fi glio di Federico, (1670-1723), proveniente da<br />
Villa in Val Lagarina, diocesi trentina, sposato nel 1688 con Bertossi Caterina.<br />
13
Giovanni (1736-1814) che dichiara nel 1788 17 che “ha 12 operai, più 22<br />
operaie che lavorano nel fi latoio, più 120 donne che lavorano fuori<br />
nelle loro case; che il lavoro è possibile per soli 6/7 mesi all’anno e<br />
che i salari che corrisponde, a secondo delle categorie, variano da<br />
5 a 20 soldi per libra di prodotto lavorato. Le materia prima sono<br />
gallette che si raccolgono in questo territorio. Il fi latoio riduce in<br />
orsogli 2500/3000 libre in circa di seta, i quali orsogli restano quasi<br />
tutti spediti nelle estere piazze, pochissimi qui rimanendo per uso<br />
della nazione.”<br />
Il fi latoio nel 1804 è di Bartolomeo Piccioli 18 e nel 1818 passa a<br />
Pietro Cicogna fu Francesco.<br />
10 - Lite Duranti - Nazari per l’acqua del vaso Gardale<br />
Verso la metà del 1689 Carlo e fratelli Duranti, fu Gerolamo,<br />
erano intenzionati a far fabbricare un fi latoio “ onde addimandarono<br />
ad Antonio Nazari, tre oncie d’acqua del dugale Gardale, che faceva<br />
andare le fucine del ditto Antonio, che gli fu negata” 19 . L’attività<br />
della fucina -maglio era in fase di recessione ma il poter disporre<br />
di forza motrice costituiva per i Nazari un’opportunità che non<br />
intendevano dividere con alcuno, compresi i potenti Duranti, loro<br />
confi nanti.<br />
Ne nacque una lunga vertenza, raccontata diffusamente dal<br />
Chiappa, che arrivò fi no al Consiglio dei Dieci a Venezia. Dopo<br />
17 A metà del ‘700 Bonifacio Rossetti è indicato come “maestro di fi latoio”. Nell’estimo<br />
1750 Aurelio (1704-1769) compare quale affi ttuale del fi latoio del conte<br />
Faustino Duranti e mercante di seta. Nel 1767 gestisce tre fi latoi: Palazzoli, Andrea<br />
Duranti e Francesco Paganini.<br />
18 Brescia, Arch. Stato, Catasto Napoleonico, reg. 1924. dell’anno 1810 al n. 2170 è<br />
indicato il fi latoio di seta ad acqua di una sola pianta intestato a Piccioli Gerolamo<br />
e Felice, fratelli fu Bartolomeo (1728-1804). Gerolamo sposa nel 1801 la fi glia di<br />
Giovani Rossetti, Ottavia che muore a 35 anni nel 1818, anno in cui il fi latoio è di<br />
Pietro Cicogna.<br />
19 Brescia, Arch. Stato, Arch. St. Civico, Annali di questa illustre casa Duranti....1740,<br />
tomo II, p. 35<br />
F. Chiappa, I prodromi delle attività imprenditoriali private palazzolesi, Masneri, Palazzolo,<br />
1988, pp. 34 segg.<br />
14
V. Zonca, Nuovo teatro di macchine, Padova, 1621, vol. I, p. 69<br />
15
un anno le parti rinunciarono a continuare un costoso quanto<br />
improduttivo litigio. Solo nel 1720 i Nazari utilizzarono quest’acqua<br />
per avviare un loro fi latoio in contrada del Dosso ed i Duranti<br />
fi nanziarono l’ingrandimento del fi latoio Paganini.<br />
16<br />
Milano, raccolta Bertarelli
Palazzolo, mappa 1810. Ubicazione fi latoi del secolo XVII°<br />
17
Capitolo 2° Il settecento<br />
1 - Si avviano nuovi fi latoi<br />
Passata la bufera della guerra di successione spagnola, che negli<br />
anni 1701-17051 colpisce le nostre terre e le sue attività economiche,<br />
si verifi ca una vera esplosione nel settore serico coll’ avviamento di<br />
sei fi latoi: nel 1704 del conte Pietro Duranti in contrada della “costa<br />
della Rosta di Riva” mosso dal canale Carvasaglio, nel 1710 dei Palazzoli<br />
in contrada Carvasaglio azionato dall’acqua della Vetra, nel<br />
1720 del Cavalleri in contrada del Maglio dal canale Carvasaglio,<br />
nel 1722 del Nazari sempre al Maglio dall’acqua del vaso Gardale,<br />
dove aveva operato il Faglia.<br />
1 F. Chiappa, Palazzolo 1701-1706. Traversie di Palazzolo e dei Palazzolesi durante la<br />
guerra di successione spagnola, Palazzolo, 1991, pp. 240. Un fatto di cronaca nera porta<br />
in primo piano l’attività del fi latoliere Lucio Paganini di Camillo.I fatti accaduti<br />
il 4 settembre 1701 sono descritti dettagliatamente in un atto notarile<br />
“Adi 5 gennaio 1702 Palazolo<br />
Poliza del danno inferto dalli soldati Cesarei a me Lucio Paganino fi latogliere sotto<br />
il dì 4 settembre passato in luogo detto il Fosso Bergamasco mentre m. Gio. Maria<br />
Rozzino conduceva l’infrascritta seta a Bergamo. Videlicet<br />
Prima. seta lirette 23 incannata, vale a ragione di liretta l.23 . . . . . . . . . . . . . . l. 529<br />
Item altra seta lavorata organsina lirette 25 onse va ragione di lirette l.30 . . l. 765<br />
Item una coperta di lana valeva l. 15 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . l. 15<br />
Item una coperta di fi lo et bavella fatta a fi ori valeva l. 22 . . . . . . . . . . . . . . . . l. 22<br />
Item un archibuggio valeva l. 40 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . l. 40<br />
Item un altra arma curta l. 20 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . l. 20<br />
Item braccia 30 buratto griso vale a ragione di brasso l. 5 . . . . . . . . . . . . . . . . l. 45<br />
Item per strassa di seta lirette 14 vale a ragione di liretta l. 5. . . . . . . . . . . . . . l. 70<br />
Item per doppi di seta lirette 3 lavorati per far drappi valiono<br />
a rag.di lirette l.15 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . l. 45<br />
Item due pezzi di morlacco bianchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . l. 6<br />
Item un drappo di donna gialdo fatto di bavella . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . l. 18<br />
Item per due fi lse di granata pagate l. 28. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . l. 28<br />
l. 1585<br />
E’ comparso mr.Lucio Paganino fi latore di seta nella terra di Palazolo qual tacti etc.<br />
per me nodaro Jacob. Antonio Rondus q. d. Caroli. defertogli alla presenza di mr.<br />
Gio. Batt. Morando et mr. Giacomo Bonadeo ha giurato essere la verità quanto di<br />
sopra e per fede.<br />
18
Nel 1724 gli opifi ci sono sette: ai quattro nominati vanno aggiunti<br />
quelli di Giuseppe Muzio (già Asperti); del conte Girolamo<br />
Duranti (già Nassini) e di Gio.Battista Paganini (già Bonomi).<br />
Nel 1727 inizia l’attività il fi latoio di Alessandro Piccinelli alle<br />
Teze mosso dal canale Carvasaglio. L’anno dopo Gio.Battista Omboni<br />
apre sulla via dei Molini un opifi cio utilizzando l’acqua della<br />
Vetra.<br />
In una nota de proprietarij degli edifi cij di seta, delle piante, degli orsogli<br />
e delle trame che si ponno lavorare in una in tali fi latogli dell’anno<br />
1732 2 si legge che gli edifi ci di seta nel Bresciano sono 26: 6 a Brescia,<br />
7 a Chiari, 2 a Rovato, 1 a Iseo, 1 a Darfo, 9 a Palazzolo. In pratica il<br />
34% è concentrato nel nostro comune, che conta circa 2500 abitanti.<br />
Il documento attesta che a Brescia Giacomo Muzio aveva spiantato<br />
il suo fi latoglio, e a Palazzolo si producevano organzini nelle seguenti<br />
quantità: Nassini 1000 libre, co. Giorgio Durante 4000, Nazari<br />
1000, Paganini 4000, Palazzoli 1000, Cavalleri 7000, Omboni 1000,<br />
Piccinelli 1000, Muzio 4000, per un totale di 24.000 libre.<br />
2 - Il fi latoio del conte Pietro Duranti a Riva<br />
Nel 1704 viene aperto il fi latoio della famiglia di Pietro Giuseppe<br />
Duranti, in contrada della rosta di Riva, mosso dall’acqua del canale<br />
Carvasaglio. Nel 1723 titolare è il conte Faustino, fi glio di Pietro,lo<br />
gestisce però Antonio Cavalleri. Nel 17443 il Duranti, oltre che nego-<br />
2 Brescia, Arch. Stor.Civico. registro 1394 , anno 1732<br />
3 F. Ghidotti, Poliza o sia notta degli edifi cij s’attrovano nella Terra di Palazzolo, in<br />
“Palazzolo 1744, beni comunali, famiglie che hanno traffi co....”, pp. 84. (1 scudo =<br />
7 lire piccole)<br />
Primo.....Antonio Nazari stroppio tiene un Maiolo, ed un fi latoglietto, con cui serve<br />
ad altri, non avendo esso capitale di sorte, può ritraere da ambi scudi settanta, danno<br />
piccole L. 490. Ha l’aggravio di moglie e dieci fi glioli, tra quali tre fi glie nubili,<br />
e per alimentarsi convien ogni anno aggravarsi di qualche capitale passivo non<br />
essendo suffi ciente la sua industria, e lavorerio della famiglia<br />
- Alessandro Picinelli possede un’osteria , al presente tenuta in affi tto da Pasqualino<br />
Carminati, che paga scudi cento cinquanta d’affi tto danno £.1050. Possede pure<br />
un fi latoglio, con cui lavora alla fortuna servendo ad altri, non avendo capitali può<br />
ritraere dal medesimo lire piccole trecento £.300. Ha l’aggravio di tre fi glioli picco-<br />
19
ziare in sete, possiede una macinatora da orzo e vinazzoli che pure<br />
affi tta. Nel 1750 il fi latoio-torcitoio è condotto da Aurelio Rossetti,<br />
nel 1762 dal Faustino stesso. Nel 1767 passa in eredità al nipote Alfonso,<br />
fi glio di Gio. Battista, che lo fa gestire a Gio. Battista Omboni,<br />
il quale nel 1789 dichiara che il fi latoio è di 4 piante, cioè due di<br />
fi lato e due di torto (il fi latoio ha n.26 valighi di 16 bacchetti per<br />
valego...)e che è atto a lavorare sete in trame e in orsogli all’uso di<br />
Piemonte. L’Omboni aggiunge che vi lavorano 20 uomini, compresi<br />
alcuni ragazzi apprendisti e 30 donne con produzione di 10.000 libre<br />
di seta nell’arco di 6/7 mesi. Riguardo alla mercede degli operai<br />
gli uomini ricevono 10 soldi nel fi lato e 5 nel torto. Le donne soldi 12<br />
per ogni libra piccola di orsoglio lavorato e molto meno se lavorano<br />
in trama. Vi sono poi numerose donne incannatrici a domicilio, “che<br />
traducono la seta delle matasse sopra i rocchetti” e che ricevono,<br />
secondo la qualità della seta, soldi 20/24 per ogni libretta lavorata.<br />
li, e di diversi capitali passivi, e massime d’ un solo sopra cui paga annualmente<br />
£.170: s.12 a noi noto<br />
- Il venerando Ospitale di Brescia possede un fi latoglio pervenutogli in eredità per<br />
la morte del qm. Nob. sig. Giovan Battista Nazzino tenuto in affi tto dalli Nob. Co.<br />
Prior e Fratelli Duranti, quanto sia l’affi tto non lo sappiamo<br />
Francesco Amboni qm. Giovanni Battista possede un fi latoglio, con cui lavora alla<br />
sorte, al presente affi ttato al sig. Antonio Cavaleri cittadino, quanto sia l’affi tto non<br />
lo sappiamo<br />
-Gioseppo Paganino qm. Baldasare possede un fi latoglio, lavora alla sorte non<br />
avendo capitali e molto tempo dell’anno sta vacante,può ricavare £.560. Ha l’aggravio<br />
della moglie con quatro fi glioli maschij, e quatro femine nubili, ed ha molti<br />
debiti a noi noti oltre il livello perpetuo dell’ aqua de £.190, che paga alla spett.<br />
Comunità di Chiari<br />
-Sig. Antonio Cavaleri cittadino, possede un fi latoglio, con cui lavora le proprie<br />
sete, ha l’aggravio d’una nuora, due nipoti, qual sia l’utile puossa ricavare non lo<br />
sappiamo, tenendo in affi tto e lavorando le proprie sete anche con li fi latogli del<br />
suddetto Amboni e del Nob. Sig. Co: Faustino Durante infrascritto<br />
-Nob. sig. Co: Faustino Durante cittadino possede un fi latoglio tenuto in affi tto del<br />
sudetto sig. Cavaleri<br />
-Sig. Giuseppe Mutio possede un fi latoglio, con cui parte lavora ad altri parte dell’anno,<br />
parte sete proprie, e parte resta vacuo, può ritraere lire settecento £.700. Ha<br />
l’aggravio di moglie con tre fi glioli ed una femina nubile<br />
20
Il 24 agosto 1794, secondo il Pezzoni 4 , i ladri sono entrati nel fi latoio<br />
ed hanno rubato 19 aspe di organzino. Nel 1810 Alfonso Duranti<br />
ha in catasto, ai nn. 1043-1044, un fi latoio di seta al piano superiore<br />
della casa del massaro, un torcitoio a 4 piante con la relativa acqua.<br />
3 - Il piccolo fi latoio dei Palazzoli<br />
Antonio Palazzoli di Pompeo (1670-1740) sposato con Laura Zamara,<br />
gestore della spezieria Palazzoli, nel 1710 circa aveva impiantato<br />
“nella sua casa un fi latoio di seta d’una rotha con trej ordeni<br />
compreso il terraneo, descritta in estimo 1641 al n. 133 di Francesco<br />
Rizzino, stimata L. 3500” 5 .La casa era in contrada del Carvasaglio<br />
e usufruiva come forza motrice dell’acqua sgolatizia del bocchetto<br />
Zamara della seriola Vetra. Nella nota dei miglioramenti6 risulterebbe<br />
iniziatore don Giovanni. Nel 1727 Antonio dichiarava di avere 57<br />
anni, di avere in famiglia il fratello rev. don Giovanni di 53 anni ed<br />
il fi glio Zaccaria di 4.<br />
Proprio Zaccaria, nato nel 1723 e morto a 22 anni nel 1745, dichiara<br />
nel 1744 che “ha uno zio prete vecchio, tre sorelle nubili, fa<br />
l’arte dello speziale di sola medicina, può haver d’utilità scudi 60.<br />
Ha un fi latoglietto d’una sola piantella sopra quale ha tanto capitale<br />
passivo, che non è suo e lo affi tta per il pagamento dell’interessarij<br />
de’ capitali”.Il fi latoio intestato a don Giovanni (1674-1765) e ai<br />
suoi fratelli è gestito dal capo-maestro Lorenzo Cominassi, viene<br />
affi ttato nel 1733, in contropartita del pagamento degli interessi sul<br />
capitale a Giacomo Costa, che aveva due fornelli per la trattura<br />
ed era esperto di macchine da fi latoio. Il vecchio prete si affi da nel<br />
1762 ad Aurelio Rossetti che sei anni dopo ne diviene proprietario.<br />
4 F. Chiappa, I prodromi delle attività imprenditoriali private palazzolesi, Palazzolo,<br />
Masneri, 1988, p. 61<br />
G. Pezzoni, Istoria dei fatti accaduti nel paese di Palazzolo a cura di F. Ghidotti, Palazzolo,<br />
Soc. Storica Palazzolese, 1987, p. 147<br />
5 F. Chiappa, Prodromi. p. 50.<br />
6 Nella nota dei miglioramenti risulta che il prete Giovanni Palazzoli ha fatto fabbricar<br />
un fi latoio di seta di due ordini in casa sua in contrada di Carvasaglio, valutato<br />
L.800<br />
21
22<br />
Raccolta di tavole dalla Encyclopédie, Il fi latoio detto “piemontese”, p. 568-569
Il fi glio Giovanni nel 1780 dichiara che “il non privilegiato fi latoio<br />
di seta di mia ragione dicesi essere stato eretto nel principio di questo<br />
secolo e poscia nell’anno 1770 fu da me sottoscritto ingrandito e<br />
ridotto in miglior forma alla piemontese e bolognese” 7 . Intorno agli<br />
anni 1788-89 è gestito da Domenico Spadazzino e verso la fi ne del<br />
secolo rimane inattivo. Tra il 1820-25 Livia Zamara rimise in attività<br />
il fi latoio, ora di due piante, di una binatrice e d’una incannatrice e<br />
dato in gestione a Benedetto Tedoldi di C. Antonio, e in seguito, fi no<br />
al 1868 a Costantino di Benedetto.<br />
4 - I Cavalleri, fi latori e commercianti di seta<br />
Bernardino Cavalleri è un commerciante in seta e fattore di<br />
Giulio Duranti. Suo fi glio Antonio (1667-1744) ai primi del secolo<br />
XVIII fabbrica dalle fondamenta un casamento ad uso di fi latoio<br />
in contrada del Dosso, a Riva, su un fondo che nel 1641 era di Gio.<br />
Giacomo Terzi.Il fi latoio aveva tre piante, ciascuna di cinque ordini,<br />
ed era mosso dall’acqua del canale Carvasaglio. Con lui operano i<br />
fi gli Carlo (1702-1740) e Giuseppe (n. 1703) che accrescono l’attività<br />
paterna di lavorazione e commercio della seta prendendo in affi tto<br />
altri due fi latoi: uno del conte Faustino Duranti e l’altro degli Omboni.<br />
Essi fanno fi lare a domicilio le sete acquistate con capitali in<br />
società coi signori Ruffi ni di Brescia. Nel 1750 8 dichiarano un reddito<br />
di £.4.500. Nel 1761 questo fi latoio è “privilegiato” cioè esente da<br />
imposte, perchè dotato di macchinari moderni per i quali sono stati<br />
investiti molti capitali. Nel 1767 è dato in affi tto a Francesco Duranti,<br />
nel 1788 a Benedetto Tedoldi e viene gestito da Francesco Cicogna.<br />
Giulia Metelli, vedova di Bernardino, nel 1791 aveva ancora in attività<br />
in casa propria quattro fornelli per la trattura della seta.<br />
5 - I Nazari dalla fucina al fi latoio<br />
Verso la fi ne del ‘500 Antonio Nazari e il fi glio Bettino, di Borgo<br />
7 Brescia, Arch Stato. Canc. Prefett, Sup., b. 47, fasc. 1780<br />
8 L. Mazzoldi, L’estimo mercantile del territorio 1750, Brescia, Ateneo di Brescia,<br />
1966, pp. 103-106<br />
23
di Terzo in Valle Cavallina, si stabilirono a Palazzolo ed il 15 giugno<br />
1594 acquistarono da G. Paolo Polino di Brescia il maglio del<br />
ferro, azionato dall’acqua del canale Gardale scendente dal Dosso<br />
nella Quadra di Riva. Prima dei Nazari vi aveva lavorato Battista<br />
de Curtellis, che da Via Carvasaglio, vi si era trasferito agli inizi del<br />
secolo XVI. Antonio muore nel 1603 e l’attività della fucina-maglio<br />
resta in mano ai fi gli Bettino (nato nel 1569) e Bartolomeo (nato nel<br />
1575), che la gestiranno per circa 50 anni. I Nazari, oltre al maglio,<br />
avevano nella loro casa un fi latoio di proprietà di Giovanni Faglia,<br />
condotto fi n dal 1680 da Pietro Giolla: era di una sola pianta e mosso<br />
dal canale Gardale. Verso l’anno 1720 questo edifi cio viene demolito<br />
e poi rifatto più grande per collocare un fi latoio di due piante.<br />
Dai documenti di una lite seguita per anni con i Duranti per l’uso<br />
dell’acqua di detto canale, sappiamo che, con una spesa di £.1.330<br />
i fratelli Urgnani Cristoforo e Francesco, quest’ultimo cognato del<br />
Nazari, avevano portato a termine il nuovo opifi cio. La gestione Urgnani-Nazari<br />
durò circa otto anni, ma non diede i risultati sperati<br />
e nel 1730 il fi latoio viene affi ttato a Giacomo Muzio, dal 1740 era<br />
ritornato in mano dell’Antonio e del fi glio Polidoro, ma con scarsi<br />
risultati.<br />
In un documento del 1744 9 si legge “Antonio Nazari, stropio,<br />
con dieci fi glioli tutti piccoli, con cinque femmine, tre al presente in<br />
stato nubile. Possede un maglio piccolo, che in casa esercita e lavora<br />
di rappezzeria e non di mercanzia; et un fi latoglio di due piantelle<br />
di soli due ponti, co’ quali lavora a fortuna, restando la maggior<br />
parte dell’anno vacante, da quali non ritrae utilità suffi ciente per il<br />
mantenimento di sè, moglie e sua famiglia, e ogn’anno gli convien<br />
addossarsi qualche capitale oltre li debiti livellarij di scudi 78. Lavora<br />
le sete con il suo fi latoglio ad altri di fortuna non havendo esso<br />
capitale per detto lavorerio”.<br />
Alla morte di Lellia Nazari nel 1747 si apre una lunga vertenza<br />
tra i Nazari e gli Urgnani che nel 1752 ottengono un terzo dei beni<br />
dotali della nonna Piccinelli ed il rimborso delle spese affrontate per<br />
costruire il fi latoio maggiorate degli interessi. Morto l’Antonio nel<br />
9 F. Ghidotti, Palazzolo 1744 beni .... cit.<br />
24
1758 , il fi latoio torna a Polidoro e fratelli, che dal 1763 lo affi ttano<br />
a Pietro Amus 10 ; dal 1784 e per diversi anni è gestito da Francesco<br />
Duranti e dal fi glio Giuseppe. L’attività andò sempre più decadendo<br />
e nel 1791 venne acquistato da Antonio Gorini che in quei locali<br />
installò un fi latoio, un mulino e una pestatoia.<br />
6 - I Muzio commercianti di seta<br />
Giacomo Muzio di Gerolamo commerciante di seta con un fi -<br />
latoio a Brescia, compra dall.mo conte Giovanni Asperti e fratelli<br />
fu Giacomo di Bergamo una casa con fi latoio per scudi 3800 e ne<br />
prende possesso lo stesso 14 ottobre 1705. Si tratta di “un casamento<br />
murato,cupato et solerato con dentro l’edifi zio di fi latolio con horto<br />
contiguo alla seriola di Chiari, situato nella terra di Palazzolo,in contrada<br />
della Piazza sive de Carvasaglio, quadra di Mercato,distretto<br />
di Brescia. Alla qual casa ed horto confi na da mattina la sopradetta<br />
seriola di Chiari, a mezzodì d.Francesco Tamanza et parte ingresso<br />
comune, a sera l’ill.mo sig. Giulio Durante con le case furono del fu<br />
Marc’Antonio Durante, a monte il detto sig. Giulio con horto et casa<br />
di sua propria abitazione…con le ante,vetrij, tellari et ogni altra cosa<br />
murata et non murata esistente in essa casa di raggione di detti sigg.<br />
conti venditori et massime utensili pertinenti al detto edifi zio che<br />
s’attrovavano al tempo del recesso dal detto edifi zio del sig.Pietro<br />
Cortese et tutto quello che possa essere sta consegnato del detto sig.<br />
Pietro al sig. Lucio Paganino….”. Davanti al notaio il Muzio sborsa<br />
subito 1000 scudi ed il resto si impegna a pagarlo in tre anni con un<br />
interesse del 3% all’anno.<br />
Dal 1730 e per circa dieci anni, gestisce anche il fi latoio Nazari,<br />
attivato nel 1722 nella zona “Maglio” sulla Riva. Il fi glio Giuseppe<br />
(1688-1745) dichiara nel 1744 che “ha moglie, due fi glioli maschi<br />
secolari, altro prete, un fratello e gli paga livello et una fi glia nubile<br />
e possiede un fi latoglio di piante due e ponti tre, lavora seta, parte<br />
propria e parte ad altri e qualche parte dell’anno va a vuoto, può ri-<br />
10 Pietro Amus, fi glio di Esposto e di Caterina Turini da Lugano, nasce nel 1722.<br />
Nel 1742 sposa Lucrezia Marcandelli<br />
25
traer dal lavorerio scudi 120”. Egli muore nel 1745 a 57 anni d’età.<br />
Nell’Estimo 1750 troviamo che Giacomo e Giovanni, fratelli di<br />
Giuseppe “hanno un fi latoglio proprio e traffi cano di seta, con un<br />
reddito di £.2.800” . Sono tra i più ricchi fra i commercianti palazzolesi.<br />
Probabilmente la loro ricchezza è derivata del commercio delle<br />
sete a cui si dedicano. Potenziato in quegli anni, è il primo fi latoio<br />
che nel 1761 viene classifi cato tra i “privilegiati” 11 , cioè esente da<br />
dazi, perchè dotato di un impianto alla “bolognese”, allora considerato<br />
all’avanguardia. Nel 1766 Giacomo è “negoziante di seta<br />
e appaltatore di dazi”.Il Pezzoni annota sotto la data del 5 marzo<br />
1783 “E’ stato rubato la notte scorsa un sacco di seta bianca nel fi latoglio<br />
del sig.Giacomo Muzio.” Muore il 5 novembre 1798. Dei suoi<br />
13 fi gli: Giuseppe, nato nel 1760, è anche lui fi latogliere, sposa la<br />
contessa Teodora Gambara di Brescia, Caterina sposa Carlo Antonio<br />
Tedoldi, Giovanni Battista (n. 1766), fi latogliere, muore nel 1836 di<br />
colera.<br />
7 - I Piccinelli una famiglia di fi latoglieri<br />
Alessandro Piccinelli, di Gio. Giacomo, nato nel 1693, inoltrò il<br />
17 dicembre 1726 una richiesta ai Compartecipi della seriola Fusia<br />
perchè gli concedessero il permesso di porre una ruota nel canale<br />
Carvasaglio per il fi latoio che stava costruendo nel luogo detto<br />
l’oster, verso al strada delle Teze. I compartecipi, sentito il parer del<br />
tecnico G. Antonio Paganini12 accondiscesero alla richiesta. Nella<br />
11 Brescia, Arch, Stato. Arch. Congrega, b. 171, m.5. seriola di Chiari<br />
Brescia Arch. Stato, Canc. Pref. Sup. b. 47. Nella “notta delli fi latoglij denominati esenti<br />
con Ducali dell’ecc. Senato per le sete lavorate alla bolognese e turinese ed orsogli” del 1777<br />
si legge “ ss.ri f.lli Muzij di Palazzolo graziati da 22 marzo 1742 per anni 25, termina<br />
21 marzo 1772”.<br />
12 Il tecnico Gio Antoni Paganini, dovendo costruire una ruota da porre nel canale<br />
Carvasaglio largo brazza 5 (m.2,50) per servire al fi latoio di Alessandro Piccinelli,<br />
illustra ai Compartecipi del canale della Fusia gli interventi che dovrà eseguire:<br />
1-solare il fondo del dugale di lasse per brazza otto (m.4), cioè quattro avanti e<br />
quattro sotto la ruota, 2-il canale dove si muove la ruota ha da esser largo 18 oncie<br />
(cm.72);3-la partidora ossia chiaveghetto sarà di grossezza oncia una (cm.4) per<br />
dar l’acqua e levarla, 4-il dugale naturale dove correrà continuamente l’acqua sarà<br />
26
elazione del Paganini si legge che il Piccinelli “Ha principiato la<br />
fabbrica di un fi latoio in altezza di brazza 24 in circa con fi nestre<br />
e ferrate da fondamenti, sopra un fondo cittadino in contrada del<br />
Salnitro, descritto nel catasto 1641, n.6 posta terza, sotto il nome<br />
di Agostino e fratelli fu Giacomo Duranti. Possede anche l’osteria<br />
della Posta affi ttata ad altri.” Fino al 1739 aveva esercitato anche il<br />
commercio dei legnami alle Calcine.<br />
Nel 1744 dichiara di avere 3 fi glioli piccoli, e di possedere “un’<br />
osteria al presente affi ttata a Pasqualino Carminati che paga all’anno<br />
170 scudi di affi tto e possede un fi latoio di piante due, con ponti tre<br />
e lavora per altri non avendo esso capitale, ma solo capitali passivi<br />
sopra i suoi beni e massime d’un capitale che paga £.170,12 annue”.<br />
Bortolo di Alessandro (1729-1808) nel 1767 e nel 1788 è massaro comunale<br />
ed il fi latoio paterno è di sua proprietà. Nel 1810 risulta<br />
intestato a Cicogna Pietro di Francesco e in quei locali si insedierà<br />
più tardi il Bottonifi cio Lanfranchi.<br />
8 - Gli Omboni, setaioli e tintori<br />
Negli atti di nascita accanto al cognome Omboni viene spesso<br />
aggiunto “tentori-tintori” da Sabbio, luogo di provenienza. Giovanni<br />
Battista Omboni fu Giacomo, doveva essere in paese da qualche<br />
anno quando nel febbraio 1641 sposa donna Barbara, fi glia del fu<br />
Gio. Giacomo Calzone che, probabilmente, gli porta in dote una<br />
parte della casa paterna, situata in Contrada dei Molini, dove l’Omboni<br />
costruisce il suo fi latoio.<br />
Il fi glio Giacomo, fa il tintore, è sposato con Laura; dal 1675 al<br />
1691 ha otto fi gli, dei quali continuerà la stirpe Gio. Battista, nato<br />
nel 1682. Francesco di Giovanni Battista, nato nel 1702, fabbrica nel<br />
netto brazza 3 (m.1,50), oncie 4 (cm.16) e per lasciare più spazio all’acqua di scorrere,<br />
sarà allargato di brazza 1 (cm.48), sopra il terreno del Piccinelli, così che il<br />
dugale ha da esser di brazza 4 (m.2), oncie 4 (cm.16), 5-la ruota sarà posta sopra la<br />
riva e sarà di altezza brazza 9 (m.4,30), 6-le pale avranno una larghezza di oncie 16<br />
(cm.64) e la ruota sarà alta dal fondo del dugale oncie una (cm.4). (1 oncia = cm.4 - 1<br />
brazzo = 12 oncie = cm.48)<br />
27
28<br />
Musei Provinciali di Gorizia, torcitoio circolare da seta, XVIII° sec.
1728 in Contrada dei Molini un nuovo fi latoio, alimentato dall’acqua<br />
della seriola Vetra; per un certo periodo lavora anche per Antonio<br />
Cavalleri. Nel 1750 l’azienda dell’Omboni è stimata in £.250<br />
per la tintoria e £.690 per il fi latoio e il traffi co della seta. Nel 1766<br />
lo ingrandisce per impiantarvi nuove macchine all’uso piemontese.<br />
Muore a 72 anni nel 1775 13 .<br />
Il fi glio Giuseppe (1728 - Brescia 1777) “benchè privo di cultura<br />
letteraria e occupato quasi sempre nel suo negozio e nei lavori della<br />
seta in fi latura, trovó, come ricorda Vincenzo Rosa,il tempo di scrivere<br />
con naturalezza ed attenzione, in un grosso libro, gli accidenti<br />
suoi propri e quelli del paese e dei suoi amici, massime alla loro<br />
morte. Il fi glio Pietro, nato nel 1750, continua l’attività di fi latore<br />
nella fabbrica del nonno Francesco accanto alla zio Giovanni Bat-<br />
13 Brescia, Arch. Stato, Canc. Pref. Sup., b. 42.<br />
“Palazzolo l0/l/1789 Obbediente alli venerati comandi dell’ecc.ma carica prefetizia<br />
di Brescia, espongo io infrascritto proprietario che il mio fi latoglio non privilegiato<br />
esistente in questa terra, contrada de Molini, fu fabbricato fi n dall’anno 1728<br />
ed indi ingrandito nel 1766 all’uso piemontese, andate ad acqua, composto di valeghi<br />
n. 24 del fi lato e n. 12 del torto”. Pietro Omboni prosegue dicendo che ha alle<br />
sue dipendenze 20 uomini e 40 donne binatrici, oltre a 150 altre donne incannatrici<br />
lavoranti a domicilio in Palazzolo e nei paesi vicini. La mercede corrisposta è: per<br />
ogni libbra di seta ridotta in organzino soldi 20 alle incannatrici (“o sia maestre di<br />
carello”), soldi 12 alle binatrici, soldi 10 ai fi latori e soldi 5 “alli torsidori compresa<br />
la caratura “. La manutenzione del fi latoio e degli edifi ci comporta una spesa annua<br />
di L. 3.000. Le mercedi da moltissimi anni sono fi sse ed immutabili; la stragrande<br />
maggioranza degli organzini sono esportati e pochissima seta rimane utilizzata<br />
dalle tessiture della Repubblica di Venezia. La utilizzazione del fi latoio è ridotta a<br />
7/8 mesi all’anno e nonostante una possibilità lavorativa di 11.000 libre piccole di<br />
seta, la produzione media è di 8.000 libre di organzino e 200 libre di trame. L ‘utile<br />
dell’azienda è da venti anni a questa parte sempre minore ed attualmente l’utile<br />
non supera i 10 soldi per libra di organzino”. Anche Francesco Omboni pensa che<br />
la causa della attuale decadenza dei fi latoi sia da imputare da una parte alla eccessiva<br />
concorrenza, e dall’altra ai sempre più diffusi contrabbandi così che per molti<br />
mesi all’anno “tante povere maestranze rimangono inoperose, senza mestiere ed in<br />
stato di mendicità “ ed i proprietari ed i gerenti hanno diffi coltà a reperire i capitali<br />
necessari per sostenere la concorrenza sempre più spietata.<br />
29
tista (1729-1809) 14 , che dal 1788 gestisce anche il fi latoio del conte<br />
Alfonso Duranti.<br />
9 - Confl itti di lavoro<br />
Il cavalier Durante Duranti era rimasto offeso per aver avuto<br />
una decisa risposta da parte di Francesco Bettinelli, maestro di fi latoio<br />
di Gio Battista Omboni (1729-1809), che era stato sbeffeggiato<br />
per strada dal Duranti. Così il cavaliere lo fece licenziare dal suo padrone.<br />
Scrive il Rosa “non ebbe appena licenziato l’Omboni il Bettinelli,<br />
che tutti i lavoranti unitamente chiamaron licenza, dicendo<br />
al padrone stesso che facesse venire il Duranti a lavorare la seta”.<br />
L’Omboni, per non trovarsi in diffi coltà nel suo lavoro trasgredì<br />
l’ordine del Duranti e riammise al lavoro il Bettinelli<br />
Nel 1819 un gruppo di lavoratori del fi latoio di Giuseppe Omboni<br />
(di Gio Battista) il 20 agosto indirizzano una richiesta scritta<br />
per avere un aumento della retribuzione, che era fatta in ragione<br />
di soldi 11 per ogni libra di organzino prodotta. Quando la seta era<br />
di qualità scadente, per ottenere una libra di prodotto si impiegava<br />
più tempo e quindi i lavoratori ottenevano meno compenso per la<br />
stessa durata del lavoro.<br />
In altre fabbriche palazzolesi, in considerazione che la materia<br />
prima era scadente, il compenso ai fi latori era stato aumentato di<br />
un soldo a libra. Da qui la richiesta dei dipendenti dell’Omboni,<br />
che si rivolse, attraverso il fi glio Gio. Maria, all’autorità comunale.<br />
I fi rmatari della richiesta vennero chiamati singolarmente dal primo<br />
deputato comunale, che era Gerolamo Duranti fi glio del Durante.<br />
Ognuno espose le proprie ragioni, vennero tutti minacciati dell’applicazione<br />
dell’art. 229 del Codice dei delitti e delle gravi trasgres-<br />
14 V. Rosa, Memorie sulla contesa nata in Palazzolo l’anno 1778 per i banchi della nuova<br />
parrocchiale, a cura di F. Ghidotti, Palazzolo, Fondazione Cicogna-Rampana, 2003,<br />
p. 53<br />
Palazzolo, Arch. Storico Com, cart. 14, fasc. 93 - cfr. F. Ghidotti, Un sindacalista a<br />
soggetto, in “Il Brescia”, 15-11-1969<br />
Nell’anno 1816 gli abitanti di Palazzolo erano 3173, di cui maschi 1556, femmine<br />
1617.<br />
30
sioni politiche se non fossero tornati al lavoro.Alla fi ne cinque dei<br />
nove scioperanti ripresero il lavoro. Gli altri quattro resistendo alle<br />
intimidazioni, lasciarono il posto. E sono Luigi Belotti, Luigi Gaioncelli,<br />
Giovanni Consoli e Francesco Lanzini.<br />
10 - La situazione nel 1744<br />
Un quadro della situazione degli opifi ci ci viene fornita dal già<br />
citato documento steso dal cancelliere comunale Giacomo Antonio<br />
Bonadei nel 1744.<br />
Il primo imprenditore è Antonio Cavalleri che, oltre al suo (3<br />
piante e 4 ponti), tiene in affi tto i fi latoi Duranti (1 pianta) e Omboni<br />
(2 piante e 3 ponti) nei quali lavora sete proprie, acquistate coll’aiuto<br />
di capitali dei signori Ruffi ni di Brescia, sete che sono fi late a<br />
domicilio in Palazzolo. Segue Giuseppe Muzio (2 piante e 3 ponti)<br />
che fi la sia seta propria che di altri. Lavorano sete altrui Giuseppe<br />
Paganini (3 piante e 4 ponti) e Alessandro Piccinelli (2 piante e 3<br />
ponti).<br />
Gli altri fi latoi di Zaccaria Palazzoli (l pianta), Antonio Nazari<br />
(2 piante e 2 ponti) e dell’Ospedale di Brescia (ex Nassini, affi ttato<br />
ai fratelli Duranti) di una pianta, lavorano saltuariamente o sono<br />
inattivi.<br />
Nel l752 un nuovo fi latoio di 2 piante di proprietà di Francesco<br />
Paganini fu Bertolino, ubicato in contrada Carvasaglio e mosso dall’acqua<br />
della Vetra si aggiunge ai primi nove.<br />
11 - Il contributo dell’attività serica per la costruzione della nuova<br />
parrocchiale 15<br />
Fra i benefattori della nuova chiesa, scrive il Galignani, sono da<br />
annoverare “le donne che col maneggiar il fuso e le dita fi lando nei<br />
giorni festivi, hanno recato qualche benefi cio in quest’anno (1751)<br />
alla fabbbrica suddetta, poichè d’utile si è cavato dalla lor fi latura<br />
scudi 130, tutto che principiato habbino assai tardi a fi lare”. Inoltre<br />
15 B. Galignani, Historia semplice ma veridica della fabbrica della nuova e magnifi ca<br />
parrocchiale archipresbiterale di Palazzolo, a cura di F. Ghidotti, in ”Memorie illustri di<br />
Palazzolo sull’Oglio”, 1980-82, pp. 183<br />
31
“è stata messa una taglia di un ducato d’argento a cadaun fornello<br />
di seta che si fi la in Palazzolo, qual taglia a pagarla è stato il primo<br />
Girolamo Foresti, pagò 10 ducati per i suoi 10 fornelli che in sua casa<br />
aveva”. Il 1753 è ricordato per “haverci dato in quest’anno copiosissimo<br />
raccolto di galette, che sono d’un gran benefi cio al paese”, e<br />
l’anno successivo “ tutte le fi lande di seta nella festa di S. Maria<br />
Maddalena hanno continuato il lor lavorerio, dandosi alla chiesa da<br />
padroni tutto l’emolumento di quel giorno.”<br />
12 - I Paganini, marengoni e fi latoglieri in Piazza<br />
Nell’estimo del 1641 troviamo i fratelli Bertolino e Giuseppe Paganini<br />
fu Lucio. Giuseppe, sposa nel 1598 Francesca Beppi, da cui<br />
ha tre fi gli: Bertolino (n.1599), Giuseppe (n.1604) e Camillo (n.1607).<br />
Un fi glio di Camillo, anche lui di nome Lucio, nato nel 1637 , gestisce<br />
il fi latoio di Bonomo Bonomi lumezzanese, in attività dagli anni<br />
1670-80. I suoi fi gli Giovanni Battista (n.1669) e Baldassare (n.1672)<br />
ristrutturano verso il 1690 la loro casa ed il fi latoio con sovvenzioni<br />
dei Duranti. In un documento d’archivio si può infatti leggere:”<br />
Gio. Battista e fratelli Paganini per miglioramento della loro casa<br />
d’una loggia con quattro colonne di pietra e due treze, con scala di<br />
pietra et uno staletto con tre camere nella suddetta loggia, descritto<br />
in catastico 1641 al n.114 posto sotto il nome di Giuseppe Paganini<br />
e fratello fu Lucio stimato £. 3000; ancora per miglioramento di fabbrica<br />
nuova a fondamenti a mattina della loro casa un edifi cio di tre<br />
piante di fi latoio di seta di due ruote di cinque ordini per cadauno<br />
compreso il terraneo estimato tutto con l’acqua livellata al comune<br />
di Chiari £.1800 “.<br />
Il fi latoio era in via dei Molini e mosso dall’acqua della seriola<br />
Vetra, quella che oggi alimenta la fontana del cortile del Palazzo<br />
Comunale.<br />
Giuseppe di Baldassare, nasce nel 1695, nel 1744 dichiara che<br />
“ha moglie, quattro fi glij maschi e quattro femine nubili, possede un<br />
fi latoio di tre piante con ponti quattro con cui lavora ad altri, non<br />
avendo esso capitali per lavorare seta propria et la maggior parte<br />
dell’anno sta vacante e paga di livello perpetuo alla spett. Comunità<br />
di Chiari £.190, ha molti debiti sopra detto edifi tio”.<br />
32
Carlo Paganini, fi glio di Giuseppe, ha due fi glie Elisabetta e<br />
Maddalena, che sposeranno due fratelli Camorelli. Le tre fi glie di<br />
Elisabetta: Caterina, Francesca e Teresa sposeranno tre fratelli Cicogna.<br />
Come si vede i legami fra i fi latoglieri di Palazzolo erano resi<br />
più stretti dai matrimoni!<br />
Francesco, di Bertolino è invece mastro marengone come il nipote<br />
Francesco di Bartolomeo (1710-1776) che nel 1744 dichiara che<br />
“ha moglie e tre fi glioli piccoli, marengone di edifi tij di fi latoio solamente<br />
e può guadagnare un anno con l’altro, non essendo continuo<br />
ne certo il lavorerio, circa scudi 50 all’anno con cui vive”. E’ quindi<br />
un tecnico nella costruzione di m meccanismi per i fi latoi. Ha anche<br />
in affi tto per 40 lire piccole il portico della rassica di proprietà comunale.<br />
Francesco di Giuseppe (1713) sposa nel 1741 Giulia Gatti e dichiara<br />
che “ha moglie, è marengone di legnami per ruote per edifi tij,<br />
può guadagnare a nostro giudizio scudi 40 con cui vive” Come si<br />
può capire questo Giuseppe è specializzato nella costruzione delle<br />
ruote idrauliche; è probabilmente lui che nel 1752 deve aver ristrutturato<br />
l’edifi cio che un tempo ospitava la fucina di Martino de Azano.<br />
16<br />
Da un prospetto dal l762 risultano essere attivi 42 fi latoi nel territorio<br />
provinciale e l2 in città e nelle chiusure. A Palazzolo e Chiari<br />
ne sono concentrati 22. Ai 12 di Chiari, che conta oltre 6000 abitanti,<br />
fanno riscontro i l0 di Palazzolo, che con 2500 abitanti è il centro più<br />
industrializzato del bresciano.<br />
16 Brescia, Arch. Stato. Canc. Pref. Sup. b. 47. Elenco dei proprietari o dei gestori dei<br />
fi latoi nel 1762<br />
1 - Cavalleri Bernardino fu Antonio, 2-Muzio Giacomo, 3-Palazzoli eredi di don<br />
Giovanni, 4-Nazari Antonio, 5-Duranti mons. Andrea, 6-co. Duranti Faustino, 7-<br />
Paganini Giuseppe, 8-Piccinelli Alessandro, 9-Omboni Francesco, 10-Paganini<br />
Francesco.<br />
Brescia, Arch. Stato, Canc. Pref, Sup. b. 47, Elenco…… nel 1767<br />
1 - Cavalleri aff. Francesco Duranti, 2-Muzio Giacomo, 3-Palazzoli aff. Rossetti Aurelio,<br />
4-Nazari aff.a Pietro Amus, 5-Duranti mons. venduto a Rossetti A., 6-Duranti<br />
co. A. aff. Omboni G. Battista, 7-Paganini Giuseppe, 8-Piccinelli Alessandro, 9-Omboni<br />
Francesco, 10-Paganini Francesco aff. Rossetti A.<br />
33
Questa concentrazione non era certo occasionale, ma frutto di<br />
precisi motivi di convenienza quali abbondanza di forza motrice,<br />
facile approvvigionamento di combustibile (legna) proveniente dalla<br />
Valle Camonica, via lago d’Iseo-Oglio, estesa coltivazione dei gelsi<br />
ed infi ne, forse la più importante, vicinanza dei confi ni collo Stato<br />
di Milano e facilità di poter esercitare scambi senza pagare i pesanti<br />
dazi imposti dalla Repubblica Veneta.<br />
Tre dei nostri fi latoi (Muzio, Tedoldi, Duranti) sono “privilegiati”,<br />
cioè ottengono dal governo veneto l’ esenzione dal dazio sulla<br />
seta per aver introdotto nei loro opifi ci la lavorazione “alla piemontese”<br />
che migliora la qualità del prodotto, ma esige maggiori impegni<br />
fi nanziari, di manodopera e di materia prima.<br />
13 - La famiglia dei setaioli Tedoldi<br />
Carlo Antonio, proveniente da Almenno nel 1744 dice che ha<br />
“moglie e cinque fi glioli piccoli, fa bottega di pannina, e ferrarezza<br />
qualche puoco e vende legname, il tutto in società con capitali<br />
d’altri e può aver d’utilità all’anno scudi 70 coi quali spesa la sua<br />
famiglia”. Alla metà del ‘700 il suo reddito tassabile subisce un incremento<br />
per aver fabbricato il fi latoio, migliorato il magazzino<br />
di ferrarezze e la macelleria. Egli muore a Palazzolo a 67 anni nel<br />
1762.<br />
Il fi glio Benedetto (1744-1783) intorno al 1780 acquista l’ex fi latoio<br />
Cavalleri. Suo fi glio Carlo Antonio (1768-1836) sposa nel 1790<br />
Caterina Muzio di Giacomo e Giulia Foresti. Di professione fa il sensale.La<br />
famiglia abita in Piazza e nel casamento ci sono una drogheria,<br />
un fabbro, un barbiere ed un calzolaio, tutte date in affi tto. Nel<br />
1791 nel suo fi latoio, posto fuori della porta di Carvasaglio, sono in<br />
attività tre fornelli di seta. Nel 1810 risulta a lui intestata la proprietà<br />
del fi latoio di seta ad acqua di due piante collocato nella contrada<br />
della vecchia parrocchiale (odierno Vicolo degli Umiliati ). Benedetto<br />
di Carlo Antonio (1790-1864) nel 1830-34 rimette in sesto l’ex<br />
fi latoio Palazzoli. Nel 1837 passa nelle sue mani la proprietà paterna<br />
acquistata dagli Zamara compreso il loro fi latoio. Due anni dopo<br />
è intestata alla moglie. Gli affari non vanno bene e nel 1858 questi<br />
beni sono di proprietà del Pio Luogo Narcisi di Palosco, che li affi tta<br />
34
ai fratelli Giacomo, Pietro e Costantino Tedoldi. Benedetto muore a<br />
74 anni nel 1864, la moglie Chiara due anni dopo. Nel 1869 il fabbricato<br />
viene demolito per far posto al bottonifi cio Taccini.<br />
Pietro è intestatario del mappale n. 102 in Vicolo degli Umiliati,<br />
che venderà al dott. Battaglia intorno al 1860. Costantino fi gura nel<br />
1868 ancora come titolare dell’ex fi latoio Palazzoli.<br />
14-Dopo il 1788 17<br />
17 Valore della foglia del gelso, dei bigatti, delle galette, della seta dal 1771 al 1800 dati<br />
ricavati dall’Istoria del Pezzoni:<br />
1771-la foglia de mori stette tra i 10 e i 25 soldi al peso.<br />
1772-Valse la foglia dall’una alle due lire al peso, le galette scarsissime valsero<br />
lire.<br />
1773- in maggio la semenza de bigatti nati lire 20 a ragion d’oncia di semenza, in<br />
giugno le galette lire 50 al peso<br />
1775-marzo, foglia de mori Lire 1,soldi 4 - 27 maggio, si vendeva la foglia L.2: s.5 al<br />
peso,ad al 30 L.1: s.10 anche pelata. Il raccolto delle galette fu generalmente abbondante<br />
e di ottima qualità, il loro prezzo è stato più vicino alle 70 che alle 60.<br />
1776 - 13 febbraio, vale la foglia de mori 24 soldi al peso d’estimo; l’organzino si<br />
dice molto ricercato - 2 aprile, foglia de mori L.1: s.10, organzino alla liretta 50 - 20<br />
aprile, dove è caduta la tempesta l’anno scorso la vite getta bene, ma i mori sono<br />
quasi tutti secchi, massime i rami novelli. La foglia è calata di prezzo e la semenza<br />
de bigatti lire 7 all’oncia - 21 aprile, nascono i bigatti e ne muoiono ancora moltissimi<br />
e la foglia è molto avanti, ma sì questi che quella sono poco cercati-8 maggio la<br />
foglia cresce,i bigatti stanno e la biada cala.<br />
1777 - 2 febbraio, foglia a broca secca L.1: s.10<br />
1778 - 8 dicembre, valevano organzino bergamasco alla libra 34, il bresciano 29.<br />
1780 - 7 giugno, vanno le galette lire 46 al peso.<br />
1781 - li bigatti sono assai belli e valgono all’oncia L.1: s.20-3 giugno, oggi la foglia<br />
de mori vale lire 3 al peso-4 giugno,oggi la foglia de mori valse soldi 8 al peso, li<br />
prezzi delle galette sono 48 lire al peso.<br />
1782 - 17 giugno, vale le galette 55, la foglia soldi 2 - 24 agosto, vale la seta sgressia<br />
lire 26, gli strazzi 17 e li doppioni 52.<br />
1783 - 18 giugno, valgono le galette 47 al peso<br />
1784 - 14 maggio, vale la foglia de mori 12 soldi-25 giugno, vale le galette 50 - 7<br />
agosto, vale le galette 43, la seta greggia alla fi era 27 la libra.<br />
1786 - 4 giugno, molti gettano via i bigatti per esser troppo cara la foglia che costa<br />
lire L.2: s.60 al peso - 1 agosto, valgono le galette 48 al peso.<br />
1787 - vale la seta greggia 44 lire la libretta.<br />
1788 - 28 aprile, i bigatti sono assai cari di modo che valgono sino 40 lire all’oncia e<br />
la foglia soldi 5 al peso - 28 maggio,valgono le galette 50 lire al peso ed il raccolto è<br />
stato assai abbondante in generale e la foglia non passò mai i 12 soldi al peso.<br />
35
Per la preparazione della foglia dei gelsi, durante la crescita del<br />
baco da seta (aprile-maggio) si richiedeva un forte impegno lavorativo<br />
alle famiglie dei contadini, quando si tenga presente che per<br />
allevare un’oncia di seme-bachi (32 grammi) occorrevano circa 800<br />
chilogrammi di foglia di gelso che davano 3 pesi di gallette (24 chilogrammi):<br />
il che signifi cava sfrondare, per ottenere quei 24 kg. di<br />
bozzoli, circa 50 piante di gelso, dal momento che ogni albero dava<br />
mediamente 2 pesi di foglia annualmente.<br />
Le operazioni preliminari di sgommatura e incannatura della<br />
seta erano compiute a domicilio,quelle successive di fi latura e torcitura<br />
nei fi latoi, da operai specializzati. Dall’elaborazione dei dati<br />
delle dichiarazioni rese da alcuni proprietari , risulta che le incanna-<br />
1789 - 14 maggio,vale la foglia L.1:s.2 al peso - 5 giugno,valgono le galette 47 al<br />
peso.<br />
1790 - 23 giugno valgono le galette 57 al peso - 6 agosto, vale la seta greggia 32 lire<br />
la libbra.<br />
1791 - 5 giugno,valgono le galette 50 lire al peso.<br />
1792 - 13 maggio vale la foglia dei gelsi soldi 22 al peso - 29 maggio, vale le foglia<br />
dei gelsi soldi 10 al peso - 7 giugno, valgono le galette al peso 65 lire - 7 agosto valgono<br />
le galette 54 lire al peso. Il raccolto di quest’anno in generale è stato scarso di<br />
quello dello scorso anno.<br />
1793 - 30 maggio, vale la foglia de gelsi soldi 20 al peso - 10 luglio, la raccolta delle<br />
galette in bresciana è la metà dello scorso anno, fertilissima invece in bergamasca<br />
e massime a monte.<br />
1794 - 8 maggio, la foglia dei gelsi a soldi 11 al peso, li bigatti sono assai belli - 18<br />
maggio, vale la foglia de gelsi 17-18 soldi e le galette 34 al peso - 4 giugno il raccolto<br />
galette è assai abbondante.<br />
1795 - 4 giugno, in quest’anno la foglia de gelsi vale soldi 3 al peso e ne resta una<br />
grande quantità essendo i bigatti quasi tutti presi dal contagio delle gatte - 16 giugno,<br />
il prezzo delle galette si è di lire 50 al peso<br />
1796 - 18 giugno,il prezzo delle galette è basso dicesi di lire 40.<br />
1798 - 22 maggio,vale la foglia dei moroni soldi 19 - 29 maggio, grande quantità di<br />
bigatti per cui a quest’ora che sono appena della quarta non si trova più foglia e si<br />
paga soldi 30 al peso - 30 maggio, vale la foglia lire 2 soldi 45 al peso. Molti gettano<br />
via i bigatti per vendere la foglia - 31 maggio, la foglia vale soltanto soldi 30.<br />
1800 - 14 maggio, vale la foglia de gelsi soldi 10 al peso.<br />
(Avvertenze: 1 peso = Kg. 8,02 = 25 librette = 10 libre grosse<br />
1 oncia = grammi 26,68 = 1/12 di libra; 1 libretta = 12 oncie = gr.320,25 = Kg.0,32<br />
1 lira = 20 soldi = 240 denari = 1 lira piccola)<br />
36
Palazzolo, mappa 1810. Ubicazione fi latoi del secolo XVIII°<br />
37
trici a domicilio e i lavoranti in fi landa raggiungevano il numero di<br />
1300, non solo abitanti in Palazzolo, ma anche nei comuni vicini.<br />
I salari erano dati a cottimo ed erano di 20 soldi alle incannatrici,<br />
12 alle binatrici, 10 ai fi latori, 5 ai torcitori, per ogni libra di seta<br />
ridotta in organzino. Confrontati col potere d’acquisto, i salari risultano<br />
molto modesti e devono essere integrati da altri proventi di attivita<br />
collaterali, soprattutto agricole, per bastare al sostentamento<br />
individuale e familiare.<br />
L’ orario di lavoro durava da un’Ave Maria all’altra, per 12 ore<br />
ed oltre; circa 85 erano i giorni festivi non lavorativi ogni anno.<br />
Pur in mezzo a diffi coltà ed incertezze si viene formando una<br />
classe di capi-maestri di fi latoio, di specializzati addetti alle manutenzioni<br />
e riparazioni,che passeranno al ruolo di responsabili, poi di<br />
affi ttuari e in qualche caso di proprietari di opifi ci.<br />
38<br />
(continua)
MICHELANGELO MARIANI,<br />
SACERDOTE E SCRITTORE PALAZZOLESE<br />
di Marino Gamba<br />
Di Michel’Angelo Mariani sino ad oggi si sapeva assai poco. Gli<br />
storici locali 1 , basandosi sulle scarne e non sempre precise notizie<br />
pubblicate da Leonardo Cozzando in una sua famosa opera 2 , scrivono,<br />
infatti, che era un prete secolare nativo di Palazzolo «d’ottime<br />
lettere, e d’eccellenti virtù», che aveva frequentato alcune corti<br />
europee e che «capitato a Venezia e conosciuto il suo valore, gli fu<br />
data in custodia la Libraria Publica e dichiarato Revisore de’ Libri».<br />
Notizie, queste ultime due, che risultano infondate.<br />
Dopo il Cozzando, altri scrittori accennarono al Mariani. E’ il<br />
caso di Francesco Amorosi, che ne parla come del «primo a scrivere<br />
di Trento e del suo circondario, ed a descrivere i luoghi, i prodotti<br />
e le particolarità artistiche, religiose ecc.». E aggiunge che, pur non<br />
essendo trentino, visse a Trento per lungo tempo, pubblicandovi la<br />
sua maggiore opera, ma che «non si conosce la di lui vita» 3 . O di<br />
Vincenzo Peroni che, ancor prima, annotava che era un prete secolare<br />
«da Palazzo», che nacque il 4 ottobre 1627 e «fu versato in ogni<br />
maniera di buoni studj. Frequentò le corti di Francia, Germania, e<br />
Baviera» 4 . Però, come preciseremo più avanti, il 4 ottobre 1627 non è<br />
1 Francesco Ghidotti, Famiglie palazzolesi dal secolo XV al secolo XVIII. Quattrocento<br />
anni di storia nelle vicende di cittadini illustri e popolani, Chiari, Nordpress Edizioni,<br />
2002, p. 40; Giacinto U. Lanfranchi, Breve storia di Palazzolo sull’Oglio. Note storiche di<br />
palazzolesi illustri, Bergamo, <strong>Ti</strong>pografi a Editrice G. Secomandi, 1959, p. 209<br />
2 Leonardo Cozzando, Libraria Bresciana. Prima e seconda parte, Brescia, Gio Maria<br />
Rizzardi, 1694, p. 281-282<br />
3 Francesco Ambrosi, Scrittori ed Artisti Trentini, Trento, Giov. Zippel editore,<br />
1894, p. 50. Ristampa anastatica, Bologna, Forni Editore, 1972<br />
4 Vincenzo Peroni, Biblioteca bresciana, vol II, Brescia, Bettoni e soci, 1818-1823.<br />
Ristampa anastatica, Bologna, Forni Editore, 1968, p. 215<br />
39
la data di nascita del Mariani, bensì quella in cui fu battezzato.<br />
Solo in epoca più recente Aldo Chemelli ha tracciato una serie di<br />
note circostanziate sulla vita e le opere del nostro sacerdote, facendo<br />
però riferimento, per i dati biografi ci, alle ricerche di padre Frumenzio<br />
Ghetta, dell’o.f.m. di Trento.<br />
La fortuita conoscenza 5 di questo appassionato ricercatore storico<br />
trentino, mi ha permesso di disporre oggi degli elementi necessari<br />
per approfondire la conoscenza del nostro illustre concittadino.<br />
Infatti, padre Ghetta, con grande disponibilità e generosità, mi ha<br />
messo a disposizione gli appunti ed il materiale raccolto nel corso<br />
delle sue lunghe ricerche 6 e sinora mai pubblicato.<br />
Da questa messe di dati esce la fi gura di un virtuoso educatore,<br />
di un intellettuale che ha goduto di un’alta considerazione prima<br />
a Trento e poi a Venezia, pubblicando diverse opere che all’epoca<br />
incontrarono un notevole successo. Procediamo però con ordine,<br />
partendo dai dati biografi ci del Mariani.<br />
Dati biografi ci<br />
Sul luogo d’origine del Mariani a lungo c’è stata confusione e<br />
disputa fra gli storici, in parte alimentata dallo stesso sacerdote. Infatti,<br />
a Venezia, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita e dove<br />
anche morì, egli teneva celata la sua origine bresciana. Non si sa<br />
per quale ragione; si può solo formulare qualche ipotesi. Le due più<br />
verosimili sono: forse perché si vergognava delle sue umili origini o<br />
forse perché, come ritiene invece padre Ghetta, i bresciani all’epoca<br />
non erano molto ben visti nella città lagunare.<br />
Sta di fatto che il necrologio7 , che riporta la sua morte (scoperto<br />
5 Ciò grazie a Paolo Cis, che nel corso delle sue ricerche storiche sulla Val di Ledro<br />
aveva già conosciuto padre Ghetta.<br />
6 Dopo aver scavato negli archivi trentini, padre Ghetta nell’estate del 1978 consultò<br />
gli archivi diocesani di Brescia e Bergamo; l’archivio della parrocchia di Santa<br />
Maria Assunta in Palazzolo sull’Oglio; gli archivi della Biblioteca Marciana e quello<br />
dei Frari di Venezia, oltre all’Archivio di Stato di Venezia; i registri delle parrocchie<br />
di S. Moisè e di Giovanni in Bragara di Venezia.<br />
7 Venezia, Archivio di Stato, Provveditori alla Sanità, Necrologio n° 901 a. Il de-<br />
40
dopo una lunga e paziente ricerca d’archivio da padre Frumenzio<br />
Ghetta), attesta che era nativo di Fano nelle Marche e che dimorava<br />
in Venezia nella parrocchia di Sant’Antonino, oggi soppressa.<br />
Emanuele Antonio Cicogna, un autorevole scrittore veneziano<br />
dell’Ottocento, nella sua opera Delle iscrizioni veneziane 8 , mentre a<br />
pagina 12 del quarto volume scrive (citando il Cozzando) che don<br />
Michel Angelo Mariani è di Palazzolo, nelle Correzioni e giunte fi nali<br />
riprende e conferma la tesi sostenuta a pagina 27 del terzo volume,<br />
dove scriveva che «Michelangelo Mariani o Marianni vissuto dopo<br />
la metà del secolo XVIII, io qui noterò da ultimo, quantunque di<br />
nascita non veneziano, ma da Vallico nella Garfagnana. In Venezia<br />
però stette lungo tempo». La precisazione è riportata a pagina 541<br />
del IV volume, dove annota: «Al Vol III p. 28 e Vol IV p. 12 Parlando<br />
di Michelangelo Mariani ho detto a p. 28, sull’altrui fede ch’egli era<br />
da Vallico, e a p. 12, ho detto pur sull’altrui fede ch’era di Palazzolo.<br />
Ora m’assicura il sig. Marchese Giuseppe Campori che il Mariani<br />
era veramente di Vallico nella Garfagnana Estense; come ha mostrato<br />
il <strong>Ti</strong>raboschi nella Biblioteca Modenese».<br />
L’equivoco in cui incorsero sia il Cicogna sia il marchese Campori<br />
nasce dal fatto che Girolamo <strong>Ti</strong>raboschi nel Tomo III, pag. 157,<br />
della sua citata opera parla sì di un Mariani, scrivendo che era «da<br />
Vallico nella Garfagnana sacerdote e professore di diritto canonico<br />
all’Università di Modena», ma non di Michelangelo, bensì di Lorenzo<br />
Antonio.<br />
E sì che già più di mezzo secolo prima un altro scrittore trentino,<br />
padre Giangrisostomo Tovazzi, commentando le opere di Michelangelo<br />
Mariani, e in particolare Trento, con il sacro Concilio, ecc.,<br />
cesso è così riportato: «Adì 14 ottobre 1697. Il molto rev.ndo Michel Angelo da<br />
Fanno, di anni 70 in circa, da febre continua e fruso, in 15 giorni: medico il Sardi.<br />
Fa sepelire il sig. Vincenzo Mariani suo fratello. S. Antonino». Anche nell’archivio<br />
della parrocchia di Giovanni in Bragara, che conserva i registri della parrocchia di<br />
S. Antonino, nel secondo volume dei morti (1655-1704) è annotato l’atto di morte<br />
del Mariani.<br />
8 Cfr. Emanuele Antonio Cicogna, Delle iscrizioni veneziane, Venezia, Orlandi edit.<br />
Ricotti tipog., 1834-1853<br />
41
avanzava l’ipotesi che fosse bresciano 9 .<br />
Le ricerche compiute nel 1976, ancora da padre Ghetta, presso<br />
l’archivio della Parrocchia di Santa Maria Assunta in Palazzolo pongono<br />
fi ne ad ogni disputa: Michelangelo Mariani è nativo di Palazzolo<br />
sull’Oglio. Infatti, il secondo registro dei battezzati (1608-1635)<br />
attesta che il 4 ottobre 1627 «Michel’Angelo Joseppe fi glio del Sig.<br />
Francesco Mariani et Donna Ottavia sua moglie, è stato batezato per<br />
me Ventura Acchiappati arciprete, compadri sig. Ottavio Schilini et<br />
signora Lucia Foresti».<br />
Ho già accennato, poco sopra, che all’epoca i registri parrocchiali<br />
annotavano solo la data del battesimo, non quella di nascita di una<br />
persona. Di solito il neonato era portato al fonte battesimale uno o<br />
due giorni dopo il parto. E’ lecito, dunque, ipotizzare che Michelangelo<br />
Mariani sia nato il due o il tre ottobre 1627.<br />
Anche il padre Francesco era nato a Palazzolo nel 1594, ed era<br />
il secondo dei quattro fi gli 10 di Medoro Mariani e Cecilia Zamara,<br />
mentre della madre Ottavia non si hanno altre notizie. Con ogni<br />
probabilità, non doveva essere originaria di Palazzolo perché il registro<br />
dei matrimoni non contiene alcuna traccia del sacramento celebrato<br />
fra i due sposi. Sappiamo anche che Francesco Mariani era<br />
un contadino, perché l’elenco delle polizze d’estimo dei contadini<br />
palazzolesi del 1641 11 riporta il suo nome assieme a quello del fratello<br />
Alessandro 12 . Oltre al nome del loro padre Medoro, il registro<br />
dei battesimi dell’epoca riporta anche i nomi di altri due Mariani:<br />
Gio Giacomo e Rinaldo. Non sappiamo però se questi due fossero<br />
imparentati con Medoro.<br />
9 Cfr. Giangrisostomo Tovazzi di Volano, Biblioteca <strong>Ti</strong>rolese. Memorie Istoriche degli<br />
Scrittori della Contea del <strong>Ti</strong>rolo, Tomo Primo (1780), Trento, Nuove arti grafi che,<br />
p. 130-134<br />
10 Gli altri tre erano: Scholastica (1591), Claudia (1595) e Alessandro (1604)<br />
11 Cfr. Francesco Ghidotti, op. cit., p. 86<br />
12 Di Alessandro era fi glio anche don Ambrogio Mariani, che nel gennaio 1706<br />
dai Deputati della Quadra di Mura sarà nominato Rettore di San Giovanni Evangelista.<br />
Cfr. Franco Chiappa, La chiesa di S. Giovanni Evangelista della Quadra di Mura,<br />
Brescia, <strong>Ti</strong>pografi a Fiorucci, 1966, p. 53<br />
42
Mariani Francesco e sua moglie Ottavia, oltre a Michelangelo<br />
avevano avuto altri cinque fi gli: Vincenzo Josif nel 1629, Gioseffo<br />
Vincenzo nel 1631, Maria Cattarina nel 1635, Medoro nel 1637 e Carlo<br />
Gio Battista nel 1639. Potrebbe essercene stato anche un sesto,<br />
una sorella per la precisione, di nome Laura, nata nel 1623, ma ciò<br />
resta nel dubbio perché il secondo libro dei battezzati (1608-1635)<br />
della parrocchia di Santa Maria Assunta in Palazzolo è macchiato<br />
dall’umidità e la pagina in questione è in parte illeggibile.<br />
Poiché, dalle scarne notizie biografi che che circondavano la vita<br />
di Michelangelo Mariani, appariva con certezza che era un sacerdote,<br />
padre Ghetta venne a Brescia per averne conferma dall’Archivio<br />
diocesano. Nei Libri delle Sacre Ordinazioni (8° volume), egli ha<br />
trovato annotato che il 23 aprile 1643 il Mariani ricevette l’ostiariato<br />
ed il 3 maggio 1643 il lettorato. Purtroppo i libri successivi al 1643,<br />
e fi no alla fi ne del XVII secolo, sono andati perduti, sicché non gli<br />
è stato possibile conoscere la data dell’ordinazione sacerdotale del<br />
Mariani.<br />
Padre Ghetta non si è però dato per vinto. Considerato che Bergamo<br />
è più vicina a Palazzolo di Brescia, e tenuto conto che non<br />
era infrequente che i giovani ordinandi si recassero in altre diocesi<br />
vicine per ricevere l’uno o l’altro degli ordini, egli ha provato a<br />
verifi care anche nell’archivio della diocesi di Bergamo se esistesse<br />
una qualche testimonianza al riguardo. Purtroppo, anche in tale archivio<br />
mancava proprio il volume delle ordinazioni comprese negli<br />
anni 1626-1676.<br />
Nei Libri degli Atti Visitali della diocesi di Brescia (volume 28),<br />
padre Ghetta ha però trovato un’interessante nota riferita alla visita<br />
alla parrocchia di Palazzolo, effettuata il 21 maggio 1648. Essa<br />
segnala che fra i chierici parrocchiali c’era: «Dominum Michaelem<br />
Marianum, quattuor minoribus insignitum». Dunque, è certo che<br />
nel 1648 il Mariani aveva già ricevuto i quattro Ordini minori. Resta<br />
sconosciuta la data ed il luogo in cui il sacerdote ricevette gli Ordini<br />
maggiori, anche se è lecito supporre che l’ordinazione sia avvenuta<br />
tra il 1651 ed il 1652, cioè all’età di circa 24 anni, com’era prassi<br />
usuale per i seminaristi che avevano compiuto regolarmente i loro<br />
studi.<br />
43
Prima di procedere oltre, analizzando la vita e le opere di Michelangelo<br />
Mariani, è bene chiarire subito se egli sia stato custode della<br />
Biblioteca Marciana, come asserito da alcuni autorevoli studiosi del<br />
passato, nonché da studi più recenti.<br />
Fu, forse, custode della Biblioteca Marciana?<br />
Come ricorda Jacopo Morelli13 , la carica di custode della Marciana<br />
fu istituita nel 1626 con un decreto del Senato veneziano, e<br />
l’incarico affi dato a Giovanni Sozomeno, cui sin dal 1609 era stata<br />
imposta la cura di riordinare la libreria. Al Sozomeno nel 1633 succedette<br />
Sante Damiani, un frate minore conventuale, cui seguì Giovan<br />
Matteo Brustonio, di Cipro, eletto nel 1659. A questi, nel 1664,<br />
succedette Leonardo Villarè, ateniese, che restò in carica sino 1669,<br />
seguito poi dall’abate Alvise Ambrogio Grandenigo di Candia.<br />
Alla sua morte, nel 1680, scrive il Morelli: «pare che fosse promosso<br />
don Michelangelo Mariani da Palazzolo, prete secolare, di<br />
cui, senza indicare il tempo, tanto scrive fra Leonardo Cozzando,<br />
nella Libreria bresciana, chiamandolo uomo di ottime lettere e di eccellenti<br />
virtù» 14 . Continua, poi, il Morelli, parlando dell’elezione a<br />
custode di Gualtiero Leith. Anche il Cicogna, sempre citando Cozzando,<br />
scrive: «sembra che il Mariani nel 1680 sia stato promosso<br />
custode della Marciana» 15 .<br />
Il discorso è ripreso in un’opera più recente. Però, mentre sia<br />
Morelli e sia Cicogna lasciano intravedere qualche dubbio circa<br />
l’elezione di don Mariani a custode della Marciana, Maria Luxoro<br />
da per certa la notizia che «il Grandenigo ebbe a successore Michelangelo<br />
Mariani, prete secolare di Palazzolo» 16 .<br />
Per chiarire defi nitivamente la questione, padre Ghetta consul-<br />
13 Cfr. Jacopo Morelli, Della pubblica libreria di s. Marco in Venezia. Dissertazione<br />
storica, Venezia, Alvisopoli, 1820<br />
14 Ibid., p. 116<br />
15 Cicogna Emanuele Antonio, Delle iscrizioni veneziane, Venezia, Ricotti, 1828,<br />
vol. IV, p. 12<br />
16 Cfr. Maria Luxoro, La biblioteca di s. Marco, Firenze, Olshki, 1954, p. 54<br />
44
tò direttamente gli archivi della Biblioteca di S. Marco e l’Archivio<br />
dei Frari di Venezia. Egli ha così accertato che il nome del Mariani,<br />
come custode della Marciana, non compare in nessun documento.<br />
Vi ha invece trovato scritto che in data 12 dicembre 1681 «Gualtiero<br />
Letti custode della libreria, deve avere dalla cassa fi orini 145,3, contadi<br />
a lui per la sua provisione di mesi nove. Il detto Gualtiero Letti<br />
entrò per custode li 28 maggio 1681 e fu custode fi no al 1703» 17 .<br />
Perciò, contrariamente a quanto scrive la Luxoro, Gualtiero Leith<br />
(famoso abate scozzese) non fu eletto custode della biblioteca nel<br />
1685, bensì il 28 maggio 1681.<br />
Le ricerche di padre Ghetta hanno accertato che c’è un buco di<br />
otto-nove mesi tra la morte di Alvise Grandenigo e l’elezione di<br />
Gualtiero Leith. Infatti, nell’archivio della Marciana egli ha trovato<br />
una delibera del Senato veneziano, a proposito del custode della<br />
libreria, che in data 14 settembre 1680 stabilisce che l’uomo da eleggere<br />
debba essere «pratico della lingua greca letterale, disoccupato<br />
da ogni impiego, perché possa aprire ogni giorno» 18 .<br />
Tuttavia, padre Ghetta annota nei suoi appunti che nessuno<br />
può ritenere che il Mariani abbia esercitato l’uffi cio di custode della<br />
biblioteca Marciana per così pochi mesi. D’altra parte i documenti<br />
dell’epoca sono troppo chiari e completi e tolgono ogni dubbio in<br />
proposito: Michelangelo Mariani non resse mai quell’uffi cio, perché,<br />
viceversa, se ne sarebbe trovata una qualche traccia.<br />
La vita<br />
Dai documenti rintracciati sappiamo che Michelangelo Mariani<br />
si spostò in varie città e visse lungamente a Trento ed a Venezia,<br />
città nelle quali, tuttavia, non esercitò il ministero sacerdotale. Fu,<br />
invece, precettore presso le famiglie patrizie locali.<br />
Mentre sappiamo con certezza che egli visse gli ultimi anni della<br />
17 Archivio dei Frari, sezione Procuratori de s. Marco de Sopra, busta n° 68 (Libraria<br />
publica), primo fascicolo<br />
18 Biblioteca di s. Marco, faldone Il governo veneziano sino al giorno 12 maggio 1797,<br />
fascicolo n° 146<br />
45
sua vita nella città lagunare, sono più vaghe le notizie circa i periodi<br />
e la durata dei suoi soggiorni a Trento, di cui fu però cittadino.<br />
Ciò dipende dal fatto che egli viaggiò molto. A Trento egli dovette<br />
trattenersi in ripetute occasioni: o di passaggio, o per più lunghi<br />
soggiorni. Per certo si sa che ci fu tra il 1667 ed il 1673 o il 1674.<br />
Si sa anche che per qualche tempo, probabilmente poco dopo<br />
aver ricevuto gli ordini sacerdotali, fu a Brescia perché risulta fosse<br />
membro della locale Accademia degli Erranti 19 col nome di Tranquillato.<br />
Come lui stesso scrisse 20 , nel gennaio 1664 era a Ferrara,<br />
mentre nel settembre 1678, apprendiamo da una sua lettera 21 , che si<br />
trovava a Verona.<br />
Agli inizi del 1660 Mariani risiedeva a Venezia in qualità di precettore<br />
dei fi gli di Alvise Grimani. In tale veste, oltre che in quella<br />
di consigliere, egli accompagnò il nobile veneziano che si recava a<br />
Parigi, dove era stato nominato ambasciatore e procuratore della<br />
Serenissima. Partiti da Venezia il 18 aprile 1660, giunsero a Parigi il<br />
28 aprile, dopo essere passati per Trento, Bolzano, e Costanza. Nella<br />
capitale francese rimasero tre anni; ripartirono, infatti, alla volta<br />
dell’Italia il 18 aprile 1663 e giunsero a Venezia, via Moncenisio e<br />
Torino, l’8 agosto. Il viaggio da Torino a Venezia fu fatto in barca,<br />
navigando sul Po.<br />
Scrittore appassionato dal gusto immaginifi co, oltre che attento<br />
osservatore, don Mariani si trovò presto a suo agio nella cerchia degli<br />
ambienti intellettuali parigini, tanto che fu invitato ad aderire a<br />
una delle accademie locali: quella dei Peregrini. Il cenacolo, che accomunava<br />
politici e letterati sotto il patronato del cardinale Giulio<br />
Mazzarino, teneva i suoi incontri presso le ambasciate di Venezia<br />
19 Fondata all’incirca nel 1620 da Lattanzio e Silvio Stella (ambedue preposti della<br />
Religione Cassinese) e coadiuvati da Ottavio Rossi, l’Accademia nel 1634 trovò<br />
sede stabile in una sala del palazzo comunale. Nel 1638, con un decreto del Senato<br />
Veneto, ricevette una sovvenzione annua in denaro. All’inizio del 1700 decadde,<br />
per venire meno verso il 1765.<br />
20 Cfr. Michel’Angelo Mariani, Trento con il sacro Concilio ecc., op. cit., p. 26<br />
21 Lettera del 17 settembre 1678, indirizzata a Antonio Francesco Lener, riportata<br />
in appendice.<br />
46
o di Genova. Scrive il Cicogna, al riguardo, che «ogni sabato vi si<br />
radunava con l’intervento di molti personaggi e virtuosi italiani e<br />
francesi, i quali discorrendo eruditamente nell’uno o nell’altro idioma,<br />
stringevano assai l’affetto delle due nazioni. In questa fu annoverato<br />
fra tanti, ed ebbe l’uffi cio di censore, Michelangelo Mariani,<br />
autore del libro La Francia in pace, dedicato al Grimani…» 22 .<br />
Dall’esperienza parigina egli trasse gli spunti per scrivere due<br />
libri: La Francia né primi tre anni di pace con il più curioso e memorabile,<br />
pubblicato a Venezia nel 1667 e dedicato ad Antonio Grimani (fratello<br />
di Alvise, che nel frattempo era morto) nominato ambasciatore<br />
presso la Santa Sede; La morale cristiana portata dal francese, Parigi, G.<br />
Rebufetto, 1662.<br />
A Venezia trascorse ancora qualche tempo, e tra la prima e la<br />
seconda edizione del primo tra i due citati libri fu a Trento, dove poi<br />
risiedette, come sopra accennato, negli anni compresi tra il 1667 ed<br />
il 1673. Michelangelo Mariani visse infatti per sei anni fra Trento e<br />
Pergine in Valsugana come precettore dei tre fi gli del dottor Paolo<br />
Lener 23 , Antonio Francesco, Giuseppe e Lucia. Qui scrisse alcune<br />
opere, tra cui la più celebre di tutte: Trento con il sacro concilio ecc., di<br />
cui pubblicherà tre edizioni, che di fatto, sono però tre ristampe.<br />
La sua vocazione celebrativa e fantasiosa, unita alla bravura<br />
nello stile proprio dell’epoca, gli aprì le porte dell’Accademia degli<br />
Accesi 24 , dove prese il nome di Intrepido e dove il Magistrato Con-<br />
22 Cfr. Emanuele Antonio Cicogna, Delle iscrizioni veneziane, vol. IV, op. cit.,<br />
p. 541<br />
23 Paolo Lener, nativo di Pergine Valsugana, si laureò a Padova. Fu medico di<br />
Borgo Valsugana dal 1612 al 1619, per poi esercitare la sua professione a Pergine. Si<br />
trasferì a Trento nel 1632, dove morì nel 1675.<br />
24 In molte città italiane sorsero Accademie degli Accesi. Quella di Trento fu<br />
inaugurata nel gennaio 1629 con una cerimonia presieduta dal vescovo. Nei suoi<br />
primi due anni di vita godette anche di ampia risonanza esterna. La peste del 1630<br />
però tarpò le sue ali. Riprese vita nel 1671 ad opera del conte Carlo Mattia Saracini.<br />
In tale anno Michelangelo Mariani vi fi gura già come membro. Il grande risveglio<br />
dell’Accademia si ebbe nel 1679, in occasione del tributo al vescovo e principe di<br />
Trento, mons. Francesco Alberti. L’Accademia si spegnerà verso la metà del Settecento.<br />
47
solare gli commissionerà la sua opera principale, per la quale gli saranno<br />
pagati prima del 1672 cento ragnesi «per la fatica da lui fatta<br />
nella descrittione et istoria della Città e Vescovado di Trento…avendo<br />
egli impiegato grave fatica et consumato a sue spese due e più<br />
anni» e, nel 1673, altri cinquecento per il completamento dell’opera<br />
con l’aggiunta di una seconda parte 25 .<br />
A Trento Michelangelo Mariani mostrò «tutto il lucore del suo<br />
genio, così disponibile alle celebrazioni occasionali accademiche e<br />
così convincente e sensibile ai relativi compensi» 26 . Il 22 giugno 1675<br />
l’illustrissimo Principe (cioè il vescovo di Trento) convocò «li signori<br />
Accademici, ai quali fu proposto l’assiduo impiego, diligenza, e<br />
zelo del signor Accademico Intrepido [ossia, il Mariani] esercitati a<br />
benefi cio, utile ed honorevolezza di questa Accademia, quindi per<br />
corrisponder con un segno di gratitudine, fù concluso di riconoscere<br />
in parte li suoi impieghi con ducati 12, de quali fu commesso<br />
l’isborso al S. Cassiere» 27 .<br />
Dagli estimi della città di Trento, consultati da padre Frumenzio<br />
Ghetta, non risulta che don Mariani vi possedesse case o terreni,<br />
mentre della sua permanenza a Trento ha trovato testimonianze in<br />
documenti conservati nell’Archivio di Stato cittadino. Si tratta di<br />
due atti notarili del 1672 (uno dell’11 giugno, notaio Siciliani Giacomo<br />
Antonio, e l’altro del 27 settembre, notaio Benolli Tomaso) in<br />
cui don Mariani fi gura come testimone in transazioni ed è descritto<br />
come cittadino di Trento. Nell’atto del notaio Benolli è inoltre<br />
confermata la sua origine bresciana e annotata la sua paternità. C’è<br />
scritto, infatti, che il «rev.ndo presbitero domino Joanne Michaele<br />
q. Johannis Francisci Mariani brixiense, incola Tridenti, [è] testibus<br />
vocatis et rogatis» 28 .<br />
Terminato il suo impegno come precettore in casa Lener, «per<br />
25 Cfr. Aldo Chemelli, Trento e le sue stampe: il Seicento, op. cit., p. 31-32<br />
26 Aldo Chemelli, Introduzione all’opera del Mariani, op. cit, p. XII<br />
27 Aldo Chemelli, Trento e le sue stampe: il Seicento, op. cit., p. 38<br />
28 Trento, Archivio di Stato, Notai della pretura di Trento, 1672, carta 169 verso<br />
e carta 63<br />
48
non stare indarno, tornò a legarsi all’ambiente veneziano, dove pubblicò<br />
alcuni opuscoli dal tono brillante e laudativo» 29 . Poco dopo<br />
il suo arrivo a Venezia, con altri autori concorse alla stesura delle<br />
Meraviglie della città di Venezia epilogate all’illustrissimo sign. Ottavio<br />
Labia, «dando subito un saggio di quanto poteva la sua fantasia con<br />
la nuova etimologia di Venezia, o meglio del suo ritorno alla città<br />
ospitale: Veni-etiam» 30 .<br />
A Venezia, come vedremo, egli scrisse diverse opere e visse - si<br />
è già accennato - gli ultimi anni della sua vita. Così come sappiamo<br />
che nella città lagunare, e precisamente nella parrocchia di Sant’Antonino,<br />
egli morirà di tubercolosi nel 1694. Tuttavia, non si sa con<br />
certezza in quale sestriere egli abbia abitato con continuità. Dalle<br />
ricerche di padre Ghetta siamo a conoscenza che nel febbraio 1695<br />
don Mariani non si era ancora trasferito nella citata parrocchia. Infatti,<br />
per la visita pastorale del 6 febbraio 1695, nel dettagliato elenco<br />
dei sacerdoti della parrocchia, o dimoranti in essa, non fi gura il<br />
suo nome.<br />
Può darsi che a Venezia, almeno per un certo periodo, Michelangelo<br />
Mariani abbia vissuto con i fratelli Vincenzo e Gio Battista,<br />
entrambi più giovani. Il primo, farmacista in Piazza San Marco, e il<br />
secondo, l’ultimo dei fratelli Mariani, sacerdote pure lui nel convento<br />
dei Gerolamini di San Sebastiano.<br />
Col fratello Vincenzo don Michelangelo aveva anche interessi<br />
culturali in comune perché presso la sua farmacia aveva sede un<br />
importante cenacolo culturale veneziano dell’epoca: l’Accademia<br />
dei Paragonisti, di cui entrambi i fratelli erano membri e animatori.<br />
L’esistenza di questa accademia a Venezia trova conferma in un’operetta<br />
del carmelitano Sebastiano Steffani, pubblicata nel 1684.<br />
Scrive, infatti, il religioso, al riguardo, che «fra i ridotti più frequentati<br />
in questi giorni, la specieria dè signori Mariani, essendo<br />
situata nel cuore di questa regia, nella gran piazza di s. Marco, si<br />
vede sempre ripiena di soggetti cospicui, e per lettere e per nobiltà<br />
29 Aldo Chemelli, Introduzione all’opera del Mariani, op. cit, p. XII<br />
30 Ibid., p. XII<br />
49
iguardevoli. Qui confl uivano ancora le più scielte composizioni di<br />
versi e prose, in tanta copia ogni giorno che non può credersi. Né<br />
virtuosi congressi di questa specieria famosissima, sortì felicemente<br />
il suo natale l’illustre Accademia de Paragonisti, che tenendo la<br />
pietra del paragone per sua divisa, potea ben con l’assaggio sperimentar<br />
la fi nezza di quegl’ingegni che in quel letterato liceo s’arrolavano»<br />
31 .<br />
Questo scritto sembrerebbe confermare indirettamente che all’epoca,<br />
cioè nel 1684, don Michelangelo vivesse col fratello Vincenzo.<br />
Così non sarà più negli anni successivi perché, come si deduce<br />
dal testamento del sacerdote, doveva essere insorta una rottura tra i<br />
due fratelli, forse a causa di un’eredità. Difatti, nel testamento - che<br />
riproduciamo per intero in appendice - Michelangelo Mariani così<br />
scrive: «Tutto quello che ho…e particolarmente quello che devo havere<br />
et che mi aspetta dal sig. Vincenzo Mariani, mio riverito fratello,<br />
per occasione delle divisioni contenziose tra Noi…» 32 .<br />
Annota padre Ghetta che il Mariani, secondo il registro alfabetico<br />
dei Testamenta virorum, aveva già fatto testamento nel 1693, ma<br />
che per prassi sono stati conservati solo gli ultimi testamenti. Se fosse<br />
giunto sino a noi il testamento del 1693 si poteva forse sapere se<br />
fi no a quella data i due fratelli, Vincenzo e Michelangelo, vivevano<br />
ancora in armonia e concordia, forse sotto lo stesso tetto. Comunque,<br />
appare interessante annotare i dati in nostro possesso circa i<br />
due fratelli Mariani, Vincenzo e Giovanni Battista, che vivevano a<br />
Venezia col più illustre fratello.<br />
31 Cfr. Steffani Sebastiano, Il faro della Fede – cioè la Cristianità illustrata dalle insigni<br />
esemplarità dè Veneti, e nell’ultime mosse dell’armi Ottomane nell’Austria, e nella<br />
santa Lega conclusa contro Turchi, ecc., Venezia, 1684, p. 93. Il carmelitano continua,<br />
poi, dicendo che la prima sede dell’Accademia era stata l’abitazione del procuratore<br />
Quercini e che nella specieria dei Mariani campeggiava un cartello incorniciato<br />
d’oro che riproduceva il verso di un salmo: «Desertera Domini percussit inimicum».<br />
32 Archivio di Stato, Venezia, Testamenta virorum, Notaio Calzavara Luca, busta 247,<br />
n. 87<br />
50
I fratelli Vincenzo e Giovanni Battista<br />
Mentre degli altri tre fratelli di Michelangelo Mariani, a parte<br />
l’atto battesimale, non sappiamo nulla, dei due che vissero a Venezia<br />
abbiamo alcune notizie, seppur frammentarie.<br />
Dai documenti conservati nella parrocchia (ora soppressa) di<br />
San Geminiano e conservati nell’archivio patriarcale di Venezia,<br />
sappiamo - sempre grazie alle ricerche di padre Ghetta - che Vincenzo<br />
Mariani era spezier alla Vigilanza. Sposato a Santa 33 , ebbe un<br />
fi glio di nome Antonio e due fi glie: Marta e Teresa. Si sa, inoltre,<br />
che morì il 28 marzo 1701 all’età, sembra, di sessantasei anni. Padre<br />
Ghetta, a questo riguardo ha dei dubbi: gli anni potrebbero essere<br />
anche sessantanove.<br />
L’età del defunto è però importante per poterlo identifi care correttamente<br />
perché, come sappiamo, di Vincenzo Mariani ce n’erano<br />
due: Vincenzo Giuseppe nato nel 1629 e suo fratello Giuseppe Vincenzo<br />
battezzato il ventuno luglio 1631. Ora, se l’età di Vincenzo,<br />
all’atto della morte, fosse di sessantasei anni ciò non troverebbe corrispondenza<br />
con i dati anagrafi ci dei due fratelli Mariani, mentre se<br />
fosse di sessantanove anni, come appare più probabile, si potrebbe<br />
riferire con certezza al secondo.<br />
Non sappiamo se Vincenzo Mariani sia giunto a Venezia grazie<br />
all’aiuto del fratello sacerdote o per conto proprio, né in quale<br />
anno vi sia arrivato. Poiché il sopra citato archivio non contiene<br />
i documenti battesimali dei fi gli di Vincenzo come, del resto, non<br />
compaiono nemmeno nell’archivio della parrocchia di Santa Maria<br />
Assunta di Palazzolo, possiamo correttamente supporre che siano<br />
nati altrove. E siccome sappiamo che suo fi glio Antonio morì il 10<br />
marzo 1743, all’età di sessantanove anni, possiamo ritenere che almeno<br />
sino al 1674 (l’anno della sua nascita) Vincenzo Mariani non<br />
risiedesse a Venezia.<br />
33 Fra i testamenti conservati nell’Archivio dei Frari a Venezia, padre Ghetta ha<br />
trovato i seguenti: Mariani Santa, vedova Vincenzo, morta il 3 dicembre 1727; Mariani<br />
Teresa, fu Vincenzo, morta il 20 dicembre 1719 e Mariani Marta, fu Vincenzo,<br />
morta il 25 agosto 1751.<br />
51
Vi risiedeva di sicuro, invece, nel 1683, anno in cui fece stampare<br />
a sue spese un libro del fratello Michelangelo (S. Giminiano. Historia<br />
Heroica). Da tale libro sappiamo anche che Vincenzo era all’epoca<br />
guardiano del Santissimo in San Giminiano. Infatti, nel titolo fi gura<br />
che il libro fu «stampato ad istanza di me Vincenzo Mariani, Speciale<br />
Medicinale alla Vigilanza in Piazza S. Marco, fratello dell’Autore<br />
di questo Libro, et al presente Guardiano del Santissimo in S. Giminiano».<br />
Dal testamento sappiamo che negli ultimi anni della sua vita<br />
Michelangelo Mariani ruppe i rapporti col fratello Vincenzo a causa<br />
del contenzioso che tra loro pendeva per la divisione dei beni, mentre<br />
col fratello minore Giovanni Battista i rapporti rimasero sempre<br />
buoni, tanto che, come si è visto, poco prima della morte lo nominò<br />
suo erede testamentario.<br />
Quest’ultimo era pure lui sacerdote e viveva nel convento dei Gerolamini<br />
di San Sebastiano a Venezia. Le puntuali ricerche di padre<br />
Ghetta presso l’Archivio dei Frari, escludono che nel 1677 Giovanni<br />
Battista Mariani fosse tra i religiosi di tale convento. Egli deve aver<br />
preso gli ordini in età matura perché c’è una sua lettera del 17 aprile<br />
1984 34 con la quale ricorreva alla Sacra congregazione dei religiosi<br />
per ottenere la licenza di emettere la professione religiosa.<br />
A sua volta il superiore del convento scriveva: «il sig. Gio Batta<br />
Mariani, cittadino bresciano…da molto tempo in qua chiede l’abito<br />
chiericale della religione e avendo tutti i requisiti et ottime qualità<br />
vien stimato degno d’essere ricevuto, ma perché non può, né star<br />
rinchiuso dentro il recinto con gli altri novizi di minor età, chiede di<br />
34 Archivio dei Frari, Venezia, faldone 74, Attestati dei postulanti e loro accettazione<br />
all’abito (1671-1687). La lettera in questione così recita: «Gio Batta Mariani<br />
da Venezia, d’età avanzata, avendo fatto voto di farsi religioso nella congregazione<br />
del beato Pietro di Pisa, supplica umilmente l’eccel.ze vostre della licenza di<br />
vestir l’abito per chierico sopranumerario, fuora di noviziato, nel monastero di s.<br />
Sebastiano a Venezia». Il parroco di s. Geminiano, don Antonio Boselli, a sua volta<br />
testimonia che «il sig. Gio Batta Mariani abita nella mia parrocchia vivendo da<br />
buon cristiano, frequentando li santissimi sacramenti della confessione e comunione<br />
nella chiesa suddetta».<br />
52
poter fare il noviziato fuori del recinto, ma nel convento…».<br />
La congregazione romana gli concederà il permesso il 15 dicembre<br />
dello stesso anno. Il 24 giugno 1685 il priore del convento ed il<br />
suo vicario sottoscrissero un documento col quale attestavano che<br />
il Mariani era di «honesti natali e buona condotta», dichiarando altresì<br />
che era «in letteris suffi cienter instructus» e che pertanto era<br />
ammesso dal padre superiore provinciale alla professione dei voti.<br />
Gio Batta Mariani, che sino alla primavera del 1684 era vissuto<br />
col fratello Vincenzo, con ogni probabilità fu ordinato sacerdote nel<br />
1686 perché l’anno successivo lo si trova come religioso nel convento<br />
di San Sebastiano. Resterà in tale convento sino alla sua morte,<br />
avvenuta nel 1710. Fra le sue carte padre Ghetta ha trovato le attestazioni<br />
delle messe fatte celebrare per il fratello Michelangelo nei<br />
conventi di Venezia e di Rimini, così come ha trovato le note spese<br />
per le medicine fornite sia dal fratello Vincenzo, sia dal nipote Antonio,<br />
nonché le quietanze per le piccole somme di denaro versato<br />
alle nipoti Teresa e Marta fra il 1707 ed il 1709.<br />
Gli scritti di Michelangelo Mariani<br />
Attento osservatore, dallo stile brioso e appassionato, con applaudite<br />
capacità espositive, ma «tanto fantasioso da disperdersi<br />
oltre i confi ni di una ragionevole compostezza» 35 e non alieno da<br />
sfoggio di erudizione, egli fu uno scrittore fecondo che compose anche<br />
diverse liriche occasionali. Fu molto celebrato, come si è visto, a<br />
Venezia ed a Trento, dove è annoverato tra i maggiori scrittori locali<br />
del Seicento.<br />
Il Mariani può essere qualifi cato «ora come brioso e puntuale<br />
giornalista, ora come un impressionista alla moda…Il suo impegno<br />
storico lo assumeva come cronista e moralista che raccomanda alle<br />
buone intenzioni la lettura delle sue opere senza mendicare apertamente<br />
i favori dei potenti» 36 .<br />
35 Aldo Chemelli, Introduzione all’opera del Mariani, op. cit., p. VII<br />
36 Ibid., p. XV-XVI<br />
53
Riepiloghiamo, con qualche nota di commento, i suoi scritti che<br />
sono giunti sino a noi, seguendo l’ordine cronologico della loro<br />
composizione:<br />
1) La morale cristiana portata dal francese, Parigi, G. Rebufetto, 1662;<br />
2) L’Erafi lo aspirante alla gloria. Dedicato All’Illustriss. Eccellentiss.<br />
Signor Ottavio Labia Proveditor vigilantis in Asola, Venezia, 1664,<br />
Per Francesco Armanni. Lo scritto è preceduto da un madrigale<br />
in cui il Mariani si fi rma come «Il Tranquillato accademico Errante»;<br />
3) La Francia nè primi tre anni di pace, seguiti dopo il trattato de’ Pirenei,<br />
Con il più curioso e memorabile, Venezia, Giacomo Zattoni,<br />
1667. Il libro è dedicato ad Antonio Grimani, procuratore di San<br />
Marco. E’ ristampato a Venezia nel 1673 da G. Giacomo Hertz. Si<br />
tratta di una storia di costume ed al contempo panegirica, poiché<br />
«orientata all’esaltazione della fede e della virtù cristiana in<br />
odio alla Riforma e all’indifferentismo religioso e morale che si<br />
continuava dopo il Rinascimento». L’opera ha «un’intonazione<br />
oratoria che…si accompagna spesso al senso tragico e patetico<br />
della morte, anch’esso in antitesi alla versione gaudente e pagana<br />
della vita, ereditata dal secolo precedente» 37 . Il tono dello<br />
scritto è ambivalente: mentre da un lato l’autore si fa partecipe<br />
del fasto e delle meraviglie dell’ambiente descritto, dall’altro<br />
conclude negandone il valore. Narratore scrupoloso e preciso,<br />
dallo stile talvolta congestionato, egli fa spesso trasparire il senso<br />
della vanità delle cose, con una predilezione per l’orrore e lo<br />
stupefacente. Il suo moralismo si fonda «sul freddo principio<br />
dell’ortodossia teologica e teocratica» 38 e c’è in lui una furibonda<br />
animosità contro eresie ed eretici che rifi utano le verità dogmatiche,<br />
mentre le sue considerazioni assumono toni edifi canti<br />
quando parla in favore dei campioni della fede cattolica;<br />
37 Aldo Chemelli, Trento e le sue stampe: il Seicento, op. cit., p. 58<br />
38 Ibid., p. 59<br />
54
4) Il glorioso infante s. Simone. Historia panegirica di Michel’Angelo<br />
Mariani, Trento, 1668, Zanetti stampatore episcopale. L’opera<br />
celebrativa in versi fu scritta ad istanza del dottor Collegiato Gio.<br />
Benedetto Gentilotti, Sindico ed Economo della Chiesa Parrocchiale di<br />
s. Pietro di Trento, ove si venera il corpo di san Simone. E’ scritta<br />
con un gusto immaginifi co, «cui concorrono l’estro fantastico e<br />
l’esaltazione religiosa proprie dell’autore e del secolo» 39 . Scopo<br />
dell’opera, come scrive l’autore stesso, è quello di destare sentimenti<br />
di devozione ed una pia curiosità;<br />
5) Le meraviglie della città di Venezia. Epilogate all’ill.mo et eccell. Signor<br />
Ottavio Labia, Venezia, 1668 Il libro è scritto in concorso<br />
con altri autori, ma il Mariani fa sfoggio della sua accesa fantasia,<br />
attribuendo una nuova etimologia a Venezia (Veni-etiam) e<br />
ne traccia l’elogio con «una delle sue più belle pagine…tenendo<br />
sempre alto il tono di un lirismo commosso, veramente incantato<br />
di una città sicura nella sua indifesa apertura di mare e di<br />
terra, di giorno e di notte, a tutte le ore, in tutti i tempi di pace e<br />
di guerra, di invasioni, di torbidi, di pericoli…» 40 . La conclusione<br />
non sfugge allo stile adulatorio proprio del Seicento;<br />
6) De Tridentino Antistite, et Principe. Elogium.Illustrissimo, ac Reverendissimo<br />
D.Liduino Piccolomini senensi Ecclesiae Tridentinae<br />
Praeposito, Canonico Dicatum, Tridenti, Caroli Zanetti, 1670.<br />
E’ scritto in liberi metri latini di singolare struttura moderna;<br />
7) Per i Pubblici Applausi al Principe Vescovo Sigismondo Alfonso De<br />
Tunn, Trento, 1670. Si tratta di un’ode che dimostra la coincidenza<br />
dell’anno di nomina del vescovo con quello della fondazione<br />
di Trento attraverso un computo cabalistico;<br />
8) Relazione del <strong>Ti</strong>rolo. Non si sa esattamente se e quando fu pubblicata,<br />
né la città in cui fu stampata. Nell’archivio comunale<br />
di Rovereto, alla voce Atti del Consiglio Comunale dell’anno 1670<br />
è conservato un manoscritto che fa riferimento a tale scritto e<br />
39 Ibid., p.74<br />
40 Ibid. p. 39<br />
55
56<br />
cita il compenso versato dalla città al Mariani per l’aggiunta di<br />
Rovereto alle note sul <strong>Ti</strong>rolo;<br />
9) Una Canzone. Raccolta di poesie diverse. Canzoni di vario argomento,<br />
1672;<br />
10) Trento con il Sacro Concilio et altri notabili. Descrittion’ Historica.<br />
Libri tre. Con un Ristretto del Trentin Vescovato; l’Indice delle Cose<br />
notabili, et le fi gure in Rame, Trento, 1673. Come già accennato, la<br />
prima parte del libro fu data alle stampe nel 1671; fu arricchita<br />
con una seconda parte e ripubblicata il 26 giugno 1673, nella<br />
festa di san Vigilio, patrono di Trento. Furono poi fatte due successive<br />
edizioni, da Augusta e da Ulma, sempre datate nel 1673.<br />
Tuttavia, le tre edizioni sono, di fatto, delle ristampe eseguite<br />
dal medesimo tipografo trentino con la carta della cartiera Bozzoni<br />
di Trento. La scelta del luogo di stampa estero fu, a quanto<br />
pare, solo un comodo espediente per riappropriarsi dei diritti<br />
relativi.<br />
E’ l’opera più importante e impegnativa del Mariani che va<br />
oltre i canoni tradizionali dell’epoca, attualizzando le vicende<br />
storiche di Trento senza trasfi gurarle con la retorica. Come<br />
scrive Chemelli, ad «una storia “eloquente”…congegnata sulle<br />
orazioni sentenziose, sulle parti contrapposte dei personaggi di<br />
turno sulle scene del dramma politico, il Mariani sostituisce<br />
una “storia dal vero” meno compassata, ma vivace, una storia<br />
“attuale” che con lo stile fantasioso spesso porta ai confi ni con<br />
la favola. Egli dice di aderire alle cose che si conoscono senza<br />
trasfi gurarle con la retorica, tuttavia la sua immaginazione gli<br />
prende spesso la mano con l’intento evidente di portare il lettore<br />
alla commozione» 41 .<br />
In questa sua storia, basata molto sulle impressioni, egli dà voce<br />
anche alle favole e alle superstizioni «che lievitano oltre i piccoli<br />
fatti di cronaca sino a congestionarli oltre il verosimile»; s’interessa,<br />
inoltre, del clima, della terra, delle colture, delle attività<br />
41 Ibid., p. 42-43
degli abitanti, con annotazioni «di gusto, di arte, di psicologia,<br />
mentre la giustifi cazione dei potenti è appena accennata o elusa».<br />
La sua è una «narrativa còlta da una posizione moralistica<br />
e di edifi cazione religiosa, cui manca la problematica sociale e<br />
l’astrattezza scientifi ca moderna» 42 .<br />
Tuttavia, egli sa introdurre nelle sue pagine, con sobrietà, delle<br />
piacevoli venature umoristiche che rendono più scorrevole<br />
il testo. Il Mariani sfugge alla presunzione, raccomandandosi<br />
alla modestia. Scrive, infatti, al lettore nell’introduzione alla sua<br />
opera: «Legga chi vuol’à suo grado, e viva lieto» 43 ;<br />
11) Le glorie di s. Filippo Neri In Congresso Accademico de’sig.ri Accesi<br />
di Trento, Trento, Carlo Zanetti, 1679. Il libretto è dedicato al<br />
Vescovo di Bressanone, Paolino Mayr, e scritto a più mani in<br />
onore del santo. Michelangelo Mariani vi scrive: Per le glorie di<br />
S. Filippo Neri. Canzone panegirica, Prolusione in musica che servì di<br />
Preambolo al Congresso;<br />
12) La Virtù Essaltata. Tributi d’Ossequio De gli Accademici Accesi<br />
Offerti in Publica Recita e Consacrati all’Eccellenza Reverendiss.<br />
Di Monsignor Francesco Alberti Vescovo, e Principe di Trento, E<br />
Protettore dell’Accademia, Trento, Carlo Zanetti, 1679. Si tratta di<br />
un’operetta panegirica a più mani in cui il Mariani scrive un<br />
epigramma in latino, un madrigale a fi rma Intrepido, uno schema<br />
numerico, due sonetti e un’ode;<br />
13) S. Geminiano, Historia Heroica. Libri due di Michel’Angelo Mariani.<br />
Con il più mirabile di que’ tempi, et in fi ne la mirabil Vittoria di Vienna<br />
d’Austria, stampato ad istanza di me Vincenzo Mariani Speciale<br />
Medicinale alla Vigilanza in Piazza di S. Marco, fratello dell’Auttore<br />
di questo Libro, et al presente Guardiano del Santissimo in S. Geminiano<br />
ecc., Venezia, Giovanni Cagnolini, 1683;<br />
42 Ibid., p. 43<br />
43 Trento con il Sacro Concilio ecc., op. cit., p. 7<br />
57
14) Il trionfo di Nettuno. Dedicato al conte Antonio Musoni, conte di s.<br />
Felice, le cui bombe hanno fatto arrendersi quelle fortezze. Venezia<br />
1686. Trionfo celebrato per la vittoria di Navarrino vecchio e<br />
Navarrino nuovo;<br />
15) L’ingresso trionfale dell’illust. et eccel. Sign. Leonardo Donato procuratore<br />
meritatissimo di s. Marco. Descrittione dell’Accademico Intrepido,<br />
dedicata al molto illustre sign. Girolamo de Bert, Venezia,<br />
Orlandi, 1686;<br />
16) Le Glorie della Legion Tebea dell’invitto General Duce S. Mauritio,<br />
Venezia, 1694;<br />
17) Belgrado espugnato dall’Arme Imperiali con altri successi memorabili,<br />
Venezia, Antonio Bosio, 1688;<br />
18) La Gran Battaglia di Salankement con la mirabil vittoria per i Cristiani<br />
e la conquista del Gran Varadino, Colonia, Melchior Egmond,<br />
1692. Dedicato a Gerolamo Bosio. Alla fi ne, con la fi rma di Accademicus<br />
intrepidus, sono aggiunti due sonetti e due distici;<br />
19) Venetiarum icon. Venetiae leoni semper augusto dicatae suo Descriptio,<br />
Constantiae, Edictio auctior, 1691;<br />
20) Sonetto in lode del B. Jacopo Salomonico, è premesso alla Vita del<br />
B. Giacomo Salomonico scritta da Mons. <strong>Ti</strong>epolo, Venezia, 1691. Si<br />
sottoscrive come Michelangelo Mariani Accademico intrepido.<br />
58
Appendice<br />
Riproduzione fotografi ca della lettera autografa di don Michelangelo<br />
Mariani ad Antonio Francesco Lener per la morte del fratello<br />
Giuseppe Ignazio, all’età di trent’anni.<br />
59
Per facilitare la comprensione della lettera autografa al Lener,<br />
in modo d’avere un piccolo spaccato del costume dell’epoca, la trascriviamo:<br />
60<br />
All’Ill.mo Sig. Mio Sig. Padrone Coll.mo<br />
Il Sig. Antonio Francesco Lener<br />
Trento per Pergine<br />
Ill.mo mio Sig. Sig. Padrone Colendissimo.<br />
O quanto sensibile mi vien la Nuova del Sig. di Lei Fratello, che<br />
sia in gloria! O’ Cieli! O’ Fato! Da tanto colpo e così inopinato mi<br />
sento affl igger il Cuore, trafi ggere l’Anima; e compiango codesta<br />
Casa, Città, et Accademia, per si gran perdita. Ma che si può fare? Il<br />
Cielo ha voluto così: quel Cielo, il cui Nume: Tangit a Fine usque in<br />
Finem fortiter, et disponit omnia suaviter 44 .<br />
Vostra Signoria Ill.ma, che col più fi no intendere unisce una<br />
somma prudenza, e singolar pietà, son certo, non mancherà d’una<br />
intiera, e pronta rassegnatione al Divino Beneplacito. Et essendo<br />
essa il sostegno unico, e l’intelligenza di tutta la sua Casa, si ricordi,<br />
ch’è tenuta conservarsi lungamente, del che io prego instantemente<br />
Dio Signore com’è mio debito, e non mancherò di suffragio ne’ miei<br />
Sacrifi cii per l’Anima del Sig. di lei Fratello, al cui affetto, e gratie<br />
professo indelebili le obligationi. Non più m’essendo per il dolore;<br />
solo memore del mio debito, e dell’alta servitù, che à Vs. Ill.ma dedicai,<br />
la suplico con l’honore de’ suoi Comandamenti, farmi insieme<br />
gratia, che nel Capitale del suo preggiatissimo affetto, io possa esser<br />
Herede di quello ancora del Sig. Fratello; e con riverirla umilmente<br />
insieme con le Signore e i Sig. Nipotini, che Dio conservi, e prosperi<br />
sempre più, di tutta osservanza mi sottoscrivo di Vs. Ill.ma<br />
Verona li 17 Settembre 1678<br />
Devotissimo et obblig.mo servitor vero<br />
D. Michel-Angelo Mariani<br />
44 “Si estende da un confi ne all’altro fortemente e dispone ogni cosa soavemente”
Testamento di Michel’Angelo Mariani<br />
Anno ab Incarnatione Domini Nostri Iesu Christi Millesimo secentesimo<br />
nonagesimo septimo, indictione quinta, die vero iovis<br />
decima mensis octobris.<br />
Il molto Rev.do Sig. D. Michiel Angelo Mariani q. Sig. Gio. Francesco,<br />
sano, mercè del Signor Iddio, della mente, sensi et intelletto,<br />
benché nel letto infermo, nella Casa della sua habitazione, posta<br />
nella Cotrà di st. Antonin,<br />
presenti li sottoscritti testimoni, ha presentato a me Luca Calzavara<br />
pubblico Nodaro di Venetia, la presente sua cedula testamenta-<br />
61
ia, scritta disse d’aliena mano, nella quale disse contenersi l’ultima<br />
sua volontà, la quale prima da me Nodaro lettali da solo a solo,<br />
mi ha fatto aggiongere come in essa, et l’ha confermata, presenti<br />
essi Testimoni, pregando sigillarla come l’ho fatto, custodirla, et in<br />
caso di sua morte, aprirla, pubblicarla et roborarla, giusto alle leggi<br />
di questa città. Interrogato da me Nodaro della seconda cedula et<br />
Lochi pii della Città giusta le leggi, rispose non voler far ne ordinar<br />
altro.<br />
Io don Angelo de Leon mansionario all’Assensione q. Marc’Antonio<br />
fui Testimonio presente giurato et pregato.<br />
Io Gian Battista Nitostro sertor in detta Contrà q. Guane fui testimone<br />
presente pregato e giurato, e conosco detto Testatore.<br />
Il tenor dela qual Cedula è come segue.<br />
Ritrovandomi Io D. Michiel Angelo Mariani aggravato da male,<br />
e volendo disponer del pocco mio havere, perciò ho pregato persona<br />
mia confi dente scriver vogli il presente mio testamento et ultima<br />
volontà, per presentarlo poi in atti di publico Nodaro di questa Città,<br />
è prima:<br />
Raccomando l’anima mia al Signor Iddio, alla Beatissima V. Maria,<br />
al mio Angelo Custode, Sant’Antonio di Padova, s. Giuseppe, et<br />
a tutti gli abitanti e sante del Paradiso, humilmente suplicandoli intercedino<br />
appresso di Sua divina Maestà il perdono de’ miei peccati<br />
e farmi degno della Sua Santa Gloria.<br />
Tutto quello che ho e capitar mi potesse, così beni mobili come<br />
stabili, ragioni et actioni, e particolarmente quello che devo havere<br />
et che mi aspetta dal Sig. Vincenzo Mariani, mio riverito fratello, per<br />
occasione delle divisioni contentiose tra Noi, Lassio al Molto Rev.do<br />
Padre D. Gio Battista Mariani, pure mio fratello, dell’ordine di s. Sebastiano<br />
di questa città (Gerolamini), e ciò per l’affetto che sempre<br />
l’ho portato, dandoli, e concedendoli tutte l’autorità e privileggi che<br />
tengo io, così per le Liti, come per ogni altra cosa, acciò di queste ne<br />
sia libero et assoluto Patrone, con questo, che si arricordi dell’anima<br />
mia nelli suoi sacrifi cii. Et questo intendo sii il mio ultimo Testamento<br />
a Laude e Gloria del Sig. Iddio et per quiete dell’anima mia.<br />
Doppo letogli, disse, voglio che il detto molto R. Padre D. Gio<br />
Battista mio fratello et herede, habbi obligatione, recuperato che<br />
62
haverà quel tanto che li lassio, à me come sopra spettante, habbia<br />
obligo di farmi celebrar messe per la summa de ducati cinquecento,<br />
conforme la mia intentione, e queste nel termine di anni cinque, facendo<br />
anche nel detto termine di anni cinque la dispensa di ducati<br />
cento, consegnati la metà la Pia Casa de catecumeni, et la metà alli<br />
poverelli di questa Città.<br />
Et qui è il fi ne di detta Cedula testamentaria predetta.<br />
Die mercurio 9 mensis Aprilis 1698 publicatum ab mortem suprascripti<br />
Adm. Rev Testatoris, ad instantiam Ad. R. Patris Jo. Baptistae<br />
Mariani eius fratis, et intimata parte offi cii. Ill.mi Aquarum.<br />
Riproduzione fotografi<br />
ca della prima pagina<br />
del libro più famoso<br />
di Michelangelo<br />
Mariani, nell’edizione<br />
di Augusta<br />
63